teatro italiano del Primo Novecento

Der autore-attore Eduardo De Filippo (1900-1984) gehört zusammen mit Luigi Pirandello und Dario Fo zu einer Art "Tre corone" des italie-nischen Theaters des Novecento. In seinen Cantate der "geraden" bzw. der "ungeraden" Tage hat er ein umfangreiches OEuvre hinterlassen, das im vorliegenden Band unter zwei komplementären Aspekten analysiert wird. Dabei handelt es sich einerseits um die durch sowohl materielle als auch immaterielle Kulturgüter erfolgende Zelebration von Neapels populärer Kultur und andererseits um die realistische Inszenierung eines kriegsbedingten Familienwandels, der, vom sogenannten "moralismo eduardiano" angeprangert, einen Symbolcharakter für die italienische Gesellschaft der Nachkriegszeit annimmt.

Il confronto tra i due drammaturghi “umoristici” del nostro teatro novecentesco, condotto sul piano del riso, ci porta a considerazioni ricche di implicazioni e di conseguenze per quanto riguarda tanto la struttura del testo drammatico quanto i risvolti filosofici ad essa sottesi. Rispetto al riso umoristicamente distaccato del personaggio-lettore pirandelliano (ad esempio Laudisi), il silenzio e le pause narrative di De Filippo sottolineano con forza i salti da una diegesi mimetica ad una mimesi assoluta, quando lo spazio-tempo del testo diventa lo spazio-tempo del lettore/spettatore, che è chiamato a “riflettere” sul testo, ma proprio nel senso di diventare il riflesso del testo, lo specchio dell’Io che in esso si propone.

Raccolta di cronache drammatiche di Domenico Oliva in cui si dettagliano gli spettacoli teatrali rappresentati in Italia nel 1909.

L’anno di cui discorro in questo libro, il 1909, fu pel nostro teatro anno di grandi speranze. Per queste l’ho scelto, non potendo pubblicare tutte le dieci annate delle mie fatiche di cronista, giacché si afferma che a una pubblicazione di tal genere non sarebbero propizi il tempo, e il paese. Dovendo scegliere, mi sono attenuto a un’annata vicina, di cui la memoria non si è spenta, e i cui effetti si protendono ancora nei giorni fuggitivi che stiamo vivendo, e a un’annata buona, la quale mi pareva dovesse preferirsi alle non buone o alle meno buone. Occorre fare quanto è in noi per non immalinconire i lettori: se non altro si tratti un argomento non malinconico, e si parli d’avvenire, non d’un avvenire chimerico, ma d’un avvenire possibile.
Cogli elementi raccolti nell’anno 1909 potrebbe anche crearsi un teatro, vivace e vario, nuovo o rinnovato: si fecero tragedie (mi perdonino i lettori se parlerò troppo di Fedra o di Fedre, ma era l’argomento della giornata, e di questa debbo riprodurre l’indole e il colore, e Dio, ch’è grande, saprà perché quella favolosa noverca ridiventò di moda proprio nell’anno 1909), si fecero tragicommedie e drammi borghesi, e drammi storici, e commedie, e farse, e parodie: sorse un poeta drammatico, Sem Benelli, accolto come datore di buona novella e portato alle stelle anche da coloro che poi lo dovevano bestemmiare, e che allora per lui piangevano di gioia: vero è che a quelle lagrime contribuivano i vini dei banchetti trionfali: ma della loro sincerità, parlo delle lagrime e non dei vini, avremmo molta ragione di dubitare: furoreggiò un grandioso spettacolo aristofanesco di Renato Simoni: di Salvatore di Giacomo si acclamò il Mese mariano e l’Assunta Spina. Che più! Il teatro nostro fronteggiava vittoriosamente lo straniero importato fra noi per una consuetudine, non dirò servile, ma di una larghezza ospitale, che io pensai sempre varcasse i confini della cortesia e della liberalità: tuttavia fra gli stranieri parvero ingegni originali e simpatici, che meritavano essere conosciuti e discussi, l’inglese Shaw e gli spagnoli fratelli Alvarez Quintero, più pensatore che poeta il primo, più poeti che pensatori i secondi. Amo i pensatori, quando pensano veramente, il che non accade spesso, adoro i poeti quando sono veri poeti, e anche questi sono rari, non dirò come le mosche bianche, perché di queste mosche non ne ho mai vedute, ma insomma sono rari assai.

