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domenica 12 gennaio 2025

Letteratura di mare


Sesto volume della collana dedicata a Franco Caprioli e di gran lunga il più corposo. Nelle prime cento pagine Letteratura di mare raccoglie nove fumetti di ambiente marinaro transitati su Il Giornalino nei primi anni ’70 e scritti da vari sceneggiatori – principalmente Renata Gelardini e Mario Basari (che si firmava anche O. Saibari) ma in un paio di occasioni anche Alfredo Castelli e Raoul Traverso/Roudolph. Considerando il pubblico di riferimento originale e la vocazione della rivista che ospitò questi fumetti il motivo principale per l’acquisto sono come al solito le splendide tavole di Caprioli, ma qualche occasionale perla la si trova.

Un pugno di perle è sin troppo edificante ma piacevole.

Piacevole anche Lame incrociate, per quanto stereotipato.

Otto giorni su una zattera è tratto da Mark Twain e mal si adatta a una trasposizione a fumetti.

I corsari del Rio Grande del Sud ha come protagonista nientemeno che Giuseppe Garibaldi nelle poco conosciute vesti di corsaro. Molto interessante ma proprio per questo avrebbe meritato un maggiore approfondimento e più spazio senza comprimere così tanto la vicenda (ed è pure il fumetto più lungo, serializzato all’epoca su due numeri de Il Giornalino).

Una discesa nel Maelström è tratto da Poe e beneficia della spettacolare resa del mare di Caprioli.

Capitan Gambadilegno è una celebrazione della Società Marittima Tedesca di Salvataggio e forse è il pezzo migliore. L’argomento è interessante, i personaggi ben tratteggiati e il taglio è abbastanza moderno.

Niente male anche Il mozzo del Sant’Elia, originale e ben documentato ma con un finale troppo edificante per essere preso sul serio.

Allarme a Block Island fu forse ispirato a un fatto di cronaca e narra del salvataggio di un bambino e di un’adolescente in mare. Ahinoi, si respira un po’ l’atmosfera dei «fumetti della realtà» del Corriere dei Ragazzi.

Anche Balene d’assalto potrebbe essere stato ispirato dalla cronaca di quegli anni e anche questo è più che altro un resoconto: vede il salvataggio di una famiglia e di un loro amico sperduti in mare dopo l’inspiegabile attacco di un branco di balene.

La seconda parte del volume ospita una corposa ma incompiuta Storia della Navigazione iniziata su Il Vittorioso nel 1967 e dalla vita editoriale travagliata. Dopo la pubblicazione serrata delle prime 28 tavole, nel 1968 le successive 16 vennero pubblicate in maniera molto rarefatta e addirittura le ultime 28 hanno visto la luce solo nel 2016 grazie a un volume edito da Passenger Press su cui si è basata questa edizione che ne riprende il titolo – in origine l’operazione si intitolava Con Franco Caprioli nell’avventura del mare. Il fumetto è molto presente anche qui, ma subordinato alla natura enciclopedica dell’opera. Sia questo approccio che la natura un po’ sincopata del lavoro (che salta da una argomento all’altro e a volte torna un po’ indietro nel tempo per approfondire certi dettagli) rendono l’opera un po’ ostica da leggere. Inoltre le tavole rimaste inedite presentano come lettering quello elaborato da Caprioli solamente a matita, che così tende a essere evanescente soprattutto nelle vignette a colori. La lettura vale comunque tutto lo sforzo, sia per le nozioni non banali che Caprioli vi profuse sia ovviamente per la contestualizzazione dei suoi splendidi disegni. Dalla preistoria («Quando il mare era mistero e paura») il progetto arrivò solo sino alla morte di Cristoforo Colombo.

La cura è quella consueta profusa da Nicola Pesce Editore (a introdurre il volume c’è un testo di David Padovani) e la possibilità di partire dalle tavole originali ha permesso una buona qualità di stampa. Addirittura, nella terza vignetta di pagina 27 si vedono degli appunti a matita (alcuni sembrano più dei ghirigori, a dire il vero) mentre a pagina 29 è evidente la pecetta con cui venne apposta la parola «cacicco» in un balloon. La carta non è patinata ma questo è lo standard dell’editore e ormai mi sono rassegnato. In fondo anche questo contribuisce al fascino vintage di questi volumi.

25 euro per un volume di queste dimensioni e di questa qualità grafica mi sembrano un buon prezzo.

giovedì 18 aprile 2024

Cosmo Classic 17: Smalto & Jonny

Sicuramente ho letto almeno un episodio della serie ma non me lo ricordo minimamente, il che fa capire quanto mi abbia colpito. Ben venga quindi questo volume della Cosmo con cui coprire una mia lacuna fumettistica e magari scoprire un capolavoro dimenticato. Almeno uno degli obiettivi è stato raggiunto.

I due protagonisti sono titolari della «Smalto & Jonny S. p. A. – Società per Assassini» e si offrono per furti, pestaggi, spionaggio, assassinî, ecc. non disdegnando di cogliere autonomamente le eventuali occasioni di fare il colpo grosso con estorsioni e rapimenti. La grottesca miseria dei due antieroi (che vivono in un carro armato dismesso e all’occorrenza anche nei bidoni della spazzatura) fa il paio col parossismo surreale dei casi in cui sono coinvolti, in un tripudio di violenza cartoonesca da cui escono sempre sani e salvi. Non ci sono ambientazioni né temi fissi, le vicende si svolgono a tutte le latitudini e possono anche sfociare nel sovrannaturale con la presenza di un licantropo. Ogni tanto c’è lo spazio per un po’ di satira politica o di costume: ai lettori ignari come me il piacere di scoprire chi, o meglio cosa, fosse Lisa Biondi. La struttura iniziale di otto tavole viene poi abbandonata negli ultimi due episodi che sono più lunghi e articolati.

Giorgio Pezzin si inventa delle trovate simpatiche che sfociano anche nel metanarrativo ma Smalto & Jonny mi sembra molto ancorata allo stile e alle tematiche dell’epoca in cui venne concepita e ciò non la aiuta a emergere, tanto meno se confrontata con Altai & Jonson con cui ha non pochi punti di contatto. È anche vero però che durò solo sette episodi e non ebbe quindi la possibilità di crescere e affermarsi come forse avrebbe potuto: secondo me gli ultimi episodi sono i migliori. Ciò detto, i disegni di Cavazzano sono stupendi e da soli valgono l’acquisto.

Data la brevità dell’esperienza, la foliazione di questo Cosmo Classic è integrata da due storie brevi sempre di Cavazzano. Vedere i suoi fumetti per Alter sarebbe stata una goduria, ma l’opera di recupero filologico è ben più rilevante così: Home in the range venne infatti pubblicata solo su Tam Tam Portfolio e in un volume dell’ANAF mentre la sfortunatissima Carcere modello approdò su Fumo di China dopo anni dalla sua realizzazione.

La prima, scritta da Alfredo Castelli, è una parodia dissacrante del western che forse con la sensibilità di oggi ha perso lo shock value che voleva avere, la seconda è una specie di thriller tragicomico scritto da Rudy Salvagnini che però presenta delle pesanti revisioni nel testo che hanno introdotto elementi del tutto estranei alla volontà dell’autore!

I redazionali di Alberto Brambilla sono puntuali e gustosi come sempre, e l’apparato iconografico che li integra è altrettanto ricco e interessante. Purtroppo le caratteristiche cartotecniche della collana non sono migliorate dai tempi di Nick Carter: la carta è assai povera e i margini dell’impaginato sono così vicini alla rilegatura che bisogna spalancare il volume per vedere tutto il contenuto delle pagine (e nel caso del testo scritto non ci si riesce sempre). Almeno la qualità della riproduzione di Smalto & Jonny è praticamente perfetta, fatta evidentemente a partire dagli originali. Ma anche nel caso delle due storie brevi di cui dichiaratamente non è stato possibile usare le tavole di Cavazzano (sicuramente per Home in the range, perse da Castelli) il risultato non è male.

mercoledì 7 febbraio 2024

...

