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domenica 9 gennaio 2022

Qualche curiosità su Larry Mannino/2

Vabbè, questa la conoscono tutti. Lo Skorpio argentino nasceva nell’ottica di attirare vecchi lettori di fumetti con nuove versioni di classici degli anni ’50 e ’60, che a volte potevano essere delle vere e proprie continuazioni o remake. Amapola Negra diventò Asso di Picche, Patria Vieja si trasfigurò in Alvar Mayor e vennero ripresi L’Eternauta, Bull Rockett, Watami, ecc. Precinto 56 riprendeva il titolo della serie omonima di Collins e José Munoz pubblicata su Misterix e arrivata in Italia grazie a Ivaldi, prima sull’effimero Asso di Picche e poi sulla testata ammiraglia Sgt. Kirk. Ma nella nuova versione lo sceneggiatore mischiò un po’ le carte e il protagonista Zero Galvan (vero nome di Larry Mannino, improponibile in italiano) da biondo e glabro divenne moro e baffuto, somigliando un po’ di più a Val Amato che anche del Galvan originale era l’assistente.

All’epoca questa inversione di marcia non dovette piacere molto a José Muñoz che, esautorato dal ruolo di disegnatore della “sua” serie, dedicò a Fernandez uno sferzante commento in un episodio di Alack Sinner – certo, le sceneggiature di Alack Sinner erano ufficialmente scritte da Carlos Sampayo, ma probabilmente già all’epoca lui e Muñoz lavoravano in simbiosi scambiandosi stimoli per i rispettivi ambiti creativi.

A sua volta nemmeno Lito Fernandez e/o Ray Collins dovettero gradire molto questo commento e in un episodio di Larry Mannino risposero per le rime:
Da quello che mi hanno detto i diretti interessati, a suo tempo ci fu in effetti un bel po’ di acrimonia, ma col tempo si sono chiariti.

venerdì 30 novembre 2018

Intervista a José Muñoz

Luca Lorenzon (LL): Alejandro Aguado de La Duendes mi diceva che è in corso una crisi in Argentina, anche loro hanno rarefatto la pubblicazione di volumi cartacei a causa delle condizioni economiche poco favorevoli del Paese.

José Muñoz (JM): Adesso c’è un’altra di quelle cicliche e umilianti manomissioni della popolazione argentina che ha votato per questo governo: è la prima volta che votano direttamente per i finanzieri, i bancari e gli speculatori che li uccideranno. La democrazia è problematica (certo, meglio la democrazia che la dittatura) perché non tutti sono all’altezza di votare per i propri interessi, votano per l’interesse del boia. È triste come fenomeno.

LL: Lei il fumetto lo ha messo in un angolino…

JM: No! Continuo con il fumetto, è uno dei miei amori principali. Direi che io sono un disegnatore con tendenze narrative e con dei problemi artistici… il fumetto è un campo nel quale io ho tentato di esprimermi, di realizzarmi, di crescere con altri andando oltre me stesso e il mio egocentrismo.
Approfittare di questa pulsione è stata anche un’occasione per sublimare le ferite che la Storia ti infligge vivendo. Si è trattato di sublimare l’ingiustizia e lavorare nella forma, omaggiare le forme attraverso la denuncia, come con Sampayo abbiamo fatto con le brutture che vedevamo, non soltanto nel mondo esterno ma anche nel nostro mondo interiore. Una catarsi sublimata in maniera di poter continuare a respirare. E offrire una consolazione anche estetica e narrativa a quelli che ci scelgono come partner del loro panorama di intrattenimento.

LL: Mi viene in mente Sudor Sudaca, in cui molti esuli si sarebbero potuti identificare.

