L’ANTICA VIA ONGARESCA
Giovanni Roman
Relazione tenuta il 10 aprile 2015
Da circa un trentennio la ricerca di Aldo Angelo Settia1, si muove in
anticipo sui tempi tra toponomastica, storia e archeologia, analizzando
l’assetto viario medievale ed evidenziandone l’originalità, oltre che il retaggio romano. Un altro importante studio di Giampaolo Cagnin2, Vie di
comunicazione tra Veneto continentale e Friuli, indaga a fondo il ruolo delle
principali strade nel contesto geografico dell’Italia nordorientale ed offre
nel contempo alcuni importanti spunti di riflessione a partire dagli odonimi. Documenti alla mano, infatti, sia l’alto che il basso medioevo risultano epoche nelle quali il potere politico, su scala locale come europea, riesce a tracciare ex novo, mantenere in efficienza e inghiaiare numerose strade, oppure a ripristinare e riparare quelle antiche. Di tutte queste, una
parte ha attraversato i secoli, oltre che i territori, giungendo fino a noi. Il
carattere solitamente conservativo dei tracciati stradali antichi e medievali
sopravvissuti, ma spesso anche dei loro nomi, permette qualche ulteriore
riflessione utile alla comprensione delle dinamiche insediative e dei flussi
di traffico tra altomedioevo ed età moderna. Il toponimo Ongaresca, solitamente collegato al temibile popolo predone che tra il IX ed il X secolo
sconvolse e devastò a più ondate buona parte dell’Europa, si riscontra frequentemente sulla documentazione in riferimento a strade e vie (Fig. 1).
1
Aldo Angelo Settia, «Pagana», «Ongaresca», «Pelosa»: Strade medievali nell’Italia del Nord,
in “Studi storici”, (1986), n. 3, pp. 649-666.
2
Giampaolo Cagnin, Vie di comunicazione tra Veneto continentale e Friuli, in AA.VV., Per
terre e per acque. Vie di comunicazioni nel Veneto dal Medioevo alla prima età moderna, “Atti del
Convegno Castello di Monselice (Padova) 16 dicembre 2001”, a cura di Donato Gallo e
Flaviano Rossetto, Padova, Il Poligrafo, 2003, pp. 119-164.
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Fig. 1 - L’antica Ongaresca in Friuli
L’opinione storiografica e linguistica prevalente, infatti, mette il toponimo in relazione alle scorrerie degli Ungari, osservando la sua notevole
diffusione in Friuli e Veneto, ma anche – sporadicamente – in Emilia,
Lombardia e Piemonte.3 Il Settia rileva che, almeno in parte, tali toponimi
3
Aldo Angelo Settia, Gli Ungari in Italia e i mutamenti territoriali fra VIII e X secolo, in
Magistra Barbaritas, Milano, Garzanti Scheiwiller, 1990, pp. 185-218; pp. 198-200. Giovanni
Battista Pellegrini, Tracce degli Ungari nella toponomastica italiana ed occidentale, in Popoli
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potrebbero però essere riconducibili alla diffusione del nome di persona
Hungarus, ben attestato in Lombardia sin dai primi anni del IX secolo. La
cosa, quindi, sembrerebbe cambiare di molto i termini della questione per
una parte non facilmente quantificabile delle attestazioni, perché all’epoca
in Europa occidentale gli Ungari erano ancora pressoché sconosciuti. Ma,
alludono agli Ungari anche campi, ponti, guadi ed altri elementi geografici presso strade che non sempre vengono chiamate ongaresche.4 Tuttavia,
se le popolazioni autoctone riconoscevano perlomeno in alcune delle strade ongaresche le principali corsie di penetrazione degli invasori magiari,
possiamo senz’altro dare credito a tale lettura, perché azioni di razzia così
rovinose e capillari non potevano sicuramente prescindere da un’accurata
pianificazione, ma soprattutto da strade facilmente percorribili, disponibilità di cavalli, carri capienti e veloci per un rapido trasporto del bottino e
per un’altrettanto celere ritirata in condizioni di sicurezza. Di queste direttrici di penetrazione la principale – o una delle principali – era quella definita dalle fonti “via Ungarorum”, oppure “via pubblica quam stratam
Hungarorum vocant”. In particolare, un diploma di Corrado II del 1028,
con l’espressione “vulgo dicitur [via] vel strata Ungarorum”, anziché “vastata Ungarorum”, come si è spesso erroneamente letto, rende perfettamente
l’idea di quale fosse la percezione comune della via dalla Valle del torrente
Vipacco, presso Gorizia, fino alla pianura friulana e veneta.5 Tuttavia, la
più antica attestazione dell’esistenza di questa “Ungaresca” si trova in un
diploma di Berengario del 21 marzo 888. Tramite l’atto il re confermò ad
Alberto, abate di Sesto, le concessioni fatte dai predecessori con l’aggiunta
di nuove.6 In definitiva, dal punto di vista delle popolazioni italiane, ongaresca non era solo una connotazione legata alla frequentazione della strada
da parte di un’etnia in occasione di eventi particolarmente drammatici,
quanto un riferimento direzionale etnico-geografico ed il fatto che sia
delle steppe: Unni, Avari, Ungari, “Atti della XXXV Settimana di Studio”, Spoleto (Perugia),
CISAM, 1989, pp. 307-340; pp. 321-339. Dante Olivieri, Toponomastica veneta, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Centro di Cultura e Civiltà, Scuola di S. Giorgio per lo studio della Civiltà
Veneziana, Istituto di Lettere, Musica e Teatro, S. Giorgio Maggiore, 1961, p. 10.
