Nothing Special   »   [go: up one dir, main page]

Academia.eduAcademia.edu

Dagli anni Sessanta agli anni Ottanta. Uno sguardo alla Scuola romana prima, attraverso e oltre 'Arte moderna in Italia 1915-1935'

ATTI DEL CONVEGNO Carlo Ludovico Ragghianti e l’arte in Italia tra le due guerre Nuove ricerche intorno e a partire dalla mostra del 1967 Arte moderna in Italia 1915-1935 Carlo Ludovico Ragghianti e l'arte in Italia tra le due guerre ATTI DEL CONVEGNO Fondazione Ragghianti di Lucca Università di Pisa 14-15 dicembre 2017 Carlo Ludovico Ragghianti e l’arte in Italia tra le due guerre Nuove ricerche intorno e a partire dalla mostra del 1967 Arte moderna in Italia 1915-1935 a cura di Paolo Bolpagni e Mattia Patti con la collaborazione di Livia de Pinto e Biancalucia Maglione Carlo Ludovico Ragghianti e l’arte in Italia tra le due guerre Nuove ricerche intorno e a partire dalla mostra del 1967 Arte moderna in Italia 1915-1935 ATTI DEL CONVEGNO a cura di Paolo Bolpagni e Mattia Patti con la collaborazione di Livia de Pinto e Biancalucia Maglione Saggi di Saggi di Manuel Barrese Paolo Bolpagni Sergio Cortesini Livia de Pinto Giorgia Gastaldon Lorella Giudici Emanuele Greco Biancalucia Maglione Massimo Maiorino Martina Marolda Maddalena Oldrizzi Maria Letizia Paiato Sibilla Panerai Mattia Patti Elena Pontiggia Luca Quattrocchi Gianmarco Russo Livia Spano Cura redazionale Servizi editoriali Angelica Giorgi Maria Francesca Pozzi Laura Bernardi Progetto grafico e impaginazione Stampa Marco Riccucci San Marco s.r.l.s., Lucca Volume pubblicato con il sostegno del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa - Progetto del Dipartimento di Eccellenza Referenze fotografiche © Milano, Archivio Mosca Baldessari (fig. 7); © Fondazione Ragghianti, Lucca, Fototeca Carlo L. Ragghianti (figg. 3, 4, 17, 35, 43, 44, 49, 50, 51, 52, 53); © Foto Marcella Galassi (fig. 10); © Vauro (fig. 12); © «Domus», Foto Santi Caleca (fig. 13); © Vercelli, Museo Borgogna (fig. 20); © Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea (figg. 25, 29, 30, 38, 39, 40); © Firenze, Musei Civici Fiorentini, Museo Novecento (fig. 26); © Pisa, Gabinetto Disegni e Stampe dell’Università di Pisa (fig. 28); © Verona, Comune di Verona, Galleria d’Arte Moderna Achille Forti (figg. 32, 33); © Verona, Fondazione Cariverona (fig. 34); © Courtesy Roma, Berardi Gallerie d’Arte (fig. 36); © Collezione Elisabetta e Franco Faldi (fig. 46) © Carlo Carrà, Felice Casorati, Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis, Giacomo Manzù, Giorgio Morandi, Mario Schifano, Mario Sironi, by S.I.A.E. 2020 La Fondazione Ragghianti, scusandosi anticipatamente per l’involontaria omissione di referenze fotografiche, è disponibile ad assolvere eventuali diritti. © 2020: Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’arte Lucca © 2020: per i testi gli autori Vietata la riproduzione e la duplicazione con qualsiasi mezzo. ISBN 978-88-89324-49-3 Indice 7 Prefazione 9 Paolo Bolpagni La mostra di Ragghianti sull’arte moderna italiana tra il 1915 e il 1935: vicende, risvolti e (incerti) numeri di una travagliata impresa fuori dall’ordinario 17 Mattia Patti Un coro discorde di opinioni. Fortuna critica della mostra Arte moderna in Italia 1915-1935 25 Giorgia Gastaldon Carlo Ludovico Ragghianti: dall’effimero al permanente, dalla mostra al museo 33 Luca Quattrocchi Ripensare l’arte del ventennio fascista: scelte espositive, allestimenti e ricezioni critiche. Dalla mostra fiorentina del 1967 a «Gli annitrenta» a Milano nel 1982 45 Manuel Barrese L’orizzonte postmoderno e il contrastato recupero dell’arte italiana tra le due guerre 55 Sergio Cortesini Lo storicismo estetico di Ragghianti e altri miti critici nel 1967 67 Martina Marolda De Chirico, Sironi, Modigliani prêt-à-porter. La circolazione dei capolavori di Arte moderna in Italia 1915-1935 in riviste, manifesti e pubblicità 77 Maria Letizia Paiato Giuseppe Cominetti: commenti critici prima del 1967. Con Arte moderna in Italia 1915-1935 la ritrovata attenzione per l’artista 85 Elena Pontiggia Una rivoluzione critica. Sironi e la mostra di Ragghianti del 1967 93 Emanuele Greco «Un culto della realtà compresa come specchio di umana trasfigurazione». Ragghianti e la riscoperta di Edita Broglio, 1967-1971 103 Maddalena Oldrizzi Arte moderna in Italia 1915-1935: Realismo Magico in Veneto 5 6 109 Livia Spano Ferruccio Ferrazzi e Carlo Ludovico Ragghianti 1966-1977: dalle confessioni dell’artista alla revisione critica dello storico 121 Apparato iconografico 153 Livia de Pinto Dagli anni Sessanta agli anni Ottanta. Uno sguardo alla Scuola romana prima, attraverso e oltre Arte moderna in Italia 1915-1935 165 Biancalucia Maglione Carlo Ludovico Ragghianti e Osvaldo Licini.Verso Arte moderna in Italia 1915-1935 177 Massimo Maiorino «Il più puro e maggiore artista del nostro secolo». Morandi nelle scritture espositive di Ragghianti 185 Gianmarco Russo Ragghianti critico di Manzù 197 Sibilla Panerai Carlo Levi e la cultura artistica durante il fascismo. Giustizia e Libertà e Arte moderna in Italia 1915-1935 207 Lorella Giudici Carlo Ludovico Ragghianti e gli artisti di Corrente 217 Il programma del convegno INDICE Prefazione Il 26 febbraio 1967, nelle sale di Palazzo Strozzi a Firenze, fu inaugurata la mostra Arte moderna in Italia 1915-1935, attraverso la quale Carlo Ludovico Ragghianti mise in evidenza la necessità di ripensare in termini nuovi la complessa situazione della pittura e scultura tra le due guerre nel nostro Paese. A suo dire, infatti, pregiudizi ideologici avevano impedito una lettura dell’arte di quel periodo basata su «un’autenticità di significato espressivo o poetico» e su un’analisi obiettiva dei linguaggi e dei processi formali. Al contempo, preoccupato da possibili dispersioni documentarie, insieme con un nutrito gruppo di collaboratori Ragghianti avviò un «censimento catalogico, il più vasto e capillare possibile», riuscendo ad accedere a innumerevoli raccolte e archivi privati. Fu anche grazie a tale enorme lavoro che la mostra contribuì in maniera rilevante al rilancio degli studi sull’arte italiana tra le due guerre. A cinquant’anni da quell’evento, nel dicembre del 2017 si è tenuto un convegno, organizzato in due giornate alla Fondazione Ragghianti di Lucca e all’Università di Pisa, per proporre di tornare a riflettere sul contesto che portò all’ideazione della mostra, nonché sui dibattiti da essa scaturiti, sulle scelte compiute e sull’importanza che l’approccio del grande studioso toscano ebbe nella rivalutazione e nella revisione della magmatica temperie di un periodo cruciale del Novecento italiano. Per altro verso, facendo riferimento in modo diretto, ma non esclusivo, alle partecipazioni alla mostra, nel convegno sono stati esaminati alcuni rapporti intercorsi tra gli artisti e Ragghianti, il quale evidenziò l’esigenza di integrare la visione storica dominante con la lezione che le singole personalità sono in grado di fornire tramite il loro operato, in modo autonomo e spesso non incasellabile nella troppo stretta maglia degli ‘ismi’ di cui il racconto delle vicende del XX secolo sembrava ormai intessuta in maniera inevitabile. L’attività di Ragghianti critico d’arte contemporanea tese infatti ad affiancare all’analisi di episodi ben attestati e riconosciuti altri talvolta ugualmente originali e validi, ma rimasti in secondo piano, se non del tutto dimenticati, a causa di lacune documentarie o di difficoltà di inquadramento storico-critico. L’esposizione fiorentina esemplifica perfettamente questa tendenza, presentando, accanto ad autentiche piccole monografiche dedicate a conclamati