Voci di corridoio cimbro
Nicoletta Dal Lago
Ad Antonia Stringher
Parte prima: toponimi derivati da composti
0. Introduzione
Fin da bambina ho avuto l’impressione di abitare all’interno di un parco meraviglioso, e per
diversi motivi. Il miracolo paesaggistico creato in natura con la dolomia era, per così dire,
amplificato dal linguaggio umano: Baffelan, Lovaraste, Obante suonavano come nomi
solenni, misteriosi, stranianti rispetto all’apparente banalità dei toponimi del fondovalle. Quei
nomi, seppi poi, erano l’eredità di antiche genti venute dal Nord, ultimi dinosauri di una
lingua germanica che a valle si era estinta molto prima.
Quei toponimi, derivanti da antichi composti cimbri, studiai, non denominano solo le vette
delle Piccole Dolomiti, ma risuonano anche nelle contrade più basse, forse anche nei centri
cittadini del fondovalle, anche se meno riconoscibili, più aggiornati, meno dinosauri
insomma. In questo breve contributo tenterò di classificare alcuni toponimi, già da altri
riconosciuti come cimbri, scovandone qualcuno di nuovo, e forse di troppo. Ma, su un terreno
così lubrico ed affascinante, preferisco scivolare per aver visto male piuttosto che per avere
tenuto gli occhi chiusi.
1.Il Cimbro e la Pantera
‘Abbiamo battuto i boschi e i pascoli d’Italia senza trovare la pantera che inseguiamo:
applichiamo dunque per la sua scoperta un metodo di indagine più razionale, nell’intento di
avviluppare nei nostri lacci questa fiera che fa sentire il suo profumo ovunque senza mostrarsi
in nessun luogo.’ (Dante, De vulgari eloquentia, I, 16)
La pantera che Dante sta inseguendo è il ‘volgare illustre’, ovvero un linguaggio ed uno stile
unitari per scrivere cose importanti nel neo-nato Italiano; ma le parole con le quali il poeta
designa i luoghi nei quali si svolge la sua metaforica caccia possono benissimo adattarsi
all’ampio territorio dove è vissuta, vive o sopravvive l’antica lingua dei Cimbri. Il Cimbro si
vede, o meglio, si ascolta ancora sugli altopiani di Asiago, di Folgaria, in Lessinia, ma si
manifesta, per così dire, in specie diverse, con denominazioni che non hanno a che fare con
1
‘cimbro’: a Roana ‘Toitz Gaprecht’, a Giazza ‘Taucias Gareida’ definiscono la parlata locale
come ‘tedesca’ (‘Toitz, Taucias’ corrispondono al tedesco moderno Deustch), mentre a
Luserna esprimersi in Cimbro si dice ‘parlare come noi’, come si legge ancora nel titolo della
più recente grammatica del lusernate (cfr. Panieri et alii 2006).
Il cosiddetto corridoio cimbro si presenta come una parlata germanica, variamente antica (la
varietà più antica dell’altopiano di Asiago condividerebbe tratti con l’antico alto tedesco), di
diversa provenienza geografica (bavarese, tirolese, salisburghese, ecc.), importata in più
ondate migratoriecronologicamente distinte, e da gruppi sociali diversi (boscaioli, pastori,
carbonarie minatori).
ll Cimbro, come la Pantera di Dante, è sfuggente. Paradossalmente anche i Cimbri, come
popolo unitario, non esistono. Furono gli Umanisti vicentini e veronesi a crearli,
probabilmente sulla base dell’assonanza tra una voce molto diffusa nei dialetti dei coloni
tedeschi che migrarono in Italia nel corso del Medioevo(‘Tzimbarn’, ovvero ‘boscaioli’) e il
nome Cimbri, riferito agli antichi nemici di Roma sconfitti da Mario nel primo secolo a. C. Se
si aggiunge un errore filologico, responsabile dell’errata ‘location’ della regione dove si
sarebbero rifugiati i resti del loro esercito in fuga, il gioco è fatto, con un duplice vantaggio:
degli immigrati germanofoni e degli studiosi della loro lingua, a partire dagli insigni
accademici tedeschi e italiani che se occuparono e se ne occupano, fino agli appassionati,che
frequentano siti e pagine facebook dedicate ai Cimbri, interagendo grazie al web sugli
argomenti proposti.
I primi, infatti, acquisirono un pedigree1 di tutto rispetto (cfr. Dal Lago 2015: 5-6), i secondi
una comoda etichetta che riconosce a fenomeni storici, culturali e anche linguistici localmente
diversi un’unità che diversamente, forse, non sarebbe stata catturata.
2. Il corridoio cimbro
Il ‘profumo’ del Cimbro, però, si percepisce anche oltre le isole linguistiche di Roana, Giazza,
Luserna: nel vasto territorio che collega e circonda gli Altopiani, i numerosi toponimi,
cognomi e, meno sicuramente, i relitti lessicali nel dialetto veneto locale, sono altrettante
tracce che il Cimbro ha impresso in aree nelle quali l’antica lingua fu parlata per secoli. A
1
Il ‘mito cimbro’, secondo il quale i Cimbri attuali sono i discendenti dei Cimbri di Mario è
fatto proprio dalla cultura popolare, come mostrano le parole tramandate oralmente di padre
in figlio dai Cimbri del Cansiglio (Dal Borgo, 2004: 42).
2
Posina, Recoaro, Valdagno, i Cimbri provenienti dall’Altopiano di Asiago si sarebbero
stanziati prima di raggiungere l’altopiano di Folgaria (Luserna), ed è noto che da Altissimo,
cioè dalla valle del Chiampo (San Pietro Mussolino, Crespadoro, Marana) proveniva uno
degli Olderichi che ottenne le terre della Lessinia da Bartolomeo della Scala nel 1287.