4
Settia, op. cit., pp. 657-658.
5
In sede archeologica, da rilevare l’assenza di insediamenti stabili magiari nei pressi della strada, come altrove in Europa occidentale. Tuttavia, ad una più attenta osservazione, l’odierno abitato di Orsago, ubicato nei pressi dell’itinerario ongaresco ai limiti nordorientali della Marca,
sembra toponimo riconducibile al magiaro ország, ‘nazione’, traducibile anche come ‘terra’ e ‘villaggio’.
6
Cfr. Luigi Schiaparelli, Diplomi di Berengario, I, Fonti per la Storia d’Italia, n. 35, pp. 813, doc. n. 2.
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menzionata undici anni prima dell’inizio delle razzie, deve fare riflettere.
E in effetti gli storici europei non attribuiscono le deleterie invasioni a
tutto il popolo magiaro nel suo insieme, bensì ad una sorta di “borghesia
guerriera” che nelle razzie aveva sicuramente investito parecchie risorse
umane e materiali. Dunque, per tutto il medioevo, il nome in questione
definisce tendenzialmente la via o l’insieme di vie percorse per svolgere le
attività commerciali verso l’Ungheria, i cui mercanti transitavano per il
Veneto Orientale ed il Trevigiano, in particolare. Un atto processuale risalente al novembre del 1259, infatti, riferisce che sul guado tra S. Maria del
Piave e Lovadina transitavano mercanti provenienti dall’Ungheria e da
altri luoghi7 per vendere il bestiame ed altre merci a Venezia, da sempre
protesa ad ampliare i propri commerci su scala internazionale.
Naturalmente, dove ci sono interessi economici, spesso ci sono anche contenziosi e l’accezione toponomastica legata alle scorrerie, torna prepotentemente nell’immaginario collettivo a causa delle guerre intercorse tra
Venezia e i re ungheresi che, durante la seconda metà del Trecento, fanno
invadere a più riprese il Trevigiano.8 Ma se i Magiari giungevano in Italia
per scopi prevalentemente commerciali, altrettanto facevano gli antichi
Italiani in Ungheria. Come ha rilevato il filologo János Balázs, in lingua
ungherese vendég è sinonimo di ‘ospite’ e ‘straniero’,9 derivato dall’etnico
veneticus attraverso la forma venedego, a testimoniare il fatto che fin dall’altomedioevo i primi stranieri a giungere con continuità nell’attuale
Ungheria erano i mercanti ed i religiosi veneti. Ciò è dovuto al fatto che
essi frequentavano la Puszta per la compravendita dei rabszolgák, cioè gli
schiavi, ma anche per la conversione di quelli genti. Uno dei principali
evangelizzatori degli antichi Ungheresi nell’XI secolo è infatti il nobile
veneziano S. Gherardo di Csanád, al quale la tradizione agiografica postuma, senza alcun fondamento storico, ha assegnato un’appartenenza alla
famiglia patrizia dei Sagredo. L’Ongaresca è dunque un itinerario compreso tra le Alpi Giulie e la Laguna veneta che le fonti medievali – almeno per
quanto riguarda il tratto friulano – chiamano anche Stradalta, a motivo di
una localizzazione più settentrionale rispetto alla parallela direttrice viaria
rappresentata dal sistema delle vie consolari Postumia e Annia. Per
l’Ongaresca non vi sono prove certe dell’origine romana di una via che, a
7
Cagnin, op. cit., p. 120.
