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L’idea di Repubblica tra antifascismo e identità nazionale

2011, Resist-oria. Bollettino dell'Istituto campano per la storia della Resistenza

L’idea di ‘Repubblica’: tra antifascismo e identità nazionale Francesco Soverina Sulla scorta di autori citati da Maurizio Viroli, Massimo L. Salvadori in un intervento del 2004 ha individuato i tratti salienti del patriottismo repubblicano nel «valore della libertà come bene di tutti e per tutti», nella «fedeltà e lealtà nei confronti delle istituzioni derivanti dall’eguale partecipazione», nel «sistema di diritti che fonda la cittadinanza […] sulla valorizzazione e sulla difesa [del] pluralismo», in «un sistema politico fondato su un patto comune», in «una coscienza civica che si nutre dell’amor della patria», in «un modo di vivere la politica che si manifesta sulla scena pubblica e respinge gli arcana imperii», in «un’etica pubblica la quale impone la lealtà verso le istituzioni al di sopra di ogni vincolo privato», in «uno spirito che concepisce la patria come luogo ideale e non fisico, e perciò considera la territorialità come attuazione in uno spazio specifico dei valori generali dell’umanità»1. Il tema del patriottismo repubblicano2, ritornato nel corso del «terzo giubileo della patria», rimanda al dibattito sui contrassegni dell’identità nazionale, sul definirsi dell’idea di cittadinanza nell’Italia della democrazia impiantata sui partiti e sulla Costituzione, intrecciandosi con quello suscitato dal «revisionismo storiografico» sulla rilettura di nodi e momenti cruciali della storia postunitaria, quali la Resistenza e l’antifascismo. Non a caso, infatti, alla metà degli anni Novanta del Novecento, 1 M.L. Salvadori, Italia divisa. La coscienza tormentata di una nazione, Donzelli, Roma 2007, pp. 18-19. Non si può, inoltre, non rinviare alle analisi e riflessioni di Maurizio Viroli, in particolare al testo Per amore della Patria. Patriottismo e nazionalismo nella storia, Laterza, II edizione con nuova premessa dell’autore, Roma-Bari 2001. 2 Si tengano presenti gli studi condotti e promossi da Maurizio Ridolfi, soprattutto il volume da lui curato Almanacco della repubblica. Storia d’Italia attraverso le tradizioni, le istituzioni e le simbolici repubblicane, Bruno Mondadori, Milano 2003. L’idea di ‘Repubblica’: tra antifascismo e identità nazionale 107 mentre si va delineando la stagione politica contraddistinta dall’avvento del berlusconismo e della cosiddetta seconda Repubblica, si accende la discussione sui caratteri dell’identità nazionale dopo la catastrofe bellica della seconda guerra mondiale, che avrebbe portato nel settembre 1943 alla «morte della patria», secondo l’espressione lapidaria usata da Salvatore Satta nel drammatico frangente della divisione dell’Italia in due3. Un’espressione – per dir così – dalla fortuna postuma, immessa con determinazione nell’arena storico-politica da Renzo De Felice ed Ernesto Galli della Loggia. Per il primo è con la cesura dell’8 settembre, data periodizzante quant’altre mai, che comincerebbe «lo svuotamento del senso nazionale». Il venir meno del sentimento patriottico, insieme con l’influenza predominante esercitata dal Partito comunista, avrebbe resa fragile sin dall’esordio la democrazia repubblicana. Ad onta delle reiterate proclamazioni di oggettività e avalutatività, l’intento politico-ideologico dell’autore della monumentale biografia di Mussolini collocata nella storia d’Italia viene fuori con nettezza dal libro Rosso e nero (1995), una lunga intervista rilasciata a Pasquale Chessa4. De Felice propone qui la formulazione di un nuovo patriottismo imperniato sull’archiviazione del contrasto tra fascismo ed antifascismo, che avrebbe provocato lacerazioni e ferite profonde, compromettendo irreparabilmente la possibilità di elaborare una memoria condivisa. De Felice finisce, così, con l’essere sulla stessa lunghezza d’onda di esponenti di primo piano del centrodestra, agli occhi dei quali l’intero cinquantennio repubblicano sarebbe stato segnato rovinosamente dall’urto ideologico fra culture politiche di parte, non in grado di rappresentare un punto di vista