Il ‘corridoio cimbro’ è la felice denominazione che designa quest’area e che possiamo ancora
accettare2 pur con qualche precisazione. In primo luogo i Cimbri si insediarono stabilmente in
territori che solo a posteriori, cioè quando il Cimbro ‘si ritirò’ nelle attuali isole linguistiche,
sembrarono soste intermedie di un percorso che collega gli Altopiani di Asiago (compresa
Luserna) e Giazza. La testimonianza del preumanista vicentino Ferreto de’ Ferreti, che
chiama Cymbria l’intera provincia di Vicenza (1314), mostra come, in realtà, l’immigrazione
dei coloni tedeschi non aveva come ‘goal’ privilegiato l’altopiano di Asiago ma si estendeva
su tutte le terre della provincia, verosimilmente nei limiti delle concessioni territoriali di
vescovi e signori. In secondo luogo risulta chiaramente che il ‘corridoio cimbro’ presenta
delle uscite, per così dire, laterali e dei collegamenti a diversi livelli delle nostre valli, che
costituiscono parte integrante di questo: da Posina alcuni coloni scesero la val Terragnolo,
salirono a Staro da dove scesero a Recoaro e da qui in Vallarsa; anche la val Leogra fu
percorsa da coloni tedeschi che arrivarono a Monte Magrè e da lì, probabilmente tramite
Priabona, nella valle della Poscola (Cornedo vicentino) e di qui a Cerealto di Valdagno. Nella
valle dell’Agno, più a sud di Recoaro, arrivarono da Recoaro e/o da Schio, e da qui passarono
nella valle del Chiampo, anche attraverso l’antica strada della ‘Malpega’, come vedremo più
avanti.
Intesa come corridoio ‘diffuso’, comunque, la metafora funziona: breve, bella (allitterante),
facilmente traducibile in inglese (‘Cimbrian corridor’ non è poi così lontano dall’italiano),
conserva, infine, anche il ricordo della mobilità ‘interna’ che doveva caratterizzare
2
Maurizio Bertacco nel suo articolo del 2013 sul n 48 della rivista Taucias Gareida espone la
proposta, condivisa anche dagli studiosi Rapelli e Saccardo, di sostituire ‘corridoio cimbro’
con ‘antico stanziamento antico prealpino’. Personalmente credo, però, che la nuova
denominazione, apparentemente più accurata sotto il profilo scientifico, introduca una grande
ambiguità che andrebbe risolta reimpostando il problema dei Cimbri: se, come spiegano i tre
studiosi, nel cosiddetto ‘corridoio cimbro’ arrivarono anche altre popolazioni tedescofone
(non tutte ‘tedesche’) oltra ai Cimbri, che rapporto esiste fra queste e i Cimbri? In altre parole,
la nuova denominazione impone, logicamente, una revisione del mito cimbro che mi sembra
antico, bello e funzionale, pur con le doverose precisazioni.
3
anticamente le vie del corridoio.
I coloni tedeschi, infatti, si spostavano spesso da un
insediamento all’altro. Antichi atti notarili attestano, ad esempio, lo spostamento di membri
della famiglia Spagnolo da Rotzo (Altopiano di Asiago) a Posina (Saccardo: 2010); estimi del
‘500 menzionano tra i proprietari di terreni in Badia Calavena (Altopiano dei Tredici Comuni)
‘Marci de Vallarsa’ o ’Petri de Durlo Turner’ (Antonia Stringher, p. c.)3; motivi di tipo
religioso, infine, giustificavano spostamenti di intere comunità da una parte all’altra del
‘corridoio cimbro’: lo storico Mecenero (1985:76), tracciando la storia di Durlo nella Lessinia
orientale, ora frazione di Crespadoro (VI), ricorda la processione alla Madonna di
Montesummano durante la quale i Cimbri della Lessinia, di Schio e di Asiago si incontravano
annualmente, in un’occasione che doveva assumere una forte valenza identitaria, specie nei
primi tempi dell’insediamento dei Cimbri in quella che poi sarebbe diventata la loro nuova
patria.
3. I composti nel Cimbro attuale
Anche laddove il Cimbro ha resistito più a lungo, alcune proprietà sintattiche che esso
condivideva con le lingue germaniche sembrano minate dal contatto con i dialetti veneti,
vicentini e veronesi, o trentini.
Nel Cimbro di Giazza, l’ordine delle lingue germaniche, come l’inglese o il tedesco, in cui il
modificante (un aggettivo, un avverbio oppure un altro nome) precede il (nome) modificato,
viene affiancato se non sostituito da quello neolatino (veneto e italiano.) Nella coppia nomeaggettivo attributivo, ad esempio, si registrano in questa varietà sia l’ordine aggettivo-nome
che quello nome-aggettivo, es:
(1) ‘de gatèmpfate povàin’ lett. ‘la affumicata ricotta’,
(2)‘de povàin gatemppfat’ ‘la ricotta affumicata’
Come si nota in (2), l’aggettivo posposto non accorda con il nome, come nel tedesco moderno
quando l’aggettivo è predicativo e segue il nome: es
(3) ‘Das Auto ist rot’ ‘L’auto è rossa’
Quando invece l’aggettivo attributivo precede il nome, l’accordo sia in Cimbro (1) che in
tedesco compare: es
3
In tempi più recenti, anche l’industria tessile della Marzotto attirò nella valle dell’Agno
famiglie di Giazza: è il caso dei Faggioni e dei Longo, emigrati a Valdagno negli anni ’20 la
cui storia è documentata sul web alla pagina fb CIMBERnauti #FamigliaFaggioni..
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(4) ‘Das rote Auto’ ‘L’auto rossa’
Il dato, riportato da Rapelli (2016:34) rimanda alla situazione linguistica degli anni ’50 del
secolo scorso, dato che l’autore si rifà per la sua grammatica a quelle di don Mercante (1936)
e di Monsignor Cappelletti (1956), ma è probabile che questi fenomeni interessino ancora più
intensamente il (cimbro) Tredicicomunigiano attuale, parlato ormai solo da qualche decina di
persone.