protagonisti della scena d’inizio Novecento e a gruppi consolidati, esperienze di artisti fino ad allora trascurati. Alcune di tali personalità ebbero, nella mostra a Palazzo 7 8 Strozzi, una delle prime occasioni di riconoscimento della propria attività e un momento di snodo per la loro successiva fortuna critica, anche grazie all’imponente impresa organizzativa che Ragghianti e i suoi collaboratori seppero sviluppare, riuscendo tra l’altro a evidenziare i diversi problemi relativi al reperimento delle opere a causa di dispersioni o passaggi di collezioni. Questo volume è la traccia dei due giorni di lavori che si svolsero il 14 e il 15 dicembre 2017 a Lucca e a Pisa, con la partecipazione di studiosi di differenti generazioni, e un ampio spazio volutamente lasciato ai giovani. Mancano purtroppo all’appello i contributi di alcuni che allora intervennero (ma che in ogni caso ringraziamo per l’apporto significativo che offrirono), ma in compenso si sono aggiunti i saggi di Livia de Pinto e di Livia Spano. Speriamo di offrire un valido contributo alle ricerche intorno e a partire da – come recitava già il titolo del convegno – quella monumentale ed eroica mostra che, nel 1967, costituì uno spartiacque nella considerazione storico-critica di un’importante fase dell’arte italiana del XX secolo, oltre che un segno della rinascita di Firenze dopo la terribile alluvione del novembre del 1966. Paolo Bolpagni PREFAZIONE Mattia Patti Livia de Pinto Dagli anni Sessanta agli anni Ottanta. Uno sguardo alla Scuola romana prima, attraverso e oltre Arte moderna in Italia 1915-1935 Quando al principio del 1966 Carlo Ludovico Ragghianti avviò i lavori di organizzazione della mostra Arte moderna in Italia 1915-1935, il fenomeno della Scuola romana era per lo più inteso come insieme eterogeneo di artisti operante in territorio romano e accomunato solamente da un generico clima di opposizione al milanese Novecento.1 Alcuni tentativi di enucleare un fenomeno dai confini labili e di individuare e comprendere il fervido clima artistico che aveva caratterizzato la città di Roma a partire dalla fine degli anni Venti, erano infatti già stati attuati in passato. Tra i più significativi, nell’ambito dell’VIII Quadriennale d’Arte di Roma,2 Giorgio Castelfranco ed Emilio Lavagnino avevano curato la mostra storica Sguardo alla giovane scuola romana dal 1930 al 19453 dalla quale era derivato nel 1960 il catalogo realizzato con la collaborazione di Dario Durbé intitolato La Scuola romana dal 1930 al 1945.4 Castelfranco opera qui un’analisi della Scuola romana affrontando singolarmente quindici personalità, snodandole congiuntamente in due nuclei così da delineare da una parte il sodalizio Scipione, Mafai, Raphaël e, dall’altra, quello Cagli, Capogrossi, Cavalli, indicando la figura di Roberto Melli come fondamentale in qualità di maestro e critico.5 Già nel 1959 Castelfranco precisava come in clima di regime questi artisti non fossero stati «perseguitati dalla critica ufficiale» e non fossero divenuti «vittime della incomprensione e della cattiveria umana» non configurandosi, dunque, come un fenomeno da «riscoprire».6 Tre anni prima della realizzazione della mostra di Palazzo Strozzi, nella primavera del 1964, Romeo 1 D. Durbé, Date, vicende, avvenimenti, in G. Castelfranco, D. Durbé, a cura di, La Scuola romana dal 1930 al 1945, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 28 dicembre 1959 – 30 aprile 1960), De Luca, Roma 1960, pp. 25-39: 25. 2 L’VIII Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma si tenne al Palazzo delle Esposizioni tra il 28 dicembre 1959 e il 30 aprile 1960 e fu dedicata al confronto tra arte italiana figurativa e non figurativa. La Sala A venne interamente riservata alla proposta storica della «Giovane Scuola romana». Si veda: G. Castelfranco, Sguardo alla giovane Scuola romana dal 1930 al 1945, in VIII Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 28 dicembre 1959 – 30 aprile 1960), De Luca, Roma 1959, pp. 44-54. 3 La mostra venne organizzata poco dopo una esposizione allestita alla galleria romana Nuova Pesa che, oltre alle figure della Scuola romana, aveva ospitato anche opere del milanese movimento di Corrente. La mostra di Castelfranco e Lavagnino si concentrò esclusivamente sulle presenze artistiche romane tra anni Venti e anni Quaranta, nel dichiarato tentativo di debellare ogni rischio di confusione critica sull’argomento. Castelfranco, Sguardo alla giovane Scuola romana cit., pp. 7-8. 4 Castelfranco, Durbé, La Scuola romana dal 1930 al 1945 cit., 1960. 5 Castelfranco, Sguardo alla giovane Scuola romana cit., p. 16. 6 Ibi, p. 44. 153 154 Lucchese aveva curato alla Galleria Barcaccia di Roma la mostra Alcune precisazioni sulla Scuola romana, dalla quale sarebbe derivato un piccolo catalogo dall’omonimo titolo.7 Al suo interno, Lucchese imposta un discorso fondamentalmente in polemica rispetto quanto tracciato in precedenza da Castelfranco e Durbé, accusandoli di aver «dimenticato del tutto artisti isolati […] ma validi»,8 come Antonio Donghi, Riccardo Francalancia o Virgilio Guzzi, e di non aver considerato l’importanza dell’apporto alla Scuola romana di letterati e intellettuali.9 Inoltre, Lucchese allarga sensibilmente i tempi della Scuola romana individuandone una rifioritura tra il 1940 e il 1945, connessa agli avvenimenti di «Corrente» e del «Fronte Nuovo delle Arti», e un proseguimento ulteriore databile tra il 1945 e gli anni Sessanta, identificabile con la ripresa da parte di artisti come Giovanni Stradone, Toti Scialoja, Titina Maselli, Leoncillo, della pittura di Mafai, Scipione, Pirandello, Gentilini, Tamburi, e, successivamente, con il ritorno di «forme espressionistico-tonali» tra il 1960 e il 1964, sfaldando, in definitiva, i confini di una ipotetica identificazione storica.10 Se dunque sul finire degli anni Sessanta esistevano diversi tentativi di sistemazione critica delle vicende della Scuola romana, era però evidente come la situazione fosse ancora tutt’altro che chiara e come molti artisti risultassero incompresi e mal conosciuti. Ancor più, non era ancora stata indagata a fondo la vitalità dei legami e dei rapporti esistenti tra le correnti artistiche e le tendenze che avevano caratterizzato l’Italia in un periodo antecedente alla fine degli anni Trenta.11 L’importanza di un approfondimento degli artisti appartenenti a tale area culturale al fine di riscoprire la ricchezza di una continuità a lungo negata era però chiara a quel tempo a Carlo Ludovico Ragghianti. La proposta in mostra della Scuola romana tra ‘inutili selezioni’ e fondamentali recuperi Nell’ambito di una mostra concepita come un’occasione per mostrare al pubblico la vitalità artistica di un periodo da troppo tempo considerato per fatti sociali e ragioni politiche chiuso e culturalmente depresso,12 l’inclusione degli artisti della Scuola romana nelle sale di Palazzo Strozzi R. Lucchese, a cura di, Alcune precisazioni sulla Scuola romana, catalogo della mostra (Roma, Galleria Barcaccia, 1964), Istituto Grafico Tiberino di Stefano De Luca, Roma 1964. 8 Ibi, p. 12. 9 Ibi, pp. 12-14. 10 Ibi, pp. 15-18. Per una ricostruzione delle passate vicende critiche della Scuola romana si ricorda anche il contributo di Enrico Crispolti Topografia, itinerari e tempi della «Scuola romana», in A.C. Toni, a cura di, Scipione e la scuola romana, atti del convegno (Macerata, 28-29 novembre 1985), Multigrafica, Roma 1989, pp. 83-110. 