Teofilo Folengo

Una raccolta di studi che si pongono come la prima indagine ad ampio raggio sul fenomeno della letteratura eroicomica, inserita nel contesto della produzione burlesca, comica e macaronica dei secc. XV-XVIII. Ho avuto l'onore di concepirla e di gestirne la lavorazione insieme all'amico e collega Giuseppe Crimi dell'Università degli studi Roma Tre. Propongo qui la copertina, l'indice, la nostra Premessa, l'Indice dei nomi e le note di presentazione degli autori. Il volume (Roma, Carocci, 2020) compare in libreria oggi, 15 ottobre 2020.

L’intervento prende in esame due pubblicazioni folenghiane del 2014, legate alla celebrazione del centenario della nascita di Giuseppe Billanovich, ovvero la riedizione della sua monografia Tra don Teofilo Folengo e Merlin Cocaio, a cura di Andrea Canova, Torino, Aragno 2014 e l’ultimo numero della rivista «Quaderni folenghiani», 8 (2010-2013), con il quale si inaugura la nuova serie.

Saggio incentrato sulla profonda distanza che separa Francesco Petrarca dal Petrarchismo. Quest'ultimo, diversamente dall'autore del Canzoniere, costituisce, come afferma Antonio Gramsci, un fenomeno "insincero", ovvero "puramente cartaceo". Questa artificiosità che contraddistingue il fenomeno (rilevata anche dal Dionisotti, ma già a suo tempo dal Castiglione), costituirà  poi uno degli elementi fondamentali che ne determinerà la dissoluzione.

The first edition of Folengo’s Baldus (the so-called Paganini printed in 1517) presents a copious series of glosses, presumably composed by the author himself.
The aim of this work is to collect and study the glosses dealing with grammatical subjects (e. g. lexicon, rhetorical figures, citations of classical texts) in order to reconstruct the most important elements of Folengo’s grammatical background. The glosses are divided into four groups: 1. ‘Vergilian’ glosses, 2. citations from ancient and modern auctoritates, 3. rhetorical glosses, 4. metrical glosses. A brief analysis of each group tries to identify the sources and solve exegetical problems, sometimes making comparisons with the glosses of the following edition of the poem (the so-called Toscolanense printed in 1521).

Il contributo esamina un’ode maccheronica dalla tradizione attribuita al grande poeta seicentista friulano Ermes di Colloredo; dell’ode si esaminano gli aspetti linguistici e stilistici, se ne mettono in evidenza i debiti nei confronti della tradizione letteraria contemporanea (in particolare nei confronti del Malmantile racquistato di Lorenzo Lippi), se ne fornisce una edizione critica fondata su quattro manoscritti e sulle edizioni a stampa che la trasmettono

Andrea Pazienza allestisce una critica sferzante dei costumi della sua epoca e del suo ambiente, la Bologna universitaria tra metà anni Settanta e inizio anni Ottanta, sulla base di un discorso culturale e letterario preciso: il carnevalesco. Per il tramite della parodia – linguistica e iconica – e dello sfruttamento delle possibilità consentite dalla figura del trickster, Pazienza si concentra, in particolare, sulla crisi
del sistema educativo. Questa operazione assimila i suoi fumetti a una delle pietre miliari dell’anticlassicismo rinascimentale, il Baldus di Teofilo Folengo, testo con cui il fumettista entra in contatto, quando studia al DAMS, durante la frequentazione dei corsi di letteratura tenuti all’Università di Bologna da Piero Camporesi, Gianni Celati e Ezio Raimondi. Il mio studio offre una lettura comparata dei motivi fondamentali delle opere di Pazienza e Folengo, anzitutto il dispositivo parodico.

My analysis focuses on Andrea Pazienza’s stern satire of the students’ life at the University of Bologna in the late 1970’s and early 1980’s. His criticism derives from a clearly recognizable literary/cultural motif: the carnevalesque aesthetics. Through linguistic and visual parody, as well as the figure of the trickster, in his comics, Pazienza condemns the poor educational system of the time. I therefore argue that, in his parody of the students and the academic system, Pazienza recovers aspects of
anticlassical Italian tradition, especially that of Teofilo Folengo’s Baldus, a text with which the illustrator became familiar, while attending the courses held by Piero Camporesi, Gianni Celati, and Ezio Raimondi. My study compares the discourse developed by Pazienza and Folengo, especially in view of their parody of reality.

La imagen de cubierta corresponde al frontispicio de un panfleto redactado por Johannes Cochlaeus: “Las siete cabezas de Martín Lutero”. Editado en latín y alemán en 1529, en Leipzig, Sieben Kopffe Martini Luthers o Luther septiceps intentaba contrarrestar las consecuencias de la polémica iniciada por Lutero en 1517. Una Reforma que comportaría la destrucción de un mundo.

