UNIVERSITÀ DEL SALENTO
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA, LINGUE E BENI
CULTURALI
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN LETTERE MODERNE
ELABORATO FINALE
IN
STORIA CONTEMPORANEA
MODULO A
Il lavoro e la democrazia: due principi fondanti
dell’Italia antifascista
Studenti:
Roberto Fuschi
20022346
Daniela Massafra
20019669
1
INTRODUZIONE………………………………………………………………pag. 3
1. I caratteri di fondo della Costituzione
italiana………………………………………………………………………………...» 9
1.1 Il “compromesso costituzionale" e la convergenza verso il modello
sovietico……...………………………………………………………………………...» 9
1.2 “La libertà del bisogno”: la novità dei diritti sociali ed economici e il ruolo della
donna
lavoratrice……………………………………………………………………………..»14
1.3 Una Carta aconfessionale, rigida e accessibile al
popolo……………………………………....................................................................»19
2. Il trionfo della democrazia: la sovranità del
popolo…………………………………………………………………………...pag.» 27
2.1 Antifascismo e “centralità della persona umana”: la teoria filosofica dei diritti
naturali………………………………………………………………………………..» 27
2.2 La sovranità "emana", "risiede" o "appartiene" al popolo? Il dibattito in
Commissione e Assemblea
Costituente……………………………………………………………………………» 33
3. Il lavoro come fondamento morale di un popolo
libero……………………………….......................................................................pag. 36
3.1 Togliatti e il fronte delle sinistre per una "Repubblica di
lavoratori"…………………………………………………………………………….» 36
3.2 Una formula di compromesso. La Democrazia cristiana e la " Repubblica
democratica fondata sul lavoro”
………………………………………………………………………………………..» 43
2
3.3 Il fronte delle destre e le altre proposte: la discussione attorno ai concetti di
"giustizia sociale", "diritti di libertà e diritti del lavoro", "solidarietà del lavoro
umano"………………...……….……………………………………………………..» 48
CONCLUSIONI…………………………………………………………………pag. 54
FONTI……………………………………………………………………………pag. 57
BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………...pag. 58
SITOGRAFIA…………………………………………………………………....pag. 59
3
Introduzione
Questo lavoro nasce dalla volontà di analizzare come, un’Italia
devastata dal ventennio fascista prima, e dalla crisi bellica poi, sia
stata in grado di ricostruirsi in un biennio "mitico", quello del 194547, darsi struttura e sostegno democratico e grazie a quel
fondamentale clima di "compromesso" e solidarismo che si realizzò
tra le varie forze politiche in campo, sia riuscita a redigere quel
fondamentale documento, base della nuova vita repubblicana,
finalmente libera dalle implicazioni totalitarie in cui era stata
imbavagliata e bloccata per due decenni, che è la Carta costituzionale.
Documento essenziale in quanto, contemplando i diritti sociali ed
economici, quali il diritto al lavoro, all'istruzione, alla sanità etc., si
distanzia notevolmente da tutta quella tradizione di stampo liberale e
borghese che contrassegnò le carte costituzionali di origine
ottocentesca.
In particolare, obiettivo di questo studio sarà la ricostruzione del
dibattito, maturato, inizialmente in Prima Sottocommissione, e poi in
Commissione e Assemblea Costituente, in rapporto alla formulazione
dell’articolo primo, in modo da comprendere l’iter che portò alla
stesura definitiva dello stesso.
Nella breve introduzione di carattere storico, verranno ripercorse le
tappe fondamentali e le vicende politiche che fecero da sfondo al
lavoro dell'Assemblea Costituente, e verranno esposte sinteticamente
la modalità di formazione e la suddivisione di quest'ultima, insieme
all'architettura interna del testo costituzionale in sé.
Nel primo capitolo verrà analizzata l'impronta innovatrice, che i
Costituenti impressero alla Carta costituzionale. Essi, infatti, in un
clima di “compromesso” e dialogo, stabilirono i caratteri di fondo
della stessa, quali l'aconfessionalità, la rigidità e l'accessibilità
linguistica, riuscendo anche a raggiungere un accordo comune rispetto
al modello da seguire.
4
Nel secondo capitolo, attraverso lo studio delle discussioni raccolte
in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della
Repubblica dell’Assemblea Costituente1, in particolare nelle sedute del
9 settembre 1946, in Pima Sottocommissione, del 22 e 24 gennaio
1947, in sede di Commissione, e del 22 marzo 1947, in Assemblea
Costituente, ci si soffermerà ad analizzare in maniera critica i due
fulcri attorno a cui ruotò l'intero testo costituzionale, così come
emersero in maniera esplicita nel suo I articolo: il concetto di
sovranità popolare e quello di lavoro. Si vedrà in che modo, seduta
dopo seduta, si giunse a quella formulazione definitiva dell'articolo
cosi come lo leggiamo adesso; si ripercorreranno i dibattiti in
Sottocommissione, Commissione e Assemblea Costituente, le
posizioni dei vari esponenti, le discussioni accese, le divergenze e le
inaspettate convergenze (clamorosa fu quella, come si vedrà, tra
comunisti e democristiani che si venne a creare in sede ultima di
approvazione dell'intero articolo a rispetto alla formulazione proposta
dall’on. Fanfani). Successivamente si analizzerà il concetto di
sovranità popolare come presupposto del trionfo della democrazia e il
percorso relativo alla stesura del secondo comma del I articolo,
attraverso un excursus filosofico, basato sul pensiero giusnaturalista
della "centralità della persona umana" rispetto allo Stato, e si giungerà
cosi alla formula definitiva che leggiamo oggi:
" La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e
nei limiti della Costituzione".
Il terzo capitolo si concentrerà sul concetto di lavoro, ossia sul
percorso riguardante le sedute del 28 e 29 novembre 1946, in Prima
Sottocommissione, del 22 e 24 gennaio 1947, in Commissione e del
22 marzo 1947, in Assemblea Costituente. Si vedrà come esso
rappresentò per i Costituenti il principio fondante del nuovo assetto
politico e si ricostruiranno le diversissime posizioni tra costituenti.
Esse, spesso colorandosi in maniera accesa e animata alla fine si
La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente,
Roma, Camera dei Deputati, 1971.
1
5
compatteranno fino a rendere omogenea la scelta definitiva verso la
formula:
"L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro".
Sul piano dei processi storici, come è noto, l’8 settembre e il 25
luglio 1943 rappresentarono due date nodali della storia dell’Italia
contemporanea. Esse, infatti, non delinearono soltanto il giorno in cui
il governo Badoglio annunciò l’armistizio con le potenze alleate e il
crollo del fascismo, ma anche, e soprattutto, il momento in cui la
disfatta dello Stato Liberale, il dissolvimento dello Stato nazionale
italiano, così come si era costituito nel Risorgimento, andarono a
creare una situazione in cui l’Italia, sotto il dominio dell’esercito
tedesco nel Centro-Nord e delle armate alleate a Sud, finì per subire
un triplice scacco: la perdita dell’indipendenza, la perdita della
sovranità, la perdita dell’unità
2
. È in questa situazione che
l’antifascismo acquistò vigore organizzandosi nel Cln, il Comitato di
coordinamento dei principali partiti antifascisti rinati dopo il
ventennio fascista (Partito Comunista Italiano, Partito Socialista
italiano d’unità proletaria, Democrazia Cristiana, Partito Liberale
italiano, Democrazia del Lavoro, Partito d’Azione). L’obiettivo
principale era il raggiungimento della liberazione e dell’indipendenza
del paese, da ottenersi tramite la Resistenza e la lotta armata contro il
nazi-fascismo.
All’interno di questa comune prospettiva non mancavano
certamente le divergenze interne relative alla modalità di costruzione
del nuovo Stato democratico, divergenze che si proiettavano in una
dialettica tra rinnovamento e conservazione. All’interno del fronte
antifascista e resistenziale si scontravano forze che si battevano per un
rinnovamento radicale (le forze di sinistra: Psiup, Pci e Partito
d’Azione), che puntavano cioè alla realizzazione di una democrazia
che si fondasse proprio sul Cln, e forze moderate che puntavano
invece al ripristino delle istituzioni liberali prefasciste. Si vedrà come,
F. Barbagallo, La formazione dell’Italia, in AA. VV., Storia dell’Italia Repubblicana, Vol. I., La
costruzione della democrazia, Torino, Einaudi, 1994, p. 11.
2
6
con il susseguirsi dei governi De Gasperi, prevarrà una situazione di
“compromesso”: l’idea di una democrazia fondata sui grandi partiti di
massa e sul consenso popolare su cui giocherà un ruolo fondamentale
la collocazione dell’Italia nell’area di influenza americana, quella cioè
del capitalismo mondiale.
La "coabitazione forzata”, la concordia, l’intesa, il solidarismo
saranno le prerogative che terranno in piedi i governi di unità
nazionale (dal governo Badoglio, Bonomi, Parri fino ai vari governi
De Gasperi), caratterizzati dalla coalizione dei tre grandi partiti di
massa; Dc, Pci, Psiup, almeno fino al 31 maggio 1947, anno di
estromissione delle sinistre dal governo, per raggiungere tre obiettivi
fondamentali nel processo di costruzione democratica dell’Italia: il
referendum istituzionale, il trattato di pace, la stesura della
Costituzione3.
In questo contesto, il 2 giugno 1946 si svolse il referendum
istituzionale che portò gli italiani a scegliere tra monarchia e
repubblica e contemporaneamente alle elezioni per la Costituente. Il
referendum provocò una spaccatura interna alla popolazione italiana,
poiché si registrarono posizioni diverse
tra un centro-nord
compattamente a maggioranza repubblicana e un sud a maggioranza
monarchica, per un risultato di 12 milioni e mezzo di voti a favore
della repubblica e 10 milioni e mezzo a favore della monarchia4.
L’Assemblea costituente, in seguito alla preferenza accordata
dall’elettorato ai tre grandi partiti di massa vale a dire Democrazia
Cristiana, Partito Socialista d’Unità Proletaria e Partito Comunista
Italiano, risultò così formata da 556 membri divisi rispettivamente tra
rappresentanti della DC (35,2% dei voti, 207 seggi), del PSIUP
(20,7% dei voti, 115 seggi) e PCI (18.9% dei voti, 104 seggi). La
rappresentanza dei gruppi di matrice liberale (Unione Democratica
Nazionale con 41 seggi, e Blocco Nazionale della Libertà con 16
seggi) e del Partito d’Azione (7 seggi) fu invece più esigua; con gran
3
4
Ivi, pp. 65-85.
V. Onida, La Costituzione. La legge fondamentale della Repubblica, Bologna, il Mulino, 2004, p. 30.
7
sorpresa, abbastanza corposa fu la rappresentanza del partito di destra
Fronte dell’Uomo Qualunque avverso alla politica dei partiti
antifascisti, il quale ebbe diritto a 30 seggi5.
I due compiti principali dell’Assemblea furono quello di redigere
nel più breve tempo possibile, attraverso la nuova Costituzione, i
lineamenti essenziali del nuovo Stato, e quello di svolgere il ruolo di
assemblea parlamentare con competenza relativa solo alle leggi in
materia costituzionale, elettorale e di trattati internazionali, infatti, era
ancora in itinere l’approvazione del trattato di pace. La legislazione
ordinaria, invece, rimaneva di competenza del governo, il quale
operava con decreti legislativi nei confronti dei quali le commissioni
dell’Assemblea esprimevano solo pareri6.
L’ispirazione di base del lavoro dell’Assemblea era unitaria ed era
caratterizzata da una linea di confronto tra partiti, di unità e
solidarismo. Ciò si evinse già dalla scelta accordata al presidente della
stessa, dapprima venne scelto il socialista Giuseppe Saragat, poi il
comunista Umberto Terracini, nonché dalla scelta accordata al capo
provvisorio dello Stato: l’avvocato liberale di fede monarchica Enrico
De Nicola; sicché la Costituzione, rappresentò il frutto più maturo di
questa ispirazione unitaria e non fu minimamente intaccata dalle crisi
governative che, come è noto, nel 1947, dopo la scissione del partito
socialista, da cui si staccarono i socialdemocratici di Saragat,
portarono all’estromissione delle sinistre dal governo e diedero vita al
cosiddetto “centrismo”, che caratterizzò l’Italia fino ai primi anni
Sessanta7.
L’Assemblea era al suo interno suddivisa in questo modo: al
vertice l'Assemblea Costituente, presieduta dal socialista Saragat, in
seguito dal comunista Terracini, con il compito di approvare o
modificare gli articoli cosi come erano stati elaborati nelle discussioni
precedenti, e dar vita al testo definitivo, composta da 555 membri; una
5
Ivi, pp. 30-31.
Ibidem.
7
F Barbagallo, op. cit., pp. 96-110.
6
8
Commissione per la Costituzione, detta “dei settantacinque” dal
numero dei suoi componenti, che erano i principali esponenti dei
partiti politici meglio noti come "padri costituenti", presieduta da
Meuccio Ruini, con il compito preciso di scrivere il testo ed infine tre
Sottocommissioni
a
loro
volta
così
suddivise:
la
Prima
Sottocommissione, presieduta dal democratico Tupini si occupava di
diritti e doveri dei cittadini, la Seconda presieduta dal comunista
Terracini di ordinamento della Repubblica e la Terza, presieduta dal
socialista Ghidini, di diritti e doveri economico-sociali.
Tra le Sottocommissioni e la Commissione vi era un altro organo
che svolgeva un ruolo fondamentale: il Comitato di Redazione, organo
di raccordo composto da 18 membri, il quale pur non avendo lasciato
verbali del lavoro svolto, può considerarsi il vero artefice della Carta
costituzionale. Lavorando individualmente elaborarono e approvarono
il progetto presentato in Assemblea nel febbraio del 1947. Il testo fu
approvato nella deliberazione finale il 22 dicembre 1947 con 453 voti
favorevoli, 62 contrari e nessun astenuto, su 515 presenti. La Carta
costituzionale italiana, promulgata dal Capo dello Stato il 27 dicembre
1947, è entrata in vigore il 1° gennaio 19488 .
L’architettura della Costituzione fu molto nitida e risultò strutturata
in questi termini: i primi dodici articoli, base essenziale della
Costituzione furono detti “Principi fondamentali” e furono a loro volta
raggruppati in principi sulla struttura della Repubblica (articoli 1,5),
principi sulla posizione degli individui e dei gruppi nel sistema
costituzionale e sui compiti della Repubblica a tal riguardo (articoli
2,3,4,6) e principi sui rapporti fra lo Stato e la comunità internazionale
(articoli 10,11). Tali articoli rappresentarono l’ossatura su cui
poggiava la nuova Carta repubblicana, e come ha acutamente
osservato Onida, «i primi dodici articoli sono come il fastigio, che
l’architetto della Costituzione ha posto sopra l’edificio»9. La seconda
8
9
V. Onida, cit., p. 33.
Ivi, p.52.
9
parte del testo costituzionale venne composta dalla sezione dedicata ai
«diritti e doveri dei cittadini» e faceva leva sul concetto fondamentale
dell’individuo considerato come singolo e l’importanza dei gruppi e
formazioni sociali in cui si sviluppava la sua personalità. Essi si
suddividevano a loro volta in «rapporti civili» (diritti dell’individuo
legati alla semplice esistenza); «rapporti etico-sociali» (diritti
dell’individuo in quanto inserito in «formazioni sociali»: la famiglia e
la scuola, non che il diritto alla salute); «rapporti economici» (analisi
dell’attività
economica
sia
sotto
il
profilo
individuale
che
comunitario); «rapporti politici» (rappresentavano l’insieme dei doveri
e degli obblighi specifici quali la difesa, il concorso alle spese
pubbliche attraverso il prelievo fiscale, la fedeltà alla costituzione e
alle leggi).