Cfr. Tibor Tombor, Luigi il Grande, re d’Ungheria assedia ripetutamente e invano la città
di Treviso, in Due Ungheresi nella storia di Treviso. Fra Maurizio d’Ungheria (1276-1336). Re Luigi
il Grande contro Treviso (1356-1379), Treviso, a cura dell’Ateneo di Treviso, 1987, p. 29.
8
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differenza di quelle consolari, non era costituita da una traccia sedimentaria antropica ben precisa, ma probabilmente, almeno per alcuni tratti, si
presentava come una direttrice viaria costituita da un fascio di strade terrose o inghiaiate, a volte intrecciate, secondo modelli stradali tipici degli
itinerari medievali di pellegrinaggio o di transumanza, specialmente se
lunghi e strutturati. Come hanno evidenziato Aldo Angelo Settia e
Giampaolo Cagnin, nel medioevo era sufficiente un andamento direzionale comune ad una strada importante per assumerne la denominazione
ed il caso più famoso è rappresentato dalle strade del Trevigiano con andamento est-ovest, che nella documentazione medievale e postmedievale
vengono chiamate “Postumie”. Di conseguenza, se di solito è relativamente facile riconoscere una sede stradale di origine romana, soprattutto con
l’ausilio delle tecnologie informatiche, è invece molto più complesso individuare precisi tracciati stradali medievali e postmedievali – non più in
uso – per i quali, senza documentazione e tracce in situ, ci si deve prudentemente limitare ad ipotizzarne le direttrici. Anche la presente proposta di
tracciato presenta evidenti limiti dovuti ad una ricostruzione operata utilizzando i tasselli ricavati da un palinsesto documentario distribuito su un
arco cronologico lungo oltre un millennio. Da un punto di vista metodologico, quindi, per individuare il tratto trevigiano dell’Ongaresca (o perlomeno del suo assetto tra il Cinquecento ed il Seicento) si è fatto riferimento alle seguenti fonti:
- citazioni sulla documentazione a partire dal secolo IX
- mappe catastali dei secoli XVI, XVII e XVIII
- evidenze architettoniche
- evidenze topografiche
- analisi etimologica dell’antica toponomastica
Se il tracciato del tratto friulano è stato individuato con sufficiente precisione, almeno nella sua direttrice principale, grazie all’identità Ongaresca-Stradalta, non altrettanto si può dire di quello veneto. Un saggio di
Adolfo Vital (Fig. 2) pubblicato nel 1911, intitolato Di un’Ongaresca nel
distretto di Conegliano, costituisce il primo serio tentativo di indagare la
topografia dell’antica strada, in particolare del tratto compreso tra il
Livenza ed il Piave. Il Vital,10 di fronte all’avanzata delle trasformazioni
9
Giovanni Battista Pellegrini, Ricerche di toponomastica veneta, Padova, Clesp, 1987, p. 35.
Adolfo Vital, Di un’Ongaresca nel distretto di Conegliano, Venezia, Istituto Veneto di Arti
Grafiche, 1911.
