il mondo è là 1910 - 1941
arte moderna
a Trieste
Trieste, Magazzino delle Idee
1 novembre 2015 - 6 gennaio 2016
Mostra a cura di:
Patrizia Fasolato,
Enrico Lucchese, Lorenzo Nuovo
Contributi di:
Patrizia Fasolato, Giulia Giorgi, Vania Gransinigh,
Enrico Lucchese, Lorenzo Nuovo,
Massimo De Sabbata, Sergio Vatta
e
Daniele D’Anza, Rossella Fabiani, Maurizio Lorber,
Tina Ponebšek
La mostra è promossa e realizzata da
Provincia di Trieste
La sezione del progetto dedicata agli appartamenti
del Duca D’Aosta a Miramare è curata dal
Museo Storico del Castello di Miramare Trieste
Presidente della Provincia e Assessore alla cultura:
Maria Teresa Bassa Poropat
Direzione del progetto:
Patrizia Fasolato con Paola Arena
Partner
Gestione prestiti nazionali e internazionali:
Erica Giacomich
Relazioni esterne, editing del catalogo:
Elena Gerin
Staff amministrativo:
Susanna Abatangelo, Patrizia Perlitz
Ufficio Stampa: Carla Ciampalini
Grafica apparati in mostra: Sergio Paoletti
Traduzioni: Ingrid Cotic
Grafica manifesti: Studio Mark
Crediti fotografici:
Cameraphoto Arte, Paolo Bonassi, Massimo Goina,
Giovanni Montenero, Mauro Ranzani,
Carlo Sclauzero, Alessandro Vasari
Con il sostegno di
Trasporti:
Allegretto, Butterly Transport, Globo International
e Interlinea, Rotar Art
Accrocage: Allegretto, Butterly Transport
Collaborazione all’allestimento:
Ditta Zanini Antonio
Restauri:
Serena Battistello, Ilaria Bianca Maria Perticucci e
Marianna, Cappellina, Mariangela Mattia,
Nevyjel & Ragazzoni, Letizia Satto
Assicurazioni:
Generali Italia, Age Assicurazioni Gestione Enti,
AccurArt, Israel Phoenix Insurance Company
Accoglienza e servizi al pubblico:
Cooperativa La Collina
Albo dei prestatori:
Archivio Rietti, Roma - Assicurazioni Generali,
Trieste - Biblioteca Civica, Gorizia - Biblioteca
Statale Isontina, Gorizia - Carlo Bolafio, Roma
- Casa Cavazzini Museo d’Arte Moderna e
Contemporanea, Udine - Casa Museo Boschi
Di Stefano, Milano - Civici Musei di Storia ed
Arte, Trieste - Civico Museo del Mare, Trieste
- Civico Museo di Storia Patria, Collezione
Stavropulos, Trieste - Civico Museo Revoltella,
Trieste - Fondazione Cassa di Risparmio, Gorizia Fondazione CRTrieste - Fondazione Musei Civici di
Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna
di Ca’ Pesaro - Fulvio Alesani, Gorizia - Galleria
Nazionale d’Arte Moderna, Roma - Galleria Pilon,
Ajdovščina/Aidussina - Il Ponte Casa d’Aste, Milano
- Istituto Teatrale Sloveno, Ljubljana / Lubiana Luciano Colantonio, Brescia - Maria Luisa Vaccari
e Andrea Susmel - Ministero Infrastrutture e
Trasporti - Provveditorato interregionale alle opere
pubbliche per il Veneto, il Trentino Alto Adige e il
Friuli Venezia Giulia, Venezia - Musei Provinciali,
Gorizia - Museo d’Arte Città di Lugano - Museo
d’Arte Moderna e Contemporanea, Rijeka / Fiume Museo d’Arte Moderna Mario Rimoldi delle Regole
d’Ampezzo - Museo d’Arte Moderna, Ljubljana
/ Lubiana - Museo d’Arte, Tel Aviv - Museo del