La sezione successiva era dedicata all’«ordinamento della
Repubblica» e vi si analizzavano i poteri nazionali che derivavano
direttamente o indirettamente dal popolo, cui spettava la sovranità.
Questi erano: il Parlamento, il Presidente della Repubblica, il
Governo, la Magistratura, le Regioni, le Province e i Comuni (gli enti
di governo territoriali diversi dallo Stato centrale). L’ultimo titolo di
questa seconda parte era dedicato alle «Garanzie costituzionali» e
analizzava i compiti della Corte costituzionale e le modalità di
revisione della Costituzione. A questi 139 articoli si aggiungeva un
gruppo di 18 «disposizioni transitorie e finali», indicate con numeri
romani. Esse erano composte da norme che regolavano il passaggio
dal
vecchio
sistema
monarchico-fascista
al
nuovo
sistema
democratico-repubblicano e da alcune norme speciali relative al
vecchio ordinamento come ad esempio quelle che vietavano la
ricostituzione del partito fascista, vietavano ai membri e discendenti di
casa Savoia di ricoprire gli uffici pubblici e cariche elettive e
soggiornare in Italia, norme queste ultime abrogate nel 200210.
10
Ivi, pp. 51-55.
10
Capitolo 1. Caratteri di fondo della Costituzione
italiana
1.1 Il “compromesso costituzionale” e la convergenza verso il
modello sovietico
L’opera dei Costituenti non è sempre stata guardata in una visione
mitica e positiva, ma spesso e da più fronti è stata attaccata e accusata:
celebre è l’interpretazione degli azionisti, fautori dell’idea di una
Resistenza tradita, i cui ideali non sarebbero stati realizzati, secondo il
loro pensiero, dalla nuova democrazia italiana. Calamandrei,
esponente di spicco del reazionario Partito d'Azione, riassunse il senso
di questa posizione nella notissima formula: “per compensare le forze
di sinistra di una rivoluzione mancata, le forze di destra non si
opposero
ad
accogliere
nella
Costituzione
una
rivoluzione
promessa”11. In realtà è noto che la base del compromesso accettato
dalle sinistre era anche dovuto alla consapevolezza che in Italia il
percorso rivoluzionario sarebbe stato compiuto, a differenza della
esperienza sovietica, non attraverso una rottura rivoluzionaria vera a
propria, ma attraverso le riforme e la cosiddetta "democrazia
progressiva”.
Dagli anni Settanta, in concomitanza con i governi del
Centrosinistra,
vi
fu
una
rivalutazione
in
senso
positivo
dell’esperienza costituzionale. Infatti, secondo Pietro Scoppola, fu
soprattutto nei lavori della Costituente, che si attuò quel clima di
solidarietà, di intesa e di concordia che animò gli esponenti dei partiti
partecipanti. L’espressione “compromesso costituzionale”, nel senso
positivo e fecondo dell’”impegno comune” e del “promettere insieme”
12
era stata proposta per primo da Palmiro Togliatti13.
11
P. Scoppola, cit., p. 174.
Ivi, p. 170.
13
Fu uno dei membri fondatori del Partito Comunista d’Italia e, dal 1927 fino alla morte, segretario e
capo indiscusso del Partito Comunista Italiano del quale ne era stato anche rappresentante all’interno del
Comintern, l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti. Membro dell’Assemblea Costituente,
12
11
Dunque, nonostante una parte della storiografia moderna abbia
considerato il termine compromesso secondo l’accezione negativa del
termine, si sa che, storicamente, tutte le costituzioni sono frutto di
un’intesa, in quanto sono interpreti di un punto di equilibrio fra
esigenze e forze diverse.
Il clima di compromesso, dunque, risultò necessario in un contesto
storico come quello del secondo dopoguerra, caratterizzato da crisi e
da profondo rinnovamento, sulla spinta di grandi partiti di massa.
Infatti, come cita Onida, la Costituzione italiana «nasce in un paese
che aveva appena cominciato a sperimentare il passaggio dal
parlamentarismo elitario del primo Ottocento alla democrazia di
massa, non aveva ancora raggiunto il suffragio universale (le donne, in
Italia, hanno votato per la prima volta nel 1946) e aveva visto il
proprio sviluppo costituzionale bruscamente interrotto dall’esperienza
del fascismo»14. L’obiettivo era ricostruire l’ordinamento democratico
dalle fondamenta, sulla base proprio degli ideali e dei postulati del
costituzionalismo occidentale quali: Stato di diritto, garanzie dei diritti
fondamentali, eguaglianza fra i cittadini, giustizia sociale, democrazia,
pluralismo politico. L’eterogeneità della classe politica composta da
gruppi molto diversi e distanti ideologicamente fra loro, da una parte
eredi della classe dirigente liberale prefascista, dall’altra cattolici
democratici
e
sinistra
di
ispirazione
marxista,
trovava
un
compromesso proprio sulle basi del rifiuto e del rovesciamento dei
principi dello Stato fascista, quali autoritarismo, partito unico,
nazionalismo bellicista
e recupero quindi
delle libertà e delle
garanzie dello Stato di diritto, con la volontà di creare uno Stato
sociale e una democrazia parlamentare.
Nonostante i liberali ebbero un peso relativamente modesto
nell'Assemblea Costituente, è noto che la Costituzione rispettò in
proponendo la “via italiana al socialismo”, cioè la realizzazione del progetto comunista tramite la
democrazia
progressiva
e
la
rinuncia
alla
rivolta
violenta.
Cfr.
http://www.treccani.it/enciclopedia/palmiro-togliatti/ (consultato il 5/1/2016, ore 15.45).
14
V. Onida, cit., p. 34.
12
buona parte i principi strutturali fondamentali della tradizione liberale
fondata sullo Statuto Albertino, ed anche e soprattutto in questo si
esplicava lo spirito di dialogo, collaborazione e compromesso
suddetto; si mantennero infatti intatte le strutture dell'Italia liberale
prefascista ma allo stesso tempo si diede amplissimo spazio a quella
che era la parte propositiva e programmatica. Venne insomma creato
uno Stato sociale che prevedeva il diritto al lavoro e allo studio e
parlava di accessibilità a tutti della proprietà oltre che caricarsi di
funzioni sociali. Calamandrei definì la Costituzione nel 1955 un
«singolare ibridismo, frutto di un compromesso tra quelle forze
politiche contrastanti, che, con espressione approssimativa, si possono
chiamare le forze conservatrici e le forze riformatrici di sinistra»15.
Riguardo al modello ispiratore per la redazione della Carta
costituzionale,
i
Costituenti
attinsero
da
diverse
tradizioni
costituzionali non rifacendosi solo alle esperienze ottocentesche
italiane, ma anche a quelle europee ed extraeuropee. Come è noto,
infatti, nessuna Costituzione nasce dal nulla, da pure invenzioni
teoriche, ma i principi e le regole istituzionali espresse affondano le
proprie radici nei documenti costituzionali del passato. Anche i
Costituenti italiani, nel momento in cui si accinsero a redigere la Carta
costituzionale
avevano
davanti
a
loro
tutta
una
tradizione
costituzionale europea di oltre centocinquant’anni da cui attinsero
notevolmente. Due erano le volontà da cui ebbe inizio il lavoro dei
Costituenti: la volontà di andare oltre i diritti individuali sanciti nella
Costituzione francese del 1789, per mezzo dell’inserimento di diritti
sociali ed economici, e la volontà di fare della Costituzione italiana il
prodotto
di
un
"pluralismo
ideologico”
sulla
base
del
costituzionalismo europeo ed extraeuropeo nel quale confluissero le
idee e le istanze migliori delle rivoluzione del periodo illuminista, il
modello del parlamentarismo britannico, gli echi di Weimar, della
S. Setta, Liberali, conservatoti e qualunquisti, in M. De Nicolò (a cura di), Costituente, Costituzione,
riforme costituzionali, Bologna, il Mulino, 1998, p. 190.
15
13
Società delle Nazioni, l’odierno universalismo dei diritti, le libertà di
Roosevelt, l’Austria Kelseniana degli anni Venti, fino al pensiero
politico democratico formatosi tra le due guerre e nel secondo
dopoguerra. 16
Il modello sovietico fu quello propugnato principalmente da
comunisti e socialisti ed è riscontrabile già nella proposta dell'articolo
I formulata da Togliatti, come "Repubblica di lavoratori" portata
avanti come una sorta di battaglia di bandiera per tutto il processo
della Costituente e che si ricollegava chiaramente alla Costituzione del
1936 per questioni come la "giustizia sociale", la linea della
nazionalizzazione e la lotta ai monopoli. Poiché la struttura sociale e
giuridica della Costituzione avrebbe dovuto definire non solo un
sistema integrale e organico dei diritti della persona ma anche dei
diritti degli enti sociali, compresi quelli economici, in questo clima la
Costituzione sovietica apparve come modello ispiratore. Essa, in
effetti, andando dal piano economico a quello culturale, abbracciava i
vari ambiti in cui la persona umana si realizzava, ossia la vita
familiare, economica, amministrativa, politica, culturale, religiosa, e
comprendeva tutti quei diritti che invece non erano contemplati nella
Costituzione del 1789, quali i diritti socio-economici come il diritto al
lavoro, al riposo, alle assicurazioni sociali in caso di malattia,
vecchiaia e perdita della capacità lavorativa, all'educazione, che
rappresentarono la vera spinta innovatrice della nostra Costituzione.
Partendo da questo presupposto, esponenti d'ogni orientamento e
ideologia furono d'accordo nell'orientarsi sul modello sovietico. Tra
questi
risposero animatamente in sede
di Sottocommissione
soprattutto il democristiano Dossetti, il socialista Lombardi e il
qualunquista Mastrojanni. Ciò che avvicinava i Costituenti, anche di
differente impostazione politica, al modello sovietico erano le linee di
fondo del programma dei comunisti italiani, i quali puntavano al
16
V. Onida, op. cit., p. 36.
14
raggiungimento di una democrazia progressiva e di una serie di
riforme e non invece alla rottura rivoluzionaria di matrice marxista.
La costituzione dei Weimar rappresentò uno spettro e un modello
allo stesso tempo: uno spettro per l'esito di quella esperienza, che
sfociò, come sappiamo, in uno dei periodi più bui della storia tedesca
ed internazionale; un modello soprattutto per la parte dichiarativa dei
diritti sociali: come il diritto al lavoro, posto sotto la speciale
protezione del Reich, la libertà di coalizione per la conservazione e lo
sviluppo delle condizioni di lavoro ed economiche, il diritto ad un
sistema assicurativo che tutelasse la salute, la capacità di lavoro, la
maternità, la malattia, la vecchiaia. La Costituzione di Weimar fu il
frutto del regime politico instaurato in Germania dopo la Prima guerra
mondiale, così chiamata dalla città di Weimar, dove fu elaborata la
Carta, ebbe vita tra il 1919 e il 1933 e rappresentò un modello di
democrazia parlamentare per l'intera Europa. La Costituzione
prevedeva il suffragio universale maschile e femminile, l'elezione
diretta del presidente della Repubblica e la responsabilità del governo
di fronte al parlamento. Poggiava sui tre principali partiti politici
affermatisi nel dopoguerra: il Partito socialdemocratico, il Centro
cattolico-moderato e il Partito democratico (liberali di sinistra).
La costituzione austriaca del 1920 veniva supportata invece
prettamente dai giuristi, che rappresentavano una corposa fetta dei
costituenti, proprio per l'impronta tecnica e precettistica, e la
mancanza di una vera e propria ideologia politica di fondo. La
Costituzione austriaca entrò in vigore nel 1920, contemporaneamente
alla creazione della Prima Repubblica Austriaca, la quale ebbe vita
molto breve, sorse infatti immediatamente dopo la fine della Grande
Guerra e il crollo della Monarchia Austro-Ungarica ed ebbe fine con
l'Anschluss, ovvero l'annessione operata dalla Germania di Hitler nel
1938. Le novità politiche apportate dalla Costituzione dal pensiero
15
politico di Kelsen 17 furono: l'assetto repubblicano, la democrazia, lo
Stato federale, lo Stato di diritto, il liberalismo e la separazione dei
poteri18. Lo Stato federale rappresentò la novità fondamentale e ispirò
la politica di autonomia locale e regionale della Repubblica Italiana,
esso consisteva nell'accordare una grande autonomia ai Lander, che
erano unità decentrate con amministrazione propria e facoltà di
emanare leggi territoriali.
L'esperienza costituzionale francese del '45 e del '46 fu poi quella
seguita più attentamente da tutti i Costituenti, a causa della caoticità
con cui si susseguirono le vicende politiche nel dopoguerra. Dopo la
rottura costituzionale avvenuta durante il regime collaborazionista di
Vichy, si dovette procedere alla ricostruzione democratica con la
stesura di una nuova Carta costituzionale e l'elezione di una
Assemblea Costituente. La nuova Costituzione attribuiva notevoli
poteri a un Parlamento bicamerale e prevedeva un Presidente della
Repubblica con poteri limitati, questo tipo di ordinamento statale
venne guardato benevolmente dai Costituenti italiani e tenuto in gran
considerazione nella stesura della Costituzione.
Kelsen è stato un giurista e filosofo austriaco, teorico del diritto del Novecento e il maggior esponente
del normativismo. Cfr. http://www.filosofico.net/kelsen.htm (consultato il 17/01/2016, ore 16:28)
18
R. Walteir Hans Kelsen e l'origine della Costituzione federale austriaca del 1920, in
www.scienzaepolitica.unibo.it, (consultato il 5/1/2016, ore 16.30) vol. 3, n.5, 1991.
17
16
1.2 "Libertà del bisogno": la novità dei diritti sociali ed
economici e il ruolo della donna lavoratrice
Nel processo di ricostruzione post-bellico dell'assetto repubblicano,
in un'Italia devastata dal ventennio fascista, la novità fondamentale
non fu tanto la costituzione di una democrazia in senso lato, ossia
strettamente politica, ma di una democrazia che fosse in primo luogo
una democrazia sociale ed economica. Era in questo senso che
acquistarono importanza quei diritti socioeconomici, fulcro attorno a
cui ruotava l'intero testo costituzionale e che grazie ad essi, si distinse
da quelle libertà personali che erano sancite nella Costituzione
francese del 1789 e da tutte le carte tipicamente liberal-borghesi,
assumendo i connotati di una vera garanzia di Stato sociale.
È importante ricordare come in questo frangente avesse avuto un
ruolo decisivo, ancora una volta, quel clima di compromesso, di
sincronia sorto tra le forze di sinistra e quelle democristiane. In
polemica con Croce, Orlando e con diversi uomini della cultura laica e
liberale, infatti, costituenti cattolici come Tupini, La Pira e Moro si
impegnarono notevolmente affinché la parte del testo costituzionale
dedicato ai rapporti etico-sociali non costituisse un preambolo, bensì
divenisse parte integrante della Costituzione. A chi affermava,
secondo una vecchia impostazione legata alla tradizione dello Stato
liberale, che la Costituzione non dovesse toccare i temi della famiglia,
della scuola, della salute e così via, Tupini rispondeva che «una
concezione moderna della Costituzione richiede che essa si occupi
anche di problemi che riguardano proprio i rapporti tra Stato e
società»19. Furono i democristiani insieme a socialisti e comunisti a
teorizzare la teoria del pluralismo giuridico secondo la quale il quadro
dei diritti della persona poteva dirsi davvero completo solo nel
momento in cui si fosse tenuto conto anche dei diritti sociali, ossia
F. Malgeri, La Democrazia cristiana, in M. De Nicolò (a cura di), Costituente, Costituzione, riforme
costituzionali, cit., 1998, p. 167.
