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Il lavoro e la democrazia due principi fondanti dell'Italia antifascista

Il lavoro ha come obiettivo quello di ricostruire il processo parlamentare che portò alla scrittura della Costituzione, in particolare dell'articolo 1°.

UNIVERSITÀ DEL SALENTO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA, LINGUE E BENI CULTURALI CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN LETTERE MODERNE ELABORATO FINALE IN STORIA CONTEMPORANEA MODULO A Il lavoro e la democrazia: due principi fondanti dell’Italia antifascista Studenti: Roberto Fuschi 20022346 Daniela Massafra 20019669 1 INTRODUZIONE………………………………………………………………pag. 3 1. I caratteri di fondo della Costituzione italiana………………………………………………………………………………...» 9 1.1 Il “compromesso costituzionale" e la convergenza verso il modello sovietico……...………………………………………………………………………...» 9 1.2 “La libertà del bisogno”: la novità dei diritti sociali ed economici e il ruolo della donna lavoratrice……………………………………………………………………………..»14 1.3 Una Carta aconfessionale, rigida e accessibile al popolo……………………………………....................................................................»19 2. Il trionfo della democrazia: la sovranità del popolo…………………………………………………………………………...pag.» 27 2.1 Antifascismo e “centralità della persona umana”: la teoria filosofica dei diritti naturali………………………………………………………………………………..» 27 2.2 La sovranità "emana", "risiede" o "appartiene" al popolo? Il dibattito in Commissione e Assemblea Costituente……………………………………………………………………………» 33 3. Il lavoro come fondamento morale di un popolo libero……………………………….......................................................................pag. 36 3.1 Togliatti e il fronte delle sinistre per una "Repubblica di lavoratori"…………………………………………………………………………….» 36 3.2 Una formula di compromesso. La Democrazia cristiana e la " Repubblica democratica fondata sul lavoro” ………………………………………………………………………………………..» 43 2 3.3 Il fronte delle destre e le altre proposte: la discussione attorno ai concetti di "giustizia sociale", "diritti di libertà e diritti del lavoro", "solidarietà del lavoro umano"………………...……….……………………………………………………..» 48 CONCLUSIONI…………………………………………………………………pag. 54 FONTI……………………………………………………………………………pag. 57 BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………...pag. 58 SITOGRAFIA…………………………………………………………………....pag. 59 3 Introduzione Questo lavoro nasce dalla volontà di analizzare come, un’Italia devastata dal ventennio fascista prima, e dalla crisi bellica poi, sia stata in grado di ricostruirsi in un biennio "mitico", quello del 194547, darsi struttura e sostegno democratico e grazie a quel fondamentale clima di "compromesso" e solidarismo che si realizzò tra le varie forze politiche in campo, sia riuscita a redigere quel fondamentale documento, base della nuova vita repubblicana, finalmente libera dalle implicazioni totalitarie in cui era stata imbavagliata e bloccata per due decenni, che è la Carta costituzionale. Documento essenziale in quanto, contemplando i diritti sociali ed economici, quali il diritto al lavoro, all'istruzione, alla sanità etc., si distanzia notevolmente da tutta quella tradizione di stampo liberale e borghese che contrassegnò le carte costituzionali di origine ottocentesca. In particolare, obiettivo di questo studio sarà la ricostruzione del dibattito, maturato, inizialmente in Prima Sottocommissione, e poi in Commissione e Assemblea Costituente, in rapporto alla formulazione dell’articolo primo, in modo da comprendere l’iter che portò alla stesura definitiva dello stesso. Nella breve introduzione di carattere storico, verranno ripercorse le tappe fondamentali e le vicende politiche che fecero da sfondo al lavoro dell'Assemblea Costituente, e verranno esposte sinteticamente la modalità di formazione e la suddivisione di quest'ultima, insieme all'architettura interna del testo costituzionale in sé. Nel primo capitolo verrà analizzata l'impronta innovatrice, che i Costituenti impressero alla Carta costituzionale. Essi, infatti, in un clima di “compromesso” e dialogo, stabilirono i caratteri di fondo della stessa, quali l'aconfessionalità, la rigidità e l'accessibilità linguistica, riuscendo anche a raggiungere un accordo comune rispetto al modello da seguire. 4 Nel secondo capitolo, attraverso lo studio delle discussioni raccolte in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente1, in particolare nelle sedute del 9 settembre 1946, in Pima Sottocommissione, del 22 e 24 gennaio 1947, in sede di Commissione, e del 22 marzo 1947, in Assemblea Costituente, ci si soffermerà ad analizzare in maniera critica i due fulcri attorno a cui ruotò l'intero testo costituzionale, così come emersero in maniera esplicita nel suo I articolo: il concetto di sovranità popolare e quello di lavoro. Si vedrà in che modo, seduta dopo seduta, si giunse a quella formulazione definitiva dell'articolo cosi come lo leggiamo adesso; si ripercorreranno i dibattiti in Sottocommissione, Commissione e Assemblea Costituente, le posizioni dei vari esponenti, le discussioni accese, le divergenze e le inaspettate convergenze (clamorosa fu quella, come si vedrà, tra comunisti e democristiani che si venne a creare in sede ultima di approvazione dell'intero articolo a rispetto alla formulazione proposta dall’on. Fanfani). Successivamente si analizzerà il concetto di sovranità popolare come presupposto del trionfo della democrazia e il percorso relativo alla stesura del secondo comma del I articolo, attraverso un excursus filosofico, basato sul pensiero giusnaturalista della "centralità della persona umana" rispetto allo Stato, e si giungerà cosi alla formula definitiva che leggiamo oggi: " La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". Il terzo capitolo si concentrerà sul concetto di lavoro, ossia sul percorso riguardante le sedute del 28 e 29 novembre 1946, in Prima Sottocommissione, del 22 e 24 gennaio 1947, in Commissione e del 22 marzo 1947, in Assemblea Costituente. Si vedrà come esso rappresentò per i Costituenti il principio fondante del nuovo assetto politico e si ricostruiranno le diversissime posizioni tra costituenti. Esse, spesso colorandosi in maniera accesa e animata alla fine si La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, Roma, Camera dei Deputati, 1971. 1 5 compatteranno fino a rendere omogenea la scelta definitiva verso la formula: "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro". Sul piano dei processi storici, come è noto, l’8 settembre e il 25 luglio 1943 rappresentarono due date nodali della storia dell’Italia contemporanea. Esse, infatti, non delinearono soltanto il giorno in cui il governo Badoglio annunciò l’armistizio con le potenze alleate e il crollo del fascismo, ma anche, e soprattutto, il momento in cui la disfatta dello Stato Liberale, il dissolvimento dello Stato nazionale italiano, così come si era costituito nel Risorgimento, andarono a creare una situazione in cui l’Italia, sotto il dominio dell’esercito tedesco nel Centro-Nord e delle armate alleate a Sud, finì per subire un triplice scacco: la perdita dell’indipendenza, la perdita della sovranità, la perdita dell’unità 2 . È in questa situazione che l’antifascismo acquistò vigore organizzandosi nel Cln, il Comitato di coordinamento dei principali partiti antifascisti rinati dopo il ventennio fascista (Partito Comunista Italiano, Partito Socialista italiano d’unità proletaria, Democrazia Cristiana, Partito Liberale italiano, Democrazia del Lavoro, Partito d’Azione). L’obiettivo principale era il raggiungimento della liberazione e dell’indipendenza del paese, da ottenersi tramite la Resistenza e la lotta armata contro il nazi-fascismo. All’interno di questa comune prospettiva non mancavano certamente le divergenze interne relative alla modalità di costruzione del nuovo Stato democratico, divergenze che si proiettavano in una dialettica tra rinnovamento e conservazione. All’interno del fronte antifascista e resistenziale si scontravano forze che si battevano per un rinnovamento radicale (le forze di sinistra: Psiup, Pci e Partito d’Azione), che puntavano cioè alla realizzazione di una democrazia che si fondasse proprio sul Cln, e forze moderate che puntavano invece al ripristino delle istituzioni liberali prefasciste. Si vedrà come, F. Barbagallo, La formazione dell’Italia, in AA. VV., Storia dell’Italia Repubblicana, Vol. I., La costruzione della democrazia, Torino, Einaudi, 1994, p. 11. 2 6 con il susseguirsi dei governi De Gasperi, prevarrà una situazione di “compromesso”: l’idea di una democrazia fondata sui grandi partiti di massa e sul consenso popolare su cui giocherà un ruolo fondamentale la collocazione dell’Italia nell’area di influenza americana, quella cioè del capitalismo mondiale. La "coabitazione forzata”, la concordia, l’intesa, il solidarismo saranno le prerogative che terranno in piedi i governi di unità nazionale (dal governo Badoglio, Bonomi, Parri fino ai vari governi De Gasperi), caratterizzati dalla coalizione dei tre grandi partiti di massa; Dc, Pci, Psiup, almeno fino al 31 maggio 1947, anno di estromissione delle sinistre dal governo, per raggiungere tre obiettivi fondamentali nel processo di costruzione democratica dell’Italia: il referendum istituzionale, il trattato di pace, la stesura della Costituzione3. In questo contesto, il 2 giugno 1946 si svolse il referendum istituzionale che portò gli italiani a scegliere tra monarchia e repubblica e contemporaneamente alle elezioni per la Costituente. Il referendum provocò una spaccatura interna alla popolazione italiana, poiché si registrarono posizioni diverse tra un centro-nord compattamente a maggioranza repubblicana e un sud a maggioranza monarchica, per un risultato di 12 milioni e mezzo di voti a favore della repubblica e 10 milioni e mezzo a favore della monarchia4. L’Assemblea costituente, in seguito alla preferenza accordata dall’elettorato ai tre grandi partiti di massa vale a dire Democrazia Cristiana, Partito Socialista d’Unità Proletaria e Partito Comunista Italiano, risultò così formata da 556 membri divisi rispettivamente tra rappresentanti della DC (35,2% dei voti, 207 seggi), del PSIUP (20,7% dei voti, 115 seggi) e PCI (18.9% dei voti, 104 seggi). La rappresentanza dei gruppi di matrice liberale (Unione Democratica Nazionale con 41 seggi, e Blocco Nazionale della Libertà con 16 seggi) e del Partito d’Azione (7 seggi) fu invece più esigua; con gran 3 4 Ivi, pp. 65-85. V. Onida, La Costituzione. La legge fondamentale della Repubblica, Bologna, il Mulino, 2004, p. 30. 7 sorpresa, abbastanza corposa fu la rappresentanza del partito di destra Fronte dell’Uomo Qualunque avverso alla politica dei partiti antifascisti, il quale ebbe diritto a 30 seggi5. I due compiti principali dell’Assemblea furono quello di redigere nel più breve tempo possibile, attraverso la nuova Costituzione, i lineamenti essenziali del nuovo Stato, e quello di svolgere il ruolo di assemblea parlamentare con competenza relativa solo alle leggi in materia costituzionale, elettorale e di trattati internazionali, infatti, era ancora in itinere l’approvazione del trattato di pace. La legislazione ordinaria, invece, rimaneva di competenza del governo, il quale operava con decreti legislativi nei confronti dei quali le commissioni dell’Assemblea esprimevano solo pareri6. L’ispirazione di base del lavoro dell’Assemblea era unitaria ed era caratterizzata da una linea di confronto tra partiti, di unità e solidarismo. Ciò si evinse già dalla scelta accordata al presidente della stessa, dapprima venne scelto il socialista Giuseppe Saragat, poi il comunista Umberto Terracini, nonché dalla scelta accordata al capo provvisorio dello Stato: l’avvocato liberale di fede monarchica Enrico De Nicola; sicché la Costituzione, rappresentò il frutto più maturo di questa ispirazione unitaria e non fu minimamente intaccata dalle crisi governative che, come è noto, nel 1947, dopo la scissione del partito socialista, da cui si staccarono i socialdemocratici di Saragat, portarono all’estromissione delle sinistre dal governo e diedero vita al cosiddetto “centrismo”, che caratterizzò l’Italia fino ai primi anni Sessanta7. L’Assemblea era al suo interno suddivisa in questo modo: al vertice l'Assemblea Costituente, presieduta dal socialista Saragat, in seguito dal comunista Terracini, con il compito di approvare o modificare gli articoli cosi come erano stati elaborati nelle discussioni precedenti, e dar vita al testo definitivo, composta da 555 membri; una 5 Ivi, pp. 30-31. Ibidem. 7 F Barbagallo, op. cit., pp. 96-110. 6 8 Commissione per la Costituzione, detta “dei settantacinque” dal numero dei suoi componenti, che erano i principali esponenti dei partiti politici meglio noti come "padri costituenti", presieduta da Meuccio Ruini, con il compito preciso di scrivere il testo ed infine tre Sottocommissioni a loro volta così suddivise: la Prima Sottocommissione, presieduta dal democratico Tupini si occupava di diritti e doveri dei cittadini, la Seconda presieduta dal comunista Terracini di ordinamento della Repubblica e la Terza, presieduta dal socialista Ghidini, di diritti e doveri economico-sociali. Tra le Sottocommissioni e la Commissione vi era un altro organo che svolgeva un ruolo fondamentale: il Comitato di Redazione, organo di raccordo composto da 18 membri, il quale pur non avendo lasciato verbali del lavoro svolto, può considerarsi il vero artefice della Carta costituzionale. Lavorando individualmente elaborarono e approvarono il progetto presentato in Assemblea nel febbraio del 1947. Il testo fu approvato nella deliberazione finale il 22 dicembre 1947 con 453 voti favorevoli, 62 contrari e nessun astenuto, su 515 presenti. La Carta costituzionale italiana, promulgata dal Capo dello Stato il 27 dicembre 1947, è entrata in vigore il 1° gennaio 19488 . L’architettura della Costituzione fu molto nitida e risultò strutturata in questi termini: i primi dodici articoli, base essenziale della Costituzione furono detti “Principi fondamentali” e furono a loro volta raggruppati in principi sulla struttura della Repubblica (articoli 1,5), principi sulla posizione degli individui e dei gruppi nel sistema costituzionale e sui compiti della Repubblica a tal riguardo (articoli 2,3,4,6) e principi sui rapporti fra lo Stato e la comunità internazionale (articoli 10,11). Tali articoli rappresentarono l’ossatura su cui poggiava la nuova Carta repubblicana, e come ha acutamente osservato Onida, «i primi dodici articoli sono come il fastigio, che l’architetto della Costituzione ha posto sopra l’edificio»9. La seconda 8 9 V. Onida, cit., p. 33. Ivi, p.52. 