Isabella Pezzini, Lucio Spaziante, Ugo Volli,
Riccardo Finocchi, Guido Ferraro, Paolo Peverini,
Gabriele Marino, Bianca Terracciano, Marianna Boero,
Stefano Traini, Giulia Ceriani, Vanna Codeluppi,
Daniela Panosetti, Anne Beyaert, Franciscu Sedda
Corpi mediali
Semiotica e contemporaneità
a cura di
Lucio Spaziante
Edizioni ETS
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CONTRIBUTO????
© Copyright 2014
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
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Distribuzione
PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]
ISBN 978-884670000-0
Reputazione e influenza
nei social media
Una prospettiva sociosemiotica
Paolo Peverini
Università Luiss Guido Carli
Nella prospettiva di una semiotica dei media digitali, disciplina
i cui confini appaiono quanto mai difficili e «incerti» da tracciare,
innanzitutto a causa dell’estrema eterogeneità e del dinamismo
marcato che caratterizzano il campo di studio, una delle sfide più
complesse sul versante teorico e degli strumenti di metodo è
senz’altro rappresentata dalla difficoltà di analizzare le logiche della significazione che caratterizzano i social network. Le varie piattaforme dei social media sono profondamente differenziate in funzione di numerosi parametri che spaziano dalla natura dei servizi
offerti agli utenti, alla struttura delle interfacce, dal livello di integrazione mediale con altri strumenti della comunicazione, alla
continua rinegoziazione tra gli usi ideali del mezzo prefigurati dagli sviluppatori e le diverse pratiche d’uso attivate dagli utenti.
Un aspetto che tuttavia emerge innegabilmente come un vero e
proprio snodo strategico nella progettazione dei vari media conversazionali e che costituisce uno degli aspetti salienti del funzionamento di piattaforme di condivisione di contenuti, altrimenti
profondamente diversificate, è l’enfasi crescente sulla cosiddetta
web reputation.
Web reputation
Questo termine, sempre più diffuso non solo tra i professionisti
che lavorano a vario titolo nel settore dei social network (social
media management, social media marketing, content curation, customer care) ma anche tra gli studiosi afferenti a varie discipline e
impegnati nell’analisi delle trasformazioni che investono il concetto di esperienza mediale, è oggetto di un grande interesse, in parti-
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Paolo Peverini
colare per quanto riguarda la possibilità di individuare, monitorare, gestire tendenze che investono trasversalmente gli scenari della
politica, dell’economia, dei consumi. L’espressione web reputation
indica infatti il risultato (continuamente rinegoziabile) dell’insieme
di conversazioni e messaggi, relativi all’operato di un soggetto, diffusi sui social network tramite il processo del word to mouth.
Al momento non esistono studi semiotici sul tema, a ben guardare tuttavia la reputazione nei social media si rivela a tutti gli effetti come un campo di piena pertinenza per l’analisi sociosemiotica. In primo luogo la reputazione prende forma a partire dal riconoscimento di una competenza, in altri termini essa è un effetto di
senso continuamente rinegoziabile tra diverse soggettività e istanze
enunciative. In secondo luogo, con riferimento specificamente ai
social media, la reputazione si misura in funzione di contenuti
condivisi, dunque di testi, discorsi, in altri termini di processi di significazione articolati in molteplici forme e sostanze dell’espressione e del contenuto.
Seguendo questa prospettiva, la web reputation può dunque essere intesa come un effetto di senso che emerge a partire da molteplici pratiche di riconoscimento-gestione-contrattazione dei contenuti tramite le quali un soggetto dell’enunciazione marca la sua presenza all’interno di una conversazione sui social media. In questo senso, nella prospettiva di una semiotica interessata ad estendere il
proprio raggio d’azione oltre «l’isolotto della significazione» (Landowski 2007) rappresentato dalle forme immediatamente riconoscibili della testualità, risulta particolarmente interessante indagare
le diverse modalità d’uso che le interfacce prefigurano (Cosenza
2014) e che sono di volta in volta attivate dai soggetti presenti in
un social network.
In particolare, uno degli effetti più eclatanti dell’uso disinvolto
dell’espressione web reputation, consiste nello «schiacciare» il
concetto di reputazione e le logiche che ne regolano il funzionamento sulla questione della visibilità, vale a dire sul livello di popolarità acquisito ed esibito all’interno di ambienti mediali concepiti per sollecitare quotidianamente gli scambi conversazionali tra
una molteplicità di soggetti dell’enunciazione.
Come si tenterà di mettere in evidenza, un equivoco particolarmente diffuso e che sollecita una riflessione sul versante semiotico,
consiste nel confondere spesso la questione complessa dell’influen-
Reputazione e influenza nei social media
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za sui social media con le nozioni di credibilità e di popolarità, cioè
rispettivamente con il livello di attendibilità che caratterizza la
competenza di un enunciatore nei confronti di un topic e con la visibilità che le sue affermazioni e la sua identità ottengono sui social.