Novecento, Milano - Paola Guida Brichetto
Arnaboldi - Pinacoteca Civica, Como - Pinacoteca di
Brera, Milano - Regione Autonoma Friuli Venezia
Giulia - Società di Belle Arti, Viareggio
Un ringraziamento va a tutti i Collezionisti che hanno
preferito mantenere l’anonimato
e agli Archivi che hanno messo a disposizione i propri
materiali e, in particolare, Fondazione Giorgio Cini,
Venezia e MART, Archivio del ‘900, Rovereto, la
Biennale di Venezia, ASAC, Fototeca
Si desidera infine ricordare tutti coloro che hanno
contribuito in vario modo alla realizzazione di questa
mostra:
Giuseppe Aiello, Ignazio Amuro, Virginia Baradel,
Laura Basso, Gabriella Belli, Simone Bemporad,
Cristina Brazzola, Nicola Bressi, Ilaria Bruno, Luca
Caburlotto, Emanuela Calo, Pierluigi Carofano,
Maria Letizia Casati, Giorgio Catania, Antonio
Cattaruzza, Oscar Cecchi, Gianluigi Chiozza, Guido
Comis, Bianca Cuderi, Mario D’Alba, Roberto
Daniele, Alessandra de Bigontina, Annalia Delneri,
Gianfrancesco Demenego, Chiara Donati, Leonardo
Farsetti, Stefano Farsetti, Maurizio Fermeglia,
Paolo Franceschetti, Marco Franciolli, Maria
Fratelli, Antonella Gallarotti, Galleria Lo Scudo,
Maurizio Ghioldi, Vania Gransinigh, Susanna
Gregorat, Irith Hadar, Waiq Heibi, Mojca Jan
Zoran, Tanja Jelovica, Marko Jenko, Suzanne
Landau, Alessandro Liva, Alessandra Martina,
Maria Masau, Elisabetta Matteucci, Enrico
Mazzoli, Alessandra Menardi, Marco Menato,
Paolo Montagni, Federica Moscolin, Paul Nicholls,
Giuseppe Pavanello, Tommaso Pedrotti, Elisabetta
Pernich, Serena Pignataro, Maria Cristina Pinzani,
Tina Ponebšek, Furio Princivalli, Paolo Quazzolo,
Alessandro Quinzi, Lorenza Resciniti, Yardenith
Rietti, Soia Rinaldi, Tea Rogelj, Marina Rovelli,
Nicoletta Rusconi, Marina Sala, Cristiano Sant,
Paolo Santangelo, Lucia Sciacca, Rossella Scopas,
Raffaella Sgubin, Romana Sironi, Fabrizio Somma,
Nico Stringa, Mojca Stuhec, Mauro Tabor, Valerio
Terraroli, Alessandra Tiddia, Slaven Tolj, Barbara
Tomassi, Romano Vecchiet, Elena Vidoz, Antonio
Vignali, Nicoletta Zanni, Cinzia Zincone
«Il mondo è là»:
avanguardia e retroguardia a Trieste
Enrico Lucchese
C’è lo spazio di una generazione, ormai, dal giorno
dell’apertura della mostra Il mito sottile. Pittura e scultura nella città di Svevo e Saba: un’esposizione che, alla
pari dell’immediatamente precedente Neoclassico arte,
architettura e cultura a Trieste 1790-1840, segnò in quegli
anni la rinascita del Civico Museo Revoltella e l’inizio
di numerosi studi sulla specificità giuliana nella storia
dell’arte degli ultimi due secoli1.
Molte persone oggi ricordano quella “mitica” mostra
del 1991-92 con un titolo diverso, Il mondo è là. La frase compare in un taccuino del pittore Gino Parin, inframmezzata da una freccia: spiazzante come un witz,
campeggiava bianca sulla copertina del catalogo, effetto
grafico a traguardare l’orizzonte del dettaglio dell’Autoritratto (Gorizia, Musei Provinciali) di Mario Lannes2.
