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lunedì 28 dicembre 2015

Wolverines

Un giorno che in fumetteria non era arrivato niente mi pareva brutto andarmene a mani vuote e così mi sono lasciato convincere dai colori pop, dal segno di Bradshaw e dalla bella atmosfera da ammucchiata supereroistica senza troppi pensieri che emanava Wolverines. Il primo numero non mi ha fatto troppo schifo e quindi ho proseguito l’acquisto fino alla fine.
Wolverine è morto (!) e un gruppo eterogeneo composto da amici/nemici, parenti, cloni e affini cerca di trafugarne il corpo “convinti” da un altro gruppo di personaggi creati ad hoc che a loro volta vengono fuori dall’ennesima base di Arma X e che possiedono degli ottimi strumenti di persuasione: conoscono delle “parole di sicurezza”, manco fosse un’orgia sadomaso, con cui bloccare e uccidere i primi.
La nemesi di questa formazione allargata è Sinistro, che si impossessa del macabro trofeo fuso nell’adamantio. Nel mentre, Mystica porta avanti un suo piano. È incredibile come in venti uscite settimanali di durata standard (venti pagine a capitolo) la Marvel sia riuscita a fare avanzare di pochissimo la trama puntando tutto sul fascino che dovrebbero esercitare i protagonisti (decisamente troppi) e sulla situazioni cool. La sequenza centrale, non troppo lunga per fortuna, in cui Fang mette alla prova un erede per episodio mi sembra nascere come semplice espediente narrativo per allungare il brodo.
In alcune sequenze come la battaglia nella tana di Sinistro ho fatto fatica a capire cosa succedeva, data la necessità di comprimere in venti pagine le vicende parallele di oltre dieci personaggi e dei rispettivi nemici – e lo stile di disegno di Jonathan Marks non ha aiutato. Con l’introduzione di Fin Fang Boom penso di aver assistito alla scena più ridicola della Marvel moderna.
Da segnalare come i nuovi personaggi introdotti nella maxiserie sprofondino in un anonimato sconfortante. Persino i disegnatori non hanno evidentemente trovato alcun appeal in Skel, Endo e compagnia visto che ognuno li disegna un po’ come gli capita e che in alcune occasioni compare due volte lo stesso personaggio invece di quello che doveva esserci (vedi splash page alla fine del quarto episodio in Wolverines 2). Terribile la sorte toccata al telepate (o quello che è) col cranio scoperchiato, che alcuni hanno disegnato effettivamente come un uomo scalpato e altri come dotato di placche sul cranio. Vabbè, alla fine erano solo carne da macello usa e getta e quindi è inutile starci troppo a pensare, ma gli sceneggiatori Charles Soule e Ray Fawkes hanno forse dedicato loro troppa attenzione fingendo che avessero chissà che importanza nella storia.
Con un encefalogramma così desolatamente piatto è ovvio che il personaggio di Fantomelle, semplicemente una versione femminile del Fantomex di Morrison, risalti con maggiore incisività.
Chiaramente per mantenere il ritmo originale di un episodio alla settimana la serie ha dovuto contare sull’avvicendarsi di più disegnatori, che oltre a interpretare a modo loro (come ho ricordato sopra) gli stessi personaggi hanno portato a una scarsa omogeneità qualitativa, così per un Bradshaw che mi sembra essere sulla buona strada per abbandonare gli strascichi di Art Adams (ma due tavole se le è fatte disegnare da un altro, forse Alison Borges) e gli ottimi Juan Cabal e Ario Anindito, ci sono dilettanti allo sbaraglio come Ariela Kristantina e Juan Doe. La prima col suo stile abbozzato, sporco e impastato è riuscita persino a confondere il colorista.
Oltretutto alla Panini non avevano le idee proprio chiarissime: Culpepper, la volpe di Fantomelle, è maschio o femmina?
Non una serie memorabile, insomma, ma tutto sommato riesce a riscattarsi sul finale con un colpo di scena non banale e riuscendo a dare la sensazione che tutto facesse parte di una trama ben pianificata. Inoltre è bello avere un appuntamento fisso in edicola ogni due settimane e inaspettatamente l’episodio con l’insopportabile Deadpool si è rivelato molto divertente e anche ben congegnato. E poi ci ho pure rimediato un post da mettere online questa sera.