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giovedì 10 agosto 2023

Spider-man: Affari di Famiglia

Beh, i testi erano del Mark Waid che aveva firmato quel bel ciclo di Devil e mi è venuta la curiosità di leggerlo nonostante si profilassero anche i disegni cachettici di Werther Dell’Edera.

Dopo un micidiale autogol in cui un flashback svela chi è il colpevole di quel che leggeremo e qual è il meccanismo con cui agirà, comincia la storia. Peter Parker viene salvato dal rapimento da parte di un gruppo armato nientemeno da quella che si presenta come sua sorella. Teresa Parker è degna figlia dei suoi genitori e lavora per la CIA. E qui sono stato proiettato indietro di quasi quarant’anni: da bambino credo di aver letto tra i vari albi Corno che avevo ereditato da un parente proprio la storia in cui veniva svelato che i genitori di Peter Parker erano degli agenti segreti. Concetto probabilmente modificato, smentito, retconnato chissà quante volte – o magari si tratta solo di un mio falso ricordo.

La situazione che si profila è la seguente: i coniugi Parker avevano nascosto in Egitto una caterva d’oro nazista insieme a un Dormiente come guardiano, e solo chi può esibire il codice genetico di papà Parker (cioè Peter) può sbloccare il meccanismo tecnologico che permette di accedervi.

E qui mi è scattata un’altra madeleine proustiana: i “Dormienti” sono i robot nazisti che avevo visto da bambino in quel terrificante cartone animato (neanche tanto animato) di Capitan America – o anche questo è un falso ricordo?

Per poco più della metà la storia è gradevole e appassionante, un mix di James Bond e Indiana Jones. Nulla di trascendentale, ma “funziona” alla perfezione anche perché i protagonisti avrebbero potuto essere chiunque. Poi però i cliché del genere impongono la loro ingombrante presenza e quindi via con le mazzate, tra battutine sceme e sequenze che invece vorrebbero avere chissà quale profondità. L’identità segreta di Peter Parker viene svelata ma tanto c’è di mezzo un telepate e quindi alla fine tutti amici (o nemici) come prima. E poi c’è ancora spazio per un sotto-finale di quelli stupidi che possono voler dire tutto o niente, in questo caso credo proprio niente: solo un’esca gettata a cui nessun altro autore avrà abboccato. Vabbè, diamo la colpa a James Robinson che ha cofirmato la sceneggiatura.

Comunque il difetto più grande di Affari di Famiglia (oltre ai consueti riferimenti alla continuity che mi sono sfuggiti) è che Waid non ha giocato con le aspettative del lettore come speravo e alla fine si scopre che il retroscena era proprio quello che il lettore aveva subodorato sin dall’inizio, e il flashback iniziale non era una falsa pista. Se fosse veramente esistita una Teresa Parker sarebbe stata una bella sorpresa, altroché.

Il comparto grafico, almeno, è di altissimo livello. Credo che Dell’Edera abbia fatto i layout su cui poi Dell’Otto ha dipinto. Anche se meno dettagliate di altri suoi lavori, le tavole sono splendide e non perdono efficacia (forse addirittura ne acquistano di più?). Al di là del dinamismo, dell’espressività e dell’obiettiva bellezza, si fanno apprezzare per l’ottimo lavoro svolto sul cast dei comprimari, con una scelta azzeccatissima dei volti giusti. E il suo Kingpin è fantastico.

Purtroppo queste tavole mi sono sembrate sprecate per una storia del genere, così come il soggetto che avrebbe potuto portare a sviluppi originali – ma poi chi li sentiva i fan della Marvel?

domenica 20 settembre 2020

La terribile Elizabeth Dumn contro i diavoli in giacca e cravatta

Il primo impatto è stato tremendo: lo stile di disegno di Arabson è fottutamente caricaturale. Curatissimo e dettagliato, sì, ma i suoi sgorbi sono un misto di Paul Pope e de Crécy, con un vago retrogusto di De Felipe (mi pare si chiamasse così), quel fumettista spagnolo che fu pubblicato con una certa frequenza nei primi anni ’90 da L’Eternauta e Bronx per poi sparire nel nulla. Come stile funzionerà pure in certi fumetti, ma non qui. Una volta letta la storia, l’impressione non è migliorata poi tanto.

Il diavolo torna dopo vent’anni a riscuotere la sua parte di un patto che aveva concluso con un contadino brasiliano che ha reso ricco: gli deve l’anima di suo figlio Gregorio. Ma il tizio non vuole cedere e gli propone uno scambio: invece di suo figlio, che si prenda l’intrattabile figlia Elizabeth, rinchiusa in una pensione-prigione. Avvisata dalla madre e preparata a questa eventualità da una vita, Elizabeth scappa e sulla sua strada incontra un chitarrista blues che parla per sottintesi ed è realmente il miglior musicista del mondo (tanto per non farsi mancare nessuno stereotipo, il tizio è ovviamente una versione di Robert Johnson, ha pure il suo secondo nome – che Arabson non sa scrivere correttamente!). Lunga sequenza muta di combattimento contro un emissario del diavolo e poi la resa dei conti a casa del paparino. Una sessantina di tavole che si leggono in fretta e non lasciano niente, ma chi non ha letto molti romanzi o fumetti o ha visto pochi film potrà trovare alcuni elementi interessanti o addirittura originali. Certo, meno ne ha visti e letti e meglio è.

