Un giorno che in fumetteria non
era arrivato niente mi pareva brutto andarmene a mani vuote e così mi sono
lasciato convincere dai colori pop, dal segno di Bradshaw e dalla bella
atmosfera da ammucchiata supereroistica senza troppi pensieri che emanava Wolverines. Il primo numero non mi ha
fatto troppo schifo e quindi ho proseguito l’acquisto fino alla fine.
Wolverine è morto (!) e un gruppo
eterogeneo composto da amici/nemici, parenti, cloni e affini cerca di
trafugarne il corpo “convinti” da un altro gruppo di personaggi creati ad hoc che a loro volta vengono fuori
dall’ennesima base di Arma X e che possiedono degli ottimi strumenti di persuasione:
conoscono delle “parole di sicurezza”, manco fosse un’orgia sadomaso, con cui
bloccare e uccidere i primi.
In alcune sequenze come la
battaglia nella tana di Sinistro ho fatto fatica a capire cosa succedeva, data
la necessità di comprimere in venti pagine le vicende parallele di oltre dieci
personaggi e dei rispettivi nemici – e lo stile di disegno di Jonathan Marks
non ha aiutato. Con l’introduzione di Fin Fang Boom penso di aver assistito
alla scena più ridicola della Marvel moderna.
Da segnalare come i nuovi personaggi
introdotti nella maxiserie sprofondino in un anonimato sconfortante. Persino i
disegnatori non hanno evidentemente trovato alcun appeal in Skel, Endo e compagnia visto che ognuno li disegna un po’
come gli capita e che in alcune occasioni compare due volte lo stesso
personaggio invece di quello che doveva esserci (vedi splash page alla fine del quarto episodio in Wolverines 2). Terribile la sorte toccata al telepate (o quello che
è) col cranio scoperchiato, che alcuni hanno disegnato effettivamente come un
uomo scalpato e altri come dotato di placche sul cranio. Vabbè, alla fine erano
solo carne da macello usa e getta e quindi è inutile starci troppo a pensare,
ma gli sceneggiatori Charles Soule e Ray Fawkes hanno forse dedicato loro
troppa attenzione fingendo che avessero chissà che importanza nella storia.
Chiaramente per mantenere il
ritmo originale di un episodio alla settimana la serie ha dovuto contare
sull’avvicendarsi di più disegnatori, che oltre a interpretare a modo loro
(come ho ricordato sopra) gli stessi personaggi hanno portato a una scarsa
omogeneità qualitativa, così per un Bradshaw che mi sembra essere sulla buona
strada per abbandonare gli strascichi di Art Adams (ma due tavole se le è fatte
disegnare da un altro, forse Alison Borges) e gli ottimi Juan Cabal e Ario Anindito,
ci sono dilettanti allo sbaraglio come Ariela Kristantina e Juan Doe. La prima
col suo stile abbozzato, sporco e impastato è riuscita persino a confondere il
colorista.
Oltretutto alla Panini non avevano
le idee proprio chiarissime: Culpepper, la volpe di Fantomelle, è maschio o
femmina?
Non una serie memorabile,
insomma, ma tutto sommato riesce a riscattarsi sul finale con un colpo di scena
non banale e riuscendo a dare la sensazione che tutto facesse parte di una
trama ben pianificata. Inoltre è bello avere un appuntamento fisso in edicola
ogni due settimane e inaspettatamente l’episodio con l’insopportabile Deadpool
si è rivelato molto divertente e anche ben congegnato. E poi ci ho pure
rimediato un post da mettere online questa sera.