Una prima conseguenza rilevante di questa premessa consiste
dunque nel riconoscere che non esiste un profilo unico del soggetto potenzialmente influente nel social network, ma semmai diverse
modalità d’azione sul piano comunicativo che rinviano a una serie
di «tipologie», vale a dire a un insieme di profili (più o meno stabili e definiti) di utenti modello.
Una seconda questione, particolarmente interessante nel quadro di una riflessione sociosemiotica mira a sollecitare un approccio critico e al tempo stesso fondato sia sul versante teorico sia sul
piano delle metodologie di analisi. Si tratta della tendenza, chiaramente prevalente tra quanti si occupano di monitoraggio e analisi
delle conversazioni sui social network, a privilegiare metodi di rilevazioni di tipo quantitativo per l’estrazione (data mining) di informazioni a partire da una enorme mole di dati (big data) rappresentati dagli scambi comunicativi che coinvolgono un grande numero di utenti. A questo proposito, appare particolarmente significativo il fatto che nel corso degli ultimi anni si sono diffusi siti internet e applicazioni come Klout, Kred o Peerindex che, utilizzando una serie di algoritmi di tipo proprietario, scandagliano il profilo di un utente sui diversi social network, mappandone il livello
di attività e di engagement (coinvolgimento) che ne caratterizza la
relazione con altri soggetti attivi nelle piattaforme social, restituendo sotto forma di un punteggio/ranking il potenziale di «reputazione sul web» di un account.
Da parte di una molteplicità di soggetti vi è l’esigenza sempre
più diffusa di poter avere una presenza sui social network e allo
stesso tempo di poter alimentare i processi della comunicazione ritenuti strategici per la realizzazione dei propri obiettivi, nonché di
poter monitorare la quantità e la qualità degli scambi comunicativi
in cui sono coinvolti (si pensi alle aziende, ai partiti politici, ai movimenti impegnati su una molteplicità di tematiche legate a un territorio, alle organizzazioni attive nel terzo settore e nel non profit,
ai gruppi di pressione). Ciò contribuisce a rendere particolarmente vivace il dibattito sul margine di affidabilità di questo genere di
misurazioni. Significativamente infatti, l’interesse non si concentra
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Paolo Peverini
esclusivamente sul versante del contenuto del messaggio, sul senso
delle conversazioni incentrate su un tema, ma investe sempre più
la questione delle diverse soggettività che prendono parte ai processi della comunicazione. In questo scenario una delle questioni
di maggiore attualità e al tempo stesso più controverse riguarda i
parametri utili a identificare i cosiddetti influencer, vale a dire i
profili di quegli utenti ritenuti in grado di generare un impatto significativo sull’andamento delle conversazioni relative a un topic.
Più specificamente, il termine influencer viene impiegato per
distinguere all’interno di un network di utenti di uno o più social
media, quei «nodi» ritenuti in grado di veicolare al meglio contenuti e opinioni in termini di amplificazione del messaggio e di velocità di propagazione, contribuendo in modo significativo all’andamento di una conversazione relativa a un topic.
Se da un lato non è difficile comprendere l’interesse che riveste
per il marketing strategico la questione degli influencer, dall’altro
appare evidente che un approccio meramente quantitativo non è
in grado di rendere conto dell’insieme di variabili che entrano in
gioco nelle pratiche d’uso quotidiano dei social network.
La questione non si limita alla capacità di un utente di saper
coinvolgere altri soggetti attraverso una serie di gesti apparentemente scontati sui quali si regge il funzionamento di una piattafforma conversazionale, come ad esempio i like su Facebook, i
retweet, le mentions e lo status di preferiti su Twitter.
È precisamente in questo passaggio che emergono le premesse
per un approccio di tipo semiotico all’analisi della web reputation.
Un metodo che mira a fornire un contributo utile nel dibattito sulle forme che assume la capacità di esercitare un’influenza nei social media integrando da un lato una semiotica dei media – laddove i media stessi sono considerati, alla luce dell’experiential turn1,
quali dispositivi di regolazione e rinegoziazione in grado di attivare forme peculiari di esperienza; dall’altro lato una più generale semiotica interessata a estendere la nozione di pratica in direzione
degli stili, delle tattiche e delle tecniche che definiscono diversi
modi d’uso dei social network da parte di soggettività dotate di
competenze, interessi, obiettivi molteplici.
1
Si veda a questo proposito la riflessione di Ruggero Eugeni (2010) sulla svolta
esperienziale nei media studies.
Reputazione e influenza nei social media
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In particolare, ripartendo dalla distinzione tra le nozioni di influenza, credibilità e visibilità si tenterà di dimostrare come un approccio di tipo sociosemiotico (fondato sull’osservazione delle modalità di autorappresentazione, di produzione e condivisione dei
contenuti che caratterizzano e distinguono gli influencer in un social network) possa contribuire a far avanzare l’indagine sulle dinamiche che intervengono nella continua rinegoziazione dello status dei soggetti coinvolti negli scambi conversazionali.