19
17
diritto al lavoro, al riposo, all’assistenza; e dei diritti delle comunità in
cui l’uomo si integra e si espande.
Sia il socialista Lombardi che il democristiano Dossetti nella seduta
relativa ai lavori della I Sottocommissione del 26 luglio 1946 20
insistettero notevolmente su questo concetto, dichiarando che il tema
affidato alla Sottocommissione, ossia diritti e doveri del cittadino,
sarebbe apparso fortemente limitato se da questi diritti e doveri
fossero stati esclusi quelli economici. Lombardi dichiarò di essere
rimasto
basito
nel
constatare
che
nell’assegnazione
alla
Sottocommissione della trattazione dei principi generali di libertà,
fossero stati tralasciati quelli economico-sociali; non era possibile, a
parer suo, parlare di libertà prescindendo da quella libertà
fondamentale e primordiale che era la «libertà del bisogno»21. Da qui
la necessità impellente di una indagine che fosse anche di natura
economica.
Nella
successiva
seduta
del
30
luglio
1946
22
emerse
prepotentemente la necessità di integrare i diritti sociali con i diritti
della comunità in cui l’uomo si espandeva, infatti, i diritti della
persona umana non sarebbero stati integralmente tutelati se non
fossero stati tutelati anche i diritti delle comunità in cui la persona
umana si espandeva: famiglia, comunità, lavoro ecc. Dunque, non si
sarebbe dovuto accordare importanza solo all'istituto della famiglia ma
a tutti quelli che ruotavano intorno alla persona.
Dossetti riassumendo la suddetta discussione nel famoso ordine del
giorno, accennato nel paragrafo precedente, nel quale venne teorizzata
l'antecedenza della persona umana rispetto allo Stato, concluse,
affermando nella seconda parte del suddetto documento:
Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di
venerdì 26 Luglio 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica
dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp. 303-305.
21
Ivi, p. 304.
22
Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di
martedì 30 Luglio 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica
dell’Assemblea Costituente, cit. pp. 307-314.
20
18
«La Sottocommissione, esaminate le possibili impostazioni
sistematiche di una dichiarazione dei diritti dell'uomo […] ritiene che
la sola impostazione veramente conforme alle esigenze storiche, cui il
nuovo statuto dell'Italia debba soddisfare, è quella che […] b)
riconosca ad un tempo la necessaria socialità di tutte le persone, le
quali sono destinate a completarsi e perfezionarsi a vicenda mediante
una reciproca solidarietà economica e spirituale. Anzitutto in varie
comunità intermedie disposte secondo una naturale gradualità
(comunità familiari, territoriali, professionali, religiose) e quindi per
tutto ciò in cui quelle comunità non bastino, lo Stato; c) che perciò
affermi sia l'esistenza di diritti fondamentali delle persone, sia dei
diritti delle comunità anteriormente ad ogni concessione da parte dello
Stato23.»
Ecco che, la Costituzione italiana diventò una perfetta sintesi fra
diritti di libertà della tradizione liberale monarchica prefascista e
valori di solidarietà, vera novità sorta dal paradigma resistenziale e
antifascista.
La
sua
impostazione,
escludendo
una
visione
individualistica, totalitaria, che faceva risalire allo Stato l’attribuzione
dei diritti dei singoli e delle comunità, accordava in questo modo
precedenza sostanziale alla persona umana, la quale si completava
nelle comunità (familiari, territoriali, professionali, religiose) e nello
Stato.
Fu in questo clima che il concetto del lavoro assunse connotati forti
e netti, esso serviva infatti a caratterizzare il nuovo aspetto della
democrazia, non più soltanto, come è stato detto, di natura politica, ma
anche economica e sociale. Sostenere infatti che la Repubblica era
fondata sul lavoro significò, abbracciando il pensiero di Fanfani,
espresso nella seduta dell’Assemblea costituente del 22 marzo 1947,
escludere che essa potesse poggiarsi sul privilegio, sulla nobiltà
ereditaria, sulla fatica altrui e si affermò con vigore che essa si
fondava sul dovere che era anche diritto per ogni uomo di trovare nel
23
P. Scoppola, La repubblica dei partiti, cit. p. 191.
19
proprio sforzo libero la sua capacità di essere e di contribuire al bene
della comunità nazionale24.
Il principio della centralità della persona umana, rispetto alle
costituzioni del passato, che davano precedenza al ruolo dello Stato e
che subordinavano ad esso la persona, venne sottolineato dalla volontà
di riconoscere per la prima volta il ruolo della donna all’interno del
mondo lavorativo. Durante la seduta della Prima Sottocommissione
dell'8 ottobre 1946, venne discusso quello che sarebbe stato il primo
comma dell’articolo 37 della Costituzione che così recita:
«La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le
stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro
devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione
familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata
protezione»25.
Dalla
discussione,
tenuta
durante
i
lavori
della
Prima
Sottocommissione, emersero diverse posizioni. La volontà di inserire
la donna come soggetto socialmente attivo nell’ambito lavorativo
risultò essere un elemento di grande novità, non solo perché le
venivano garantiti gli stessi diritti e la stessa remunerazione rispetto al
lavoratore, ma anche perché veniva difeso il ruolo che essa svolgeva
all’interno della famiglia. Veniva preservata la funzione da lei
ricoperta sia nella vita pubblica sia in quella privata e le veniva
garantita la possibilità di poter scegliere di ricoprire entrambi i ruoli,
cioè sia quello di lavoratrice che quello di madre. Questi principi
erano propugnati dalle posizioni degli onorevoli Dossetti, esponente
democristiano e Togliatti, di ispirazione comunista, rappresentanti di
due posizioni divergenti, ma portatori, in questo contesto, di eguali
principi. Emblematica era la posizione portata avanti dall’on. Togliatti
Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato 22 marzo 1947,
in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell'Assemblea Costituente,
cit., p. 571.
25
http://www.quirinale.it/qrnw/statico/costituzione/pdf/Costituzione.pdf (consultato il 8/1/2016, ore
12.51).
24
20
in sede di Prima Sottocommissione, in particolare nella formulazione
dell’articolo proposta dallo stesso, che così recitava:
«Alla donna lavoratrice sono assicurati gli stessi diritti e lo stesso
trattamento che spettano ai lavoratori e inoltre sono garantite
condizioni particolari che le consentano di adempiere insieme al suo
lavoro la sua missione familiare»26.
Il principio ideologico, che funse da base nella formulazione della
suddetta proposta, faceva leva sulla volontà di dare preminenza
all’uguaglianza in tutte le sue sfaccettature, così come si legge dalle
parole dello stesso:
«Quando si afferma la parità dei diritti della donna lavoratrice e
dell’uomo lavoratore, si afferma il principio dell’uguaglianza dei
salari, dell’uguaglianza del sussidio di disoccupazione, nelle
retribuzioni familiari sussidiarie, ecc.: tutta una serie di principi legati
alla parità. Il concetto dell’eguaglianza tra uomo e donna nel campo
del lavoro è essenziale nell’articolo»27.
Al contrario, la posizione degli esponenti di orientamento
conservatore, rimarcò la prevalenza del ruolo di donna come figura
materna e solo in secondo piano mise la funzione che avrebbe potuto
svolgere a livello pubblico, come sosteneva l’on. Mastrojanni,
esponente del partito qualunquista:
«Se si trascurasse di affermare questo principio essenziale, che cioè
la funzione naturale della donna è quella che la natura le ha attribuito,
comprendente non solo la procreazione ma anche la difesa e
l’educazione dei figli, si verrebbe ad ammettere il principio che si
possa anteporre alla funzione naturale biologica della donna, la
funzione economica e sociale. […] si deve ritenere che la donna
rimanga quanto più possibile nella sua funzione naturale, e che il resto
della sua attività nella vita pubblica e lavorativa sia considerata come
accessorio e non come essenziale.»28
26
Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 26 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di
martedì 8 ottobre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica
dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1997, p. 499-509.
27
Ibidem.
28
Ivi, p. 506.
21
Alla conclusione di questo animato confronto, si giunse alla
formulazione proposta da Togliatti all’inizio dello stesso, per poi
subire una serie di modifiche nel corso delle varie sedute in
Commissione e Assemblea Costituente, fino a confluire nella formula
definitiva, già citata.
L’obiettivo dei padri Costituenti era quello di difendere la donna
sia come soggetto lavoratore, attivo nel frangente economico, sia
come madre, dal punto di vista del piano sociale, unendo, quindi, la
funzione pubblica e privata. Se discutibile potrebbe essere la dicitura
«essenziale funzione familiare», allo stesso tempo l’articolo cercò di
difendere, in relazione al lavoro, il ruolo di madre ricoperto dalla
donna lavoratrice.
22
1.3 Una Carta aconfessionale, rigida e accessibile al popolo
È stato delineato nei paragrafi precedenti il carattere ideologico da
cui ha avvio il lavoro dei Costituenti: quello del principio antifascista,
giustificato dal presupposto filosofico della teoria dei diritti naturali,
teoria che affondava le proprie radici nella cultura illuminista europea;
è stata poi esaminata la novità caratterizzante della nostra Carta
costituzionale, la necessità cioè di aprirsi al reale con l’inserimento dei
diritti di carattere sociale ed economico, che fungessero da
presupposto per la creazione di uno Stato sociale, democratico, in
funzione della società e non più antecedente alla stessa.
Adesso si prenderà come oggetto di studio quali avrebbero dovuto
essere le peculiarità che il testo costituzionale avrebbe dovuto
presentare. Nel corso delle discussioni vennero stabilite tre
caratteristiche che la Costituzione avrebbe dovuto rappresentare.
Infatti, questa avrebbe dovuto essere una Carta aconfessionale, rigida
e accessibile al popolo.
Nella seduta del 9 settembre 1946
29
sui lavori della I
Sottocommissione, in occasione dell’analisi svolta nei confronti della
relazione stilata da La Pira sui rapporti civili, emerse per la prima
volta la necessità di dare autonomia alla Costituzione italiana rispetto
alla religione cattolica, differenziandola di fatto dalle precedenti
costituzioni di carattere liberale, le quali, invece, avevano sempre
mantenuto un forte legame al religioso e al trascendente. Un fornito
gruppo di Costituenti, d’ogni orientamento, appartenenti anche ad
ideologie differenti, erano d’accordo nel riscontrare nella relazione di
La Pira un eccesso di ideologia e nell’individuare invece come unica
base ideologica il principio dell’antifascismo; questi erano: Togliatti,
Marchesi, Lombardi, Lucifero, Mancini, Dossetti.
Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di lunedì
9 Settembre1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica
dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1997, p. 315-324.
29
23
I comunisti Marchesi e Togliatti si dichiararono contrari di fronte
alla dichiarazione inserita da La Pira alla fine del preambolo, che
risultava espressa con questa dicitura: «Pertanto esso proclama al
cospetto di Dio e della comunità umana, la dichiarazione seguente dei
diritti dell’uomo»
30
, scelta che, peraltro, era ancora presente nelle
Costituzioni del 1789, 1791, 1793, 1848. Si dissero contrari in quanto
tale dicitura avrebbe riportato esplicitamente ad uno Stato che
conteneva in sé fattori religiosi. Secondo Togliatti il testo
costituzionale sarebbe apparso così legato ad una particolare ideologia
dal carattere non solo filosofico ma anche e soprattutto religioso. Non
era necessario inserire l’affermazione dell’esistenza di Dio nella
Costituzione, che invece avrebbe dovuto muoversi su un campo
prettamente
politico-sociale.
Lombardi,
esponente
del
Partito
Socialista d’Unità Proletaria, fece leva anch’egli sul concetto di
«eccesso di ideologia», e sul dovere di bandire ogni tipo di ideologia
da una Costituzione che doveva rivolgersi a persone di diversi
sentimenti e diversi pareri politici, religiosi o scientifici.
Lo stesso Lucifero, di orientamento monarchico, ponendosi sulla
stessa linea di pensiero, espresse il principio secondo cui una formula
costituzionale avrebbe dovuto essere quanto più «scheletrica» e
comprensibile possibile.
In
conclusione,
il
democristiano
Dossetti
affermò
che
necessariamente ogni Costituzione doveva avere una base ideologica
su cui fondarsi e che nel nostro caso l’unica e sola linea doveva essere
quella dell’antifascismo, che si basava sul fondamentale concetto
dell’«anteriorità» della persona di fronte allo Stato e dunque si
contrapponesse alla tesi fascista della dipendenza del cittadino dallo
Stato. Questa avrebbe dovuto essere l’ideologia comune a tutti. Fine
del regime democratico altro non era in sostanza che quello di
«garantire un più ampio e più libero sviluppo della persona umana».31
30
31
Ivi, p. 318.
Ivi, p. 323
24
Nella seduta del 21 novembre 1946 32 durante l'analisi della
relazione presentata dai due relatori di diverso orientamento politico
Dossetti e Cevolotto 33 relativa alla Discussone sullo Stato come
ordinamento giuridico e i suoi rapporti con altri ordinamenti,
continuò il confronto relativo al carattere religioso o meno da
imprimere alla Costituzione.
Il democristiano Dossetti espose una relazione in cui faceva leva
sulla necessità di caratterizzare religiosamente la Costituzione e quindi
alla necessità di inserire all’interno del I articolo dei riferimenti al
Concordato e ai Patti Lateranensi. Sulla base dell’esempio del I
articolo del Trattato Lateranense, che a sua volta si rifaceva al I
articolo dello Statuto Albertino, Dossetti ripropose nel I articolo della
Costituzione lo stesso principio secondo cui la religione cattolica
dovesse essere considerata religione di Stato. Lo Statuto Albertino si
apriva con questa esatta formula: «La Religione Cattolica Apostolica e
Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti
sono tollerati conformemente alle leggi»34; e il Trattato Lateranense si
ricollegava all’interno del suo corpus a tale articolo in questi termini:
«L’Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell’articolo 1° dello
Statuto del Regno 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e
romana è la sola religione dello Stato»35. Dossetti espresse dunque la forte
necessità di inserire nel I articolo della nuova Costituzione italiana il
riferimento ai Patti Lateranensi.
Cevolotto invece affermava fermamente che a suo avviso la
Costituzione avrebbe dovuto essere quella di uno stato aconfessionale,
su modello della Costituzione francese, per questo non avvertiva più
la necessità di rifarsi al Trattato Lateranense. A tal proposito richiamò
Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di
giovedì 21 novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica
dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp.717-726.
33
Cevolotto, esponente del partito Democrazia del lavoro, di impostazione laica e riformista; Dossetti,
esponente della Democrazia Cristiana, di impostazione cristiana e moderata.
34
Cfr. http://www.quirinale.it/qrnw/statico/costituzione/statutoalbertino.htm (consultato il 15/01/2016,
ore 12.35).
35
Cfr. http://online.scuola.zanichelli.it/corsodiritto/files/2012/04/B2-PattiLateranensi.pdf (consultato il
15/01/2016, ore 12.40)
32
25
l’attenzione sull' evoluzione del diritto costituzionale in Italia,
ricordando che l'articolo I dello Statuto Albertino ben presto venne
addirittura abrogato da leggi posteriori, subito dopo la I guerra
mondiale; per ritornare poi in vigore in seguito all’intervento del
Trattato del Laterano. La Costituzione perciò, non avrebbe dovuto più
ritornare a quella vecchia forma, ma progredire sulla base del
«principio della libertà di religione e della parità dei diritti delle
minoranze» 36 . Creare uno Stato aconfessionale e laico, concluse
Cevolotto, non significava porsi su una linea di anticlericalismo, ma
piuttosto porsi su una linea di tutela delle libertà e delle minoranze.