Parin e Lannes, retroguardia e avanguardia dell’Arte moderna a Trieste. 1910-1941. Il sottotitolo della nostra mostra volutamente riecheggia la vasta rassegna nazionale
organizzata da Carlo Ludovico Ragghianti nel 19673. Si
tratta di un richiamo critico, volto a considerare i fatti figurativi triestini fuori da schemi ideologici ed entro dinamiche di storia dell’arte, a una certa distanza da «figure
come Svevo, Joyce, Slataper, Timeus, Saba, Stuparich e
Michelstädter»4, programmatici coprotagonisti di una
scoperta pioneristica quale fu Il mito sottile, personaggi il
cui apporto intellettuale nelle vicende coeve di pittura e
di scultura si rivela, oggi dopo un quarto di secolo di ricerche, non sempre di primo piano o, comunque, decisivo.
Non si vogliono negare i rapporti, del resto assai documentati, di alcuni di quei nomi (e di altri, come Edoardo
Weiss) con artisti del proprio tempo: essi devono, però,
essere precisati, senza correre il rischio, reale perché ci si
trova spesso di fronte a pagine di tale “scontrosa grazia”
da prendere il sopravvento su ciò che è solo immagine,
di cedere soggiogati dai versi sabiani, o dalla catastrofe
finale della Coscienza di Zeno, quando si deve discutere
di Vittorio Bolaffio o di Arturo Nathan pittori. Stavolta
s’è scelto di non proporre in mostra i ritratti (di Bolaffio
appunto, di Leonor Fini e di Carlo Sbisà) di Umberto
Saba e di Italo Svevo, opere splendide e notissime, pro-
M. Lannes, Autoritratto, 1930-1935, Musei Provinciali, Gorizia
prio per non cadere in comode tentazioni di lettura e, al
contempo, per permettere di meditare, magari su lavori
meno visti o poco studiati, sulla modernità formale degli artisti di Trieste al netto di totem letterari, psicoanalitici o identitari5.
Salvi forse dalle Sirene adriatiche, sarebbe un errore
evitare d’ascoltarne il canto: la storia dell’arte è Kunstliterature e pure storia della cultura. Rimane necessario,
innanzitutto, misurare l’affidabilità delle fonti a disposizione, specie quelle basate su ricordi: quale valore ha
l’aneddoto, del 1947, di Virgilio Giotti di un «malizioso
Svevo» (dunque un poeta che narra di uno scrittore) che
chiede «all’ingenuo Bolaffio […] come sta il mondo?»6?
E il riferimento a un’appartenenza, asserita sembre-
21
il mondo è là arte moderna a Trieste 1910-1941
ENRICO LUCCHESE «Il mondo è là»: avanguardia e retroguardia a Trieste
O. Zwintscher, Pietà, Catalogo della IX Esposizione Internazionale
della città di Venezia, 1910
G. Klimt, Serpi d’acqua e Tre Età, Catalogo della IX Esposizione Internazionale della città di Venezia, 1910
V. Timmel, Arte pura e arte impura, 1910, collezione privata
22
rebbe dal pittore, alla «retroguardia» della figurazione,
come riportato dal medesimo Giotti e, un anno prima,
da Saba7? Ecco, se rapportiamo testimonianze del genere, postume e di provenienza letteraria, alle parole e
ai documenti stessi degli artisti, i veri protagonisti del
racconto, appare possibile delimitare i concetti fondanti
la modernità di alcuni triestini, nel caso specifico di Bolaffio quell’«insindacabile» dichiarato a Edgardo Sambo
alla fine di una lettera del 19278.