Non ricordo se a una conferenza o a una cena in quel di Lucca aveva detto che la sua paura più grande era di morire lo stesso giorno di Sclavi. Si immaginava i titoloni dei giornali: «È morto un genio», «È scomparso un pilastro del fumetto italiano», «Ci ha lasciati il grande creatore di Dylan Dog»... e poi in un trafiletto «Ah, sì: è morto anche Castelli.» E invece non succederà. Buon per lui, malissimo per noi.

martedì 26 settembre 2023

Chico e Basco

Come avviene ormai da alcuni anni, l’albetto speciale in uscita a Riminicomix non è più una storia inedita o “corretta” di Martin Mystére ma un recupero d’annata della vasta produzione di Alfredo Castelli. In questo caso si tratta di una serie piuttosto sfortunata che durò su Il Giornalino il tempo dei due episodi qui ristampati, per poi essere continuata brevemente in parte o del tutto da Tiziano Sclavi su SuperGulp anche con un disegnatore rimasto anonimo.

Seguendo la moda dell’epoca (1976) il Basco del titolo è Bud Spencer, affiancato non da un emulo di Terence Hill ma di Charles Bronson – scelta un po’ strana forse dovuta al gusto o alla documentazione disponibile del disegnatore Jorge Moliterni. La prima storia di presentazione, La Via dei Diamanti, non li mette ancora del tutto a fuoco: Chico è un baro professionista (altro riferimento dichiarato: La Stangata) e il duo inizialmente sembra più che altro una coppia di delinquentelli. Ma dopo questa sequenza di presentazione di cinque tavole si trovano coinvolti in un caso avventuroso con un traffico di diamanti in mezzo, in cui però le loro caratteristiche sono ancora solo accennate (Basco violento e Chico donnaiolo).

Una Corriera per la Libertà li vede invece più definiti, gestori di un’attività in cui riparano di tutto: abilità che ha permesso a Basco di costruirsi un aereo a partire dai rottami di altri 36 velivoli. Un ometto che salvano da un’aggressione ha con sé una mappa del tesoro, e così partono per il Sud America dove però saranno coinvolti in un’azione rivoluzionaria contro il dittatore locale – e addio tesoro.

Fortemente derivativa e costretta nei limiti del fumetto per ragazzi dell’epoca, la serie è abbastanza godibile ma non è certo al livello de Gli Aristocratici o de L’Ombra. Certe gag sono desuete (la mamma apprensiva, il tormentone del nome sempre sbagliato del signor Hamburger) e alcune situazioni allegramente inverosimili.

Jorge Moliterni fa un ottimo lavoro come suo solito, qui inevitabilmente penalizzato dal formato ridotto e da una stampa che fisiologicamente non può essere ottimale partendo dalle pagine delle riviste. Ho notato che curiosamente si è corretto il motto, volutamente sgrammatico, dell’impresa dei due: l’originale si può vedere qui.

Come sempre capita con i lavori di Alfredo Castelli, i suoi commenti a latere sono anche più gustosi dei fumetti in sé: in questo caso scopriamo (beh, io lo scopro, magari era una cosa risaputa) che la sua “moglie emerita” era imparentata con Cesare Civita, di cui ci fornisce un ritratto inedito.

Splendida copertina a tema di Lucio Filippucci, molto elaborata.

In allegato c’è una cartolina dedicata allo Zio Boris realizzata da Massimo Bonfatti, propedeutica al recente volume con le nuove storie.

mercoledì 5 luglio 2023

Il Corriere dei Piccoli - Una supernova tra le riviste d'autore

Il sottotitolo del volume è ingannevole: non si tratta di una storia de Il Corriere dei Piccoli e nemmeno la proposta di una teoria che voglia far risalire la nascita del fumetto d’Autore a una fase dell’esistenza della rivista – il fumetto «d’autore» viene citato di sfuggita solo due volte. Anche la presentazione in quarta di copertina sembra essere stata scritta per un altro volume: questo fornisce semplicemente la cronologia ragionata e critica dei fumetti (e di alcuni romanzi) pubblicati nelle sedici annate che vanno dal 1961, quando la direzione del giornale passò a Guglielmo Zucconi, fino al fatidico 1976 che ne vide la trasformazione in CorrierBoy. Di supernova, a voler essere puntigliosi, non c’è poi la minima traccia.

Per catalogare le varie opere Andrea Carta ricorre a una categorizzazione opinabile, come lui stesso ammette, in base alla quale certi fumetti rimangono esclusi (come Ernie Pike che comparve solo una volta, Lo Zoo Pazzo che viene considerato alla stregua di una raccolta di barzellette e i personaggi tratti dalla televisione perché appunto di origine televisiva). L’autore elabora anche la definizione di “pseudoliberi” per quegli episodi isolati che, pur facendo parte di una collana-ombrello, sono storie autoconclusive: La Parola alla Giuria, Uomini Contro, ecc. I motivi di queste scelte sono abbondantemente spiegati, cionondimeno mi resta il sospetto che alcune inclusioni o esclusioni siano state fatte col proposito di toccare proprio quota 100, il Re di Picche di Bottaro viene ad esempio ricordato per essere stato principalmente un “ponte” pubblicitario verso Il Corriere dei Piccoli quando comparve anche su quello dei Ragazzi.

Il volume è una lettura piacevole, interessante e approfondita, in cui Carta profonde anche una buona dose di umorismo, soprattutto nelle didascalie e nelle note. Chiaramente non mancano le curiosità, ad esempio non sapevo che la causa della crisi della rivista che porterà alla sua trasformazione in CorrierBoy fu la svolta a sinistra decisa nel passaggio dal Corriere «dei Piccoli» a quello «dei Ragazzi», che avrebbe allontanato i giovani lettori e soprattutto i loro genitori. Molto interessante anche il mistero (svelato) sulle origini e sul perché della mancata ripresa de La pattuglia scomparsa. È evidente inoltre la grandissima passione di Carta per l’argomento, cosa che però finisce per penalizzarlo dal punto di vista metodologico. Il suo amore per il fumetto franco-belga classico contrapposto a molte delle altre proposte della rivista è ribadito, sottolineato, evidenziato e ripetuto talmente tanto da sfiorare quasi il fanatismo degli estimatori di Frank Miller e Jack Kirby (ma loro, poveretti, non hanno mai conosciuto altro). Mi sembra inoltre che critichi più per partito preso che per ragioni oggettive l’introduzione delle serie a episodi al posto delle storie a puntate invise ai lettori (attribuendo a questa scelta della redazione i prodromi del crollo qualitativo della testata): infatti quando ammette che questa impostazione non inficia la qualità di Altai & Jonson deve ricorrere alla desueta formula dell’“eccezione che conferma la regola”, che di per sé non vuol dire nulla e che serve solo per giustificarsi quando viene scoperta una falla nella metodologia usata – tra l’altro pensavo che ormai nessuno usasse più quell’espressione.

Carta non dimostra alcun timore reverenziale verso i Maestri e i Classici mentre esibisce un grande coraggio nel non adeguarsi ai cori di critiche ecumenicamente positive. A farne le spese è anche Valentina Melaverde, di cui non nega però le qualità. Ovviamente la sua schietta onestà è molto lodevole e gli permette di non scadere nell’agiografia, ma spesso si esprime con termini esagerati tanto che in molti casi certe affermazioni sembrano più che altro delle provocazioni. È pacifico che l’ultimo Pratt non fosse ai livelli grafici di venti o trent’anni prima, ma come si può definire «approssimativo» il suo tratto su Anna nella Jungla, che è forse il suo lavoro più curato? Pur non amando Micheluzzi, non trovo molto elegante dire che «solo molti sforzi rendono passabile» il suo disegno. Carlos Gimenez è «modesto» solo in Dany Futuro o Carta lo considera in generale uno scalzacani? Al povero Alessandrini viene poi riservata un’annotazione impietosa riferendosi alla serie Anni 2000: «dopo questo buon inizio, non riuscirà a migliorare il suo disegno più di tanto»! Forse voleva essere un complimento per segnalare quanto Alessandrini fosse bravo già cinquant’anni fa, ma dimostra di non conoscere le sue derive moebiusiane ne Il Maestro o quelle umoristiche in Planet Arium e Anastasia Brown o la sua linea chiara (poi rimpolpata di neri) de L’Uomo di Mosca. Nessun dubbio, invece, sul fatto che Carta non sopportasse Mario Uggeri.