I democristiani La Pira e Dossetti replicarono facendo leva su
due pilastri, che, a parer loro, erano «il fondamento dell’edificio che si
vuol costruire»37.
Il primo era il principio della libertà piena e completa delle diverse
confessioni religiose, secondo il quale, pur ammettendo la preminenza
della Chiesa Cattolica in Italia, non veniva comunque mai messo in
discussione dalla Democrazia Cristiana il «pluralismo religioso» 38; il
secondo riguardava la necessaria bilateralità della disciplina dei
rapporti tra Stato e Chiesa, poiché, pur restando fermo il principio
dell’eguaglianza e libertà religiosa di tutti i cittadini, non si poteva
negare l’importanza che assumeva la Chiesa Cattolica in Italia. Essa si
presentava come una vera e propria istituzione, dotata di un
ordinamento giuridico autonomo detto ordinamento Canonico, e
dotata delle funzioni da questo ammesse: legislativa, esecutiva e
giudiziaria. Tale ordinamento godeva di piena autonomia rispetto a
quello dello Stato, nel momento in cui lo Stato fosse entrato in
contatto con questo non avrebbe potuto porsi come se fosse stato di
fronte a forme giuridiche embrionali, ma bensì come se fosse entrato
in contatto con l’ordinamento giuridico di altri Stati. Da qui la
36
Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di
giovedì 21 novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica, op. cit., pp. 718.
37
Ivi, p. 720.
38
Ivi, p. 719.
26
necessaria bilateralità, vale a dire l’impossibilità di regolare rapporti
Stato-Chiesa unilateralmente (ossia per atto diretto da una sola delle
due parti), portò la necessità di un riconoscimento reciproco
dell’autonomia di entrambi. Dossetti ammise poi la possibilità che ciò
potesse avvenire non solo nei confronti delle Chiesa Cattolica ma di
qualsiasi altro eventuale culto che si fosse venuto a trovare nella
situazione in cui versava la Chiesa Cattolica, ossia dotato di propria
istituzione e proprio ordinamento giuridico.
Dopo la presentazione di questo importante nodo critico, ramificato
nelle due suddette questioni, gli altri esponenti espressero il loro
pensiero in merito.
Togliatti assunse un atteggiamento di avvicinamento alla Dc e non
appoggiò invece la tesi di Cevolotto che avrebbe voluto addurre
modifiche se non veri e propri tagli al Concordato. Non si dichiarava
affatto contrario all’inserimento nella Costituzione di un riferimento
all’esistenza del Concordato, attraverso cui la Chiesa regola i rapporti
con lo Stato. Si fece promotore dunque del principio di inscindibilità
dei Patti Lateranensi rispetto alla Costituzione.
La maggior parte dei costituenti appoggiava i principi esposti da
Dossetti e si discostava dal pensiero di Cevolotto. Essi ammettevano
cioè l’inscindibilità e l’intoccabilità dei Patti Lateranensi nella nostra
Costituzione e l'importante e necessaria bilateralità dei rapporti StatoChiesa. La chiesa era infatti una istituzione dotata di autonomia e
come tale necessitava di essere considerata come istituto politicogiuridico autonomo. Si riservavano però di decidere in merito alla
posizione che tali norme, quelle relative al rapporto Stato-Chiesa,
dovessero assumere all’interno della Costituzione, in una sede diversa
dal I articolo, che invece avrebbe dovuto avere un carattere più
generale. In questo si evinse il carattere fortemente innovatore della
Costituzione, cioè laica che, pur ammettendo l’esistenza e
l’importanza dell’istituzione cattolica, non ne sanciva il protagonismo,
come invece avveniva in passato, e ne delegava la trattazione in
27
secondo piano, inserendo invece nel I articolo nuovi concetti, che
come si vedrò, saranno quelli della solidarietà e del lavoro.
Nonostante la strategica decisione dei comunisti di appoggiare la
proposta democristiana di inserire i Patti Lateranensi nel testo
costituzionale tenesse in considerazione al proprio interno la
fondamentale importanza del Concordato, la Costituzione italiana non
presentò mai quel carattere estrinsecamente religioso e in questo si
distinse
dalle
precedenti
esperienze.
Il
I
articolo,
infatti,
nell’elaborazione finale portò al suo interno due tematiche fondanti
quali la sovranità popolare e il lavoro e non ebbe alcun riferimento
alla religione di Stato rendendo di fatto la Costituzione una Carta
aconfessionale.
Un’altra questione nodale, rispetto alle caratteristiche che avrebbe
dovuto avere la Costituzione, era il principio della rigidità del testo
stesso.
Durante la discussione del 29 novembre 1946 39 si portò avanti
l’analisi relativa alle proposte formulate da Togliatti che ruotavano
intorno a due nodi principali. Il primo analizzava la necessaria
salvaguardia dell’istituto repubblicano nei confronti dell’ideologia
filomonarchica, ancora presente e radicata nel pensiero politico; il
secondo riguardava la questione relativa alla rigidità o flessibilità della
Costituzione, in relazione soprattutto alla possibilità di revisione del
nuovo ordine.
La discussione partì in seguito alla proposta di emendamento di
Togliatti nei confronti della precedente formula presentata durante la
seduta del 28 novembre. La nuova formula esplicava l’impossibilità di
modificare la forma repubblicana e venne proposta in questi termini:
Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di
venerdì 29 novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica
dell’Assemblea Costituente, vol VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp.738-746.
39
28
«L’adozione della forma repubblicana è definitiva: né l’iniziativa
popolare, né il voto delle Assemblee legislative possono metterla in
discussione.»40
Lucifero e Mastrojanni, portavoci di una ideologia filomonarchica,
espressero il loro dissenso nei confronti della proposta di Togliatti.
Lucifero ritenne che la formula di Togliatti potesse essere interpretata
come un vincolo alla sovranità popolare. E che qualunque limitazione
alla sovranità fosse contraria alla democrazia. Dunque, qualora in un
futuro imprecisato la maggioranza dei cittadini si fosse orientato verso
una forma istituzionale diversa da quella attuale doveva essere libero
di poterla cambiare. La formula di Togliatti era considerata «un
bavaglio imposto all’opinione pubblica italiana»
41
, in quanto,
contravvenendo ai più elementari principi della democrazia, avrebbe
potuto rivelarsi pericolosa per il paese, poiché avrebbe costretto la
presunta maggioranza monarchica ad un’insurrezione qualora avesse
voluto restaurare un assetto non più vigente. La scelta di Togliatti
dunque, secondo il fronte delle destre, precludendo agli italiani la
possibilità di scelta, li avrebbe costretti di fatto a ricorrere alla
violenza. Per quanto riguarda invece la garanzia di libertà di pensiero
ai monarchici, i Costituenti conservatori affermavano che la formula
di Togliatti avrebbe potuto dare l’idea di un atteggiamento di
ostracismo nei loro confronti. Definirono tale proposta una assurdità
perché secondo Togliatti in sede di legislazione la propaganda
dell’idea monarchica diverrebbe un atto sovversivo da reprimere.
Secondo Mastrojanni, infatti, l’affermazione di Togliatti avrebbe
recato un’offesa al sentimento di quella massa di oltre 10 milioni di
cittadini che abbracciava il pensiero monarchico.
Togliatti, con la volontà di chiarire la propria posizione, specificò
l’intenzione del suo articolo, dicendo che questo non era affatto una
40
Ivi, p. 737.
Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di
giovedì 28 novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica
dell’Assemblea Costituente, vol VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp.734.
41
29
condanna dell’ideologia monarchica ma una remora, una volontà di
salvaguardare
l’istituzione
repubblicana
da
una
eventuale
maggioranza monarchica ed evitare che si potesse abrogare l’articolo
tramite ad esempio un referendum.
Inoltre, precisò che, ponendo in essere la possibilità di una legge
che avrebbe potuto riconoscere come reato la propaganda monarchica,
egli
alludeva
solo a
casi
particolari
di
propaganda, ossia
all’organizzazione armata e al colpo di Stato. In questi casi estremi,
infatti, sarebbe stato consentito allo Stato repubblicano di difendersi.
Mancini, esponente del Partito Socialista Italiano di Unità
Proletaria, difendeva la causa di Togliatti facendo leva su tre ragioni
fondamentali che avrebbero dato valore alla sua formula. Essendo la
Costituzione a carattere repubblicano, essa non poteva non contenere
delle norme che avrebbero reso più difficile un ritorno monarchico,
inoltre, essendo le leggi il prodotto spirituale della coscienza della
maggioranza, queste dovevano tutelarne le scelte politiche, (in questo
caso la preferenza della forma repubblicana voluta dalla maggioranza
nelle elezioni del 2 giugno), infine atteggiamenti di indulgenza nei
confronti dei monarchici potrebbero essere causa di pericolo per la
Repubblica stessa.
Terminò affermando che «l’articolo di Togliatti risponde ad un
elementare sentimento di legittima difesa della Repubblica»42.
I democristiani Dossetti, La Pira e Moro si dichiararono favorevoli
nella sostanza all’articolo di Togliatti, ma non ne condividevano la
forma, in quanto, secondo il loro pensiero, escludere a priori la
revisione della forma istituzionale non corrispondeva ad uno spirito
democratico; esprimevano perciò una certa preoccupazione circa
l’antidemocraticità della formula. Proposero dunque il rinvio della
elaborazione dell’articolo che avrebbe affrontato la questione della
revisione istituzionale alla Seconda Sottocommissione.
L’articolo definitivamente approvato appariva cosi formulato:
42
Ivi, p. 739
30
«L’adozione della forma repubblicana dello Stato è definitiva e
non può essere oggetto di normale procedimento di revisione della
Costituzione» 43
Nonostante l’articolo in questione non entrò mai a far parte della
formula definitiva del I articolo, secondo la volontà dell’Assemblea
costituente, e nonostante l’intenso dibattito e il pensiero monarchico
ancora così fortemente radicato, alla fine della seduta venne sancita la
definitività dell’assetto repubblicano e l’impossibilità di revisione
dello stesso con normale procedimento. Prevalse, dunque, l’idea di
una Costituzione a carattere rigido.
L’ultima caratteristica che avrebbe dovuto avere il testo
costituzionale era ricercata nella necessità di rendere accessibile
linguisticamente la Carta al popolo.
Togliatti nella seduta del 9 Settembre 1946 44, relativa ai lavori della
I Sottocommissione, mise in evidenza l’esigenza di creare una
Costituzione che potesse essere compresa ad esempio «dal professore
di diritto e in pari tempo dal pastore sardo, dall’operaio,
dall’impiegato d’ordine, dalla donna di casa»45.
Questa invece, così
come era stata presentata da La Pira nella famosa relazione su "I
principi dei rapporti civili” risultava troppo astratta e concettosa,
gravata da un eccessivo bagaglio ideologico che piuttosto che
rinforzarla la indeboliva, e che appariva ai più una carta per dotti,
mentre il popolo non ne avrebbe compreso nulla. In sintesi, Togliatti
propose di riconvertirla in moduli linguistici volti alla concretezza,
con formule più asciutte e comprensibili. Anche Mancini ritenne
necessario sganciare il testo costituzionale da ogni presupposto
ideologico, in quanto la Costituzione doveva essere «semplice, lontana
43
Ivi, p. 743.
Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di lunedì
9 settembre 1946, in “La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica
dell’Assemblea Costituente”, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 197, p. 315-324.
45
Ivi, p. 319.
44
31
da ogni presupposto ideologico, in modo che essa risulti
comprensibile a tutti, e sia un trattato legislativo e non di filosofia»46
Concludendo, dal punto di vista puramente tecnico la Costituzione,
doveva essere accessibile a tutto il popolo, attraverso l’adozione una
forma linguista semplice comprensibile, perché anche in questo si
esplicava il concetto di democrazia.
46
Ivi, p. 322.
32
Capitolo 2. Il trionfo della democrazia: la sovranità
del popolo
2.1 Antifascismo e «centralità della persona umana»: la teoria
filosofica dei diritti naturali
Insieme al solidarismo, nelle diverse accezioni cristiana e marxista,
il cemento unitario più forte che saldò l’intesa costituzionale tra i
maggiori partiti fu il principio dell’antifascismo, espresso non solo
nella lotta di resistenza ma anche e soprattutto dalla volontà di
ripristinare la libertà perduta e ricostruire una democrazia dai forti
connotati sociali. Fu Togliatti uno dei primi costituenti a far leva sul
principio
dell’antifascismo
quando,
durante
la
seduta
in
I
Sottocommissione del 30 luglio 1946 affermò che «dopo oltre venti
anni di fascismo, unico punto di partenza dovrebbe essere la
negazione del regime fascista»47.
Il principio antifascista cosi propugnato da Togliatti venne poi
ripreso e ampliato più volte nel corso delle sedute da parte dei
costituenti provenienti da diversi orientamenti.
Dossetti nella seduta del 9 settembre 1946
48
in Prima
Sottocommissione approfondì il terreno filosofico su cui tale principio
crebbe. In occasione di questa seduta infatti il relatore democristiano
La Pira aveva stilato una relazione sui “rapporti civili”, giudicata dai
più dal carattere estremamente trascendente e religioso, emerse
dunque la necessità di sganciare il documento da qualsiasi
implicazione filosofico-religiosa sulla base di un’ideologia comune:
l’antifascismo. E portavoce di questa necessità fu proprio il
democristiano
Dossetti.
Dossetti,
vicesegretario
della
Dc,
47
Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di
martedì 30 luglio 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica
dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 197, p. 311.
48
Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di lunedì
9 settembre 1946, cit., pp. 315-324.
33
rappresentava infatti all'interno del partito l'ala riformista, aperta al
colloquio con le altre forze politiche e particolarmente affine alle
posizioni delle sinistre. Nel 1946 fondò a Roma insieme a Lazzati e
La Pira, il movimento Civitas Humana per orientare il mondo
cattolico
verso
una
politica
ispirata
all'uguaglianza
e
alla
partecipazione. Intorno alle posizioni di Dossetti (favorevole alla
scelta repubblicana, moderatamente contrario all'adesione italiana al
Patto Atlantico) si costituì all'interno della Democrazia cristiana un
gruppo politico spesso indicato come «sinistra dossettiana».
Interessante, nell’ambito dei suoi interessi verso i diritti economicosociali, il suo impegno per l'approvazione di alcune grandi leggi di
valore sociale, quali la legge costitutiva della Cassa per il
Mezzogiorno, la riforma agraria e la riforma tributaria 49 . Egli,
propugnando la necessità di porre una dichiarazione dei diritti
dell’uomo come fondamento del nuovo Stato democratico in
opposizione al vecchio Stato fascista, affermava infatti che
necessariamente ogni Costituzione dovesse avere una base ideologica
su cui fondarsi e che nel nostro caso l’unica e sola linea dovesse
essere quella dell’antifascismo, che si basava sul fondamentale
concetto dell’ «anteriorità» della persona di fronte allo Stato e dunque
si contrapponesse alla tesi fascista della dipendenza del cittadino dallo
Stato. Questa avrebbe dovuto essere l’ideologia comune a tutti. Fine
del regime democratico altro non era in sostanza che quello di
«garantire un più ampio e più libero sviluppo della persona umana».50
Egli si chiese se tale dichiarazione dovesse precedere la parte relativa
alla struttura costituzionale dello Stato o al contrario dovesse seguirla.
Fu il relatore stesso, La Pira, a dare una risposta, affermando di
avvertire la necessità di darle preminenza sia perché questo avrebbe
significato conformarsi a tutta una tradizione giuridica occidentale,
dalla Costituzione americana alla Costituzione francese e jugoslava;
49
Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-dossetti_(Dizionario-Biografico)/ (consultato il
04/01/2016, ore 17.54)
50
Ivi, p.323.