The encounter between Tatiana Pavlova and Italy in the 1930s was rich, also in contradictions. At the beginning, the contribution of the artist and director, upheld by the collaboration firs with Sharoff and then with Danchenko, received undululy high consideration. Italian critics seem to agree in wanting to underscore the aspects of Pavlova’s «italian-ness». Little by little, however, a fracture appears beween Russian and Italian identity that reveals sudden fissures. They are perhaps obvious, given the political climate, the weight to fascism, and Pavlova’s peculiarities, which were not always easy to deal with. What surprises, however, is the way in which, ninety years later, thesefissures still weigh heavily, with no effort at re-examination of the posthumous recollections.

L’incontro tra Tatiana Pavlova e l’Italia durante gli anni Trenta è stato ricco, anche di contraddizioni. All’inizio, il contributo dell’attrice e regista, sorretto dalle collaborazioni prima con Sharoff e poi con Dančenko, è stato fin troppo valutato, e i critici italiani sembrano concordi nel voler appoggiare le richieste di italianità della Pavlova. A poco a poco si apre un cortocircuito tra identità russa e identità italiana che provoca improvvise fratture. Forse sono ovvie, visto il clima politico, il peso del fascismo, e viste le peculiarità non sempre facili della Pavlova. Ma quel che stupisce è il modo in cui, novant’anni dopo, queste fratture ancora pesino, senza tentativi di rivisitazione, sulla memoria postuma

Cenere est un film muet réalisé en 1916, et basé sur le roman du même nom de Grazia Deledda. La grande actrice italienne Eleonora Duse apparaît dans ce film qui constitue sa seule interprétation cinématographique. Il représente donc un document unique. Eleonora Duse est alors âgée de 58 ans, elle a de longs cheveux blancs et a abandonné les scènes de théâtre depuis sept ans (sa dernière interprétation remontant à 19093).
En 2016, soit un siècle après la réalisation du film, l'Université de L'Aquila a accueilli le projet d’une sonorisation en live, avec des musiques que j’ai moi-même composées pour l'occasion.
À travers cet article, je souhaite retracer les événements liés au film Cenere, la relation qu'Eleonora Duse entretenait avec le cinéma et ses idées sur les arts nouveaux, en tentant de les imaginer comme le sillon d'un processus qui a mené à la réalisation de la sonorisation du film un siècle plus tard.

En Sanfilippo, Marina (ed.) Perfiles de Teatro italiano Aracne Editrice, Roma, 2009, pp. 189-201. INTRODUCCIÓN Las dos figuras que se glosan en este capítulo han atravesado la historia del siglo XX llevando el arte dramático italiano del papel a las tablas como autores, actores y directores. Aunque uno nació en el norte (Lombardía) y el otro en el sur (Campania) la obra de ambos está anclada firmemente en las tradiciones de sus respectivas culturas, y en el empleo del dialecto en sus espectáculos, lo cual no ha impedido que sus obras hayan tenido un alcance universal. El nacimiento de Dario Fo dista veinticinco años del de Eduardo De Filippo, pero los dos cultivaron una gran amistad enraizada en su mutuo compromiso político y en su deuda con la cultura popular en la que crecieron y que cada uno desarrolló en distinta dirección y con su propio lenguaje: De Filippo desde una dramaturgia textual, podemos decir "burguesa", cuyos temas anticipan el neorrealismo y lo proyectan más allá. Fo desde la actualización de las tradiciones orales y de los espectáculos populares en un teatro combativo y político. 1. EDUARDO DE FILIPPO La dramaturgia italiana en que se inserta la obra de este napolitano llega al siglo XX lastrada por la ausencia de una tradición en lengua vernácula, ya que lo más vivo de su teatro está escrito en distintos dialectos (paduano, veneciano, siciliano, napolitano...) o destinado al teatro musical. En este escenario De Filippo (1900-1984) testimonia una transición laboriosa que nos lleva por múltiples caminos, desde las raíces antropológicas del mundo mágico del sur italiano a sus transformaciones históricas, basculando entre la tradición oral y la forma literaria, el entretenimiento y el teatro comprometido, el dialecto y la lengua normativa, ensamblado todo ello en su obra como en la de pocos dramaturgos. Eduardo se adscribe a las 1

