Slide Le Mani Sul Cuore
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Pedagogia e biopolitiche
del lavoro
Oggetto di studio
. Il bisogno di personalità
autonome e responsabili
Spazi di educabilità
In sintesi, biopolitica
del lavoro = governo
del «bios» per il
lavoro
Nascita della
biopolitica
Quello biopolitico è un concetto d’imprinting marxiano, rivisitato
nel profondo da Foucault.
1) Il primo passaggio degno di nota che egli sottolinea riguarda la
ricomprensione neoliberista del lavoro all’interno di una rinnovata
visione dell’oggetto dell’analisi economica. Poiché questa analisi,
secondo i neoliberisti e diversamente dalla teoria economica
classica, non deve interessarsi ai processi, ai meccanismi
relazionali tra capitale, investimento e produzione, ma all’«attività
degli individui», alla sua «razionalità interna» e alla sua
«programmazione strategica», il lavoro deve essere concepito e
studiato come «comportamento economico, e come
comportamento pratico, messo in atto, razionalizzato, calcolato,
dallo stesso individuo che lavora».
Nascita della
biopolitica
2) Il secondo passaggio, consequenziale al primo, riguarda
l’approfondimento di tale curvatura sull’individuo: per i
neoliberisti, indagare l’“attività” lavorativa richiede di porsi
nell’ottica del lavoratore, di interrogare il significato che
assume il lavoro, di domandarsi «a quale sistema di scelte e
razionalità obbedisce questa attività» e, così, di giungere a
capire «in che cosa e come le differenze qualitative del lavoro
possono avere un effetto di tipo economico». In definitiva, il
lavoratore, da «oggetto di una domanda e di una offerta in
forma di forza lavoro», è “osservato” in qualità di «soggetto
economico attivo».
Nascita della
biopolitica
3) Il terzo ed ultimo passaggio riguarda proprio questa
soggettivazione e, nello specifico, la trasfigurazione neoliberista
del lavoratore (e del suo lavoro) in capitale. Per gli studiosi
americani – scrive M. Foucalt – l’uomo lavora per il salario e il salario
«non è il prezzo di vendita della sua forza lavoro, ma è un reddito»;
il reddito, a sua volta, è il «rendimento di un capitale» e il capitale
«consiste nell’insieme di tutti i fattori fisici e psicologici, che
rendono qualcuno capace di guadagnare un certo salario piuttosto
che un altro, di modo che, visto dalla prospettiva del lavoratore, il
lavoro non è una merce ridotta per astrazione alla forza lavoro e al
tempo impiegato per utilizzarla»; il capitale, insomma, è
«un’attitudine, una competenza», è il lavoratore medesimo in quanto
«macchina» che produce «flussi di salari» (Ibi: 178, 183-185).
Nascita della
biopolitica
Da questa disamina foucaultiana, capace di precorrere i tempi, possiamo
agevolmente delineare gli aspetti costitutivi della nascita di una biopolitica –
segnatamente di una biopolitica del lavoro – che contrassegnerà l’attualità
dell’agire economico del capitalismo neoliberista tout court.
• Il primo e il più importante di questi aspetti è sicuramente la traduzione
antropologica del lavoratore in un “soggetto economico” che si fa
capitale e dispone di un capitale su cui investire (le attitudini, le
competenze). Questa individualizzazione – così la potremmo chiamare –
consente di sganciare il lavoro dalla dialettica con il capitale, definendolo
direttamente nei termini del capitale, e di superare il concetto di lavoro
astratto, dissimulando l’affiorare di problematiche correlate allo
sfruttamento ed erodendo al contempo la “cornice pubblica” (Gorz,
2004) che conteneva quella dialettica (fatta di interazione e di
conflitti). Ma, soprattutto, questa individualizzazione sollecita l’imporsi
di una teoria e di una pratica del governo del lavoratore.
Nascita della
biopolitica
In effetti, il passaggio dai processi all’attività implica il passaggio
dalle politiche del lavoro (in rapporto al capitale) alle politiche del
lavoratore (come capitale che deve rendere); ossia, come
chiaramente esplicitato dalla posizione neoliberista, implica il far
breccia, strategicamente, nella “razionalità interna” dell’attività e,
dunque, di colui che la compie, per provocare un determinato
“effetto economico”. In breve, quello che prefigura l’approccio
neoliberista – riprendendo le parole dell’economista liberale J.-B.
Say (2002: 199) – è l’ingresso nel «cuore degli uomini» per
garantirne una determinata condotta. Per favorirlo, a monte v’è per
l’appunto l’assunto per cui se il lavoro non è una merce, ma un
capitale, il lavoratore dovrà metterlo a profitto, identificandosi e
profondendosi integralmente in esso.