9 parte del testo costituzionale venne composta dalla sezione dedicata ai «diritti e doveri dei cittadini» e faceva leva sul concetto fondamentale dell’individuo considerato come singolo e l’importanza dei gruppi e formazioni sociali in cui si sviluppava la sua personalità. Essi si suddividevano a loro volta in «rapporti civili» (diritti dell’individuo legati alla semplice esistenza); «rapporti etico-sociali» (diritti dell’individuo in quanto inserito in «formazioni sociali»: la famiglia e la scuola, non che il diritto alla salute); «rapporti economici» (analisi dell’attività economica sia sotto il profilo individuale che comunitario); «rapporti politici» (rappresentavano l’insieme dei doveri e degli obblighi specifici quali la difesa, il concorso alle spese pubbliche attraverso il prelievo fiscale, la fedeltà alla costituzione e alle leggi). La sezione successiva era dedicata all’«ordinamento della Repubblica» e vi si analizzavano i poteri nazionali che derivavano direttamente o indirettamente dal popolo, cui spettava la sovranità. Questi erano: il Parlamento, il Presidente della Repubblica, il Governo, la Magistratura, le Regioni, le Province e i Comuni (gli enti di governo territoriali diversi dallo Stato centrale). L’ultimo titolo di questa seconda parte era dedicato alle «Garanzie costituzionali» e analizzava i compiti della Corte costituzionale e le modalità di revisione della Costituzione. A questi 139 articoli si aggiungeva un gruppo di 18 «disposizioni transitorie e finali», indicate con numeri romani. Esse erano composte da norme che regolavano il passaggio dal vecchio sistema monarchico-fascista al nuovo sistema democratico-repubblicano e da alcune norme speciali relative al vecchio ordinamento come ad esempio quelle che vietavano la ricostituzione del partito fascista, vietavano ai membri e discendenti di casa Savoia di ricoprire gli uffici pubblici e cariche elettive e soggiornare in Italia, norme queste ultime abrogate nel 200210. 10 Ivi, pp. 51-55. 10 Capitolo 1. Caratteri di fondo della Costituzione italiana 1.1 Il “compromesso costituzionale” e la convergenza verso il modello sovietico L’opera dei Costituenti non è sempre stata guardata in una visione mitica e positiva, ma spesso e da più fronti è stata attaccata e accusata: celebre è l’interpretazione degli azionisti, fautori dell’idea di una Resistenza tradita, i cui ideali non sarebbero stati realizzati, secondo il loro pensiero, dalla nuova democrazia italiana. Calamandrei, esponente di spicco del reazionario Partito d'Azione, riassunse il senso di questa posizione nella notissima formula: “per compensare le forze di sinistra di una rivoluzione mancata, le forze di destra non si opposero ad accogliere nella Costituzione una rivoluzione promessa”11. In realtà è noto che la base del compromesso accettato dalle sinistre era anche dovuto alla consapevolezza che in Italia il percorso rivoluzionario sarebbe stato compiuto, a differenza della esperienza sovietica, non attraverso una rottura rivoluzionaria vera a propria, ma attraverso le riforme e la cosiddetta "democrazia progressiva”. Dagli anni Settanta, in concomitanza con i governi del Centrosinistra, vi fu una rivalutazione in senso positivo dell’esperienza costituzionale. Infatti, secondo Pietro Scoppola, fu soprattutto nei lavori della Costituente, che si attuò quel clima di solidarietà, di intesa e di concordia che animò gli esponenti dei partiti partecipanti. L’espressione “compromesso costituzionale”, nel senso positivo e fecondo dell’”impegno comune” e del “promettere insieme” 12 era stata proposta per primo da Palmiro Togliatti13. 11 P. Scoppola, cit., p. 174. Ivi, p. 170. 13 Fu uno dei membri fondatori del Partito Comunista d’Italia e, dal 1927 fino alla morte, segretario e capo indiscusso del Partito Comunista Italiano del quale ne era stato anche rappresentante all’interno del Comintern, l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti. Membro dell’Assemblea Costituente, 12 11 Dunque, nonostante una parte della storiografia moderna abbia considerato il termine compromesso secondo l’accezione negativa del termine, si sa che, storicamente, tutte le costituzioni sono frutto di un’intesa, in quanto sono interpreti di un punto di equilibrio fra esigenze e forze diverse. Il clima di compromesso, dunque, risultò necessario in un contesto storico come quello del secondo dopoguerra, caratterizzato da crisi e da profondo rinnovamento, sulla spinta di grandi partiti di massa. Infatti, come cita Onida, la Costituzione italiana «nasce in un paese che aveva appena cominciato a sperimentare il passaggio dal parlamentarismo elitario del primo Ottocento alla democrazia di massa, non aveva ancora raggiunto il suffragio universale (le donne, in Italia, hanno votato per la prima volta nel 1946) e aveva visto il proprio sviluppo costituzionale bruscamente interrotto dall’esperienza del fascismo»14. L’obiettivo era ricostruire l’ordinamento democratico dalle fondamenta, sulla base proprio degli ideali e dei postulati del costituzionalismo occidentale quali: Stato di diritto, garanzie dei diritti fondamentali, eguaglianza fra i cittadini, giustizia sociale, democrazia, pluralismo politico. L’eterogeneità della classe politica composta da gruppi molto diversi e distanti ideologicamente fra loro, da una parte eredi della classe dirigente liberale prefascista, dall’altra cattolici democratici e sinistra di ispirazione marxista, trovava un compromesso proprio sulle basi del rifiuto e del rovesciamento dei principi dello Stato fascista, quali autoritarismo, partito unico, nazionalismo bellicista e recupero quindi delle libertà e delle garanzie dello Stato di diritto, con la volontà di creare uno Stato sociale e una democrazia parlamentare. Nonostante i liberali ebbero un peso relativamente modesto nell'Assemblea Costituente, è noto che la Costituzione rispettò in proponendo la “via italiana al socialismo”, cioè la realizzazione del progetto comunista tramite la democrazia progressiva e la rinuncia alla rivolta violenta. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/palmiro-togliatti/ (consultato il 5/1/2016, ore 15.45). 14 V. Onida, cit., p. 34. 12 buona parte i principi strutturali fondamentali della tradizione liberale fondata sullo Statuto Albertino, ed anche e soprattutto in questo si esplicava lo spirito di dialogo, collaborazione e compromesso suddetto; si mantennero infatti intatte le strutture dell'Italia liberale prefascista ma allo stesso tempo si diede amplissimo spazio a quella che era la parte propositiva e programmatica. Venne insomma creato uno Stato sociale che prevedeva il diritto al lavoro e allo studio e parlava di accessibilità a tutti della proprietà oltre che caricarsi di funzioni sociali. Calamandrei definì la Costituzione nel 1955 un «singolare ibridismo, frutto di un compromesso tra quelle forze politiche contrastanti, che, con espressione approssimativa, si possono chiamare le forze conservatrici e le forze riformatrici di sinistra»15. Riguardo al modello ispiratore per la redazione della Carta costituzionale, i Costituenti attinsero da diverse tradizioni costituzionali non rifacendosi solo alle esperienze ottocentesche italiane, ma anche a quelle europee ed extraeuropee. Come è noto, infatti, nessuna Costituzione nasce dal nulla, da pure invenzioni teoriche, ma i principi e le regole istituzionali espresse affondano le proprie radici nei documenti costituzionali del passato. Anche i Costituenti italiani, nel momento in cui si accinsero a redigere la Carta costituzionale avevano davanti a loro tutta una tradizione costituzionale europea di oltre centocinquant’anni da cui attinsero notevolmente. Due erano le volontà da cui ebbe inizio il lavoro dei Costituenti: la volontà di andare oltre i diritti individuali sanciti nella Costituzione francese del 1789, per mezzo dell’inserimento di diritti sociali ed economici, e la volontà di fare della Costituzione italiana il prodotto di un "pluralismo ideologico” sulla base del costituzionalismo europeo ed extraeuropeo nel quale confluissero le idee e le istanze migliori delle rivoluzione del periodo illuminista, il modello del parlamentarismo britannico, gli echi di Weimar, della S. Setta, Liberali, conservatoti e qualunquisti, in M. De Nicolò (a cura di), Costituente, Costituzione, riforme costituzionali, Bologna, il Mulino, 1998, p. 190. 15 13 Società delle Nazioni, l’odierno universalismo dei diritti, le libertà di Roosevelt, l’Austria Kelseniana degli anni Venti, fino al pensiero politico democratico formatosi tra le due guerre e nel secondo dopoguerra. 16 Il modello sovietico fu quello propugnato principalmente da comunisti e socialisti ed è riscontrabile già nella proposta dell'articolo I formulata da Togliatti, come "Repubblica di lavoratori" portata avanti come una sorta di battaglia di bandiera per tutto il processo della Costituente e che si ricollegava chiaramente alla Costituzione del 1936 per questioni come la "giustizia sociale", la linea della nazionalizzazione e la lotta ai monopoli. Poiché la struttura sociale e giuridica della Costituzione avrebbe dovuto definire non solo un sistema integrale e organico dei diritti della persona ma anche dei diritti degli enti sociali, compresi quelli economici, in questo clima la Costituzione sovietica apparve come modello ispiratore. Essa, in effetti, andando dal piano economico a quello culturale, abbracciava i vari ambiti in cui la persona umana si realizzava, ossia la vita familiare, economica, amministrativa, politica, culturale, religiosa, e comprendeva tutti quei diritti che invece non erano contemplati nella Costituzione del 1789, quali i diritti socio-economici come il diritto al lavoro, al riposo, alle assicurazioni sociali in caso di malattia, vecchiaia e perdita della capacità lavorativa, all'educazione, che rappresentarono la vera spinta innovatrice della nostra Costituzione. Partendo da questo presupposto, esponenti d'ogni orientamento e ideologia furono d'accordo nell'orientarsi sul modello sovietico. Tra questi risposero animatamente in sede di Sottocommissione soprattutto il democristiano Dossetti, il socialista Lombardi e il qualunquista Mastrojanni. Ciò che avvicinava i Costituenti, anche di differente impostazione politica, al modello sovietico erano le linee di fondo del programma dei comunisti italiani, i quali puntavano al 16 V. Onida, op. cit., p. 36. 14 raggiungimento di una democrazia progressiva e di una serie di riforme e non invece alla rottura rivoluzionaria di matrice marxista. La costituzione dei Weimar rappresentò uno spettro e un modello allo stesso tempo: uno spettro per l'esito di quella esperienza, che sfociò, come sappiamo, in uno dei periodi più bui della storia tedesca ed internazionale; un modello soprattutto per la parte dichiarativa dei diritti sociali: come il diritto al lavoro, posto sotto la speciale protezione del Reich, la libertà di coalizione per la conservazione e lo sviluppo delle condizioni di lavoro ed economiche, il diritto ad un sistema assicurativo che tutelasse la salute, la capacità di lavoro, la maternità, la malattia, la vecchiaia. La Costituzione di Weimar fu il frutto del regime politico instaurato in Germania dopo la Prima guerra mondiale, così chiamata dalla città di Weimar, dove fu elaborata la Carta, ebbe vita tra il 1919 e il 1933 e rappresentò un modello di democrazia parlamentare per l'intera Europa. La Costituzione prevedeva il suffragio universale maschile e femminile, l'elezione diretta del presidente della Repubblica e la responsabilità del governo di fronte al parlamento. Poggiava sui tre principali partiti politici affermatisi nel dopoguerra: il Partito socialdemocratico, il Centro cattolico-moderato e il Partito democratico (liberali di sinistra). La costituzione austriaca del 1920 veniva supportata invece prettamente dai giuristi, che rappresentavano una corposa fetta dei costituenti, proprio per l'impronta tecnica e precettistica, e la mancanza di una vera e propria ideologia politica di fondo. La Costituzione austriaca entrò in vigore nel 1920, contemporaneamente alla creazione della Prima Repubblica Austriaca, la quale ebbe vita molto breve, sorse infatti immediatamente dopo la fine della Grande Guerra e il crollo della Monarchia Austro-Ungarica ed ebbe fine con l'Anschluss, ovvero l'annessione operata dalla Germania di Hitler nel 1938. Le novità politiche apportate dalla Costituzione dal pensiero 15 politico di Kelsen 17 furono: l'assetto repubblicano, la democrazia, lo Stato federale, lo Stato di diritto, il liberalismo e la separazione dei poteri18. Lo Stato federale rappresentò la novità fondamentale e ispirò la politica di autonomia locale e regionale della Repubblica Italiana, esso consisteva nell'accordare una grande autonomia ai Lander, che erano unità decentrate con amministrazione propria e facoltà di emanare leggi territoriali. L'esperienza costituzionale francese del '45 e del '46 fu poi quella seguita più attentamente da tutti i Costituenti, a causa della caoticità con cui si susseguirono le vicende politiche nel dopoguerra. Dopo la rottura costituzionale avvenuta durante il regime collaborazionista di Vichy, si dovette procedere alla ricostruzione democratica con la stesura di una nuova Carta costituzionale e l'elezione di una Assemblea Costituente. La nuova Costituzione attribuiva notevoli poteri a un Parlamento bicamerale e prevedeva un Presidente della Repubblica con poteri limitati, questo tipo di ordinamento statale venne guardato benevolmente dai Costituenti italiani e tenuto in gran considerazione nella stesura della Costituzione. Kelsen è stato un giurista e filosofo austriaco, teorico del diritto del Novecento e il maggior esponente del normativismo. Cfr. http://www.filosofico.net/kelsen.htm (consultato il 17/01/2016, ore 16:28) 18 R. Walteir Hans Kelsen e l'origine della Costituzione federale austriaca del 1920, in www.scienzaepolitica.unibo.it, (consultato il 5/1/2016, ore 16.30) vol. 3, n.5, 1991. 17 16 1.2 "Libertà del bisogno": la novità dei diritti sociali ed economici e il ruolo della donna lavoratrice Nel processo di ricostruzione post-bellico dell'assetto repubblicano, in un'Italia devastata dal ventennio fascista, la novità fondamentale non fu tanto la costituzione di una democrazia in senso lato, ossia strettamente politica, ma di una democrazia che fosse in primo luogo una democrazia sociale ed economica. Era in questo senso che acquistarono importanza quei diritti socioeconomici, fulcro attorno a cui ruotava l'intero testo costituzionale e che grazie ad essi, si distinse da quelle libertà personali che erano sancite nella Costituzione francese del 1789 e da tutte le carte tipicamente liberal-borghesi, assumendo i connotati di una vera garanzia di Stato sociale. È importante ricordare come in questo frangente avesse avuto un ruolo decisivo, ancora una volta, quel clima di compromesso, di sincronia sorto tra le forze di sinistra e quelle democristiane. In polemica con Croce, Orlando e con diversi uomini della cultura laica e liberale, infatti, costituenti cattolici come Tupini, La Pira e Moro si impegnarono notevolmente affinché la parte del testo costituzionale dedicato ai rapporti etico-sociali non costituisse un preambolo, bensì divenisse parte integrante della Costituzione. A chi affermava, secondo una vecchia impostazione legata alla tradizione dello Stato liberale, che la Costituzione non dovesse toccare i temi della famiglia, della scuola, della salute e così via, Tupini rispondeva che «una concezione moderna della Costituzione richiede che essa si occupi anche di problemi che riguardano proprio i rapporti tra Stato e società»19. Furono i democristiani insieme a socialisti e comunisti a teorizzare la teoria del pluralismo giuridico secondo la quale il quadro dei diritti della persona poteva dirsi davvero completo solo nel momento in cui si fosse tenuto conto anche dei diritti sociali, ossia F. Malgeri, La Democrazia cristiana, in M. De Nicolò (a cura di), Costituente, Costituzione, riforme costituzionali, cit., 1998, p. 167. 