La quantità di like che vengono associati a un post su Facebook
oppure il numero dei follower di un profilo utente su Twitter non
esauriscono infatti in alcun modo la complessità che caratterizza le
diverse modalità d’uso degli ambienti mediali. Il loro accesso, sempre più facilitato grazie all’innovazione tecnologia sul versante delle
connessioni alla Rete e alla portabilità di mobile devices sempre più
performanti, si accompagna spesso all’effetto di senso di una piena
convergenza tra il mondo dell’esperienza diretta della vita quotidiana e il mondo indiretto prefigurato dai media conversazionali.
In particolare, Ruggero Eugeni (2010: 17) ha sviluppato una riflessione critica rispetto a una diffusa tendenza nei media studies
la quale mira a ribadire la naturalizzazione dell’esperienza e per
estensione, dell’esperienza mediale. Si tratterà invece di ribadire la
vocazione critica dell’approccio semiotico e la legittimità di un
metodo finalizzato innanzitutto a «[…] minare le basi di un progetto ideologico che i media perseguono: quello di affermare l’impercettibilità della loro attività». In questo senso, si tratterà dunque di contestare la presunta naturalizzazione dell’esperienza mediale, di demitizzare l’innocenza e la trasparenza degli apparati
mediali che regolano l’accesso a un insieme quantomai vasto di risorse esperienziali, ribadendo semmai la natura progettuale e progettata che caratterizza la relazione sempre più stretta tra le pratiche
di accesso e uso dei social network, e il vivere quotidiano.
In altri termini, come si tenterà di mettere in evidenza, ciò che
rende potenzialmente influencer un utente non è banalmente l’intensità e la frequenza d’uso dei tool predisposti da una o più piattaforme, ma il possesso di una competenza di tipo metacomunicativo che consiste nel pianificare il proprio discorso in funzione di un
set di azioni che si ripercuotono sul livello della circolazione potenziale del messaggio e che riguardano in particolare:
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Paolo Peverini
– la scelta di un topic.
– le modalità che presiedono tanto alla propria autorappresentazione (enunciatore) quanto alla rappresentazione dei propri interlocutori (enunciatari).
– il livello e la continuità nell’interazione con gli altri utenti.
– la capacità di inserirsi nella conversazione e gestire i turni di
parola.
– il livello di integrazione con altri testi e altri media.
Partendo dunque dal presupposto che non ha alcun senso parlare di influencer in termini assoluti ma semmai di diversi profili di
account riconosciuti come tali da alcuni soggetti, solo all’interno
di certe piattaforme social, e rispetto a determinati topic, nelle
prossime pagine verrà presentato uno schema per l’osservazione e
l’analisi delle diverse pratiche d’uso di Twitter.
La decisione di concentrare lo studio su questo social network
in particolare si fonda in particolare su una serie di considerazioni:
– twitter è ad oggi il social network più reattivo, una piattaforma
per le conversazioni in real time, nel quale la diffusione di notizie e i movimenti d’opinione viaggiano senza filtri e vincoli legati alla privacy;
– twitter offre dati in real time e aperti a tutti;
– gli utenti scelgono più liberamente chi seguire, a chi concedere
la propria attenzione;
– è possibile analizzare gruppi e community basati su interessi, e
le relazioni sociali vanno ben oltre la cosiddetta «amicizia»;
– i flussi di opinione si intersecano, si partecipa alle conversazioni, si interagisce anche con chi non si conosce;
– in 140 caratteri ogni parola è scelta con più consapevolezza, restituendo quadri più precisi di gusti, intenzioni, pareri, sentimenti;
– la prevalenza assegnata alla parola rispetto alle immagini rende i
dati più leggibili rispetto a quelli che si possono raccogliere su
una visual social platform;
– il monitoraggio e l’analisi delle conversazioni su Twitter sono
attività strategiche per ogni soggetto interessato a ricavare
informazioni sulla propria reputazione e sul livello di influenza
dei propri interlocutori, (un settore particolarmente interessante in questo senso è rappresentato dal controllo e dalla gestione
delle crisi di reputazione).
Reputazione e influenza nei social media
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La considerazione di fondo da cui prende forma questo modello è che la riconoscibilità di un influencer si fonda su una serie di
pratiche reiterate sul versante della comunicazione, un insieme di
movimenti compiuti all’interno dell’ambiente mediale a partire da
una serie di opzioni distinte tramite le quali un account mira a costruire, proiettare all’esterno e rinegoziare costantemente la propria identità.
Il punto di partenza per approcciare nei termini semiotici la
questione della web reputation non può che essere dunque la definizione dizionariale di influenza.
