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sabato 23 gennaio 2016

Age of Ultron vs. Marvel Zombi 1 - Civil War 1

Continua a raffica l’uscita di nuove miniserie legate a Secret Wars. Attirato dai bei disegni di Steve Pugh ho preso Marvel Mix 114 che ospita i primi episodi di Age of Ultron vs. Marvel Zombi e di Marvel Zombi. Anche questo si è rivelato un buon acquisto.
La prima storia è ambientata in una zona di confine tra le Terre Morte, dominio degli zombi, e Perfezione, utopia tecnocratica creata da Ultron. Robot e non-morti sono in perenne conflitto visto che i primi distruggono a vista i secondi e gli zombi in teoria non possono cibarsi di loro (anche se verso la fine si vedono le versioni zombi di Rhino e del Gufo trafficare coi resti di un Ultron). Questa zona di confine è l’anticamera in cui viene deportato l’Hank Pym in versione western proveniente dalla cittadina di Timely in cui è ambientata 1872, condannato all’esilio perché coi suoi esperimenti meccanici stava facendo fare un salto evolutivo troppo rapido al suo dominio, cosa evidentemente non gradita a Destino.
Grazie a un’altra esiliata da Timely con agganci in alto loco ora guardiana presso lo Scudo (immagino sia la versione western di Wasp) Hank Pym ha il privilegio di scegliere la terra del suo esilio e ovviamente opta per quella che gli si confà di più: il dominio dei robot. Appena messo piede nel posto per poco non ci lascia le penne se non fosse per l’intervento di alcuni supereroi, cosa che anticipa nuovi scenari. Il tutto mentre la supereroina Tigra, splendidamente disegnata da Steve Pugh, cerca di sopravvivere nelle Terre Morte dove è stata esiliata per aver ordito un golpe contro Destino finito male.
Da un concetto di partenza infantile e un po’ stupidotto James Robinson è riuscito a imbastire una trama originale e molto interessante, vedremo come procede. Solo tre piccoli appunti: 1) per spiegare come Ultron è arrivato alla creazione di Perfezione si fa uso di flashback in cui Steve Pugh è stato costretto a modificare il suo stile (se ha disegnato lui quelle pagine) riprendendo quello di altri disegnatori classici Marvel, col risultato che quelle sei tavole sono graficamente a un livello inferiore rispetto al resto; 2) Marvel Mix, la collana che ospita Age of Ultron vs. Marvel Zombi, è brossurata e il formato è stato mantenuto col risultato di rendere meno godibili le pagine doppie; 3) come antipasto è sicuramente consistente e buono, ma lo è di meno rispetto a quanto visto nelle altre miniserie di Secret Wars che ho letto finora: uno dei pregi di questo esperimento è che tutti i primi episodi visti finora sono molto densi e offrono un abbondante tempo di lettura pur essendo fisiologicamente solo introduzioni. Age of Ultron vs. Marvel Zombi lascia però un po’ più in sospeso il lettore; comunque offre sempre molto più materiale di quanto si possa trovare in tante altre porcherie made in USA.
A integrazione della serie titolare è stata una scelta obbligata inserire Marvel Zombi. L’ambientazione è più o meno la stessa, la protagonista è la volitiva e altezzosa cacciatrice di mostri Elsa Bloodstone. Talmente stronza e cristallizzata nello stereotipo della snob inglese, alla fine diventa simpatica come già era successo nel Nextwave di Ellis e Immonen. Simon Spurrier ha imbastito una trama piuttosto originale e interessante in cui la Bloodstone, a guardia dello Scudo contro le incursioni degli zombi, viene teletrasportata da un avversario nelle Terre Morte e deve fare da balia a un bambino che ha perso la memoria. Decisamente godibile, anche perché Spurrier ha uno stile di scrittura spigliato e accattivante. Kev Walker asseconda l’atmosfera e indulge in qualche deriva caricaturale com’è d’altra parte già nelle sue corde, anche se mi è sembrato meglio qui che altrove.
Visto che c’ero ho preso anche il primo numero di Civil War. Il fascicolo si apre con un episodio extralarge della miniserie titolare, in cui viene spiegato come si è evoluta la vita negli Stati Uniti a seguito di uno svolgimento diverso degli eventi del vecchio crossover omonimo: dopo un’ecatombe gli USA si sono divisi in due macro-Stati in cui il conflitto ideologico tra Steve Rogers e Tony Stark prosegue e ha assunto proporzioni titaniche. Adesso gli States sono divisi nel Blu (il vasto e libero territorio a ovest retto da Capitan America, dall’apparenza rurale) e nel Ferro (il più limitato ma tecnologicamente ed economicamente avanzato territorio a est, retto da Iron Man). La storia viene narrata da Miriam Sharpe, madre di una delle vittime dell’incidente di Stamford che diede origine al plot di Millar: anche grazie a lei dopo sei anni di guerra civile sembra di essere riusciti ad addivenire a una tregua ma purtroppo l’incontro al vertice tra i due leader prenderà una piega drammatica.
Charles Soule è stato più descrittivo che narrativo ma le esche che ha gettato sono abbastanza appetitose, con un whodunnit che invita a proseguire la lettura. Inizialmente mi ha destato qualche perplessità il fatto che in soli sei anni siano avvenuti cambiamenti tanti radicali e che i protagonisti risultino così invecchiati ma ci si fa presto l’occhio. Ai disegni lo spigoloso Leinil Francis Yu, che non ammiro né disprezzo, fa un buon lavoro.
In appendice a Civil War viene ospitato Armor Wars, ripresa di un altro evento ricordato nelle note. Lo sceneggiatore è lo stesso James Robinson di Age of Ultron vs. Marvel Zombi, qui con un piglio un po’ più leggero. Nel dominio di Tecnopoli tutti devono indossare delle armature ipertecnologiche per sopravvivere, per motivi che ormai neanche Tony Stark, principale fornitore di armature alla popolazione, ricorda. Viene sviscerata la rivalità tra lui (barone di questo dominio) e il fratello Arno e a far da cornice a questa introduzione c’è l’omicidio di Spyder-man/Peter Urich. Anche qui l’elemento del whodunnit è abbastanza interessante, peccato per i disegni piuttosto deformed di Marcio Takara del tutto inadatti all’ambientazione (belli alcuni dei suoi neri intensi, però).
Da segnalare che entrambe le proposte vantano una qualità di stampa degna del primo albo Secret Wars che ho preso.
Di questo passo ho paura di prendermi tutte le proposte dell’evento, tanto più che la Panini sta cominciando a pubblicare del materiale direttamente in invitanti volumetti autoconclusivi.