19 17 diritto al lavoro, al riposo, all’assistenza; e dei diritti delle comunità in cui l’uomo si integra e si espande. Sia il socialista Lombardi che il democristiano Dossetti nella seduta relativa ai lavori della I Sottocommissione del 26 luglio 1946 20 insistettero notevolmente su questo concetto, dichiarando che il tema affidato alla Sottocommissione, ossia diritti e doveri del cittadino, sarebbe apparso fortemente limitato se da questi diritti e doveri fossero stati esclusi quelli economici. Lombardi dichiarò di essere rimasto basito nel constatare che nell’assegnazione alla Sottocommissione della trattazione dei principi generali di libertà, fossero stati tralasciati quelli economico-sociali; non era possibile, a parer suo, parlare di libertà prescindendo da quella libertà fondamentale e primordiale che era la «libertà del bisogno»21. Da qui la necessità impellente di una indagine che fosse anche di natura economica. Nella successiva seduta del 30 luglio 1946 22 emerse prepotentemente la necessità di integrare i diritti sociali con i diritti della comunità in cui l’uomo si espandeva, infatti, i diritti della persona umana non sarebbero stati integralmente tutelati se non fossero stati tutelati anche i diritti delle comunità in cui la persona umana si espandeva: famiglia, comunità, lavoro ecc. Dunque, non si sarebbe dovuto accordare importanza solo all'istituto della famiglia ma a tutti quelli che ruotavano intorno alla persona. Dossetti riassumendo la suddetta discussione nel famoso ordine del giorno, accennato nel paragrafo precedente, nel quale venne teorizzata l'antecedenza della persona umana rispetto allo Stato, concluse, affermando nella seconda parte del suddetto documento: Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di venerdì 26 Luglio 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp. 303-305. 21 Ivi, p. 304. 22 Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di martedì 30 Luglio 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, cit. pp. 307-314. 20 18 «La Sottocommissione, esaminate le possibili impostazioni sistematiche di una dichiarazione dei diritti dell'uomo […] ritiene che la sola impostazione veramente conforme alle esigenze storiche, cui il nuovo statuto dell'Italia debba soddisfare, è quella che […] b) riconosca ad un tempo la necessaria socialità di tutte le persone, le quali sono destinate a completarsi e perfezionarsi a vicenda mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale. Anzitutto in varie comunità intermedie disposte secondo una naturale gradualità (comunità familiari, territoriali, professionali, religiose) e quindi per tutto ciò in cui quelle comunità non bastino, lo Stato; c) che perciò affermi sia l'esistenza di diritti fondamentali delle persone, sia dei diritti delle comunità anteriormente ad ogni concessione da parte dello Stato23.» Ecco che, la Costituzione italiana diventò una perfetta sintesi fra diritti di libertà della tradizione liberale monarchica prefascista e valori di solidarietà, vera novità sorta dal paradigma resistenziale e antifascista. La sua impostazione, escludendo una visione individualistica, totalitaria, che faceva risalire allo Stato l’attribuzione dei diritti dei singoli e delle comunità, accordava in questo modo precedenza sostanziale alla persona umana, la quale si completava nelle comunità (familiari, territoriali, professionali, religiose) e nello Stato. Fu in questo clima che il concetto del lavoro assunse connotati forti e netti, esso serviva infatti a caratterizzare il nuovo aspetto della democrazia, non più soltanto, come è stato detto, di natura politica, ma anche economica e sociale. Sostenere infatti che la Repubblica era fondata sul lavoro significò, abbracciando il pensiero di Fanfani, espresso nella seduta dell’Assemblea costituente del 22 marzo 1947, escludere che essa potesse poggiarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui e si affermò con vigore che essa si fondava sul dovere che era anche diritto per ogni uomo di trovare nel 23 P. Scoppola, La repubblica dei partiti, cit. p. 191. 19 proprio sforzo libero la sua capacità di essere e di contribuire al bene della comunità nazionale24. Il principio della centralità della persona umana, rispetto alle costituzioni del passato, che davano precedenza al ruolo dello Stato e che subordinavano ad esso la persona, venne sottolineato dalla volontà di riconoscere per la prima volta il ruolo della donna all’interno del mondo lavorativo. Durante la seduta della Prima Sottocommissione dell'8 ottobre 1946, venne discusso quello che sarebbe stato il primo comma dell’articolo 37 della Costituzione che così recita: «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione»25. Dalla discussione, tenuta durante i lavori della Prima Sottocommissione, emersero diverse posizioni. La volontà di inserire la donna come soggetto socialmente attivo nell’ambito lavorativo risultò essere un elemento di grande novità, non solo perché le venivano garantiti gli stessi diritti e la stessa remunerazione rispetto al lavoratore, ma anche perché veniva difeso il ruolo che essa svolgeva all’interno della famiglia. Veniva preservata la funzione da lei ricoperta sia nella vita pubblica sia in quella privata e le veniva garantita la possibilità di poter scegliere di ricoprire entrambi i ruoli, cioè sia quello di lavoratrice che quello di madre. Questi principi erano propugnati dalle posizioni degli onorevoli Dossetti, esponente democristiano e Togliatti, di ispirazione comunista, rappresentanti di due posizioni divergenti, ma portatori, in questo contesto, di eguali principi. Emblematica era la posizione portata avanti dall’on. Togliatti Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato 22 marzo 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell'Assemblea Costituente, cit., p. 571. 25 http://www.quirinale.it/qrnw/statico/costituzione/pdf/Costituzione.pdf (consultato il 8/1/2016, ore 12.51). 24 20 in sede di Prima Sottocommissione, in particolare nella formulazione dell’articolo proposta dallo stesso, che così recitava: «Alla donna lavoratrice sono assicurati gli stessi diritti e lo stesso trattamento che spettano ai lavoratori e inoltre sono garantite condizioni particolari che le consentano di adempiere insieme al suo lavoro la sua missione familiare»26. Il principio ideologico, che funse da base nella formulazione della suddetta proposta, faceva leva sulla volontà di dare preminenza all’uguaglianza in tutte le sue sfaccettature, così come si legge dalle parole dello stesso: «Quando si afferma la parità dei diritti della donna lavoratrice e dell’uomo lavoratore, si afferma il principio dell’uguaglianza dei salari, dell’uguaglianza del sussidio di disoccupazione, nelle retribuzioni familiari sussidiarie, ecc.: tutta una serie di principi legati alla parità. Il concetto dell’eguaglianza tra uomo e donna nel campo del lavoro è essenziale nell’articolo»27. Al contrario, la posizione degli esponenti di orientamento conservatore, rimarcò la prevalenza del ruolo di donna come figura materna e solo in secondo piano mise la funzione che avrebbe potuto svolgere a livello pubblico, come sosteneva l’on. Mastrojanni, esponente del partito qualunquista: «Se si trascurasse di affermare questo principio essenziale, che cioè la funzione naturale della donna è quella che la natura le ha attribuito, comprendente non solo la procreazione ma anche la difesa e l’educazione dei figli, si verrebbe ad ammettere il principio che si possa anteporre alla funzione naturale biologica della donna, la funzione economica e sociale. […] si deve ritenere che la donna rimanga quanto più possibile nella sua funzione naturale, e che il resto della sua attività nella vita pubblica e lavorativa sia considerata come accessorio e non come essenziale.»28 26 Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 26 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di martedì 8 ottobre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1997, p. 499-509. 27 Ibidem. 28 Ivi, p. 506. 21 Alla conclusione di questo animato confronto, si giunse alla formulazione proposta da Togliatti all’inizio dello stesso, per poi subire una serie di modifiche nel corso delle varie sedute in Commissione e Assemblea Costituente, fino a confluire nella formula definitiva, già citata. L’obiettivo dei padri Costituenti era quello di difendere la donna sia come soggetto lavoratore, attivo nel frangente economico, sia come madre, dal punto di vista del piano sociale, unendo, quindi, la funzione pubblica e privata. Se discutibile potrebbe essere la dicitura «essenziale funzione familiare», allo stesso tempo l’articolo cercò di difendere, in relazione al lavoro, il ruolo di madre ricoperto dalla donna lavoratrice. 22 1.3 Una Carta aconfessionale, rigida e accessibile al popolo È stato delineato nei paragrafi precedenti il carattere ideologico da cui ha avvio il lavoro dei Costituenti: quello del principio antifascista, giustificato dal presupposto filosofico della teoria dei diritti naturali, teoria che affondava le proprie radici nella cultura illuminista europea; è stata poi esaminata la novità caratterizzante della nostra Carta costituzionale, la necessità cioè di aprirsi al reale con l’inserimento dei diritti di carattere sociale ed economico, che fungessero da presupposto per la creazione di uno Stato sociale, democratico, in funzione della società e non più antecedente alla stessa. Adesso si prenderà come oggetto di studio quali avrebbero dovuto essere le peculiarità che il testo costituzionale avrebbe dovuto presentare. Nel corso delle discussioni vennero stabilite tre caratteristiche che la Costituzione avrebbe dovuto rappresentare. Infatti, questa avrebbe dovuto essere una Carta aconfessionale, rigida e accessibile al popolo. Nella seduta del 9 settembre 1946 29 sui lavori della I Sottocommissione, in occasione dell’analisi svolta nei confronti della relazione stilata da La Pira sui rapporti civili, emerse per la prima volta la necessità di dare autonomia alla Costituzione italiana rispetto alla religione cattolica, differenziandola di fatto dalle precedenti costituzioni di carattere liberale, le quali, invece, avevano sempre mantenuto un forte legame al religioso e al trascendente. Un fornito gruppo di Costituenti, d’ogni orientamento, appartenenti anche ad ideologie differenti, erano d’accordo nel riscontrare nella relazione di La Pira un eccesso di ideologia e nell’individuare invece come unica base ideologica il principio dell’antifascismo; questi erano: Togliatti, Marchesi, Lombardi, Lucifero, Mancini, Dossetti. Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di lunedì 9 Settembre1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1997, p. 315-324. 29 23 I comunisti Marchesi e Togliatti si dichiararono contrari di fronte alla dichiarazione inserita da La Pira alla fine del preambolo, che risultava espressa con questa dicitura: «Pertanto esso proclama al cospetto di Dio e della comunità umana, la dichiarazione seguente dei diritti dell’uomo» 30 , scelta che, peraltro, era ancora presente nelle Costituzioni del 1789, 1791, 1793, 1848. Si dissero contrari in quanto tale dicitura avrebbe riportato esplicitamente ad uno Stato che conteneva in sé fattori religiosi. Secondo Togliatti il testo costituzionale sarebbe apparso così legato ad una particolare ideologia dal carattere non solo filosofico ma anche e soprattutto religioso. Non era necessario inserire l’affermazione dell’esistenza di Dio nella Costituzione, che invece avrebbe dovuto muoversi su un campo prettamente politico-sociale. Lombardi, esponente del Partito Socialista d’Unità Proletaria, fece leva anch’egli sul concetto di «eccesso di ideologia», e sul dovere di bandire ogni tipo di ideologia da una Costituzione che doveva rivolgersi a persone di diversi sentimenti e diversi pareri politici, religiosi o scientifici. Lo stesso Lucifero, di orientamento monarchico, ponendosi sulla stessa linea di pensiero, espresse il principio secondo cui una formula costituzionale avrebbe dovuto essere quanto più «scheletrica» e comprensibile possibile. In conclusione, il democristiano Dossetti affermò che necessariamente ogni Costituzione doveva avere una base ideologica su cui fondarsi e che nel nostro caso l’unica e sola linea doveva essere quella dell’antifascismo, che si basava sul fondamentale concetto dell’«anteriorità» della persona di fronte allo Stato e dunque si contrapponesse alla tesi fascista della dipendenza del cittadino dallo Stato. Questa avrebbe dovuto essere l’ideologia comune a tutti. Fine del regime democratico altro non era in sostanza che quello di «garantire un più ampio e più libero sviluppo della persona umana».31 30 31 Ivi, p. 318. Ivi, p. 323 24 Nella seduta del 21 novembre 1946 32 durante l'analisi della relazione presentata dai due relatori di diverso orientamento politico Dossetti e Cevolotto 33 relativa alla Discussone sullo Stato come ordinamento giuridico e i suoi rapporti con altri ordinamenti, continuò il confronto relativo al carattere religioso o meno da imprimere alla Costituzione. Il democristiano Dossetti espose una relazione in cui faceva leva sulla necessità di caratterizzare religiosamente la Costituzione e quindi alla necessità di inserire all’interno del I articolo dei riferimenti al Concordato e ai Patti Lateranensi. Sulla base dell’esempio del I articolo del Trattato Lateranense, che a sua volta si rifaceva al I articolo dello Statuto Albertino, Dossetti ripropose nel I articolo della Costituzione lo stesso principio secondo cui la religione cattolica dovesse essere considerata religione di Stato. Lo Statuto Albertino si apriva con questa esatta formula: «La Religione Cattolica Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi»34; e il Trattato Lateranense si ricollegava all’interno del suo corpus a tale articolo in questi termini: «L’Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell’articolo 1° dello Statuto del Regno 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato»35. Dossetti espresse dunque la forte necessità di inserire nel I articolo della nuova Costituzione italiana il riferimento ai Patti Lateranensi. Cevolotto invece affermava fermamente che a suo avviso la Costituzione avrebbe dovuto essere quella di uno stato aconfessionale, su modello della Costituzione francese, per questo non avvertiva più la necessità di rifarsi al Trattato Lateranense. A tal proposito richiamò Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di giovedì 21 novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp.717-726. 33 Cevolotto, esponente del partito Democrazia del lavoro, di impostazione laica e riformista; Dossetti, esponente della Democrazia Cristiana, di impostazione cristiana e moderata. 34 Cfr. http://www.quirinale.it/qrnw/statico/costituzione/statutoalbertino.htm (consultato il 15/01/2016, ore 12.35). 35 Cfr. http://online.scuola.zanichelli.it/corsodiritto/files/2012/04/B2-PattiLateranensi.pdf (consultato il 15/01/2016, ore 12.40) 32 25 l’attenzione sull' evoluzione del diritto costituzionale in Italia, ricordando che l'articolo I dello Statuto Albertino ben presto venne addirittura abrogato da leggi posteriori, subito dopo la I guerra mondiale; per ritornare poi in vigore in seguito all’intervento del Trattato del Laterano. La Costituzione perciò, non avrebbe dovuto più ritornare a quella vecchia forma, ma progredire sulla base del «principio della libertà di religione e della parità dei diritti delle minoranze» 36 . Creare uno Stato aconfessionale e laico, concluse Cevolotto, non significava porsi su una linea di anticlericalismo, ma piuttosto porsi su una linea di tutela delle libertà e delle minoranze. I democristiani La Pira e Dossetti replicarono facendo leva su due pilastri, che, a parer loro, erano «il fondamento dell’edificio che si vuol costruire»37. Il primo era il principio della libertà piena e completa delle diverse confessioni religiose, secondo il quale, pur ammettendo la preminenza della Chiesa Cattolica in Italia, non veniva comunque mai messo in discussione dalla Democrazia Cristiana il «pluralismo religioso» 38; il secondo riguardava la necessaria bilateralità della disciplina dei rapporti tra Stato e Chiesa, poiché, pur restando fermo il principio dell’eguaglianza e libertà religiosa di tutti i cittadini, non si poteva negare l’importanza che assumeva la Chiesa Cattolica in Italia. Essa si presentava come una vera e propria istituzione, dotata di un ordinamento giuridico autonomo detto ordinamento Canonico, e dotata delle funzioni da questo ammesse: legislativa, esecutiva e giudiziaria. Tale ordinamento godeva di piena autonomia rispetto a quello dello Stato, nel momento in cui lo Stato fosse entrato in contatto con questo non avrebbe potuto porsi come se fosse stato di fronte a forme giuridiche embrionali, ma bensì come se fosse entrato in contatto con l’ordinamento giuridico di altri Stati. Da qui la 36 Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di giovedì 21 novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica, op. cit., pp. 718. 