Influenza, credibilità, visibilità
Per influenza si intende l’autorità, l’ascendente, il peso, il prestigio, e ancora, il potere o capacità di determinare o modificare tendenze culturali, indirizzi letterari, opinioni. Una prima considerazione interessante che si evince è il fatto che, con riferimento ai social network, il termine influenza viene spesso utilizzato a sproposito, impiegato per definire il profilo di alcuni account particolarmente conosciuti che sono in grado di raccogliere un ampio seguito in termini di follower e di generare e/o alimentare conversazioni a partire dai propri messaggi. In altri termini, la tenuta semantica di questa parola, con riferimento ai social media, viene compromessa dal fatto che molto spesso viene impiegata come sinonimo
di notorietà e non per indicare «colui che gode di autorità, potere,
prestigio». Per cogliere la vaghezza sul piano del contenuto del
termine influencer può essere utile richiamare il significato della
parola credibilità che spesso viene usata in maniera altrettanto disinvolta dagli addetti ai lavori e che si definisce come «qualcosa
degno di fiducia, che si può credere». È sufficiente dunque introdurre questa prima comparazione tra il significato delle parole
«influenza» e «credibilità» per iniziare a fare ordine in un ambito
spesso caratterizzato da una diffusa imprecisione sul piano semantico. In primo luogo, infatti, la correlazione tra questi due attributi
potenzialmente riferibili a un soggetto non è affatto ovvia, tantomeno lineare.
Una persona ritenuta credibile può rivelarsi influente nella misura in cui la reputazione e il credito di cui gode e che gli vengono
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Paolo Peverini
riconosciuti da altri soggetti possono consentirgli di determinare o
contribuire a orientare delle tendenze o delle opinioni. Tuttavia
non è possibile in alcun modo sostenere che una persona in grado
di determinare o di modificare una tendenza o un’opinione sia dotata necessariamente di una credibilità, vale a dire di una solida reputazione che deriva da una comprovata attendibilità. Per converso, occorre inoltre constatare che anche un soggetto ritenuto credibile non necessariamente sia in grado di esercitare una qualche
forma di influenza, dal momento che il credito che gli viene riconosciuto può non essere in alcun modo sufficiente a dotarlo di
un’autorevolezza che si traduce nella capacità di contribuire alla
trasformazione di uno stato di cose.
È importante a questo punto introdurre un terzo termine, il cui
significato, come verrà illustrato nel prossimo paragrafo, gioca un
ruolo determinante nelle pratiche che guidano le mosse conversazionali degli influencer su Twitter, vale a dire la visibilità. Questa
parola viene qui intesa con riferimento a un’accezione di tipo figurato, vale a dire come qualcosa «che è a disposizione del pubblico
o comunque aperto al pubblico». Secondo questa definizione, largamente attestata nell’uso comune della lingua, un soggetto viene
dunque ritenuto visibile nella misura in cui la sua figura è caratterizzata da una marcata esposizione, viene in altri termini riconosciuta come nota da un pubblico.
Comparando il significato delle parole influenza, credibilità e visibilità è possibile trarre allora alcune considerazioni di ordine generale che contribuiscono a fornire alcuni spunti particolarmente utili
per affrontare in una prospettiva semiotica la questione complessa
delle logiche che sovrintendono alla cosiddetta web reputation.
In particolare si può osservare una chiara correlazione tra la nozione di influenza e quella di visibilità, dal momento che un soggetto dotato di un’autorità, la quale si manifesta nella capacità di
contribuire in modo decisivo al cambiamento di una situazione,
possiede necessariamente una certa notorietà, ovvero un’esposizione che gli consente di essere riconosciuto da un pubblico più o
meno ampio. Diversamente, i fenomeni della credibilità e della visibilità non sono necessariamente interrelati, poiché se da un lato è
senz’altro possibile che il livello di esposizione di un soggetto si
accompagni anche alla sua attendibilità (che a sua volta può essere
misurata con riferimento a numerosi parametri come la competen-
Reputazione e influenza nei social media
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za nei confronti di un topic, o l’onestà sul piano della condotta
morale) è vero anche il contrario, cioé il caso che riguarda una
persona pienamente credibile ma assolutamente non visibile,
«anonima». Se dunque è certamente possibile essere influenti perché credibili, occorre constatare che si rivela impossibile essere influenti senza essere dotati di una certa visibilità.
Tornando ora alla questione della misurazione della web reputation, risulta particolarmente significativo (e al contempo riduttivo nei termini della prospettiva semiotica), il fatto che gli strumenti più avanzati e affermati sul mercato internazionale, che promettono all’utente di riuscire a monitorare la propria influenza sui
principali social network, si fondino in realtà su algoritmi messi a
punto prevalentemente in funzione della nozione di visibilità piuttosto che di quella di credibilità.