La tendenza al cambiamento sintattico indotto dal veneto è evidente anche nei composti del
Cimbro. Nel (cimbro) Settecomunigiano, l’antico ordine germanico, in cui l’elemento
principale
del composto (testa) è preceduto dal modificante, è conservato solo nella
toponomastica e nell’onomastica.4 Nel suo dizionario del Cimbro settecomunigiano Martalar
(1974:32) fotografa con chiarezza la situazione degli anni ’70 del secolo scorso riportando
come esempio il composto germanico ‘Bootzenakhar’, (lett ‘di grano campo’), che
sopravviveva ai suoi tempi solo come soprannome familiare, mentre - scrive l’autore- ‘nel
cimbro moderno si direbbe ‘an akharbootze’’. Come si vede dall’esempio riportato, non solo
il composto scompare, ma, all’interno del sintagma nominale che lo sostituisce, il modificante
(‘bootze’) segue il modificato, secondo l’ordine veneto, inverso rispetto a quello germanico.
Anche a Luserna, a scapito dei composti cimbri del tipo ‘snea-khaz’ ‘gatto delle nevi’,
tendono ad affermarsi di recente costrutti come ‘Zikkl von bazzar’ ‘Secchio dell’acqua’, nei
quali si perde l’ordine l’ordine germanico degli elementi e si introducono le preposizioni
come in italiano (Panieri et alii 2016: 116)5.
4. Composti e toponimi nel corridoio cimbro
Nei territori del Corridoio, all’interno dei quali la parlata cimbra, benché in epoche diverse, è
ovunque estinta, solo i toponimi, e alcuni cognomi personali da essi derivati, possono
conservare traccia degli antichi composti del Cimbro.
4
Per quanto riguarda il Cimbro di Giazza, Antonia Stringher (2016) riporta alcuni composti
germanici che designano, però, oggetti del passato come (de) Kalach-gruabe ‘la calcara’, (iz)
tintan –vaz ‘calamaio, porta inchiostro’, ecc. Motivata dalla necessità di aggiornare il
vocabolario cimbro con la creazione di neologismi, è l’introduzione di nuovi composti alla
tedesca come ‘bortpuach’’dizionario’, ricalcato sul tedesco ‘Wörterbuch’ (Rapelli, 2016:55).
5
Anche nel Mocheno l’impiego del composto germanico sembra confinato ai parlanti anziani
(Rowley, 2003: 240).
5
Verosimilmente, anche il Cimbro a suo tempo parlato nelle alte valli del vicentino (Posina,
Astico, Leogra, Agno, Chiampo) e del trentino meridionale (Vallarsa, Terragnolo, Ronchi),
negli Altopiani di Folgaria e Lavarone e, da ultimo, nei Comuni dell’Altopiano di Asiago e
della Lessinia potrebbe aver subito sollecitazioni al cambiamento analoghe a quelle in atto
nelle isole linguistiche cimbre, provocatedal contatto con le comunità parlanti dialetti
neolatini. Ma, dove l’antica parlata si è estinta, è impossibile misurarne il cambiamento e le
sue uniche tracce, i toponimi cimbri, rimangono sul territorio come materiali inerti, che vanno
incontro a destini diversi: molti sono riconosciuti ed interpretati, altri, pur riconosciuti,
rimangono indecifrabili. Qualcuno, assunto in vari modi un aspetto fonetico ‘insospettabile’,
continuerà ad esistere, senza essere riconosciuto ed interpretato chissà per quanto tempo.
Altri, ed è il caso di molti microtoponimi6 legati a campi, boschi, località tramandati
oralmente nell’ambitodi comunità ristrette (contrada, famiglia), vivranno nella memoria
dell’ultima generazione che li ha appresi e poi si estingueranno anch’essi.
5. Su alcune voci dal corridoio cimbro: proposte di riconoscimento e
classificazione
Nei paragrafi seguenti saranno analizzati alcuni toponimi, derivati per lo più da composti di
(presunta) origine cimbra, applicando alle voci criteri sintattico, lessicale e fonetico. Più
precisamente, i toponimi di (presunta) origine cimbra esaminati sono classificati dal punto di
vista della conservatività dell’ordine delle parole nel composto (germanico vs neolatino),
della lingua dei lessemi che lo compongono (cimbro vs neolatino), del grado di integrazione
fonetica (integrato vs non-integrato) con il dialetto parlato attualmente in questi territori. I tipi
individuati, descritti ed esemplificati sono presentati secondo una ‘gerarchia di cimbricità’ che
va dal massimo di conservatività sintattica, lessicale, fonetica del primo tipo in 5.1 al minimo
rappresentato dalla completa italianizzazione (traduzione) del toponimo in 5.6.
Nella maggior parte dei casi, accolgo l’origine cimbra accertata degli studiosi locali; solo per
alcuni toponimi della zona di Valdagno, invece, tale origine è proposta per la prima volta in
questo contributo.
6
Si tratta di appellativi ricorrenti in diversi punti del corridoio cimbro, e quindi facilmente
decifrabili alla luce di studi toponomastici esistenti o della competenza linguistica dei (rari)
parlanti di Cimbro attuali.
6
5.1 Composti cimbri non foneticamente integrati
Si tratta di composti che conservano l’ordine germanico degli elementi, nei quali sono
riconoscibili due lessemi cimbri, anche se non univocamente interpretabili. Dal punto di vista
fonetico essi mantengono l’accento,nonché il consonantismo finale originari: l’esoticità di
questi toponimi risulta a livello fonetico dalla violazione della legge del consonantismo finale
del dialetto vicentino, che ammette in finale solo -n in sillaba tonica (es. Zordàn, Massignàn,
ecc), ma non –l o –r; nel dialetto veronese dei XIII comuni, ed in quello trentino del corridoio
cimbro, -l, -r finali sono sì ammesse, ma solo in sillaba tonica (es cunèl ‘coniglio’, vardàr
‘guardare’.
Il primo toponimo esaminato in questo paragrafo designa un’antica malga per l’alpeggio del
bestiame, raggiungibile a piedi dall’Alpe di Campogrosso (comune di Recoaro) scendendo
per breve tratto lungo la strada della Vallarsa. La malga, che ha assunto da qualche decennio
anche una spiccata vocazione turistica, viene chiamata comunemente (e sui social) Malga
'Bovental, ma la denominazione che compare sulla targa del Club Alpino Italiano è Malga
'Boffetal.