unitario. Se da un lato svaluta il ruolo dell’antifascismo attivo, ridimensionando sul terreno militare il contributo della minoranza in armi dei partigiani, dall’altro mette l’accento sulla cosiddetta «area grigia», sul maggioritario atteggiamento attendista di chi, magari all’ombra della Chiesa, pensa esclusivamente a salvarsi, alle prese – come «un nido di formiche impazzite»5 – con le urgenze quotidiane della sopravvivenza e della guerra in casa. 3 4 1995. S. Satta, De profundis, Milano 1980 R. De Felice, Rosso e nero, a cura di Pasquale Chessa, Baldini & Castoldi, Roma Ricorre a quest’immagine E. Gentile, riprendendola da Leo Longanesi, in La Grande Italia. Ascesa e declino del mito della nazione nel ventesimo secolo, Oscar saggi Mondadori, Milano 1999 [1997], p. 229 5 108 Resistenza/Resistoria Indossando i panni dello storico «della gente», di un popolo nella sua maggioranza considerato vittima degli opposti schieramenti, indifferente se non ostile tanto alla RSI quanto alla Resistenza, De Felice addita nell’ampia «zona grigia» la depositaria dell’identità nazionale, bersaglio della damnatio memoriae praticata dalla «vulgata resistenziale». È appena il caso di ricordare che le formazioni partigiane non avrebbero potuto impegnare duramente ben 7 divisioni tedesche in azioni di controguerriglia, un nemico spietato, meglio armato e coadiuvato dalle milizie fasciste, senza il sostegno di larghi strati della popolazione civile. In sintonia con l’opzione storiografica e politica di De Felice si pone Ernesto Galli della Loggia, che nella doppia veste di opinion maker e storico mira a colpire al cuore l’antifascismo per screditarlo, attraverso la denuncia delle sue contraddizioni, come cornice ideale e principio di legittimazione della Carta costituzionale. A suo giudizio, solo mettendo nel cassetto qualsiasi riferimento all’antifascismo, solo disconoscendo alla Resistenza la qualifica di «momento fondativo di un’identità nazionale italiana», di «matrice di un comune sentire civico»6, si può addivenire ad un’idea democratica di nazione e all’instaurazione di un solido sistema politico di stampo anglosassone nel nostro Paese. Da prospettive ben diverse intervengono sul nodo problematico del rapporto tra antifascismo, democrazia e nazione Pietro Scoppola e Giuseppe Vacca. Il direttore dell’Istituto Gramsci di Roma ribadisce il nesso indissolubile tra Costituzione ed antifascismo, in quanto quest’ultimo – vero e proprio principio di legittimazione extra-giuridico – «innerva i caratteri della cittadinanza stabiliti dalla Carta»7. Per lo storico cattolico-democratico il «25 aprile», data simbolo della Resistenza e premessa della fondazione della Repubblica, può essere assunto come collante tra democrazia e nazione, tra «patriottismo della nazione e patriottismo della Costituzione»8. Sul tema ormai classico delle persistenze e rotture nel passaggio dal fascismo alla Repubblica ritorna, nel cinquantesimo anniversario della 6 E. Galli della Loggia, La morte della patria. La crisi dell’idea di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica, Laterza, Roma-Bari 1996, p. 72. 7 G. Vacca, Il problema della nazione italiana e gli storici, Introduzione a F. Barbagallo, Dal 43’ al ’48. La formazione dell’Italia democratica, L’Unità/Einaudi, Roma 1996, p. 18. 8 Si tengano presenti le stimolanti considerazioni dello storico cattolico-democratico P. Scoppola in 25 aprile. La Liberazione, Einaudi, Torino 1995. L’idea di ‘Repubblica’: tra antifascismo e identità nazionale 109 lotta di liberazione, Claudio Pavone, cui si devono, fra le altre, due osservazioni nella prefazione ad una sua raccolta di saggi: una sulla formula del «secondo Risorgimento», con cui – a suo avviso – si intendeva rimarcare la continuità ideale tra Resistenza e Risorgimento per sottrarre l’identità nazionale all’ipoteca fascista, l’altra sulla «zona grigia», la quale è stata contigua alla RSI, praticando in molte sue componenti persino forme di collaborazionismo passivo, ed ha beneficiato del prevalere della continuità negli apparati amministrativi dello Stato repubblicano9. A sua volta Gian Enrico Rusconi, dopo aver messo a fuoco la Resistenza