In altri termini, il calcolo del cosiddetto online impact offerto
all’utente viene elaborato in base a una serie di parametri (metriche) che riguardano il livello di esposizione dei suoi messaggi, sposando un approccio alla misurazione del tutto sbilanciato in senso
quantitativo. Emblematico in questo senso l’uso sempre più comune del termine engagement, invocato per rendere conto della capacità di un soggetto di generare interazioni. Questa parola, traducibile in italiano con le espressioni «ingaggio», «coinvolgimento»,
rende conto sia della capacità di un account di attivare, attraverso
la pubblicazione di contenuti, un insieme di relazioni con altri
profili presenti sui social network, sia dei livelli di continuità e di
intensità che caratterizzano le interazioni con gli altri user. Il livello di engagement varia dunque in funzione dell’incremento dei
soggetti con i quali un account entra in relazione e della quantità
degli scambi conversazionali nei quali è coinvolto. Si tratta di due
dinamiche sulle quali si basa il funzionamento di tutti i principali
social media e che contribuiscono ad alimentare i fenomeni diffusi
dell’ipercomunicazione e dell’iperesposizione, tendenze esaminate
da vari studiosi nei termini di una vera e propria forma di «ossessione collettiva» (Lovink 2012; Keen 2013).
Una conseguenza di questo approccio quantitativo al monitoraggio e alla misurazione delle interazioni consiste dunque nel sovrapporre in modo del tutto indebito la nozione di credibilità con
quella di visibilità, restituendo l’idea, infondata, che il credito di
cui gode un soggetto attivo nei media conversazionali corrisponda
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Paolo Peverini
alla popolarità dei messaggi di cui è direttamente responsabile come soggetto dell’enunciazione o che lo vedono coinvolto in qualità
di enunciatore di secondo livello (logica del passaparola), o ancora
di enunciatario.
È dunque a partire da questa prima ricognizione sulle problematicità che emergono dietro espressioni sempre più popolari e in
apparenza del tutto ovvie che si cercherà di proporre un approccio alternativo all’analisi delle logiche tramite le quali un account
acquisisce lo status di influencer all’interno di una rete di scambi
comunicativi, focalizzando l’attenzione sulla nozione semiotica di
strategia secondo cui
[…] i simulacri dei soggetti in gioco sono forze in campo: per potersi
combattere, o mettersi d’accordo, Soggetto e Antisoggetto si dotano
ognuno di una propria immagine da mostrare all’altro e, parallelamente,
si costruiscono ognuno un’immagine dell’altro. Di modo che tali simulacri funzionano come vere e proprie armi contro il nemico. Analogamente,
nelle strategie comunicative, per poter interagire, emittente e destinatario
devono in primo luogo mettersi d’accordo sui valori della comunicazione,
dunque devono negoziare e confliggere, confliggere per negoziare (Marrone 2011: 104).
Secondo questa prospettiva, è dunque possibile sostenere in via
preliminare che il livello di influenza di un account è il risultato
della competenza da parte di un soggetto dell’enunciazione nella
pianificazione e nella gestione dei propri messaggi in funzione di
un insieme di tattiche mirate ad amplificarne la circolazione, dunque esso si fonda sulla capacità di riconoscere e gestire non solo il
proprio simulacro ma quello dei propri interlocutori.
Da questo punto di vista viene a cadere la legittimità di qualsiasi prospettiva metodologica che miri ad analizzare le logiche che
presiedono alla web reputation astraendo dalle caratteristiche che
definiscono le singole soggettività degli utenti coinvolti in una
conversazione, come evidenzia anche Massimo Leone (2011) in
una riflessione sugli aspetti che contraddistinguono l’analisi semiotica dei media conversazionali rispettivamente dall’approccio sociologico e da quello dell’ingegneria informatica.
Una rete sociale concepita secondo i criteri epistemologici della semiotica non può assumere quale modello una rete informatica, o qualsiasi altro
modello di rete in cui si faccia astrazione della qualità degli individui coin-
Reputazione e influenza nei social media
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volti nella rete e ci si concentri unicamente sulla misura quantitativa della
loro natura topologica, relazionale, differenziale, eventualmente opposizionale. In una rete semiotica, quello che conta non è la posizione dell’individuo nella rete, o i legami che lo legano ad altri individui. Quello che conta
in una rete semiotica sono i segni che gli individui decidono di produrre o
non produrre, ricevere o non ricevere, eliminare o non eliminare, all’interno della rete. In altri termini, in una rete semiotica quello che conta non
sono né i nodi né i legami, ma ciò che passa attraverso la rete, i contenuti.
Anzi, si può e si deve sostenere che, secondo l’epistemologia semiotica, la
rete esiste solo in virtù dei contenuti trasmessi (Leone 2011: 16).
In questo senso, riportando al centro dell’analisi la dimensione
soggettiva che contraddistingue l’utilizzo dei tool offerti dal servizio di microblogging di Twitter, si concentrerà l’analisi sull’insieme
di pratiche tramite le quali un account si dota di un’identità attraverso l’uso del linguaggio, sulle mosse e contromosse che consentono a un profilo di ritagliarsi una visibilità e di esibire la propria
capacità di influenzare le conversazioni relative a uno o più topic.
L’obiettivo è quello di elaborare uno schema che miri non tanto
a classificare le diverse tipologie di influencer, ma a rendere conto
del fatto che l’influenza che un account è in grado di esercitare si
fonda sulla capacità di gestire un insieme di variabili che contribuiscono alla circolazione dei suoi messaggi, al volume e all’intensità delle interazioni con altri soggetti.