Articolo tratto dalla "Rivista teatrale italiana" del 16 aprile 1901, Anno I, Volume I, pp. 367-378. L'autore è il giornalista, critico teatrale e storico Cesare Levi (1874-1926).
L'articolo si propone di descrivere la situazione del teatro italiano ai primi del Novecento per quanto riguarda il repertorio comico. L'autore evidenzia, citando i diversi autori italiani dell'epoca, come il teatro francese stia esercitando una pesante influenza su quello italiano a causa della mancanza di creatività degli autori nazionali che sembrano non saper attingere all'ambiente che li circonda.

Il Manifesto S-naturalista di Enrico Bernard con le illustrazioni di Dario Fo è stato pubblicato per la prima volta nel 1993 all’interno della rivista “Ridotto” (nr. 1-2, gennaio-febbraio 1993, pp. 44-54). Successivamente in:
http://www.amnesiavivace.it/sommario/rivista/brani/pezzo.asp?id=182
ed è nel sito di Franca Rame e Dario Fo
Articoli (42) - Archivio Franca Rame Dario Fo
www.archivio.francarame.it/elenco.aspx?IDOpera=8&IDTipologia...
Poetiche d`autore. 1993 Intervento di Enrico Bernard pubblicato su "Ridotto" in cui illustra la sua visione del mondo teatrale. ... 2001 Articolo su Dario Fo e la sua produzione pittorica, in riferimento sopratutto al legame con l` attività teatrale.