Tra 1910 e 1941, le date che si sono prefissate per formulare un discorso su come Trieste poté essere un centro artistico d’avanguardia o di retroguardia, appunto,
oppure passatista o, infine, conformista, le principali
occasioni di scambio e di confronto d’idee e di linguaggi formali restano le esposizioni, in primis la Biennale
veneziana, immancabile «grande appuntamento periodico con la cultura media di una borghesia che aspira a
educarsi, ma gradualmente, a un gusto artistico di tipo
C. Sofianopulo, La Malata. 1912, Fondazione CRTrieste, Trieste
metropolitano internazionale»9. Nel suo saggio, Lorenzo Nuovo spiega il sostanziale fallimento della «Sala
della città di Trieste» del 1910, “salvata” dal vociano Ardengo Soffici unicamente perché connessa alla causa
dell’Irredentismo giuliano: alla Biennale, in quell’ambiente dominato dalla monumentale e decorativamente
vacua Venere Anadiomene di Glauco Cambon, sembrava
di respirare l’aria polverosa della «camera ammobiliata»
nella Venezia passatista di Filippo Tommaso Marinetti, il discorso gettato dai futuristi ad aprile dello stesso
anno dalla Torre dell’Orologio in Piazza San Marco. Ai
Giardini si celebrava Gustav Klimt; accanto, esponeva
il monacense Oskar Zwintscher: maestri riconosciuti,
rassicuranti fari per i ventenni triestini dell’epoca, Vito
Timmel e Cesare Sofianopulo10. Nonostante l’anagrafe,
costoro non facevano parte della «gioventù in persona»
che, nel 1910 ancora, stava bussando alla porta di Ca’
Pesaro con Il muto e la Fanciulla del fiore di Gino Rossi11.
È noto che le prime mostre della Fondazione Bevilacqua La Masa furono kermesse di artisti a volte irriducibilmente differenti tra loro, da Guido Marussig a Teodoro
Wolf-Ferrari, a Umberto Moggioli, ad Arturo Martini
naturalmente12. Eppure, queste esposizioni contrapposte alla Biennale diventarono le vere opportunità per
conoscere, a Venezia, nuove espressioni figurative: si è
detto di Rossi, bisognerà quindi aggiungere l’individuale nell’estate capesarina del 1910 di Umberto Boccioni.
Di quest’ultimo s’è voluto portare al Magazzino delle
Idee il Ritratto del dottor Giorgio Gopcevich, discendente
della nota famiglia illirica triestina cresciuto a Padova e
fattosi raffigurare nel 1906 a Parigi13, un’opera prefuturista che abbiamo voluto mettere in confronto, sul solco
di un comune sentire divisionista, con il Ritratto di Carlo
Bolaffio14.
Pressoché coetaneo di Boccioni, Bolaffio è l’unico giuliano d’inizio secolo che accoglie – come puntualizza Nuovo – del tutto gli appelli di Soffici a non farsi
invischiare dall’accademismo viennese e monacense:
educatosi presso Giovanni Fattori, nel fatidico 1910,
ventisettenne, è a Parigi15. A differenza delle vicine soste francesi di Piero Marussig o di Sofianopulo, artisti
incardinati nella tradizione figurativa centroeuropea, il
soggiorno di Bolaffio si dimostra completamento necessario di un cammino formativo per molti versi ancora da
capire, visto pure che la sua prima mostra nota agli studi
data appena al 1913, a Napoli per giunta. Il viaggio in
Oriente, un altro capitolo che desta interrogativi16, pare
poi valere quanto la Bretagna per Rossi, artista con cui
23
il mondo è là arte moderna a Trieste 1910-1941
ENRICO LUCCHESE «Il mondo è là»: avanguardia e retroguardia a Trieste
V. Bolaffio, Il timone, 1922, collezione privata
F. Vallotton, La dimostrazione, da Emporium, 1905
condivide lo spiccato cloisonnisme e certo vitale primitivismo: è la verifica della strada per la modernità. Una
tale energia, passata inosservata «tra il delirare della secessione e il fiacco borbottio degli ultimi impressionisti»17, trova contatti con alcuni dipinti di Adolfo Levier,
in quel periodo stabile a Parigi ed espositore al Salon
d’Automne18.