Uno schema d’analisi
Partendo dalla constatazione che il livello di influenza di un account su Twitter è necessariamente correlato alla sua visibilità e
che questa a sua volta è la risultante delle azioni che vengono compiute nel quadro di un insieme di risorse espressive prefigurate
nell’interfaccia del social network, si è deciso di elaborare una griglia di analisi che tenesse conto di tutte le mosse potenzialmente
attuabili da un influencer a partire da una serie di opzioni d’uso.
La struttura dello schema (Fig. 1) è stata concepita per analizzare
il modo in cui la web reputation di un account su Twitter emerge
come il risultato di una serie di scelte sul piano comunicativo,
compiute in funzione di una molteplicità di livelli distinti. Per
comprendere i meccanismi che contribuiscono a determinare
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Paolo Peverini
Fig. 1. Schema della griglia di analisi.
Reputazione e influenza nei social media
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questo effetto di senso è utile individuare i diversi piani nei quali
si articola e si manifesta l’identità di un influencer, inteso in quanto enunciatore, vale a dire come una forma di soggettività costruita
tramite una serie di azioni reiterate e radicate nel linguaggio e
compiute all’interno di un set di regole d’uso prefigurate dalla
struttura della piattaforma.
Secondo questa prospettiva dunque un account può essere influente rispetto a uno o più topic, nei confronti di qualcuno, manifestando/condividendo su una o più piattaforme un punto di vista,
prendendo parte a una conversazione secondo certe modalità.
Autorappresentazione account
Il primo spazio dell’interfaccia di Twitter che assolve una funzione significativa nella costruzione dell’identità di un account è
senza dubbio quello relativo al profilo dell’account, la cosiddetta
«bio». Una prima considerazione rilevante riguarda il fatto che
quest’area consente al soggetto del discorso di pianificare la propria rappresentazione, di dotarsi di un’immagine che a tutti gli effetti è pubblica nella misura in cui il social network è concepito
per consentire a qualsiasi utente, anche non registrato, di accedere
ai contenuti pubblicati sulla piattaforma.
Questo spazio riveste dunque un ruolo decisivo sotto il profilo
dell’enunciazione consentendo all’account di personalizzare la
proiezione della propria identità a partire da una serie di opzioni
che si rivelano semioticamente rilevanti. In particolare il riquadro
è organizzato in una serie di sotto aree ognuna delle quali consente all’utente di accedere a un set di azioni, come ad esempio l’inserimento di una fotografia, uno sfondo, una breve descrizione del
proprio profilo, eventuali link.
Con riferimento al ruolo che rivestono le metafore nel funzionamento dei nuovi media, è possibile considerare quest’area come
una vera e propria «copertina» adattabile alle esigenze dell’utente
che, ad esempio, per quanto riguarda la fotografia, può optare per
un ritratto più o meno amatoriale o professionale, studiato o spontaneo, a figura intera o in primo piano, a colori o in bianco o nero.
La gamma dei possibili effetti di senso a disposizione è dunque
molto estesa e viene ulteriormente ampliata dalla breve descrizio-
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Paolo Peverini
ne che si trova immediatamente sotto al nome che identifica l’account e che consente di optare per uno stile formale, informale
oppure ibrido, dove la qualifica del proprio ruolo lavorativo si accompagna a considerazioni di tono confidenziale sulle passioni
personali.
Significativamente un gran numero di utenti inserisce anche
link che consentono di estendere il discorso su di sé al di là dei limiti definiti dallo spazio a disposizione. Nella logica dell’autopresentazione/autopromozione che guida le norme d’uso di questo
spazio è frequente l’inserimento di uno o più collegamenti a blog e
siti web nei quali gli user illustrano le proprie attività o presentano
le proprie opinioni.
Una pratica piuttosto diffusa in questo spazio riservato alla descrizione del profilo consiste nell’inserimento di un hashtag2 che
consente all’account, sul piano della circolazione del sapere con i
propri interlocutori, di delimitare il campo semantico dei propri
interessi, in altri termini di definire, sul versante del contenuto, i
limiti delle conversazioni che lo riguardano e/o che lo interessano.
Un’ultima considerazione riguarda infine lo sfondo che può essere utilizzato per inserire qualsiasi tipo di immagine, accrescendo
dunque la quantità e il genere di informazioni sul profilo dell’utente. Con riferimento all’ambito commerciale questa opzione è
utilizzata frequentemente da account di aziende o professionisti
per l’inserimento di un logo.
Per quanto riguarda il discorso sugli influencer è importante
mettere in evidenza il fatto che la gestione dello spazio riservato al
profilo prefigura una competenza di tipo meta-strategico, nella misura in cui consente potenzialmente all’utente di allestire un doppio discorso relativo da un lato alla propria credibilità e dall’altro
alla propria visibilità.
