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Petrarchismo: un fenomeno «insincero»

Saggio incentrato sulla profonda distanza che separa Francesco Petrarca dal Petrarchismo. Quest'ultimo, diversamente dall'autore del Canzoniere, costituisce, come afferma Antonio Gramsci, un fenomeno "insincero", ovvero "puramente cartaceo". Questa artificiosità che contraddistingue il fenomeno (rilevata anche dal Dionisotti, ma già a suo tempo dal Castiglione), costituirà poi uno degli elementi fondamentali che ne determinerà la dissoluzione.

Petrarchismo: un fenomeno «insincero» di Emiliano Alessandroni Chi scrive deve certamente porre ogni attenzione al fine di ottenere eleganza di linguaggio e schivarne la rozzezza; ma se vuole essere sicuro di piacere sempre e davvero, deve badare al pensiero: se questo sarà retto, vero e nobile, non troverà difficoltà ad essere espresso con la grazia adeguata, e sarà proprio questa semplicità a renderlo caro a chi l'ascolta. Francesco Petrarca Chi, a distanza di secoli, si troverà ad imbattersi nelle principali poesie italiane di quel petrarchismo del XIV secolo, successivo alla codificazione del Bembo, non potrà fare a meno di notare quanto la materia religiosa, caratterizzata in senso strettamente teologico, costituisca il centro di gravità e di irradiazione, di quei componimenti. Se innegabile risulta, da un lato, lo sforzo di ricalcare il modello petrarchesco sul piano stilistico, dall'altro, sul piano semantico, assistiamo ad un netto spostamento che vede surrogare l'amore per Laura con quella per Dio, ricostringendo in questo modo lo sguardo ad abbandonare la dimensione terrestre, dalla quale aveva cominciato a sentirsi attratto, per tornare su quella celeste. L'intera problematizzazione dei principi religiosi svolta dal Petrarca con Il Canzoniere e le altre opere, viene oramai a dissolversi: non v'è più spazio, ora, per quella accusa che, nel terzo libro del Secretum, Agostino rivolge a Francesco, di aver in certo qual modo relativizzato l'amore per Dio subordinandolo a quello per Laura: «mentre ogni creatura deve essere amata per amore del Creatore, tu invece», ammonisce Agostino, «preso dal fascino della creatura, hai amato il Creatore non come si conviene, ma ammirandone soltanto il suo artefice»1. Francesco aveva pertanto violato il rapporto di adorazione verticale che doveva muoversi dall'alto al 1 F. Petrarca, Secretum, a c. di Ugo Dotti, Bur 2000, p. 223. basso (non viceversa) secondo una precisa scala gerarchica che andava dall'Infinito al Finito. Se nel Petrarca assistiamo ad un ripristino dei valori terreni (riabilitazione del lavoro intellettuale e artistico, desiderio dell'uomo di realizzare le proprie personali virtù, incertezze intorno ai grandi ordini provvidenziali e consapevolezza crescente del tragico destino dell'uomo, celebrazione della civitas romana quale esempio storico di vittoria dell'umano sui vizi e i mali del mondo, ecc.) questi stessi valori, questi temi vitali, con il petrarchismo, vengono inesorabilmente meno: l'universo referenziale, quanto a varietà di problematiche umane, torna a restringersi drasticamente. Assistiamo, quindi, ad un'operazione di ridefinizione ideologica del Petrarca, conformato ora a quegli orientamenti personali, che, dal canto loro, subiscono inevitabilmente l'influenza di quelli del proprio ceto di appartenenza e riferimento. Quale esempio emblematico di questa ridefinizione semantica della materia petrarchesca possiamo annoverare la «minuziosa opera di riconversione in chiave devozionale proposta da Malipiero col Petrarca spirituale»2, ove il bruciore del petto umano scompare e la figura di Laura viene prontamente sostituita con quella di Maria: ... e 'l viso di pietosi color' farsi, ...e 'l viso uman tutto divino farsi non so se vero o falso, mi parea: con sembianti mirabili parea, i' che l'ésca amorosa al petto avea, quando su