James Robinson ha curato l’adattamento per il mercato statunitense: avrà fatto coprire qualche tetta o smussato i dialoghi più blasfemi, se ce n’erano. Colori, almeno questi piuttosto validi, di Anderson Cabral.

domenica 4 giugno 2017

Airboy

Preso principalmente per i Fumettisti d’Invenzione ma con la speranza che fosse comunque interessante. Non mi è andata bene. Airboy racconta di un tentativo di rilancio del vecchio personaggio libero da copyright da parte della Image che lo affida al recalcitrante sceneggiatore James Robinson.
Robinson si descrive come una persona disgustosa, pessimo marito perso tra droghe pesanti e autocommiserazione. Col suo sodale superdotato Greg Hinkle, che ha scelto come disegnatore, va in giro per i locali di San Francisco a strafarsi e a scopare la prima che passa, finché Airboy in persona compare nelle loro vite.
Immaginando che si tratti solo di un’allucinazione dovuta alle sostanze psicotrope e all’alcol (non disdegnando però anche altre spiegazioni) i due stanno al gioco e danno corda all’eroico e ingenuo Airboy finito nella sordida San Francisco contemporanea, finché questi esasperato li trasporta nel suo mondo di fantasia dove dovranno contribuire alla causa degli eroi aviatori che combattono contro i nazisti.
Il giochetto metanarrativo è alla fine solo la scusa per inanellare stereotipi, le battute sono spesso scontate (ma alcune fanno sorridere) e il maledettismo egocentrico di Robinson risulta esagerato e fasullo – e spero bene che lo sia: se uno si spara veramente tutti quei cocktail di droghe si guarderà bene dal dirlo pubblicamente. Non capisco proprio il vittimismo dello sceneggiatore, né trovo elegante che getti i suoi problemi e le sue paturnie in faccia al lettore: sicuramente non sarà ai livelli di popolarità di Gaiman o Moore ma mi pare che abbia comunque un suo seguito, e soprattutto che continui a lavorare nel settore. Certo, piangendosi addosso Robinson si è risparmiato la fatica di trovare qualche idea originale con cui portare avanti la trama.
Il finale di Airboy, poi, è decisamente banale (anche il cazzo enorme di Hinkle era un sogno) e finanche patetico col suo messaggino implicito sulla necessità di voltare pagina.
Robinson spiega di aver scelto proprio Hinkle come disegnatore perché si discosta dallo stile classico dei disegnatori americani. Detta così sembra una buona notizia, ma purtroppo Hinkle si differenzia dagli altri autori di comic book perché è esasperatamente caricaturale. È innegabile che molte tavole siano state costruite con abilità e che in generale abbia dedicato molta cura ai dettagli, ma comunque non è il mio genere.
Anche in riferimento ai Fumettisti d’Invenzione Airboy presenta qualche problema: come lo categorizzo? Lo inserisco in una voce a sé o parto da quella dell’Airboy originale, di cui effettivamente può essere considerato una versione?