JM: Sì, era il 1981/82 quando abbiamo incominciato quel fumetto con Carlitos. Ci siamo sentiti capaci di affrontare la nostra circostanza reale all’epoca delle Malvine, ci è scoppiato un desiderio argentinoide di metterci dentro la pelle della nostra gente, ritornando un po’ alla nostra infanzia. Carlos continua il suo lavoro di scrittore, continua a raccontare storie che si svolgono alla fine degli anni ’40 e agli inizi degli anni ’50 a Buenos Aires. Quella Buenos Aires che è stata la nostra infanzia e adolescenza.
In quel particolare momento storico io e Sampayo siamo stati spinti da questi dolori interni argentini (ma più in generale sudamericani se vogliamo) a dare il nostro contributo con il nostro mestiere.

LL: Se non sbaglio lei in un’intervista aveva detto che il suo primo passaggio in Europa, in Spagna, con Carlos Sampayo fu il periodo più buio della sua esistenza ma che poi le ha dato la forza di elaborare tutto questo in forma narrativa. [l’intervista è su Fumetti d’Italia 17 dell’autunno 1995 ma Muñoz si riferiva anche alla cupezza della Spagna all’epoca ancora franchista, ndr]

JM: Ci ricolleghiamo a quello che dicevo prima, cercare di realizzarmi come disegnatore espressivo: esprimere le mie gioie e il mio dolore attraverso il disegno collegato con il momento della Storia che stavamo vivendo.
In quel momento con Sampayo ci siamo trovati in un momento di rottura della sua e della mia vita, l’Argentina che si incupiva dietro di noi, uccidendo i suoi figli. Noi siamo scappati per un pelo, nel senso che non eravamo attivisti politici ma prima o poi ci avrebbero fatto fuori. È stato l’ultimo tentativo organizzato delle forze repressive argentine che possiedono il Paese di eliminare qualsiasi tipo di inquietudine critica. Noi grazie al fumetto, grazie all’Historieta [termine che in Argentina designa il fumetto, ndr] ci siamo salvati dalla Historia.

LL: Era lei che aveva detto che l’Historia vi ha deluso e quindi è meglio l’Historieta?

JM: Esatto, quello che voglio dire è che fondamentalmente quello che succede nei lavori con Carlos Sampayo è che arriva a volte una pioggia di angoscia sublimata e catartica, che esige una sopportazione vitale che non è soltanto intrattenimento, anche se “intrattenimento” è una parola che si usa male: l’intrattenimento può essere alto, basso, altissimo, bassissimo. Ossia noi siamo stati un altro tipo di intrattenitori sublimando le angosce della Storia, le nostre paure, le nostre miserie, pur senza esagerare: non siamo stati autobiografici, il nostro linguaggio si è sviluppato a partire anche dal contributo degli autori underground nordamericani e tutto lo straordinario apporto che hanno dato.
Noi della scuola di Buenos Aires, io come autore della scuola di Buenos Aires e Carlos come mio scrittore e compagno d’avventure, ci siamo piazzati come uno dei frutti della scuola di pensiero e di spessore narrativo a cui io ho avuto la fortuna di partecipare negli ultimi momenti, quando nell’imbrunire sono arrivato io con il mio pennellino e ho visto Pratt che se ne tornava in Europa, Breccia che si rifugiava nel silenzio… però noi siamo riusciti a essere formati da quelle Eccellenze.

LL: Alla Escuela Panamericana de Arte lei era brecciano? [nella scuola la differenza principale era tra chi seguiva lo stile di Pratt e chi quello di Alberto Breccia, ndr]

JM: Sono stato allievo di Breccia, ma io ero prattiano, ero un prattiano sfrenato. Però Breccia mi piaceva perché ci sono piaceri nascosti nel nostro mestiere, per esempio l’inchiostratura per me è uno dei piaceri supremi. Io vedevo questa energia che montava nel lavoro di Breccia, le cose che faceva con l’inchiostratura, i lavori con le lamette, con tutto quello che trovava: lui intingeva qualsiasi cosa nella china e la metteva sulla pagina.

LL: C’è il famoso episodio della ruota di bicicletta.