10
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antropiche del territorio coneglianese, documenta con una certa precisione il tratto dell’Ongaresca compreso tra la sponda sinistra del fiume Piave
ed il territorio comunale dell’odierna S. Fior. Lo storico coneglianese,
infatti, riporta che, in senso sud-nord, la strada
Parte dal greto del Piave a casa Tonon, in comune di S. Lucia e col nome di
strada vicinale della Barca o del Passo, percorre un rettifilo di km 1,250, fino
a casa Sanchetta, dopodiché entra con leggera curva in comune di Mareno. A
casa Fighera staccatasi dalla strada della Barca, prende il nome di Ongaresca,
che conserverà ininterrottamente fino a S. Fior di Sopra. A casa La Sega si
muta in comunale e procede prima diritta verso il nord, poi con leggera curva
si sposta verso il nord-est passando alla distanza di 1 km dalla frazione Bocca
di Strada e a m 650 da Cittadella: arriva a superare il Monticano a Ramera
continuando tortuosa fino al confine col comune di S. Vendemmiano e mantenendosi comunale e in manutenzione. Dal ponte dell’Ongaresca della strada Conegliano-Codognè, che la interseca ad angolo retto, diviene vicinale
fuori manutenzione e rivolta a nord-est, taglia i torrenti Cervada e Cervadella,
passa a mezzo km al sud-est di Cosniga, arriva in comune di S. Fior, superando la Fossadella tra Capo di sotto e Capo di sopra. In questo ultimo tratta ci
apparisce come una viottola campestre e tale rimane nel comune di S. Fior:
soltanto, dopo l’incrocio con la ferrovia Treviso-Udine e prima della S. Fior
di sopra-S. Fior di sotto, venne per breve tratto ristaurata di recente. Dopo,
continua del pari vicinale e fuori manutenzione, ed ha ai lati due larghi fossati. All’altezza della strada vicinale di Sarmede, dopo una leggera salita, resa
più ampia e diritta, improvvisamente si arresta presso una siepe che segna il
limite di una proprietà privata, a poca distanza dalla via comunale S. Fior di
sopra-Pianzano. Complessivamente l’Ongaresca ha oggi una lunghezza di km
13,875 (escludendo i km 1,250 della via della Barca), dei quali, km 7,500 vennero modernamente riattati e costituiscono vie comunali in manutenzione, e
km. 6,375 sono rappresentati da viottole campestri in abbandono. Transita
nei comuni del distretto di Conegliano (Mareno-Conegliano-S. Vendemiano-S. Fior). Non ha dei veri rettifili, ma conserva, se si faccia eccezione per il
tratto tortuoso vicino al fiume Monticano, una costante tendenza verso nord
dal Piave a Bocca di Strada, e verso nord-est di qua a S. Fior. Rileviamo l’ampiezza e la forma della via medievale soltanto fra l’incrocio della comunale S.
Vendemmiano-Zoppè e quella S. Fior di sopra-S. Fior di sotto, sommando la
larghezza dei capaci fossi laterali a quella della strada venuta sempre più assottigliandosi; più distintamente ancora nell’ultimo tratto diritto, dove osservasi
ancora una pietra miliare collocata sulla via, larga in questa località ben 8
metri.11
11
Id., pp. 497-498 (nota).
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Fig. 2 - La mappa dell’Ongaresca da Conegliano al Piave disegnata dal Vital
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Il Vital, nel suo tentativo di rintracciare il tratto trevigiano dell’antica
pista si ferma qui, per il mancato riconoscimento del tracciato più a nord,
dovuto a lacune documentarie e alla mancanza di tracce sul terreno. Egli,
inoltre, lungo il tratto indagato rileva la presenza di toponimi come, per
esempio, “pagano” e “del diavolo” i quali, nella percezione medievale, si
riferiscono ad opere stradali tracciate da genti che, agli occhi di chi subiva
rovinose invasioni, di cristiano non dimostravano alcunché. Il Settia, in
particolare, sulla base di tante attestazioni simili nel resto d’Italia, nota la
presenza dei pagani o del diavolo nella toponomastica come allusione
all’antichità del sito.12
La storia dell’Ongaresca è strettamente connessa a quella del monastero-ospedale di S. Maria del Piave, del quale si hanno notizie a partire dal
1009. Di questo complesso, sorto inizialmente per scopi di carità e ospitalità in loco qui Talpone vocatur in territorio Cenetensi, abbiamo le prime
notizie grazie ad una trascrizione documentaria dello storico settecentesco
Flaminio Corner.13 Pier Angelo Passolunghi sostiene una probabile edificazione di tale complesso ospitaliero e monastico sulla sponda sinistra del
fiume, in un’area oggi ubicata nel territorio comunale di S. Lucia di
Piave14 e posta di fronte a Lovadina che, sulla sponda opposta, era sede dell’antica curtis comitale documentata a partire dall’anno 958. Che l’ospedale di S. Maria si trovasse sull’Ongaresca, lo sappiamo con certezza da un
atto del 1120, nel quale si legge (…) in prenominato loco Talpone, scilicet a
via que dicitur Ungarica…15 Una preziosa lettera di Venceslao Porcia,
abate di S. Maria, indirizzata al doge Francesco Foscari, risalente al 1456,
attesta che l’ospitale di S. Maria cambiò sede per tre volte. Infatti, dopo la
distruzione del più antico edificio, avvenuta in data imprecisata a causa
delle rovinose piene plavensi, venne ricostruito presso l’Ospedal de Piave,
località riportata sulle antiche carte topografiche, come testimonia una
mappa del 1532 conservata all’Archivio di Stato di Venezia (Fig. 3).