37 Ivi, p. 720. 38 Ivi, p. 719. 26 necessaria bilateralità, vale a dire l’impossibilità di regolare rapporti Stato-Chiesa unilateralmente (ossia per atto diretto da una sola delle due parti), portò la necessità di un riconoscimento reciproco dell’autonomia di entrambi. Dossetti ammise poi la possibilità che ciò potesse avvenire non solo nei confronti delle Chiesa Cattolica ma di qualsiasi altro eventuale culto che si fosse venuto a trovare nella situazione in cui versava la Chiesa Cattolica, ossia dotato di propria istituzione e proprio ordinamento giuridico. Dopo la presentazione di questo importante nodo critico, ramificato nelle due suddette questioni, gli altri esponenti espressero il loro pensiero in merito. Togliatti assunse un atteggiamento di avvicinamento alla Dc e non appoggiò invece la tesi di Cevolotto che avrebbe voluto addurre modifiche se non veri e propri tagli al Concordato. Non si dichiarava affatto contrario all’inserimento nella Costituzione di un riferimento all’esistenza del Concordato, attraverso cui la Chiesa regola i rapporti con lo Stato. Si fece promotore dunque del principio di inscindibilità dei Patti Lateranensi rispetto alla Costituzione. La maggior parte dei costituenti appoggiava i principi esposti da Dossetti e si discostava dal pensiero di Cevolotto. Essi ammettevano cioè l’inscindibilità e l’intoccabilità dei Patti Lateranensi nella nostra Costituzione e l'importante e necessaria bilateralità dei rapporti StatoChiesa. La chiesa era infatti una istituzione dotata di autonomia e come tale necessitava di essere considerata come istituto politicogiuridico autonomo. Si riservavano però di decidere in merito alla posizione che tali norme, quelle relative al rapporto Stato-Chiesa, dovessero assumere all’interno della Costituzione, in una sede diversa dal I articolo, che invece avrebbe dovuto avere un carattere più generale. In questo si evinse il carattere fortemente innovatore della Costituzione, cioè laica che, pur ammettendo l’esistenza e l’importanza dell’istituzione cattolica, non ne sanciva il protagonismo, come invece avveniva in passato, e ne delegava la trattazione in 27 secondo piano, inserendo invece nel I articolo nuovi concetti, che come si vedrò, saranno quelli della solidarietà e del lavoro. Nonostante la strategica decisione dei comunisti di appoggiare la proposta democristiana di inserire i Patti Lateranensi nel testo costituzionale tenesse in considerazione al proprio interno la fondamentale importanza del Concordato, la Costituzione italiana non presentò mai quel carattere estrinsecamente religioso e in questo si distinse dalle precedenti esperienze. Il I articolo, infatti, nell’elaborazione finale portò al suo interno due tematiche fondanti quali la sovranità popolare e il lavoro e non ebbe alcun riferimento alla religione di Stato rendendo di fatto la Costituzione una Carta aconfessionale. Un’altra questione nodale, rispetto alle caratteristiche che avrebbe dovuto avere la Costituzione, era il principio della rigidità del testo stesso. Durante la discussione del 29 novembre 1946 39 si portò avanti l’analisi relativa alle proposte formulate da Togliatti che ruotavano intorno a due nodi principali. Il primo analizzava la necessaria salvaguardia dell’istituto repubblicano nei confronti dell’ideologia filomonarchica, ancora presente e radicata nel pensiero politico; il secondo riguardava la questione relativa alla rigidità o flessibilità della Costituzione, in relazione soprattutto alla possibilità di revisione del nuovo ordine. La discussione partì in seguito alla proposta di emendamento di Togliatti nei confronti della precedente formula presentata durante la seduta del 28 novembre. La nuova formula esplicava l’impossibilità di modificare la forma repubblicana e venne proposta in questi termini: Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di venerdì 29 novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp.738-746. 39 28 «L’adozione della forma repubblicana è definitiva: né l’iniziativa popolare, né il voto delle Assemblee legislative possono metterla in discussione.»40 Lucifero e Mastrojanni, portavoci di una ideologia filomonarchica, espressero il loro dissenso nei confronti della proposta di Togliatti. Lucifero ritenne che la formula di Togliatti potesse essere interpretata come un vincolo alla sovranità popolare. E che qualunque limitazione alla sovranità fosse contraria alla democrazia. Dunque, qualora in un futuro imprecisato la maggioranza dei cittadini si fosse orientato verso una forma istituzionale diversa da quella attuale doveva essere libero di poterla cambiare. La formula di Togliatti era considerata «un bavaglio imposto all’opinione pubblica italiana» 41 , in quanto, contravvenendo ai più elementari principi della democrazia, avrebbe potuto rivelarsi pericolosa per il paese, poiché avrebbe costretto la presunta maggioranza monarchica ad un’insurrezione qualora avesse voluto restaurare un assetto non più vigente. La scelta di Togliatti dunque, secondo il fronte delle destre, precludendo agli italiani la possibilità di scelta, li avrebbe costretti di fatto a ricorrere alla violenza. Per quanto riguarda invece la garanzia di libertà di pensiero ai monarchici, i Costituenti conservatori affermavano che la formula di Togliatti avrebbe potuto dare l’idea di un atteggiamento di ostracismo nei loro confronti. Definirono tale proposta una assurdità perché secondo Togliatti in sede di legislazione la propaganda dell’idea monarchica diverrebbe un atto sovversivo da reprimere. Secondo Mastrojanni, infatti, l’affermazione di Togliatti avrebbe recato un’offesa al sentimento di quella massa di oltre 10 milioni di cittadini che abbracciava il pensiero monarchico. Togliatti, con la volontà di chiarire la propria posizione, specificò l’intenzione del suo articolo, dicendo che questo non era affatto una 40 Ivi, p. 737. Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di giovedì 28 novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp.734. 41 29 condanna dell’ideologia monarchica ma una remora, una volontà di salvaguardare l’istituzione repubblicana da una eventuale maggioranza monarchica ed evitare che si potesse abrogare l’articolo tramite ad esempio un referendum. Inoltre, precisò che, ponendo in essere la possibilità di una legge che avrebbe potuto riconoscere come reato la propaganda monarchica, egli alludeva solo a casi particolari di propaganda, ossia all’organizzazione armata e al colpo di Stato. In questi casi estremi, infatti, sarebbe stato consentito allo Stato repubblicano di difendersi. Mancini, esponente del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, difendeva la causa di Togliatti facendo leva su tre ragioni fondamentali che avrebbero dato valore alla sua formula. Essendo la Costituzione a carattere repubblicano, essa non poteva non contenere delle norme che avrebbero reso più difficile un ritorno monarchico, inoltre, essendo le leggi il prodotto spirituale della coscienza della maggioranza, queste dovevano tutelarne le scelte politiche, (in questo caso la preferenza della forma repubblicana voluta dalla maggioranza nelle elezioni del 2 giugno), infine atteggiamenti di indulgenza nei confronti dei monarchici potrebbero essere causa di pericolo per la Repubblica stessa. Terminò affermando che «l’articolo di Togliatti risponde ad un elementare sentimento di legittima difesa della Repubblica»42. I democristiani Dossetti, La Pira e Moro si dichiararono favorevoli nella sostanza all’articolo di Togliatti, ma non ne condividevano la forma, in quanto, secondo il loro pensiero, escludere a priori la revisione della forma istituzionale non corrispondeva ad uno spirito democratico; esprimevano perciò una certa preoccupazione circa l’antidemocraticità della formula. Proposero dunque il rinvio della elaborazione dell’articolo che avrebbe affrontato la questione della revisione istituzionale alla Seconda Sottocommissione. L’articolo definitivamente approvato appariva cosi formulato: 42 Ivi, p. 739 30 «L’adozione della forma repubblicana dello Stato è definitiva e non può essere oggetto di normale procedimento di revisione della Costituzione» 43 Nonostante l’articolo in questione non entrò mai a far parte della formula definitiva del I articolo, secondo la volontà dell’Assemblea costituente, e nonostante l’intenso dibattito e il pensiero monarchico ancora così fortemente radicato, alla fine della seduta venne sancita la definitività dell’assetto repubblicano e l’impossibilità di revisione dello stesso con normale procedimento. Prevalse, dunque, l’idea di una Costituzione a carattere rigido. L’ultima caratteristica che avrebbe dovuto avere il testo costituzionale era ricercata nella necessità di rendere accessibile linguisticamente la Carta al popolo. Togliatti nella seduta del 9 Settembre 1946 44, relativa ai lavori della I Sottocommissione, mise in evidenza l’esigenza di creare una Costituzione che potesse essere compresa ad esempio «dal professore di diritto e in pari tempo dal pastore sardo, dall’operaio, dall’impiegato d’ordine, dalla donna di casa»45. Questa invece, così come era stata presentata da La Pira nella famosa relazione su "I principi dei rapporti civili” risultava troppo astratta e concettosa, gravata da un eccessivo bagaglio ideologico che piuttosto che rinforzarla la indeboliva, e che appariva ai più una carta per dotti, mentre il popolo non ne avrebbe compreso nulla. In sintesi, Togliatti propose di riconvertirla in moduli linguistici volti alla concretezza, con formule più asciutte e comprensibili. Anche Mancini ritenne necessario sganciare il testo costituzionale da ogni presupposto ideologico, in quanto la Costituzione doveva essere «semplice, lontana 43 Ivi, p. 743. Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di lunedì 9 settembre 1946, in “La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente”, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 197, p. 315-324. 45 Ivi, p. 319. 44 31 da ogni presupposto ideologico, in modo che essa risulti comprensibile a tutti, e sia un trattato legislativo e non di filosofia»46 Concludendo, dal punto di vista puramente tecnico la Costituzione, doveva essere accessibile a tutto il popolo, attraverso l’adozione una forma linguista semplice comprensibile, perché anche in questo si esplicava il concetto di democrazia. 46 Ivi, p. 322. 32 Capitolo 2. Il trionfo della democrazia: la sovranità del popolo 2.1 Antifascismo e «centralità della persona umana»: la teoria filosofica dei diritti naturali Insieme al solidarismo, nelle diverse accezioni cristiana e marxista, il cemento unitario più forte che saldò l’intesa costituzionale tra i maggiori partiti fu il principio dell’antifascismo, espresso non solo nella lotta di resistenza ma anche e soprattutto dalla volontà di ripristinare la libertà perduta e ricostruire una democrazia dai forti connotati sociali. Fu Togliatti uno dei primi costituenti a far leva sul principio dell’antifascismo quando, durante la seduta in I Sottocommissione del 30 luglio 1946 affermò che «dopo oltre venti anni di fascismo, unico punto di partenza dovrebbe essere la negazione del regime fascista»47. Il principio antifascista cosi propugnato da Togliatti venne poi ripreso e ampliato più volte nel corso delle sedute da parte dei costituenti provenienti da diversi orientamenti. Dossetti nella seduta del 9 settembre 1946 48 in Prima Sottocommissione approfondì il terreno filosofico su cui tale principio crebbe. In occasione di questa seduta infatti il relatore democristiano La Pira aveva stilato una relazione sui “rapporti civili”, giudicata dai più dal carattere estremamente trascendente e religioso, emerse dunque la necessità di sganciare il documento da qualsiasi implicazione filosofico-religiosa sulla base di un’ideologia comune: l’antifascismo. E portavoce di questa necessità fu proprio il democristiano Dossetti. Dossetti, vicesegretario della Dc, 47 Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di martedì 30 luglio 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 197, p. 311. 48 Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di lunedì 9 settembre 1946, cit., pp. 315-324. 33 rappresentava infatti all'interno del partito l'ala riformista, aperta al colloquio con le altre forze politiche e particolarmente affine alle posizioni delle sinistre. Nel 1946 fondò a Roma insieme a Lazzati e La Pira, il movimento Civitas Humana per orientare il mondo cattolico verso una politica ispirata all'uguaglianza e alla partecipazione. Intorno alle posizioni di Dossetti (favorevole alla scelta repubblicana, moderatamente contrario all'adesione italiana al Patto Atlantico) si costituì all'interno della Democrazia cristiana un gruppo politico spesso indicato come «sinistra dossettiana». Interessante, nell’ambito dei suoi interessi verso i diritti economicosociali, il suo impegno per l'approvazione di alcune grandi leggi di valore sociale, quali la legge costitutiva della Cassa per il Mezzogiorno, la riforma agraria e la riforma tributaria 49 . Egli, propugnando la necessità di porre una dichiarazione dei diritti dell’uomo come fondamento del nuovo Stato democratico in opposizione al vecchio Stato fascista, affermava infatti che necessariamente ogni Costituzione dovesse avere una base ideologica su cui fondarsi e che nel nostro caso l’unica e sola linea dovesse essere quella dell’antifascismo, che si basava sul fondamentale concetto dell’ «anteriorità» della persona di fronte allo Stato e dunque si contrapponesse alla tesi fascista della dipendenza del cittadino dallo Stato. Questa avrebbe dovuto essere l’ideologia comune a tutti. Fine del regime democratico altro non era in sostanza che quello di «garantire un più ampio e più libero sviluppo della persona umana».50 Egli si chiese se tale dichiarazione dovesse precedere la parte relativa alla struttura costituzionale dello Stato o al contrario dovesse seguirla. Fu il relatore stesso, La Pira, a dare una risposta, affermando di avvertire la necessità di darle preminenza sia perché questo avrebbe significato conformarsi a tutta una tradizione giuridica occidentale, dalla Costituzione americana alla Costituzione francese e jugoslava; 49 Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-dossetti_(Dizionario-Biografico)/ (consultato il 04/01/2016, ore 17.54) 50 Ivi, p.323. 