11 Una carenza sottolineata anche da Antonello Trombadori che nel 1986 evidenzia l’arretratezza dell’impostazione storico-critica degli studi di Castelfranco e Durbé del 1959, che collocano la nascita della Scuola romana «a ridosso di un retroterra definito come assolutamente accademico, inerte e privo di creatività». A. Trombadori, Introduzione, in M. Fagiolo dell’Arco, a cura di, Scuola romana. Pittura e scultura a Roma dal 1919 al 1943, De Luca, Roma 1986, pp. VII-XIII: VIII. 12 Nell’introduzione del catalogo dedicato alla mostra, Ragghianti sottolinea la mancanza di una «conoscenza reale» dei fatti artistici prodottisi a partire dalla fine del movimento futurista e la necessità di ricostruire, recuperare e di ripresentare «i fenomeni nei quali si identificasse, fuori da ogni pregiudiziale, un’autenticità di significato espressivo o poetico». Uno dei motivi principali di questa scarsa conoscenza era sicuramente stata la reticenza, dopo il 1945, al «controllo della realtà artistica tra le due guerre mondiali» a causa della presenza in Italia del Fascismo. C.L. Ragghianti, Presentazione, in Arte moderna in Italia 19151935, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Strozzi, 26 febbraio – 28 maggio 1967), Marchi e Bertolli, Firenze 1967, pp. I, III. 7 LIVIA DE PINTO sembrava configurarsi come necessaria per motivi differenti.13 Da un lato, infatti, le vicende legate alla produzione e agli scambi di due generazioni di artisti romani erano comprensibilmente una parte imprescindibile del «nucleo spettacolare della mostra», secondo una modalità leggibile a chiare lettere anche in uno scritto di Raffaele Monti per «Critica d’Arte» del dicembre del 1967 interamente dedicato all’evento fiorentino.14 La decima sala dell’allestimento era più in generale stata riservata al «vivo e articolato […] panorama di gruppi e programmi» che erano stati in grado di caratterizzare gli anni centrali del ventennio affrontato.15 Da un altro lato, sempre in base a quanto scritto da Raffaele Monti, malgrado la possibilità di «minori recuperi» rispetto a situazioni precedenti affrontate all’interno della mostra soprattutto grazie alla «giovane età di moltissimi artisti» che favoriva una «spontanea adesione ai problemi anche cronistici della cultura contemporanea»,16 era chiaro al comitato organizzativo come si rendesse necessario un diverso approccio metodologico basato sull’attenzione alle singole figure piuttosto che alla generalità degli eventi e a situazioni di carattere corale.17 La ragione stava nella volontà di Ragghianti di non adottare schematismi politici che in passato avevano guidato l’impostazione critica degli studi sulla Scuola romana e di affrontare, diversamente, uno studio capace di mostrare una situazione estremamente complessa fatta di continui scambi culturali, rivitalizzando quelle esperienze artistiche significative che avevano finito per scomparire a causa di eccessive semplificazioni e ciclizzazioni rigorose. Attraverso Arte moderna in Italia 1915-1935 venne inaugurato un nuovo approccio metodologico basato su «una rappresentazione storica e critica concreta», capace di dare «apprezzamento ai valori reali» e di rompere i passati «paradigmi intellettuali»;18 una visione inedita che sarebbe stata raccolta più tardi, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta.19 Dalle carte d’archivio riconducibili alla fase preparatoria dell’evento è possibile leggere il progetto provvisorio di costruzione della sala, genericamente articolata per gruppi e situazioni territoriali.20 Tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta città come Torino con il gruppo dei Sei, Milano con i giovani artisti di Corrente e Roma con la Scuola romana, si erano attestati come centri significativamente attivi. Per questo motivo, insieme alla necessità sopra detta di Pur nella sua incompletezza di studi, non risultavano effettivamente sconosciute al pubblico italiano le vicende della Scuola romana. A differenza di quanto accaduto per altri artisti e altre situazioni dal carattere corale attive durante il regime, già nel 1959 Giorgio Castelfranco aveva precocemente sottolineato come la realtà della Scuola romana non avesse subito l’ostracismo delle istituzioni o le persecuzioni della critica ufficiale, e non necessitasse dunque una ricostruzione totale di quanto prodotto al tempo. Castelfranco, Sguardo alla giovane Scuola cit., pp. 44-54. 14 R. Monti, Arte in Italia 1915-1935, in «Critica d’Arte», a. XV, 91-92, dicembre 1967, p. 11. 15 Ibidem. 16 Ibi, p. 10. 17 Così scrive estesamente Monti: «vivo e articolato è il panorama di gruppi e programmi […]. Spesso però gli artisti fan parte successivamente di gruppi diversi; l’adesione è dettata da una scelta extra artistica, polemica, etica, politica. E di qui il disagio che pur nella messe di studi, talvolta puntuali, si avverte in un atteggiamento critico tendente a classificare eventi più che a chiarire contributi individuali». Monti, Arte in Italia 1915-1935 cit., p. 11. 18 Ragghianti, Presentazione cit., p. V. 19 Per i suoi continui riferimenti alla mostra in oggetto, anche nel caso della produzione artistica romana, e per la chiara eredità metodologica ravvisabile nel suo impianto, si ricorda la pubblicazione del 1976 di Fernando Tempesti edita da Feltrinelli, Arte dell’Italia fascista. F. Tempesti, Arte dell’Italia fascista, Feltrinelli, Milano 1976. 20 FONDAZIONE RAGGHIANTI, LUCCA, ARCHIVIO CARLO LUDOVICO RAGGHIANTI (d’ora in poi FR, ACLR), Appunti di lavoro [1966-1967], b. 3, f. 11, bozza battuta a macchina con appunti manoscritti. 13 DAGLI ANNI SESSANTA AGLI ANNI OTTANTA. UNO SGUARDO ALLA SCUOLA ROMANA 155 156 identificare la circolazione culturale attiva in territorio italiano, il comitato organizzativo decise di proporre un progetto capace di mostrare principalmente un attento e articolato reticolo di figure che furono in grado di apportare novità stilistiche anche al di fuori del territorio nel quale si trovarono a operare.21 Per quanto riguarda il caso specifico della Scuola romana, venne concretizzato un «riesame panoramico» di quella che veniva considerata come una «complessa situazione» capace di rappresentare «uno dei punti di maggior interesse e di più sicuro approdo della mostra».22 Il nucleo centrale della proposta al pubblico della Scuola romana si snodava a partire dal «cuore»23 di Via Cavour, un punto di sicura attrattiva, su cui Ragghianti e il comitato organizzativo non sembrano aver mai nutrito dubbi.24 Particolare attenzione venne riservata soprattutto alla figura di Mario Mafai che in catalogo conta diciannove opere, quasi tutte provenienti da collezioni private.25 La scelta è motivata da Monti che nel già citato articolo del dicembre 1967 parla di una «altezza continua dell’arco poetico di Mafai», per il quale si è rivelata «inutile una selezione, se non nell’ambito reso necessario dall’oggettivo spazio disponibile».26 Come trapela anche da uno scambio epistolare tra Ragghianti e Simona Mafai De Pasquale, l’interesse per l’operato artistico di Mafai era in quel periodo condiviso dalla galleria romana La Nuova Pesa, che stava contemporaneamente lavorando all’allestimento di una «Mostra-omaggio» dell’artista per l’autunno del 1966 e per la quale era prevista la presenza di «almeno cinquanta quadri ed una ventina di disegni».27 L’arrivo di opere dell’artista alla mostra fiorentina dipese dunque anche da una scelta condizionata dall’allestimento della mostra romana,28 ma non può passare inosservata la coscienza dell’importanza di Arte moderna in Italia 1915-1935 da parte di Simona Mafai che, in una lettera datata 21 settembre 1966, comunica a Ragghianti di voler decidere della presenza delle opere alla Nuova Pesa in base alle richieste del critico.29 Nonostante ciò, il caso delle opere di Via Cavour e, più in generale, della Scuola romana esposte alla mostra di Palazzo Strozzi, evidenzia uno dei nodi problematici affrontati da Ragghianti e dal comitato organizzativo in fase progettuale: la 21 Così dichiara Ragghianti il 30 gennaio 1966 durante una riunione del comitato organizzativo scientifico: «Allora bisogna uscire da questo schematismo di rappresentazione e sostituire a questo schematismo una rappresentazione storica e critica concreta, cioè dando apprezzamento ai valori reali che noi possiamo assicurare che c’erano, che sono emersi, anche se questi non sono in certe linee, non sono in certi indirizzi, o non sono stati collocati in certe arbitrarie schematizzazioni». FR, ACLR, Comitato organizzativo scientificoriunioni, b. 3 f. 2, verbale della riunione del 30 gennaio 1966, p. 6. 