Tutte queste considerazioni molto personali tolgono ogni valenza accademica al volume (nelle schede dei fumetti sono addirittura presenti delle valutazioni espresse in stelline), cosa che probabilmente non voleva nemmeno avere, ma si rimane un po’ perplessi nel vederlo inserito nella stessa collana che ospita Eccetto Topolino e Jacovitti – Sessant’anni di surrealismo a fumetti.

L’elenco dei fumetti è inframmezzato comunque da introduzioni dall’approfondito approccio storico, in cui con grande scrupolo documentaristico Carta segnala le variazioni di formato, foliazione e politica editoriale. Solo che nel conclusivo capitolo 6 «last but not least» si dà la zappa sui piedi da solo dimostrando forse che oltre a queste sedici annate del Corriere dei Piccoli/Ragazzi di fumetti non deve averne letti molti altri, ricorrendo a internet e alle sue scempiaggini per recuperare qualche tassello. La rivista L’Eternauta non chiuse affatto nel 2000, ma col numero 148 del 1995 (la testatina venne mantenuta nei successivi volumi monografici per questioni d’opportunità), e se veramente la sua «agonia» fosse dovuta alle dichiarazioni di Oreste del Buono sulla qualità della “Linea Latina” rispetto a quella francese (ma limitata alla sola linea chiara, se ben ricordo) sarebbe stata ben lunga, durando 15 anni!

Corto Maltese, poi, non mi pare proprio che abbia pubblicato fumetti «naif» o «sperimentali»… sì, certo, da quelle pagine transitarono anche Benicio Nuñez e Jô Oliveira, che alla pittura naif possono essere associati, ma la loro presenza fu assai sporadica. Se con naif Carta voleva intendere prodotti ingenui e dilettanteschi si potrebbe ricordare quel fumetto assai bruttino su Arthur Rimbaud e forse Fan di Rosco non era adattissimo alla rivista, ma anche l’inesperta Nives Manara a un certo punto si sarebbe fatta onore. Di sperimentale poi cosa ci sarebbe stato? Madaudo, subito sparito? Muñoz e Sampayo, già abbondantemente “digeriti” dal pubblico della Milano Libri?

A integrare l’elenco delle serie ci sono delle interviste a Mino Milani, Alfredo Castelli e Sauro Pennacchioli e delle appendici sugli Albi Ardimento e Sprint e sull’effimera Zack Avventura, oltre all’elenco delle dieci storie più meritevoli del periodo preso in esame secondo l’autore.

L’edizione è molto curata (non come in altri prodotti analoghi), grafica e impaginazione sono buone e non ci sono praticamente refusi – o nulla che infici la lettura: non è difficile capire cosa si intenda con «invisbile» e se a una data manca il numerale dell’anno di pubblicazione lo si evince da quelli precedenti o successivi. Un indice analitico però ci sarebbe stato proprio bene.

Una nota di merito al copertinista Sebastiano Barcaroli che ha realizzato un’immagine sintetica ed elegante, sintesi ed eleganza che evitano problemi con i detentori dei diritti delle immagini dei personaggi raffigurati, sapientemente stilizzati.

Forse in altri tempi mi sarei incazzato per aver speso 25 euro per un volume che si finge qualcos’altro, ma in un periodo di magra anche questo va bene. Inoltre come dicevo sopra lo stile di Carta è piacevole e gli aneddoti sono simpatici. Se però cercate «La storia della prima rivista di fumetti italiana» (come promette lo strillo in quarta di copertina) dovete cercare altrove.

giovedì 15 giugno 2023

Martin Mystère 400: I colori impossibili

Nella sede di Altrove si è verificato un fenomeno curioso: le persone e gli ambienti stanno perdendo il loro colore e la strana epidemia di toni di grigio si estenderà probabilmente a tutto il pianeta. Visto che nessuno ricorda chi sia Martin Mystère (e gli stessi coprotagonisti ignorano chi siano gli altri) a risolvere il caso viene chiamato lo scienziato/showman Dottor Spektor che inscenando tre racconti cercherà di far pervenire gli spettatori/indagatori alla soluzione del caso.

Infarciti di molteplici rimandi grafici e testuali (chissà quanti me ne sono sfuggiti) sfilano quindi i resoconti dell’esperienza di Martin Mystère con un aggeggio che mostra i desideri delle persone, l’origine aliena del colore magenta nel 1859 e il passaggio da un universo all’altro attraverso i colori chimerici, quelli che restano sulla retina dopo che si è fissato un oggetto. La cornice è affidata a Giancarlo Alessandrini mentre le singole storie sono disegnate rispettivamente da Fabio Grimaldi, Alfredo Orlandi e Rodolfo Torti. Ovviamente alla fine tout se tient ma la ventina scarsa di pagine in cui sono confinati i singoli racconti sono forse un po’ poche per sviscerarne al meglio il senso e i meccanismi che le animano, così come il finale sembra un po’ affrettato. Poco importa: si tratta di un numero celebrativo e come tale l’attenzione di Carlo Recagno viene posta sul divertimento e sulle strizzatine d’occhio, azzeccando alcune sequenze gustose come l’intraprendenza di Virginia Oldoini davanti ai suoi pavidi “colleghi” maschi.

Inaspettatamente i colori di Alessandro Muscillo funzionano molto bene col tratto austero e chiaroscurale (beh, non in questa occasione) del bravo Orlandi.

L’albo è come di consueto integrato dei redazionali di Castelli che approfondiscono le tematiche del numero (curioso che non abbia citato il nero di Anish Kapoor, ma forse perché il nero è la somma di tutti i colori – o è l’assenza di tutti i colori? Gli anni dell’Istituto d’Arte sono così lontani, accidenti) e addirittura introducono il soggetto e parte della sceneggiatura di un ipotetico numero 500 che un mai così funesto Castelli asserisce essere assai improbabile.

Termina inoltre il romanzo a puntate di Andrea Cappi e vengono proposte una striscia dei Bonelli Kids (di Tino Adamo e Luca Bertelè) e una tavola di Zio Boris (Castelli-Bonfatti) entrambe in tema col numero celebrativo.

martedì 11 aprile 2023

49 Storie Brevi

Neanche il tempo di ordinarlo che è già arrivato.

Potrebbe sembrare irrispettoso dire che l’ho comprato attirato più dagli aneddoti e dai ricordi di Alfredo Castelli che dai fumetti in sé, ma è lo stesso sceneggiatore nell’introduzione a precisare i limiti di queste storie. Al di là della prima e dell’ultima (e forse de La Stangata, ma le supposizioni di Castelli sarebbero confutate dai testi) si tratta di “fumetti verità” tratti dalla cronaca o dalla Storia o dalla letteratura o addirittura dall’imbeccata dei lettori con scopi didattici ed edificanti per Il Giornalino e giornalistici e informativi per Il Corriere dei Piccoli/Ragazzi. Una manna per gli sceneggiatori dell’epoca, che non dovevano inventarsi soggetti originali né spaccarsi la testa per trovare delle idee valide per sciogliere i nodi di quelle che nei fatti non potevano spesso nemmeno essere definite “storie” vere e proprie, con uno sviluppo e un finale risolutivo – il tutto con l’alibi della divulgazione.

La differenza in termini qualitativi l’avrebbero fatta la maestria dei disegnatori (uno su tutti tra quelli qui antologizzati: Sergio Toppi) e la capacità di affabulatore dello sceneggiatore.

Cionondimeno, sono proprio le due storie a soggetto libero che aprono e chiudono il volume a essermi sembrate meno efficaci: Una Pallottola per Ted è piuttosto banale mentre Kilroy (unica ad essere stata pubblicata sull’effimera testata Supergulp) mi è sembrata un tantinello debitrice di un racconto di guerra di Pratt per la Fleetway – ma potrei confondermi o ricordare male. Ma d’altro canto è lo stesso Castelli ad ammettere i limiti di quelle sceneggiature e a spiegarne i motivi.