Per entrambe le forme del toponimo sono ricostruibili, a mio avviso, un primo lessema cimbro
‘bolf’ ‘lupo’ pl ‘bolfe’ ‘lupi’ e un secondo elemento‘tal’ ‘valle, vajo’: ‘Valle del lupo o dei
lupi’ doveva essere denominato il luogo nel quale fu costruita la malga. La forma ‘Bòvental’
riflette a mio avviso una reinterpretazione del toponimo originario, favorito dalla pratica
dell’alpeggio delle mucche per cui ‘bolfe’ ‘lupo’ sarà stato reinterpretato come ‘bove’. La –n
che chiude il primo lessema, abbastanza frequente nei composti del tedesco moderno,
potrebbe riflettere un antico genitivo plurale ‘bolfen/bolfan’.
La forma Bòffe-tal, invece, si spiega meglio a partire da ‘bolfe’ ‘del lupo’ (genitivo
singolare?), con assimilazione regressiva delle due consonanti originarie del lessema cimbro.
Il secondo toponimo 'Asnicar è attestato due volte nella valle dell’Agno: a Recoaro, dove
indica una grossa contrada tra i Bruni e i Cornale e, più a sud, in località Castello di
Valdagno, dove in ‘via 'Asnicar’ è visibile l’antico ‘ròcolo’ appartenuta un tempo alla
omonima contrada, ora perfettamente inglobata nel ‘continuum’ di abitazioni ai fianchi della
strada che sale verso Marana (e la Lessinia). Nel primo elemento del composto gli autori
locali (Bevilacqua 1988: 13, Trivelli 1991: 60) riconoscono unanimemente il genitivo pl
‘hasan’ del Cimbro ‘hase’ m. ‘lepre’, identico al tedesco ‘hase’ ‘lepre’; il secondo elemento,
7
che occorre a Recoaro anche come parola isolata in Ecche o, con articolo incorporato, Léche,
viene ricondotto a ‘eicke’ ‘dosso, colle’, o a ‘akar’ ‘campo’.Nel primo caso la forma 'Asnicar
sarebbe derivata con suffisso -ar da un composto del tipo Asnecke ‘dosso della lepre’,
attestato come toponimo a Rovereto nel 1700, nel significato di ‘colui che abita l’asneche’: in
effetti il suffisso –ar è ancora vitale nel Cimbro di Giazza, dove distingue famiglie con lo
stesso cognome, indicandone la provenienza: es. Dal Bosco 'Eibaner ‘che abita l’eiban’, cioè
il pianoro’; a Recoaro il suffisso compare profondamente alterato in Brandaore ‘Merendaore’,
contrada di Recoaro, da *brandau-er ‘colui che abita nel pianoro bruciato’ (Trivelli 1991:60).
Nel secondo caso lo stesso suffisso –ar, applicato alla base ‘achar’ ‘campo’, deriverebbe
‘ächar’, nel senso di ‘chi proviene dal campo delle lepri’ (Trivelli 1991:61)
'Asnicar, infine, si è continuato anche come cognome e questa circostanza potrebbe avere
fortemente favorito la stabilità della parola, che ha conservato l’accento sulla terzultima e la
consonante finale –r, eccezionale nel dialetto vicentino.
5.2. Composti cimbri foneticamente integrati
A) I composti con ACQUANel significato di ‘salto d’acqua, cascata, ruscello con salto d’acqua’ sono attestati in tutto il
corridoio cimbro toponimi simili, riconducibili a composti formati da un primo elemento
‘bazzar’. Nel vicentino ‘bassar-‘ viene sistematicamente integrato come ‘brassa-‘, grazie alla
metatesi di ‘r’, ed alla assimilazione a forme dialettali come ‘brasso ‘braccio’, e simili.
Il secondo elemento, invece, sembra occorrere in due varianti: il tipo –VALE, da un più
antico–VALLE (Saccardo 2010), come Val Brassavàle (Posina, VI), nel quale ‘Val’
sembrerebbe duplicare, traducendolo, il secondo elemento del composto ‘tal’ ‘valle’, ed il tipo
–VALLE, da accostare al tedesco e all’inglese ‘fall’ ‘caduta’. Appartengono al tipo -VALLE
anche i toponimi trentini della Vallarsa e della val Terragnolo (Mastrelli Anzilotti: 1994), alla
base dei quali si suppone un composto cimbro *bazzerval, bazzarval‘,dal mat *wazzerval
‘cascata’ (ted ‘wasserfall’)7.
7
Si noterà, per inciso, che il dialetto veneto (locale) dispone per ‘salto d’acqua’, come anche
per ‘getto d’acqua’ (es di un rubinetto), soltanto di una designazione metaforica (es.
‘Pissaòra’, salto d’acqua nei pressi del vecchio ospedale di Valdagno (VI)) e ‘pissaròto’ ‘getto
d’acqua del rubinetto’).
8
Dal punto di vista semantico potrebbe rientrare nel tipo (D)ACQUACADUTA anche il
toponimo Brassavalda, pronunciato anche Bressavalda, località al confine tra il Comune di
Altissimo e quello di Crespadoro, dove confluiscono le acque che danno origine al torrente
Righello. Tra il 1956 e il 1958 la parete di roccia è stata scavata, disegnando un’ampia curva,
più in alto della vecchia strada che, correndo più in basso, veniva spesso distrutta dalle acque
che fluivano abbondanti in seguito alle piogge. Dalla curva della Brassavalda sono visibili più
salti d’acqua: uno principale ed altri minori.
Il toponimo Brassavalda è interessante sia dal punto di vista lessicale che morfologico.
Mentre il primo elemento del composto, corrispondente al nome cimbro per ‘acqua’, può
essere riconosciuto negli altri toponimi e microtoponimi fin qui analizzati, l’attestazione del
composto in questa zona del corridoio cimbro, molto vicina a Giazza, è abbastanza
sorprendente: il (Cimbro) tredicicomunigiano, infatti, non conosce il tipo (D’)
ACQUACADUTA per indicare la ‘cascata’, che viene invece designata con lessemi diversi
come ‘skliompf’/sliumpf ‘tonfano, laghetto che fa l’acqua sotto la cascata’ (Cappelletti 2008:
201) o ‘Sprunk’ ’salto’, in composizione ‘wassersprunk’ ‘salto d’acqua’ (Mastrelli Anzilotti:
1994). D’altro canto, la forma Brassavalda riveste anche un interesse morfologico, in quanto
si tratta, a mio avviso, di un plurale: Brassavalda, in altre parole, significa non tanto ‘salto
d’acqua’ come i composti -VAL(L)E attestati nelle altre zone del corridoio cimbro, ma
piuttosto ‘salti d’acqua’.