In una lettera del il 1° ottobre 1928, nel pieno della stagione degli "Indipendenti" [1923-1936], Anton Giulio Bragaglia chiede a Benito Mussolini un sostegno per il cartellone del '29. Dopo aver ben evidenziato la valenza rivoluzionaria della propria iniziativa culturale, il regista avanza un'udienza particolare e spiega: "Dovrei raccomandarmi per ottenere un aiuto al mio programma invernale, arditissimo. Con un aiuto ce la farei quest'anno a lanciare diciotto commedie italiane, presentando undici autori nuovi sui trent'anni. CARTELLONE TUTTO ITALIANO. L'assenza di attrazioni straniere mi renderà, quest'anno, difficile il sostenermi. Per ogni stagione io spendo intorno alle trecentomila lire, pur non riuscendo a guadagnarle! Mi arrangio… La prego-caro Presidente-di voler sostenere questo cartellone arcitaliano di giovani! Ella non ha mai dimenticato d'essere anche il … Presidente degli Indipendenti. Gran carica! Se non lo aiuta Mussolini, l'unico teatro della rivoluzione, io non ci riesco, da solo. È merito Suo, se ho resistito per sette anni. Ma per questo, oramai, son costretto a contarci… Con gratitudine e con affetto, mi permetta: Suo Bragaglia." 1 Nel cartellone del '29, tra gli undici autori nuovi, 2 mai rappresentati, c'era Libero De Libero con il suo "Frangiallo". Non aveva ancora ventitré anni. Aveva cominciato a frequentare gli ambienti artistici e letterari romani nel '27, quando, compiuti gli studi liceali a Ferentino e ad Alatri, si era trasferito dalla "sua" Ciociaria per intraprendere gli studi di legge. L'anno successivo aveva fondato con Luigi Diemoz la rivista "L'interplanetario", un quindicinale di cui uscirono sette numeri (l'ultimo doppio) tra il 1° febbraio e il 1° giugno del 1928. La rivista servì ad allacciare o a consolidare rapporti con scrittori allora già noti come Massimo Bontempelli e Corrado Alvaro (già ospiti degli Indipendenti nel cartellone della prima stagione) o con giovani leve come Alberto Moravia (che aveva collaborato alle "Cronache di Attualità" di Bragaglia ancora con il nome anagrafico di Alberto Pincherle). Ma soprattutto giovò al giovane De Libero l'assidua frequentazione del "Teatro degli Indipendenti" che Anton Giulio Bragaglia aveva realizzato nel '22 negli ampi scantinati di Palazzo Tittoni, sorto sulle antiche terme di Settimio Severo. In quegli spazi, appositamente riorganizzati dall'architetto futurista Virgilio Marchi e decorati da artisti come Balla, Depero e Prampolini, si riunivano gli intellettuali emergenti, gli sperimentatori ad oltranza, le leve dell'avanguardia futurista: scrittori, pittori, scultori, attori, danzatori, musicisti, ma anche giovani di primo pelo alla ricerca di nuovi spazi creativi, bellimbusti anticonformisti, spiriti originali e flaneurs amanti delle belle donne e di una buona coppa di champagne. D'altra parte, gli introiti del cabaret costituivano il maggior sostentamento dell'impresa teatrale. A partire dal gennaio del '23, erano passati per le scene degli "Indipendenti" autori molto in vista come Pirandello (che aveva proposto, tra l'altro, in prima assoluta, "L'uomo dal fiore in bocca") e Rosso di San Secondo, o meno celebrati, allora, come Italo Svevo (del quale si rappresentò "Terzetto spezzato", unica opera messa in scena quando l'autore era ancora in vita) o, ancora, come Riccardo Bacchelli, i più giovani Orio Vergani, Umberto Barbaro, un esilarante Achille Campanile, i futuristi Marinetti e Soffici, uomini di punta dell'avanguardia internazionale come Guillaume Apollinaire o Georges Ribemont Dessaignes, importanti autori mai rappresentati in Italia come

Ettore Petrolini e Dario Fo sono due dei principali protagonisti del teatro italiano del Novecento. Entrambi attori ma anche autori del proprio repertorio, secondo una tradizione nazionale che risale ai giullari medievali ed ai comici dell’Arte in Età Moderna. Proprio la centralità dell’autore-attore, magari di estrazione popolare o dialettale, rende unico il teatro italiano novecentesco rispetto al contesto europeo dove, invece, si affermano la figura del drammaturgo di professione e del regista. Quella di Petrolini e Fo è una “drammaturgia d’attore” che si definisce attraverso la pratica del palcoscenico, per cui il testo scritto si rinnova di continuo – di replica in replica – per mezzo di improvvisazioni a soggetto che spettacolarizzano qualsiasi “incidente” si produca durante la rappresentazione (senza dimenticare i rimaneggiamenti testuali dovuti al sopravanzare della cronaca durante la tournée, oppure in caso di riprese successive). Così, il pubblico in sala non è un voyeur che assiste a un evento alla ribalta, ma diviene interlocutore compartecipe di un discorso scenico che si carica di intenzioni satirico-parodiche in Petrolini, o socio-politiche in Fo. Tanto più che l’autore-attore non si immedesima nei personaggi che interpreta, ma manifesta costantemente la propria identità personale al di sotto della finzione, per mezzo di una recitazione straniata ed anti-naturalistica. Petrolini e Fo, pertanto, realizzano una teatralità anti-drammatica che costituisce l’aspetto più specifico dell’arte scenica italiana anche del XXI secolo: si pensi, in questo senso, al teatro dei “narratori” come Marco Paolini ed Ascanio Celestini.