come radice della legittimazione della Repubblica ed inizio di un modo nuovo di intendere l’identità nazionale per il suo pluralismo politico-ideologico e il suo policentrismo geografico10, sostiene in un contributo successivo che la Resistenza dovrebbe essere intesa come un momento di identificazione collettiva, «parte integrante della memoria storica della nostra democrazia»11. Si può senz’altro aggiungere, condividendo ciò che Rusconi ha osservato in sede di commento del confronto su queste tematiche tra Noberto Bobbio e Renzo De Felice, che l’antifascismo è stato il minimo comun denominatore per l’educazione alla cittadinanza democratica12, non senza dimenticare la contraddizione tra le diverse fonti di legittimazione della Costituzione repubblicana (l’antifascismo appunto) e del sistema politico impostosi nell’immediato secondo dopoguerra (l’anticomunismo). Uno dei principali obiettivi, se non il più importante, dell’area di studiosi ed opinionisti che anima il «revisionismo storiografico», spesso inclini ad un disinvolto «uso pubblico della storia», è la cancellazione dei connotati antifascisti della Repubblica. Sin dal marzo 1985 il filosofo Lucio Colletti, convertitosi al liberalismo dopo un passato marxista, sul «Corriere della Sera» nega l’equazione antifascismo-democrazia 9 C. Pavone, Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Bollati Boringhieri, Torino, 1995. 10 G.E. Rusconi, Se cessiamo di essere una nazione. Tra etnodemocrazie regionali e cittadinanza europea, il Mulino, Bologna 1993, appare a ridosso dell’affermazione elettorale della Lega Nord nel 1992 e dell’avvio, nel 1991, del ciclo di guerre che ha sconvolto l’ex-Jugoslavia 11 Idem, Resistenza e postfascismo, il Mulino, Bologna 1995, p. 10. 12 N. Bobbio, R. De Felice e G.E. Rusconi, Italiani, amici nemici, Reset, Milano 1996. 110 Resistenza/Resistoria per la ingombrante presenza dei comunisti13. Due anni più tardi Renzo De Felice sullo stesso giornale, in un’intervista curata da Giuliano Ferrara, suggerisce di eliminare dalla Costituzione il «pregiudizio antifascista»14. Nel 1990, utilizzando la tecnica della decontestualizzazione, il revisionismo nostrano amplificherà sui mass-media la rovente polemica sul caso spinoso del «triangolo della morte», le zone dell’Emilia dove, all’indomani del 25 aprile 1945, partigiani comunisti hanno compiuto sanguinosi regolamenti di conti uccidendo fascisti e altri avversari politici. Si è già nella fase della «Resistenza vituperata», quando nel movimento di liberazione nazionale e segnatamente nel CLN si rintracciano, in maniera del tutto infondata e strumentale, le origini del consociativismo, dei mali e difetti che hanno costellato il cammino politico della «prima Repubblica»: la partitocrazia, la deriva clientelare, la paralisi delle istituzioni. Diventa sin troppo evidente il nesso tra attacchi all’antifascismo, alla Resistenza e alla Costituzione. *** A dispetto di quanti sostengono il contrario, finendo per non andare oltre la denuncia di un’improbabile «vulgata resistenziale», non è mancato, negli ultimi decenni, un approccio al tempo stesso critico e rigoroso alle origini della Repubblica, tradottosi in ricerche e studi che hanno consentito un ripensamento dei nodi e dei significati della Resistenza e della guerra vissuta dagli italiani, spostando l’attenzione dalla dimensione politico-militare alle tante fratture prodottesi nella società, alle concrete esperienze di comunità grandi e piccole spesso marchiate dalle violenze e atrocità del nazifascismo. Merita di essere presa in considerazione, sia pure con alcune integrazioni, l’articolata ipotesi interpretativa recentemente avanzata da Leonardo Paggi15, secondo cui la Repubblica sboccia dalla catastrofe bellica, dalla guerra, che «passa attraverso l’Italia – annota nel suo diario 13 L’articolo di Lucio Colletti, apparso sul «Corriere della Sera» il 24 marzo 1985, ha l’emblematico titolo L’alibi dell’antifascismo. 14 L’intervista di Renzo De Felice viene pubblicata sulla prima pagina del «Corriere della Sera», il 27 dicembre 1987, con il titolo Perché deve cadere la retorica dell’antifascismo. 