In tutte le varietà di Cimbro i sostantivi neutri, ma non solo8, che terminano in -l, -r, -n
(sonoranti liquida e nasale) formano il plurale aggiungendo –dar (in Mocheno -der)9, es.:
haaar ’capello’ (n), plherdar ‘capelli’, tal ‘valle’ (n) plteldar’, korn ‘grano’ pl ‘kordar’, con
‘ablaut’, cioè ‘raddolcimento’ (cfr. Rowley: 2003, Panieri: 2006 e Rapelli: 2016) della vocale
radicale, laddove possibile. Proprio questa desinenza è da riconoscere a mio avviso nel
toponimo Brassavalda, alla cui base sta probabilmente un *bassarvalda(r) con integrazione
8
9
Cfr ‘muatar’ ‘mamma’ (f) ,pl ‘muatarn’ ma anche ‘muatadar’ (Stringher: 2016).
La desinenza -dar si mantiene anche al dativo, dove occorre prima della marca di caso –n
(es.’ muatadar’ ‘le madri’ NOM vs ‘ muatadarn ‘alle madri’ DAT): più che di una desinenza
di plurale, distinta da –AR, penserei a -(d)ar, cioè ad una sua variante con epentesi della
consonante di transizione D, come nel dialetto veneto rustico ‘sendre’ ‘cenere’ da *cinerem
(Rohlfs I, 382) inserita per ragioni di ottimizzazione sillabica: l‘inserimento di -D-, in altre
parole, rinforza il confine sillabico, rendendo chiaramente riconoscibile tema e desinenza
della parola.
9
fonetica anche del secondo elemento del composto, che perde la -r finale. L’assenza del
raddolcimento (-valdar e non *-veldar) potrebbe essere giustificata dalla natura del toponimo:
si tratta infatti di un composto percepito come un’unica parola polisillabica, proprio come
‘muatar’ che al plurale fa ‘muatadar’.
B) ACQUA e i suoi derivati
Come si può immaginare date le caratteristiche idrografiche dei territori prealpini, l’acqua
ricorre molto spesso nella toponomastica del corridoio cimbro: molti idronimi, infatti, sono
nati dalle antiche denominazioni cimbre di valle (cimbro ‘tal’), lago (‘cimbro ‘sea’), torrente
(cimbro ‘pach’), pozza (cimbro ‘ulbe’), canale (cimbro ‘boal’). Lo stesso lessema per ‘acqua’
(nel cimbro di Giazza ’bazzar’, al plurale ‘bezzar’) compare in più voci, come nome primitivo
(acqua/e), come derivato (acquetta/e) e anche come primo elemento di composto (acqua-), ad
esempio nel tipo (D)’ACQUACADUTA precedentemente esaminato.
Fra le ipotesi proposte da Saccardo (2010:253) per il toponimo Besse, una contrada di Posina
nota anche come Stoner, propenderei per una derivazione da ‘bezzar’ ‘acque’ foneticamente
integrato grazie all’ eliminazione di –r finale e cambiamento morfologico di genere.
Come microtoponimo, (le) Bésse è attestato anche nell’alta valle del Chiampo, dove indica,
tra le contrade Repele di Crespadoro e Lasta di Altissino,una zona bagnata dalle acque di
superficie, che confluiscono più a valle nel torrente Righello (Giacomo Repele, p. c.): oltre
alla morfologia del territorio, a sostegno di questa ipotesi sta l’occorrenza della forma veneta
del toponimo ’aquéta’, attestata nel vicino monte di Marana10 (Mecenero 1985:117)
Sempre un derivato di ‘acqua’ grazie al suffisso diminutivo –le (Saccardo 2010) è da
riconoscere alla base del toponimo (val del) Bezzerle nella zona del Tretto di Schio, dove
scorrono acque di superficie meno impetuose di un rivo. Sia pure con qualche cautela, sarei
incline a riconoscere la stessa origine anche a due toponimi vicentini:Mecceneri, attestato nel
comune di Valdagno ai confini con la valle del Chiampo, e Meceneri, nel Comune di
Crespadoro dell’alta valle del Chiampo.
I Mecceneri di Valdagno (pronuncia popolare Bissinieri) sono costituiti da più nuclei abitativi
collocati su di un leggero pendio che si distribuisce a destra e a sinistra della strada comunale
10
Lo stesso toponimo veneto occorre, all’interno del corridoio cimbro, anche in Vallarsa
(Flöss, 2008).
10
che collega Castelvecchio (Valdagno) a Marana (Crespadoro). Anche qui, come alle Besse, il
paesaggio è caratterizzato da pascoli rigati da ruscelli, che confluiscono poco più a valle in un
ramo del torrente Rio all’altezza della contrada Biceghi.
Per il secondo toponimo Meceneri, accanto a Messenèi, più vicino alla forma italianizzata
del toponimo (dove B- corrisponde a M- come, ad esempio, nel toponimo recoarese
Merendaore per Brandaore), la pronuncia più antica Bessenèi è conservata nella filastrocca
ancora tramandata oralmente:‘Bessenèi, Rapanèi, intrigà morti portare el derlo, nostri morti
amen’ nella quale si disegnano le tappe di un faticoso itinerario in salita dal paese di
Crespadoro (338 m s.l.m) a quello di Marana (800 m s.l.m.), affrontato con una gerla pesante
sulle spalle.11
Anche alla base delle due varianti grafiche di quello che mi sembra un unico toponimo
Mec(c)eneri propongo di riconoscere un diminutivo pl *‘bezzarla(r)’ ‘acquetta/e’: sotto il
profilo strettamente linguistico la corrispondenza morfologica tra il veneto –nèi nella variante
dialettale Bessenèi, che sostituisce il Cimbro –lar, è perfetta. E si noti, complementariamente,
come l’altra variante dialettale Bissinieri rifletta foneticamente in modo abbastanza fedele,
nella seconda parte –nieri, il derivativo –lar(i) che ipotizziamo alla base del comune toponimo
cimbro12.