L’edificio, come risulta da un documento del 1439, era ancora in diocesi
12
Settia, 1986, op. cit., p. 649.
Flaminio Corner, Ecclesiae Torcellanae antiquis monumentis nunc etiam primum editis
illustratae, Venezia, 1749, v. II, pp. 253-257, 297-320. Pier Angelo Passolunghi, L’hospitalemonasterium di Santa Maria del Piave (secc. XI-XV), Vittorio Veneto (Treviso), Editoriale
Altrisegni-Centro Studi Antico Comitato Cenedese, 1980.
14
Passolunghi, op. cit., p. 6.
15
ASVE, Fondo S. Maria degli Angeli di Murano, b. 22, sacchetto 24. Cfr. Passolunghi, cit.,
pp. 6-8.
13
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A
B
Fig. 3 - L’Ospedal de Piave
cenedese16 perché il confine in quel tratto, come mostra chiaramente la
mappa del 1532, evidentemente coincideva con l’alveo del “Ramo de Lovadina secho” (A, Fig. 3), oggi riempito da un tratto del Canale della
Vittoria. Distrutto anche l’edificio ubicato in località Ospedal de Piave (B,
Fig. 3) da una rovinosa piena del fiume nel 1455, il monastero-ospedale
venne ricostruito subito dopo in diocesi trevigiana, nel sito oggi occupato
dalla parrocchiale di Lovadina17.
Dalla sponda destra del Piave, come riportato sulla carta catastale settecentesca (Fig. 4), la strada si dirigeva verso sud, percorrendo le attuali vie
16
Passolunghi, op. cit., pp. 33-34.
Qui, le ricerche condotte dal Gruppo Archeologico del Montello nel 1996, in occasione di
scavi edilizi, hanno portato all’individuazione di resti pavimentali e di alzati probabilmente
appartenenti all’antica abbazia. Cfr. Tarcisio Zanchetta, Santa Maria di Lovadina, Treviso,
Edizioni Linea del Piave, 2005, p. 69.
17
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Fig. 4 - La carta seicentesca del tratto di strada presso Visnadello (concessione n. 17/2016
ASTV).
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Fig. 5 - Il tratto di Ongaresca tra il Piave e S. Maria della Carità
Barcador, Pio VI, Vittorio Veneto e Marconi, fino ai pressi dell’antico
monastero di S. Maria della Carità e alla località omonima, anche oggi
così denominata (Fig. 5). Sebbene nello spazio compreso tra Carità e la
Strada del Guazzo (Fig. 6) non vi siano tracce documentarie riconducibili
alla strada Ongaresca anteriori al XIX secolo, sono del parere che, per
superare lo stato d’impasse della ricerca, sia opportuno spostare i termini
della questione su un piano strettamente topografico. L’area, infatti, lambita dal Limbraga, era perfettamente funzionale al transito e ristoro delle
mandrie e delle greggi, che potevano riprendere vigore e peso prima di
transitare per Treviso. Il Limbraga,18 uno degli affluenti di sinistra del Sile,
nel quale confluisce presso il quartiere di Fiera, nasce da alcune polle di
risorgiva situate in località Lancenigo, nei pressi della linea ferroviaria
18
Precedentemente, sembra che il fiume fosse chiamato Lambia. Giovanni Bernardi, S. Maria del Rovere nel passato e nel presente. Appunti storici, Vedelago (TV), Ars e Religio, 1944, p. 56.
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Fig. 6 - L’Ongaresca tra Carità e la Strada del Guazzo
Venezia-Udine. La nota Kriegskarte curata da Anton Von Zach mostra
molto chiaramente che il fiume, prima degli interramenti causati dai lavori per la tratta ferroviaria inaugurata nel 1855, nasceva circa 1 km più a
nord, alimentato da risorgive ubicate presso l’attuale stazione di
Lancenigo. Il villaggio di Limbraga, che con ogni probabilità trae il nome
dal fiume, viene menzionato su una pergamena del 119319 come luogo in
cui si eseguivano le condanne alla pena capitale. Questo idronimo, attestato anche come Lembraga, secondo il linguista Dante Olivieri20 deriverebbe dall’antroponimo *Alimbricius, ma una più recente analisi etimologica21 ha rilevato un nesso tra il nome e la voce dialettale lembro, espressione di un concetto di fertilità strettamente connesso allo strato superficiale
19
BCapTV, Scotti, Series Episcoporum, vol. II, doc. V, p. 13.