15 L. Paggi, Il «popolo dei morti». La repubblica italiana nata dalla guerra (19401946), il Mulino, Bologna 2009. L’idea di ‘Repubblica’: tra antifascismo e identità nazionale 111 Piero Calamandrei – come l’incendio sulle pinete»16, e nel corso della quale si avvia la transizione ad una nuova democrazia, fondata pure sull’esigenza di ancorare i bisogni ai diritti, sul convincimento che vi siano diritti non più alienabili. È proprio dal distacco – conviene ricordarlo – tra fascismo e Paese, innescato dall’incedere del secondo conflitto mondiale (i soldati caduti nei deserti africani, nei Balcani, sulle nevi russe, il razionamento dei viveri, l’intensificarsi dei bombardamenti aerei), che prende slancio e si irrobustisce l’antifascismo militante; si pongono così le premesse per l’adesione, abbastanza composita, all’ordinamento repubblicano introdotto nell’immediato dopoguerra. L’intero Paese sarà costretto, con l’annuncio dell’armistizio l’8 settembre 1943, a fare i conti con una situazione traumatica: da un lato la fuga del re e del maresciallo Badoglio, la decomposizione degli apparati statuali e dell’esercito (il «tutti a casa»), l’invasione tedesca, la «nazione allo sbando»17, dall’altro, però, in seguito alla crisi verticale dello Stato lo scardinamento della passività sociale e politica imperante per un ventennio. Ha inizio allora il periodo più difficile dell’Italia contemporanea: ogni italiano si comporterà in base alle contingenze, ai legami familiari, d’amicizia e di gruppo, ma anche in base alla propria coscienza, all’orientamento politico e alla memoria storica. Le energie migliori – è il momento della scelta18 – decidono di riappropriarsi del loro destino, di battersi per la rinascita del Paese contro gli occupanti nazisti e i loro alleati fascisti. All’antifascismo storico, a lungo minoritario, che si era nutrito di forti motivazioni ideali e politiche, si salda l’«antifascismo esistenziale» di giovani studenti e operai cresciuto nelle maglie del regime fascista, che accortamente aveva abbinato la repressione alla cattura del consenso. Nei giorni incerti del lungo settembre ’43 nasce la Resistenza, che trarrà la sua forza dalla convergenza tra la lotta armata partigiana, la mobilitazione operaia e popolare e l’azione dei partiti antifascisti riuniti nel CLN. Elevato è il tributo di sangue versato nella battaglia contro il nazifascismo: circa 40.000 perdite, tra uomini e donne, a cui vanno L’amara riflessione di Piero Calamandrei è riportata, in maniera più estesa, da E. Gentile in La Grande Italia, cit., p. 232. 17 E. Aga-Rossi, Una nazione allo sbando, il Mulino, Bologna 2002 [1ª ediz., 1993]. 18 Punto di sutura tra opzione soggettiva e processo storico, il tema della scelta è centrale nell’opera di C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991. 16 112 Resistenza/Resistoria aggiunti i circa 32.000 caduti all’estero (isole dell’Egeo, Balcani, Francia) nonché i 3000 morti del rinato esercito italiano che ha combattuto a fianco degli Alleati e i 40.000 militari periti nei campi d’internamento tedeschi, senza trascurare le 10.000-15.000 vittime degli eccidi e delle rappresaglie nazifasciste19. Dopo l’8 settembre, per motivi politici 24.000 civili vengono arrestati e spediti nel Reich, di essi non tornerà circa il 42,5% (10.129); altri 100.000 civili sono trasferiti in Germania come lavoratori coatti; a centinaia di migliaia, militari, antifascisti, partigiani, operai in sciopero, resistenti civili vengono deportati nelle strutture concentrazionarie naziste20. Nei venti, drammatici mesi tra il settembre ’43 e l’aprile ’45 partigiani e repubblichini si fronteggeranno per due diverse idee di patria: quella fascista basata, oltre che sul mito dell’onore, su una concezione autoritaria e gerarchica della politica e della società, e quella, prevalente tra i resistenti, fondata sugli ideali di libertà e giustizia sociale, su un nuovo senso civico. Nelle contrapposte propagande, sebbene diversamente declinato, domina il motivo patriottico, quel motivo che durante il fascismo aveva subito una pesante curvatura in senso ultranazionalistico e imperialistico. Per i resistenti si tratta di ricucire la congiunzione fra l’idea