5.4 Composti ibridi con elemento neolatino e cimbro
In alcuni toponimi, che potremmo definire ridondanti, il primo lessema neolatino (italiano)
replica, traducendolo, il secondo elemento alloglotto, nel nostro caso ‘cimbro’, ormai
semanticamente opacizzato: in questi toponimi i due lessemi possono essere collegati dalla
preposizione ‘di’. Appartengono a questo tipo, nei Tredici Comuni, ‘Fontana del Prundele’
dove ‘Prundele’ è diminutivo di ‘prun(d)’ ‘sorgente’’, ‘Vajo del Tàl’ che significa ‘Valle della
valle’; a Posina il già visto ‘Val Brassavale’, con ‘-vale’ interpretato come ‘valle’, ad
11
Ai Meceneri di Crespadoro si produceva un’uva eccellente che gli abitanti delle contrade
vicine andavano a prendere per poi prodursi il vino in casa propria. Questa, probabilmente, la
circostanza che potrebbe aver fatto nascere il ritornello. Si noti come il suffisso -èi compaia
anche nella forma dialettale ‘Rapanèi’, in corrispondenza del diminutivo –le della forma
ufficiale del toponimo ‘Repele’.
12
Per un’altra spiegazione del toponimo, che deriverebbe da ‘Mezer’ ‘lama, coltello’ vedi
Bevilacqua 1984: 62.
11
Altissimo (alta valle del Chiampo)’ ‘via Gassa’ con ‘gassa’ ‘via, passaggio’ come nel tedesco
moderno ‘gasse’.
In un sottotipo particolare di questi toponimi, invece, l’appellativo geografico italiano è
seguito da un composto ibrido (Mastrelli Anzilotti 1988: 37 e 43), nel quale il primo elemento
è costituito da una base neolatina ed il secondo conserva un lessema cimbro, talora
foneticamente adattato: la nascita di questi composti risale verosimilmente a tempi piuttosto
antichi nei quali, all’interno delle comunità prealpine, la parlata germanica era ancora vitale.
In Vallarsa e a Besenello (Folgaria), questo tipo di composto è abbastanza diffuso e il lessema
cimbro può seguire quello neolatino, come in Antepoz ‘pozzo dell’anatra’ o come in Spinach
‘spineto’ (da ‘Spina’ e ‘Ac’, che sarà forma ridotta per ‘ackar’ ‘campo’).
A questo tipo va ascritto probabilmente anche, in alta Valposina, (valle) ‘Sorapache’
composto dal veneto ‘sora’ ital ‘sopra’ e il cimbro ‘pach’ ‘torrente’, foneticamente integrato
grazie all’epitesi di –e. Ma un composto ibrido è riconoscibile, ritengo, anche nel fondovalle
urbanizzato della valle dell’Agno.
Vicolo Malpaga (Valdagno, VI), prima della sua imponente risistemazione risalente agli anni
‘90, era un un ripido sentiero che guadagnava rapidamente l’altura del Castello fra orti e
vigneti. Il vicolo si diparte da quello che è attualmente il quartiere Rio, l’area piana tra la
destra del fiume Agno e l’altura del Castello, che costituì nel Medioevo il primo insediamento
abitativo di Valdagno. Come si deduce dalla carta del catasto napoleonico e da quella più
recente dei primi del Novecento, il tracciato dell’attuale vicolo Malpaga coincide con l’antica
strada del Castello, che viene citata in un atto notarile del 30 aprile 1524 come ‘strada
Malpegae eundo ad castellum’.
Dell’antica forma del toponimo ‘Malpega’ l’autore della Storia di Valdagno propone
dubbiosamente una derivazione da ‘‘malpaga’, che voleva dire ‘debito’’. (Mantese 1966:
133).
Secondo la mia proposta, invece, ‘Malpega’, è più antico della forma ‘Malpaga’: quest’ultima
è frutto di una reinterpretazione dell’antico toponimo semanticamente opacizzato, grazie
all’accostamento con un derivato (peraltro di incerta attestazione) di ‘pagare’. In ‘Malpega’è
riconoscibile forse un antico composto ibrido, formato da mal- nel senso di ‘impervio, ripido,
malagevole’, che occorre spesso nella toponomastica come primo elemento di composto (cfr.
Malombra, Malcontenta, ecc) e da –pèga, forma adattata dal Cimbro ‘beg’ ‘strada’, voce
diffusa in tutto il corridoio cimbro, soprattutto nel diminutivo ‘bègala’ ‘vicolo, sentiero’.
All’interno del corridoio cimbro, ‘Malpega’ di Valdagno trova il raffronto più puntuale nel
comune di Vallarsa, dove un antico toponimo, Malpeche, indica ora un’area parzialmente
12
franata del Rio Foxi (Fluss p 11). Per la seconda parte, che presenta la sonorizzazione della –
k-, Malpega sarà da confrontare con Valpegara, piccola frazione che si inerpica sul versante
destro della Val d’Astico, la cimbra‘Astach-Tal’.
Se si accetta la proposta qui avanzata per l’origine del composto ‘malpaga’, vicolo Malpaga
rientra pienamente nel tipo di toponimi ridondanti citati all’inizio del paragrafo, nei quali il
primo elemento italiano, nel nostro caso ‘vicolo’, traduce (almeno parzialmente) il secondo.
Rispetto ai composti ibridi trentini, invece, e, specificatamente, rispetto a Malpeche,
‘Malpaga’presenta un grado di integrazione fonetica (sonorizzazione di –K-), morfologica (la
malpega vs *la malpeche) e semantica (reinterpretazione come deverbale di ‘pagare’) molto
elevato, pienamente compatibile con un’età molto antica, che coincide, verosimilmente,con le
origini dell’abitato cittadino.