al ciel Maria il viaggio avea qual meraviglia se di subito arsi3? con gli angeli, d'amor quasi tutti arsi4. Un tale riassemblamento verticale del centro di gravità del proprio spirito, lo riscontriamo in numerosi altri poeti petrarchisti come Vittoria Colonna, tutta «volta al Signor» 5, in Michelangelo (Vorrei voler, Signor, quel ch'io non voglio), in Paolo Crivelli (Padre, se membri le mie antiche offese,/giustamente non puoi se non dannarmi, ma se la grazia tua vorrà salvarmi,/in Cristo son tutte le mie difese), e così in Luca Contile, nella Battiferri, in Girolamo Muzio ecc. Che cosa ci suggerisce questo mutamento semantico che si registra nel passaggio dal Petrarca al 2 F. Tomasi, Petrarchismo spirituale, in A.A.V.V., Lirici europei del Cinquecento. Ripensando la poesia del Petrarca, Bur 2004, p. 613. 3 F. Petrarca, Il Canzoniere, a c. di G. Contini, Einaudi, Torino 1964, p. 123. 4 F. Tomasi, cit., pp. 613-614. 5 Ivi, p. 616. petrarchismo? Nei Quaderni del carcere, Antonio Gramsci, trovandosi ad affrontare la questione, parla di «insincerità» del «fenomeno cinquecentesco del petrarchismo»: si tratta a ben vedere, secondo l'intellettuale sardo, di un fenomeno «puramente cartaceo, perchè i sentimenti da cui era nata la poesia del dolce stil novo e del Petrarca stesso non dominano più la vita pubblica, come non domina più la borghesia comunale, ricacciata nei suoi fondachi e nelle sue manifatture in decadenza. Politicamente domina una aristocrazia in gran parte di parvenus, raccolta nelle corte dei signori e protetta dalle compagnie di ventura: essa produce la cultura del '500 e aiuta le parti, ma politicamente è limitata e finisce sotto il dominio straniero»6. In effetti, quel contesto storico-sociale nel quale il Petrarca si trova a comporre i propri versi, e che inevitabilmente ha agito sulle sue opere, si è oramai completamente estinto e non nutre più la vita rinascimentale. Probabilmente, ciò che interessa a Gramsci è rilevare il carattere reazionario e inesorabilmente classista del petrarchismo; ma nell'esaminare un tale carattere le sue considerazioni contengono altresì spunti per giudizi di fattura prettamente estetica. Non si sbaglia, invero, allorché egli individua la natura puramente cartacea, dunque intellettualistica, di quel tipo di arte: il clima entro il quale ha operato il Petrarca si trova ormai lontano anni luce rispetto al Rinascimento; se sull'autore del Canzoniere si riflettono ancora gli ultimi moti sentimentali della borghesia comunale, nonché il tormentato passaggio dall'ascesa di quest'ultima alla restaurazione signorile, un ambiente e un universo emotivo ben diverso troviamo invece nel Cinquecento, dove l'aristocrazia ha ormai debellato da tempo i sussulti della folata duecentesca e ripristinato l'aura tradizionalista. Quel richiamo al Petrarca, lanciato pertanto dal Bembo, risulta privo di affinità sentimentali. Altri erano i moti d'animo, altre le inquietudini e le passioni. La forzatura, il carattere meramente cartaceo che Gramsci individua nel petrarchismo, erano già stati d'altronde evidenziati dal Castiglione nel Libro del cortegiano, dove, all'apertura dell'opera, troviamo sviluppata una polemica indiretta contro il Bembo, predendo spunto da un giudizio formulato sopra i diversi scritti del Boccaccio: ... mandovi questo libro come un ritratto di pittura della corte d'Urbino, non di mano di Raffaello o Michel Angelo, ma di pittor ignobile e che solamente sappia tirarele linee principali, senza adornar la verità de vaghi colori o far parer per arte di prospettiva quello che non è....Ma perché talor gli omini tanto si dilettano di riprendere, che riprendono ancor quello che non merita riprensione, ad alcuni che mi biasimano perch'io non ho imitato il Boccaccio, né mi sono obbligato alla consuetudine di parlare il toscano d'oggidì, non restarò di dire che, ancor che 'l Boccaccio fusse di gentil ingegno, secondo quei tempi, e che in nessuna parte scrivesse con discrezione ed industria, nientedimeno assai meglio scrisse quando si lassò guidar solamente dall'ingegno e istinto suo naturale, senz'altro studio o cura di limare i scritti suoi, che quando con diligenzia e fatica si sforzò d'esser più culto e castigato 7. 