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giovedì 19 dicembre 2024

The Twilight Children

In un villaggio di un paese latinoamericano mai nominato affiorano periodicamente dal mare delle sfere luminose. All’ennesima apparizione uno scienziato viene chiamato a darci un’occhiata ma stavolta la sfera sparisce prima del previsto senza lasciare traccia. I monelli locali la trovano nella grotta in cui era vietato loro di entrare e quando una di loro la tocca si scatena il finimondo. Una tempesta devasta il villaggio e i ragazzini diventano ciechi.

Oltre che disastri vari la tempesta ha portato con sé una misteriosa ragazza dai capelli bianchi che non parla la lingua locale ma sembra capirla. Le cose si fanno sempre più strane: altre sfere “rapiscono” delle persone per poi farle ricomparire prive di parte della memoria, mentre degli agenti governativi si infiltrano per indagare – o almeno ci provano, imbranati come sono. E la fatalona locale ci mette del suo a incasinare ulteriormente le cose.

Gilbert Hernandez non si dilunga in spiegazioni ma preferisce chiudere la storia con una sequenza toccante, comunque ha fornito tutti gli indizi con cui il lettore può ricostruire le origini delle sfere e della ragazza.

Sospeso tra umorismo, realismo magico e atmosfere da B-movie anni ’50 The Twilight Children si lascia leggere senza difficoltà; anche i pupazzetti di Darwyn Cooke hanno una loro raison d’être, peccato che il colorista Dave Stewart usi delle “tappezzerie” improbabili per colorare le camicie degli agenti in incognito e che si dimentichi che i bicchieri avevano delle cannucce. In ogni caso, nulla che aggiunga alcunché di memorabile alla lunga lista di film, fumetti e serie televisive dello stesso filone.

venerdì 26 gennaio 2024

Seaguy

E così, dopo anni (decenni?) dall’uscita del primo volumetto edito dalla mai abbastanza rimpianta Planeta DeAgostini scopro come va a finire questa balzana storia di un Grant Morrison particolarmente flippato.

Il protagonista è un volenteroso ragazzone che si accompagna a un tonno volante ed è vestito con una muta da sub, da cui il nome. Vorrebbe vivere un’avventura, ma da quando un gruppo di (super?)eroi ha eliminato l’ultima minaccia globale non ci sono più pericoli e quindi passa il suo tempo a giocare a scacchi con la morte daltonica e a spasimare dietro una guerriera barbuta e inavvicinabile. E come il resto della popolazione anche lui visita regolarmente il parco giochi di Mickey Eye, dove la disperazione e l’orrore hanno sostituito il divertimento. Poi però sulla Terra cominciano a cadere dei pezzi di luna con iscritti dei geroglifici egizi, mentre viene lanciato sul mercato un nuovo cibo simil-Spam, lo Xoo, che si rivela essere una forma di vita senziente. Per aiutare la creaturina, Seaguy si imbarca finalmente in un’avventura: visiterà Atlantide e poi la luna.

Il gioco di Morrison (oltre a buttare lì situazioni grottesche) è quello di corrompere progressivamente questo mondo di apparente innocenza infantile con situazioni sempre più inquietanti se non proprio drammatiche. Cameron Stewart ai disegni asseconda questa scelta rendendo progressivamente più realistico e dettagliato il suo stile, inizialmente più morbido.

A suo tempo il “finale” mi aveva lasciato un po’ di amaro in bocca, sia perché il povero Seaguy ne usciva male, sia perché la storia non era proprio del tutto conclusa lasciando aperta la possibilità di un seguito che poi non so se la Planeta DeAgostini effettivamente pubblicò. Quindi l’ho letto adesso: è una seconda miniserie di tre numeri come la precedente.

Seaguy non riesce ad adattarsi alla sua vita e al nuovo animale di compagnia che gli è stato affibbiato e che lo spia per conto di Mickey Eye. Finisce in manicomio dove viene salvato da un gruppo di nuovi eroi che si ispirano a lui e che per proteggerlo gli danno una nuova surreale identità spagnoleggiante. Ma (come poi si vedrà in The Filth, Nameless, Seven Soldiers of Victory e come d’altra parte era già successo in The Mystery Play) le cose non sono come sembrano. Finale prevedibile pur con una vaga punta di cinismo che gli evita la banalità più totale.

Difficile dire quale sia migliore (o peggiore), se la prima parte ostentatamente bizzarra e inconcludente o la seconda sin troppo lineare e con la spada di Damocle del supereroismo che si affaccia sin dall’inizio.

A deludere sono di certo i disegni di Cameron Stewart, decisamente virati sul caricaturale con un’inchiostrazione rozza e affrettata e semplificazioni anatomiche indegne della miniserie precedente, di soli 5 anni prima. Il suo cognonimo Dave ai colori rincara la dose con una certa pacchianeria (Peter Doherty aveva fatto un lavoro meno invasivo, pur se anche lui pagava pegno all’entusiasmo per gli effettacci della colorazione digitale di inizio anni 2000).

Nel complesso Seaguy mi pare un lavoro decisamente minore nel corpus delle opere di Grant Morrison, anche se va riconosciuto un certo coraggio nel parodiare in maniera così truce l’industria Disney colpevole di seguire il profitto a ogni costo e “rincritinere i bimbi” per dirla col Pippo di Andrea Pazienza.

venerdì 15 dicembre 2023

The Ambassadors 1

Dopo alcuni tentativi andati storti e tanta propaganda, gli Stati Uniti hanno perso la corsa al supereroe. A vincerla è la Corea del Sud: Choon-He si è creata un corpo sintetico potentissimo per vendicarsi dell’ex-marito Jin-Sung che l’ha denunciata e fatta finire in prigione a causa della visione differente che avevano dei superpoteri: lui voleva venderli al miglior offerente, lei in una conferenza mondiale dichiara che li darà ai rappresentanti più degni e altruisti del proprio Stato d’appartenenza. Basta mandare la propria nomination e se si è ritenuti meritevoli si entra in questo team di pronto intervento e si viene forniti di un bracciale che permette di connettersi al database dei superpoteri per sceglierne un massimo di tre per volta.