Lo iato della Grande Guerra, il sogno irredentista di
molti artisti arruolati nei due eserciti nemici contrapposti, la “vittoria mutilata”: Trieste entra in Italia con la
sua particolare esperienza culturale ed è un momento “magico”, irripetibile. Gli anni venti del Novecento
sono il periodo più fervido dell’arte moderna di una
nuova regione, la Venezia Giulia, in cui, grazie a una serie di combinazioni storiche, il dibattito figurativo locale
si sincronizza prima con l’Europa e poi con la nazione.
L’Italia per Trieste nel 1918 è patria, non madre.
Nasce, finalmente, un collezionismo attento alle nuove
espressioni: uno dei primi mecenati è l’avvocato Ruggero Flegar, costretto a far passare da idiota Vittorio
Bolaffio nel 1926 per scagionarlo dall’accusa d’ingiurie
contro Benito Mussolini. In mostra c’è il suo ritratto e
Il timone che Dario De Tuoni ricorda nel 1923 presso la
collezione Flegar. Siamo agli esordi di una serie di vere
e proprie elegie pittoriche bolaffiane sugli individui19,
sulla vita di una città portuale reale e interiore, dove
parecchi si muovono ma nessuno di loro pare costruire o fondare qualcosa di concreto. Il brulichio sincopato delle figurine di Bolaffio evoca, anche nei tagli di
visuale talvolta grandangolare, le invenzioni grafiche di
Félix Vallotton, divulgate in Italia da Vittorio Pica già nel
190520: di nuovo Parigi, la metropoli proletaria vissuta a
fine anni dieci da un altro allievo di Fattori, il viareggino
(e anarchico) Lorenzo Viani.
A metà degli anni venti Marinetti diventa accademico
dell’Italia fascista, la «rivoluzione» che Bolaffio invocava negli atti giudiziari del 1926 lasciava spazio a un
linguaggio nazionale della modernità, il secondo futurismo, in cui Sofronio Pocarini copriva il ruolo di dominus locale di un territorio “redento”. Nell’estate 1923
Giorgio Carmelich, sedici anni appena compiuti, saluta
romanamente le Ansaldo, le Ceirano, le Alfa Romeo che
sfrecciano per la «Coppa delle Alpi» ad Ampezzo21: il
collage Simultaneità scenica /ambiente + esterno sembra
proprio possedere il dinamismo di una corsa in automobile «sulla mitraglia». È una prova sincera, piena
d’entusiasmo giovanile, non assimilabile al generico
«Futurismo giuliano» nel quale s’è inteso far passare, di
recente, tout court le diverse esperienze del ventennio.
Siamo ancora nell’epoca di una “internazionale futurista”, con Carmelich che, sulla scia di Enrico Prampolini
conosciuto a Roma, espone nel 1924 a Vienna in una
mostra dedicata alla nuova scenografia europea.
Mentre si promulgano le leggi di una progressiva, forzata italianizzazione del territorio e delle persone,
l’elemento alloglotto della Venezia Giulia dà un contributo d’avanguardia. Il Progetto per pittura murale di
Luigi Spazzapan dimostra un’essenza decorativa quasi
24
P. Marussig, Donna che si pettina
(Donna allo specchio), 1920,
collezione privata
P. Marussig,
Ragazza con anfora, 1925,
collezione privata
astratta: l’artista nel 1925 guadagna la medaglia d’argento all’esposizione internazionale di Parigi. Augusto
Cernigoj, reduce dal Bauhaus di Weimar (1924), propone sperimentazioni artistiche, affermate perfino nell’attività cartellonistica, destinate a essere discriminate,
verso la conclusione del decennio, con violenza squadrista sulle pagine del satirico «Marameo»: invece che
l’olio di ricino, il confino coatto agli Uffizi22.