Dal punto di vista storico, la presenza tedesca (forse specificatamente bavarese) nella
Valdagno medievale è ben documentata e consistente: Mantese riporta in appendice alla sua
storia il documento nel quale Miglioranza e Panensacco Trissino, figli dell’Olderico che
venne in Italia con Federico Barbarossa, si divisero, nel 1224, giurisdizioni e redditi della
terra di Valdagno. Nella lista delle persone che assistettero all’atto prevalgono nomi di chiara
ascendenza germanica, come quello dell’’archipresbiter’ Pandolfino, che richiama nel nome il
santo bavarese al quale era dedicata una cappella nella vicina Marana (Crespadoro,VI) prima
della costruzione della chiesa di san Rocco (Mecenero 1985: 113). Ma, soprattutto, come
ricorda lo storico valdagnese ‘disperse nel vasto territorio, ossia in quella che il documento
chiama ‘curia Valdagni’, abitavano altre famiglie di lavoratori, in buona parte di origine
tedesca.’ (Mantese, 1966:108).13
L’elemento germanico, dunque, è ben attestato nelle origini di Valdagno, il cui primitivo
nucleo abitativo sorgeva proprio ai piedi dell’altura del Castello14, dove gli studiosi locali
13
In tutta la sua poderosa storia di Valdagno l’autore chiama sempre ‘lavoratori tedeschi’
quelli che attualmente, con le debite precisazioni storiche, continuiamo a chiamare Cimbri.
14
L’altura del castello conserva nel toponimo il ricordo dell’antico edificio distrutto nel 1263
durante durante la cosiddetta ‘guerra di Valdagno’, combattuta fra Guelfi e Ghibellini
specialmente nei castelli di Valdagno e Malo, come spiega Mantese (1966: 101 e ssgg).
13
hanno già riconosciuto un’origine cimbra, come abbiamo visto, a toponimi quali Borgheri15,
Zenere e , come abbiamo visto, Asnicar.
Se l‘origine del toponimo proposta è corretta, però, Vicolo Malpaga abbassa la quota di
attestazione di toponimi cimbri radicandoli nel cuore della città: come vedremo più avanti,
Vicolo Malpaga non sarà l’unico caso.
5.5 Composti parzialmente italianizzati
Nella Valdagno attuale Valgrossa è il nome del principale affluente di sinistra del fiume
Agno, nonché di un elegante quartiere residenziale, che si è sviluppato, nel corso del secolo
scorso, nell’area compresa tra la destra orografica del torrente e il fiume Agno. Tre ponti lo
collegano perfettamente allo stabilimento della Marzotto, la fabbrica che ha segnato lo
sviluppo cittadino di Valdagno a partire dal primo ventennio dell’800: la qualità delle
abitazioni rivela immediatamente l’impronta residenziale del quartiere, ampliato nel secolo
scorso per ospitare le famiglie dei dirigenti dell’azienda.
Nel dialetto valdagnese l’idronimo Valgrossa mantiene ancora una certa esoticità, dovuta alla
caratterizzazione decisamente iperbolica del secondo elemento ‘grossa’, che nel dialetto
valdagnese indica propriamente, come in italiano ‘grosso’ riferito a fiume, mare, lago, un
torrente perennemente gonfio per la piena: e questo non è, o, per lo meno, non è questo il
tratto distintivo del Valgrossa rispetto ad altri affluenti dell’Agno. Sono incline a pensare,
piuttosto, l’idronimo Valgrossa sia l’italianizzazione (parziale) del cimbro Groaz-tal ‘valle
grande’, toponimo ancora vivo in Val Terragnolo negli anni ’80, anche se in regresso rispetto
alla forma pienamente italianizzata ‘Valgrande’ o ‘Valgranda’ (Mastrelli Anzilotti 1980:37).
Nel toponimo valdagnese, invece, l’italianizzazione del toponimo non è, a mio avviso,
completa: nella traduzione italiana, infatti, sono incline a riconoscere un calco semantico,
favorito dalla somiglianza fonetica fra il Cimbro ‘groaz’ e il neolatino ‘grosso’, del primo
elemento del composto tedesco. Anche se i tratti semantici non sono perfettamente
15
Bevilacqua (1984: 46) fa derivare Borgheri dall’aat ‘Burgeri’ ‘cittadino, abitante di un
villaggio o insediamento’ e, con riferimento al Castello nella nota precedente, propone lo
specifico significato di ‘abitanti del castello’.
14
coincidenti16, ‘grossa’ ha tradotto nel toponimo valdagnese ‘groaz’, che trova invece in
‘grande/a’ il suo perfetto corrispondente semantico.
Ed è proprio in questa imperfetta sovrapposizione semantica tra ‘grossa’ traduzione di ‘groaz’
grande’ e il neolatino ’grossa’ la spia dell’origine alloglotta del toponimo che, come l’ibrido
‘Malpega’, risale verosimilmente ad un’epoca piuttosto antica, certamente anteriore alle
traduzioni perfette del tipo ‘Valgrande’ e ‘Valgranda.’
5.6 Composti completamente italianizzati
Il toponimo Vallarsa costituisce la traduzione italiana di ‘Brand-tal’ (Pellegrini 1980: 13). In
effetti presso i dissodatori cimbri la pratica di bruciare tratti di bosco per guadagnare terreni
all’agricoltura doveva essere piuttosto comune: questa era complementare alla produzione di
carbone,destinato a soddisfare il fabbisogno energetico di città come Vicenza, Venezia e
soprattutto Verona.
Oltre che nella trentina Vallarsa, infatti, il toponimo è attestato ben due volte nel solo comune
di Valdagno: si tratta di due toponimi, uno dei quali è ancora in uso, eduno risulta invece
estinto.
