Lo avevo già adocchiato qualche
settimana fa, ma solo l’altro giorno ho abbattuto le ultime reticenze e l’ho
comprato. In effetti Agente Allen
vale la pena e la spesa.
La serie era stata concepita per Il Giornalino, quindi con dei limiti ben
precisi a livello di tematiche e di architettura delle storie, ma Sclavi ha
saputo aggirare il problema approfittando di questi stessi limiti per
sviluppare creativamente un certo taglio narrativo, all’inizio un po’
spiazzante.
Philip Allen è un ex agente dei
servizi segreti britannici che si è riciclato come cuoco e gestore del
ristorante «Elfo Rosso». Quando la divisione Strange si trova per le mani dei
casi impossibili (dinosauri redivivi, fantasmi, viaggiatori del tempo, ecc.) lo
contatta e lo costringe a tornare in servizio. Ad aiutarlo c’è il corpulento irlandese
Burke O’Burke che vediamo costantemente impegnato in risse colossali. La
struttura delle vicende rimane quasi invariata nel corso dei 23 episodi, così
come le battute dei personaggi che diventano marchi di fabbrica con cui giocare
una volta diventate familiari per il lettore.
Le dieci pagine in cui sono
strutturate le puntate (più raramente nove, undici o dodici) sono ovviamente insufficienti
a sviluppare compiutamente le trame, tanto più che si occupano di argomenti
molto particolari e hanno dei retroscena complessi. Per ovviare a questa
situazione Sclavi ha fatto ricorso a un uso massiccio delle didascalie in cui
riassume a anticipa quello che non può essere “fumettato” per questioni di
spazio, didascalie rese però scorrevoli da certi accorgimenti come il contrasto
tra quanto scritto e quanto disegnato, e a un impianto “disonesto” per cui la
soluzione dei singoli casi viene data alla fine senza che siano stati
introdotti indizi che permettano ai lettore di arrivarci in autonomia. La verve dello sceneggiatore, per nulla
mortificata dalla destinazione originaria di pubblicazione (anzi, forse resa
più accessibile proprio dalla necessità di rivolgersi a un pubblico vasto e
giovane), strappa più di un sorriso e rende ancora più gradevole la lettura,
che raramente esaurisce il suo fascino con la risoluzione dell’enigma della
puntata.
Pur con tutte le ingenuità e le
semplificazioni giustificabili da una conoscenza non diretta degli argomenti, è
incredibile come Sclavi sia riuscito ad anticipare certi elementi contemporanei
come la realtà virtuale. E con tutti gli anni che sono passati dalla prima
pubblicazione di queste storie, l’immagine stereotipata delle spie russe non
risulta ridicola ma quasi affettuosa.
Malgrado Franco Spiritelli
enumeri nell’introduzione i molti pregi e meriti del disegnatore Mario Rossi,
mi sembra che qui non sia nulla di più che un onestissimo professionista senza
guizzi memorabili, eccezion fatta per il raffinato virtuosismo con cui ha reso
la trasparenza del fantasma nell’episodio Il
Fantasma del British Museum.
Il volume è cartonato e stampato
su bella carta patinata; la differenza di formato rispetto alla sede originaria
di pubblicazione non si fa affatto sentire, né d’altra parte è molto marcata. La
qualità di stampa non è perfetta e spesso i tratteggi più sottili di Rossi
risultano smangiucchiati o evanescenti. Nelle gerenze viene spiegato che questa
edizione è stata realizzata a partire delle tavole originali, laddove fossero
accessibili, il che potrebbe spiegare alcuni neri un po’ diluiti (che coi
metodi di stampa dell’epoca sarebbero risultati compatti). D’altra parte, però,
il lettering sembra essere esattamente quello usato a suo tempo da Il Giornalino (compresi i rarissimi
refusi), o comunque (vivaddio!) non è stato rifatto col computer. La struttura
autoconclusiva dei singoli episodi ha offerto l’idea a saldaPress di inserire
come ultimo episodio non quello che fu pubblicato per ultimo sulla rivista
paolina ma una storia che anticipò vagamente Dylan Dog. Essendo una delle migliori, direi che la scelta è
azzeccata e permette di concludere la lettura al top.
Bella la copertina variant per
fumetterie realizzata da Fabrizio De Tommaso, che è quella che ho preso, anche
se un po’ inquietante: sembra che il cappello da cuoco che porta Allen sia il
suo cranio deformato.
In definitiva, un bel recupero di
un gioiellino che merita di stare accanto a un altro classico del fumetto
italiano per ragazzi, Il Maestro.