Assieme a Cernigoj «Strazzacavei», lo pseudonimo del
critico di questo periodico umoristico triestino che meriterebbe un’indagine approfondita, dileggia Veno Pilon, tra gli sloveni d’Italia il più consonante con ciò che
di drammaticamente moderno si stava creando nella
Germania della Nuova Oggettività. Impressiona, infatti,
il parallelismo espressivo con Otto Dix durante il primo
lustro di quella decade23: L’orfana Paola del 1922-23 può
stare accanto ai bambini denutriti del tedesco del 192021. A Parigi nella seconda metà del decennio, Pilon trova il Picasso del rappel à l’ordre e ne dà testimonianza
alla Sindacale triestina del 1927, rassegna eccezionale
per qualità di opere esposte, con Al Caffé.
Il “ritorno all’ordine” è la nuova necessità dell’Europa
uscita dalla Guerra Mondiale e dalle avanguardie: come
nelle prime tavole del libro di Franz Roh Nach-Expressionismus. Magischer Realismus (1925), su cui si tornerà più
sotto, si è provato a fare dei confronti, cercando tra le
opere dei vari pittori triestini, tra dipinti con soggetti simili realizzati a poca, rilevante, distanza d’anni, gli stes-
si nei quali il glorioso Circolo Artistico permuta la sua
attività espositiva nel Sindacato fascista delle Belle Arti.
La modella di Piero Marussig assume la classica compostezza del Novecento, quella di Bruno Croatto pare
passare dai saloni delle Biennali e Secessioni d’inizio secolo alla scuola di Felice Casorati del Ritratto di Silvana
Cenni; la bottiglia di Carmelich, prima scomposta in un
turbine di colori è già nel 1925 plasticamente modellata
quasi in monocromo . Negli anni in cui Alberto Savinio
esalta «l’immobilità terrestre, ispiratrice delle arti plastiche»24 il genere della natura morta è iconografia della
modernità, così come la tecnica della scultura, dopo un
lungo vassallaggio all’Ottocento, conosce una nuova
stagione: se il lessico martiniano sarà d’uso a Trieste solo
dal decennio successivo, gli scultori giuliani degli anni
venti, dal maturo Attilio Selva ai giovani Franco Asco e
Marcello Mascherini, guardano verso Ivan Meštrović e
Adolfo Wildt.
Un episodio primario del nuovo corso è certo la Biennale
veneziana del 1924 con la sala dedicata a Casorati e l’acquisto di Meriggio per il Museo Revoltella. Si è appena
vista la“conversione”di Croatto, non deve allora stupire
che degli artisti fiumani puntassero con la medesima
decisione verso i modi così “nazionali” del piemontese:
lo fa già nel 1925 l’ex legionario Odino Saftich, figura
tutta da scoprire, che ritrae un’adolescente casoratiana
alle spalle di un panorama del Quarnero. Inoltre, dopo
un’iniziale infatuazione futurista un po’ di provincia, è
Romolo Vennucci, il più conosciuto oggi tra i pittori di
Fiume nel Novecento, a perseguire un rapporto stilistico con Casorati, tanto nell’allungato Autoritratto che nei
disegni di nudo.
Il sistema delle mostre e delle riviste ha bisogno di critici
militanti, spesso coetanei o perfino più giovani degli artisti che supportano o stroncano. Dario De Tuoni apparteneva alla generazione precedente di Manlio Malabotta: lo denuncia una certa dispersività d’approccio, legata
anche all’ampiezza degli interessi artistici e letterari di
un intellettuale di primo piano25. Entrambi si fanno promotori di Bolaffio e di Enrico Fonda. E se il primo pittore resta «insindacabile» e di «retroguardia», arrivando
perfino a vietare a De Tuoni l’esposizione di sue opere
nelle mostre triestine, il secondo riapre, con nuova linfa,
il dialogo parigino di Trieste. Malabotta dedica a Fonda
molto spazio dei suoi scritti giovanili, segnalandone la
capacità di «comprendere il valore esatto dei colori […]
sulla tela creando fusioni perfettamente equilibrate di
25
il mondo è là arte moderna a Trieste 1910-1941
B. Croatto, Ritratto femminile, 1921,
Fondazione CRTrieste, Trieste
tinte opache»26: un commento lucido, adatto anche a
De Pisis, conosciuto proprio «in casa del povero Fonda»
e che spiega la presenza, nella Mostra d’Arte d’Avanguardia, di cui è stato possibile rintracciare il catalogo
- ritagliato - nel Fondo Crali del MART di Rovereto27,
di opere di Maurice Utrillo al Padiglione Comunale del
Giardino Pubblico nel luglio 1931.