di libertà e l’idea di nazione drasticamente venuta meno nel «ventennio»21. Nelle Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana è molto frequente il riferimento alla patria ed esso, il più delle volte, fa tutt’uno con l’aspirazione alla riconquista della libertà, con l’anelito per un assetto più giusto e democratico. La lotta per l’indipendenza del Paese si intreccia a quella per la libertà e la democrazia, la guerra patriottica a quella civile e sociale. «La futura democrazia – ha osservato Vittorio Foa nelle sue Riflessioni su una vita – non poteva ricevere legittimazione dall’esterno, doveva autolegittimarsi. La Resistenza si presentava dunque in partenza come la riaffermazione di una identità nazionale smarrita». Ed aggiunge nello stesso libro: «L’obiettivo della ricostru19 E. Collotti, R. Sandri e F. Sessi (a cura di), Dizionario storico della Resistenza, 2 voll. Einaudi, Torino 2000. 20 Per molto tempo la memoria della deportazione italiana è rimasta in un cono d’ombra, soprattutto quella che ha riguardato i deportati politici e i prigionieri nelle carceri del Reich. Su questa problematica si vedano le osservazioni introduttive di Mario Avagliano e Marco Palmieri alla loro raccolta Voci dal lager. Diari e lettere di deportati politici italiani. 1943-1945, Einaudi, Torino 2012. 21 Sull’idea fascista di patria e nazione cfr. P. Dogliani, Il fascismo degli italiani. Una storia sociale, Utet, Torino 2008, pp. 247-259. L’idea di ‘Repubblica’: tra antifascismo e identità nazionale 113 zione dell’identità nazionale perduta conferma la tesi della Resistenza come guerra civile. L’identità italiana non era stata negata solo dall’esterno, era stata avvilita e negata all’interno, dal fascismo. Noi dovevamo combattere il fascismo fra di noi, fra italiani, e poi anche dentro di noi»22. Un grumo di motivazioni muove i membri delle bande partigiane, le quali nel vivo di un’aspra, radicale contesa si configurano come «microcosmo di democrazia diretta»23. Viene costruita e articolata dal basso una nuova organizzazione, una società partigiana dai confini fluidi tra combattenti e civili, dove l’inferiorità militare è compensata dalla conoscenza del territorio, dall’immedesimazione con esso. Un forte bisogno di giustizia sta alla base del mettersi fuori legge: si pratica un’illegalità legittima per affermare nuove e più giuste leggi, nuovi e più ampi diritti. È questo lo sfondo entro cui collocare la vicenda breve, ma straordinaria delle zone temporaneamente liberate, delle repubbliche partigiane (più di una ventina), che tentano di segnare un punto di non ritorno24. In particolare spicca, oltre a quella di Montefiorino, l’esperienza dell’Ossola25, in quanto ha sparso semi importanti di libertà e democrazia, benché di ciò non si tenga sufficientemente conto. In quei quaranta giorni (10 settembre - 22 ottobre 1944) si mette in atto un esperimento di democrazia, un progetto di netta discontinuità con le istituzioni fasciste: è il delinearsi di una rinnovata concezione della politica e della cittadinanza, di una diversa idea di legalità rispetto al fascismo incentrato sulla concentrazione dei poteri, regime proprio per 22 V. Foa, Il cavallo e la torre. Riflessioni su una vita, Einaudi, Torino 1991, pp. 137-138. 23 La definizione è di Guido Quazza, partigiano azionista, docente universitario, presidente dell’INSMLI e autore del fondamentale saggio Resistenza e storia d’Italia. Problemi e ipotesi di ricerca, Feltrinelli, Milano 1976. 24 Si veda di N. Augeri, Le repubbliche partigiane. Nascita di una democrazia, Ed. Spazio Tre, 2011; nonché M. Dondi Le repubbliche partigiane in M. Ridolfi (a cura di), Almanacco della repubblica, cit.; M. Legnani, Politica e amministrazione delle repubbliche partigiane. Studio e documenti, Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione, Milano 1968. 25 G. Bocca, Una Repubblica partigiana. Ossola, 10 settembre-23 ottobre 1944, Il Saggiatore, Milano 1964. Si legga anche la ricostruzione-testimonianza di A. Realfonzo, I giardini rosminiani. Prefazione di Guido D’Agostino, Dante & Descartes, Napoli 2008. 