22 Monti, Arte in Italia 1915-1935 cit., p. 14. 23 F. D’Amico, a cura di, Il cuore della Scuola romana, catalogo della mostra (Forni Galleria d’Arte, Bologna, 28 settembre – 16 novembre 1991), Galleria Forni, Bologna 1991. 24 Monti, Arte in Italia 1915-1935 cit. 25 Sembra particolarmente significativo notare come tra le opere in catalogo, solamente Case al Foro Traiano, Demolizione e Nudo sul divano provenissero da collezioni pubbliche: le prime due dalla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma e l’ultima dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Giungevano poi in particolare dalla collezione Antonietta Raphaël Mafai le opere Autoritratto, del 1928, Ragazzo con la palla, del 1932, e Concerto del 1934. Ragghianti, Presentazione cit., p. LVI. 26 Monti, Arte in Italia 1915-1935 cit., pp. 14, 16. 27 FR, ACLR, Corrispondenti, informazioni artisti ed opere: Mafai De Pasquale, Simona, b. 8 f. 14, lettera di S. Mafai De Pasquale a C.L. Ragghianti, 6 luglio 1966. 28 In realtà l’organizzazione della mostra subì una serie di ritardi ed ebbe luogo tra il 24 novembre e il 13 dicembre del 1967. Si veda: C. Maltese, Omaggio a Mafai, catalogo della mostra (Roma, Galleria La Nuova Pesa, 24 novembre – 13 dicembre 1967), Nocera, Campobasso 1967. 29 FR, ACLR, Corrispondenti, informazioni artisti ed opere: Mafai De Pasquale, Simona, b. 8 f. 14, lettera di S. Mafai De Pasquale a C.L. Ragghianti, 21 settembre 1966. LIVIA DE PINTO scarsa presenza in commissioni pubbliche di opere appartenenti al periodo trattato.30 Così dichiara infatti Ragghianti nel testo di presentazione del catalogo: Le dispersioni, i passaggi di collezioni, le emigrazioni (particolarmente dolorose), i depositi dimenticati, anche da eredi, gli occultamenti di vario motivo hanno imposto una fatica organizzativa purtroppo imponente, e talora, malgrado ogni sforzo, senza esito o senza pieno esito. […] Ma bisogna anche che gli enti pubblici, a cominciare dallo Stato, prendano coscienza di una situazione tanto ingiustificabile e abnorme.31 In tale contesto, anche la presenza di Scipione e Antonietta Raphaël nelle sale di palazzo Strozzi fu particolarmente significativa, proposti con quindici opere il primo e con dodici lavori la seconda. Anche nel loro caso, però, salta all’occhio la scarsa presenza della produzione di via Cavour nelle sale pubbliche nazionali. Delle opere selezionate di Scipione, infatti, solo La via che porta a S. Pietro, del 1930, era stata inviata dalla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma, mentre Ritratto di Ungaretti, del medesimo anno, proveniva dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna; proprio dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma giungeva infine il Ritratto di donna su fondo rosso del 1938, in questo caso l’unica opera presente in collezione pubblica di Antonietta Raphaël.32 Ad allargare lo sguardo tra le pagine del catalogo è però possibile notare come il lavoro organizzativo svolto alle spalle della mostra sia stato in grado di indicare per la Scuola romana una situazione fluida e fittamente articolata che necessitava di essere maggiormente indagata. Il lavoro del comitato si diresse dunque verso il superamento di una resistente tendenza alla strutturazione in fasi delle vicende delle arti figurative tra le due guerre, troppo genericamente suddivise tra un periodo classico-novecentista, una conseguente reazione espressionista e un successivo approdo al tonalismo.33 Alcune radicali riscoperte in tale direzione, come la circolazione di temi e stili vicini a «Valori Plastici» nella produzione di certune figure della Scuola romana e le problematiche connesse al rapporto con il Novecento italiano, si attestarono come uno dei nodi principali dell’esposizione fiorentina.34 Tra gli artisti che godettero di un’attenzione al tempo non scontata nell’ambito della Scuola romana, la figura di Ferruccio Ferrazzi sembra oggi forse la più emblematica.35 Definita dalla stampa Così si legge ancora nella seconda metà degli anni Ottanta all’interno del volume a cura di Maurizio Fagiolo dell’Arco, Scuola romana. Pittura e scultura a Roma dal 1919 al 1943: «il danno generale che Roma arreca a sé medesima come capitale priva di strutture culturali all’altezza del compito è aggravato, in particolare, dalla mancata documentazione museale della “Scuola romana” della quale non v’è raccolta pubblica in Italia che sia in grado di fornire un’indagine sufficiente». Trombadori, Introduzione cit., p. XIII. 31 Ragghianti, Presentazione cit., p. I. 32 Ibi, p. LIX. 33 Così ancora si ravvisa tra le pagine del catalogo della IX Quadriennale. G. Perocco, Introduzione, in IX Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 28 dicembre 1959 – 30 aprile 1960), De Luca, Roma 1965, pp. 41-64, pp. 47-50. 34 Come si evince anche dalla stampa dell’epoca. FR, ACLR, L’Eco della Stampa 1966-1967, b. 45 album 1-4. 35 Sul rapporto di Ferruccio Ferrazzi con Carlo Ludovico Ragghianti si ricorda in questa sede l’approfondimento del 2004 di Irene Amadei che nel suo scritto Ferruccio Ferrazzi e Carlo Ludovico Ragghianti identifica proprio nella mostra fiorentina del 1967 l’incipit fondamentale della riscoperta critica dell’artista. Per un ulteriore approfondimento sulla presenza di Ferruccio Ferrazzi alla mostra si rimanda al contributo di Livia Spano presente in questo volume (pp. 109-120). Si vedano: I. Amadei, Ferruccio Ferrazzi e Carlo Ludovico Ragghianti, in F. D’Amico, N. Vespignani, a cura di, Ferruccio Ferrazzi. Visione, simbolo, magia. Opere 1915-1947, catalogo della mostra (Pisa, Museo Nazionale di San Matteo, 15 ottobre – 5 dicembre 2004), Milano 2004, pp. 29-38. 30 DAGLI ANNI SESSANTA AGLI ANNI OTTANTA. UNO SGUARDO ALLA SCUOLA ROMANA 157 dell’epoca come una delle «poche riscoperte degne di rilievo»,36 alla sua personalità artistica erano legati in quegli anni ingenti problemi di dispersione delle opere e di oscuramento della ricchezza del suo apporto nella Scuola romana.37 Della produzione di Ferrazzi, presente alla mostra con opere divise in tre sezioni differenti, Ragghianti tentò un recupero sin dai lavori appartenenti agli anni Dieci del Novecento, mettendone particolarmente in evidenza la vitalità dei primi anni di ricerca,38 influenzati sia dalla corrente del Futurismo sia dalla pittura europea di area francese e tedesca, ma anche l’attenzione riservata agli arcaismi di stampo trecentesco.39 Così scriverà Ragghianti due anni più tardi sull’importanza della rivalutazione di Ferruccio Ferrazzi: La vicenda di questa personalità artistica è stata singolare, anche nel senso che ad un’incomprensione sostanziale – che non ebbero per altro Cagli e Capogrossi i quali nei loro primordi si rivolgono, significativamente, a Ferrazzi ed a Melli – si accompagnò l’attribuzione successiva di una rappresentatività culturale che portandolo più volte ai fastigi della fama ne velò per la critica alcune qualità più autentiche, non senza riconvergere su di lui taluni pesi derivati dalla posizione assegnatagli.40 158 Lavori come Idolo del prisma, del 1924-1925, o Adolescente, del 1928, sono in grado di mostrare in particolar modo quegli «elementi attivi»41 e quella «disciplinata ricchezza di risorse formali»42 che avrebbero caratterizzato la cifra dell’influenza esercitata da Ferrazzi sugli sviluppi del tonalismo romano verificabile principalmente nelle pitture di Melli e Cagli.43 Nel 1969, tra le pagine 36 C. Giacomozzi, In 2000 opere venti anni di arte italiana, in «Vita; settimanale di notizie», 427, 15-21 giugno 1967, p. 36. 