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martedì 21 novembre 2017

Intervista a Roberto Baldazzini

Roberto Baldazzini è stato presente a Lucca con novità esterne al fumetto: un nuovo portfolio tirato in 99 copie presentato il 1 novembre e il suo nuovo libro Mondo Erotica, ma ho scoperto dei nuovi progetti suoi per il fumetto, il medium che ama di più.

Luca Lorenzon (LL): Lei quest’anno presenta a Lucca il portfolio Le Sultane, anche se qui allo stand di Sergio Pignatone è presente anche il volume Mondo Erotica che è già uscito da un po’.

Roberto Baldazzini (RB): Sì, Mondo Erotica è uscito in Inghilterra un paio di mesi fa, in ottobre in America e poi adesso nel resto del mondo. È un art book dedicato ai miei trent’anni di lavoro. Mentre invece il progetto Sultane è un portfolio, a colori, che finalmente raccoglie una serie di figure femminili molto particolari, già disegnate da tempo.

LL: “Particolari” come quelle di Casa Howhard?

RB: No, assolutamente, queste sono femmine-femmine. Sono “particolari” nel senso che queste figure femminili sono particolarmente virili e dominanti, anche se non hanno gli attributi maschili.

LL: Anche in Casa Howhard era quella più minuta, l’unica interamente donna, a essere la dominatrice se non ricordo male.

RB: No, in Casa Howhard c’era solo una figura femminile che era una diva del cinema porno, la classica pornostar, l’unica femmina.

LL: Allora l’ho confusa con quell’altro fumetto su Blue in cui per rivolgersi a un’avversaria una delle protagoniste la apostrofava dicendo “CREPAX!”.

RB: Quella era la serie di Ginger & Rogers, “CREPAX!” era il grido di battaglia delle protagoniste, due detective, quando entravano in azione. Una era interamente femmina dalle grandi tette mentre l’altra un trans.

LL: Lei comunque si è dedicato anche ad altri tipi di lavori. L’Inverno di Diego, se ho ben capito, avrebbe dovuto essere il primo di una serie sulle quattro stagioni della resistenza. Avrà un seguito o al momento il progetto è fermo?

RB: Diciamo che il progetto è congelato, siamo rimasti ancora all’inverno. Il problema è la tematica, che è forte da un punto di vista sociale ma non è così competitiva dal punto di vista commerciale. Questo è senz’altro un problema visto che l’investimento più grosso l’ho fatto io. Mentre cercavo una soluzione editoriale alla storia dei partigiani,  ho avuto una proposta interessante da parte della Bonelli e l’ho accettata.

LL: Posso chiederle qualche informazione in più sul progetto per Bonelli?

RB: La storia si intitola Hollywoodland, scritta da Michele Masiero, sono arrivato a pagina 180, sono a buon punto e spero di arrivare alla conclusione delle circa 220 pagine nell’arco dei prossimi 6 mesi, appartiene alla collana “I Romanzi” e uscirà in un albo tutta insieme.

LL: Stella Noris è improbabile che la vedremo ancora…

RB: Mah… Intanto spero di riuscire a pubblicarla in un’unica edizione che raccolga le 250 pagine già realizzate, però non sono ancora riuscito a individuare l’editore giusto, ci terrei parecchio. Poi da lì chi lo sa, potrei sviluppare anche qualche nuova storia, la sceneggiatrice, Lorena Canossa, non vedrebbe l’ora!
Anche nella storia per Bonelli, che è ambientata a Hollywood negli anni ’20, abbiamo sempre il cinema sullo sfondo e oltre a questo progetto i francesi mi hanno fatto un’altra proposta molto interessante per raccontare a fumetti la biografia di una particolare attrice hollywoodiana degli anni 50/60. Io ho già detto sì e ho fatto alcune tavole di prova, aspetto di definire il contratto per rendere la notizia pubblica e svelare il volto dell’attrice.

LL: Prima ha citato le difficoltà nel trovare un editore. Una volta con le riviste di fumetto d’autore era diverso…. Rimpiange quel periodo o pensa che la realtà sia cambiata e gli spazi ci siano ancora?

RB: Bella domanda… gli spazi ci sono sempre, sono le modalità con le quali ci si avvicina a una storia a fumetti che forse hanno delle regole diverse tipo la quantità di pagine, il numero delle vignette, nuovi generi… comunque io, come autore, sono “nato” e “vissuto” sulla rivista d’autore.

LL: Lei aveva cominciato su Il Pinguino, giusto?