JM: Tutto quello che c’era in giro! Però io ero prattiano. Quando ho avuto, come adesso con Miraggi di Memoria, l’opportunità di avvicinare le mie linee in omaggio ai disegni del Maestro ho provato un estremo piacere, perché è un’occasione per ringraziare attraverso il mio disegno le finestre verso la meraviglia che il disegno di Pratt mi ha procurato.

sabato 17 novembre 2018

Miraggi di memoria

Raccolta di sei racconti che ruotano attorno a Corto Maltese, Miraggi di memoria riesce veramente a evocare lo spirito del personaggio e lo stile del suo creatore. Sarebbe un po’ sterile soffermarsi in dettaglio su ognuno dei sei “miraggi”, tanto più che ognuno presenta un groviglio di citazioni e riferimenti (anche esterni all’opera di Pratt) in cui avrei difficoltà a districarmi. Mi concedo solo il vezzo di segnalare che il racconto del Ruffiano Malinconico di Arlt citato in Volver è stato adattato a fumetti dallo stesso José Muñoz, cosa di cui sicuramente Steiner era consapevole creando un simpatico cortocircuito metanarrativo.
Nel loro insieme, i sei racconti danno una piacevole sensazione di progressiva rarefazione. Il primo, Un mare di note perdute, è narrato in terza persona e Corto Maltese è il protagonista e ha un ruolo chiave nell’aiutare un personaggio che si è rivolto a lui. Lo stile di Steiner è diretto e molto evocativo (ma quante virgole tra soggetto e verbo… la Nuages non poteva permettersi un correttore di bozze?) e già dalle prime righe io ho visto le prime strisce del Corto Maltese “ripescato” da Pif dopo la Ballata del Mare Salato. Lo scrupolo delle ricostruzioni storiche, la conseguente curiosità verso i dettagli e gli episodi meno conosciuti, il gemmare spontaneo di vicende parallele, la complessità e l’originalità dei personaggi e l’ironia di Corto Maltese sono quanto di più prattiano si possa immaginare. E questa impostazione verrà rispettata anche in seguito, pur se Steiner cambierà le carte in tavola sin da subito.
Il secondo racconto, infatti, è narrato in prima persona da Corto Maltese stesso, che è solo un testimone a cui viene raccontata (tra le altre) la vicenda di Morgan Jones. Isole nere e Robart Kee daranno la parola ad altri due narratori, che ricostruiranno parte della giovinezza di Corto Maltese senza farlo emergere come protagonista. Ancora più drastico sarà il distacco da Corto Maltese negli ultimi due racconti, ambientati in epoca contemporanea o comunque più vicina temporalmente a noi (è un bello choc quando Tristam Bantam cita i Velvet Underground in Mare Verde): qui di Corto Maltese non resta che il ricordo, o persino solo la mitologia familiare ne La Ruota delle Cose, a guidare i due protagonisti.
José Muñoz ha illustrato da par suo i racconti e un’appendice di 16 pagine raccoglie vari schizzi e disegni (c’è anche una sequenza di Tango ridisegnata) in cui sono presenti anche reinterpretazioni del Sergente Kirk e del meno famoso Ray Kitt.

venerdì 16 novembre 2018

Intervista a Marco Steiner

Luca Lorenzon (LL): Direi di cominciare presentando il volume Miraggi di Memoria, scritto da lei e illustrato da José Muñoz.