34
sia ideologicamente per porsi in antitesi rispetto al precedente Stato
fascista, in quanto tale dichiarazione sarebbe divenuta affermazione
solenne dello Stato democratico che riconosce i diritti sacri,
inalienabili, naturali del cittadino, in opposizione allo Stato fascista
che con la teoria dei «diritti riflessi» (secondo cui lo Stato è fonte
esclusiva del diritto) aveva negato e violato i diritti umani.
La Pira approfondì tale argomentazione puntando alla differenza
teorico-filosofica che si poneva alla base dei due assetti: la teoria dei
diritti riflessi corrispondeva alla concezione hegeliana che vedeva lo
Stato come un tutto e l’individuo come elemento subordinato alla
collettività; a tale teoria andava contrapposta quella dei
«diritti
naturali» della persona, che fungeva cosi da base alla concezione
secondo cui la persona era un ente dotato di «interiore autonomia, i
cui diritti e le cui libertà non sono una concessione ma una naturale
conseguenza di tale autonomia»51.
Interessante risulta fare un approfondimento riguardo il principio
filosofico di estrazione giusnaturalista su cui si basavano i Costituenti.
Il giusnaturalismo razionalistico moderno nacque tra il 1600 e
il 1700, ed era divisibile in due filoni: quello dell'Illuminismo di fine
Settecento (con l'affermazione del concetto di libertà dell'individuo,
soprattutto in opposizione all'assolutismo, la forma di governo
caratteristica dell'età moderna) e quello che si sviluppò a partire dal
pensiero di Thomas Hobbes (il quale considerava il diritto naturale
solo allo stato di natura, ossia alla condizione in cui l'uomo si trovava
prima di stipulare quel contratto sociale che portava all'istituzione
dello Stato). Fra gli autori che, a vario titolo, affrontarono il tema del
diritto naturale in età moderna si possono annoverare: Thomas Hobbes,
Huig de Groot (o Ugo Grozio), John Locke, Jean Jacques Rousseau e
Immanuel Kant.
Secondo la formulazione di Grozio e dei teorici razionalisti del
giusnaturalismo, gli uomini, pur in presenza dello stato e del diritto
51
Ivi, p. 316
35
positivo ossia civile, restano titolari di alcuni diritti naturali, quali il
diritto alla vita, alla proprietà etc., diritti inalienabili che non possono
essere modificati dalle leggi. Questi diritti naturali sono tali perché
razionalmente giusti, ma non sono istituiti per diritto divino; anzi, Dio
li riconosce come diritti proprio in quanto corrispondenti alla ragione.
Locke sviluppò invece il concetto di diritto naturale come derivato
dalla divinità, in quanto l'uomo era creazione di Dio, non limitando
questo diritto né al possesso della cittadinanza né a criteri di etnia,
cultura o religione.
La prima dichiarazione dei diritti dell'uomo dell'epoca moderna fu
quella dello Stato della Virginia (USA), scritta da George Mason e
adottata dalla Convenzione della Virginia il 12 giugno 1776. Questa
fu largamente copiata da Thomas Jefferson per la dichiarazione dei
diritti dell'uomo contenuta nella Dichiarazione di indipendenza degli
Stati Uniti d'America (4 luglio 1776)52.
La prima e vera propria carta formale dei diritti dell'uomo nacque
nel 1789 dalla Rivoluzione francese, è conosciuta come Dichiarazione
dei diritti dell'uomo e del cittadino ed era caratterizzata da
un'impostazione più astratta della precedente americana. Una vera e
propria diffusione dei diritti umani si ebbe però solo dopo i moti
del 1848 e
la
conseguente
proclamazione
delle
prime
costituzioni liberali nei vari paesi europei. Un'ulteriore grande
affermazione dei diritti umani si ebbe dopo la fine della seconda
guerra mondiale con la costituzione dell'Organizzazione delle Nazioni
Unite (ONU) e con la redazione della Dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo, siglata a Parigi il 10 dicembre 1948. Con questa
Carta si stabiliva, per la prima volta nella storia moderna, l'universalità
di questi diritti, non più limitati unicamente ai paesi occidentali, ma
rivolti ai popoli del mondo intero, e basati su un concetto di dignità
umana intrinseca, inalienabile, ed universale. Tra i diritti fondamentali
dell'essere umano si potevano ricordare, tra gli altri, il diritto
52
Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/giusnaturalismo/ (consultato il 04/01/2016, ore 18.15).
36
alla libertà
individuale,
il diritto
alla
vita,
il diritto
all'autodeterminazione, il diritto a un giusto processo, il diritto ad
un'esistenza dignitosa, il diritto alla libertà religiosa con il conseguente
diritto a cambiare la propria religione, il diritto di voto.
Ritornando alla fondamentale seduta citata sopra, in occasione
della stessa Dossetti presentò un ordine del giorno che ebbe la
funzione di “presupposto ideologico” e rappresentò il terreno di
incontro tra le varie forze in campo. Questo era strutturato in tale
modo:
“La Sottocommissione, esaminate le possibili impostazioni
sistematiche di una dichiarazione dei diritti dell’uomo; esclusa quella
che si ispiri ad una visione soltanto individualistica; esclusa quella che
si ispiri ad una visione totalitaria, la quale faccia risalire allo Stato
l’attribuzione dei diritti dei singoli e delle comunità fondamentali;
ritiene che la sola impostazione veramente conforme alle esigenze
storiche, cui il nuovo statuto dell’Italia debba soddisfare, è quella che :
a) riconosca la precedenza sostanziale della persona umana ( intesa
nella pienezza dei suoi valori e dei suoi bisogni non solo materiali, ma
anche spirituali) rispetto allo Stato e la destinazione di questo al
servizio di quella […]”53.
L’ordine del giorno di Dossetti non fu mai votato ma la formula
«persona umana», legata ad una tradizione filosofica di matrice
cristiana, benché non entrò nella Costituzione, divenne di fatto punto
di riferimento essenziale nella definizione di quella ideologia comune
che caratterizzò i lavori della Costituente. Fu proprio grazie a quanto il
concetto di persona umana implicava che si raggiunse nella prima
parte del testo costituzionale «una felice sintesi fra i diritti di libertà
della tradizione liberale e i valori di solidarietà ai quali i partiti
popolari erano più sensibili»54.
Il presupposto ideologico dell’antifascismo nel concreto portò al
superamento dello Stato individuale e borghese in vista di uno «Stato
in funzione della società», uno «Stato realizzatore del bene comune» e
53
54
P. Scoppola, La repubblica dei partiti, Bologna, il Mulino, 1991, pp.191-192.
Ivi. p. 192.
37
addetto alla «difesa e salvaguardia della persona umana» 55 . L’idea
dello Stato artefice del bene comune trovava ampi riscontri nella
pubblicistica cattolica, nei messaggi di Pio XII sia durante la guerra
che nell’immediato dopoguerra, nonché tra le file della Dc. Furono
infatti proprio gli esponenti democristiani, Dossetti, la Pira, Tupini e
Moro ad insistere fortemente sulla precedenza della persona rispetto
allo Stato in antitesi alla esasperazione fascista della dottrina dello
Stato, ma più generalmente contro la concezione liberale della società
individualistico-borghese.
Ecco che il «personalismo cristiano» si incontrò con le posizioni di
sinistra, sensibili all’affermazione e alla garanzia dei diritti sociali,
generando quel fecondo terreno d’intesa che vedeva convergere al
proprio interno i politici più autorevoli dei partiti di massa: da Dossetti
a Togliatti, da Basso a Tupini, da Terracini a Piccioni. Tale
convergenza si esplicò fondamentalmente nel famoso articolo tre della
Costituzione:
«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti
alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione,
di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono
il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di
tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del
Paese.»56
Due furono gli obiettivi fondamentali che la Costituzione, nel clima
di intesa comune, si pose nella costruzione dell’assetto politico della
nuova realtà italiana post-bellica. Il primo fu la costruzione di uno
Stato amministrativo e la preminenza accordata ai partiti politici che
divennero così lo strumento per l’esercizio della sovranità del popolo.
Non più dunque uno Stato inteso come amministrazione o una nazione
F. Malgeri, La Democrazia cristiana, in M. De Nicolò (a cura di), "Costituente, Costituzione, riforme
costituzionali", Bologna, il Mulino, 1998, p.166.
56
Cfr. http://www.quirinale.it/qrnw/statico/costituzione/pdf/Costituzione.pdf (consultato il 04/01/2016,
ore 18.35).
55
38
rappresentata interamente nel Parlamento, non più preminenza della
dottrina dello Stato, così come aveva caratterizzato la storia della
monarchia italiana liberale prima e fascista poi, ma una teoria della
Costituzione e del suo primato. Il secondo obiettivo fu la creazione di
uno Stato Sociale, nel tentativo di sostituire allo stato liberale di diritto
una nuova forma di Stato pluriclasse, che intervenisse nella direzione
dell’economia e della società, che riconoscesse la centralità dei partiti
e tutelasse i cittadini assicurando loro i diritti sociali, che erano la vera
innovazione rispetto alle Costituzioni liberal-borghesi.
39
2.2 La sovranità «emana», «risiede» o «appartiene» al popolo?
Il dibattito in Commissione e Assemblea Costituente
Assodato dunque il principio filosofico dell'antecedenza della
persona umana rispetto alla Stato sorto sulle basi del giusnaturalismo
moderno, e stabilito il concetto fondante della sovranità popolare
come modalità principale dell'esercizio democratico del popolo, non
resta che analizzare come questo concetto sia stato sviscerato ed
analizzato nel corso dei dibattiti in Commissione e Assemblea
Costituente, fino a raggiungere la forma definitiva.
Nelle sedute del 22 e 24 gennaio 194757 , in sede di Commissione,
si procedette al riesame del secondo comma del I articolo, quello
specificatamente relativo al concetto di sovranità del popolo, che
appariva in questi termini:
«L'Italia è una Repubblica democratica. La sua sovranità emana
dal popolo e si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione e
delle leggi.»58
L’articolo così formulato era stato presentato dal Comitato di
redazione, un organo di raccordo, composto da 18 membri, e posto tra
le Sottocommissioni e la Commissione.
Emersero sin da subito le proposte alternative alla formula «emana
dal popolo».
Lucifero,
esponente
dell'ideologia
monarchica,
propose
in
sostituzione le parole «risiede nel popolo», facendo leva sul concetto
secondo cui far risiedere la sovranità nel popolo fosse il tratto
distintivo tra repubblica e monarchia. Il fatto di dire che la sovranità
fosse un'emanazione o profanazione avrebbe significato, a suo avviso,
Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria sedute dal 20 luglio 1946
al 1° febbraio 1947, sedute di mercoledì 22 gennaio 1947 e venerdì 24 gennaio 1947, in La Costituzione
della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma,
Camera dei Deputati, 1971, pp. 137-143; 161-164.
58
Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria sedute dal 20 luglio 1946
al 1° febbraio 1947, sedute di mercoledì 22 gennaio 1947, cit., p. 164.
57
40
che il popolo, in un futuro imprecisato, avrebbe potuto anche
spogliarsi di questa sovranità investendone i suoi delegati.
Il democristiano Merlin Umberto avanzò una proposta che aveva
per modello la Costituzione della Repubblica francese: «la sovranità
nazionale appartiene al popolo francese».
Tosato, deputato Dc e docente di Diritto Costituzionale
profondamente cattolico, difendendo la dicitura proveniente dal
Comitato di redazione e controbattendo la proposta di Lucifero,
affermò che la sua formulazione avrebbe avuto ragion d'essere solo
nel momento in cui qualsiasi decisione politica fosse derivata
direttamente dal popolo, come ad esempio nel caso del referendum.
Ma nel caso della nostra Costituzione, a base parlamentare
rappresentativa, ciò avveniva molto raramente ed era quindi più esatto
mantenere la formula «la sovranità emana dal popolo». Il termine
«risiede» esprimeva, a suo avviso, un concetto di permanenza, per cui
la sovranità non avrebbe potuto essere delegata.
Vennero posti ai voti i vari emendamenti ma la Commissione
approvò la formula cosi come era stata presentata inizialmente dal
Comitato di redazione.
La
discussione
proseguì,
successivamente,
in
Assemblea
Costituente in data 22 marzo 194759. In questa occasione i Costituenti,
partendo
dalla
formulazione
proveniente
dalla
Commissione,
discussero attorno alla proposta, di natura formale, di sostituire il
verbo «emana», con i sinonimi, «risiede» o «appartiene».
Lucifero ripropose la formula già presentata in Commissione di
«risiede», la quale, secondo lui,
andava sostituita ad «emana» in
quanto il potere non solo apparteneva al popolo ma in questo
costantemente risiedeva, il termine «emana» invece poteva essere
interpretato in futuro come una sorta di sovranità trasferita o delegata;
«risiede» inoltre andava sostituito anche ad «appartiene», poiché gli
Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato 22 marzo 1947,
in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell'Assemblea Costituente,
vol. I, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp. 565-587.
59
41
organi attraverso cui il potere si esercitava agivano in nome del
popolo ma non avevano la sovranità. Lucifero, a supporto del suo
pensiero dunque, utilizzava concetti di diritto privato, differenziando
fra diritto di proprietà e diritto di possesso: «Emana dà il senso di una
sovranità che si può trasferire agli organi i quali la esercitano;
quell'appartiene dà un senso di proprietà; mentre il termine risiede
consolida il possesso, non la proprietà»60
La formula «appartiene» venne propugnata da un nutrito gruppo di
costituenti tra cui il democristiano Cortese, il quale affermava che
mentre i poteri emanavano dal popolo, la sovranità invece apparteneva
al popolo e Fanfani secondo cui la formula «appartiene» era
sufficiente ad indicare contemporaneamente la fonte, il fondamento e
il delegante della sovranità ossia il popolo.
Ruini61, Presidente della Commissione per la Costituzione, spiegò
al termine degli emendamenti indicati, le motivazioni che portarono
in sede di Commissione ad optare per il termine «emana», poiché,
considerato tra i vari sinonimi quello più dinamico, ma non si oppose
ad adottare un'altra espressione perché tutte quelle proposte erano
sinonimi e ironicamente affermò che non sarebbe stato affatto
opportuno dilungarsi ora in sede di Assemblea su una discussione
squisitamente letteraria e perder tempo a «bizantineggiare». Concluse
affermando che, poiché il termine «appartiene» ebbe una adesione più
larga, si dichiarò, a nome della Commissione, favorevole ad
accettarla.
In sede di votazione finale, il secondo comma del primo articolo fu
accolto a maggioranza nella seguente formula:
Ivi, p. 574.
Meuccio Ruini nel 1913 candidato radicale, fu eletto deputato. Vicino a Nitti, condivideva con questi
l'impegno per il superamento della questione meridionale, nel quadro di un progetto politico volto a
promuovere l'espansione produttiva dell'intero paese. Contrario al fascismo, partecipò alla secessione
dell'Aventino e dopo il 1942 riprese l'attività politica e partecipò alla lotta clandestina contro il regime.
Esponente del Partito democratico del Lavoro, nel 1947 presiedette la Commissione dei 75 incaricata di
redigere la costituzione della Repubblica.
Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/meuccio-ruini/ consultato il 05/01/2016, ore 11.45).
60
61
42
«[…] La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme
e nei limiti della Costituzione.»62
Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato 22 marzo 1947,
in op. cit., p. 587.