Este monstruo, que sugería asociar a Lutero con la bestia del apocalipsis, resume cómica y severamente el conjunto de objetivos que aborda este libro: entrever las raíces del movimiento reformado como reacción a una teología escolástica, a una eclesiología gregoriana y a prácticas monacales, evangélicas y rituales específicas; debatir sobre el hecho moderno de la implosión del cristianismo, sobre la inimaginable conversión de herejías en Iglesias y sobre la posible influencia de los idearios radicales tanto teológicos como políticos en nuestra cultura actual; atender a la expansión de la prédica protestante y católica −oral, escrita e iconográfica− hacia áreas geográficas cada vez más amplias, a la relación de las nacientes confesiones entre sí y a las diversas lecturas que hacían de las creencias ajenas, las conocidas y aquellas por conocer.

Las cabezas recuerdan también uno de los rasgos más salientes de la Reforma: la violencia. Brutal, marcial y −en ocasiones− hasta preternatural, se expresó también mediante tratados, imágenes, revueltas y legislaciones, signos de una suspensión gravitatoria de la palabra revelada.

Mediante la reflexión de destacados especialistas, esta obra pretende mostrar
la Reforma como un movimiento policefálico, bajo una luz más receptiva
que aquella que iluminó el encarnizamiento brutal de Cochlaeus y los suyos: ajenos a sus odios y preocupaciones, lejos de la contingencia, estamos todavía hoy, a 500 años de la puerta de Wittenberg, viviendo sus consecuencias.

La morte del protagonista nel poema eroicomico è un evento decisamente inusuale. Anche considerando come parte di questa produzione il poema giocoso e le parodie dei miti classici, la lista degli eroi che cadono gloriosamente sul campo di battaglia rimane decisamente breve. E non si tratta di un caso: a parte i personaggi che scoppiano letteralmente dalle risate o che muoiono perché morsi da un piccolo granchio, gli eroi del poema eroicomico sono uomini pieni di paura, renitenti all’eroismo, desiderosi soprattutto di rimanere vivi per poter continuare a mangiare a crepapelle, a fare l’amore, a godersi l’esistenza. E l’idea stessa dell’eroismo è costantemente condannata e derisa. Questa rivendicazione per la vita contro l’obbligo del sacrificio – nella cultura Controriformistica – è più politica di quanto i critici abbiano in genere creduto. Uno sguardo alle opere di scrittori quali Aretino, Folengo, Tassoni, Lippi, de’ Bardi, Corsini, ma anche Traiano Boccalini, fornisce un’eloquente prova dell’esistenza di una mentalità alternativa ai dogmi della civiltà aristocratica.

The ‘Cavaliere dell’Orsa” is a short chivalric text which has only survived in 16th and 17th editions, but archival evidences show that it had already been printed by 1498. The text circulated in two different versions, probably because of the loss of a folio which was not recognized by the editors. The booklet is quoted as apocryphal by Teofilo Folengo in his “Baldus”; a new hypothesis is advanced for this odd remark.

Giovanni Battista Folengo (1490-1559) may be the most interesting Renaissance author with whom you are not yet familiar (assuming you already know his brother, Teofilo Folengo). And the funniest: if your sense of humor extends to sexual and scriptural word-play, GB Folengo will make you laugh out loud.

Edoardo Sanguineti è stato un intellettuale a tutto tondo che, a novant'anni dalla nascita e a dieci dalla morte, non smette di sorprendere. Edo500 ne indaga il duraturo e proficuo rapporto col Cinquecento italiano, in particolare con Ariosto, Tasso, Folengo, Bruno, Aretino e Bandello. La prima parte del volume affronta la narrativa, la poesia, la lingua, la lessicomania, l'ideologia e le referenze iconografiche di Sanguineti e accoglie sei contributi critici di studiosi sanguinetiani di lunga fedeltà o di nuova generazione: Erminio Risso, Clara Allasia, Chiara Tavella, Giordano Rodda, Gian Luca Picconi e Aurora Conde Muñoz. Grazie al lavoro e col commento di Stefano Verdino, Eleonora Sartirana e Lorenzo Resio, la seconda parte colleziona materiali inediti, rari o per la prima volta trascritti, commentati e pubblicati in volume: un'orazione-omaggio per Tasso, un'intervista radiofonica, delle video-lezioni su Ariosto, su Tasso e sul Cinquecento, una lettura a teatro dell'«Orlando furioso» e alcune schede lessicografiche per il Grande Dizionario della Lingua Italiana.

Le prime due redazioni del Baldus di Teofilo Folengo, la Paganini e la Toscolanense, contengono un ricco apparato di glosse marginali d’autore di grande interesse lessicografico. L’articolo si concentra su una particolare categoria di glosse ‘plurilingui’ caratteristica della Toscolanense: quelle che riconducono (in modo a volte serio, a volte faceto) un elemento lessicale a una data varietà linguistica (lingue classiche, lingue moderne e dialetti italo-romanzi), affiancandogli spesso una serie di voci corrispondenti in altre lingue o dialetti.
L’articolo propone quindi un saggio di glossario dialettale del Baldus nelle sue quattro redazioni (Paganini, Toscolanense, Cipadense e Vigaso Cocaio), scegliendo una trentina di lemmi (connotati diatopicamente) tra quelli attestati entro tale tipo di glosse toscolanensi. Si anticipa così la realizzazione di un glossario dialettale diacronico del poema, che, oltre a fornire la serie completa delle attestazioni nelle quattro redazioni (dal 1517 al 1552), ricostruisca per ciascun contesto la sua intera storia redazionale, rendendo possibile lo studio diacronico del lessico folenghiano.