114 Resistenza/Resistoria questo «della legalità adulterata, della truffa giuridica organizzata d’autorità»26. Si percorre la via della collaborazione tra popolazione ed amministrazione, del coinvolgimento attivo e diretto dei cittadini alla vita pubblica. La democrazia – si giunge peraltro a prefigurare la scuola media unica – è intesa come partecipazione e non solo come rappresentanza. La parola viene ripresa dal basso, come attestano il manifestarsi di rivendicazioni operaie, la vivacità della stampa e l’affluenza ai comizi. Non si vuole rimettere in piedi un’Italia qualsiasi, si punta invece a costruire una nuova società, un nuovo Paese, espressione di istanze plurali, dove non c’è posto per la prassi e i valori dei repubblichini, considerati – al pari dei tedeschi – stranieri, giacché nemici della democrazia. *** Sotto la spinta del protagonismo politico di massa, che ha innervato la Resistenza, si arriverà a modellare, nel secondo dopoguerra, una nuova veste democratico-legale, che favorirà a lungo andare la crescita della contrattualità. Una rivoluzione dei diritti verrà sancita nella Costituzione repubblicana, con l’inserimento e il rilievo dato ai diritti sociali (eguaglianza sostanziale, lavoro, istruzione, salute, pensioni), oltre al riconoscimento e alla tutela di quelli civili e politici. Frutto di «una sinergia costruttiva», la Carta del ’48 «poté elevarsi – dirà Giuseppe Dossetti a Napoli il 20 maggio 1995 – alla dignità di un vero Patto nazionale, in cui sono confluite le tre grandi tradizioni politiche del nostro Paese: quella liberale, quella cattolica e quella social-comunista»27. Ma la temperie politica e ideologica della «guerra fredda», il riproporsi dell’ossessione per il «nemico interno» ne attenueranno non poco la carica potenziale su cui far leva per rifondare l’unità politica e morale della nazione. Già in occasione del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 si era fatta sentire la paura del «salto nel buio». Com’è risaputo, il simbolo della monarchia si afferma prepotentemente al Sud, in alcune città come Napoli in maniera schiacciante28. È un apparente paradosso il 26 P. Calamandrei, Costruire la democrazia. Premesse alla Costituente, Edizioni U, Roma-Firenze-Milano 1945, p. 13. 27 G. Dossetti, I valori della Costituzione. Principi da custodireÈ Istituti da riformare, «La Città del Sole», Napoli 2003, p. 19. 28 G. D’Agostino, Il triplice voto del 1946. Agli esordi della storia elettorale del- L’idea di ‘Repubblica’: tra antifascismo e identità nazionale 115 successo arriso ai Savoia nel Mezzogiorno, che all’indomani dell’Unità era stato teatro di una diffusa insubordinazione antiunitaria. Il bisogno di protezione spinge molti strati della società meridionale, all’approssimarsi di una situazione inedita, a preferire il mantenimento della monarchia sabauda. Tuttavia, anche il Sud, il Sud contadino, aveva conosciuto tra il 1943 e il 1945 la proclamazione di sia pur effimere repubbliche, com’era accaduto a Maschito in Basilicata e a Caulonia in Calabria29. Non un Sud compattamente conservatore e reazionario; si pensi al dilagare del movimento per l’occupazione delle terre, anche se nell’immediato dopoguerra l’avversione per l’antifascismo e il desiderio di tornare alla normalità dopo la bufera bellica premiano il movimento qualunquista sorto per impulso del commediografo puteolano Guglielmo Giannini. Poi, nel corso degli anni Cinquanta l’armatore sorrentino Achille Lauro e il suo entourage di affaristi senza scrupoli sapranno convogliare sulle loro figure una messe di suffragi, capitalizzando – in nome dei «diritti offesi» di Napoli – i risentimenti contro la DC, lo scetticismo verso lo Stato e il governo centrale, le frustrazioni del sottoproletariato urbano e il richiamo nostalgico alla monarchia e al fascismo. Più in generale, occorre rilevare che, mentre le sorti del secondo conflitto mondiale volgevano sempre più a sfavore dell’Italia, pezzi cospicui della società cominciano a guardare a soluzioni postfasciste; è questo il retroterra dell’adesione moderata agli ordinamenti repubblicani, che avrà nel principe del giornalismo conservatore, Indro Montanelli, il suo punto di riferimento, prima dalle colonne del «Corriere della