37 Sul problema della dispersione delle opere di Ferruccio Ferrazzi sarebbe tornata ancora quasi venti anni più tardi Licia Collobi su «seleArte» nel gennaio-marzo del 1986, scrivendo: «Se molte donazioni e fondazioni passate e recenti assicurano alla collettività la conservazione di opere d’arte, ci sono, a volte, dispersioni, per esempio […] Ferruccio Ferrazzi e Arturo Martini, dei quali questa dispersione distrugge un vero e proprio museo organico». L. Collobi, Novecento, seleArte, in «Critica d’Arte», LI, 8, gennaio-marzo 1986, p. 29. 38 Sembra interessante evidenziare come nella bozza del progetto espositivo presentato da Ragghianti al Comitato tecnico il nome di Ferrazzi compaia accompagnato da una «S», posta a segnalare la necessità di un approfondimento della produzione dell’artista legata al periodo delle Secessioni romane. Un proposito, questo, posto in essere a partire dalla fine del 1969, all’interno di Bologna cruciale 1914, pubblicato nel fascicolo 106-107 di «Critica d’Arte». Per il riferimento alle carte d’archivio: FR, ACLR, Carlo Ludovico Ragghianti, appunti di lavoro [1966-1967], b. 3, f. 2. Per l’approfondimento di Ragghianti in «Critica d’Arte» si rimanda a: C.L. Ragghianti, Bologna cruciale 1914, in «Critica d’Arte», XVI, 106-107, ottobre-novembre 1969, p. LIX. 39 Ragghianti, Presentazione cit. 40 Ragghianti, Bologna cruciale cit. Si ricorda, inoltre, la pubblicazione nel 1974 da parte di Carlo Ludovico Ragghianti e Jacopo Recupero dell’importante studio sull’attività dell’artista, primo vero approfondimento della sua opera dopo le schede del catalogo della mostra fiorentina del 1967 e le pagine di Bologna cruciale 1914 del 1969. C.L. Ragghianti, J. Recupero, Ferruccio Ferrazzi, Officina, Roma 1974. 41 Ragghianti, Presentazione cit. 42 Ibidem. 43 Di una simile riscoperta si era accorta al tempo anche la stampa, come nel caso di Carlo Giacomozzi, che così scrive in un articolo comparso sul settimanale «Vita» nel giugno del 1967: «Ferruccio Ferrazzi […] a Firenze si presenta tra le poche riscoperte degne di rilievo. Su Ferrazzi, un artista chiaramente dimenticato e che la critica oggi rimette in gioco in punta di piedi, il discorso non è semplice; per il suo temperamento artistico duttile e complesso insieme; per la sua straordinaria capacità di essersi inserito nelle trame del movimento futurista riuscendo a mantenere la sua piena e convincente individualità, ed in quelle della pittura metafisica convogliando in essa infiorescenze nuove. Ma la presenza di Ferrazzi si rivela maggiormente nello stretto ambito della “Scuola romana”, tanto che certe risonanze formali chiaramente av- LIVIA DE PINTO di Bologna cruciale 1914, Ragghianti sottolinea in particolare l’importanza della vicinanza di Ferruccio Ferrazzi tra il 1913 e il 1915 alla ricerca di Roberto Melli, un’altra figura attiva nella Scuola romana che, per la messa in luce della rete di connessioni, influenze, e per l’innegabile valore di continuità tra generazioni di artisti, ebbe un ruolo significativo a Palazzo Strozzi.44 Alla produzione dell’artista ferrarese Ragghianti aveva già dedicato la sua attenzione con la mostra antologica del 1950 a La Strozzina, importante precedente per le scelte dello studioso alla mostra del 1967.45 Presente in due sezioni, l’opera di Roberto Melli viene qui suddivisa in attività scultorea e pittorica, secondo una modalità capace di evidenziare la stretta continuità esistente tra le due vie, ma anche di contestualizzare l’esperienza artistica di una figura considerata fino ad allora isolata e per lo più «indipendente».46 In catalogo, Ragghianti sottolinea infatti come dall’esperienza plastico-volumetrica ispirata sia dalla produzione di Medardo Rosso sia, successivamente, dalle ricerche futuriste, Melli sia riuscito a giungere, passando per il «purismo rinascimentale più rigoroso», alle ricerche tonali che tanta parte avrebbero avuto nelle «scelte della “Scuola romana”, da Mafai a Cagli a Guttuso».47 L’accento posto sul valore della continua ricerca sperimentale dell’artista e sulla capacità di lasciare i propri segni nella produzione di diverse generazioni sarebbe stato in parte approfondito anche nel già citato Bologna cruciale 1914 e, nel corso degli anni Ottanta in particolare, avrebbe costituito un punto di notevole interesse critico per i nuovi studi sui tempi e sulle vicende della Scuola romana.48 Avvicinabile alle vicende di Ferruccio Ferrazzi è il caso del recupero della produzione di alcune figure gravitanti attorno alla Terza Saletta del Caffè Aragno, la cui ricerca per la mostra del 1967 ha costituito per lungo tempo un punto di massima rilevanza. Uno di questi casi è la presenza a Palazzo Strozzi di Riccardo Francalancia, indagato per l’importanza della circolazione di idee e di influenze tra Novecento e Scuola romana e per la tardività di un riconoscimento critico. Attraverso una serie di opere provenienti da collezioni private come Strada di campagna, del 1922, oppure Ritratto di Gustavo, del 1923, e Santa Chiara di Assisi, del 1932, entrambe provenienti dalla collezione Francalancia, Ragghianti mostrò la necessità di nuovi studi sulla produzione giovanile dell’artista, per la quale alla metà degli anni Sessanta «nulla ancora è noto», ponendo le basi di un discorso che, come accaduto anche per Ferrazzi, sarebbe stato più attentamente vagliato in seguito. Sono infatti solamente accennati nella scheda dedicata all’artista alcuni nodi cruciali della sua formazione ravvisabili nella produzione degli anni Venti, come «le contingenze con Edita Broglio» o le influenze di Carlo Carrà, o «qualche ricorso al più spoglio de Chirico», ma anche l’avvicinamento alla pittura trecentesca e giottesca.49 Ancora una volta in Bologna cruciale 1914, Ragghianti approfondì alcuni aspetti inediti del lavoro di Francalancia evidenziando la scoperta di un nucleo di disegni rinvenuto negli archivi di Edita Broglio appartenenti a un filone fanciullesco dal forte carattere immaginativo capace di mostrare i suoi forti legami con opere più tarde, come La stanza dei giochi, del 1928.50 Lavori che, come sottolineato vertibili nell’opera dell’artista saranno poi raccolte […] da Scipione e Mafai. Del resto, ma Melli a Cagli, molti hanno attinto alle sue fonti». C. Giacomozzi, In 2000 opere venti anni di arte italiana, in «Vita; settimanale di notizie», 427, 15-21 giugno 1967, p. 36. 44 Ragghianti, Bologna cruciale cit. 45 C.L. Ragghianti, L’Opera di Roberto Melli (dal 1909 al 1948), catalogo della mostra (Firenze, La Strozzina, marzo 1950), La Strozzina, Firenze 1950. 46 Monti, Arte in Italia 1915-1935 cit., p. 7. 47 Ragghianti, Presentazione cit., pp. 35, 130. 48 Come sottolineato anche da Trombadori nel 1986. Trombadori, Introduzione cit., p. VIII. 49 Ragghianti, Presentazione cit., p. 340. 