Un tentativo è stato compiuto da Olivieri, op. cit., p. 20.
21
Giovanni Màfera-Giovanni Roman, Saggi minimi di dialettologia veneta, Silea (TV),
Piazza Editore, 2006, p. 114-115.
20
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Fig. 7 - L’Ongaresca tra Carità ed il guado sulla Limbraga
delle superfici erbose.22 Il suffisso -braga, invece, è riconducibile al termine
latino tardo braga (braca), ‘canale’23 e all’attività di pesca ivi praticata.
Quindi, da un punto di vista etimologico si potrebbe interpretare il toponimo come un ‘fiume che attraversa pascoli ricchi’. Per questo motivo
(Fig. 7) ritengo che i viaggiatori e soprattutto le mandrie ne seguissero il
corso sulla sponda destra fino alla Via del Guazzo, cioè il guado, all’altezza
dell’attuale ippodromo. Di qui l’Ongaresca (Fig. 8), passata sulla sponda
sinistra del Limbraga, continuava verso sud lungo l’attuale Via S. Artemio
fino al punto in cui intersecava nuovamente il fiume a sud dell’attuale
Parco di Villa Manfrin, come rappresentato dal foglio catastale seicentesco
(Fig. 9). La viabilità della zona non era ancora imperniata su quella direttrice stradale che, a partire dagli inizi del XVI secolo, cominciava a strut-
22
Cfr. Carla Marcato, Ricerche etimologiche sul lessico veneto, rassegna critico bibliografica,
Padova, CLEUP, 1982, p. 59.
23
Du Cange, op. cit., vol. I, pp. 725-726, 732.
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Fig. 8 - L’Ongaresca tra il guado sulla Limbraga e Treviso
turarsi come Cal Nova ed in seguito, nel suo complesso, come Strada
Napoleonica, in corrispondenza degli attuali viali Felissent, Brigata
Treviso e Vittorio Veneto. L’itinerario, dunque, in base alle mappe catastali dei secoli XVII, XVIII e XIX (Fig. 10), proseguiva verso Treviso percorrendo in successione, i tracciati delle attuali Via delle Acquette, Caserma Tommaso Salsa, Viale Brigata Marche, Strada delle Belle Gambe,
Via Santalena, Via Cadore e Via Montello, entrando in città attraverso la
porta medievale di S. Bartolomeo.24 A Treviso (Fig. 11) il riferimento direzionale della strada, quantomeno nel suo primo tratto urbano, era ancora
fortemente sentito poiché, prima di proseguire nel tessuto cittadino come
via regia,25 in un atto notarile del 132526 viene espressamente chiamata “…
24
Giovanni Netto, Treviso medievale nelle descrizioni dell’epoca, in “Cassamarca”, a. X, n. 2,
21 giugno 1996, pp. 95-118; p. 113.
25
Cagnin, op. cit., p. 122.
26
ASTV, Notarile I, b. 55, Atti Michele da Ciano 1307-1326, 8 agosto 1325.