6 A. Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 2001, p. 649. 7 B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, Einaudi, Torino 1965, p. 2. Da queste riflessioni, che puntano il dito contro quell'arte artificiosa, senza vita profonda, attenta unicamente ad adornar la verità de vaghi colori, per esser culta e castigata, emerge tutto il carattere forzato e non spontaneo del petrarchismo. Su questa linea si colloca anche il Dionisotti, allorché evidenzia «il carattere di esasperata stilizzazione retorica che lungamente contraddistingue la letteratura italiana dal Cinquecento in poi, la esiguità in essa, a confronto di altre letterature, degli elementi realistici, psicologici e drammatici» 8. All'interno di questo orizzonte, la poesia «si libera sulla realtà quotidiana e sulla passione stessa» mostrando tutta «la diffidenza e lo scarto di elementi realistici e drammatici, dei quali era teoricamente riconosciuta e intimamente sentita l'insidia»9. Tuttavia, questo ritorno al Petrarca teorizzato dalla scuola del Bembo, ancorché circoscritto all'ambito stilistico, non è avvenuto senza conseguenze sui suoi assertori. Il Gramsci stesso, parafrasando Vittorio Rossi, ci insegna che «ogni lingua è una concezione del mondo integrale, e non solo un vestito che faccia indifferentemente da forma ad ogni contenuto» 10. Ardua impresa era pertanto ripristinare una lingua senza lasciar trasudare la visione del mondo ivi racchiusa, o impedire che questa si riversasse, in una qualche maniera, sopra i nuovi scenari in composizione. E così si determinò il paradosso: le passioni suscitate generavano il bisogno di evadere i confini della codificazione bembesca; il petrarchismo si avviò quindi verso una rapida estinzione per opera non già dagli anti-petrarchisti (Berni, Folengo, Aretino ecc.) ma dei petrarchisti stessi che non seppero mantener fede al proprio credo, travisandone – più o meno volontariamente - la rigorosità dei dettami. Nei componimenti di Michelangelo, incontriamo, invero, termini come squarciare, senz'altro più danteschi che petrarcheschi11, o rinveniamo il contrasto tra speme e desio (manca la speme, e pur cresce il desio)12 che rimanda al quarto canto dell'Inferno (Per tai difetti, non per altro rio , / semo perduti, e sol di tanto offesi / che sanza speme vivemo in disio) o altri espedienti letterari tipicamente personali come il verbo caparrare (c'anzi morte caparri etterna vita)13. Numerosi dantismi sono riscontrabili anche in Girolamo Muzio come l'espressione valle inferna, più volte da lui utilizzata, che rinvia direttamente al primo canto del Purgatorio (Chi v'ha guidati, o che vi fu lucerna, / uscendo fuor de la profonda notte / che sempre nera fa la valle inferna?) oppure l'espressione se 'l tuo dritto vedere in te s'interna che richiama il verso 60 del XIX canto del 8 9 10 11 12 13 C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, Einaudi, Torino 1999, p. 44. Ivi, p. 45. A. Gramsci, cit., pp. 644-645. F. Tomasi, cit., p. 622. Ivi, p. 624. Ivi. Paradiso: com' occhio per lo mare, entro s'interna. Il petrarchismo è venuto dunque sgretoalndosi anche per le proprie debolezze interne dovute al suo carattere artefatto e calcolato. Non avrebbe potuto serbare a lungo la propria tenuta un fenomeno puramente cartaceo senza che bagliori di sincerità e genuinità emotiva penetrassero, di tanto in tanto, entro quegli angusti confini. La grande arte (in questo, va detto, aveva avuto ottime intuizioni il De Sanctis) rivela, nella sua tendenza di fondo, un'irresistibile attrazione per la vita.