62
43
Capitolo 3. Il lavoro come fondamento morale di un
popolo libero
3.1 Togliatti e il fronte delle sinistre per una «Repubblica di
lavoratori»
Come è stato in precedenza affermato, uno degli elementi di novità
dovuti alla caduta del regime fascista fu l’affermarsi dei grandi partiti
di massa che si riunirono e si organizzarono per poi essere i principali
protagonisti nel processo di democratizzazione del Paese
63
. In
particolare, ad affermarsi furono i due partiti di ispirazione marxista: il
Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP) e il Partito Comunista
Italiano (PCI).
Il primo partito a riorganizzarsi fu il PCI. Gli iscritti erano passati
da 5-6.000 del 25 luglio 1943 al 1.800.000 della fine del 1945, diffusi
in tutta la penisola, unico contraltare rispetto all’organizzazione
cattolica 64 . L’organizzazione comunista traeva forza sia dal ruolo
egemone ricoperto durante il periodo della lotta antifascista, sia dal
mutamento avvenuto a livello organizzativo e ideologico sotto la
gestione del segretario Palmiro Togliatti. Non era più il piccolo partito
nato dalla scissione di Livorno del 1921, ma dimostrava di volersi
inserire nelle istituzioni democratico-parlamentari, senza tuttavia
rinnegare il proprio legame con l’URSS e senza cessare di portare
avanti le aspettative della classe operaia 65 . All’appuntamento delle
elezioni per la Costituente, il partito comunista aveva come obiettivo
quello di cercare di consolidare l’alleanza tra i tre partiti di massa
(PCI-PSIUP-DC) capace di governare e di condurlo alle elezioni
politiche. Questo obiettivo non fu raggiunto poiché, mentre il PCI
seguitava ad essere il punto di riferimento della classe operaia e
G. Crainz, L’Italia repubblicana, in AA. VV., Storia Contemporanea, Roma, Donzelli, 1997, p. 498.
A. Gambino, Storia del dopoguerra. Dalla Liberazione al potere Dc, Vol. I, Bari, Laterza, 1978, p.
183.
65
G. Sabbatucci, V. Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 ad oggi, Bari, Laterza, 2008, p. 505.
63
64
44
cercava di manifestarsi come un partito progressista, dall’altra parte le
forze interne rendevano impossibile la politica delle larghe alleanze e
crearono una frattura insanabile all’interno dello schieramento di
sinistra, togliendone peso ed efficacia66.
Il Partito Socialista di Unità Proletaria, che aveva assunto il nome
nel 1943, appariva un partito diviso. Da una parte caratterizzato da un
orientamento prettamente legato al marxismo e alla visione classista,
per cui era naturale un’alleanza con i comunisti, e perfino una fusione
con questi venne proposta durante il Congresso dell’agosto del 1945 67;
dall’altra vi era una tendenza più aperta ad influenzare i liberali e
quindi polemica e distante rispetto al modello portato avanti dal
socialismo autoritario del modello sovietico 68 . Questa divisione
interna si inasprì nel 1947, quando il PSIUP subì la scissione,
denominata di «Palazzo Barberini». Da questa scissione nascevano
PSI e PSLI (Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, successivamente
cambiò nome in PSDI, Partito Socialista Democratico Italiano). A
quest’ultimo aderirono cinquantadue dei centoquindici eletti socialisti
nella Costituente69.
Alle
elezioni
del
2
giugno,
come
è
stato
analizzato,
nell'introduzione, per eleggere i rappresentanti nella Costituente, il
fronte delle sinistre raggiunse quasi il 40% così suddiviso: il PSIUP
ottenne il 20,7% (pari a 4.758.129 voti), quindi 115 seggi, invece il
PCI solo il 19% (pari a 4.356.686 voti) e con 104 seggi 70.
I due partiti di sinistra si presentavano all’appuntamento
costituzionale «senza un progetto complessivo di ordinamento statale,
ma solo con alcuni fermi principi, derivanti da convinzioni ideali,
dall’esperienza compiuta nella collaborazione durante la Resistenza,
66
A. Gambino, Storia del dopoguerra, cit., p. 187.
G. Galli, I partiti politici italiani (1943-2004), Rizzoli, Milano, 2006, p. 46.
68
F. Barbagallo, La formazione dell’Italia democratica, in AA. VV., Storia dell’Italia repubblicana, vol.
I, La costruzione della democrazia, Torino, Einaudi, 1994, p. 78.
69
Ivi, p. 99.
70
M. De Nicolò, Comunisti, socialisti, azionisti, in M. De Nicolò (a cura di), Costituente, costituzione,
riforme costituzionali, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 172.
C. Ghisalberti, Storia costituzionale d’Italia 1848/1948, Vol. II, Laterza, Bari, 1977, pp. 466-467.
F. Barbagallo, La formazione dell’Italia democratica, in op. cit., p. 85.
67
45
dai rapporti di forza contingenti e delle prevedibili prospettive» 71. Ciò
era dovuto, secondo De Nicolò, a causa della priorità data agli
obiettivi sociali ed economici rispetto all’ordinamento costituzionale
da conseguire, dovuto sia da riferimento ideologico fragile rispetto
alla teoria dello Stato, cioè il marxismo, e dalla mancanza di giuristi di
sinistra, che comportava una sorta di diffidenza nei confronti del
formalismo giuridico72.
I riferimenti e i modelli a cui questi partiti guardavano nella stesura
della Costituzione erano molteplici. Primo fra tutti era la Resistenza,
in quanto sia elemento di unità con gli altri partiti, sia perché questi
erano riusciti a ristabilire un rapporto con la società civile. Un altro
modello a cui facevano riferimento era quella della costituzione
dell’Unione Sovietica, come è stato già ampiamente analizzato nel
capitolo I. Questo era un elemento presente anche nelle sedute durante
i lavori dell’Assemblea Costituente e condiviso anche da altri
esponenti di partiti non riconducibili al marxismo, come l’on. Giorgio
La Pira73, esponente del partito della Democrazia Cristiana, il quale,
durante la seduta della Prima Sottocommissione del 26 luglio 1946,
dichiarava
«molto conveniente riferirsi un poco al tipo della Costituzione
sovietica, la quale va dal piano economico a quello culturale, fissando
un sistema integrale di attività che comincia dalla base, dalla vita
fisica, per raggiungere alla vita familiare, economica, amministrativa,
politica, culturale e religiosa» 74.
L’esempio tangibile della volontà di seguire come modello quello
della costituzione sovietica è rintracciabile nella proposta delle sinistre
nell’articolazione del primo articolo della Costituzione italiana.
71
M. De Nicolò, Comunisti, socialisti, azionisti, in op. cit., p. 173.
Ibidem.
73
Per riferimenti biografici consultare il seguente sito: http://www.treccani.it/enciclopedia/giorgio-lapira_(Dizionario-Biografico)/ (consultato il 04/01/2016, ore 16.30).
74
Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di
venerdì 26 Luglio 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica
dell’Assemblea Costituente, vol VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, p. 304.
72
46
I lavori della Prima Sottocommissione, composta da 18 componenti
della Commissione dei 75, che aveva il compito di redigere gli articoli
riguardanti i diritti e i doveri dei cittadini e di cui presidente era
Umberto Tupini, esponente della Democrazia Cristiana75, iniziarono il
26 luglio del 1946.
L’on. Cevolotto76, membro del partito Democrazia del Lavoro, in
qualità di relatore, aveva proposto, durante la seduta del 28 novembre
del 1946, per la stesura del primo articolo, la seguente dicitura: «Lo
Stato italiano è una repubblica democratica»
77
. Le sinistre,
rappresentate in quel consesso dagli onorevoli del PCI Palmiro
Togliatti e Concetto Marchesi e dagli onorevoli del PSIUP Lelio
Basso e Leonetto Amadei, proposero l’aggiunta «di lavoratori» e
successivamente ne proposero la seguente «di lavoratori del braccio e
della mente» 78 .
La proposta venne materialmente presentata da
Palmiro Togliatti79.
La proposta delle sinistre di dare una specificazione al concetto di
democrazia nella parola di «lavoratori» era giustificata dalle parole
dell’on. Marchesi:
«Tutti riconoscono che il lavoro, fattore vecchio dello sfruttamento
umano, è invece nuovo ed imponente nell’organizzazione politica e
sociale della vita pubblica, e la stessa Commissione lo ha affermato
nella formulazione degli articoli Pertanto va approvata l’aggiunta
proposta dall’onorevole Togliatti, la quale non intende per lavoratori
soltanto quelli del braccio, ma tutti coloro che convertono la propria
attività individuale in un’attività sociale. La parola «lavoratori», che
poteva destare sospetti e avversioni mezzo secolo fa, oggi, dopo
75
Per altri riferimenti cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/umberto-tupini/ (consultato il 5/1/2016, ore
11.52).
76
Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/mario-cevolotto_(Dizionario-Biografico)/ (consultato il
5/1/2015, ore 17.04).
77
Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di
giovedì 28 Novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica
dell’Assemblea Costituente, vol VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, p. 727.
78
Ibidem.
79
Protagonista, insieme a De Gasperi e a Nenni, del processo di ricostruzione politica, culturale ed
economica dell’Italia nel secondo dopoguerra, Togliatti era segretario del Partito Comunista dal 1927 e
ricoprì questa carica fino alla morte. In quegli anni ricopriva la carica di Ministro della Giustizia. Cfr.
http://www.treccani.it/enciclopedia/palmiro-togliatti/ (consultato il 5/1/2015, ore 17,16).
47
quanto è avvenuto, non può significare altro che il cittadino nella più
alta espressione della propria attività.» 80
Fin da subito la proposta di Togliatti trovò forte opposizione,
soprattutto nelle file dei rappresentanti di destra e, in particolare nella
persona dell’on. Grassi81, esponente del partito di destra denominato
Unione Nazionale Democratica, il quale, durante la discussione, si
espresse con le seguenti parole:
«Si dichiara favorevole a che la Costituzione stabilisca che il
lavoro partecipa in pieno alla democrazia italiana; è contrario invece
alla dizione «repubblica di lavoratori», perché essa fa sorgere il
sospetto che si parli di una repubblica classista e non più di una
repubblica democratica per tutto il popolo»82
Togliatti si trovò, quindi, nelle condizioni di dover ritirare, già nella
Prima Sottocommissione, la sua proposta e dovette accettare la
proposta dell’on. Cevolotto che così, dallo stesso autore, venne
presentata:
«Lo Stato italiano è un Repubblica democratica. Essa ha per suo
fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori
all’organizzazione economica, sociale e politica del Paese.» 83.
Tale proposta venne approvata a maggioranza con dodici voti
favorevoli e quattro contrari, dei quali due erano degli esponenti della
destra: Lucifero e Mastrojanni.
Il Comitato di redazione, che era un organo organizzativo
incaricato di redigere il testo del progetto della Costituzione a mano a
mano che le Sottocommissioni procedevano con il loro lavoro,
presentò l’articolazione del primo articolo nel seguente modo:
80
Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di
giovedì 28 Novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica
dell’Assemblea Costituente, vol VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, p. 728.
81
Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-grassi_res-42b02af4-87ee-11dc-8e9d0016357eee51_(Dizionario-Biografico)/ (consultato il 5/152016, ore 18.20).
82
Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di
giovedì 28 Novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica
dell’Assemblea Costituente, vol VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, p. 729.
83
Ivi, p. 733.
48
«L’Italia è una Repubblica democratica. La sua sovranità emana
dal popolo e si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione e
delle leggi.
Il lavoro è l’essenziale fondamento dell’organizzazione politica
economica e sociale della Repubblica italiana.» 84
Anche in sede di Commissione, nella seduta del 22 gennaio del
1947, l’on. Togliatti presentò l’emendamento, ed anche in questa sede
gli venne addebitata l’accusa di voler creare una repubblica con
carattere classista e quindi con un’idea contraria a quella che avrebbe
dovuto essere il vero spirito di conciliazione che essa avrebbe dovuto
esprimere fin dal primo articolo. Perfino il socialista Emilio Lussu
espresse parere contrario alla proposta di Togliatti poiché riteneva che
all’epoca non esisteva «una Repubblica democratica di lavorati o del
lavoro, in ogni senso, dell’intelligenza e della mano»85 e riteneva che
se
avesse
accettato
l’emendamento
proposto
avrebbe
avuto
«l’impressione di riportare nella Costituzione italiana la menzogna
dell’articolo 1 della Costituzione spagnola del 1931. Quella
Repubblica dei lavoratori non esisteva; era insidiata molto più
gravemente che non la nostra; e cadde; appunto perché non
esisteva»86 . Togliatti cercò di difendere le proprie ragioni anche in
questa sede, sostenendo che l’espressione «lavoratori» non avesse un
«carattere limitativo; se così fosse, eguale carattere limitativo avrebbe
l’espressione «lavoro». […] Se vi è questo timore, si può usare la
formula «lavoratori di tutte le categorie», oppure «lavoratori del
braccio e della mente.»87 Inoltre, sempre Togliatti sosteneva:
«È necessaria, invece, una formulazione incisiva con cui si apra la
Costituzione, come una affermazione di principio da imprimersi nella
mente di tutti i cittadini: questo è ciò che conta, questo ha un valore
84
Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria seduta 1946 al 1°
febbraio 1947, sedute di mercoledì 22 gennaio 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori
preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971,
p.139.
85
Ivi, p. 140.
86
Ibidem.
87
Ivi, p. 141.
49
non soltanto politico, ma anche storico. Ritiene che coloro i quali sono
d’accordo sulla sostanza di tale principio, dovrebbero accettare anche
che venisse chiaramente formulato»88.
La proposta non venne approvata nemmeno in sede di
Commissione e all’Assemblea plenaria arrivò il primo articolo così
formulato:
«L’Italia è Repubblica democratica. Essa ha per fondamento il
lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
La sovranità emana dal popolo e si esercita nelle forme e nei limiti
della Costituzione e delle leggi.»89
In Assemblea Costituente la discussione si fece più intensa.
L’emendamento venne presentato sia dagli onorevoli del PCI, Giorgio
Amendola, Renzo Laconi, Leonilde Iotti e Ruggiero Grieco, e
simultaneamente dagli onorevoli: Lelio Basso (PSI), Ferdinando
Targetti (PSI), Pietro Nenni (PSI), Paolo De Michelis (PSI), Fausto
Gullo (PCI) e Palmiro Togliatti (PCI).
Emblematica
dall’onorevole
a
del
difesa
Partito
dell’articolo
fu
Repubblicano
l’intervento
Italiano,
fatto
Randolfo
Pacciardi 90 , il quale dichiarava che il gruppo repubblicano avrebbe
sostenuto la formula della proposta dei socialisti e dei comunisti e che
avrebbero votato a favore anche i gruppi facenti parte del Partito
Socialista dei Lavoratori Italiani, del Partito Democratico del Lavoro e
del Partito D’Azione. La scelta veniva così giustificata dallo stesso
onorevole:
«[…] Il fatto che l’espressione «Repubblica democratica» precede
l’attributo di «lavoratori» toglie ogni dubbio al significato di questa
88
Ibidem.
Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria seduta 1946 al 1°
febbraio 1947, sedute di mercoledì 24 gennaio 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori
preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971,
p.164.
90
Una figura significativa come poche altre nel Novecento italiano, esponente del Partito Repubblicano
Italiano, mazziniano, eroe antifascista e poi convinto anticomunista, presidenzialista e gollista. Per
informazioni biografiche consultare http://www.treccani.it/enciclopedia/randolfo-pacciardi/ (consultato il
6/1/2016, ore 16.47).
89
50
dizione: non si tratta di una Repubblica classista, si tratta di una
Repubblica democratica. […] Per noi la Repubblica è una profonda
trasformazione della vita collettiva, della vita associata della Nazione,
nel senso politico, nel senso economico e sociale, nel senso morale.»91
Il repubblicano Pacciardi sosteneva, quindi, che la Repubblica
fosse un concetto di profonda innovazione per il Paese e non solo in
senso politico, economico e sociale, ma soprattutto in senso morale.