50 Ragghianti, Bologna cruciale cit., pp. 27-28. DAGLI ANNI SESSANTA AGLI ANNI OTTANTA. UNO SGUARDO ALLA SCUOLA ROMANA 159 160 nel 1988 da Valerio Rivosecchi in Realismo Magico. Pittura e scultura in Italia 1919-1925, Roberto Longhi aveva collegato anni prima a esperienze pittoriche quali quelle di Mafai, Scipione e Raphaël,51 ma anche di un’altra figura femminile rimasta per anni nell’ombra e del cui «canto tonale» si sarebbe occupato Ragghianti stesso nel 1967: Pasquarosa Bertoletti.52 Un nome, quest’ultimo, strettamente connesso a quello di Deiva De Angelis, pittrice anch’essa nel medesimo periodo, che proprio alla mostra fiorentina del 1967 deve l’incipit di una rivalutazione critica. Giunte entrambe a Roma come modelle, la loro carriera artistica è legata in prima istanza a «Valori Plastici» e alle Secessioni romane degli anni Dieci e a loro, inoltre, sono avvicinabili le figure di Ferruccio Ferrazzi, Cipriano Efisio Oppo, Carlo Socrate, Armando Spadini. Come sottolineato anche da Tempesti nel 1976, sia la fortuna critica di Deiva De Angelis, che quella di Pasquarosa, sono dunque connesse a Arte moderna in Italia 1915-1935, ma per molti anni il silenzio avrebbe avvolto la loro attività artistica.53 Per lungo tempo la conoscenza del lavoro di De Angelis è stata infatti legata alla figura di Giuseppe Sprovieri, suo amico e principale collezionista. Provengono esclusivamente dalla sua collezione le opere della pittrice presenti in mostra, ad eccezione di Capanna con paglia, della Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma. Una lacuna indicata in seguito anche da Lea Vergine, che nel corso degli anni Ottanta si sarebbe più volte occupata della carriera di queste due controverse figure.54 Ma ancora nel 1988, Valerio Rivosecchi denunciava la scarsa sconoscenza in particolare del lavoro di De Angelis, la cui storia risultava «ancora in gran parte affidata ad affettuosi ricordi».55 Legato alla necessità di un recupero di gran parte della produzione e all’esigenza di gettare nuova luce sui legami esistenti tra le esperienze di «Valori Plastici», del Novecento italiano e quelle della Scuola romana, è il caso della presenza alla mostra fiorentina di Antonio Donghi. Fu nello specifico Antonello Trombadori a occuparsi del suo inserimento nelle sale di Palazzo Strozzi, come testimonia anche una sua lettera a Nino Lo Vullo datata 21 giugno del 1966, nella quale vengono fornite preliminari indicazioni sull’ubicazione romana delle opere dell’artista.56 Scomparso solamente pochi anni prima, la figura di Antonio Donghi necessitava al tempo di un recu- Così già Rivosecchi nel 1986 nella pubblicazione dedicata all’artista, dove è da segnalare anche uno scritto di Antonello Trombadori datato 1971 e mai pubblicato in precedenza, che indica lacune sulla conoscenza della produzione dell’artista risanate solamente nel corso degli anni Ottanta. Si vedano: V. Rivosecchi, Critica del candore, in V. Rivosecchi, a cura di, Francalancia, catalogo della mostra (Roma, Accademia Nazionale di San Luca, 18 dicembre 1986 – 17 gennaio 1987), De Luca, Roma 1986, pp. 9-16; A. Trombadori, Francalancia, quindici anni dopo in Rivosecchi, Francalancia cit., pp. 31-36. 52 M. Fagiolo dell’Arco, V. Rivosecchi, a cura di, Scuola romana. Artisti tra le due guerre, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 13 aprile – 19 giugno 1988), Mazzotta, Milano 1988, p. 264; Ragghianti, Presentazione cit., p. 3. 53 Tempesti, Arte dell’Italia fascista cit., p. 154. 54 L. Vergine, a cura di, L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 14 febbraio – 18 maggio 1980), Mazzotta, Milano 1980, p. 53; L. Vergine, L’arte ritrovata. Alla ricerca dell’altra metà dell’avanguardia, Rizzoli, Milano 1982, p. 8. 55 Fagiolo dell’Arco, Rivosecchi, Scuola romana. Artisti tra le due guerre cit., p. 193. Si deve a tempi più recenti un più compiuto studio sull’attività pittorica dell’artista. Si vedano, in particolare: L. Djokic, D. M. Titonel, a cura di, Deiva De Angelis 1885-1925. Una ‘fauve’ a Roma, catalogo della mostra (Roma, Galleria Campo dei Fiori, 3 febbraio – 5 marzo 2005), Nuova Galleria Campo dei Fiori, Roma 2005; P. P. Pancotto, Artiste a Roma nella prima metà del ’900, Palombi, Roma 2006. 56 FR, ACLR, Comitato Nazionale di Consulenza e catalogo: Trombadori, Antonello, b. 5 f 1.8, lettera di A. Trombadori a N. Lo Vullo, 21 giugno 1966. 51 LIVIA DE PINTO pero che, parzialmente, era stato messo in campo in occasione della IX Quadriennale d’Arte; punto dal quale sembrava partire la presentazione dell’artista ad Arte moderna in Italia 1915-1935.57 Citato anche da Raffaele Monti nel 1967 come uno dei significativi «recuperi»58 della mostra, del suo lavoro il comitato organizzativo decise di approfondire soprattutto quegli elementi stilistici che si dimostrarono in grado di radicarsi nella pittura tonale dei «successivi giovani cultori romani».59 Sono infatti pitture provenienti dalla collezione Igliori o dalla collezione Mastroianni a indicare la fertilità dell’apporto di Donghi a Roma tra un ritorno all’ordine e una persistente memoria dei «Valori Plastici» riconoscibile nella sua «incantata definizione di volumi»60 raggiunta attraverso una sorvegliata nitidezza grafica.61 Ulteriori approfondimenti in questa direzione per il suo contributo ai mutamenti della pittura italiana tra anni Venti e Trenta del Novecento avrebbero dovuto attendere ancora qualche anno. È del 1970 l’antologica dedicata all’artista curata da Giovanni Sangiorgi e Jacopo Recupero, ideata con l’intento di «colmare, seppure solo in parte, una lacuna» nella conoscenza del lavoro dell’artista e dove veniva lamentata sia la scarsa presenza delle opere del pittore romano in collezioni pubbliche, sia la mancanza di un completo studio monografico della sua opera.62 Ma sarebbero stati i successivi anni Ottanta ad aprirsi con inediti studi tesi a contestualizzare il contributo di Donghi alla sua epoca, a partire dalla rassegna bolognese curata da Renato Barilli e Franco Solmi La Metafisica. Gli anni Venti e la mostra revisionistica parigina Les Réalismes.63 Una retrospettiva in grado di evidenziare nuovamente la scarsa visibilità pubblica del lavoro dell’artista sarebbe invece giunta nel 1983, con la mostra retrospettiva alla Galleria dell’Oca, alla quale seguì un catalogo con una storicizzazione a opera di Antonello Trombadori che sembra debitrice del lavoro principiato nella seconda metà degli anni Sessanta per Arte moderna in Italia 1915-1935.64 Sarebbe però stata la successiva mostra di Palazzo Braschi del 1985 a qualificarsi come una sorta di giro di boa degli studi su Antonio Donghi. Le ricerche svolte da Maurizio Fagiolo dell’Arco, Antonello Trombadori e Valerio Rivosecchi per Antonio Donghi. Sessanta dipinti dal 1922 al 1961 furono infatti importante incipit per la realizzazione, nel 1990, del catalogo ragionato Donghi. Vita e opere.65 J. Recupero, Antonio Donghi, in IX Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 20 novembre 1965 – 31 marzo 1966), De Luca, Roma 1965, pp. 109110. 58 Monti, Arte in Italia 1915-1935 cit., p. 11. 59 A. Trombadori, Antonio Donghi, in Arte moderna in Italia 1915-1935 cit., p. 200. 60 Monti, Arte in Italia 1915-1935 cit., p. 12. 61 Trombadori, Antonio Donghi cit., p. 200. 62 G. Sangiorgi, Premessa, in G. Sangiorgi, J. Recupero, a cura di, Antonio Donghi, catalogo della mostra (Roma, Palazzo Barberini, dicembre 1970 – gennaio 1971), De Luca, Roma 1970, p. 9. 63 R. Barilli, F. Solmi, a cura di, La Metafisica. Gli anni Venti, catalogo della mostra (Bologna, maggioagosto 1980), Grafis, Bologna 1980; Les Réalismes 1919-1939, catalogo della mostra (Parigi, Centre Georges Pompidou, 17 dicembre 1980 – 20 aprile 1981; Berlin, Staatliche Kunsthalle, 10 maggio – 30 giugno 1981), Centre G. Pompidou, Paris 1980. 