2
Hashtag è un’espressione della lingua inglese derivante dalla fusione di due termini preesistenti: hash (cancelletto) e tag (etichetta). L’hashtag è un tipo di tag utilizzato in un numero crescente di social network per creare etichette utili a circoscrivere il
topic di una conversazione. Gli hashtag sono composti da parole o combinazioni di parole concatenate che sono precedute per convenzione dal simbolo # (cancelletto, in inglese appunto hash).
Reputazione e influenza nei social media
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Topic e conversazioni
La capacità di un account di esercitare un’influenza si evince
dall’argomento sul quale ruotano le conversazioni alle quali egli
partecipa e che egli contribuisce ad alimentare.
Questa parte dello schema prende dunque in esame le variabili
relative alla gestione dei contenuti dei tweet a partire innanzitutto
dall’ampiezza dell’area semantica relativamente alla quale l’utente
esprime un’opinione. In questo senso, il profilo che l’influencer
promuove nei confronti degli altri utenti può essere più o meno
«topic focused» e il contenuto dei suoi messaggi può riguardare
un argomento dai confini molto ristretti (es. la riforma dei sistemi
elettorali), questioni diverse ma afferenti a un medesimo campo
semantico (la scienza politica) o tematiche che investono ambiti
distinti (politica e sport).
Un secondo aspetto da prendere in considerazione riguarda rispettivamente l’intensità e la frequenza di utilizzo del social
network: due parametri che vengono visualizzati nel profilo utente
e che contribuiscono a fornire indicazioni utili rispetto al livello di
continuità che caratterizza le pratiche d’uso della piattaforma.
Una terza questione ha a che fare con il rapporto che intercorre
tra il topic su cui interviene l’utente e le tematiche al centro dell’agenda setting degli altri media. Alcuni influencer agiscono in funzione di argomenti caratterizzati da un’ampia copertura garantita
dal sistema dell’informazione (logica della discontinuità), altri intervengono su un topic a prescindere dal livello della sua visibilità
mediatica (logica della continuità).
L’ultimo parametro da considerare riguarda infine la correlazione tra il topic del messaggio e la scelta dell’hashtag utilizzato per
favorirne il reperimento e la circolazione. In alcuni casi gli account
si limitano a utilizzare parole chiave preesistenti per etichettare i
propri messaggi, in altri esibiscono la propria familiarità con le
pratiche d’uso di Twitter creando hashtag inediti, provando dunque a reindirizzare la conversazione in funzione di uno specifico
punto di vista.
In particolare è particolarmente diffusa la pratica di lanciare come hashtag una parola chiave di tipo connotativo (come ad esempio #sottomarino, per indicare l’incapacità del sindaco di Roma
nella gestione nel traffico per i disagi causati dalle piogge intense)
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Paolo Peverini
in cui domina il ricorso al sarcasmo e all’ironia. In questo caso
l’account privilegia, nella pianificazione e nella gestione delle interazioni con gli altri utenti, una serie di scelte linguistiche che producono l’effetto di una riduzione della distanza, a partire da una
complicità che viene esibita in modo plateale.
Influencer/follower/community
La terza sezione dello schema riguarda l’interazione tra l’influencer i suoi follower e, più in generale, la community degli
utenti che partecipano alle conversazioni incentrate su una serie di
topic in comune.
Alcune informazioni rilevanti in questo senso possono essere
desunte dall’osservazione delle pratiche d’uso relativamente ai comandi follower/following che contribuiscono a definire il livello di
reciprocità degli scambi comunicativi tra gli utenti.
Per ricostruire le caratteristiche distintive di un profilo account
su Twitter non è sufficiente prendere in esame la proporzione tra il
numero degli utenti che un account segue (following) e il numero
degli utenti dai quali viene seguito (follower), bensì è necessario
analizzare i profili dei soggetti con i quali il potenziale influencer
entra in relazione.
Emergonon così differenti modalità di gestione del profilo, così
come differenti prassi di costruzione e mantenimento dell’identità,
che qui si propone di definire con tre categorie: «community
oriented», «peer oriented», «guru».
Nella community oriented, l’utente interagisce più o meno regolarmente con un numero significativo dei suoi follower, a prescindere dal livello di competenza e di visibilità dei suoi interlocutori.
Nella peer oriented rientrano i profili degli user che selezionano
i propri follower in funzione della loro competenza, del loro ruolo
sociale e/o della loro popolarità. Questa pratica è molto diffusa su
Twitter a dimostrazione del fatto che il possesso di una competenza meta-strategica nella gestione del proprio profilo da parte di un
influencer, consiste anche nella capacità di individuare e coinvolgere altri soggetti a loro volta dotati di una forte riconoscibilità e
dunque ritenuti strategici nel sostenere la propria visibilità.
La tipologia guru riguarda infine gli user che interagiscono in
Reputazione e influenza nei social media
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modo decisamente limitato con i propri follower e che non si riconoscono nella logica della reciprocità che in modi diversi è presente negli altri casi.