sabato 23 gennaio 2016

Age of Ultron vs. Marvel Zombi 1 - Civil War 1

Continua a raffica l’uscita di nuove miniserie legate a Secret Wars. Attirato dai bei disegni di Steve Pugh ho preso Marvel Mix 114 che ospita i primi episodi di Age of Ultron vs. Marvel Zombi e di Marvel Zombi. Anche questo si è rivelato un buon acquisto.
La prima storia è ambientata in una zona di confine tra le Terre Morte, dominio degli zombi, e Perfezione, utopia tecnocratica creata da Ultron. Robot e non-morti sono in perenne conflitto visto che i primi distruggono a vista i secondi e gli zombi in teoria non possono cibarsi di loro (anche se verso la fine si vedono le versioni zombi di Rhino e del Gufo trafficare coi resti di un Ultron). Questa zona di confine è l’anticamera in cui viene deportato l’Hank Pym in versione western proveniente dalla cittadina di Timely in cui è ambientata 1872, condannato all’esilio perché coi suoi esperimenti meccanici stava facendo fare un salto evolutivo troppo rapido al suo dominio, cosa evidentemente non gradita a Destino.
Grazie a un’altra esiliata da Timely con agganci in alto loco ora guardiana presso lo Scudo (immagino sia la versione western di Wasp) Hank Pym ha il privilegio di scegliere la terra del suo esilio e ovviamente opta per quella che gli si confà di più: il dominio dei robot. Appena messo piede nel posto per poco non ci lascia le penne se non fosse per l’intervento di alcuni supereroi, cosa che anticipa nuovi scenari. Il tutto mentre la supereroina Tigra, splendidamente disegnata da Steve Pugh, cerca di sopravvivere nelle Terre Morte dove è stata esiliata per aver ordito un golpe contro Destino finito male.
Da un concetto di partenza infantile e un po’ stupidotto James Robinson è riuscito a imbastire una trama originale e molto interessante, vedremo come procede. Solo tre piccoli appunti: 1) per spiegare come Ultron è arrivato alla creazione di Perfezione si fa uso di flashback in cui Steve Pugh è stato costretto a modificare il suo stile (se ha disegnato lui quelle pagine) riprendendo quello di altri disegnatori classici Marvel, col risultato che quelle sei tavole sono graficamente a un livello inferiore rispetto al resto; 2) Marvel Mix, la collana che ospita Age of Ultron vs. Marvel Zombi, è brossurata e il formato è stato mantenuto col risultato di rendere meno godibili le pagine doppie; 3) come antipasto è sicuramente consistente e buono, ma lo è di meno rispetto a quanto visto nelle altre miniserie di Secret Wars che ho letto finora: uno dei pregi di questo esperimento è che tutti i primi episodi visti finora sono molto densi e offrono un abbondante tempo di lettura pur essendo fisiologicamente solo introduzioni. Age of Ultron vs. Marvel Zombi lascia però un po’ più in sospeso il lettore; comunque offre sempre molto più materiale di quanto si possa trovare in tante altre porcherie made in USA.
A integrazione della serie titolare è stata una scelta obbligata inserire Marvel Zombi. L’ambientazione è più o meno la stessa, la protagonista è la volitiva e altezzosa cacciatrice di mostri Elsa Bloodstone. Talmente stronza e cristallizzata nello stereotipo della snob inglese, alla fine diventa simpatica come già era successo nel Nextwave di Ellis e Immonen. Simon Spurrier ha imbastito una trama piuttosto originale e interessante in cui la Bloodstone, a guardia dello Scudo contro le incursioni degli zombi, viene teletrasportata da un avversario nelle Terre Morte e deve fare da balia a un bambino che ha perso la memoria. Decisamente godibile, anche perché Spurrier ha uno stile di scrittura spigliato e accattivante. Kev Walker asseconda l’atmosfera e indulge in qualche deriva caricaturale com’è d’altra parte già nelle sue corde, anche se mi è sembrato meglio qui che altrove.
Visto che c’ero ho preso anche il primo numero di Civil War. Il fascicolo si apre con un episodio extralarge della miniserie titolare, in cui viene spiegato come si è evoluta la vita negli Stati Uniti a seguito di uno svolgimento diverso degli eventi del vecchio crossover omonimo: dopo un’ecatombe gli USA si sono divisi in due macro-Stati in cui il conflitto ideologico tra Steve Rogers e Tony Stark prosegue e ha assunto proporzioni titaniche. Adesso gli States sono divisi nel Blu (il vasto e libero territorio a ovest retto da Capitan America, dall’apparenza rurale) e nel Ferro (il più limitato ma tecnologicamente ed economicamente avanzato territorio a est, retto da Iron Man). La storia viene narrata da Miriam Sharpe, madre di una delle vittime dell’incidente di Stamford che diede origine al plot di Millar: anche grazie a lei dopo sei anni di guerra civile sembra di essere riusciti ad addivenire a una tregua ma purtroppo l’incontro al vertice tra i due leader prenderà una piega drammatica.
Charles Soule è stato più descrittivo che narrativo ma le esche che ha gettato sono abbastanza appetitose, con un whodunnit che invita a proseguire la lettura. Inizialmente mi ha destato qualche perplessità il fatto che in soli sei anni siano avvenuti cambiamenti tanti radicali e che i protagonisti risultino così invecchiati ma ci si fa presto l’occhio. Ai disegni lo spigoloso Leinil Francis Yu, che non ammiro né disprezzo, fa un buon lavoro.
In appendice a Civil War viene ospitato Armor Wars, ripresa di un altro evento ricordato nelle note. Lo sceneggiatore è lo stesso James Robinson di Age of Ultron vs. Marvel Zombi, qui con un piglio un po’ più leggero. Nel dominio di Tecnopoli tutti devono indossare delle armature ipertecnologiche per sopravvivere, per motivi che ormai neanche Tony Stark, principale fornitore di armature alla popolazione, ricorda. Viene sviscerata la rivalità tra lui (barone di questo dominio) e il fratello Arno e a far da cornice a questa introduzione c’è l’omicidio di Spyder-man/Peter Urich. Anche qui l’elemento del whodunnit è abbastanza interessante, peccato per i disegni piuttosto deformed di Marcio Takara del tutto inadatti all’ambientazione (belli alcuni dei suoi neri intensi, però).
Da segnalare che entrambe le proposte vantano una qualità di stampa degna del primo albo Secret Wars che ho preso.
Di questo passo ho paura di prendermi tutte le proposte dell’evento, tanto più che la Panini sta cominciando a pubblicare del materiale direttamente in invitanti volumetti autoconclusivi.