Marco Steiner (MS): Miraggi di Memoria rappresenta il resoconto di una serie di veri viaggi che lungo il percorso tendevano alla ricerca di sensazioni e spunti che provenivano dalla strada ma nello stesso tempo anche da ricordi di libri, disegni, musica, film; nell’insieme, quello che ho cercato è una specie di itinerario onirico fuori dai limiti precisi del tempo.
Questo libro è un omaggio allo spirito non tanto avventuriero quanto di viaggiatore curioso e di sognatore che Corto Maltese rappresenta.
Ho avuto la fortuna di collaborare con Hugo Pratt negli ultimi sette anni della sua vita e di percorrere in seguito, scrivendo le prefazioni alle storie di Corto Maltese, i luoghi delle avventure che Corto visse all’incirca cento anni fa. Il mondo è cambiato totalmente, ovunque, ma se si viaggia cercando lo sguardo di Corto Maltese (cioè quel misto di curiosità e rispetto delle altre culture), si riesce a percorrere un viaggio che in qualche modo riecheggia quel mondo.
Si trovano dettagli reali, personaggi, suoni e profumi che portano lontano e il luogo attraversato si apre alla fantasia. Queste sei storie sono un omaggio al modo di raccontare (non solo di disegnare) di Hugo Pratt.
Credo che il mio incontro con Muñoz rappresenti qualcosa di particolare, un tributo alla narrazione, alla tecnica e all’amicizia di un vero Maestro. Muñoz mi ha dedicato una copia disegnando un bel ritratto di Corto e ha scritto che i nostri cammini si sono incrociati guidati dalla presenza di Hugo.
Mi sento assolutamente onorato da questa collaborazione.
In questo libro ci sono tante cose, almeno lo spero: tutto quello che rappresenta il Racconto e il Viaggio à la Corto Maltese e in più c’è la musica dei disegni di Muñoz, con tutto il suo stile e la reminiscenza della scuola prattiana. Ho ascoltato molta musica scrivendo questi racconti, spero si senta nell’aria.

LL: Che tipo di assistenza forniva a Hugo Pratt?

MS: Io ero più che altro un amico di Hugo Pratt, non conoscevo assolutamente il fumetto, ma conoscevo la letteratura, la musica, il cinema e la modalità di viaggiare di Hugo Pratt, libero, senza schemi e preconcetti. L’ho conosciuto nel 1989 e ho collaborato con lui fino al 1995. I giornalisti hanno coniato per me l’espressione “era la Wikipedia di Hugo Pratt” ma è un’assoluta esagerazione perché Pratt non aveva bisogno né di Wikipedia né di me per le sue storie. Io ero una specie di amico-autista-ragazzo di bottega-collaboratore che ricercava nella sua biblioteca, ma anche il giro per il mondo, stimoli e spunti di cui parlare con lui perché fondamentalmente (e da qui nasce il mio modo di scrivere) Hugo Pratt ha sempre lasciato nelle sue storie, così come nei suoi discorsi, delle porte socchiuse che solo chi è curioso ha voglia di aprire. Pratt non apriva mai quelle porte, lasciava che fosse il collaboratore o il lettore a spingersi in quel mondo ed è per questo motivo che ho cercato sempre, dopo la scomparsa di Hugo Pratt, di trovare una strada che fosse in qualche modo vicina, parallela, ma che non s’incrociasse profondamente con quella di Corto. Cercavo la distanza, il riverbero, non il contatto. Non volevo continuare le storie di Corto Maltese, per quello ci sono bravissimi disegnatori, io volevo raccontare l’universo che Pratt ha aperto a tanti giovani come me. Per questo motivo ho iniziato immaginando un Corto Maltese giovanissimo per i miei romanzi.

LL: Certo, Pratt aveva una grandissima cultura ma l’importante è che quello che non sapeva inventava.

MS: In qualche modo mi ha fatto fare la stessa cosa. Ho provato a inventare partendo dai suoi spunti quando abbiamo iniziato a collaborare per un libro molto importante (non è più un segreto, l’ho già detto a qualcuno: ho lavorato con lui in Avevo un appuntamento Ed. Socrates). Questo libro è nato perché al ritorno da un suo grande viaggio nel Pacifico, Pratt mi prese sotto braccio e mi disse: «Voglio fare un bel libro, un libro diverso, ho intenzione di disegnare degli story-board acquerellati. Ci saranno delle fotografie e poi ci saranno le storie che raccontano i luoghi, i personaggi, i film e i libri dei miei sogni, i sogni che ho cercato per tutta la vita e che sono sintetizzati in queste poche parole: i Mari del Sud. Ci sono andato, li ho visti, ti racconterò qualcosa e poi “ti te inventi”, “ti te trovi”, “te cerchi” e “ti va avanti da solo”».
La cosa più grande che Pratt mi ha dato è questa sua fiducia.
Da lì non è nata soltanto la nostra prima vera collaborazione, è nato Marco Steiner. Questo mio pseudonimo l’ha inventato lui. Dai due nomi dei protagonisti di storie che amavo tanto: Marlowe e Corto, sono diventato Mar-Co. E Steiner perché mi ha chiesto quale fosse il mio autore preferito e io gli ho risposto: “Steinbeck” e lui «Allora ti sarà Steiner, che xé uno Steinbeck mitteleuropeo come ti!», perché sono friulano di origine.