I suoi gustosi “dietro le quinte” sono localizzati nella divertente introduzione-bugiardino (da cui apprendiamo che la mole di storie libere fu dovuta alla necessità di comprare un’auto nuova dopo che la sua già provata Fiat 500 si ruppe letteralmente a metà) e nelle introduzioni alle varie annate, che si fanno viepiù rarefatte con il passare degli anni e le minori storie autoconclusive prodotte in favore delle serie lunghe.

La memoria di Castelli è invidiabile, posso capire che l’impatto emotivo di sentirsi dire «dovrei prenderla a schiaffi» dal caporedattore dell’Intrepido sia difficile da dimenticare, ma addirittura cita il nome di chi corresse i volti di un personaggio minore nella storia Il Dono di Natale di Sergio Toppi! Ovviamente gli aneddoti abbondano, alcuni dei quali forse risaputi ma di cui io non ero a conoscenza: non sapevo ad esempio che il Johnny Focus di Micheluzzi transitato su Il Corriere dei Ragazzi era una versione adattata dallo stesso Castelli, di cui sarebbe stata ripristinata la versione originale con il ritorno del personaggio al suo creatore.

Per quel che riguarda i fumetti, per i limiti ricordati sopra sarebbe ingenuo aspettarsi storie originali o anche solo un po’ articolate (alcune si risolvono nell’arco di un paio di tavole) visto che inevitabilmente c’è anche tanta retorica che, a seconda di come tirava il vento in quegli anni, sfocia nell’agiografia o nella stigmatizzazione: emblematiche dei due estremi la storia sulla Legione Straniera e quella su Cassius Clay, da cui il Castelli di oggi prende più o meno nettamente le distanze.

Cionondimeno, ogni tanto affiora qualche storia molto godibile anche oggi da un pubblico adulto: vuoi perché il materiale di partenza era di per sé avvincente (L’Uomo che morì due volte) o divertente (Le cinture non hanno i denti), vuoi perché la resa in formato fumetto consente di gestire efficacemente i colpi di scena (… Questo è un dirottamento!), vuoi perché costituiscono delle ghiotte curiosità (lo “spin off” Nick Carter all’italiana), vuoi perché Alfredo Castelli è ricorso a soluzioni narrative sperimentali come il montaggio alternato di Inardi: una vittoria per una vita.

Il parterre dei disegnatori è impressionante: Giancarlo Alessandrini, Bonvi (che si diverte a inventare firme ibride come «Bontelli e Casonvi»), Franco Caprioli, Giovanni Cianti, Mario Cubbino, Santo D’Amico, Franco Devescovi, Aldo Di Gennaro, Alarico Gattia, Ruggero Giovannini, Attilio Micheluzzi, Paolo Ongaro, Riccardo Paoletti, Ferdinando Tacconi, Sergio Toppi, Sergio Tuis, Mario Uggeri, Sergio Zaniboni e Nevio Zaccara. In quegli anni, probabilmente a fronte delle buone tariffe che corrispondevano le riviste, anche disegnatori che poi sarebbero stati discontinui produssero ottimo materiale. Tra i tanti, Riccardo Paoletti è stato una piacevolissima riscoperta. È stato interessante anche vedere le prime prove di un Alessandrini ancora acerbo che in molti casi (forse a causa di consegne pressanti) non lasciava intravedere il Maestro che sarebbe diventato in futuro.

È ovvio che sarebbe ingiusto pretendere una buona qualità di stampa per un volume che è stato confezionato necessariamente a partire dalle scansioni delle vecchie riviste (a opera di Maurizio Berdondini che ha anche messo un tocco di colore nella storia in bianco e nero Alle balene non piace il rosa) ma perlomeno il grande formato e la carta di ottima qualità usata da Allagalla sopperiscono in qualche modo. Non sono solo i disegnatori che si basano molto sul tratteggio come Gattia o Toppi a risultare penalizzati: ad esempio del Devescovi di La vita illuminata di Egesippo Simon sono riuscito a leggere più o meno chiaramente gli inside joke dei titoli sulle coste dei libri che citano i triestini «patoc» ed «el petesson», ma il tratto di molti altri titoli è troppo impastato per essere leggibile.

A chiudere questo tomo monumentale ci sono le biografie degli autori redatte da Luigi Marcianò (da cui ho finalmente conferma che fu Sergio Tuis a disegnare i primi episodi di Ken & Dan) e ben tre indici divisi a seconda dell’autore, del titolo e del luogo di prima pubblicazione delle storie.

Un volume veramente piacevole, interessante e molto ben confezionato (sì, mi sono accorto che la biografia di Tacconi comincia in quella di Paoletti, ma non mi pare niente di drammatico), che offre alcune letture godibili e soprattutto delle testimonianze di un’epoca e di un modo di fare fumetti dei tempi che furono.

domenica 4 dicembre 2022

Il treno del Sole - Piccole donne

Raccolta delle due riduzioni letterarie che hanno rappresentato l’affermazione di Aldo Di Gennaro sulle pagine del Corriere dei Piccoli, non fumetti e nemmeno del tutto illustrazioni propriamente dette, ma una via di mezzo che consiste in quadretti vagamente simili a fotogrammi che accompagnano il testo sottostante.

Il primo dei due romanzi ridotti, opera di Renée Reggiani accolta da un grande successo all’epoca della sua uscita, risulta purtroppo assai poco amalgamato con i disegni. Ignoro come fosse il testo di partenza e immagino che sicuramente sia stato operato qualche taglio, però i brani sembrano essere stati riproposti tali e quali senza prestare attenzione alle necessità del disegnatore, che ha dovuto operare una scelta tra il materiale molto denso che costituisce ognuna delle didascalie finendo per dare risalto a elementi che un lettore potrebbe non collegare direttamente al testo. Dall’introduzione di Giovanni Nahmias intuiamo che questa versione venne fatta dalla stessa Reggiani, che comprensibilmente non avrà voluto decurtare o modificare troppo il suo romanzo. Le illustrazioni sono comunque stupende, realizzate con una stratificazione di tecniche diverse tra cui anche il collage, ma dimostrano indirettamente quanto Di Gennaro fosse poco portato per il fumetto, con i personaggi che cambiano volto di immagine in immagine e senza mai la volontà o la capacità di caratterizzarli.

Letta oggi la storia risulta inevitabilmente datata, anche se fornisce la testimonianza di un periodo storico molto importante per l’Italia (uscì nel 1962, all’inizio del boom che creò correnti migratorie da sud a nord). La protagonista Agata La Rosa vive ad Agrigento in un contesto di arretratezza che le impedisce di proseguire gli studi come vorrebbe, inoltre fa presto conoscenza con la violenza e la sopraffazione, che si manifestano con le malefatte di quanti sfoggiano una piuma gialla, segno di riconoscimento di una proto-mafia. Giunta a Torino con la famiglia dovrà scontrarsi con i pregiudizi verso i meridionali e con un mondo così diverso e freddo rispetto alla natia Sicilia, finendo per partecipare involontariamente a un inverosimile traffico di diamanti in Costa Azzurra!

Sospesa tra cronaca, dramma e rari sprazzi umoristici (ma forse le vicende cittadine della capra Ciccuzza in origine volevano essere drammatiche), la storia viene presentata con un ritmo sincopato un po’ spiazzante che non ne agevola la lettura, con personaggi che scompaiono e ricompaiono come niente fosse e repentini cambi d’ambientazione, ma probabilmente la pubblicazione settimanale su rivista non fece pesare la cosa.