sabato 31 gennaio 2015

Secret Avengers: Salvare il mondo



Preso d’impulso, mi è piaciuto più di Moon Knight, che comunque allo stesso prezzo si presenta in una confezione cartonata.
Mi sembra che qui Warren Ellis abbia saputo trovare maggiori margini di originalità senza eccessivi riferimenti ad altre sue opere precedenti, così come mi sembra che questi sei episodi siano maggiormente connessi all’universo Marvel e quindi più rispettosi della materia trattata.
Da quello che ho capito (il volume raccoglie sei episodi di una serie già in corso) Capitan America ha dismesso il costume e insieme a un gruppetto mutevole ed eterogeneo di altri eroi mette in atto delle operazioni che devono rimanere segrete. Dietro alle missioni in cui si trovano coinvolti i Secret Avengers pare ci sia sempre, o almeno molto spesso, un qui non meglio approfondito “Consiglio Ombra”. Le premesse e alcuni spunti ricordano molto Planetary con questo Consiglio Ombra al posto dei Quattro, ma le analogie in realtà sono poche e le storie di questo volume hanno un taglio molto più supereroistico.
Sparando idee a raffica laddove altri sceneggiatori avrebbero stiracchiato il soggetto di un solo episodio per dodici numeri, Ellis offre tra le altre cose una divertente e originale storia sui viaggi nel tempo, il concetto di continuum accidentato, un’incredibile interpretazione sulla produzione di droga (beh, un po’ intravista in Planetary 21) e un inaspettato omaggio a Modesty Blaise. Il tutto condito da battute spettacolari e da una perfetta caratterizzazione dei personaggi. Forse il solo Capitan America rimane un pochino anonimo e poco approfondito, e al suo posto avrebbe potuto benissimo esserci Nick Fury o un altro personaggio.
Purtroppo a livello grafico Ellis non ha potuto contare su artisti alla sua stessa altezza. Per fortuna gli abissi di Kev Walker (non solo esteticamente soprassedibile ma purtroppo anche pessimo narratore) non sono eguagliati dagli altri, ma sia Alex Maleev che (mi costa dirlo) Stuart Immonen si sono espressi ben al di sotto delle loro prove abituali, così come Jamie McKelvie e Michael Lark mi sono sembrati fuori posto (troppo pulitino, a tratti cartoonesco, il primo; troppo espressionista e non leggibilissimo il secondo). Alla fine (anche questo mi costa dirlo) il migliore forse è stato l’artsy David Aja, rigoroso e molto efficace anche se mi vien voglia di prenderlo a sberle dal suo autocompiacimento nel voler dimostrarsi cool.