34 sia ideologicamente per porsi in antitesi rispetto al precedente Stato fascista, in quanto tale dichiarazione sarebbe divenuta affermazione solenne dello Stato democratico che riconosce i diritti sacri, inalienabili, naturali del cittadino, in opposizione allo Stato fascista che con la teoria dei «diritti riflessi» (secondo cui lo Stato è fonte esclusiva del diritto) aveva negato e violato i diritti umani. La Pira approfondì tale argomentazione puntando alla differenza teorico-filosofica che si poneva alla base dei due assetti: la teoria dei diritti riflessi corrispondeva alla concezione hegeliana che vedeva lo Stato come un tutto e l’individuo come elemento subordinato alla collettività; a tale teoria andava contrapposta quella dei «diritti naturali» della persona, che fungeva cosi da base alla concezione secondo cui la persona era un ente dotato di «interiore autonomia, i cui diritti e le cui libertà non sono una concessione ma una naturale conseguenza di tale autonomia»51. Interessante risulta fare un approfondimento riguardo il principio filosofico di estrazione giusnaturalista su cui si basavano i Costituenti. Il giusnaturalismo razionalistico moderno nacque tra il 1600 e il 1700, ed era divisibile in due filoni: quello dell'Illuminismo di fine Settecento (con l'affermazione del concetto di libertà dell'individuo, soprattutto in opposizione all'assolutismo, la forma di governo caratteristica dell'età moderna) e quello che si sviluppò a partire dal pensiero di Thomas Hobbes (il quale considerava il diritto naturale solo allo stato di natura, ossia alla condizione in cui l'uomo si trovava prima di stipulare quel contratto sociale che portava all'istituzione dello Stato). Fra gli autori che, a vario titolo, affrontarono il tema del diritto naturale in età moderna si possono annoverare: Thomas Hobbes, Huig de Groot (o Ugo Grozio), John Locke, Jean Jacques Rousseau e Immanuel Kant. Secondo la formulazione di Grozio e dei teorici razionalisti del giusnaturalismo, gli uomini, pur in presenza dello stato e del diritto 51 Ivi, p. 316 35 positivo ossia civile, restano titolari di alcuni diritti naturali, quali il diritto alla vita, alla proprietà etc., diritti inalienabili che non possono essere modificati dalle leggi. Questi diritti naturali sono tali perché razionalmente giusti, ma non sono istituiti per diritto divino; anzi, Dio li riconosce come diritti proprio in quanto corrispondenti alla ragione. Locke sviluppò invece il concetto di diritto naturale come derivato dalla divinità, in quanto l'uomo era creazione di Dio, non limitando questo diritto né al possesso della cittadinanza né a criteri di etnia, cultura o religione. La prima dichiarazione dei diritti dell'uomo dell'epoca moderna fu quella dello Stato della Virginia (USA), scritta da George Mason e adottata dalla Convenzione della Virginia il 12 giugno 1776. Questa fu largamente copiata da Thomas Jefferson per la dichiarazione dei diritti dell'uomo contenuta nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America (4 luglio 1776)52. La prima e vera propria carta formale dei diritti dell'uomo nacque nel 1789 dalla Rivoluzione francese, è conosciuta come Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino ed era caratterizzata da un'impostazione più astratta della precedente americana. Una vera e propria diffusione dei diritti umani si ebbe però solo dopo i moti del 1848 e la conseguente proclamazione delle prime costituzioni liberali nei vari paesi europei. Un'ulteriore grande affermazione dei diritti umani si ebbe dopo la fine della seconda guerra mondiale con la costituzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e con la redazione della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, siglata a Parigi il 10 dicembre 1948. Con questa Carta si stabiliva, per la prima volta nella storia moderna, l'universalità di questi diritti, non più limitati unicamente ai paesi occidentali, ma rivolti ai popoli del mondo intero, e basati su un concetto di dignità umana intrinseca, inalienabile, ed universale. Tra i diritti fondamentali dell'essere umano si potevano ricordare, tra gli altri, il diritto 52 Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/giusnaturalismo/ (consultato il 04/01/2016, ore 18.15). 36 alla libertà individuale, il diritto alla vita, il diritto all'autodeterminazione, il diritto a un giusto processo, il diritto ad un'esistenza dignitosa, il diritto alla libertà religiosa con il conseguente diritto a cambiare la propria religione, il diritto di voto. Ritornando alla fondamentale seduta citata sopra, in occasione della stessa Dossetti presentò un ordine del giorno che ebbe la funzione di “presupposto ideologico” e rappresentò il terreno di incontro tra le varie forze in campo. Questo era strutturato in tale modo: “La Sottocommissione, esaminate le possibili impostazioni sistematiche di una dichiarazione dei diritti dell’uomo; esclusa quella che si ispiri ad una visione soltanto individualistica; esclusa quella che si ispiri ad una visione totalitaria, la quale faccia risalire allo Stato l’attribuzione dei diritti dei singoli e delle comunità fondamentali; ritiene che la sola impostazione veramente conforme alle esigenze storiche, cui il nuovo statuto dell’Italia debba soddisfare, è quella che : a) riconosca la precedenza sostanziale della persona umana ( intesa nella pienezza dei suoi valori e dei suoi bisogni non solo materiali, ma anche spirituali) rispetto allo Stato e la destinazione di questo al servizio di quella […]”53. L’ordine del giorno di Dossetti non fu mai votato ma la formula «persona umana», legata ad una tradizione filosofica di matrice cristiana, benché non entrò nella Costituzione, divenne di fatto punto di riferimento essenziale nella definizione di quella ideologia comune che caratterizzò i lavori della Costituente. Fu proprio grazie a quanto il concetto di persona umana implicava che si raggiunse nella prima parte del testo costituzionale «una felice sintesi fra i diritti di libertà della tradizione liberale e i valori di solidarietà ai quali i partiti popolari erano più sensibili»54. Il presupposto ideologico dell’antifascismo nel concreto portò al superamento dello Stato individuale e borghese in vista di uno «Stato in funzione della società», uno «Stato realizzatore del bene comune» e 53 54 P. Scoppola, La repubblica dei partiti, Bologna, il Mulino, 1991, pp.191-192. Ivi. p. 192. 37 addetto alla «difesa e salvaguardia della persona umana» 55 . L’idea dello Stato artefice del bene comune trovava ampi riscontri nella pubblicistica cattolica, nei messaggi di Pio XII sia durante la guerra che nell’immediato dopoguerra, nonché tra le file della Dc. Furono infatti proprio gli esponenti democristiani, Dossetti, la Pira, Tupini e Moro ad insistere fortemente sulla precedenza della persona rispetto allo Stato in antitesi alla esasperazione fascista della dottrina dello Stato, ma più generalmente contro la concezione liberale della società individualistico-borghese. Ecco che il «personalismo cristiano» si incontrò con le posizioni di sinistra, sensibili all’affermazione e alla garanzia dei diritti sociali, generando quel fecondo terreno d’intesa che vedeva convergere al proprio interno i politici più autorevoli dei partiti di massa: da Dossetti a Togliatti, da Basso a Tupini, da Terracini a Piccioni. Tale convergenza si esplicò fondamentalmente nel famoso articolo tre della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»56 Due furono gli obiettivi fondamentali che la Costituzione, nel clima di intesa comune, si pose nella costruzione dell’assetto politico della nuova realtà italiana post-bellica. Il primo fu la costruzione di uno Stato amministrativo e la preminenza accordata ai partiti politici che divennero così lo strumento per l’esercizio della sovranità del popolo. Non più dunque uno Stato inteso come amministrazione o una nazione F. Malgeri, La Democrazia cristiana, in M. De Nicolò (a cura di), "Costituente, Costituzione, riforme costituzionali", Bologna, il Mulino, 1998, p.166. 56 Cfr. http://www.quirinale.it/qrnw/statico/costituzione/pdf/Costituzione.pdf (consultato il 04/01/2016, ore 18.35). 55 38 rappresentata interamente nel Parlamento, non più preminenza della dottrina dello Stato, così come aveva caratterizzato la storia della monarchia italiana liberale prima e fascista poi, ma una teoria della Costituzione e del suo primato. Il secondo obiettivo fu la creazione di uno Stato Sociale, nel tentativo di sostituire allo stato liberale di diritto una nuova forma di Stato pluriclasse, che intervenisse nella direzione dell’economia e della società, che riconoscesse la centralità dei partiti e tutelasse i cittadini assicurando loro i diritti sociali, che erano la vera innovazione rispetto alle Costituzioni liberal-borghesi. 39 2.2 La sovranità «emana», «risiede» o «appartiene» al popolo? Il dibattito in Commissione e Assemblea Costituente Assodato dunque il principio filosofico dell'antecedenza della persona umana rispetto alla Stato sorto sulle basi del giusnaturalismo moderno, e stabilito il concetto fondante della sovranità popolare come modalità principale dell'esercizio democratico del popolo, non resta che analizzare come questo concetto sia stato sviscerato ed analizzato nel corso dei dibattiti in Commissione e Assemblea Costituente, fino a raggiungere la forma definitiva. Nelle sedute del 22 e 24 gennaio 194757 , in sede di Commissione, si procedette al riesame del secondo comma del I articolo, quello specificatamente relativo al concetto di sovranità del popolo, che appariva in questi termini: «L'Italia è una Repubblica democratica. La sua sovranità emana dal popolo e si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi.»58 L’articolo così formulato era stato presentato dal Comitato di redazione, un organo di raccordo, composto da 18 membri, e posto tra le Sottocommissioni e la Commissione. Emersero sin da subito le proposte alternative alla formula «emana dal popolo». Lucifero, esponente dell'ideologia monarchica, propose in sostituzione le parole «risiede nel popolo», facendo leva sul concetto secondo cui far risiedere la sovranità nel popolo fosse il tratto distintivo tra repubblica e monarchia. Il fatto di dire che la sovranità fosse un'emanazione o profanazione avrebbe significato, a suo avviso, Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria sedute dal 20 luglio 1946 al 1° febbraio 1947, sedute di mercoledì 22 gennaio 1947 e venerdì 24 gennaio 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp. 137-143; 161-164. 58 Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria sedute dal 20 luglio 1946 al 1° febbraio 1947, sedute di mercoledì 22 gennaio 1947, cit., p. 164. 57 40 che il popolo, in un futuro imprecisato, avrebbe potuto anche spogliarsi di questa sovranità investendone i suoi delegati. Il democristiano Merlin Umberto avanzò una proposta che aveva per modello la Costituzione della Repubblica francese: «la sovranità nazionale appartiene al popolo francese». Tosato, deputato Dc e docente di Diritto Costituzionale profondamente cattolico, difendendo la dicitura proveniente dal Comitato di redazione e controbattendo la proposta di Lucifero, affermò che la sua formulazione avrebbe avuto ragion d'essere solo nel momento in cui qualsiasi decisione politica fosse derivata direttamente dal popolo, come ad esempio nel caso del referendum. Ma nel caso della nostra Costituzione, a base parlamentare rappresentativa, ciò avveniva molto raramente ed era quindi più esatto mantenere la formula «la sovranità emana dal popolo». Il termine «risiede» esprimeva, a suo avviso, un concetto di permanenza, per cui la sovranità non avrebbe potuto essere delegata. Vennero posti ai voti i vari emendamenti ma la Commissione approvò la formula cosi come era stata presentata inizialmente dal Comitato di redazione. La discussione proseguì, successivamente, in Assemblea Costituente in data 22 marzo 194759. In questa occasione i Costituenti, partendo dalla formulazione proveniente dalla Commissione, discussero attorno alla proposta, di natura formale, di sostituire il verbo «emana», con i sinonimi, «risiede» o «appartiene». Lucifero ripropose la formula già presentata in Commissione di «risiede», la quale, secondo lui, andava sostituita ad «emana» in quanto il potere non solo apparteneva al popolo ma in questo costantemente risiedeva, il termine «emana» invece poteva essere interpretato in futuro come una sorta di sovranità trasferita o delegata; «risiede» inoltre andava sostituito anche ad «appartiene», poiché gli Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato 22 marzo 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell'Assemblea Costituente, vol. I, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp. 565-587. 59 41 organi attraverso cui il potere si esercitava agivano in nome del popolo ma non avevano la sovranità. Lucifero, a supporto del suo pensiero dunque, utilizzava concetti di diritto privato, differenziando fra diritto di proprietà e diritto di possesso: «Emana dà il senso di una sovranità che si può trasferire agli organi i quali la esercitano; quell'appartiene dà un senso di proprietà; mentre il termine risiede consolida il possesso, non la proprietà»60 La formula «appartiene» venne propugnata da un nutrito gruppo di costituenti tra cui il democristiano Cortese, il quale affermava che mentre i poteri emanavano dal popolo, la sovranità invece apparteneva al popolo e Fanfani secondo cui la formula «appartiene» era sufficiente ad indicare contemporaneamente la fonte, il fondamento e il delegante della sovranità ossia il popolo. Ruini61, Presidente della Commissione per la Costituzione, spiegò al termine degli emendamenti indicati, le motivazioni che portarono in sede di Commissione ad optare per il termine «emana», poiché, considerato tra i vari sinonimi quello più dinamico, ma non si oppose ad adottare un'altra espressione perché tutte quelle proposte erano sinonimi e ironicamente affermò che non sarebbe stato affatto opportuno dilungarsi ora in sede di Assemblea su una discussione squisitamente letteraria e perder tempo a «bizantineggiare». Concluse affermando che, poiché il termine «appartiene» ebbe una adesione più larga, si dichiarò, a nome della Commissione, favorevole ad accettarla. In sede di votazione finale, il secondo comma del primo articolo fu accolto a maggioranza nella seguente formula: Ivi, p. 574. Meuccio Ruini nel 1913 candidato radicale, fu eletto deputato. Vicino a Nitti, condivideva con questi l'impegno per il superamento della questione meridionale, nel quadro di un progetto politico volto a promuovere l'espansione produttiva dell'intero paese. Contrario al fascismo, partecipò alla secessione dell'Aventino e dopo il 1942 riprese l'attività politica e partecipò alla lotta clandestina contro il regime. Esponente del Partito democratico del Lavoro, nel 1947 presiedette la Commissione dei 75 incaricata di redigere la costituzione della Repubblica. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/meuccio-ruini/ consultato il 05/01/2016, ore 11.45). 60 61 42 «[…] La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.»62 Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato 22 marzo 1947, in op. cit., p. 587. 