Il teatro napoletano del primo Novecento, a parte la figura del famoso ed eccezionale Eduardo De Filippo, offre un altro esempio di autore-attore del tutto insolito: Raffaele Viviani, la cui produzione di altissimo livello è costituita da teatro, poesia, musica ed autobiografia. Le sue opere, scritte in dialetto napoletano stretto, arcaico, spesso gergale, vengono ambientate a Napoli e rappresentano il suo popolo - la gente povera, semplice e misera, messa al margine della società. Il presente contributo si concentra appunto sulla problematica dell'emarginazione più volte affrontata da Viviani, che si esprime fortemente nella sua tragedia I Pescatori. Il testo dell'opera viene analizzato nel contesto del dramma poetico per dimostrarne la dimensione universale. In primo luogo l'articolo espone brevemente la figura di questo autore atipico, caratterizzato da una poetica molto particolare. La sua presentazione viene seguita da un riassunto riguardante le specificità del dramma poetico e la loro relazione con il testo de I Pescatori. Spiegate le connessioni, e dopo una sintetica presentazione della trama della tragedia, si passa alla specificazione di come, in quale modo e con quali mezzi linguistico-artistici Viviani riesca a trasmettere l'immagine universale dell'opera I Pescatori.

Parole chiave: teatro napoletano, emarginazione, dialetto, Viviani,

Giovanni Martini, "Don Pedro di Elisonda Episodio della guerra dei Carlisti". Dramma (1900), a cura di Riccardo Pasqualin, Solfanelli, Chieti 2021

"Il dramma storico di Giovanni Martini racconta un episodio immaginario della Prima Guerra Carlista. Protagonista del testo è la famiglia dei Conti di Elisonda, una casata di legittimisti su cui pende un'infondata accusa i tradimento. Mentre liberali e tradizionalisti si affrontano senza esclusione di colpi, il vecchio Don Pedro vuole far pervenire a Don Carlos i documenti che provano la sua innocenza e dei diamanti per finanziare e azioni belliche dei requetés nel nord della Spagna.
La realizzazione del disegno di Pedro, però, andrà incontro a pericolosi imprevisti e ne nascerà una grande avventura.
Tra i personaggi storici inseriti nella pièce teatrale ci sono il Re legittimo Carlo V di Spagna, il mitico generale carlista Tomás de Zumalacárregui e il suo avversario liberale Vicente Genaro de Quesada, qui dipinto a tinte fosche.
Il dramma fu ispirato dal romanzo Il volontario di Zumalacárregui o I diamanti della Principessa di Beira (1875), dello scrittore gesuita Luigi Previti."

Nacque da Francesco e Marietta Marini.Frequentò il Ginnasio-Convitto «Garopoli», dove si diplomò nel 1913. Nel 1911, ancora studente, fu chiamato a insegnare presso la Scuola serale per emigranti, diretta dal professore Nicola Gallearano, dove proseguì la sua esperienza pedagogica, interrotta dalla chiamata alle armi nel 1915. Richiamato dalla leva, fu nominato membro del Patronato scolastico insieme a Raffaele Amato, e designato direttore amministrativo del «Ricreativo asilo» per i figli dei militari inviati al fronte, dall'ispettore scolastico Adolfo Costa; divenne, poi, segretario della sezione comunale dell'Unione nazionale degli insegnanti italiani. Già nel maggio

Per il cinema delle origini il teatro fu da principio un serbatoio inesauribile di soggetti, modalità di messa in scena e professionalità artistiche. Durante gli anni del Ventennio fascista il cinema è lo spettacolo “nuovo” per eccellenza, nelle riviste di teatro guadagna pagine, invade spazi e comincia a farsi protagonista. Chi si occupa di spettacolo dal vivo lo guarda da una parte con sospetto e diffidenza, ma sa anche riconoscerlo come possibile alternativa ai momenti di “crisi” del teatro. Partendo da questa rete di corrispondenze, rinvii, sospetti e attrazioni, isoleremo il caso di Anna Fougez (1894-1966), celebre artista di teatro di varietà, prestata spesso al cinema. Fra i documenti attraverso cui leggere questa storia prevarranno quelli autobiografici, spogli di riviste e quotidiani, interviste all’attrice.