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domenica 14 gennaio 2018

Agente Allen

Lo avevo già adocchiato qualche settimana fa, ma solo l’altro giorno ho abbattuto le ultime reticenze e l’ho comprato. In effetti Agente Allen vale la pena e la spesa.
La serie era stata concepita per Il Giornalino, quindi con dei limiti ben precisi a livello di tematiche e di architettura delle storie, ma Sclavi ha saputo aggirare il problema approfittando di questi stessi limiti per sviluppare creativamente un certo taglio narrativo, all’inizio un po’ spiazzante.
Philip Allen è un ex agente dei servizi segreti britannici che si è riciclato come cuoco e gestore del ristorante «Elfo Rosso». Quando la divisione Strange si trova per le mani dei casi impossibili (dinosauri redivivi, fantasmi, viaggiatori del tempo, ecc.) lo contatta e lo costringe a tornare in servizio. Ad aiutarlo c’è il corpulento irlandese Burke O’Burke che vediamo costantemente impegnato in risse colossali. La struttura delle vicende rimane quasi invariata nel corso dei 23 episodi, così come le battute dei personaggi che diventano marchi di fabbrica con cui giocare una volta diventate familiari per il lettore.
Le dieci pagine in cui sono strutturate le puntate (più raramente nove, undici o dodici) sono ovviamente insufficienti a sviluppare compiutamente le trame, tanto più che si occupano di argomenti molto particolari e hanno dei retroscena complessi. Per ovviare a questa situazione Sclavi ha fatto ricorso a un uso massiccio delle didascalie in cui riassume a anticipa quello che non può essere “fumettato” per questioni di spazio, didascalie rese però scorrevoli da certi accorgimenti come il contrasto tra quanto scritto e quanto disegnato, e a un impianto “disonesto” per cui la soluzione dei singoli casi viene data alla fine senza che siano stati introdotti indizi che permettano ai lettore di arrivarci in autonomia. La verve dello sceneggiatore, per nulla mortificata dalla destinazione originaria di pubblicazione (anzi, forse resa più accessibile proprio dalla necessità di rivolgersi a un pubblico vasto e giovane), strappa più di un sorriso e rende ancora più gradevole la lettura, che raramente esaurisce il suo fascino con la risoluzione dell’enigma della puntata.
Pur con tutte le ingenuità e le semplificazioni giustificabili da una conoscenza non diretta degli argomenti, è incredibile come Sclavi sia riuscito ad anticipare certi elementi contemporanei come la realtà virtuale. E con tutti gli anni che sono passati dalla prima pubblicazione di queste storie, l’immagine stereotipata delle spie russe non risulta ridicola ma quasi affettuosa.
Malgrado Franco Spiritelli enumeri nell’introduzione i molti pregi e meriti del disegnatore Mario Rossi, mi sembra che qui non sia nulla di più che un onestissimo professionista senza guizzi memorabili, eccezion fatta per il raffinato virtuosismo con cui ha reso la trasparenza del fantasma nell’episodio Il Fantasma del British Museum.
Il volume è cartonato e stampato su bella carta patinata; la differenza di formato rispetto alla sede originaria di pubblicazione non si fa affatto sentire, né d’altra parte è molto marcata. La qualità di stampa non è perfetta e spesso i tratteggi più sottili di Rossi risultano smangiucchiati o evanescenti. Nelle gerenze viene spiegato che questa edizione è stata realizzata a partire delle tavole originali, laddove fossero accessibili, il che potrebbe spiegare alcuni neri un po’ diluiti (che coi metodi di stampa dell’epoca sarebbero risultati compatti). D’altra parte, però, il lettering sembra essere esattamente quello usato a suo tempo da Il Giornalino (compresi i rarissimi refusi), o comunque (vivaddio!) non è stato rifatto col computer. La struttura autoconclusiva dei singoli episodi ha offerto l’idea a saldaPress di inserire come ultimo episodio non quello che fu pubblicato per ultimo sulla rivista paolina ma una storia che anticipò vagamente Dylan Dog. Essendo una delle migliori, direi che la scelta è azzeccata e permette di concludere la lettura al top.
Bella la copertina variant per fumetterie realizzata da Fabrizio De Tommaso, che è quella che ho preso, anche se un po’ inquietante: sembra che il cappello da cuoco che porta Allen sia il suo cranio deformato.
In definitiva, un bel recupero di un gioiellino che merita di stare accanto a un altro classico del fumetto italiano per ragazzi, Il Maestro.