64 A. Trombadori, Antonio Donghi, Pittore in L. Pistoi, a cura di, Antonio Donghi, catalogo della mostra (Roma, Galleria dell’Oca, Torino, Galleria Eva Menzio, autunno 1983), Il Globo, Bologna 1983, s.p. 65 Così scrive Maurizio Fagiolo dell’Arco nel 1990: «Dopo molte ricerche (culminate nel catalogo della mostra del Comune di Roma, 1985, e oggi accresciute in questo volume) molto di più sappiamo su Donghi. A proposito dei suoi anni giovanili […] a proposito dell’esperienza di guerra […] a proposito degli studi artistici: una scuola e un diploma […] lo studio della pittura antica ma, come dice lui stesso, “senza esagerare”». M. Fagiolo dell’Arco, Interrogativi sulla formazione, in M. Fagiolo dell’Arco, V. Rivosecchi, Antonio Donghi. Vita e Opere, Allemandi, Torino 1990, pp. 9-13: 10. 57 DAGLI ANNI SESSANTA AGLI ANNI OTTANTA. UNO SGUARDO ALLA SCUOLA ROMANA 161 Anni Ottanta e Scuola romana: una questione di eredità 162 Come già in parte accennato all’interno di questo contributo, gli anni Ottanta del Novecento segnarono dunque un’importante svolta per gli studi dell’arte italiana tra anni Venti e anni Trenta, durante i quali l’impostazione storico-critica di Ragghianti fu in grado di mostrare tutta la sua ricchezza.66 Per le vicende della Scuola romana tale periodo si configurò come un momento di eccezionale ritorno di attenzione,67 durante il quale i fatti legati all’arte romana tra le due guerre vennero approfonditi e meglio contestualizzati con un atteggiamento storico vicino a quanto auspicato anni prima da Carlo Ludovico Ragghianti. Nuovi, importanti tentativi di contestualizzazione di carattere generale giunsero infatti sin dalla prima metà del decennio Ottanta a seguito dell’istituzione dell’Archivio della Scuola romana nel 1983, un’associazione nata per volontà di intellettuali e artisti quali Maurizio Fagiolo dell’Arco, Miriam Mafai, Netta Vespignani, Alberto Ziveri e Antonello Trombadori, alla quale si deve la pubblicazione di alcuni studi monografici dei quali si è fatto cenno poco sopra. L’associazione nacque allo scopo di raccogliere materiale documentario e testimonianze dirette, studiare e valorizzare la produzione artistica tra le due guerre grazie all’aiuto congiunto di artisti, galleristi e letterati operanti al tempo e ancora in vita.68 Per gli studi sulla situazione artistica romana tra le due guerre si ricordano soprattutto il lavoro a cura di Lucia Stefanelli Torossi, Gli Artisti di villa Strohl-Fern, incentrato principalmente sull’approfondimento dell’attività artistica legata alla villa romana tra anni Dieci e anni Venti, il catalogo della mostra a cura di Maurizio Fagiolo dell’Arco Scuola romana: pittori tra le due guerre, entrambi del 1983, lo studio di Fagiolo dell’Arco del 1986 dal titolo Scuola romana. Pittura e scultura a Roma dal 1919 al 1943 e il catalogo della mostra milanese di Palazzo Reale del 1988 Scuola romana. Artisti tra le due guerre, a cura di Maurizio Fagiolo dell’Arco e Valerio Rivosecchi. Nel 1983, nell’introduzione del catalogo curato da Maurizio Fagiolo dell’Arco, veniva denunciata la mancanza di studi sull’argomento sin dalla già citata mostra realizzata nell’ambito della Quadriennale del 1959 e, di fatto, adottata una «definizione molto estensiva» capace di sfaldare i confini territoriali e temporali della Scuola romana, secondo un approccio non distante da quello seguito da Lucchese diciannove anni prima.69 Ma tre anni più tardi, in Scuola romana. Pittura e scultura a Roma dal 1919 al 1943, Antonello Trombadori annoverava proprio il criterio proposto da Ragghianti nel 1967 con Arte moderna in Italia 1915-1935 quale esperienza fondamentale per una nuova lettura delle vicende dell’arte a Roma tra anni Venti e Quaranta.70 66 Sull’argomento si rimanda anche a: A. Negri, Introduzione, in A. Negri, a cura di, Anni Trenta. Arti in Italia oltre il fascismo, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Strozzi, 22 settembre 2012 – 27 gennaio 2013), Giunti, Firenze 2012, pp. 14-17. 67 Il fenomeno è da avvicinare al più generale rinvigorimento degli studi dell’arte tra le due guerre. A tal proposito, si ricorda ad esempio l’importate volume di Rossana Bossaglia Il Novecento italiano, pubblicato allo scadere del decennio Settanta. R. Bossaglia, Il ‘Novecento italiano’. Storia, documenti, iconografia, Feltrinelli, Milano 1979. 68 Per un resoconto dell’attività dell’Archivio della Scuola romana si vedano: F.R. Morelli, V. Rivosecchi, a cura di, A carte scoperte. 23 anni di Archivio della Scuola Romana (1983-2006), catalogo della mostra (Fiano Romano, Studio Museo-Raccolta Ettore de Conciliis, 6 giugno – 1 luglio 2007), Archivio della Scuola Romana, Roma 2007, <http://www.scuolaromana.net/credits.htm> (ultima consultazione: novembre 2018). 69 E. Crispolti, Topografia, itinerari e tempi della ‘Scuola romana’, in Toni, Scipione e la scuola romana cit., pp. 83-110: 101. 70 Come nei casi della mostra viennese del 1977, curata per parte italiana da Emilio Bertonati, Neue Sachlichkeit und Realismus e della rassegna parigina Les Réalismes, realizzata tra il 1980 e il 1981. Trombadori, Introduzione cit., pp. VII-VIII. LIVIA DE PINTO Nell’introduzione dell’importante volume curato da Maurizio Fagiolo dell’Arco, Trombadori scrive infatti: Il primo avvio a questo corretto tipo di risistemazione storiografica dei diversi momenti e periodi dell’arte moderna italiana della prima metà del secolo venne dalla mostra fiorentina ‘Arte Moderna in Italia 1915-1935’ ideata e promossa con un documentato catalogo da Carlo Ludovico Ragghianti. […] Dopo la mostra fiorentina del 1967 l’attenzione critica a questo tipo di valori e di impostazione dei problemi storiografici andò crescendo su scala europea.71 Secondo Trombadori, è in particolare il concetto al tempo pressoché inedito di «continuità» adottato da Carlo Ludovico Ragghianti a dimostrarsi tanto rilevante da poter essere indicato quasi venti anni dopo come nuovo imprescindibile punto di partenza.72 Una continuità ravvisabile nella produzione degli artisti del tempo non schematizzabile in adesioni a correnti o in adozioni di stili, ma in fervido e continuo sviluppo tra richiamo all’ordine degli anni Venti e nuovi movimenti ‘antinovecentisti’ degli anni Trenta.73 Così infatti Trombadori in merito alla risistemazione storiografica: non solo, a differenza di quanto si attardano ad affermare, sempre più stancamente, gli schemi correnti, il “rappel à l’ordre” […] postavanguardista degli anni Venti in Italia, ivi compreso lo sbocco nel “Novecento Italiano”, […] si denota come arricchimento e sviluppo creativo, ma i movimenti degli anni Trenta, di distacco e persino di negazione dei modi del “rappel à l’ordre” […] che vanno sotto il nome di “antinovecentisti”, non possono essi stessi non essere riletti sotto il segno di una laboriosa, tormentata e produttiva continuità.74 Si trattava di una visione capace di compiere un passo avanti rispetto a quanto prodotto in precedenza nei confronti della sistemazione critica delle vicende della Scuola romana ed è proprio grazie a quelle parole di Trombadori che oggi diviene meglio comprensibile la prima ispirazione capace di muovere gli studi del tempo svolti dai membri dell’Archivio della Scuola romana e lo spirito storico che guidò in particolare Maurizio Fagiolo dell’Arco e Valerio Rivosecchi in quegli anni revisionistici. Così scrive in particolare Rivosecchi nel 1988: lo studio della cultura che segue la grande guerra ha portato a capire il significato propositivo del cosiddetto ‘ritorno all’ordine’, scoprendo profonde inquietudini e reali esigenze dietro la patina classicista e l’apparente naturalismo delle immagini. In altro caso ci si è resi conto che l’impostazione politica del discorso non reggeva alla luce dei documenti […]. Un altro mito crollato alla luce dell’analisi storica è quello del presunto ‘provincialismo’ della cultura romana tra le due guerre.75 Non è dunque possibile dimenticare la preziosità del precoce contributo di Carlo Ludovico Ragghianti e del Comitato organizzativo della mostra fiorentina del 1967 a una impostazione ti questo tipo. In parte è infatti grazie alla riscoperta critica di alcune figure chiave come Ferruccio Ferrazzi o Antonio Donghi, per i quali Arte moderna in Italia 1915-1935 fu determinante, se durante gli anni successivi è stato possibile maturare una nuova idea di Scuola romana, non più basata su un rapporto dicotomico con il Novecento ma, al contrario, fondata sul dialogo e in verità lontano da una opposizione ai meccanismi ufficiali del regime. Così argomenta Emily Braun ancora in Scuola romana. Artisti tra le due guerre: Ibi, p. VII. Ibidem. 