LL: Anch’io. Di dove?

MS: Sono originario della provincia di Pordenone, dalle parti di Sequals, il paese di Carnera, Travesio è dove sono nati mio padre e mia madre e io sono molto legato a quei luoghi, ci ho passato la mia gioventù girando in bicicletta. Per questo motivo, spesso Pratt mi parlava in veneto.
Questo è quello che ha fatto Pratt, non solo con me: ha aperto strade a persone che avevano qualcosa da dire, voglia di cercare e la passione per insistere. Potevano essere disegnatori, scrittori, fotografi, scultori, viaggiatori, in qualche modo lui ha fatto qualcosa di preziosissimo: ha seminato germogli di passione e curiosità, secondo me questa è la cosa più importante che un autore può fare nei confronti dei lettori e degli appassionati.
È quello che servirebbe oggi, ancora di più, sempre di più, servono bravi autori, bei libri scritti o disegnati per invogliare a leggere, a crearsi un proprio immaginario, un universo da cercare, da scoprire, ma anche da riscoprire dentro noi stessi, qualcosa di profondo in cui credere.
Il viaggio di Corto, secondo me, è un viaggio interiore, non solo esteriore e Corto cambia molto dalla Ballata a Mü perché compie un vero percorso.
Viaggiare dovrebbe servire a questo, ad aprire gli occhi e a ragionare con la propria testa.

LL: Marco Steiner oltre a Miraggi di Memoria: lei ha scritto anche romanzi, tra cui la giovinezza di Corto Maltese. Come si articola la sua produzione?

MS: La mia produzione è cominciata con un primo libro che viene da un’idea che mi aveva suggerito Hugo Pratt, lui mi disse «Comincia a scrivere, ma non partire da Corto, inventati qualcosa che sia ambientato molto tempo dopo, un oriundo, un qualcosa di diverso e leggiti bene Tango e la storia degli irlandesi del Sinn Fein, poi inventati una storia attuale di qualcuno che cerca lontani ricordi di famiglia...» Da queste parole è nato L’ultima pista, (Cadmo). Anche il titolo era un suggerimento di Pratt, il vero titolo doveva essere: Ancora un’ultima pista, che sarebbe stato molto più poetico, ma purtroppo è stato semplificato.
Dopo questo piccolo libro ho provato a raccontare qualcosa di Corto, ma per il discorso che ho già fatto riguardo al mio rispetto nei confronti di Pratt ho provato a “immaginare” una cosa diversa, la giovinezza di Corto. Mi pare presuntuoso dire di avere “creato” qualcosa, in realtà ho immaginato la gioventù di Corto Maltese attraverso una biografia possibile, dei dati di fatto che Hugo Pratt aveva lasciato, come il nome e la provenienza della madre, qualcosa del padre, una data precisa di nascita. Ho provato a entrare in quella porta socchiusa che è la gioventù di un Corto ragazzino che s’imbarca su un veliero e parte dalla Scozia per arrivare in Sicilia. Sono nati così due romanzi: Il Corvo di pietra e Oltremare, pubblicati da un grande editore come Sellerio. Oltremare fra l’altro mi ha dato un’altra immensa soddisfazione: vincere il Premio di Letteratura Avventurosa Emilio Salgari. Ma questo premio oltre che uno stimolo per me è stato anche un grande omaggio a Pratt e alla strada che mi ha aiutato a percorrere. A questo punto andrò avanti, con Corto o senza Corto ma sempre nello spirito di Corto e di un’Avventura mai fine a se stessa.