Intertestualità e integrazione mediale
In questa area dello schema viene preso in considerazione il livello di intertestualità e di integrazione mediale che caratterizza i
messaggi dell’account. Nella ricostruzione del profilo di un potenziale influencer è molto utile osservare due parametri relativi all’uso dei link e degli allegati.
Nel primo caso due aspetti rilevanti riguardano la quantità e la
frequenza di inserimento dei link nel messaggio e soprattutto il genere di contenuto al quale essi rinviano. Si tratta di una variabile
importante nella gestione delle pratiche d’uso del social network
che un potenziale influencer può utilizzare non solo per ampliare il
proprio spazio discorsivo ma anche per esibire in modo ulteriore la
propria autorevolezza nei confronti di un topic. Un caso paradigmatico è quello relativo ai soggetti che non si limitano a esprimere
un’opinione utilizzando i 140 caratteri a disposizione ma sfruttano
il link a un blog o a un sito web per argomentare le proprie considerazioni, ad esempio rimandando a testate giornalistiche autorevoli. Ovviamente l’uso dei link può rispondere anche a una strategia
tesa a incrementare la propria visibilità e a favorire le interazioni
con altri account ritenuti particolarmente efficaci nell’amplificazione dei propri contenuti. È importante a questo proposito ribadire
che spesso gli account ritenuti influencer riconoscono e ribadiscono
la propria autorevolezza utilizzando i link come strumenti di visibilità reciproca, in una rete di rimandi incrociati ai propri blog. Inserire nel tweet un collegamento a un post pubblicato sul proprio
blog, implica l’utilizzo dello spazio garantito dal social network come un «ponte» utile a favorire l’accesso ai propri contenuti.
Un altro parametro da prendere in esame ha invece a che fare
con l’uso degli allegati, come le fotografie e i video, utilizzati spesso per favorire l’amplificazione del messaggio. Si tratta in questo
caso di prendere in considerazione sia il contenuto dell’immagine
fotografica e del testo audiovisivo sia il genere di correlazione che
si stabilisce con il testo del tweet.
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Paolo Peverini
Scambio comunicativo
La presenza di un account su Twitter e il modo in cui emerge la
sua identità in quanto enunciatore non si basano banalmente sulla
quantità di messaggi prodotti ma anche sugli scambi comunicativi,
sul livello di coinvolgimento nelle conversazioni e sulla gestione
dei turni di parola. In questo senso può essere utile, per tentare di
ricostruire il profilo di un potenziale influencer, osservare il modo
in cui egli pianifica il «lancio» dei propri tweet in funzione degli
altri messaggi relativi a un topic. In particolare, sul piano di un’analisi di tipo strettamente qualitativo, Twitter consente di esplorare l’intero flusso dei messaggi realizzati da un account e quindi di
osservare a posteriori la distribuzione dei suoi interventi in un arco temporale.
Considerando che molto spesso gli influencer sono account in
grado di favorire, tramite la propria opinione, la polarizzazione del
dibattito, può essere utile osservare le pratiche di ingaggio, condivisione e dissenso tramite le quali il soggetto si relaziona con gli altri interlocutori.
Questo genere di osservazione può aiutare a ricostruire il modo
in cui l’account ritaglia il proprio spazio di intervento in funzione
delle posizioni espresse dagli altri soggetti. In particolare è possibile in questo modo individuare eventuali account con i quali l’influencer dialoga frequentemente e dunque ricostruire le mosse finalizzate a ottenerne il sostegno o a provocarne una reazione di tipo polemico, in modo da amplificare in ogni caso la visibilità dei
propri messaggi.
Stile discorsivo e netiquette
L’ultimo aspetto che lo schema prende in esame riguarda le modalità con le quali si manifesta la partecipazione di un account a
una conversazione. In particolare qui si esaminano scelte relative
al versante del linguaggio verbale e all’uso di convenzioni che consentono di circoscrivere, tramite hashtag specifici, il topic di una
conversazione.
Per quanto riguarda la scelta dello stile discorsivo, si tratterà
dunque di osservare il modo in cui il soggetto dell’enunciazione si
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relaziona con il proprio messaggio, privilegiando uno stile orientato all’oggettivazione oppure alla soggettivazione. Non si tratta
semplicemente di distinguere un uso del linguaggio orientato a restituire un effetto di formalità o di informalità, ma di osservare anche l’uso della retorica con particolare riferimento all’ironia, alla
parodia e al sarcasmo.
Il secondo punto consiste invece nell’esaminare la competenza
da parte del soggetto dell’enunciazione nell’utilizzo di alcuni tag
specifici in uso tra gli utenti più attivi su Twitter che compongono
una sorta di netiquette condivisa e in continua evoluzione. Due casi esemplari sono rappresentati ad esempio dall’hashtag #FF, una
sigla che per convenzione significa «follow friday» e che viene impiegata per dare il benvenuto nell’ultimo giorno della settimana lavorativa ai nuovi account, e da #epicfail, parola chiave utilizzata
per indicare una situazione fallimentare relativa, in generale, alla
condotta di figure pubbliche.