Diverso il discorso per Piccole donne, frutto di una riduzione a opera di Franca Basaglia. Stavolta mi sembra che ci sia stata una maggiore cura nell’organizzazione del testo, o forse a Di Gennaro vennero date istruzioni più precise su cosa disegnare, sta di fatto che le immagini si sposano più armoniosamente con la parte scritta che illustrano (ma tecnicamente le accompagnano, illustrano ben poco). Se, come ricordato nell’introduzione di Giovanni Nahmias, Di Gennaro ritiene Il treno del Sole il suo capolavoro, Piccole donne è però più leggibile, più diretto, più comunicativo. Il polpettone della Alcott è stato evidentemente scorporato nelle parti più importanti e organizzato in modo tale che ognuna diventasse un capitolo da pubblicarsi settimanalmente. Ogni giudizio su questa storia indirizzata a un pubblico infantile è superfluo anche perché la storia è arcinota, comunque mi viene sempre da ridere quando, come in un romanzo di Dostoevskij, leggo di “poveri” che hanno la servitù (in questo caso una cuoca di colore).

Dopo aver letto entrambe le riduzioni, ed essermi accorto di quanto fossero poco funzionali da leggere (davvero i lettori del Corriere dei Piccoli gradivano queste proposte? Non sarebbero state meglio delle versioni illustrate più canoniche o dei fumetti veri e propri?), le ho “rilette” godendomi solo i disegni e devo dire che funzionano meglio così. Il treno del Sole, per i motivi che ho ricordato sopra, permette addirittura al lettore di farsi una sua storia personale con gli elementi che vede disegnati – splendidamente disegnati.

In appendice un brevissimo ma gustoso ritratto di Di Gennaro a opera di Alfredo Castelli e una selezione di meravigliosi esempi della sua arte. La qualità di stampa è ottima ed essendo Lo Scarabeo partito dagli originali si possono cogliere quei particolari che nell’edizione originale erano sfuggiti e godere del bianco e nero laddove Il Corriere dei Piccoli usò una colorazione apocrifa – e anche piuttosto piatta a giudicare dalle immagini riprodotte nell’introduzione.

sabato 13 novembre 2021

Horror 7, 25 (3 Nuova Serie) e 29 (7 Nuova Serie)

Uno pensa di fare un affarone e invece…

Nello stand di una fumetteria al rinnovato ma per me inedito Palazzetto ho trovato dei numeri della vecchia rivista Horror, che venivano venduti a 5 euro l’uno. Materiale di cinquant’anni fa, molto famoso e dalla comprovata qualità. Siccome l’unico dei tre numeri della Prima Serie era rovinato sul dorso ho chiesto uno sconticino e me lo hanno fatto a 3 euro, pagando alla fine il tutto 12 euro perché 13 come numero non piaceva al venditore. Contentissimo, ho sfoggiato questo acquisto con gli amici locali, ma un’autorità del settore mi ha spiegato che anche per Horror (nonostante sia vecchio, famoso, ecc.) vale la regola secondo cui di base la copia di una rivista viene venduta a 5 euro, può tutt’al più lievitare se ha qualcosa di speciale come un allegato ancora presente oppure una storia di un autore famoso mai o poco ristampata (vedi alcuni Eureka con Magnus). E vabbè.

È stato un piacevole tuffo in un’epoca e in un settore per me quasi sconosciuti, pur se come ricordava Alfredo Castelli, con la sua partenza dalla rivista questa decadde in maniera netta. Rispetto ai due numeri della Nuova Serie, il numero 7 dedicava molto spazio ai redazionali, che erano di elevata qualità: nell’inserto dedicato al cinema di genere c’è un breve saggio di Piero Zanotto sul macabro in Disney; il regista Luigi Cozzi riportava poi un interessante incontro con Carlo Rambaldi, non ancora il maestro riconosciuto degli effetti speciali in Italia, o almeno così credo. Una curiosità non da poco è stata per me vedere Rinaldo Traini nell’inedito ruolo di intervistatore: ahilui, gli toccò intervistare una sedicente medium (o quello che era) sulla reincarnazione, ma nel contesto della rivista poteva starci. E infatti diversi altri articoli erano dedicati al paranormale. Ben più interessanti di questi, le pubblicità dell’epoca rievocano un mondo editoriale che fu. Molto interessante in questo senso, ma più in generale per come ricostruisce il clima di un’epoca, la rubrica “Scatola Cinese” di Sergio Trinchero.

I fumetti sono quelli classici di breve durata, anche due sole paginette, con il finale a sorpresa. Da sottolineare un contributo francese di Claude Moliterni (primo episodio di una serie che non so se sia continuata) in cui il disegnatore Robert Gigi viene spacciato per JiJé! L’unico fumetto a puntate sembra essere Beatrice di Pier Carpi e Marco Rostagno, realizzata come una striscia ma con una trama in divenire: veramente niente male, da quel che ho potuto leggere.

Con la Nuova Serie si diceva che la qualità della rivista calò. I redazionali, almeno in questi due numeri, sparirono quasi del tutto e probabilmente per risparmiare si aprirono le porte ad autori stranieri tra cui Philippe Druillet – che però forse comparve già prima su Horror. Tra le cose migliori, ho gradito un Carlo Peroni efficace anche nel realistico, un Giovanni Cianti ispirato a Dino Battaglia e (chi l’avrebbe mai detto) un Paolo Ongaro che scrive anche una simpatica storiella. Si segnalano invece per bruttezza le nuove serie a continuazione: una Horrorella ammiccante e confusa e disegnata assai male, sia nella versione di Daniele Fagarazzi e che in quella di Paolo Cavaliere (anche i testi passeranno di mano da “Guido da Milano”, forse lo stesso Castelli, a Claudio Lopresti) e Barrar, dai testi poco chiari di “B. Barsach” e i disegni meno che dilettanteschi di Rosella Toscanini. Probabilmente al solo scopo di avere qualcosa da pubblicare per andare in stampa, sul numero 7 (29) compaiono anche un fumetto muto (più sperimentazione grafica che altro) di Gianni Bono e Diddi Bozano e uno dell’underground Max Capa. Lavori anche interessanti, ma che nel contesto di Horror c’entravano come i cavoli a merenda.

Da notare che nel “Racconto dell’Angelo Nero” Il Medico d’Anime il protagonista porta la sua vittima a vedere un film di cui non viene mostrato il titolo per esteso, ma che probabilmente è Il Tunnel sotto il Mondo, una produzione maledetta (andate a recuperarvi il catalogo di Trieste Science+Fiction in cui se ne parla) a cui collaborò anche Castelli: omaggio o dileggio verso l’autore e redattore transfuga? O forse “Paolo Brera” era lo stesso Castelli in incognito?

Pur nella consapevolezza di non aver fatto proprio alcun affare e pur con la (poca) paccottiglia fumettistica che venne fatta transitare per la rivista, gli aspetti positivi di queste riviste sono di gran lunga superiori a quelli negativi, e non solo a livello di testimonianza di un’epoca.

mercoledì 28 ottobre 2020

Docteur Mystère: Il Mistero del Corvo

Questo episodio fuori collana è diverso dalle altre proposte analoghe di Cartoon Club (che comunque di per sé hanno ospitato il materiale più vario): non si tratta di una storia a fumetti, se non due pagine di introduzione, ma di un racconto in prosa. Originariamente pubblicato “a dispense” su Poe-Criminal Magazine, rimase incompiuto per la prematura chiusura della rivista e viene quindi concluso in questa sede con un finale inedito.

Data la destinazione originaria il mystero che è chiamato a sbrogliare il bis-bisnonno di Martin Mystère verte attorno all’autore de Il Corvo, ma in realtà la storia si sviluppa con una raffica di parodie, citazioni e scenette in cui Castelli mette a nudo la paracullagine del protagonista e soprattutto rende omaggio (beh, “omaggio”…) a tutto e di più: da Dylan Dog a Lilì Kangì, da Kenshiro a Scerbanenco, riprendendo qualche elemento della versione a fumetti e non risparmiando qualche frecciatina anche alla “sua” base di Altrove. Tra le citazioni c’è anche un omaggio ad Antonio Vianovi, patron della Glittering Images, scomparso qualche anno fa a cui si deve la genesi del progetto.

Il Mistero del Corvo si legge tutto d’un fiato, frenetico e iconoclasta e con un livello di metanarrazione che ne aumenta la godibilità. A impreziosirlo ci sono delle splendide illustrazioni a colori di Lucio Filippucci.