Un’altra fonte critica preziosa per comprendere la fase
centrale dell’arte moderna a Trieste è il cosiddetto “questionario”che l’editore Giovanni Scheiwiller chiedeva di
compilare agli artisti: in uno di questi fogli prestampati,
oggi conservati al Centro Apice dell’università di Milano, Carlo Sbisà indicava, al principio degli anni trenta,
l’esordio della produzione pittorica nella Ragazza in grigio del 1926, disconoscendo quindi le opere degli anni
precedenti28. La deliberata epurazione ha, di nuovo, il
carattere di un “ritorno all’ordine”, stavolta però a posteriori. Nel dipinto di Sbisà si registra l’influenza del
rapporto, di dipendenza formale, intessuto a Firenze
con Giannino Marchig, il cui Calvario, Premio Stibbert
26
ENRICO LUCCHESE «Il mondo è là»: avanguardia e retroguardia a Trieste
B. Croatto, Annunciazione, 1928,
Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma
del 1920, ritorna con le sue scale strette e la luce lattea
nello sfondo alle spalle della malinconica ragazza.
Firenze, Parigi: gli artisti triestini cercano il “mondo”,
anche se percepiscono e dimostrano di appartenere a
una realtà storicamente sbilanciata verso la parte opposta d’Europa. È Arturo Nathan il connettore di un’ultima, singolare stagione della figurazione giuliana. Sottoscrittore della «Voce» e lettore di «Rete Meditteranea»,
poliglotta peintre-philosophe del Novecento, frequenta
all’inizio del terzo decennio l’ambiente romano di Valori Plastici, conosce Giorgio Morandi e stringe «amicizia
nietzcheana» con Giorgio De Chirico. Il documentato possesso di un volume, sull’Espressionismo29, degli
editori – Klindkhardt & Biermann di Lipsia – del sopra
menzionato testo di Roh, a sua volta legato alle mostre
del gruppo di Mario Broglio in Germania, certifica la
funzione strategica di Nathan nel perfetto acclimatarsi
del Realismo Magico a Trieste.
Fondamentale per tanto Novecento del resto d’Italia30,
Magischer Realismus trova subito nell’ex porto dell’Im-
Mostra d’arte d’avanguardia, [ante 31 luglio 1931], Catalogo
Mart, Archivio del ‘900, Fondo Tullio Crali
pero due esegeti figurativi di rilievo: appena uscito il libro (1925), vicino a Nathan c’è Carmelich, sganciatosi
in modo netto dall’adesione a un futurismo che aveva
terminato lo slancio avanguardistico e in cui per molto
tempo tutta la sua attività creativa è stata, complice un
elzeviro di Eugenio Montale31, collocata. L’Autoritratto
di Carmelich del 1926 è programmatico nella tecnica a
matite colorate e nel taglio della composizione, onirico
e plastico assieme. Sono sogni diventati realtà le opere
successive: sono state portate qui una coppia di fogli finali, il Carnevale a Praga di Malabotta, che nel 1930 gli
dedica una monografia, e l’incisione della Mongolfiera
vista al cannocchiale volare tra tetti e camini. L’incanto
di questi minuti capolavori, cesellati quasi da un minia-
tore, è declinato con consapevole intellettualismo nei
contemporanei disegni di Nathan, curati con certosina
applicazione. Concentrato nel genere particolare dell’effige di se stesso, subito dopo il celebre Autoritratto con gli
occhi chiusi che segna l’immediata adesione al sistema
postulato – sarebbe meglio dire profetizzato – da Roh32,
Nathan presenta nel 1926 la versione grafica dell’Asceta,
un’altra opera straordinaria per qualità esecutiva e profondità di contenuti.