The Italian romance epic of the fifteenth and sixteenth centuries, with its multitude of characters, complex plots, and roots in medieval Carolingian epic and Arthurian chivalric romance, was a form popular with courtly and urban audiences. In the hands of writers such as Boiardo, Ariosto, and Tasso, works of remarkable sophistication that combined high seriousness and low comedy were created. Their works went on to influence Cervantes, Milton, Ronsard, Shakespeare, and Spenser.

In this volume instructors will find ideas for teaching the Italian Renaissance romance epic along with its adaptations in film, theater, visual art, and music. An extensive resources section locates primary texts online and lists critical studies, anthologies, and reference works.

Essays by Marco Dorigatti, Joshua Reid, Leslie Zarker Morgan,  Maria Bendinelli Predelli, Giovanna Rizzarelli, Gael Montgomery, Chris Picicci, Evelyn Birge Vitz, Walter Stephens, Janet Levarie Smarr, Susan Gaylard, Bernd Renner, Bryan Brazeau, Stephen P. McCormick, Karina F. Attar, Allison DeWitt, Andrea Moudarres, Stefano Gulizia, Julia L. Hairston, John C. McLucas, Julia M. Kisacky, Maria Galli Stampino, Charles S. Ross, Phillip John Usher, Patricia E. Grieve, Morten Steen Hansen, Grant Herreid, Barbara Russano Hanning, Roberto Puggioni, Stefano Nicosia, and Andrea Privitera.
https://www.mla.org/Publications/Bookstore/Options-for-Teaching/Teaching-the-Italian-Renaissance-Romance-Epic.

N.B. The pdf is of the cover only.

Premessa. Cap. I. Lo storico e il profeta. L’età di Savonarola nella visione di Guicciardini (1. Dal dubbio al silenzio. 2. De futuris contingentibus ». 3. «Pertinacia» e «ostinazione»).
Cap. II. Un’orazione per i posteri. Della Casa e Carlo V (1. Le due ragioni ». 2. Dopo Lorenzino. 3. «Questa pestilenziosa vipera»).
Cap. III. La tradizione del macaronico nell’età della Riforma. Dagli “erasmiani” a Rabelais (attraverso Folengo) (1. Il Chorus porcorum ». 2. Le Epistolae obscurorum virorum. 3. Gli umanisti e i pedanti. 4. Gargantua e le campane di Notre-Dame. 5. Prima e dopo Folengo. 6. Epilogo).
Cap. IV. La Vergine e il «rio furore». Ferrante Carafa e l’epopea di Lepanto (1. Nel segno dell’imperatore. 2. Sonetti epici. 3. «Maria, madre della Vittoria»).
Cap. V. ‘Contro gli astrologi’. Il trattato di Savonarola attraverso il commento di Tommaso Buoninsegni (1. Prologo. 2. Buoninsegni lettore di Savonarola. 3. Gli astri inclinano. 4. Il senso della battaglia).
Cap. VI. Le rime di Tasso per Matteo di Capua (1. Il manoscritto Barberiniano. 2. Rime della Terza Parte. 3. Tra Apollo e Marte. 4. L’«alta fortuna» alla «virtù congiunta»).
Cap. VII. L’ultima frontiera. La crisi dell’Occidente cristiano nella ‘Malteide’ di Giovanni Fratta (1. Una «vanteria frodolenta». 2. L’assedio assente. 3. Ottavio bifronte. 4. Belsole. 5. Indietro tutta).
VIII. Appendice. L’immagine “generativa” nel Quaresimale di Giacomo Lubrano (1. Il Quaresimale sulla scena. 2. Una mappa. 3. Il cannocchiale di loto. 4. La zecca del diavolo). Indice dei nomi.

Alcune affinità riscontrabili tra il testo bruniano e passi biblici e platonici mostrano che, oltre al desiderio di rottura con l’ordine e il linguaggio rinascimentali, anche un’altra ragione è sottesa alla scelta realistica ed espressionistica dello stile di Giordano Bruno. Nelle opere in volgare del filosofo si può infatti riscontrare un discreto numero di rimandi alla tradizione di una figura retorica spesso trascurata dagli studi di italianistica: la parrhesia, che prevede l’utilizzo di un linguaggio aderente alle cose, senza fronzoli e artifici letterari. Per riallacciarsi alla tradizione di questa figura retorica, Bruno nei suoi dialoghi utilizza un registro espressivo improntato alla franchezza, in modo tale da presentare sé stesso con quegli attributi che hanno caratterizzato coloro i quali, come Socrate, Cristo e gli apostoli, sono stati visti, dalla nostra cultura, come portatori di una verità totalizzante. Non s’intende qui sostenere che nell’opera platonica e nelle Sacre Scritture sia presente uno stile marcatamente realistico cui Bruno s’ispiri, ma che la sua scelta espressionistica e realistica si possa considerare contestuale alla volontà del filosofo di mostrare sé stesso sotto le vesti del parrhesiastes.