Il fascicolo non è esente da refusi, ma nulla che ne comprometta la leggibilità. Certo, il word processor di Castelli (o il programma di impaginazione?) deve essersi mangiato un bel po’ di testo della postfazione tra «Marconi» ed «elettromagnetiche» a cavallo tra l’ultima pagina e la terza di copertina.

domenica 16 agosto 2020

Sir Aladdin Gulliver Simbad Munchausen Junior

Il volume raccoglie una serie molto poco conosciuta di Alfredo Castelli, progettata per una rivista francese che durò giusto il tempo dell’unico numero di prova per testarne le potenzialità commerciali. Come spesso accade nei volumi ad opera di (e curati da) Castelli, i redazionali sono quasi meglio dei fumetti. In questo caso, al di là della risaputa storia di Pilote e dell’influenza che ebbe sul mercato delle riviste francesi, è molto interessante la ricostruzione della vicenda editoriale di Vaillant/Pif; i ritratti di vari autori come Marcel Gotlib, Philippe Druillet e Jean-Claude Forest sono riportati con affettuoso divertimento e Castelli ci mette a parte di un preziosissimo cadavre exquis realizzato e regalatogli dal Gotha del fumetto franco-belga. E ovviamente non mancano degli interessanti dietro le quinte, come la conclusione anticipata de Gli Aristocratici su Pif a seguito delle accuse di apologia di banditismo!
Sir Aladdin Gulliver Simbad Munchausen Junior era stato pensato per il numero 0 della rivista Bazar, di cui furono stampate solo 150 copie (e ti credo che non ebbe successo!), ed era il remake di una storia breve realizzata insieme a Bonvi per Sorry. Il protagonista è un fanfarone che narrando vicende inverosimili può spaziare in tutti i generi, l’horror come il poliziesco come la fantascienza. Ai disegni c’era nientemeno che Georges Pichard, la cui necessità fisiologica di disegnare donne nude portò a qualche modifica dei dialoghi del primo episodio. Questo primo capitolo non è che sia granché, in effetti. Non credo di essere io a non averlo capito, perché a quanto si legge nell’introduzione la redazione di Bazar pensò bene di inserire un testo esplicativo che gli donasse un senso (e che non è stato inserito nel volume Cut-Up perché tradiva le intenzioni originali di Castelli).
Chiusa Bazar (che pure pubblicava Luis Garcia, molti autori umoristici di successo e l’asso pigliatutto Barbarella ancora al top della popolarità), Sir Aladdin… continuò a vivere su Scop Magazine, che però a sua volta non durò abbastanza a lungo da ospitare i nuovi episodi che vennero realizzati direttamente per l’Italia dal disegnatore Vincenzo (Enzo) Jannuzzi.
Prese le misure di Pichard, con il secondo capitolo Castelli confeziona una storia veramente bella, originale e divertente, con una donnina pienamente giustificata visto che è il perno attorno a cui ruota tutto. Anche il disegnatore deve aver gradito, visto che ha prodotto delle tavole spettacolari. Il terzo episodio, uscito su Il Mago, è una simpatica parodia delle storie di vampiri, basato su un’abile costruzione di false aspettative da parte del lettore. Non ricordo di averlo letto sulla rivista, o almeno non l’ho trovato. Ricordavo invece molto bene il quarto capitolo, che presentava uno scenario poi visto varie volte (ad esempio in uno dei Paradossi Temporali di Juan Gimenez e in una storia di Dal Pra’ su Comic Art): il protagonista si ritrova su quello che si scopre essere il corpo di una donna gigante. A suo tempo mi era sembrata una trovata di grana grossa indegna di Castelli, ma in realtà la trama è più articolata di quelle che sfruttando lo stesso canovaccio sarebbero venute dopo, non si risolve in questo semplice elemento e di conseguenza non ho fatto nessuno spoiler.
Nell’introduzione Castelli lamenta il pessimo lettering e la scarsa qualità di stampa delle due storie pubblicate su Il Mago, che lo fecero desistere dal continuare la serie. A me non sembra che il primo sia poi così male, mentre sulla qualità di stampa avrà forse influito il fatto che Jannuzzi disegnava a matita – o così mi sembra sfogliando la vecchia rivista. E d’altra parte questo volume della Cut-Up riproduce ancora peggio le tavole di Jannuzzi, non potendo ovviamente usare gli impianti di stampa men che meno le tavole originali. Chiaramente in questi due episodi made in Italy risaltano come un pugno nell’occhio le correzioni digitali al lettering precedente, che pensavo (speravo) nascondessero chissà quali contenuti nefandi oggi non più accettabili. In realtà Castelli ha solo corretto dei dettagli logici e narrativi. Di seguito un confronto all’americana.



A integrare il volume ci sono anche altri fumetti, che mi hanno trasmesso un senso di deja vu: inevitabile, visto che La Grande Invention de Cecil Billet de Mille è la versione francese dell’esperimento fatto con una banconota da 1000 lire su Horror, così come Il faut tuer Flossie! (disegnato da Enric Sio e “Henry Martin”, cioè Enrico Bagnoli) è un remake fatto per Scop Magazine, poi mai pubblicato, di un’altra storia di Horror, Delitto Perfetto. Poiché nel volume Nona Arte entrambi i fumetti venivano citati ma non riprodotti, si può dire che Sir Aladdin… funga anche da “companion” a quel volume.
Simpatiche le vignette di Fausse donne, “interpretate” da carte da gioco, altro bonus del volume. Da notare anche la presenza nell’indice finale di una vignetta parzialmente fotografica in cui Castelli si prende in giro e, sullo sfondo di pagina II, la comunicazione dei dati tecnici del documentario che si sarebbe occupato di Bazar, per cui venne chiesta l’autorizzazione di mostrare i fumetti realizzati da Castelli e quindi stimolo per la realizzazione di questo volume. Che spero venda più della tiratura di Bazar.