73 Ibidem. 74 Ibidem. 75 Rivosecchi, Da ‘Valori Plastici al Realismo Magico’, in Fagiolo dell’Arco, Rivosecchi, Scuola romana. Artisti tra le due guerre cit., p. 35. 71 72 DAGLI ANNI SESSANTA AGLI ANNI OTTANTA. UNO SGUARDO ALLA SCUOLA ROMANA 163 l’idea di opposizione all’ufficialità o di controcorrente propria dell’indirizzo antiretorico della Scuola romana si indebolisce non appena vi si aggiungono artisti come Cagli e Ferrazzi. […] Le commissioni ottenute da Ferrazzi provano che le personali idiosincrasie stilistiche non erano avverse agli imperativi della propaganda di regime. Ma tali fatti, così come altri notevoli interventi, quali i ritratti del duce di Antonio Donghi e di Roberto Melli, sono assenti dalla storia della Scuola romana.76 Una visione già compresa da Ragghianti che attraverso Arte moderna in Italia 1915-1935 aveva messo in campo una concezione dell’opera d’arte fondata non sul sentimento politico, bensì sul linguaggio della forma. Ma gli anni Sessanta erano ancora troppo vicini alle vicende fasciste per poter accogliere pienamente la vitalità di un simile sguardo e, nel caso specifico della Scuola romana, sarebbero dovuti passare molti anni prima di poter veramente rispondere alla domanda posta da Ragghianti a incipit del catalogo del 1967: «possiamo ritenere […] di fondare il nostro giudizio […] sulla base della sola giustificazione possibile, cioè la conoscenza reale?».77 164 E. Braun, Sul Novecento e sulla Scuola romana, in Fagiolo dell’Arco, Rivosecchi, Scuola romana. Artisti tra le due guerre cit., p. 209. 77 Ragghianti, Presentazione cit., p. I. 76 LIVIA DE PINTO Carlo Ludovico Ragghianti e l’arte in Italia tra le due guerre. Nuove ricerche intorno e a partire dalla mostra del 1967 Arte moderna in Italia 1915-1935 14 dicembre 2017 | ore 10 Sala Conferenze «Vincenzo da Massa Carrara» Complesso di San Micheletto | Lucca 15 dicembre 2017 | ore 9.15 Auditorium, Centro Congressi Le Benedettine Università di Pisa | Pisa 10.00 | Paolo Bolpagni apertura dei lavori 9.15 | Mattia Patti apertura dei lavori 10.30 | Luca Quattrocchi Ripensare l’arte del ventennio fascista: scelte espositive, allestimenti e ricezioni critiche dalla mostra fiorentina del 1967 agli Annitrenta a Milano nel 1982 9.30 | Lorella Giudici Carlo Ludovico Ragghianti e gli artisti di Corrente 10.00 | Massimo Maiorino «Il più puro e maggiore artista del nostro secolo». Morandi nelle scritture espositive di Ragghianti 10.30 | Biancalucia Maglione Carlo Ludovico Ragghianti e Osvaldo Licini. Verso Arte moderna in Italia 1915-1935 11.00 | Anna Mazzanti Carlo Ludovico Ragghianti ed Enrico Crispolti. Fra similitudini e antinomie attraverso Arte moderna in Italia 1915-1935 e oltre Pausa caffè (11.30-11.55) 12.00 12.30 11.30 | Giorgia Gastaldon Carlo Ludovico Ragghianti: dall’effimero al permanente, dalla mostra al museo | Gianmarco Russo «Umile davanti agli artisti grandi come te»: Ragghianti critico di Manzù 12.00 | Sibilla Panerai Carlo Levi e la cultura artistica durante il fascismo. Giustizia e Libertà e Arte moderna in Italia 1915-1935 12.30 | Maddalena Oldrizzi Arte moderna in Italia 1915-1935: alcuni artisti veneti Pausa pranzo (13.00-15.00) 15.00 | Antonella Gioli Ragghianti e i collezionisti 15.30 | Martina Marolda De Chirico, Sironi, Modigliani prêt-à-porter. La circolazione dei capolavori di Arte moderna in Italia 1915-1935 in riviste, manifesti e pubblicità Pausa caffè (16.00-16.25) 16.30 | Elena Pontiggia Sironi a Palazzo Strozzi: una riscoperta 17.00 | Maria Letizia Paiato Giuseppe Cominetti: commenti critici prima del 1967 17.30 | Emanuele Greco «Un culto della realtà compresa come specchio di umana trasfigurazione». Ragghianti e la riscoperta di Edita Broglio, 1967-1971 18.00 Pausa caffè (11.00-11.25) | Lucia Mannini Intorno alla mostra Arte moderna in Italia 1915-1935: gli artisti de «La Strozzina» Pausa pranzo (13.00-15.00) 15.00 | Manuel Barrese «Grandi e intime sono le liaisons tra anni ’30 e anni ’80». L’orizzonte postmoderno e il contrastato recupero dell’arte italiana tra le due guerre 15.30 | Sergio Cortesini La lezione di metodo storiografico nella Presentazione al catalogo della mostra 16.00 | Lucia Piccioni L’autonomia dell’arte e il «marxismo perplesso» di Carlo Ludovico Ragghianti 16.30 | discussione conclusiva | discussione Università di Pisa, Centro Congressi Le Benedettine, Pisa Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti, Lucca 14-15 dicembre 2017 217 Finito di stampare nel mese di marzo 2020 da San Marco s.r.l.s., Lucca per conto di Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’arte, Lucca Il 26 febbraio 1967, nelle sale di Palazzo Strozzi a Firenze, fu inaugurata la mostra Arte moderna in Italia 1915-1935, attraverso la quale Carlo Ludovico Ragghianti mise in evidenza la necessità di ripensare in termini nuovi la complessa situazione della pittura e scultura tra le due guerre nel nostro Paese. A suo dire, infatti, pregiudizi ideologici avevano impedito una lettura dell’arte del periodo basata su «un’autenticità di significato espressivo o poetico» e su un’analisi obiettiva dei linguaggi e dei processi formali. A cinquant’anni da quell’evento, nel dicembre del 2017 si è tenuto un convegno, organizzato in due giornate alla Fondazione Ragghianti di Lucca e all’Università di Pisa, per tornare a riflettere sul contesto che portò all’ideazione della mostra, nonché sui dibattiti da essa scaturiti, sulle scelte compiute e sull’importanza che l’approccio del grande studioso toscano ebbe nella rivalutazione e nella revisione della magmatica temperie di un periodo cruciale del Novecento italiano. Per altro verso, facendo riferimento in modo diretto, ma non esclusivo, alle partecipazioni alla mostra, nel convegno sono stati esaminati alcuni rapporti intercorsi tra gli artisti e Ragghianti, il quale evidenziò l’esigenza di integrare la visione storica dominante con la lezione che le singole personalità sono in grado di fornire tramite il loro operato, in modo autonomo e spesso non incasellabile nella troppo stretta maglia di ‘ismi’. Il libro è a cura di Paolo Bolpagni, direttore della Fondazione Ragghianti, e di Mattia Patti, professore associato di Storia dell’arte contemporanea all’Università di Pisa, con la collaborazione di Livia de Pinto e Biancalucia Maglione. Contiene saggi di Manuel Barrese, Paolo Bolpagni, Sergio Cortesini, Livia de Pinto, Giorgia Gastaldon, Lorella Giudici, Emanuele Greco, Biancalucia Maglione, Massimo Maiorino, Martina Marolda, Maddalena Oldrizzi, Maria Letizia Paiato, Sibilla Panerai, Mattia Patti, Elena Pontiggia, Luca Quattrocchi, Gianmarco Russo e Livia Spano. Prezzo € 22,00 ISBN 978-88-89324-49-3