Da qui la necessità di aspirare ad una Repubblica che fosse libera
«cioè snodata; cioè decentrata; cioè autonomistica; libera, cioè che
tenda ad avvicinare lo Stato al popolo, anche che metta lo Stato al
servizio del popolo, anziché il popolo al servizio dello Stato» 92. Ed
ecco perché fosse anche fondamentale che la Repubblica fosse «di
lavoratori», cioè dotata di una legislazione non per oziosi e i parassiti
ma
«una legislazione per i lavoratori, per tutti i lavoratori; i lavoratori
del braccio, i lavoratori del pensiero, i lavoratori di ogni categoria: i
contadini come gli operai, gli artigiani come i piccoli proprietari, gli
impiegati, gli artisti, i professionisti, tutti coloro insomma che vivono
del proprio lavoro e che non sfruttano il lavoro altrui» 93.
Seguendo questa linea di pensiero, i repubblicani erano sicuri di
rendere al meglio il pensiero del loro più illustre rappresentante, cioè
Giuseppe Mazzini, il quale venne citato dall’onorevole con le seguenti
parole:
«La rivoluzione che arriva dovrà fare per il proletario, cioè per le
classi popolari, per gli uomini del lavoro, ciò che le rivoluzioni
passate fecero per i borghesi: lavoro per tutti, ricompensa
proporzionata per tutti; ozio e fame per nessuno. […]. Il grande
pensiero sociale che oggi fermenta in Europa può così definirsi:
abolizione del proletariato; emancipazione dei lavoratori dalla
tirannide del capitale concentrato in un piccolo numero di individui;
91
Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato 22 marzo 1947,
in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell'Assemblea Costituente,
vol. I, Roma, Camera dei Deputati, 1971, p. 579.
92
Ibidem.
93
Ibidem.
51
all'emancipazione dello schiavo tenne dietro quella del servo, e quella
del proletario deve seguirle» 94.
Infine,
l’onorevole
repubblicano,
partendo
dal
pensiero
mazziniano, teorizzava la teoria dell'emancipazione del proletariato.
Cosi come in passato ebbe luogo l'emancipazione del patriziato a
discapito del dispotismo monarchico, della borghesia a discapito
dell'alta nobiltà, era giunto il momento che avesse
luogo
l'avanzamento e il riscatto del popolo che, per mezzo di una società
fondata sul lavoro, avrebbe dovuto rovesciare i privilegi della
borghesia proprietaria e capitalistica, per mezzo di una società che
avrebbe accettato solo i privilegi dell'intelletto virtuoso e intelligente.
La votazione nominale su questa proposta, come è noto, diede esito
negativo per soli 12 voti95. Dalla discussione in Assemblea plenaria si
può considerare come la parola «lavoratore» perdesse quel significato
classista che gli era stato attribuito nelle precedenti sedute, ma veniva
ad assumere un significato larghissimo ed umano, comprendendovi
ogni sorta di lavoro, non solo manuale e salariato, ma anche
intellettuale, di professionisti.
94
95
Ibidem.
I presenti che votarono furono 466 e risposero si 227 e no 239. Ivi, p. 581.
52
3.2 Una formula di compromesso. La Democrazia cristiana e la
“Repubblica democratica fondata sul lavoro”
Si giunse all'accettazione della formula definitiva del primo
articolo solo nell'ultima seduta in Assemblea Costituente del 22 marzo
1947, su proposta di Fanfani, esponente della Democrazia Cristiana.
In questa sede si analizzerà quanto lungo e faticoso è stato il
raggiungimento di questo traguardo, e come solo grazie al
compromesso linguistico si giunse ad una scelta definitiva,
compromesso che ha transitato nella formula «lavoro» l'ideologia
delle sinistre, che come è stato delineato nel paragrafo precedente,
puntava alla dicitura «Repubblica di lavoratori», rendendola più
neutra; compromesso che si è ispirato alla riaffermazione del valore
del lavoro e della solidarietà, in un nuovo clima democratico.
Si vedrà il percorso che la posizione dei democristiani ha seguito
nel corso degli incontri, avvenuti prima in I Sottocommissione, poi in
Commissione ed infine in Assemblea Costituente.
La discussione tenutasi in I Sottocommissione in data 28 novembre
1946 96 ebbe inizio con l'accettazione all'unanimità della formula
proposta dall’onorevole Cevolotto:
«Lo Stato italiano è una repubblica democratica»97.
Le questioni che emersero furono fondamentalmente relative
all’aggettivazione del termine democrazia; ci si chiese su cosa potesse
fondarsi concretamente la nuova repubblica e si discusse circa la
possibilità di ampliare l'articolo ponendo il principio del lavoro come
base ideologica. Questo per distinguere il nuovo tipo di Costituzione,
diversa dalle precedenti costituzioni di stampo liberale e ottocentesco,
Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di
giovedì 28 novembre 1946, in a Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica
dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp.727-733.
97
Ivi, p. 727
96
53
fondate sulla libertà e la proprietà privata; una costituzione che
potesse rispecchiare un nuovo tipo di democrazia avente per
fondamento il lavoro, non più a base individualistica ma collettiva,
composta da lavoratori. Su questa base l’On. Togliatti, come è stato
visto nel precedente paragrafo, avanzò la proposta di aggiungere alle
parole: «repubblica democratica» anche la dicitura «di lavoratori».
Tale proposta destò notevoli contrarietà negli altri costituenti, i quali
pur riconoscendo il primato che spettava al lavoro nello Stato italiano,
la consideravano difettosa e bisognosa di aggiunte, specificazioni o
modifiche. Ed ecco che intervenne la Dc con la proposta di Moro di
sostituire alla formula: «di lavoratori» quella di «fondata sul lavoro e
sulla solidarietà sociale», per ovviare ad una eventuale interpretazione
dell’affermazione di Togliatti come quella di una particolare
ideologia, di uno speciale partito. Anche La Pira, anch'esso
democristiano, riconoscendo che la democrazia si dovesse oramai
considerare di due tipologie: una limitata al campo politico, derivata
dai principi liberali del 1789, e una estesa al campo dell’economia, si
espresse sulla necessità di ampliare il concetto di democrazia in
rapporto alla situazione attuale estendendolo al campo economico.
In questa sede vennero però respinte entrambe le proposte: sia la
formula «di lavoratori» sia quella «fondata sul lavoro e sulla
solidarietà sociale».
Inoltre, Moro propose di aggiungere alla formula del primo articolo
una definizione che si rifacesse agli articoli riguardanti il lavoro e i
rapporti economici già approvati in Prima Sottocommissione in questi
termini:
«Il lavoro e la sua partecipazione concreta nelle organizzazioni
economiche, sociali e politiche è il fondamento della democrazia
italiana».
Tale formula venne respinta, in favore invece della formulazione
approvata dal Comitato di coordinamento:
54
«Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta
di tutti i lavoratori alla organizzazione economica, sociale e politica
del Paese».
L' intero articolo, posto al vaglio dei Costituenti, venne così
approvato con 12 voti favorevoli e 4 contrari secondo la formula
conclusiva:
«Lo Stato italiano è una Repubblica democratica. Essa ha per suo
fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori
all’organizzazione economica, sociale e politica del Paese».98
Successivamente, l'articolo subì una serie di modifiche nel corso
delle sedute successive prima di arrivare ad assumere la forma
definitiva che leggiamo oggi.
La seduta della Commissione, in data
22 gennaio 194799, si aprì con l'analisi dell'articolo così come era stato
approvato dal Comitato di redazione, il quale, come è stato visto, era
un organo di raccordo. Questo appariva in questi termini:
«L'Italia è una Repubblica democratica. La sua sovranità emana
dal popolo e si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione e
delle leggi.
Il lavoro è l'essenziale fondamento dell'organizzazione politica,
economica e sociale della Repubblica italiana».
Nella seconda seduta della Commissione dei 75 Ruini , che era
stato presidente del lavori nel Comitato di redazione spiegò e riepilogò
efficacemente le motivazioni che spinsero il suddetto Comitato a
modificare il testo approvato in I Sottocommissione, facendo leva su
questioni prettamente formali: nel primo comma all'espressione «lo
Stato italiano» si preferì «l'Italia» con il risultato della formula
definitiva: «L'Italia è una Repubblica democratica»; questa scelta fu
preferita affinché fosse l'idea di Repubblica quella ad avere
Ivi, p. 733.
Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria sedute dal 20 luglio 1946
al 1° febbraio 1947, seduta di mercoledì 22 gennaio 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori
preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, cit., pp. 137-143.
98
99
55
preminenza e non quella invece di Stato.
Riguardo al secondo
comma: «Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione
concreta di tutti i lavoratori all'organizzazione economica, sociale e
politica del Paese», questo venne modificato in «il lavoro è
l'essenziale fondamento dell'organizzazione politica, economica e
sociale della Repubblica italiana». Tale modifica venne apportata con
la volontà di affermare che il lavoro era il fondamento della
Repubblica e non che fosse stato lo Stato ad avere come fondamento il
lavoro. Dopo l'esplicazione di Ruini e la votazione finale il testo
definitivo approvato in sede di Commissione apparve il seguente:
«L'Italia è una Repubblica democratica. Essa ha per fondamento il lavoro
e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all'organizzazione politica,
economica e sociale del Paese. La sovranità mana dal popolo che la esercita
nelle formule e nei limiti della Costituzione e delle leggi»100.
Fu solo durante la seduta finale del 22 marzo 1947
101
in Assemblea
Costituente che si giunse alla stesura definitiva dell'articolo I: Fanfani,
Grassi, Moro, Tosato, Bulloni, Ponti, Clerici compattamente
presentarono il seguente emendamento:
«L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei
limiti della Costituzione.»
Fanfani102, portavoce del gruppo procedette nella esplicazione della
scelta elencando tutte le varie proposte che vennero presentate dagli
Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria sedute dal 20 luglio 1946
al 1° febbraio 1947, seduta di venerdi 24 gennaio 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori
preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, cit., pp. 163-164.
101
Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato 22 marzo 1947,
in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell'Assemblea Costituente,
cit., 1971, pp. 565-587.
102
Fanfani: esponente di spicco della Dc, economista e storico italiano. È stato tre volte presidente del
Senato, cinque volte presidente del Consiglio dei ministri fra il 1954 e il 1987, due volte segretario della
Dc e presidente del partito, Ministro degli affari esteri, Ministro dell'interno e Ministro del bilancio e della
programmazione economica. Viene considerato, insieme a Moro, Nenni, Saragat e La Malfa, uno degli
artefici della svolta politica del centro-sinistra, con cui la Dc volle avvalersi della collaborazione
governativa del PSI. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/amintorefanfani_(Il_Contributo_italiano_alla_storia_del_Pensiero:_Economia)/ consultato il 16/01/2016, ore
18:59)
100
56
altri orientamenti sulla questione della specificazione del concetto di
democrazia che, come si è visto, peccando di ambiguità, generò non
poche
controversie.
L'onorevole
rimproverava
al
testo della
Commissione il secondo comma che si presentava in senso puramente
esplicativo, tanto da rendere l'intero articolo I non omogeneo e non
sufficientemente sintetico. Da qui necessità di cercare una omogeneità
di fondo, spinse gli onorevoli promotori della formula a contrarre i
primi due commi in unico comma e avvicinare, rendendo omogeneo
tutto l'articolo, la materia del primo a quella del terzo comma. Nacque
in questo modo la formula:
«L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro».
Fanfani spiegò con queste parole il concetto espresso sopra:
«Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro si esclude che
essa possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica
altrui e si afferma invece che essa si fonda sul dovere di contribuire al
bene della comunità nazionale»103.
Terminò definendo in concetto stesso di lavoro:
«Niente
pura esaltazione della fatica muscolare, come
superficialmente si potrebbe immaginare, del puro sforzo fisico; ma
affermazione del dovere d'ogni uomo di essere quello che ciascuno
può, in proporzione dei talenti naturali, sicché la massima espansione
di questa comunità popolare potrà essere raggiunta solo quando ogni
uomo avrà realizzato, nella pienezza del suo essere, il massimo
contributo alla prosperità comune»104.
L'espressione «fondata sul lavoro» rappresentò, dunque, la vera
novità, il tema di fondo, il fulcro della nuova Carta Costituzionale.
Solo in questo modo, secondo i democristiani, pur avendo mantenuto
la novità di una repubblica fondata sul lavoro, riuscì ad aggirare
103
104
Ivi, p. 571
Ibidem.
57
l'ostacolo di un pericolo classista, quale poteva apparire con la
formula presentata dalle sinistre.
58
3.3 Il fronte delle destre e le altre proposte: la discussione
attorno ai concetti di «giustizia sociale», «diritti di libertà e diritti
del lavoro», «solidarietà del lavoro umano»
Come si è avuto modo di leggere precedentemente, la discussione
intorno all'articolo I tenutasi nella data del 28 novembre 1946 105 ,
sviluppò un acceso dibattito riguardante la possibilità di ampliamento
dell'articolo attraverso una specificazione del concetto democrazia. La
prima proposta ruotante attorno al principio del lavoro venne invece
fortemente avversata dal fronte delle destre ed in particolare dai
filomonarchici Lucifero106 e Mastrojanni, e dal liberale Grassi, i quali,
contrari all'assetto repubblicano, cercarono per lo meno di rendere la
dicitura vaga e indefinita nella prospettiva di una eventuale
riproposizione monarchica.
Sia Grassi, esponente di spicco dell'Unione democratica nazionale,
di stampo liberale che Mastrojanni, appartenente al Fronte dell’Uomo
qualunque erano totalmente contrari all’inserimento di specificazioni
del concetto di democrazia. Il primo si opponeva alla dizione
«Repubblica di lavoratori» perché essa, secondo il suo pensiero,
avrebbe potuto far sorgere il sospetto che si trattasse di una repubblica
classista e non più una repubblica democratica per tutto il popolo. Il
secondo invece si opponeva all’inserimento della categoria generica di
Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta di
giovedi 28 novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica
dell’Assemblea Costituente, cit..
106
Lucifero di professione avvocato, dopo l'8 settembre 1943 partecipò alla Resistenza
romana nelle file del Centro della democrazia italiana, una formazione monarchica clandestina;
subito dopo la liberazione di Roma partecipò alla costituzione del Partito democratico italiano ,
divenne la firma di punta del quotidiano monarchico Italia nuova, dalle cui pagine prese ad
attaccare le misure di epurazione antifascista del governo Bonomi e la "dittatura" del Cln,
insrendosi cosi da subito nella posizione della destra reazionaria . Il 2 giugno 1946 fu eletto
all'Assemblea costituente nelle liste del Blocco nazionale della libertà (composto dal PDI, dal
Centro democratico e dalla Concentrazione democratico liberale) di spiccato orientamento
monarchico.Alla Costituente si dichiarò contrario alla caratterizzazione in senso antifascista
della Costituzione, sostenendo che essa non avrebbe dovuto contenere alcun riferimento "né in
forma positiva, né in forma negativa" al fascismo.
Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/roberto-lucifero_(Dizionario_Biografico)/ (consultato il
16/01/2016, ore 19:31)
106
Ivi, p. 729.
