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“ENSA”, OVVERO COME CONTINUARE A INSEGUIRE TRA I TOPONIMI L’ORIGINE DI UNA PAROLA Vanni Màfera* - Giovanni Roman Relazione tenuta il 18 febbraio 2022 Abstract I nomi di luogo ed in particolare gli idronimi, pur senza codifica scritta, risalgono frequentemente a tempi lontanissimi. Una voce dialettale trevigiana, oggi desueta ma riconducibile all'elemento acqua, fa eccezionalmente luce su una semantica antichissima, diffusa dall'Africa in Europa attraverso la toponomastica, secondo tempi e modalità che possiamo tentare di collocare sul piano sincronico e diacronico. * * * Il sostantivo femminile di dialetto trevigiano ensa era ancora ben vivo fino alla seconda guerra mondiale. Oggi, vive solo nella memoria di qualche anziano, ma non è più usato, forse per il timore che non venga compreso dal resto dei parlanti. Il significato è quello di ‘acqua’, alluvionale e meteorica di fiume, o fosso, o lago ecc … Son cascà in ensa ‘sono caduto in acqua’, cori se no te ciapi a ensa ‘corri altrimenti prendi l’acquazzone’, noàr soto ensa ‘nuotare sott’acqua’. Nessun dizionario veneto tratta questa forma come criticità etimologica. Angelico Prati1 lo registra come gergale * Giovanni Màfera, Treviso, 18 luglio 1920-Treviso, 16 novembre 2008. 1 Angelico Prati, Voci di gerganti, vagabondi e malviventi studiate nell’origine e nella storia, Pisa, Cursi, 1940, p. 119. 243 VANNI MÀFERA - GIOVANNI ROMAN nella forma lenza, ed Ernesto Ferrero2 lo dà addirittura come slenza. Il Dizionario Etimologico Italiano dà anche una voce lenza di origine senese per ‘pioggia fitta, insistente’. Crediamo che la ‘l ’ iniziale sia dovuta alla conglutinazione dell’articolo, e che a questa si sia aggiunta secondariamente la prostesi rafforzativa di ‘s’. Gergale potrebbe essere il derivato lenzir ‘fare acqua’ cioè orinare, e così pure altri derivati. Assai poco credibile la lettura – probabile, invece, secondo il Prati e sicura per il Ferrero – che l’origine del nome comune ensa/enza/lenza sia da ricercare nel nome proprio del fiume emiliano Enza, affluente del Po, a fronte della diffusione e antichità del significante in questione. Infatti, al riguardo la ricerca linguistica ha da tempo individuato quel semantema in una serie di idronimi e toponimi sparsi in una parte abbastanza estesa del territorio europeo e attraverso un’alternanza vocalica ens(-enz)/-ans(-anz) e più raramente anche -ons(-onz). Il riferimento è a quelle “formanti con -nt-, specie -ntia” di cui parla Giovan Battista Pellegrini3 di rimando al Krahe, citando per esempio AVENTIA>Avenza presso Carrara e un’altra località omonima nel territorio dei Sabini. Al riguardo, anche il linguista lombardo Claudio Beretta,4 nella sua fondamentale opera sulle strutture linguistiche preistoriche, rileva come molti siano i toponimi risultanti dall’unione tra la radice -av come prima formante ed il suffisso -anza/enza, come seconda formante: tra i tanti esempi ricordiamo, Évigny ed Évans in Francia, l’Evançon torrente della Valle d’Aosta o Avenches ed il torrente Avançon in Svizzera. Queste seconde formanti, – specialmente -anza – tutte con il significato di “fiume”, o “acqua”, ci parlano di possibili avvicendamenti linguistici – e quindi etnici – nei diversi orizzonti territoriali. Soprattutto la variante anz non è lontana dalla formante -ant- “molto frequente nell’antica idronimia europea” come riporta anche Carla Marcato5 per quanto riguarda il torrente Baganza <*BAGANTJA, ubicato nell’Appennino Tosco-Emiliano. Se il 2 Ernesto Ferrero, Dizionario storico dei gerghi italiani, Milano, Mondadori, 1991, p. 323. Giovanni Battista Pellegrini, Toponomastica Italiana, Milano, Hoepli, 1994, p. 370. 4 Claudio Beretta, I nomi dei fiumi, dei monti, dei siti, Milano, Hoepli, 2002, p. 246. 5 Carla Marcato, (ad vocem) in Dizionario dei Toponimi Italiani (DTI), Torino, UTET, 1990, p. 54. 