La febbre onnivora per il nuovo
eventone Marvel non accenna a placarsi ma finalmente qualche testata si rivela
nettamente inferiore alle altre e una cernita si potrà fare. Dagli ultimi
editoriali che ho letto mi pare di capire che la situazione attuale, cioè l’ammasso
di realtà alternative, subirà una Restaurazione a maggio quindi ogni proposta
della Panini dovrebbe durare solo quattro numeri e lo sforzo si può fare.
L’Ascesa di Attilan trova spazio sul mensile dei Fantastici Quattro ma come tematiche e
personaggi non ha poi molto da spartirci. Nelle Terre Verdi che abbondano di
Hulk i Thor-poliziotti catturano dei cospiratori che fanno parte della società
segreta Voce Inaudita (povero Destino, tutti a complottare contro di lui) e la
regina Medusa incaricata dal dio di Battleworld in persona deve indagare su
questa nuova minaccia. Affida il compito a tal Auran (ignoro se personaggio
preesistente o creato per l’occasione) e dopo una ricognizione sul gruppo della
Voce Inaudita, che contempla pure il Matt Murdock di 1602, l’azione si sposta
nel locale Stanza Silente dove pare che il boss sia Freccia Nera, che le note
ci spiegano essere in conflitto con Medusa – ma forse non è lui, si presenta
con un altro nome e soprattutto parla. Non mancano scene spettacolari (tra
l’altro c’è un collegamento con i Ghost Riders citati in Thors) ma è presto per giudicare il lavoro di Charles Soule. Posso
già dire, invece, che non mi aggrada molto il disegnatore John Timms con il suo
stile troppo caricaturale per i miei gusti.
Eredità della precedente
gestione, come Loki in Thors, Silver Surfer non si occupa minimamente di Secret Wars ma continua
una trama precedente. L’episodio, Mai più,
è sperimentale e sfrutta una struttura delle tavole per cui il lettore è
chiamato a seguire i vari loop che ci
sono nelle pagine e tornare indietro a leggere le vignette capovolte di tavole
che ha già letto nell’altro verso, fino a spezzare questo circolo vizioso col
suo libero arbitrio come farà il protagonista. Una buona idea che forse si
sarebbe potuta sfruttare meglio a livello grafico. Mai più è un profluvio di omaggi a Moëbius/Jean Giraud e come nel
caso del Dark Knight di Miller che
citava Corto Maltese alla fine questi rimandi a un tipo di fumetto ben più
maturo non fanno altro che ridicolizzare i comic book.
Ai disegni l’immenso Mike Allred,
che scrive l’episodio insieme a Dan Slott. Oddio, “immenso”… una volta mi
pareva immenso (forse l’ho idealizzato perché lo conoscevo poco), oggi non mi
sembra poi questo granché anche se sicuramente svetta sulle legioni di
scalzacani suoi colleghi.
Un esempio di quest’ultima
categoria lo troviamo nella short story
di Deadpool e Devil Dinosaur in appendice: tal Logan Faerber (molto meno orrendo
di tanti altri, a onor del vero) che disegna su testi di Ryan Ferrier una
scemenza di rara stupidità.
Nella fumetteria in cui sono
passato sabato era rimasto solo L’Ascesa
di Attilan come albo collegato a Secret Wars, gli altri se li erano già
spazzolati via tutti! Casualmente in un’edicola ho trovato House of M 1 e con esso una buona ragione per smetterla di comprare
miniserie legate a Secret Wars.
Come altro ospite della testata
c’è Runaways, che oltre a non c’entrare
niente con la vecchia serie omonima non mi pare c’entri nulla nemmeno coi
mutanti, visto che si occupa di alcuni ragazzi indisciplinati che finiscono in
punizione – tra loro ci sono anche mutanti,
ci mancherebbe altro. La storia si svolge nel dominio di Doomstadt, dove i
giovani tra i 14 e 19 anni provenienti da ogni dove (ma non erano vietate le
interferenze tra un dominio e l’altro?) vengono formati e selezionati per servire
Destino. I 9 discoli più o meno turbolenti vengono trattenuti in classe proprio
quando dovrebbero sostenere l’esame finale che ne dimostrerà il potenziale e offrirà
loro la possibilità di essere degni agli occhi di Destino, quindi dovranno fare
fronte comune ignorando le rivalità per uscire dalla situazione in tempo.
I toni della serie la rendono
decisamente orientata a un pubblico adolescente e Runaways vive di citazione e di situazioni scontate già viste molte
altre volte: la stessa situazione di partenza e la trama portante sono una
rielaborazione di Breakfast Club. I
disegni di Sanford Greene non mi hanno affatto entusiasmato.
Il terzo slot di House of M è occupato da un’altra serie
“finta Secret Wars”: anche qui siamo a metà di un arco narrativo già in corso
per Ms. Marvel, ma almeno c’è un
massiccio riferimento all’impellenza dell’evento Secret Wars. Adrian Alphona sfoggia
un disegno molto originale e inconsueto per una serie di supereroi, come se un
umorista inglese disegnasse comic book, e il risultato si sposa perfettamente
con un’altra trama leggerina che per temi e toni è indirizzata a un pubblico
molto giovane. Tra le frustrazioni adolescenziali della protagonista per il
primo amore andato a farsi benedire mi è difficile vedere gli argomenti
dell’integrazione, della religione e del gap culturale (Ms. Marvel/Kamala Khan
dovrebbe essere la prima supereroina musulmana) con cui la serie è stata
strombazzata dalla Marvel. Ma magari gli episodi più rilevanti erano altri.