62 43 Capitolo 3. Il lavoro come fondamento morale di un popolo libero 3.1 Togliatti e il fronte delle sinistre per una «Repubblica di lavoratori» Come è stato in precedenza affermato, uno degli elementi di novità dovuti alla caduta del regime fascista fu l’affermarsi dei grandi partiti di massa che si riunirono e si organizzarono per poi essere i principali protagonisti nel processo di democratizzazione del Paese 63 . In particolare, ad affermarsi furono i due partiti di ispirazione marxista: il Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP) e il Partito Comunista Italiano (PCI). Il primo partito a riorganizzarsi fu il PCI. Gli iscritti erano passati da 5-6.000 del 25 luglio 1943 al 1.800.000 della fine del 1945, diffusi in tutta la penisola, unico contraltare rispetto all’organizzazione cattolica 64 . L’organizzazione comunista traeva forza sia dal ruolo egemone ricoperto durante il periodo della lotta antifascista, sia dal mutamento avvenuto a livello organizzativo e ideologico sotto la gestione del segretario Palmiro Togliatti. Non era più il piccolo partito nato dalla scissione di Livorno del 1921, ma dimostrava di volersi inserire nelle istituzioni democratico-parlamentari, senza tuttavia rinnegare il proprio legame con l’URSS e senza cessare di portare avanti le aspettative della classe operaia 65 . All’appuntamento delle elezioni per la Costituente, il partito comunista aveva come obiettivo quello di cercare di consolidare l’alleanza tra i tre partiti di massa (PCI-PSIUP-DC) capace di governare e di condurlo alle elezioni politiche. Questo obiettivo non fu raggiunto poiché, mentre il PCI seguitava ad essere il punto di riferimento della classe operaia e G. Crainz, L’Italia repubblicana, in AA. VV., Storia Contemporanea, Roma, Donzelli, 1997, p. 498. A. Gambino, Storia del dopoguerra. Dalla Liberazione al potere Dc, Vol. I, Bari, Laterza, 1978, p. 183. 65 G. Sabbatucci, V. Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 ad oggi, Bari, Laterza, 2008, p. 505. 63 64 44 cercava di manifestarsi come un partito progressista, dall’altra parte le forze interne rendevano impossibile la politica delle larghe alleanze e crearono una frattura insanabile all’interno dello schieramento di sinistra, togliendone peso ed efficacia66. Il Partito Socialista di Unità Proletaria, che aveva assunto il nome nel 1943, appariva un partito diviso. Da una parte caratterizzato da un orientamento prettamente legato al marxismo e alla visione classista, per cui era naturale un’alleanza con i comunisti, e perfino una fusione con questi venne proposta durante il Congresso dell’agosto del 1945 67; dall’altra vi era una tendenza più aperta ad influenzare i liberali e quindi polemica e distante rispetto al modello portato avanti dal socialismo autoritario del modello sovietico 68 . Questa divisione interna si inasprì nel 1947, quando il PSIUP subì la scissione, denominata di «Palazzo Barberini». Da questa scissione nascevano PSI e PSLI (Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, successivamente cambiò nome in PSDI, Partito Socialista Democratico Italiano). A quest’ultimo aderirono cinquantadue dei centoquindici eletti socialisti nella Costituente69. Alle elezioni del 2 giugno, come è stato analizzato, nell'introduzione, per eleggere i rappresentanti nella Costituente, il fronte delle sinistre raggiunse quasi il 40% così suddiviso: il PSIUP ottenne il 20,7% (pari a 4.758.129 voti), quindi 115 seggi, invece il PCI solo il 19% (pari a 4.356.686 voti) e con 104 seggi 70. I due partiti di sinistra si presentavano all’appuntamento costituzionale «senza un progetto complessivo di ordinamento statale, ma solo con alcuni fermi principi, derivanti da convinzioni ideali, dall’esperienza compiuta nella collaborazione durante la Resistenza, 66 A. Gambino, Storia del dopoguerra, cit., p. 187. G. Galli, I partiti politici italiani (1943-2004), Rizzoli, Milano, 2006, p. 46. 68 F. Barbagallo, La formazione dell’Italia democratica, in AA. VV., Storia dell’Italia repubblicana, vol. I, La costruzione della democrazia, Torino, Einaudi, 1994, p. 78. 69 Ivi, p. 99. 70 M. De Nicolò, Comunisti, socialisti, azionisti, in M. De Nicolò (a cura di), Costituente, costituzione, riforme costituzionali, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 172. C. Ghisalberti, Storia costituzionale d’Italia 1848/1948, Vol. II, Laterza, Bari, 1977, pp. 466-467. F. Barbagallo, La formazione dell’Italia democratica, in op. cit., p. 85. 67 45 dai rapporti di forza contingenti e delle prevedibili prospettive» 71. Ciò era dovuto, secondo De Nicolò, a causa della priorità data agli obiettivi sociali ed economici rispetto all’ordinamento costituzionale da conseguire, dovuto sia da riferimento ideologico fragile rispetto alla teoria dello Stato, cioè il marxismo, e dalla mancanza di giuristi di sinistra, che comportava una sorta di diffidenza nei confronti del formalismo giuridico72. I riferimenti e i modelli a cui questi partiti guardavano nella stesura della Costituzione erano molteplici. Primo fra tutti era la Resistenza, in quanto sia elemento di unità con gli altri partiti, sia perché questi erano riusciti a ristabilire un rapporto con la società civile. Un altro modello a cui facevano riferimento era quella della costituzione dell’Unione Sovietica, come è stato già ampiamente analizzato nel capitolo I. Questo era un elemento presente anche nelle sedute durante i lavori dell’Assemblea Costituente e condiviso anche da altri esponenti di partiti non riconducibili al marxismo, come l’on. Giorgio La Pira73, esponente del partito della Democrazia Cristiana, il quale, durante la seduta della Prima Sottocommissione del 26 luglio 1946, dichiarava «molto conveniente riferirsi un poco al tipo della Costituzione sovietica, la quale va dal piano economico a quello culturale, fissando un sistema integrale di attività che comincia dalla base, dalla vita fisica, per raggiungere alla vita familiare, economica, amministrativa, politica, culturale e religiosa» 74. L’esempio tangibile della volontà di seguire come modello quello della costituzione sovietica è rintracciabile nella proposta delle sinistre nell’articolazione del primo articolo della Costituzione italiana. 71 M. De Nicolò, Comunisti, socialisti, azionisti, in op. cit., p. 173. Ibidem. 73 Per riferimenti biografici consultare il seguente sito: http://www.treccani.it/enciclopedia/giorgio-lapira_(Dizionario-Biografico)/ (consultato il 04/01/2016, ore 16.30). 74 Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di venerdì 26 Luglio 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, p. 304. 72 46 I lavori della Prima Sottocommissione, composta da 18 componenti della Commissione dei 75, che aveva il compito di redigere gli articoli riguardanti i diritti e i doveri dei cittadini e di cui presidente era Umberto Tupini, esponente della Democrazia Cristiana75, iniziarono il 26 luglio del 1946. L’on. Cevolotto76, membro del partito Democrazia del Lavoro, in qualità di relatore, aveva proposto, durante la seduta del 28 novembre del 1946, per la stesura del primo articolo, la seguente dicitura: «Lo Stato italiano è una repubblica democratica» 77 . Le sinistre, rappresentate in quel consesso dagli onorevoli del PCI Palmiro Togliatti e Concetto Marchesi e dagli onorevoli del PSIUP Lelio Basso e Leonetto Amadei, proposero l’aggiunta «di lavoratori» e successivamente ne proposero la seguente «di lavoratori del braccio e della mente» 78 . La proposta venne materialmente presentata da Palmiro Togliatti79. La proposta delle sinistre di dare una specificazione al concetto di democrazia nella parola di «lavoratori» era giustificata dalle parole dell’on. Marchesi: «Tutti riconoscono che il lavoro, fattore vecchio dello sfruttamento umano, è invece nuovo ed imponente nell’organizzazione politica e sociale della vita pubblica, e la stessa Commissione lo ha affermato nella formulazione degli articoli Pertanto va approvata l’aggiunta proposta dall’onorevole Togliatti, la quale non intende per lavoratori soltanto quelli del braccio, ma tutti coloro che convertono la propria attività individuale in un’attività sociale. La parola «lavoratori», che poteva destare sospetti e avversioni mezzo secolo fa, oggi, dopo 75 Per altri riferimenti cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/umberto-tupini/ (consultato il 5/1/2016, ore 11.52). 76 Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/mario-cevolotto_(Dizionario-Biografico)/ (consultato il 5/1/2015, ore 17.04). 77 Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di giovedì 28 Novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, p. 727. 78 Ibidem. 79 Protagonista, insieme a De Gasperi e a Nenni, del processo di ricostruzione politica, culturale ed economica dell’Italia nel secondo dopoguerra, Togliatti era segretario del Partito Comunista dal 1927 e ricoprì questa carica fino alla morte. In quegli anni ricopriva la carica di Ministro della Giustizia. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/palmiro-togliatti/ (consultato il 5/1/2015, ore 17,16). 47 quanto è avvenuto, non può significare altro che il cittadino nella più alta espressione della propria attività.» 80 Fin da subito la proposta di Togliatti trovò forte opposizione, soprattutto nelle file dei rappresentanti di destra e, in particolare nella persona dell’on. Grassi81, esponente del partito di destra denominato Unione Nazionale Democratica, il quale, durante la discussione, si espresse con le seguenti parole: «Si dichiara favorevole a che la Costituzione stabilisca che il lavoro partecipa in pieno alla democrazia italiana; è contrario invece alla dizione «repubblica di lavoratori», perché essa fa sorgere il sospetto che si parli di una repubblica classista e non più di una repubblica democratica per tutto il popolo»82 Togliatti si trovò, quindi, nelle condizioni di dover ritirare, già nella Prima Sottocommissione, la sua proposta e dovette accettare la proposta dell’on. Cevolotto che così, dallo stesso autore, venne presentata: «Lo Stato italiano è un Repubblica democratica. Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori all’organizzazione economica, sociale e politica del Paese.» 83. Tale proposta venne approvata a maggioranza con dodici voti favorevoli e quattro contrari, dei quali due erano degli esponenti della destra: Lucifero e Mastrojanni. Il Comitato di redazione, che era un organo organizzativo incaricato di redigere il testo del progetto della Costituzione a mano a mano che le Sottocommissioni procedevano con il loro lavoro, presentò l’articolazione del primo articolo nel seguente modo: 80 Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di giovedì 28 Novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, p. 728. 81 Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-grassi_res-42b02af4-87ee-11dc-8e9d0016357eee51_(Dizionario-Biografico)/ (consultato il 5/152016, ore 18.20). 82 Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di giovedì 28 Novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, p. 729. 83 Ivi, p. 733. 48 «L’Italia è una Repubblica democratica. La sua sovranità emana dal popolo e si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi. Il lavoro è l’essenziale fondamento dell’organizzazione politica economica e sociale della Repubblica italiana.» 84 Anche in sede di Commissione, nella seduta del 22 gennaio del 1947, l’on. Togliatti presentò l’emendamento, ed anche in questa sede gli venne addebitata l’accusa di voler creare una repubblica con carattere classista e quindi con un’idea contraria a quella che avrebbe dovuto essere il vero spirito di conciliazione che essa avrebbe dovuto esprimere fin dal primo articolo. Perfino il socialista Emilio Lussu espresse parere contrario alla proposta di Togliatti poiché riteneva che all’epoca non esisteva «una Repubblica democratica di lavorati o del lavoro, in ogni senso, dell’intelligenza e della mano»85 e riteneva che se avesse accettato l’emendamento proposto avrebbe avuto «l’impressione di riportare nella Costituzione italiana la menzogna dell’articolo 1 della Costituzione spagnola del 1931. Quella Repubblica dei lavoratori non esisteva; era insidiata molto più gravemente che non la nostra; e cadde; appunto perché non esisteva»86 . Togliatti cercò di difendere le proprie ragioni anche in questa sede, sostenendo che l’espressione «lavoratori» non avesse un «carattere limitativo; se così fosse, eguale carattere limitativo avrebbe l’espressione «lavoro». […] Se vi è questo timore, si può usare la formula «lavoratori di tutte le categorie», oppure «lavoratori del braccio e della mente.»87 Inoltre, sempre Togliatti sosteneva: «È necessaria, invece, una formulazione incisiva con cui si apra la Costituzione, come una affermazione di principio da imprimersi nella mente di tutti i cittadini: questo è ciò che conta, questo ha un valore 84 Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria seduta 1946 al 1° febbraio 1947, sedute di mercoledì 22 gennaio 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, p.139. 85 Ivi, p. 140. 86 Ibidem. 87 Ivi, p. 141. 49 non soltanto politico, ma anche storico. Ritiene che coloro i quali sono d’accordo sulla sostanza di tale principio, dovrebbero accettare anche che venisse chiaramente formulato»88. La proposta non venne approvata nemmeno in sede di Commissione e all’Assemblea plenaria arrivò il primo articolo così formulato: «L’Italia è Repubblica democratica. Essa ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. La sovranità emana dal popolo e si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi.»89 In Assemblea Costituente la discussione si fece più intensa. L’emendamento venne presentato sia dagli onorevoli del PCI, Giorgio Amendola, Renzo Laconi, Leonilde Iotti e Ruggiero Grieco, e simultaneamente dagli onorevoli: Lelio Basso (PSI), Ferdinando Targetti (PSI), Pietro Nenni (PSI), Paolo De Michelis (PSI), Fausto Gullo (PCI) e Palmiro Togliatti (PCI). Emblematica dall’onorevole a del difesa Partito dell’articolo fu Repubblicano l’intervento Italiano, fatto Randolfo Pacciardi 90 , il quale dichiarava che il gruppo repubblicano avrebbe sostenuto la formula della proposta dei socialisti e dei comunisti e che avrebbero votato a favore anche i gruppi facenti parte del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, del Partito Democratico del Lavoro e del Partito D’Azione. La scelta veniva così giustificata dallo stesso onorevole: «[…] Il fatto che l’espressione «Repubblica democratica» precede l’attributo di «lavoratori» toglie ogni dubbio al significato di questa 88 Ibidem. Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria seduta 1946 al 1° febbraio 1947, sedute di mercoledì 24 gennaio 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, p.164. 90 Una figura significativa come poche altre nel Novecento italiano, esponente del Partito Repubblicano Italiano, mazziniano, eroe antifascista e poi convinto anticomunista, presidenzialista e gollista. Per informazioni biografiche consultare http://www.treccani.it/enciclopedia/randolfo-pacciardi/ (consultato il 6/1/2016, ore 16.47). 89 50 dizione: non si tratta di una Repubblica classista, si tratta di una Repubblica democratica. […] Per noi la Repubblica è una profonda trasformazione della vita collettiva, della vita associata della Nazione, nel senso politico, nel senso economico e sociale, nel senso morale.»91 Il repubblicano Pacciardi sosteneva, quindi, che la Repubblica fosse un concetto di profonda innovazione per il Paese e non solo in senso politico, economico e sociale, ma soprattutto in senso morale. Da qui la necessità di aspirare ad una Repubblica che fosse libera «cioè snodata; cioè decentrata; cioè autonomistica; libera, cioè che tenda ad avvicinare lo Stato al popolo, anche che metta lo Stato al servizio del popolo, anziché il popolo al servizio dello Stato» 92. Ed ecco perché fosse anche fondamentale che la Repubblica fosse «di lavoratori», cioè dotata di una legislazione non per oziosi e i parassiti ma «una legislazione per i lavoratori, per tutti i lavoratori; i lavoratori del braccio, i lavoratori del pensiero, i lavoratori di ogni categoria: i contadini come gli operai, gli artigiani come i piccoli proprietari, gli impiegati, gli artisti, i professionisti, tutti coloro insomma che vivono del proprio lavoro e che non sfruttano il lavoro altrui» 93. Seguendo questa linea di pensiero, i repubblicani erano sicuri di rendere al meglio il pensiero del loro più illustre rappresentante, cioè Giuseppe Mazzini, il quale venne citato dall’onorevole con le seguenti parole: «La rivoluzione che arriva dovrà fare per il proletario, cioè per le classi popolari, per gli uomini del lavoro, ciò che le rivoluzioni passate fecero per i borghesi: lavoro per tutti, ricompensa proporzionata per tutti; ozio e fame per nessuno. […]. Il grande pensiero sociale che oggi fermenta in Europa può così definirsi: abolizione del proletariato; emancipazione dei lavoratori dalla tirannide del capitale concentrato in un piccolo numero di individui; 91 Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato 22 marzo 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell'Assemblea Costituente, vol. I, Roma, Camera dei Deputati, 1971, p. 579. 