Gli Ambassadors si occupano di problemi di poco conto come di calamità naturali, ma alla fine dovranno vedersela anche con l’elite di spietati miliardari capitanati da Jin-Sung, che a loro volta hanno i superpoteri. Occasionalmente fa capolino una figura misteriosa che giustifica almeno un po’ il prologo eccessivamente lungo e sarà fondamentale nel massacro finale con cui (sempre di supereroi si tratta) si conclude il volume. Piccola nota di merito per Millar: il traditore tra le file dei “buoni” è una figura insospettabile ma molto logica.

Come spesso avviene nei fumetti di Millar, più che una storia di supereroi è una satira. E come altrettanto spesso avviene, l’umorismo nerissimo di Millar sfiora il grossolano e sfocia nello splatter  senza che ce ne sia alcun motivo, solo per il gusto di épater la bourgeoisie abituata ai più blandi fumetti DC e Marvel.

Purtroppo la carrellata di disegnatori diversi è straniante. Dopo Frank Quitely c’è l’eccessivamente schematico Karl Kerschl (i colori di Michele Assarasakorn assecondano il suo rachitismo), poi il freddo e dettagliatissimo realismo di Travis Charest, un efficace Olivier Coipel sospeso tra espressività e naturalismo, il più canonico ma anch’egli espressivo Matteo Buffagni e per finire lo stilizzato ma elegante Matteo Scalera.

Ognuno è quantomeno passabile in sé, con molte punte di eccellenza, ma vedere tutti questi stili diversi in un’unica soluzione è stordente, né c’è stata una supervisione attenta a mantenere la coerenza grafica dei protagonisti: al di là di Scalera che non si è ricordato del piercing al naso dell’Ambassador brasiliana, soprattutto Jin-Sung è butterato, grasso e occhialuto o qualsiasi combinazione di queste caratteristiche a seconda dell’estro del singolo disegnatore.

Completano il novero dei coloristi Dave Stewart, Giovanna Niro e Lee Loughridge (e poi ci sarebbe Vincent MG Deighan che ha aiutato Quitely).

A differenza di altre raccolte in volume di fumetti più o meno seriali, questo primo volume ha il pregio di essere perfettamente concluso – e si chiude con una bella battuta urticante.

domenica 15 aprile 2018

Shaolin Cowboy: Chi fermerà il Regno?

Simpatico fumetto sopra le righe, anzi decisamente esagerato, com’è nello stile e nello spirito di Geof Darrow. Bourbon Thret/Shaolin Cowboy si riprende dal massacro di zombi in cui era rimasto al termine della sua precedente avventura in cinemascope, ma i guai per lui sono appena iniziati visto che in questa versione distorta dell’America (il “Texis”) un suo arcinemico ha sollevato un mezzo esercito di assassini bizzarri per farlo fuori.
Sfogliando il volume, e quindi vedendo le caricature di Trump, ho pensato che in Chi fermerà il Regno? ci fosse un certo sottotesto di satira, cosa evidenziata anche da Antonio Solinas nell’introduzione. In realtà non è così: i vaghi rimandi alla contemporaneità sono solo elementi decorativi al pari degli altri dettagli più o meno folli che Darrow usa come tappezzeria per le sue “storie”. Più che altro, c’è una critica ossessiva alla dipendenza da device e social network, tanto ripetitiva da diventare stucchevole.
Le tappe della marcia di morte intrapresa dal protagonista sono punteggiate dalla stessa situazione di partenza che si ripete immutata, variando solo l’animale protagonista: forse in uno slancio nazi-vegano Darrow racconta di come la consapevolezza di essere letteralmente carne da macello induca maiali e aragoste (e alla fine il ciclo continuerà coi polli) a diventare gangster. Non ho capito se i riferimenti ai ristoranti dello Iowa siano un omaggio alla sua terra natale o al contrario una presa in giro.
Al di là della “trama” quello che colpisce di questo fumetto sono ovviamente i disegni molto dettagliati, anche se sacrificati nel formato comic book e a dirla tutta nemmeno poi così dettagliati com’erano nelle opere precedenti di Darrow. Ogni tanto, e non serve nemmeno passare le tavole ai raggi X per accorgersene, alcuni particolari non tornano: certe scritte fuori dai locali cambiano di vignetta in vignetta, così come gli orecchini di Pork Kong o i coltelli al posto delle zampe dei cani-killer che tornano a essere zampe in una vignetta. Forse Darrow ha inserito volutamente questi “errori” per suscitare il pinailleur che è in noi, o per vedere se stavamo attenti mentre leggevamo il fumetto.
Alla fine della lettura, pur se la trama è talmente esile da risultare impalpabile, rimane una piacevole sensazione di appagamento per essersi riempiti gli occhi dei disegni di Darrow (ben colorato da Dave Stewart) e per le sue folli trovate tra infantilismo iconoclasta e Surrealismo – peccato che il formato renda meno godibili le numerose tavole doppie. Anche il suo umorismo, per quanto macabro e di grana grossa, riesce spesso a far sorridere. Inoltre Darrow ha svolto un attento lavoro sul linguaggio dei suoi personaggio, infarcendo i dialoghi di giochi di parole che deve essere stato un incubo cercare di rendere in italiano.