La cosa che più mi ha colpito di
questo fumetto del 1975 è che non si tratta di una serie a episodi strutturata
come si usava all’epoca, con delle puntate autoconclusive o al massimo
sviluppate in due o tre parti (come nel caso del coevo
Il Maestro),
ma di una storia organica con gli episodi in stretta
continuity. Infatti il vero titolo non è il generico nome del
protagonista ma
L’Avventura di Lord Shark,
a sottintendere un unico enorme arco narrativo; e a confermare l’impressione
che Mino Milani l’avesse progettato come un tutt’uno coerente (magari riducendo
un progetto di romanzo?) c’è il fatto che di Lord Shark non c’è traccia fino al
sesto capitolo!
Nel 1880 il rampollo Philip
Prescott raggiunge un distaccamento militare inglese in India, in un territorio
di confine (il Sikkim) tormentato dalle scorrerie del ribelle Shiraz Nashri.
Prescott nasconde un passato misterioso che ovviamente riaffiorerà nel corso
della storia, e l’imbecillità dei militari (per cui Milani non sembra nutrire
molto amore, almeno per quelli inglesi) lo porterà a passare per disertore.
Ormai condannato a morte, fugge e assume l’identità di colui che vince in
battaglia, il ribelle Shark (non credo ci siano molti squali negli altipiani
del nord-orientali dell’India, ma forse è un nome comune). Visto che è pur
sempre un nobile inglese decide di farsi chiamare Lord Shark. Giunti a questo punto, a metà della serie, Prescott
diventa un incrocio tra Sandokan e Lawrence d’Arabia e, facendo buon viso a
cattivo gioco, vive delle avventure esotiche pur sognando di tornare in patria
con il suo grande amore.
Le radici di Lord Shark affondano insomma nel grande romanzo d’avventura per
ragazzi, ma la serie si segnala per l’ambientazione abbastanza originale (manco
sapevo che esistesse il Sikkim prima di leggere il fumetto) e per alcune belle
trovate narrative che Milani si è inventato – o ha saputo rielaborare da quelle
stesse fonti a cui si è ispirato. Per il resto, la serie paga ovviamente pegno
alla sua destinazione originaria, cioè una rivista “per ragazzi”: la storia
d’amore con Ortensia Osborne è talmente arzigogolata da sfiorare il ridicolo e
Lord Shark, nonostante sia formalmente un bandito, non uccide né ruba mai.
Tanto siamo in India, i templi nascosti e i fortini abbandonati rigurgitano di
gemme e ori.
I disegni di Alessandrini sono
stupendi, almeno fino a metà della serie. A 25 anni era riuscito a elaborare
uno stile ricco, espressivo ed evocativo in cui mi è parso che abbia saputo fare
proprie le lezioni di Jean Giraud, Milton Caniff e persino di maestri italiani
come Toppi e Battaglia in alcuni particolari come le onomatopee. Nel corso
della serie, però, il disegnatore si lascia andare a una progressiva
semplificazione del tratto e a grandi campiture e pennellate: d’altra parte lui
stesso aveva dichiarato su Fumo di China
20 (il vero numero 20, quello del 1984) che a un certo punto si era stufato
della serie.
La riproduzione delle tavole è
stata fatta evidentemente a partire dalle pagine delle riviste che le
ospitarono. Vengono quindi mantenuti certi dettagli come le intestazioni
originali e il lettering (con tanto di errori: a pagina 124 il primo «ma…»
avrebbe dovuto essere un balloon, non una didascalia), ma la qualità della
stampa è quella che è e i tratteggi ne escono spesso rosicchiati o impastati o
scompaiono proprio. Per fortuna con l’inevitabile deterioramento della vista
certe cose le noto di meno.
L’introduzione è firmata da un
accorato Davide Barzi che, forse perché è uno sceneggiatore (e anche bravo), si
fa prendere la mano sfoderando uno stile che vorrebbe essere coinvolgente ed
evocativo ma risulta compiaciuto e confuso.
Il volume Nona Arte non è certo
economico visto che per quasi 30 euro presenta meno di 200 pagine di fumetto in
bianco e nero. Non penso inoltre che il protagonista abbia lo stesso appeal del mitico Horror,
che ne giustificava il costo – oltre al fatto che aveva più pagine, inserti a
colori e un sacco di redazionali. Lord
Shark è comunque una lettura piacevole e soprattutto ci si può gustare il
giovane e bravissimo Alessandrini. Certo, basandomi sulla qualità di stampa di
questo primo volume non mi viene molta voglia di acquistare anche il seguito
(se lo pubblicheranno) a opera del grande Enric Sió.