Al nome di Vallarsa risponde una contrada presso lo Zovo di Castelvecchio, ai confini con il
comune di Altissimo. Si tratta di un piccolo gruppo di case che, con i vicini Munari e i
Franchi (circa 700 m. s. l. m.), costituiva il limite dell’ecumene del versante orientale del
monte di Marana, più volte ricordato in questo breve contributo. Oltre a questo piccolo
insediamento alle pendici della montagna, Vallarsa è attestato fino ai primi decenni del ‘900
nella toponomastica urbana del comune di Valdagno. Assieme all’antico quartiere Rio,
precedentemente nominato, a Maglio di Sotto, a ‘Suparsóra Valdagno’, contra’ Vallarsa
(pronuncia dialettale Valarsa) faceva parte del centro cittadino. L’abitato, che si stendeva
sulla destra dell’attuale via Gaetano Marzotto, era costituito da gruppi di case collocate fra
l’attuale e centrale piazza Dante ed il quartiere di Maglio di Sopra. Il quartiere (Menato 1980:
438) contava fra i 500 e i 600 abitanti, e costituiva, per così dire, un proto villaggio operaio, a
16
A differenza di ‘grande’ che definisce l’altezza, in italiano come in dialetto veneto ‘grosso’
definisce piuttosto la larghezza di un oggetto. ‘Grosso’ e ‘piccolo’, infatti, possono modificare
il medesimo nome senza incompatibilità semantica . Es. un coltello piccolo e/ma grosso vs *
un coltello piccolo e/ma grande.
15
ridosso dello stabilimento laniero di Valdagno17, che, è ragionevole pensare, fu costruito nella
stessa località chiamata appunto Vallarsa. Quando negli anni 1923-1924 si rese necessario
l’ampliamento della fabbrica verso il centro di Valdagno, il quartiere Vallarsa fu abbattuto e
sul suo terreno furono edificati il nuovo fronte dello stabilimento e le villette residenziali per
gli atti dirigenti della Marzotto: dal 1927, grazie anche ai lavori di imbrigliamento del fiume
realizzati in epoca fascista, l’architetto Bonfanti poté ideare e realizzare nel nuovo quartiere di
‘Oltre Agno’ la ‘città sociale’, con nuovi abitazioni e servizi per i lavoratori della Marzotto.
Dell’antico toponimo non rimane traccia se non nella memoria di qualche valdagnese
‘antico’, ma è comunque sorprendente pensare che nel cuore industriale della città di
Valdagno, e non solo negli insediamenti rurali del corridoio cimbro, gli antichi coloni
tedeschi abbiano lasciato un’impronta in qualche modo riconoscibile.
6. Conclusione
Il Cimbro dei primi coloni germanofoni non fu una lingua scritta (Bidese: 2010) e, diffuso un
tempo in un territorio molto più esteso delle attuali enclaves di Roana-Mezzaselva, Giazza,
Luserna, è diventato, in epoche diverse, all’interno del corridoio cimbro, una lingua estinta. È
straordinario notare come, nonostante le ragioni socio-linguistiche, culturali, politiche18
addotte per il suo regresso e la sua scomparsa, in alcune comunità del corridoio cimbro si era
persa perfino la memoria dell’antica parlata. Di questa lingua, nella quale predicavano i
pastori ‘de Alemania’ e nella quale si traducevano gli atti notarili scritti in latino ed in veneto,
si sentono ancora in questi territori voci cimbre, fissate in toponimi e cognomi o cristallizzate
in alcuni settori del lessico.
Eppure, anche se esistono pregevoli monografie sulla toponomastica, cimbra e non, di singoli
territori, il corridoio cimbro non costituisce ancora un oggetto di studio specifico ed unitario,
come a mio avviso meriterebbe, per varie ragioni.
17
Per la documentazione fotografica si veda la pubblicazione VALDAGNO Patrimonio
Industriale e Città Sociale, Città diValdagno (2006) p 30.
18
Tra le diverse cause, la mostra Gli Altopiani Cimbri nella Grande Guerra dell’istituto di
cultura di Luserna realizzata quest’anno mostra con dovizia di documenti quale ruolo abbia
rivestito il fenomeno del ‘profugato’ nell’abbandono del Cimbro da parte degli abitanti
dell’Altopiano di Asiago.
16
Innanzi tutto, almeno in teoria, il corridoio cimbro consente di leggere questa lingua, priva di
testimonianze scritte stratificate nel tempo, in diacronia: limitatamente ai composti, come ho
mostrato in questo contributo, è attestato in questi territori lo stadio più conservativo della
struttura con l’ordine germanico degli elementi, accanto ai toponimi più recenti, nei quali il
composto appare completamente italianizzato; ancora, la presenza di composti ibridi, come
quelli qui presi in esame, può rivelare qualcosa sulle dinamiche del mutamento linguistico
dovuto al contatto, avvenuto nel corridoio in tempi e modalità diverse rispetto alle isole
linguistiche attuali.
Oltre ad ampliare l’orizzonte diacronico delle forme del Cimbro, inoltre, lo studio del
corridoio consente di allargare quello che potremmo definire ‘spazio cimbro’ anche dal punto
di vista geografico.
In primo luogo in altezza. Se fossero corrette le nostre proposte che abbassano al fondovalle
lo ‘skyline’ dei toponimi cimbri a Valdagno, lo ‘spazio cimbro’ non coinciderebbe solamente
con il paesaggio rurale delle contrade o con gli insediamenti in alta montagna, ma si
estenderebbe anche ai nuclei industriali del fondovalle, dove l’industria, a Valdagno ma forse
anche nelle vicine val Leogra e valle del Chiampo, si sviluppa su terreni che gli antichi coloni
avevano preparato per l’agricoltura.
In secondo luogo in lunghezza ed in larghezza. Il concetto di corridoio cimbro, infatti, inteso
come territorio nel quale si è parlata una lingua estinta al suo interno in momenti diversi, sarà
in grado di descrivere tra qualche anno anche la situazione delle isole linguistiche
propriamente dette, almeno nel Veneto: non è un mistero, infatti, che nei Sette Comuni e nei
Tredici Comuni il Cimbro sia praticato ormai esclusivamente da parlanti cosiddetti
‘evanescenti’, impegnati a consegnare al futuro le chiavi per comprendere un grande territorio
unico, piuttosto che a far sopravvivere forzatamente una lingua diventata antica. Come
l’antico e il medio tedesco, dai quali il Cimbro deriva. Come l’italiano antico, dal quale deriva
la lingua di Dante. Come il latino. Per le nostre vallate, per un certo periodo, più importante
del latino.
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