Storia del Teatro italiano del primo Novecento

Prima parte del carteggio inedito tra Massimo Bontempelli e Giuseppe De Robertis. Analisi della prima lettera del carteggio scritta da Bontempelli mentre si trovava a Venezia, il 20 settembre del 1941. Nella stessa viene evidenziato il legame dei due critici e giornalisti con la
cultura musicale e teatrale dell'epoca attraverso il rapporto con Ildebrando Pizzetti e Gian Francesco Malipiero.

La riflessione sul teatro – e le pratiche ad esso connesse – potrebbe costituire un’autentica cartina di tornasole per misurare i percorsi non di rado labirintici e paradossali attraverso cui talora la Chiesa, secolarizzandosi, ha rinvigorito e rilanciato la propria sfida alla modernità. A partire dal secondo Ottocento, grazie all’operato di Don Bosco, si viene delineando un’imponente opera di appropriazione e riconversione da parte dell’istituzione ecclesiastica di uno dei suoi più avversati idoli polemici, il teatro appunto: e quello del “teatrino cattolico” si configurerà come formidabile strumento aggregativo e reattivo rispetto ai disvalori dominanti, specchio-cattedra-altare con cui la “nuova” moralità cristiana ingaggiava la sua offensiva sul fronte della “scena” contemporanea. Nell’ambito di una ricognizione complessiva del fenomeno, il contributo analizza in particolare una delle sue manifestazioni più interessanti, quella prodottasi tra Grande Guerra e fascismo.

I primi anni di vita della Scuola superiore di architettura
vedono rapporti frequenti e continuativi con l’Esposizione
Internazionale d’Arte della città di Venezia. Il primo responsabile della scuola, Giovanni Bordiga, è dal 1920 al 1926 presidente della stessa Biennale e direttore della Regia Accademia di Belle Arti oltre che di altri istituti culturali della città. Proprio dai corsi dedicati all’architettura dell’Accademia veneziana nascerà la scuola d’architettura lagunare. Molti degli insegnanti come Guido Cirilli, Augusto Sezanne e Giuseppe Torres si ritrovano per varie vicende nella storia delle prime Biennali e vengono, per un primo periodo, condivisi da entrambe le scuole. Dopo il 1926 a questi docenti si aggiungono, in momenti diversi, gli architetti Brenno
Del Giudice (1888-1957) e Duilio Torres (1882-1969).

Il contributo di Tatiana Pavlova, attrice di teatro e regista russa, stabilitasi in Italia negli anni ’20 del Novecento è difficile da classificare. Nel febbraio del 1932, sul primo numero della rivista «Scenario» appare un articolo del linguista Bruno Migliorini che si interroga sull’opportunità della parola regia, che Enrico Rocca aveva usato per la prima volta recensendo lo spettacolo Oltre oceano di Jacob Gordin, con la regia di Tatiana Pavlova («Lavoro Fascista», 31 dicembre 1931).
Le successive collaborazioni della Pavlova, con Pietro Sharoff e Nemirovič-Dančenko sembrano il sintomo di una cosiddetta “anima slava” della regista, ma possono considerarsi anche tracce sparse di un’idea di teatro profondamente radicata in Russia, di cui l’attrice porta, consapevolmente o no, qualche frammento in Italia.
La richiesta di considerare la Pavlova come prodotto italiano, da parte di alcuni critici del tempo, pare quindi giustificata, ma apre un cortocircuito tra identità russa e italiana che provoca improvvise fratture e fa della Pavlova un soggetto non qualificabile: attrice/regista italiana eppure mai del tutto assimilata ai nostri canoni, attrice/regista straniera eppure così italiana da conquistare onori e cittadinanza. La sua presenza in Italia ha quindi portato frammenti di quello spirito dei grandi teatri d’innovazione, è stata veicolo per una certa visione di Regia teatrale, ma soprattutto per l’attenzione verso il ruolo dei maestri nel nostro paese.