92 Ibidem. 93 Ibidem. 51 all'emancipazione dello schiavo tenne dietro quella del servo, e quella del proletario deve seguirle» 94. Infine, l’onorevole repubblicano, partendo dal pensiero mazziniano, teorizzava la teoria dell'emancipazione del proletariato. Cosi come in passato ebbe luogo l'emancipazione del patriziato a discapito del dispotismo monarchico, della borghesia a discapito dell'alta nobiltà, era giunto il momento che avesse luogo l'avanzamento e il riscatto del popolo che, per mezzo di una società fondata sul lavoro, avrebbe dovuto rovesciare i privilegi della borghesia proprietaria e capitalistica, per mezzo di una società che avrebbe accettato solo i privilegi dell'intelletto virtuoso e intelligente. La votazione nominale su questa proposta, come è noto, diede esito negativo per soli 12 voti95. Dalla discussione in Assemblea plenaria si può considerare come la parola «lavoratore» perdesse quel significato classista che gli era stato attribuito nelle precedenti sedute, ma veniva ad assumere un significato larghissimo ed umano, comprendendovi ogni sorta di lavoro, non solo manuale e salariato, ma anche intellettuale, di professionisti. 94 95 Ibidem. I presenti che votarono furono 466 e risposero si 227 e no 239. Ivi, p. 581. 52 3.2 Una formula di compromesso. La Democrazia cristiana e la “Repubblica democratica fondata sul lavoro” Si giunse all'accettazione della formula definitiva del primo articolo solo nell'ultima seduta in Assemblea Costituente del 22 marzo 1947, su proposta di Fanfani, esponente della Democrazia Cristiana. In questa sede si analizzerà quanto lungo e faticoso è stato il raggiungimento di questo traguardo, e come solo grazie al compromesso linguistico si giunse ad una scelta definitiva, compromesso che ha transitato nella formula «lavoro» l'ideologia delle sinistre, che come è stato delineato nel paragrafo precedente, puntava alla dicitura «Repubblica di lavoratori», rendendola più neutra; compromesso che si è ispirato alla riaffermazione del valore del lavoro e della solidarietà, in un nuovo clima democratico. Si vedrà il percorso che la posizione dei democristiani ha seguito nel corso degli incontri, avvenuti prima in I Sottocommissione, poi in Commissione ed infine in Assemblea Costituente. La discussione tenutasi in I Sottocommissione in data 28 novembre 1946 96 ebbe inizio con l'accettazione all'unanimità della formula proposta dall’onorevole Cevolotto: «Lo Stato italiano è una repubblica democratica»97. Le questioni che emersero furono fondamentalmente relative all’aggettivazione del termine democrazia; ci si chiese su cosa potesse fondarsi concretamente la nuova repubblica e si discusse circa la possibilità di ampliare l'articolo ponendo il principio del lavoro come base ideologica. Questo per distinguere il nuovo tipo di Costituzione, diversa dalle precedenti costituzioni di stampo liberale e ottocentesco, Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di giovedì 28 novembre 1946, in a Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp.727-733. 97 Ivi, p. 727 96 53 fondate sulla libertà e la proprietà privata; una costituzione che potesse rispecchiare un nuovo tipo di democrazia avente per fondamento il lavoro, non più a base individualistica ma collettiva, composta da lavoratori. Su questa base l’On. Togliatti, come è stato visto nel precedente paragrafo, avanzò la proposta di aggiungere alle parole: «repubblica democratica» anche la dicitura «di lavoratori». Tale proposta destò notevoli contrarietà negli altri costituenti, i quali pur riconoscendo il primato che spettava al lavoro nello Stato italiano, la consideravano difettosa e bisognosa di aggiunte, specificazioni o modifiche. Ed ecco che intervenne la Dc con la proposta di Moro di sostituire alla formula: «di lavoratori» quella di «fondata sul lavoro e sulla solidarietà sociale», per ovviare ad una eventuale interpretazione dell’affermazione di Togliatti come quella di una particolare ideologia, di uno speciale partito. Anche La Pira, anch'esso democristiano, riconoscendo che la democrazia si dovesse oramai considerare di due tipologie: una limitata al campo politico, derivata dai principi liberali del 1789, e una estesa al campo dell’economia, si espresse sulla necessità di ampliare il concetto di democrazia in rapporto alla situazione attuale estendendolo al campo economico. In questa sede vennero però respinte entrambe le proposte: sia la formula «di lavoratori» sia quella «fondata sul lavoro e sulla solidarietà sociale». Inoltre, Moro propose di aggiungere alla formula del primo articolo una definizione che si rifacesse agli articoli riguardanti il lavoro e i rapporti economici già approvati in Prima Sottocommissione in questi termini: «Il lavoro e la sua partecipazione concreta nelle organizzazioni economiche, sociali e politiche è il fondamento della democrazia italiana». Tale formula venne respinta, in favore invece della formulazione approvata dal Comitato di coordinamento: 54 «Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori alla organizzazione economica, sociale e politica del Paese». L' intero articolo, posto al vaglio dei Costituenti, venne così approvato con 12 voti favorevoli e 4 contrari secondo la formula conclusiva: «Lo Stato italiano è una Repubblica democratica. Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori all’organizzazione economica, sociale e politica del Paese».98 Successivamente, l'articolo subì una serie di modifiche nel corso delle sedute successive prima di arrivare ad assumere la forma definitiva che leggiamo oggi. La seduta della Commissione, in data 22 gennaio 194799, si aprì con l'analisi dell'articolo così come era stato approvato dal Comitato di redazione, il quale, come è stato visto, era un organo di raccordo. Questo appariva in questi termini: «L'Italia è una Repubblica democratica. La sua sovranità emana dal popolo e si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi. Il lavoro è l'essenziale fondamento dell'organizzazione politica, economica e sociale della Repubblica italiana». Nella seconda seduta della Commissione dei 75 Ruini , che era stato presidente del lavori nel Comitato di redazione spiegò e riepilogò efficacemente le motivazioni che spinsero il suddetto Comitato a modificare il testo approvato in I Sottocommissione, facendo leva su questioni prettamente formali: nel primo comma all'espressione «lo Stato italiano» si preferì «l'Italia» con il risultato della formula definitiva: «L'Italia è una Repubblica democratica»; questa scelta fu preferita affinché fosse l'idea di Repubblica quella ad avere Ivi, p. 733. Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria sedute dal 20 luglio 1946 al 1° febbraio 1947, seduta di mercoledì 22 gennaio 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, cit., pp. 137-143. 98 99 55 preminenza e non quella invece di Stato. Riguardo al secondo comma: «Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori all'organizzazione economica, sociale e politica del Paese», questo venne modificato in «il lavoro è l'essenziale fondamento dell'organizzazione politica, economica e sociale della Repubblica italiana». Tale modifica venne apportata con la volontà di affermare che il lavoro era il fondamento della Repubblica e non che fosse stato lo Stato ad avere come fondamento il lavoro. Dopo l'esplicazione di Ruini e la votazione finale il testo definitivo approvato in sede di Commissione apparve il seguente: «L'Italia è una Repubblica democratica. Essa ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. La sovranità mana dal popolo che la esercita nelle formule e nei limiti della Costituzione e delle leggi»100. Fu solo durante la seduta finale del 22 marzo 1947 101 in Assemblea Costituente che si giunse alla stesura definitiva dell'articolo I: Fanfani, Grassi, Moro, Tosato, Bulloni, Ponti, Clerici compattamente presentarono il seguente emendamento: «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.» Fanfani102, portavoce del gruppo procedette nella esplicazione della scelta elencando tutte le varie proposte che vennero presentate dagli Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria sedute dal 20 luglio 1946 al 1° febbraio 1947, seduta di venerdi 24 gennaio 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, cit., pp. 163-164. 101 Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato 22 marzo 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell'Assemblea Costituente, cit., 1971, pp. 565-587. 102 Fanfani: esponente di spicco della Dc, economista e storico italiano. È stato tre volte presidente del Senato, cinque volte presidente del Consiglio dei ministri fra il 1954 e il 1987, due volte segretario della Dc e presidente del partito, Ministro degli affari esteri, Ministro dell'interno e Ministro del bilancio e della programmazione economica. Viene considerato, insieme a Moro, Nenni, Saragat e La Malfa, uno degli artefici della svolta politica del centro-sinistra, con cui la Dc volle avvalersi della collaborazione governativa del PSI. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/amintorefanfani_(Il_Contributo_italiano_alla_storia_del_Pensiero:_Economia)/ consultato il 16/01/2016, ore 18:59) 100 56 altri orientamenti sulla questione della specificazione del concetto di democrazia che, come si è visto, peccando di ambiguità, generò non poche controversie. L'onorevole rimproverava al testo della Commissione il secondo comma che si presentava in senso puramente esplicativo, tanto da rendere l'intero articolo I non omogeneo e non sufficientemente sintetico. Da qui necessità di cercare una omogeneità di fondo, spinse gli onorevoli promotori della formula a contrarre i primi due commi in unico comma e avvicinare, rendendo omogeneo tutto l'articolo, la materia del primo a quella del terzo comma. Nacque in questo modo la formula: «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». Fanfani spiegò con queste parole il concetto espresso sopra: «Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui e si afferma invece che essa si fonda sul dovere di contribuire al bene della comunità nazionale»103. Terminò definendo in concetto stesso di lavoro: «Niente pura esaltazione della fatica muscolare, come superficialmente si potrebbe immaginare, del puro sforzo fisico; ma affermazione del dovere d'ogni uomo di essere quello che ciascuno può, in proporzione dei talenti naturali, sicché la massima espansione di questa comunità popolare potrà essere raggiunta solo quando ogni uomo avrà realizzato, nella pienezza del suo essere, il massimo contributo alla prosperità comune»104. L'espressione «fondata sul lavoro» rappresentò, dunque, la vera novità, il tema di fondo, il fulcro della nuova Carta Costituzionale. Solo in questo modo, secondo i democristiani, pur avendo mantenuto la novità di una repubblica fondata sul lavoro, riuscì ad aggirare 103 104 Ivi, p. 571 Ibidem. 57 l'ostacolo di un pericolo classista, quale poteva apparire con la formula presentata dalle sinistre. 58 3.3 Il fronte delle destre e le altre proposte: la discussione attorno ai concetti di «giustizia sociale», «diritti di libertà e diritti del lavoro», «solidarietà del lavoro umano» Come si è avuto modo di leggere precedentemente, la discussione intorno all'articolo I tenutasi nella data del 28 novembre 1946 105 , sviluppò un acceso dibattito riguardante la possibilità di ampliamento dell'articolo attraverso una specificazione del concetto democrazia. La prima proposta ruotante attorno al principio del lavoro venne invece fortemente avversata dal fronte delle destre ed in particolare dai filomonarchici Lucifero106 e Mastrojanni, e dal liberale Grassi, i quali, contrari all'assetto repubblicano, cercarono per lo meno di rendere la dicitura vaga e indefinita nella prospettiva di una eventuale riproposizione monarchica. Sia Grassi, esponente di spicco dell'Unione democratica nazionale, di stampo liberale che Mastrojanni, appartenente al Fronte dell’Uomo qualunque erano totalmente contrari all’inserimento di specificazioni del concetto di democrazia. Il primo si opponeva alla dizione «Repubblica di lavoratori» perché essa, secondo il suo pensiero, avrebbe potuto far sorgere il sospetto che si trattasse di una repubblica classista e non più una repubblica democratica per tutto il popolo. Il secondo invece si opponeva all’inserimento della categoria generica di Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di giovedi 28 novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, cit.. 106 Lucifero di professione avvocato, dopo l'8 settembre 1943 partecipò alla Resistenza romana nelle file del Centro della democrazia italiana, una formazione monarchica clandestina; subito dopo la liberazione di Roma partecipò alla costituzione del Partito democratico italiano , divenne la firma di punta del quotidiano monarchico Italia nuova, dalle cui pagine prese ad attaccare le misure di epurazione antifascista del governo Bonomi e la "dittatura" del Cln, insrendosi cosi da subito nella posizione della destra reazionaria . Il 2 giugno 1946 fu eletto all'Assemblea costituente nelle liste del Blocco nazionale della libertà (composto dal PDI, dal Centro democratico e dalla Concentrazione democratico liberale) di spiccato orientamento monarchico.Alla Costituente si dichiarò contrario alla caratterizzazione in senso antifascista della Costituzione, sostenendo che essa non avrebbe dovuto contenere alcun riferimento "né in forma positiva, né in forma negativa" al fascismo. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/roberto-lucifero_(Dizionario_Biografico)/ (consultato il 16/01/2016, ore 19:31) 106 Ivi, p. 729. 105 59 lavoro, in quanto riteneva necessario, per integrare il concetto di democrazia, tenere conto di tutti gli elementi su cui l’istituzione democratica avrebbe dovuto porre le basi e, solo uno dei vari elementi era stato individuato, ossia il lavoro. La Costituzione non avrebbe dovuto dar preferenza ad uno solo dei principi ma riconoscerli tutti. La Repubblica doveva, a parer suo, dare uguale asilo anche ai non appartenenti alla categoria di lavoratori, in quanto il vero concetto di democrazia era: «asilo per tutti, tolleranza per tutti» 107 . Lucifero, costituente simbolo del Blocco nazionale della Libertà, di orientamento nazionalista e conservatore, ampliò la linea oppositiva di Grassi e Mastrojanni, dichiarando che avrebbe votato contro qualunque aggiunta alle parole «Lo Stato italiano è una repubblica democratica» poiché riteneva che qualunque aggettivazione alla parola democrazia potesse dare alla Costituzione un valore programmatico, una certa determinata tendenza politica. Lucifero, risultò essere già da ora una personalità di spicco all'interno del dibattito costituzionale, dallo spirito combattivo e intransigente si scontrò spesso con tutte le proposte avanzate sia delle sinistre che dalla Democrazia cristiana, sia per quanto riguardava l'aggettivazione della democrazia che soprattutto l'avocazione dei beni di Casa Savoia, argomento in merito al quale fu particolarmente acceso nel difendere la causa della spodestata famiglia monarchica. Successivamente, l'articolo subì ancora una serie di modifiche; in particolare di natura formale, nelle sedute, in Commissione, rispettivamente del 22 e 24 gennaio 1947 108 . In questa sede si procedette alla revisione della formulazione dell'articolo cosi come era stato approvato dal Comitato di Redazione. Il dibattito si accese in merito, ancora una volta, alla proposta avanzata da Togliatti, quella Ivi, p. 729. Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria sedute dal 20 luglio 1946 al 1° febbraio 1947, sedute di mercoledì 22 gennaio 1947 e venerdì 24 gennaio 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, cit., pp. 136-143; 162-164. 107 108 60 cioè di emendare la forma scarna adottata in Sottocommissione e approvata dal Comitato di Redazione «L'Italia è una Repubblica democratica», aggiungendovi l'efficace dicitura «di lavoratori», formula che, come è stato visto, era stata demandata di volta in volta fino a giungere al vaglio dell'Adunanza Plenaria proprio a causa del carattere controverso e scottante che ne scaturiva. Gli oppositori, mossi dal timore di una Repubblica classista, si scagliarono fortemente contro tale aggiunta adducendo una serie di motivazioni di natura prettamente ideologica. Oltre al fronte delle destre, il cui pensiero venne acutamente riassunto dalle parole di Grassi secondo cui «L'emendamento in questione darebbe l'idea di una Repubblica a carattere classista, ovvero una Repubblica specializzata, a cui si sentirebbero appartenenti una sola categoria di cittadini, una sola classe»109 fu anche una parte della Dc questa volta ad allinearsi cu questo pensiero. In particolare, Cappi pur considerando il lavoro l'attività preminente della neonata Repubblica, fece notare come in quel momento la parola lavoratore avesse acquisito un significato diverso da quello etimologico, andando a racchiudere soltanto la categoria del lavoratore materiale, tant'è vero che nella Confederazione del lavoro erano compresi solo i lavoratori manuali. Dunque, anche secondo Cappi, adottando la formula delle sinistre si correva il rischio di instaurare una repubblica classista. La formula del primo comma definitivamente accettata in questa sede fu la seguente: «L'Italia è una Repubblica democratica. Essa ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». 61 Come si può notare, nonostante il lavoro divenne il fulcro attorno a cui far ruotare il nuovo assetto politico dell'Italia, la formula rimase ancora quella vaga della Prima Sottocommissione, senza alcuna specificazione. Si dovrà aspettare l'ultima seduta in Assemblea Costituente per poter finalmente avere il I articolo cosi come lo leggiamo ora con l'importanza accordata al concetto di lavoro, che è davvero la novità caratterizzante del nostro testo. La discussione del 22 marzo 1947 110 svoltasi in Assemblea Costituente, partiva dunque dall'analisi del testo così come era stato approvato in Commissione e che è stato riportato sopra. In questa sede il fronte delle destre non si limitò più ad opporre resistenza alla formula delle sinistre e della Dc ma propose un serie di modifiche sostanziali all'articolo, portandone un radicale stravolgimento. Furono in particolare Coppa e Rodino' 111,i portavoce del Fronte dell'Uomo Qualunque ad avanzare un emendamento radicale. Si ricorda che la formula originaria era questa: «L'Italia è una Repubblica democratica». Essi proposero di aggiungervi le parole: «fondata sulla giustizia sociale» affermando che, poiché il concetto di lavoro, avrebbe potuto dar luogo ad equivoci e portare ad esempio all'instaurazione di una antitesi all'interno del campo complesso del lavoro stesso, ovvero quella tra datori di lavoro e prestatori d'opera, sarebbero stati preferibili i concetti più generici e meno classisti di giustizia sociale e libertà nella solidarietà. La prima era la mèta da raggiungere, la seconda il mezzo, lo strumento per raggiungere la suddetta mèta. Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato 22 marzo 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell'Assemblea Costituente, cit., pp. 565-587. 111 Appartenenti al Fronte dell'Uomo Qualunque: un movimento e, successivamente, un partito politico dichiaratamente anticomunista, sorto attorno all'omonimo giornale (L'Uomo qualunque) fondato a Roma nel 1944 dal commediografo e giornalista Guglielmo Giannini, che portava avanti istanze liberalconservatrici e legate all'antipolitica. Cfr: http://www.treccani.it/enciclopedia/l-uomo-qualunque/ (consultato il 16/01/2016, ore 19:47) 110 62 Erano questi, secondo Coppa e Rodinò, veramente i fini degni dello Stato italiano repubblicano. Anche Fabbri, di orientamento monarchico si allineò a questo pensiero facendo leva sulla non originalità del concetto di lavoro, in quanto dire che uno Stato si fondava sul lavoro significava non apportare alcuna novità alla Carta Costituzionale, perché questo principio, secondo il suo pensiero, era sempre esistito, anche in periodi storici differenti da quello attuale, ad esempio nel periodo del lavoro schiavista e dello sfruttamento, gli Stati si basavano fondamentalmente sul lavoro; la necessità di caratterizzare la nostra Costituzione doveva legarsi all'inserimento di una enunciazione nuova, che non poteva che essere quella della giustizia sociale che, a differenza del lavoro, non si era effettivamente realizzata in tutti i tempi. Vennero poi aggiunte nuove proposte, alternative a quella di lavoro, portate avanti da esponenti di varie ideologie, alcuni non appartenenti necessariamente al pensiero filomonarchico o di destra. La proposta di La Malfa112,rappresentante del Partito repubblicano fu la seguente: «L'Italia è una Repubblica democratica fondata sui diritti di libertà e sui diritti del lavoro»113 Con questa formula i repubblicani si posero contro la proposta del PCI, perché, a parer loro, quest'ultima, avrebbe potuto dare l'idea di una Costituzione a carattere soggettivo e richiamare esperienze storiche che, benché fossero state di altissimo valore, non rappresentavano l'attuale esperienza democratica italiana; si posero inoltre anche contro la proposta della Dc, la cui formula appariva La Malfa. Con un passato antifascista, fu tra i fondatori del Partito d'Azione, eletto nel 1946 all'Assemblea Costituente nelle file della Concentrazione Democratica Repubblicana, da lui fondata con Parri, portò il partito a confluire nel Partito Repubblicano Italiano. Cfr. http://storia.camera.it/deputato/ugo-la-malfa-19030516 ( consultato il 17/01/2016, ore 15:49) 113 Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato 22 marzo 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell'Assemblea Costituente, cit. p. 575. 112 63 priva di contenuto, troppo generica, facilmente preda di equivoci. Con «diritti di libertà e diritti del lavoro» invece, si oggettivava, pur accogliendolo in pieno, il concetto di lavoro, affiancandogli quello della libertà, che altrimenti sarebbe stato sterile e vago. In questo modo i repubblicani vollero anticipare e riassumere tutti i diritti fondamentali che sarebbero stati poi esplicitati in seguito nel corso dell'elencazione degli articoli successivi: diritti civili, etico-sociali, economici ecc. Un'altra proposta fu quella che sostituiva il concetto di lavoro con quello di solidarietà del lavoro umano, fu formulata dal monarchico Caroleo e appariva così formulata: «L'Italia è Repubblica democratica fondata sulla solidarietà del lavoro umano»114. Caroleo, esponente del Blocco nazionale della libertà affermava con le seguenti parole che il lavoro espresso nudamente come volevano i democristiani appariva privo di concretezza e praticità: «Ma di quale lavoro si intende parlare? Soltanto del lavoro dei contadini? Soltanto del lavoro degli operai? O di tutti i lavoratori? O di tutte le specie di lavoro, e specialmente di quel lavoro intellettuale, che è la più alta prerogativa dell'uomo, e a cui anche i proletari aspirano nel loro intenso, diuturno sforzo di proletarizzazione?» 115 Occorreva perciò, a suo avviso, completare il concetto, preferendo l'espressione «solidarietà del lavoro umano», in quanto solo parlando di lavoro in termini di solidarietà si sarebbero superate quelle presupposizioni egoistiche, in quanto lavorare non avrebbe significato più fornire la prestazione di un'opera per soddisfare esigenze individualistiche, e si sarebbe superato, in questo modo, qualsiasi concetto di sfruttamento dell'uomo sull'uomo; il lavoro, di qualunque tipologia, anche quello domestico, venne nobilitato, divenne una collaborazione con l'altro e non una subordinazione come in passato. 114 115 Ivi, p. 573. Ibidem. 64 Conclusione Durante la seduta del 22 marzo 1947 in Assemblea costituente, dopo una lunga e controversa discussione circa la specificazione della democrazia e la vasta gamma di variazioni al termine lavoro, si giunse alla votazione definitiva. Poiché la novità, come è stato detto, non risiedeva tanto nella costituzione di una Democrazia in senso lato, quindi strettamente politica, ma di una democrazia che fosse in primo luogo una Democrazia sociale ed economica, la Costituzione diede preminenza ai due elementi nodali: il lavoro, quale frutto dell’innovazione e la sovranità popolare, quale frutto della tradizione. Furono tre le formule di specificazione del termine democrazia, relative al primo comma del I articolo che in questa sede vennero presentate:la prima era la formula: «L’Italia è una repubblica democratica di lavoratori», presentata compattamente dagli esponenti dei Gruppi del Partito Comunista italiano, del Partito Socialista dei lavoratori italiani, del Partito Democratico del lavoro e del Partito d’Azione (Amendola, Laconi, Iotti Leonilde, Grieco, Basso, Targetti, Nenni, De Michelis, Gullo, Togliatti), a cui si aggiunsero anche i padri costituenti del Partito Repubblicano, capeggiati da Pacciardi. La seconda proposta era la seguente: «L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro» e venne presentata dal fronte democristiano composto da Fanfani, Grassi, Moro, Tosato, Bulloni, Ponti, Clerici. Infine, l'ultima formula voluta da La Malfa, ossia: «L’Italia è una repubblica democratica fonata sui diritti di libertà e del lavoro». La proposta delle sinistre, sottoposta a votazione nominale in sede di Assemblea Costituente non venne approvata con 239 voti contrari e 227 favorevoli, su 466 votanti 116 . Fu in questa occasione che si verificò una profonda spaccatura tra comunisti e socialisti; i comunisti Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato 22 marzo 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell'Assemblea Costituente, cit., p. 581. 116 65 infatti, in maniera clamorosa e sorprendente, bocciarono la proposta di La Malfa e abbracciarono quella di Fanfani. Queste le parole di Togliatti in merito: Di fronte all’alternativa che adesso si presenta, devo dichiarare, a nome del gruppo al quale appartengo, che noi preferiamo la formula proposta dall’onorevole Fanfani. […] la formula del collega Fanfani è quella che più si avvicina a quella che noi avevamo presentato. […] la formula “repubblica fondata sul lavoro”, si riferisce a un fatto di ordine sociale, e quindi è la più profonda; mentre la formula che viene presentata dall’onorevole La Malfa ed altri colleghi, trasferendo la questione sul campo strettamente giuridico e introducendo anche una terminologia poco chiara e poco popolare sui “diritti di libertà” e “di lavoro”, ci sembra sia da respingere. 117 Tosato, esponente democristiano, sostenne la tesi dei suoi colleghi di partito in questi termini: Che la democrazia sia fondata sui diritti di libertà e del lavoro è un fatto acquisito. L’elemento, il fatto nuovo, il momento nuovo da mettere in particolare rilievo nella definizione dello Stato repubblicano democratico italiano, è l’elemento del lavoro, ed è per questo che noi parliamo soltanto del lavoro.118 Il Partito socialista dei lavoratori italiani, il Gruppo democratico del lavoro e alcuni altri padri costituenti di diverso orientamento optarono invece per la proposta di La Malfa. Poste ai voti le due formule, per appello nominale, venne approvata la formula definitiva che oggi leggiamo nella nostra Costituzione: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». Riguardo al secondo comma, dopo un intenso dibattito circa la ricerca di vari sinonimi al verbo che avrebbe dovuto specificare il concetto di sovranità (si ricorda il verbo «emana», che era stato approvato in sede di Commissione e il verbo «risiede» auspicato da Lucifero) venne approvata la formulazione, ancora una volta 117 118 Ivi, p. 582. Ivi, p. 583. 66 presentata dal fronte democristiano composto da Fanfani, Grassi e Moro: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». In via definitiva il I articolo della Costituzione italiana, che è anche il manifesto programmatico di tutto un sentimento democratico, repubblicano, innovatore, che caratterizzò il clima di rinascita politica e morale del secondo dopoguerra, venne espresso in questi termini: «L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».119 119 Ivi, p. 587. 67 FONTI - Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di venerdì 26 Luglio 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp. 303-305. - Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di lunedì 9 settembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp. 315-324. - Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di giovedì 21 novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp.717-726. - Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di giovedì 28 Novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp. 727-736. - Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di venerdì 29 novembre 1946, in “La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente”, vol VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp.738746. - Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria sedute dal 20 luglio 1946 al 1° febbraio 1947, sedute di mercoledì 22 gennaio 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp. 137-143. - Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria sedute dal 20 luglio 1946 al 1° febbraio 1947, sedute di venerdì 24 gennaio 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp. 161-172. - Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato 22 marzo 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della 68 Repubblica dell'Assemblea Costituente, vol. I, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp. 565-587. BIBLIOGRAFIA - BARBAGALLO F., La formazione dell’Italia democratica, in AA. VV., Storia dell’Italia repubblicana, vol. I, La costruzione della democrazia, Torino, Einaudi, 1994, pp. 5128. - CRAINZ G., L’Italia repubblicana, in AA. VV., Storia Contemporanea, editore Donzelli, Roma, 1997, pp. 497-525. - DE NICOLÒ M., Comunisti, socialisti, azionisti, in M. De Nicolò (a cura di), Costituente, costituzione, riforme costituzionali, Bologna, Il Mulino, 1998, pp. 171-185. - GALLI G., I partiti politici italiani (1943-2004), Rizzoli, Milano, 2006. - GAMBINO A., Storia del dopoguerra. 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