3 244 “ENSA”, OVVERO INSEGUIRE TRA I TOPONIMI L’ORIGINE DI UNA PAROLA linguista veronese Dante Olivieri6 infine, fra i “nomi locali attinenti alle condizioni del suolo” riporta lanza “nel senso di rivo, canale”, altrettanto fa il bellunese Giovanni Battista Pellegrini7 che lo riconduce a base latina di vari derivati toponimici di ambito geonomastico. La nostra indagine, ben lontana da una qualsiasi conclusione,8 si è svolta su una scala geografica europea, riscontrando tale forma, oltre che in Italia, anche in Austria, Svizzera, Spagna, Francia, Portogallo, Germania, Paesi Bassi. Tuttavia, è stato qui dato più risalto ad ensa – e simili, come idronimo italiano e veneto in particolare. Questa serie di toponimi e idronimi, comunque significativa, costituisce quindi una piccola base utile a intendere i termini della questione. Se l’interpretazione etimologica di molti toponimi già fornita dagli specialisti ha posto il problema di rapportare il semantema ensa con la toponomastica esistente, riteniamo che nei nomi di luogo in prossimità di acque in genere, ma specialmente corsi d’acqua, tale semantema possa essere nascosto entro formazioni suffissali, antiche sì, ma non tanto quanto il semantema stesso, forse preesistente. Dunque, in suffissi come -enzago / -anzago, -enzano / -anzano, per esempio, il valore semantico di enza/ensa può benissimo coesistere con una connotazione di tipo prediale, riconducibile, cioè, ad antico proprietario. Nella pianura ricca di acque intorno a Treviso, per esempio, abbiamo Lanzago vicino al fiume Sile ed al suo piccolo affluente Melma. Nei pressi una via Lanzaghe ha un nome che, accostato a lanza, indicherà senza dubbio terreni bagnati da acque, correnti o stagnanti. Dalla foce del Melma risaliamo alle sorgenti: precisamente a Lanzenigo, per sancire la fine e l’inizio di uno spazio fluviale, che ab immemorabili costituiva forse la risorsa idrica per eccellenza di una ristretta comunità rivierasca. Al riguardo, la ricerca archeologica ha individuato i resti di una probabile conduttura artificiale romana sviluppata tra il Montello e le sorgenti del Melma, denominate Fontane Bianche.9 Attiguo al territorio del Melma, 6 Dante Olivieri, Toponomastica veneta, Venezia, Fondazione Cini, 1961, p. 11. Giovanni Battista Pellegrini, Dal venetico al veneto, Padova, Editoriale Programma, 1991, pp. 167 e 187. 8 Giovanni Màfera, Giovanni Roman, Saggi minimi di dialettologia veneta, Silea (Treviso), Piazza Editore, 2006, pp. 88-96. 9 Achille Costi, Luciano Lazzaro, Bruno Marcolongo, John Visentin, La centuriazio7 245 VANNI MÀFERA - GIOVANNI ROMAN troviamo quello di Plovenzano, in dialetto locale Pioensan, anch’esso riconducibile a breve corso d’acqua. Più ad est, in prossimità dell’antico attraversamento sul Piave, il prosieguo della nostra attività di ricerca ha permesso una revisione etimologica del toponimo Zenson di Piave,10 che il linguista Pellegrini derivava dal personale Gentios attestato da iscrizioni venetiche. Più precisamente, questo è idronimo riconducibile ad un breve rio parallelo al Piave e che per un processo metonimico dà il nome al contiguo abitato. L’azione identificativa è proseguita analizzando il microtoponimo Dhentelen, ‘acqua’ ubicato nel comune di Fontanafredda, in provincia di Pordenone e utilizzato per indicare un’importante sorgente usata per secoli, ma ormai da alcuni decenni abbandonata al degrado e non più attiva. In considerazione della semantica palese del nome Fontanafredda, anche Dhentelen – nome in cui il dh rappresenta la pronuncia interdentale di z sonora – costituisce una significativa forma toponimica connotativa, ma al tempo stesso distintiva, dovuta alla necessità di identificare le numerose sorgenti del territorio, tramite l’uso obbligato di una certa varietà toponimica. Qui, infatti, per secoli pastori, allevatori e mandriani stazionavano ed attraversavano un territorio ricco di pascoli e risorgive sia nel senso della longitudine, che della latitudine, garantendo un vitale scambio di merci e idee tra le Alpi, il bacino danubiano e la Pianura Padana. Ad est del Piave, ma ad ovest del Tagliamento, zona cuscinetto tra Veneto e Friuli, o più precisamente area dialettale mista veneto-friulana, troviamo il fiume Livenza (lat. LIQUENTIA, *Liguentia), che sembrerebbe riflettere una morfologia del nome nella quale il valore semantico (di *-enz) è rimasto assorbito nel suffisso -enza / -anza. Questo potrebbe essere, per esempio, anche il caso del Rienza, affluente dell’Isarco in val di Landro originato dallo spartiacque di Dobbiaco (*duplum aqueum?) e attestato anche come Rionzus, particolarmente interessante perché il suffisso qui sembra comporsi con il gallico *RINUS (> Renus, Reno) confermato poco più a sud dalla Val da Rin presso Auronzo. In Val Venosta, sul tratto iniziale dell’Adige troviamo Glorenza – Glurns in tedesco – dene romana fra Sile e Piave nel suo contesto fisiografico. Nuovi elementi di lettura, Padova, CNR-Istituto di Geologia Applicata, 1992, carta n. 1. 