Nascita della
biopolitica
Quest’ultima annotazione ci riconduce all’espressione “soggetto
economico attivo”, la quale è stata più recentemente rivisitata da
A. Gorz. Poiché è necessario che nel lavoro odierno l’uomo metta
tutto se stesso, tutte le sue capacità (come anticipato), occorre
implementare uno «“sfruttamento di secondo grado”» diretto a
canalizzare il «“prodursi”» umano. Tuttavia, è pressoché
impossibile che un lavoratore si impegni in un «coinvolgimento
totale» e in una «identificazione senza riserve», perché il rapporto
salariale comporta giocoforza una separazione degli interessi in
campo, preservando di fatto la frontiera tra il lavoro e la vita
personale. Allora – sosteneva A. Gorz –, per abbattere questa
barriera il salariato deve scomparire e il lavoratore dovrà
sostanzialmente assurgere ad «imprenditore di se stesso» (Gorz,
2003: 14, 17-21).
Nascita della
biopolitica
Ecco, il “soggetto economico”, mutatis mutandis, è il soggetto che è
portato a riconoscersi come “imprenditore di se stesso” e che, come
tale, ha da mettere a frutto la globalità dei propri talenti. Così
facendo, in realtà non si verifica alcuna emancipazione, bensì un
asservimento delle funzioni squisitamente personali in favore di
precise modificazioni organizzative e produttive che hanno a che
fare con l’importanza acquisita dalla comunicazione, dalle reti di
informazione, dalla risoluzione dei problemi e dal simbolico. In
questa transizione verso l’autoalienazione, la concessione di
autonomia gestionale (con annessa responsabilità) gioca un ruolo
basilare nella partita dell’autoattivazione al servizio del capitale.
Biopolitica del lavoro e
letteratura
Approfondimenti su:
- Leghissa, Demichelis
- Greblo
- Gallino,
- Marazzi,
- Combes, Aspe
- Lazzarato,
- Moulier Boutang
- Fumagalli
Dispositivi di
assoggettamento
. La politica del Q.B. (pratica del breve
termine/intervallare presenza-assenza
psicologica, tecniche video di controllo,
eterogeneità della forza lavoro per
effetto della morfologia reticolare come
arma per contrastare organizzazione e
solidarietà dei gruppi omogenei.
. Management dell’anima (Dardot, Laval)
Gorz (ancora) e
biopolitica del lavoro
«È il […] sapere vernacolare che l’impresa
postfordista mette al lavoro e sfrutta»,
insieme a quella «principale forza
produttiva» che è la «conoscenza», al
«giudizio», all’«intuizione», al «livello di
formazione e d’informazione», alla
«facoltà di apprendimento e di
adattamento a situazioni impreviste».
(Da L’immateriale)
Tetris e la biopolitica
del lavoro
«Il capitale post-fordista somiglia a quel videogioco cult
che ha il nome di Tetris. Per andare avanti e vincere
(puntando, oltre che su stesso e la propria riproduzione
finanziaria, su un lavoro che sia snello, flessibile, in
sintonia temporale e qualitativa con la domanda,
competitivo, ecc.), occorre giustapporre
progressivamente una serie di mattoncini (deregolazione,
baricentro spostato sull’universo simbolico della merce e
costituzione di comunità omogenee), smaltire file di
mattoncini (costi umani e sociali) e accatastare nuove
file di mattoncini (assorbire l’integralità dell’umano)».
Lavoro e capitalismo
antropofago
«È nell’aggettivo la sua ambizione a fagocitare
il propriamente umano nella multidimensionalità
delle sue funzioni e dei suoi spazi, spingendosi
verso territori inesplorati che si credevano
inviolabili. La significativa profondità
dell’essere era prima disfunzionale» Ora è
tutto l’essere, razionale e non, logos e pathos
che viene risucchiato, traducendolo dall’extra-
lavorativo (specie il pathos) verso il luogo di
lavoro, per porlo a valore.
Le mani sul cuore
• «Il capitalismo antropofago risucchia padronanze maturate
nella formazione e, per di più, le ricerca al di là, nel vissuto,
prendendo alla lettera il curriculum vitae.
• Dopo la mano e la testa ha messo le mani sul cuore, investendo
il lavoro di un’ipertrofia senza precedenti e senza limiti. Lo
tiene stretto, lo sente battere e rimbombare e sembra che
dica: anche questo è mio, non puoi farci niente. Per paura che la
presa si stringa troppo, l’uomo si piega, si inchina, sperando che
oltre l’orario di lavoro – e sperando che permanga un orario –
ritorni a pulsare regolarmente, ma pure in questo caso le mani
sono sul cuore. L’asservimento all’utile, attraverso il lavoro (e
non solo), è ormai radicato nel midollo e si riflette nel
quotidiano e nella sua pervasiva mercificazione (relazionale,
accrescendo l’egoistica “interdipendenza funzionale”, e di
consumo)».
La vita-lavoro