venerdì 7 settembre 2018

Linus 9/2018

L’ultimo numero di Linus ha come filo conduttore i migranti e, per estensione, i problemi delle minoranze. Più che altro, dato lo scarso rilievo che effettivamente riveste l’argomento, si ha più che altro l’impressione che si tratti di una scusa per giustificare la ristampa di un vecchio Muñoz-Sampayo come storia lunga in appendice, e per presentare due pagine di Peanuts (con le strisce in cui compare il nero Franklin) avulse dalla riproposta cronologica, che comunque continua nelle tre pagine successive.
Questo numero non si presentava insomma nel migliore dei modi, eppure l’ho comprato e gradito. Peanuts e Calvin & Hobbes sono sempre un piacere, decisamente meno Barnaby che ho saltato direttamente. Alcuni autori hanno rifatto capolino sulle pagine della testata: Jopo de Pojo di Swaarte è presente con una storia “lunga” (addirittura 8 tavole contro le 4 paginette solitamente riservate cadauno ai fumetti) che a ben guardare è un’accozzaglia di luoghi comuni e situazioni stereotipate, ma che mi ha fatto scompisciare dalle risate. Toffolo riprende Il cammino della Cumbia e anche se occasionalmente mi è sembrato che il suo disegno fosse un po’ più scarno del solito è stato piacevole leggerlo nuovamente e riannodare i fili della trama intravisti finora. Continua Phil Perfect di Clerc con una biografia originale e divertentissima e torna il Merendino di Lorenzo Mò. Delimitata da una cornice di due “one-pager”, la storia principale del cagnolino astronauta è basata su un meccanismo molto semplice e quasi infantile, ma anche qui ci si rotola dal ridere.
Continua anche Little Nemo in Slumberland, che probabilmente trarrebbe beneficio da un formato più grande; tornano I Quaderni di Esther di Sattouf, che stavolta mi sono sembrati più interessanti del solito, e continua anche l’Underworld di Kaz, anche stavolta di interpretazione non scontata e sospeso tra la stoccata efficace e la minchiata estemporanea, come emerge anche dall’intervista che introduce le sue 4 pagine. Con Kaz sono ben tre Fumettisti d’Invenzione in due numeri di Linus (quattro a volerci inserire anche la prima pagina di Merendino): niente male.
Buoni anche i fumetti non seriali. Di Mattotti viene presentata una selezione di schizzi e disegni accompagnati da un commento testuale che li rende simili a vignette umoristiche con un contenuto a volte esistenziale. La Preghiera di Caino “fumettata” da Laura Perez Vernetti è un’interpretazione della poesia omonima di José Luis Piquero. Appena letta questa cosa nell’editoriale di Igort mi è venuta la pelle d’oca, invece devo dire che l’operazione è riuscita visto che il testo è molto evocativo e la scansione delle vignette è molto ragionata ed efficace. Peccato che la stampa non sia ottimale. Habanera è un racconto noir molto ben confezionato in cui vengono riassunti in sei tavole i momenti salienti della vita di un uomo transfuga da Cuba da bambino e che a Cuba ritornerà. I testi sono firmati Norbescu, i disegni a opera del bravo Andreas Bananos Mimosa che ricorda Carpinteri. Peccato che l’evidente ricorso a tecniche digitali spezzi un po’ la magia del disegno.
Ma peccato soprattutto per Pepe l’architetto, quelle 26-pagine-26 alla fine della rivista che, per quanto ottime, ho già in chissà quante altre versioni – e stampate meglio.
La parte scritta è come al solito di livello buono od ottimo. Per alcune rubriche (Zeitgeist, Cronache dal mondo sommerso) un’unica pagina mi sembra uno spazio troppo costretto e resto sempre con la voglia di leggerne ancora, ma d’altro canto il numero delle pagine disponibili è quello che è. Tra gli interventi letterari si segnala particolarmente Allora, chi vuole soffiare? scritto da Piergiorgio Paterlini e accompagnato dalle tavole di Marco Galli: praticamente unico elemento coerente con il tema dichiarato di questo numero, affronta l’argomento in modo originale e battagliero.
In definitiva, anche se è molto meglio una ristampa di Muñoz-Sampayo piuttosto che un manga, spero vivamente che nel prossimo numero non ci sia un’altra sorpresa del genere.