105
59
lavoro, in quanto riteneva necessario, per integrare il concetto di
democrazia, tenere conto di tutti gli elementi su cui l’istituzione
democratica avrebbe dovuto porre le basi e, solo uno dei vari elementi
era stato individuato, ossia il lavoro. La Costituzione non avrebbe
dovuto dar preferenza ad uno solo dei principi ma riconoscerli tutti. La
Repubblica doveva, a parer suo, dare uguale asilo anche ai non
appartenenti alla categoria di lavoratori, in quanto il vero concetto di
democrazia era: «asilo per tutti, tolleranza per tutti» 107 . Lucifero,
costituente
simbolo del
Blocco nazionale
della
Libertà, di
orientamento nazionalista e conservatore, ampliò la linea oppositiva di
Grassi e Mastrojanni, dichiarando che avrebbe votato contro
qualunque aggiunta alle parole «Lo Stato italiano è una repubblica
democratica» poiché riteneva che qualunque aggettivazione alla
parola democrazia potesse dare alla Costituzione un valore
programmatico, una certa determinata tendenza politica. Lucifero,
risultò essere già da ora una personalità di spicco all'interno del
dibattito costituzionale, dallo spirito combattivo e intransigente si
scontrò spesso con tutte le proposte avanzate sia delle sinistre che
dalla Democrazia cristiana, sia per quanto riguardava l'aggettivazione
della democrazia che soprattutto l'avocazione dei beni di Casa Savoia,
argomento in merito al quale fu particolarmente acceso nel difendere
la causa della spodestata famiglia monarchica.
Successivamente, l'articolo subì ancora una serie di modifiche; in
particolare di natura formale, nelle sedute, in Commissione,
rispettivamente del 22 e 24 gennaio 1947
108 .
In questa sede si
procedette alla revisione della formulazione dell'articolo cosi come era
stato approvato dal Comitato di Redazione. Il dibattito si accese in
merito, ancora una volta, alla proposta avanzata da Togliatti, quella
Ivi, p. 729.
Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria sedute dal 20 luglio
1946 al 1° febbraio 1947, sedute di mercoledì 22 gennaio 1947 e venerdì 24 gennaio 1947, in La
Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, cit.,
pp. 136-143; 162-164.
107
108
60
cioè di emendare la forma scarna adottata in Sottocommissione e
approvata dal Comitato di Redazione «L'Italia è una Repubblica
democratica», aggiungendovi l'efficace dicitura «di lavoratori»,
formula che, come è stato visto, era stata demandata di volta in volta
fino a giungere al vaglio dell'Adunanza Plenaria proprio a causa del
carattere controverso e scottante che ne scaturiva. Gli oppositori,
mossi dal timore di una Repubblica classista, si scagliarono
fortemente contro tale aggiunta adducendo una serie di motivazioni di
natura prettamente ideologica. Oltre al fronte delle destre, il cui
pensiero venne acutamente riassunto dalle parole di Grassi secondo
cui
«L'emendamento in questione darebbe l'idea di una Repubblica a
carattere classista, ovvero una Repubblica specializzata, a cui si
sentirebbero appartenenti una sola categoria di cittadini, una sola
classe»109
fu anche una parte della Dc questa volta ad allinearsi cu questo
pensiero. In particolare, Cappi pur considerando il lavoro l'attività
preminente della neonata Repubblica, fece notare come in quel
momento la parola lavoratore avesse acquisito un significato diverso
da quello etimologico, andando a racchiudere soltanto la categoria del
lavoratore materiale, tant'è vero che nella Confederazione del lavoro
erano compresi solo i lavoratori manuali. Dunque, anche secondo
Cappi, adottando la formula delle sinistre si correva il rischio di
instaurare una repubblica classista.
La formula del primo comma definitivamente accettata in questa
sede fu la seguente:
«L'Italia è una Repubblica democratica. Essa ha per fondamento il
lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
61
Come si può notare, nonostante il lavoro divenne il fulcro attorno a
cui far ruotare il nuovo assetto politico dell'Italia, la formula rimase
ancora quella vaga della Prima Sottocommissione, senza alcuna
specificazione. Si dovrà aspettare l'ultima seduta in Assemblea
Costituente per poter finalmente avere il I articolo cosi come lo
leggiamo ora con l'importanza accordata al concetto di lavoro, che è
davvero la novità caratterizzante del nostro testo.
La discussione del 22 marzo 1947 110 svoltasi in Assemblea
Costituente, partiva dunque dall'analisi del testo così come era stato
approvato in Commissione e che è stato riportato sopra. In questa sede
il fronte delle destre non si limitò più ad opporre resistenza alla
formula delle sinistre e della Dc ma propose un serie di modifiche
sostanziali all'articolo, portandone un radicale stravolgimento. Furono
in particolare Coppa e Rodino' 111,i portavoce del Fronte dell'Uomo
Qualunque ad avanzare un emendamento radicale.
Si ricorda che la formula originaria era questa:
«L'Italia è una Repubblica democratica».
Essi proposero di aggiungervi le parole: «fondata sulla giustizia
sociale» affermando che, poiché il concetto di lavoro, avrebbe potuto
dar luogo ad equivoci e portare ad esempio all'instaurazione di una
antitesi all'interno del campo complesso del lavoro stesso, ovvero
quella tra datori di lavoro e prestatori d'opera, sarebbero stati
preferibili i concetti più generici e meno classisti di giustizia sociale e
libertà nella solidarietà. La prima era la mèta da raggiungere, la
seconda il mezzo, lo strumento per raggiungere la suddetta mèta.
Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato 22 marzo 1947,
in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell'Assemblea Costituente,
cit., pp. 565-587.
111
Appartenenti al Fronte dell'Uomo Qualunque: un movimento e, successivamente, un partito politico
dichiaratamente anticomunista, sorto attorno all'omonimo giornale (L'Uomo qualunque) fondato a Roma
nel 1944 dal commediografo e giornalista Guglielmo Giannini, che portava avanti istanze liberalconservatrici e legate all'antipolitica. Cfr: http://www.treccani.it/enciclopedia/l-uomo-qualunque/
(consultato il 16/01/2016, ore 19:47)
110
62
Erano questi, secondo Coppa e Rodinò, veramente i fini degni dello
Stato italiano repubblicano.
Anche Fabbri, di orientamento monarchico si allineò a questo
pensiero facendo leva sulla non originalità del concetto di lavoro, in
quanto dire che uno Stato si fondava sul lavoro significava non
apportare alcuna novità alla Carta Costituzionale, perché questo
principio, secondo il suo pensiero, era sempre esistito, anche in
periodi storici differenti da quello attuale, ad esempio nel periodo del
lavoro schiavista e dello sfruttamento, gli Stati si basavano
fondamentalmente sul lavoro; la necessità di caratterizzare la nostra
Costituzione doveva legarsi all'inserimento di una enunciazione
nuova, che non poteva che essere quella della giustizia sociale che, a
differenza del lavoro, non si era effettivamente realizzata in tutti i
tempi.
Vennero poi aggiunte nuove proposte, alternative a quella di
lavoro, portate avanti da esponenti di varie ideologie, alcuni non
appartenenti necessariamente al pensiero filomonarchico o di destra.
La proposta di La Malfa112,rappresentante del Partito repubblicano
fu la seguente:
«L'Italia è una Repubblica democratica fondata sui diritti di libertà
e sui diritti del lavoro»113
Con questa formula i repubblicani si posero contro la proposta del
PCI, perché, a parer loro, quest'ultima, avrebbe potuto dare l'idea di
una Costituzione a carattere soggettivo e richiamare esperienze
storiche che, benché fossero state di altissimo valore, non
rappresentavano l'attuale esperienza democratica italiana; si posero
inoltre anche contro la proposta della Dc, la cui formula appariva
La Malfa. Con un passato antifascista, fu tra i fondatori del Partito d'Azione, eletto
nel 1946 all'Assemblea Costituente nelle file della Concentrazione Democratica Repubblicana, da lui
fondata con Parri, portò il partito a confluire nel Partito Repubblicano Italiano.
Cfr. http://storia.camera.it/deputato/ugo-la-malfa-19030516 ( consultato il 17/01/2016, ore 15:49)
113
Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato 22 marzo 1947,
in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell'Assemblea Costituente,
cit. p. 575.
112
63
priva di contenuto, troppo generica, facilmente preda di equivoci. Con
«diritti di libertà e diritti del lavoro» invece, si oggettivava, pur
accogliendolo in pieno, il concetto di lavoro, affiancandogli quello
della libertà, che altrimenti sarebbe stato sterile e vago. In questo
modo i repubblicani vollero anticipare e riassumere tutti i diritti
fondamentali che sarebbero stati poi esplicitati in seguito nel corso
dell'elencazione degli articoli successivi: diritti civili, etico-sociali,
economici ecc.
Un'altra proposta fu quella che sostituiva il concetto di lavoro con
quello di solidarietà del lavoro umano, fu formulata dal monarchico
Caroleo e appariva così formulata:
«L'Italia è Repubblica democratica fondata sulla solidarietà del
lavoro umano»114.
Caroleo, esponente del Blocco nazionale della libertà affermava
con le seguenti parole che il lavoro espresso nudamente come
volevano i democristiani appariva privo di concretezza e praticità:
«Ma di quale lavoro si intende parlare? Soltanto del lavoro dei
contadini? Soltanto del lavoro degli operai? O di tutti i lavoratori? O
di tutte le specie di lavoro, e specialmente di quel lavoro intellettuale,
che è la più alta prerogativa dell'uomo, e a cui anche i proletari
aspirano nel loro intenso, diuturno sforzo di proletarizzazione?» 115
Occorreva perciò, a suo avviso, completare il concetto, preferendo
l'espressione «solidarietà del lavoro umano», in quanto solo parlando
di lavoro in termini di solidarietà si sarebbero superate quelle
presupposizioni egoistiche, in quanto lavorare non avrebbe significato
più fornire la prestazione di un'opera per soddisfare esigenze
individualistiche, e si sarebbe superato, in questo modo, qualsiasi
concetto di sfruttamento dell'uomo sull'uomo; il lavoro, di qualunque
tipologia, anche quello domestico, venne nobilitato, divenne una
collaborazione con l'altro e non una subordinazione come in passato.
114
115
Ivi, p. 573.
Ibidem.
64
Conclusione
Durante la seduta del 22 marzo 1947 in Assemblea costituente,
dopo una lunga e controversa discussione circa la specificazione della
democrazia e la vasta gamma di variazioni al termine lavoro, si giunse
alla votazione definitiva. Poiché la novità, come è stato detto, non
risiedeva tanto nella costituzione di una Democrazia in senso lato,
quindi strettamente politica, ma di una democrazia che fosse in primo
luogo una Democrazia sociale ed economica, la Costituzione diede
preminenza ai due elementi nodali: il lavoro, quale frutto
dell’innovazione e la sovranità popolare, quale frutto della tradizione.
Furono tre le formule di specificazione del termine democrazia,
relative al primo comma del I articolo che in questa sede vennero
presentate:la prima era la formula: «L’Italia è una repubblica
democratica di lavoratori», presentata compattamente dagli esponenti
dei Gruppi del Partito Comunista italiano, del Partito Socialista dei
lavoratori italiani, del Partito Democratico del lavoro e del Partito
d’Azione (Amendola, Laconi, Iotti Leonilde, Grieco, Basso, Targetti,
Nenni, De Michelis, Gullo, Togliatti), a cui si aggiunsero anche i padri
costituenti del Partito Repubblicano, capeggiati da Pacciardi. La
seconda proposta era la seguente: «L’Italia è una repubblica
democratica fondata sul lavoro» e venne presentata dal fronte
democristiano composto da Fanfani, Grassi, Moro, Tosato, Bulloni,
Ponti, Clerici. Infine, l'ultima formula voluta da La Malfa, ossia:
«L’Italia è una repubblica democratica fonata sui diritti di libertà e del
lavoro».
La proposta delle sinistre, sottoposta a votazione nominale in sede
di Assemblea Costituente non venne approvata con 239 voti contrari e
227 favorevoli, su 466 votanti 116 . Fu in questa occasione che si
verificò una profonda spaccatura tra comunisti e socialisti; i comunisti
Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato 22 marzo 1947,
in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell'Assemblea Costituente,
cit., p. 581.
116
65
infatti, in maniera clamorosa e sorprendente, bocciarono la proposta di
La Malfa e abbracciarono quella di Fanfani. Queste le parole di
Togliatti in merito:
Di fronte all’alternativa che adesso si presenta, devo dichiarare, a
nome del gruppo al quale appartengo, che noi preferiamo la formula
proposta dall’onorevole Fanfani. […] la formula del collega Fanfani è
quella che più si avvicina a quella che noi avevamo presentato. […] la
formula “repubblica fondata sul lavoro”, si riferisce a un fatto di
ordine sociale, e quindi è la più profonda; mentre la formula che viene
presentata dall’onorevole La Malfa ed altri colleghi, trasferendo la
questione sul campo strettamente giuridico e introducendo anche una
terminologia poco chiara e poco popolare sui “diritti di libertà” e “di
lavoro”, ci sembra sia da respingere. 117
Tosato, esponente democristiano, sostenne la tesi dei suoi colleghi
di partito in questi termini:
Che la democrazia sia fondata sui diritti di libertà e del lavoro è un
fatto acquisito. L’elemento, il fatto nuovo, il momento nuovo da
mettere in particolare rilievo nella definizione dello Stato
repubblicano democratico italiano, è l’elemento del lavoro, ed è per
questo che noi parliamo soltanto del lavoro.118
Il Partito socialista dei lavoratori italiani, il Gruppo democratico
del lavoro e alcuni altri padri costituenti di diverso orientamento
optarono invece per la proposta di La Malfa.
Poste ai voti le due formule, per appello nominale, venne approvata
la formula definitiva che oggi leggiamo nella nostra Costituzione:
«L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro».
Riguardo al secondo comma, dopo un intenso dibattito circa la
ricerca di vari sinonimi al verbo che avrebbe dovuto specificare il
concetto di sovranità (si ricorda il verbo «emana», che era stato
approvato in sede di Commissione e il verbo «risiede» auspicato da
Lucifero) venne approvata la formulazione, ancora una volta
117
118
Ivi, p. 582.
Ivi, p. 583.
66
presentata dal fronte democristiano composto da Fanfani, Grassi e
Moro:
«La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei
limiti della Costituzione».
In via definitiva il I articolo della Costituzione italiana, che è anche
il manifesto programmatico di tutto un sentimento democratico,
repubblicano, innovatore, che caratterizzò il clima di rinascita politica
e morale del secondo dopoguerra, venne espresso in questi termini:
«L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei
limiti della Costituzione».119
119
Ivi, p. 587.
67
FONTI
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seduta di venerdì 26 Luglio 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori
preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei
Deputati, 1971, pp. 303-305.
- Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946,
seduta di lunedì 9 settembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori
preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei
Deputati, 1971, pp. 315-324.
- Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta
di giovedì 21 novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della
Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp.717-726.
- Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946,
seduta di giovedì 28 Novembre 1946, in La Costituzione della Repubblica nei lavori
preparatori della Repubblica dell’Assemblea Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei
Deputati, 1971, pp. 727-736.
- Assemblea Costituente, I Sottocommissione, sedute dal 20 luglio al 19 dicembre 1946, seduta
di venerdì 29 novembre 1946, in “La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della
Repubblica dell’Assemblea Costituente”, vol VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp.738746.
- Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria sedute
dal 20 luglio 1946 al 1° febbraio 1947, sedute di mercoledì 22 gennaio 1947, in La
Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea
Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp. 137-143.
- Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria sedute
dal 20 luglio 1946 al 1° febbraio 1947, sedute di venerdì 24 gennaio 1947, in La
Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Repubblica dell’Assemblea
Costituente, vol. VI, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp. 161-172.
- Assemblea Costituente, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, seduta di sabato
22 marzo 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della
68
Repubblica dell'Assemblea Costituente, vol. I, Roma, Camera dei Deputati, 1971, pp.
565-587.
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