RB: Sì, Il Pinguino era stata la nostra fanzine, il nostro esordio: il mio, di Igort, di Brolli, ecc. Fu una vera palestra. Poi mi sono confrontato su Orient Express, Nova Express,  Comic Art e Blue, riviste che hanno fatto maturare una generazione.
Non mi trovo per niente male a raccontare direttamente in un’unica soluzione in un lungo racconto a fumetti. Però mi sembra una struttura narrativa particolarmente impegnativa per chi inizia il mestiere: vedo i ragazzi che escono dall’accademia di fumetto con delle tesi che sono già dei volumi, una grande sfida. Quando ho iniziato io c’erano le storie a puntate, oppure quelle auto concluse, altri tempi per altre esigenze narrative visto che le riviste non esistono più come dinamica commerciale, anche se nelle autoproduzioni ho visto nuove proposte.

LL: Certo, ad esempio Alan Hassad aveva la struttura classica delle 46 tavole però se ben ricordo su Orient Express la chiusura di ogni singolo episodio capitava sempre in un momento prestabilito, topico, ogni 10 o 12 pagine. Non so se la cosa era voluta o fosse un caso (oppure sono io che mi ricordo male come nel caso di Casa Howhard…).

RB: Sì, c’era un lavoro preciso intorno… La sceneggiatura era calibrata per creare questa dimensione narrativa. Aveva questi stop ogni dieci pagine e in qualche maniera in 48 pagine si raccontavano vita, morte e miracoli di un personaggio.
Sono cambiati veramente i tempi. Però la storia che sto facendo con Bonelli mi ha permesso di ritrovarmi a disegnare e a raccontare quel tipo di fumetto con cui ho iniziato la mia carriera. Ho ritrovato il gusto della narrazione nel classico formato a tre strisce.

LL: Quindi un po’ un ritorno alle origini.

RB: Assolutamente, e soprattutto un ritorno al fumetto “vero”. E sinceramente, per quanto io abbia “deviato” il mio percorso (nell’arte, nell’illustrazione, nella pubblicità), il fumetto è quello che mi è sempre piaciuto raccontare, disegnare e vivere.

martedì 29 novembre 2016

L'Inverno di Diego

Considerato il passato (e il presente) di maestro del fumetto erotico o comunque glamour di Roberto Baldazzini questo nuovo membro del club del -25% risulta un prodotto anomalo nel corpus della sua produzione: è un fumetto storico, drammatico e nettamente impegnato.
L’elegante e ricercata inespressività dell’autore, suo marchio di fabbrica, avrebbe potuto far deragliare il progetto ma viene mitigata dall’uso di riferimenti fotografici per i volti di molti protagonisti (che già ottimi risultati aveva dato nel primo episodio di Stella Noris). Vari livelli di grigio “sporcano” inoltre a dovere le tavole donando loro profondità e movimento.
L’Inverno di Diego narra del congiungimento del protagonista con una cellula partigiana sul finire del 1943, quando il crollo del regime fascista aveva diviso gli italiani in due schieramenti: quelli che avrebbero aderito alla repubblica di Salò e quanti preferirono diventare partigiani.
Nel caso di Diego la situazione è resa ancora più drammatica dal fatto che il padre è un gerarca fedele a Salò (avrebbe potuto essere un ottimo colpo di scena, ma lo dicono già nell’introduzione sull’aletta sinistra e quindi mi sento autorizzato a scriverlo pure io).
Lo accompagnano in questa impresa, che assume anche e soprattutto i contorni di un racconto di formazione, altri tre partigiani che vengono splendidamente resi con pochi ma efficaci cenni di background. Sarà una leggerezza di Diego a condannare il gruppo.
Le condizioni di clandestinità rese ancora più tremende dal clima sono raccontate con grande realismo, così come le sequenze più crude degli interrogatori sono rappresentate con la dovuta drammaticità.
Baldazzini si rivela un narratore molto capace: il montaggio della sequenza iniziale che narra alternandoli gli antefatti storici e personali della vicenda (nelle strisce in alto e in basso il riassunto di quanto succede tra agosto e novembre 1943, in quella centrale la sequenza muta dell’arresto e della fuga di Diego) è da antologia, una scelta stilistica che catapulta subito il lettore nell’azione e lo rende edotto del contesto senza risultare pedante. Anche il resto del fumetto non è da meno e Baldazzini sfoggia un armamentario di trucchi del mestiere veramente invidiabile: grazie al’attento uso dei dettagli, delle forme e dimensioni diverse delle vignette, dei recadrage e di alcune particolari scelte stilistiche (ad esempio vignette enormi dopo pagine molto fitte) riuscirà a imprimere alla storia il ritmo che vuole lui così come condurrà il lettore in questa drammatica storia dandogli le pause e le accelerazioni giuste.
Sul finale L’Inverno di Diego cede a un tono più canonico e quasi consolatorio, ma può darsi che sia proprio l’estrema e improbabile facilità della fuga del protagonista a testimoniare che anche questa, come il resto del fumetto, è tratta da un episodio reale.
In appendice è presente un saggio di Claudio Silingardi sul post-8 settembre 1943.