10 Cfr. Giovanni Battista Pellegrini, Aldo Luigi Prosdocimi, La Lingua venetica, Padova, Istituto di Glottologia dell’Università di Padova, 1967, p.404. 246 “ENSA”, OVVERO INSEGUIRE TRA I TOPONIMI L’ORIGINE DI UNA PAROLA rivato forse da glarea e dal suffisso -enza. Sulla Drava, poco oltre il confine italiano, si trova Lienz e sempre sul versante austriaco, l’Inn, fiume di Innsbruck e l’Enns che scorre nell’Ennstal. Tornando nella Marca Trevigiana, si incontra nuovamente la variante -onz in Semonzo, lungo il torrente di Santa Felicita ai piedi del monte Grappa; nel Bigonzo, fiumiciattolo a sud di Treviso, e nel Dragonzuolo (dial. anche Dragansiol), altro fiumiciattolo un po’ più a sud ma già in provincia di Padova, fra Piombino Dese e Trebaseleghe, la cui semantica fa riferimento ad un andamento serpeggiante. È presumibile che in questi casi siano avvenute delle trasformazioni di -enz in -onz che hanno poi attratto una -o finale. Qual è dunque l’origine di una voce che sembrerebbe così produttiva di toponimi e soprattutto idronimi? Anche se è molto difficile stabilirlo, ancora una volta riteniamo sia l’Africa, culla dell’umanità, a poterci dare alcune parziali risposte. Con ogni probabilità, almeno secondo l’antropologia fisica, è infatti lì che i primi parlanti dotati di un sistema di articolazioni fonetiche identico al nostro, cioè della specie umana homo sapiens sapiens, compaiono circa 100.000 anni fa, per poi diffondersi sul resto del pianeta. Identiche anche le funzioni neurologiche deputate al linguaggio, organizzato intorno ai medesimi sillogismi. Pur in assenza di regesti scritti, insomma, già in un tempo così lontano, dobbiamo immaginare un sistema semantico e di suoni ad esso correlati, tale da essere riproducibile da tutti, e da tutti riconoscibile e accettato: in sostanza, quello che chiamiamo lingua. Il Lago Vittoria, come è noto così chiamato in onore della sovrana britannica, costituisce una delle maggiori risorse di acqua dolce di tutto il continente nero. Ma è stato il nome di questo in lingua sukuma, gruppo etnolinguistico bantu a sudest del lago, ad attirare la nostra attenzione e ad imporci un ampliamento dell’ambito geografico di ricerca. L’idronimo in questione è “Nyanza”, che significa “grande acqua”, anche in lingua kinyarwanda.11 Come spiegare, allora, la presenza del medesimo significante in una Europa geograficamente e linguisticamente così lontana? Anche se le circostanze del rilevamento di questo idronimo africano impongono una certa prudenza, possiamo darne per molto probabili la sua antichità ed il suo carattere conservativo da un punto di vista 11 Dizionario Enciclopedico Italiano, Vittoria (Lago) (ad vocem), vol. XII, p. 826. 247 VANNI MÀFERA - GIOVANNI ROMAN fonetico. Una presenza così massiccia e diffusa dell’idronimo sembrerebbe portare verso una primordiale codificazione semantica di un elemento di fondamentale importanza quale l’acqua. Nella percezione umana il Lago Vittoria sarebbe stato quindi identificato come la riserva d’acqua per antonomasia. Secondo un’ottica strettamente migratoria, ai fini di una possibile trasmissibilità linguistica del toponimo la sua collocazione nei pressi del sistema Rift Valley/bacino del Nilo potrebbe essersi rivelata decisiva. Ma altrettanto decisiva sembrerebbe la demarcazione europea dell’ensa, cioè dell’acqua come requisito minimo ed irrinunciabile per garantire ai gruppi umani abitabilità e sopravvivenza, sia a livello stanziale che migratorio. Per effetto di queste considerazioni, la ricerca dovrà quindi proseguire nelle seguenti direzioni: - Individuazione e censimento di tutte le attestazioni del toponimo e delle varianti, con particolare attenzione nei confronti delle forme opacizzate - Studio dei dati di cultura materiale, non sono archeologici, ma anche demo-etno-antropologici - Studio dei dati genetici Tutto questo, ai fini di chiarire se, tra Africa ed Europa, ci troviamo di fronte ad un suono di tipo onomatopeico in seguito codificato in una forma grafica con le sue varianti, oppure ad una voce antica quanto l’umanità più recente. La diffusione del termine su scala molto più ampia e non solo per l’esito puramente fonetico, morfologico e fonologico del termine stesso, impone senza dubbio alcuno di riconsiderare la questione e di avviare fin da subito una serie di studi di semantica e fonetica di tipo comparativo, per accertare – o perlomeno ipotizzare – un percorso del termine o della radice semantica in termini diacronici e sincronici. 248