venerdì 31 marzo 2017

Non ho potuto esimermi (e ho scoperto delle cose curiose)

Ricordavo che i colori di Norteamericano(s) fossero esornativi, suggestivi ma non certo indispensabili a quella particolare storia di Alack Sinner (oltretutto noto per i suoi profondi bianchi e  neri), e forse nemmeno realizzati da José Muñoz visto che non somigliavano molto a quello che avrebbe realizzato negli anni successivi col colore. Ma riprendendo in mano il Corto Maltese del febbraio 1989 dove venne pubblicato (dietro la sproporzionata e pacchiana copertina col Batman iconico di Miller, strombazzato per bene insieme a Superman mentre non si faceva cenno all’ultimo episodio de I Giardini di Edena di Möebius che si concludeva su quello stesso numero) mi sono reso conto di quanto sbagliassi. Giudicate voi con questo confronto all’americana con la nuova versione edita in bianco e nero dalla Cosmo:

Oltretutto ho notato anche altre differenze, che stavolta riguardano i testi. In molti casi sono cose minime, ma incerti frangenti vengono un po’ modificati i significati di alcune scene.

martedì 31 gennaio 2017

Ma sì, dai...

Niente male questo primo volumetto della serie Grandi Maestri dedicato ad Alack Sinner. La stampa è incredibilmente buona, il prezzo è di soli 5,90 euro per 176 pagine e ci sono anche due interessanti redazionali in apertura e in chiusura.
Ovviamente non ho saputo resistere alla tentazione di confrontare queste tavole con quelle pubblicate a suo tempo dalla Rizzoli – Milano Libri nel volume Alack Sinner così com’era (chissà dove avrò messo le raccolte della Acme), scoprendo alcune cose curiose. I balloon della versione Cosmo sono diversi da quelli della Milano Libri, ma mi sembra di capire da alcuni dettagli, al di là della migliore resa estetica della Cosmo, che sia questa edizione bonellide la più fedele alle intenzioni di Muñoz, lasciando maggiore spazio per il resto delle vignette. Alcuni elementi della precedente edizione lasciano addirittura supporre che sia stata la redazione di Alter ad avere inserito degli elementi laddove il disegnatore aveva lasciato spazio vuoto come indicazione di dove inserire i dialoghi e le didascalie. Ma non sempre è così e ogni tanto sono i balloon Cosmo quelli (di poco) più invasivi.
Nel colofon viene anche riportata la voce relativa alla «traduzione»: forse Sampayo scriveva in castigliano e lo hanno tradotto a partire dal testo originale, ma credo sia più probabile che abbiano usato una versione francese di partenza, a cui potrebbero essere imputabili anche le differenze nel posizionamento e nella forma delle nuvolette. Ci sono pure dei dialoghi invertiti e delle telefonate in cui i dialoganti si scambiano di ruolo. A voi il divertimento di trovarli, insieme alle altre differenze tra le due versioni (la Cosmo ha pure ripristinato delle firme e altri elementi non presenti nel volume della Milano Libri):
Purtroppo è innegabile che la splendida carta patinata usata dalla Milano Libri sia nettamente superiore a quella della Cosmo, e i disegni di Muñoz risaltano con ben maggiore incisività. Sia come sia, sicuramente continuerò la collezione e di certo questo volume non finirà nel cassetto generico dei “bonellidi Cosmo”.