Sera» e poi da quelle de «Il Giornale». Emblematico del clima politico determinato dall’interruzione della spinta rinnovatrice della Resistenza è l’operato di molta magistratura che assolve o riabilita fascisti in modo sfacciato, mentre si accanisce contro ex partigiani. Travagliato risulterà il percorso della democrazia minacciato da pericolosi disegni di destabilizzazione: tentativi di colpo di Stato, la «strategia della tensione» a partire dalla fine degli anni Sesl’Italia repubblicana, Liguori, Napoli 1989; 1946: la nascita della Repubblica in Campania. Atti del Convegno di Studi presso l’Archivio di Stato di Napoli (11-12 dicembre 1996), Giannini, Napoli 1997; M. Ridolfi e M. Tesoro, Monarchia e Repubblica. Istituzioni, culture e rappresentazioni politiche in Italia (1848-1948), Bruno Mondadori, Milano 2011. 29 Si tratta di pagine di storia ancor meno conosciute di quelle relative all’esperienza delle repubbliche partigiane del Nord. 116 Resistenza/Resistoria santa, cioè le stragi e le trame del terrorismo nero in combutta con settori deviati dei servizi segreti, l’uso del terrorismo rosso e la P2. Non si può tralasciare fra gli elementi di spiegazione della debolezza di un patriottismo fondato sulla Costituzione e sull’attaccamento alla Repubblica democratica la difficoltà del «paradigma antifascista» nel radicarsi al Sud. Basti accennare, a tal proposito, ai silenzi e alle denigrazioni riservati sulla stampa locale alla Resistenza. Un esempio. Giovanni Ansaldo, direttore dal 1950 al 1965 de «Il Mattino» di Napoli, quotidiano controllato dalla DC, firma nell’aprile 1955, in coincidenza del decennale della Liberazione, due velenosi editoriali, «Pace ai prodi» e «L’insegnamento», accomunati dal livore anticomunista e dal disprezzo per la Resistenza in quanto guerra fratricida. Sul piano nazionale il «paradigma antifascista», dopo aver toccato il punto più alto intorno alla metà degli anni Settanta, verrà successivamente sempre più messo in discussione. Nel mutato scenario politico caratterizzato dal contraddittorio e incerto passaggio alla «seconda Repubblica» due revisionismi finiranno per convergere: quello della nuova destra, che – attraverso il depennamento dell’antifascismo dalla Repubblica – vuole azzerare il patrimonio della sinistra, l’idea stessa di una transizione alla democrazia, e quello di settori non trascurabili della sinistra moderata, che rubrica tutto il proprio passato sotto l’etichetta dell’errore e degli orrori. Eppure soltanto nel «patriottismo repubblicano», imperniato su un patto tra liberi ed eguali, si possono trovare le basi di un’identità nazionale solida, non fittizia, che riconosca e valorizzi l’«aspirazione a governarsi da sé»30. «Noi siamo italiani – ha puntualizzato il risorgimentista Alberto M. Banti intervenendo in prossimità del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia – perché parliamo italiano, ma anche perché abbiamo un patto che ci lega l’uno all’altro», ossia la Costituzione. Patriottismo dunque, che è altra cosa dal nazionalismo. Un patriottismo che affonda le sue radici negli ideali e nelle esperienze più progressive del Risorgimento, ripresi e aggiornati dall’antifascismo, in particolare da una forza come Giustizia e Libertà, contro la concezione fascista della nazione e dello Stato poggiante sulla filosofia della guerra civile politica e ideologica quale era stata espressa nel Manifesto degli intellettuali fascisti. Da Mazzini, Cattaneo, Ferrari, Pisacane a Gramsci e Carlo Rosselli sino alla Costituzione, risultato – come tante volte si 30 A.G. Ricci, La Repubblica, il Mulino, Bologna 2001. L’idea di ‘Repubblica’: tra antifascismo e identità nazionale 117 è ribadito – dell’incontro e della cooperazione delle più grandi e profonde tradizioni politiche del Paese, per una Repubblica intesa come compagine di cittadini sovrani, basata sul governo delle leggi e sul perseguimento del bene pubblico, in cui centrali possano e debbano essere i motivi della libertà morale dell’individuo, della virtù civile e della giustizia sociale e in forza della quale il patriota repubblicano possa sentirsi al tempo stesso cittadino di uno Stato e cittadino del mondo.