giovedì 6 febbraio 2020

Horror - Tutti i racconti scritti da Alfredo Castelli

Talvolta nelle raccolte e nelle ristampe dei fumetti di Castelli i redazionali curati da lui medesimo sono quasi meglio dei fumetti stessi. Dato il mezzo secolo che ci separa dai lavori qui raccolti e la (relativa) giovane età dell’autore quando li scrisse, pensavo che in questo caso sarebbe stato inevitabilmente così; invece questi fumetti mantengono ancora oggi una grandissima freschezza e non sono affatto invecchiati. Forse a preservare certe storie c’è il fatto che sono tratte da racconti e romanzi (di Lovecraft, De Maupassant, Henry James, Stoker, Arpino, Bioy Casares) ma sicuramente l’epoca sessantottina della loro realizzazione ha inciso sulla loro qualità: da una parte incentivando quegli sperimentalismi che spesso rendevano la lettura un vero piacere già a livello visivo o concettuale, dall’altra spingendo a scrivere senza autocensurarsi, senza il timore tutto contemporaneo di offendere qualcuno (volendo, già le donnine delle copertine di Rostagno erano un segnale di questa libertà).
E in quegli anni i disegnatori di fumetti sapevano disegnare, non si nascondevano dietro lo storytelling per giustificare la povertà delle loro tavole (anche con le frecce tra le vignette ho faticato a muovermi in certe tavole di Riccardo Paoletti, ma chi se ne frega: erano bellissime) – forse potevano farlo perché come ricordato da Castelli solo Corriere dei Piccoli, Intrepido e Monello pagavano più di Horror.
A Lucca 2019 Castelli aveva presentato le bozze del volume, in uscita a Reggio Emilia, e se non sbaglio aveva detto che in origine il progetto era quello di una ristampa anastatica, in modo da preservare anche i testi scritti (spesso interessantissimi), cosa però infattibile per una questione di diritti. Per questo Horror è diventata una raccolta dei fumetti scritti da Alfredo Castelli, eccezion fatta per le strisce di Zio Boris già abbondantemente ristampate, per due incipit di fumetti non continuati e forse per alcune one pager de Il gabinetto del Dottor Horror.
Come anticipato da Castelli nell’introduzione, l’horror che dava il titolo alla rivista di Gino Sansoni era ben diverso dal genere come viene inteso oggi: era una cosa psicologica, d’atmosfera, rimandava ai classici del genere (Dracula, Frankenstein, ma anche la letteratura gotica più “alta”) e gli effettacci splatter non erano contemplati, forse nemmeno immaginabili. Le storie giocavano con la sorpresa, presentavano quasi sempre finali a effetto ma quello che le rende efficaci e godibili ancora oggi è il fatto che terminassero spesso in maniera beffarda, con un sarcasmo che ha mantenuto intatta la sua carica cinquant’anni dopo. E comunque certi soggetti erano genialmente folli già in partenza: la statua della libertà incinta! Un fumetto creato usando una vecchia banconota da 1000 lire!
Al di là delle riduzioni letterarie, in alcune occasioni Castelli ha cosceneggiato le storie insieme a Mario Gomboli, Marco Baratelli o Tito Monego.
Si aprono le danze in rigoroso ordine cronologico, con le storie di Castelli tratte dal numero 1 di Horror: Giovanni Cianti fa veramente un figurone, così come uno strepitoso Sergio Zaniboni che gioca con le dimensioni e la posizione delle vignette e gestisce magnificamente una storia che è quasi muta. Entrambi spettacolari. Un po’ meno convincente il Marco Rostagno de Il miglior amico dell’uomo: per quanto forse ispirato a disegnatori umoristici è un pochino ingessato. Procedendo nella lettura, ritrovo il meraviglioso Nosferatu di Gianni Grugef, che non ricordo di aver mai letto stampato così bene (sarà la carta patinata) e fa capolino la coppia Glauco Coretti e Raffaele Silvestri, niente male sebbene non indugino in sperimentalismi ma si ispirino evidentemente agli autori delle strisce classiche. Eccezionale Sergio Tuis, probabilmente “fotografaro” ma con grandissima classe. Il nervoso ma realistico Riccardo Paoletti è stato una piacevole sorpresa e Giampaolo Amstici lo è stato ancora di più: siamo ai livelli di un Alligo o di un Masciangelo. Dignitoso ma ancora acerbo il Fagarazzi della mitica (beh, per me lo è) Vita, opere, vocazione di Geremia Sacchi, scrittore, che scopro essere tratta da Bioy Casares. Le pagine finali a colori sono dedicate all’umorismo di Carlo Peroni, che oltre a due one pager di Zio Boris disegna e colora una spettacolare versione eroticomica di Frankenstein (non molto fluida, però: forse manca qualche pagina sacrificata per ragioni di spazio).
Certo, non tutte le proposte sono allo stesso livello: l’Antonio Sciotti che illustrò Dracula era di matrice prepotentemente popolare (ancor più evidente se confrontata con l’illustrazione di Dino Battaglia che introduce la storia) mentre Leone Cimpellin doveva evidentemente prendere ancora le misure con il genere horror nella sua prima storia, Armageddon!, e lo stesso vale per le prime prove del Carlo Peroni “realistico”. Ma il non esaltante Giorgio Montorio seppe evolversi già nell’arco di un paio di numeri mentre le tavole di Aldo Di Gennaro fanno un figurone anche quando non aveva voglia di disegnare gli sfondi.
La qualità di stampa è buona, non solo considerando che si tratta di materiale pubblicato quasi mezzo secolo fa ma anche per gli standard odierni. Che Castelli abbia conservato gli impianti di stampa di alcuni fumetti? Tanto, anche se lo avesse fatto, oggi comunque si stampa in digitale… La qualità della resa non è uniforme ma anche laddove si notano dei tratteggi impastati o dei segni tremolanti non sono poi così evidenti. E incredibilmente la qualità di stampa di alcuni fumetti è veramente ottima.
Purtroppo dal punto di vista del lettering questo volume adotta ogni tanto gli stessi criteri de Lo Zoo Pazzo, quindi accanto a quello originale alcuni testi sono stati rifatti digitalmente, e mi sa che alcuni balloon (cfr. seconda e terza vignetta de I topi nel muro) sono stati proprio messi ex novo, e d’altronde anche l’onomatopea della seconda tavola della bella storia di Cianti è evidentemente stata inserita con mezzi digitali. Per fortuna non si tratta di una cosa molto diffusa, però lo stacco è percepibile e rompe un po’ la magia della lettura, oltre a far balenare l’idea che non si tratti di una riproposta filologicamente impeccabile ma di una versione “riveduta e corretta”. Mentre invece un intervento correttore sarebbe stato giustificato nella storia Lassù qualcuno ti ama: è ovvio che le ultime vignette di pagina 85 dovrebbero recare la data 1971, non 1970.
I fumetti sono inframmezzati da vari interventi redazionali che non trattano solo della rivista ma parlano anche del cinema e della letteratura horror con annessi e connessi, come i kit di montaggio per mostri citati nella parodia di Frankenstein. C’è persino un fotoromanzo, realizzato dallo Studio Buratti su sceneggiatura di Castelli e Baratelli. Ma come sempre il piacere più grande è leggere gli aneddoti riguardanti quel gran paraculo di Gino Sansoni: a pag. 116 viene ricordato ad esempio come avesse ideato un logo appositamente ambiguo per creare confusione con l’editore Sansoni di Firenze.
Tra il materiale non a fumetti si segnala la riproposta dell’intervista a Mario Bava con tanto di sceneggiatura del suo episodio dell’Odissea televisiva che regalò a Castelli (Bava, un uomo d’altri tempi: «il palo viene abbassato a empire l’obbiettivo»). Non sapevo che nella versione originale di Rosemary’s Baby si vedesse il figlio del demonio, tra l’altro.
L’appendice con l’elenco dei collaboratori di Horror contiene delle interessanti curiosità: ad esempio ignoravo che anche Rinaldo Traini vi avesse collaborato, così come non sapevo che anche Jean Giraud era transitato per quelle pagine. Interessante poi la citazione del fumetto Edamon di Igor Hervatin, se ho ben capito una sorta di Conte di Piombo.
Chiudo anch’io con delle curiosità: il Nosferatu di Gianni Grugef, che non sapevo avessero “scritto” Castelli e Baratelli, è giustamente indicato come la storia più ristampata di Horror, ma Castelli si è dimenticato di elencare la sua apparizione nella Antologia de La Grande Avventura dei Fumetti, la famigerata enciclopedia della DeAgostini. Curioso anche che Castelli non abbia fatto notare come la rivista Vedo Nuda! edita da Sansoni (che in copertina promette «un’inchiesta “senza veli” di Alfredo Castelli»!) fosse stata pubblicata da una delle sue molte etichette che aveva chiamato Nona Arte proprio come quella che ha licenziato questo volume. O è un pastiche di Castelli?
Coerentemente con la natura del genere trattato da Horror, la mia copia offre un supplemento di mistero: in quarta di copertina un adesivo con un codice a barre copre chissà quale misterioso dettaglio (il codice a barre di un altro circuito, ovviamente, ma il volume lo conserverò così).