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Fig. 9 - L’Ongaresca tra la località S. Artemio e l’attuale Viale Vittorio Veneto
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Fig. 10 - L’Ongaresca all’altezza di Viale Vittorio Veneto nel disegno di Giovanni Netto
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via publica que appellatur Ungarescha per quam itur de plathea Sancti
Leonardi ad ecclesiam Sancti Augustini…”. Tale riferimento toponomastico, in presenza di una successione di strade dal centro di Treviso a
Carità senza soluzione di continuità, permette di attribuirle tutte ad un
unico tracciato. Ma l’estensione dell’odonimo alle vie del tessuto urbano
è a mio parere anche un segno evidente del limite romano e altomedievale
sul lato orientale che, con ogni probabilità, era attestato lungo la sponda
destra del Cagnan. L’odonimo, pertanto, si era conservato perché il tratto
cittadino in questione era stato a lungo fuori dell’impianto urbano romano e altomedievale, per finire inglobato entro la successiva cerchia, eretta
tra i secoli XII e XIII. Da Treviso l’Ongaresca proseguiva verso Venezia,
sebbene il tracciato sia in buona parte ancora ignoto. Infatti, un documento27 del 1370 che registra la compravendita di 42 campi “in Dossone de
Sancti Lazari prope Tarvisium” cita una “… quedam via que appellatur
calis Ungarescha”. Questa strada è verosimilmente identificabile con il
Terraglio Vecchio o con un’altra “via antiqua que dicitur strahella”, citata
da un documento del 126028 relativo alla zona denominata Torresana, a
nord di Campalto. Tale via antiqua è a sua volta riconducibile alla cosiddetta Via del Porto, denominazione moderna e convenzionale di un antico
tracciato che collegava via terra Treviso al suo porto, ubicato almeno
dall’806 sul profilo lagunare presso Campalto. Tale itinerario, prima di
essere sostituito dal Terraglio a partire dal 997, come principale asse terrestre tra la Laguna e Treviso, venne modificato nel tempo fino ad assumere
l’assetto dell’attuale Via Zermanese. Dall’atto di fondazione dell’abbazia
di S. Maria Assunta in Mogliano si ricava che la pieve era stata devastata
da genti pagane, cioè gli incursori ungari. A Campalto, invece, la documentazione colloca i cosiddetti “Campi Ungareschi”, forse così chiamati
non solo perché secondo la tradizione vi si accamparono i predoni ungheresi che cercarono di attaccare Venezia, ma perché erano ubicati presso il
terminale meridionale della via. Grazie a numerosi documenti29 sappiamo
27
ASTV, Santa Maria dei Battuti pergg. b. 51, n. 5708, 5 marzo 1370.
ASVE, Mensa Patriarcale, b. 126, n. 115 (10 aprile 1260) e 117 (15 gennaio 1274). Cfr.
Cagnin, op. cit., p. 139.
29
Ugo Tucci, L’Ungheria e gli approvvigionamenti veneziani di bovini nel Cinquecento, in
“Studia Humanitatis“, 2, Rapporti veneto-ungheresi all’epoca del Rinascimento, 1975, pp. 153-171.
Id., Venezia e dintorni. Evoluzioni e trasformazioni, Roma, Viella, 2014, pp. 45-64. Cfr. anche
Luigi Lanfranchi-Gian Giacomo Zille, Il territorio del ducato veneziano dall’VIII al XII secolo,
in Storia di Venezia, II, Dalle origini del ducato alla IV crociata, Venezia, Centro internazionale
28
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Fig. 11 - L’Ongaresca a Treviso
che, fin dal XIII secolo, i bovini ungheresi (Fig. 12) giunti al termine del
viaggio stazionavano nei pressi di Marghera e delle località contigue.30 Al
riguardo, uno studio di Ugo Tucci, intitolato L’Ungheria e gli approvvigionamenti veneziani di bovini nel Cinquecento, permette di conoscere a
fondo il commercio di questa carne su larga scala, organizzato ab immemorabili per soddisfare la domanda dello stato veneto, ugualmente forte
anche nel XVII secolo.
Questa, in sintesi, la storia dell’Ongaresca e dell’economia gravitante
attorno ad essa fino all’avvento di un sistema economico impostato su più
ampia scala e organizzato secondo rotte commerciali diverse, che poco a
poco tolsero ragione d’essere alla strada e con essa a fiumi, ponti, guadi,
delle Arti e del Costume, 1958, pp. 1-65; p. 30. Giovanni Battista Moriondo, Monumenta
Aquensia, I, Torino, ex Typographia Regia, 1789, p. 462.
30
Gianpier Nicoletti, Le Campagne. Un’area rurale tra Sile e Montello nei secoli XV e XVI,
Treviso, Edizioni Fondazione Benetton Studi e Ricerche/Canova, 1999, pp. 23-24, 139-140.
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L’ANTICA VIA ONGARESCA
Fig. 12 - L’estensione complessiva dell’Ongaresca tra S. Fior e Treviso
pascoli, paludi, fiere, abbazie, castelli e villaggi, cioè tutta una serie di elementi naturali e antropici del paesaggio, che è opportuno ricollocare nella
loro esatta dimensione storica e geografica.
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