domenica 17 novembre 2019

Apocalisse

A giudicare dalle prime pagine, il titolo Apocalisse potrebbe essere stato scelto come testimonianza della rassegnazione verso quello che il ricorso al computer ha fatto al fumetto. A pagina 15 un errore di formattazione (o quello che diavolo è) ha fatto debordare dalla sua didascalia un testo dal carattere troppo grande, a pagina 17 il… boh, word processor?... ha scambiato una virgola per un punto rendendo poco chiaro il testo, che di suo è oscuro ma immagino non sgrammaticato. Per fortuna questi intoppi si concentrano solo nelle primissime pagine del fumetto e comunque l’arte di Corrado Roi non ne viene minimamente intaccata. Cioè, una volta che si fa l’occhio al lettering e agli effettini aerografati di alcuni balloon.
Il fumetto, più racconto illustrato che fumetto, è la trasposizione dell’opera omonima di Giovanni, che potrebbe essere l’evangelista come un altro autore. Alfredo Castelli lascia trasparire sia nell’introduzione che nell’appendice (entrambe molto ricche e interessanti) quanto sia stato difficile adattare a fumetti un testo così delirante, simbolico e ripetitivo, tanto da necessitare (come detto nell’incipit che rimanda al testo originale) di tagliare e modificare qualcosa. Non che importi molto, tutto sommato: questa Apocalisse l’avrei presa principalmente per i disegni di Corrado Roi, che si annunciavano splendidi. E splendidi lo sono davvero, anche oltre le aspettative. Il lavoro di Roi è evocativo ed elaboratissimo, ma anche espressivo e persino più narrativo del testo che illustra. Ma descriverlo è superfluo, va gustato in prima persona. Segnalo solo la particolare scelta di Roi di ricorrere a certi simboli essenziali. Quando si parla di abiti, ad esempio, compaiono delle t-shirt stilizzate, così come le stelle, che ricorrono molto spesso nell’Apocalisse, sono rappresentate con la comune forma schematica a cinque punte, anche quando sono calate in contesti realistici.
Dal punto di vista del testo, la fedeltà è stata in realtà forse eccessiva, con tanto di ripetizioni nell’ultima parte – sempre che il computer non c’abbia messo lo zampino pure lì. Come trip è un po’ pesantino, anche perché inevitabilmente non può esserci corrispondenza tra i disegni e un testo che parla di mostri con sette teste e dieci corna, impossibili da disegnare sulla base di questa descrizione che sfida la logica. Nell’appendice Castelli paragona appunto il lavoro di Giovanni a quello di Lovecraft. C’è quindi un’inevitabile scollatura tra parte testuale e parte grafica, non potendo quest’ultima assecondare degli elementi che per loro natura non possono avere una forma definita. Roi ha provveduto non tanto a rendere in immagini certi passaggi quanto a evocarne l’atmosfera, anche con il ricorso alle figure stilizzate che ricordavo sopra. Sicuramente va riconosciuto a Castelli il merito di aver tentato di movimentare un po’ la “narrazione” con degli inserti in cui Isaac Newton, Aleister Crowley e Jorge Luis Borges (ognuno con l’assist di un altro personaggio più o meno eccellente) parlano della loro esperienza con l’Apocalisse. Anche questo espediente, però, finisce per sottolineare la scarsa forza narrativa di un testo che nasceva con lo spirito del pamphlet e non del racconto. Rassegnato davanti a questa constatazione, arrivo all’ultima tavola, proprio dove Apocalisse è diventato un vero fumetto, pensando che tutto sommato ho goduto degli splendidi disegni di Roi, ancora più belli di quanto preventivato. E in definitiva era proprio quello che volevo. Ed è lì, a metà dell’ultima tavola, che Castelli stupisce con un colpo di scena geniale, assolutamente inaspettato e perfettamente congruente con l’epoca e l’ambientazione della cornice. Un tocco di classe che ha riscattato tutte le pesanti pagine precedenti e ha proiettato l’opera in un contesto inaspettato. L’appendice l’ho letta con un sorriso sulle labbra.

giovedì 7 novembre 2019

Lo Zoo Pazzo

Il volumone orizzontale raccoglie (forse non integralmente, come lascerebbe supporre l’«o quasi» del sottotitolo) le vignette realizzate dal duo Mario Gomboli e Massimo Mattioli per la francese Pif Gadget e poi transitate anche in Italia, oltre che persino in Inghilterra come ricorda Castelli nell’introduzione non nascondendo la sua invidia. Protagonisti sono ovviamente gli animali, senza alcun personaggio ricorrente ma con un la costante di un piglio da divulgazione scientifica paradossale. Il meccanismo dell’umorismo non è fisso, e accanto a gag puramente grafiche ce ne sono altre giocate sulla sorpresa, sul ribaltamento della prospettiva, sull’esaltazione delle doti vere o presunte degli animali in oggetto o sui giochi di parole, lasciando ogni tanto trapelare qualche raro accenno ecologista ma anche gli anni che sono passati dalla loro prima pubblicazione: non so quante riviste per ragazzi accetterebbero dell’umorismo su un gatto amputato perché ha imparato cosa vuol dire andare al lardo. La varietà delle situazioni e dei soggetti ritratti rende insomma la lettura molto varia e frizzante, a volte piacevolmente spiazzante. Le gag sono raccolte per nuclei tematici, che però passano inosservati lasciandosi trasportare dal flusso ininterrotto di freddure, trovate geniali e non-sense.
Gomboli, che aveva ideato la serie e la pubblicava in appendice a Diabolik, la disegnò per primo con uno stile molto piacevole, morbido e dettagliato, ma sicuramente il lavoro di Mattioli si evidenzia per raffinatezza e leggibilità, oltre che per la sua espressività.
La stampa è buona, anche se è stata scelta una grafica particolare: quasi ogni pagina, che ricordo essere orizzontale, ospita tre vignette: due sono riprodotte nel formato originale (o quello che presumo essere tale) mentre la terza viene ingrandita. Oltre al fatto che bisogna un po’ farci l’abitudine per non spoilerarsi la terza gag, per forza di cose sempre in evidenza in basso a destra, il tratto risulta inevitabilmente ingrandito, e a volte viene il dubbio che nel processo ci perda qualcosa. Ma non si tratta delle ormai classiche dentellature dovute alla stampa digitale.
Ben più grave è il fatto che il lettering sia fatto un po’ a mano e un po’ al computer. Quando si è reso necessario ricorrere al secondo non sempre è stato scelto un font armonioso (e ne sono stati usati diversi), e comunque lo stacco è troppo netto rispetto a quello originale di Mattioli. Domenica mattina appena uscito di casa ho incontrato proprio Mario Gomboli e gli ho chiesto lumi sulla cosa. Mi ha risposto che laddove possibile è stato mantenuto quello fatto in prima persona da Massimo Mattioli, ma in molti casi non è stato possibile per la scarsa reperibilità dei materiali o perché certi testi erano in francese. C’era comunque la volontà di elaborare un font specifico a partire dal lettering di Mattioli, ma sarebbe stato troppo lungo da realizzare per poter uscire in tempo per la fiera. Purtroppo non ho avuto la prontezza di estrarre il registratore per fargli un’intervista, anche perché mi ha detto delle cose molto interessanti su Mattioli. Peccato.

mercoledì 6 novembre 2019

Bonelli Kids n° 1

Questo primo numero di Bonelli Kids non è tanto l’esordio di una testata quanto un catalogo di quello che è già uscito in merito alla proprietà intellettuale: le strisce, il giochino con la «soluzione», il fumetto portante (opportunamente modificato per togliere i riferimenti al Riminicomix 2017 e inserire Leonardo al posto di Martin Mystère) si sono già visti altrove, e questo mi fa pensare che forse anche il racconto in prosa non sia inedito.
Di per sé il progetto è piuttosto ricco e con 3,90 euro un ragazzino può gustarsi strisce umoristiche, un fumetto lungo, articoli di approfondimento, un lungo racconto illustrato, un poster, dei cartelli “do not disturb” ritagliabili e vari giochi enigmistici. Questo primo numero offre anche due carte esclusive per il gioco dei Bonelli Kids, che però essendo incellofanate con la rivista impediscono di sfogliarla. Sergio Bonelli Editore sembra credere nel progetto nonostante l’esito non entusiasmante (o così mi è parso) della linea Young, visto che appunto è stato anche progettato un gioco di carte collezionabili con i piccoli protagonisti, per il momento Zagor e Martin Mystère. Tutto sommato è lecito pensare che l’affezione ai cosplayer dei protagonisti storici della Bonelli possa fare da viatico per l’acquisto delle loro testate. La periodicità semestrale non è certo la più adatta per stare sul pezzo, ma nulla vieta di cambiarla qualora ci siano le condizioni per farlo.
Bonelli Kids va a riempire un vuoto nelle edicole, quello delle riviste a fumetti per i lettori più giovani. Un tentativo rischioso, con l’aria che tira, ma sicuramente meritevole.