Per quest’immagine dal segno tagliente e di forte carica
spirituale il triestino si riferisce al celebre Autoritratto di
Albrecht Dürer come Cristo di Monaco di Baviera, molto
probabilmente attraverso la riproduzione presente nella
monografia (con didascalia evocativa: Ideales Selbstpor-
27
il mondo è là arte moderna a Trieste 1910-1941
A. Nathan,
Autoritratto con gli occhi chiusi, 1925,
collezione privata
ENRICO LUCCHESE «Il mondo è là»: avanguardia e retroguardia a Trieste
A. Nathan,
L’asceta, 1926,
collezione privata
trät) di Heinrich Wölfflin33, lo storico dell’arte le cui teorie sulla storia dello sviluppo delle forme influenzarono
il volume di Roh.
Il libro di Wölfflin, del 1920, in Italia era stato ripreso e
approfondito in direzione contemporanea nel 1924 da
Guido Ludovico Luzzato34, con il quale l’artista giuliano aveva intrapreso proprio dal 1926 un rapporto epistolare35. Come Dürer con la sua Darstellungkunst (Arte
di esposizione), spiegava Wöllflin, s’era contrapposto
alla Ausdruckskunst (Arte d’espressione) di Grünewald,
così ora, per Nathan, L’Asceta rappresentava un moderno Post-Espressionismo, Nach-Expressionismus, capace
– come fece il pittore di Norimberga – di unire in un
miracolo d’equilibrio Settentrione e Meridione, tedesco
e italiano. Similmente, Melanconia del naufragato di Tel
Aviv, databile ai primi mesi del 192836, è un secondo
omaggio del realista magico a Dürer: il riferimento alla
famosa incisione Malinconia I è scoperto sia nel titolo,
sia nell’orientamento della figura in uno spoglio paesaggio minerale.
Nathan coinvolse nel clima i colleghi e amici Sbisà e Leonor Fini, con i quali preparò una mostra a Milano nel
28
A. Dürer,
Ideales Selbsporträt, da H. Wöllfflin,
Die Kunst Albrecht Dürer, 1920
1929: è più che probabile che dei legami fossero istituiti
anche con Mario Lannes, outsider della pittura a Trieste del Novecento. Lo dimostra La macchina infernale,
un unicum del 1928 affascinante nella sua immediatezza apparentemente naïf, in realtà ricco di rimandi alla
nuova pittura europea illustrata da Roh: in una periferia
urbana di cartone (la zona popolare di Barriera, verso
il rione di San Giacomo), figure e macchine sembrano
discendere dalle visioni appiattite di Walter Spies (per
esempio in Commiato), mentre l’infilata di pali dell’elettricità, al centro del dipinto, regola la figurazione come
facevano i Fili del telegrafo di Alexander Kanoldt.
Lo stupore descrittivo delle novità della tecnica e dei
suoi oggetti è tra i punti salienti del Magischer Realismus, in originale presso la biblioteca del Civico Museo
Revoltella, dove pervenne presumibilmente durante gli
anni della direzione di Sambo: Roh discute il rapporto tra arte e fotografia all’inizio del capitolo dedicato al
contenuto espressivo della natura37, preludio a foto-auge che l’autore pubblicherà nel 1929. Una delle più cospicue scoperte della mostra della Provincia di Trieste
su Manlio Malabotta e le arti (2013-14) rimane la forza
W. Spies, Der Abschied,
da F. Roh, Nach-Expressionismus. Magischer Realismus, 1925
A. Kanoldt, Telegraphendrähte,
da F. Roh, Nach-Expressionismus. Magischer Realismus, 1925
M. Lannes, La macchina infernale, 1928, collezione privata
espressiva di molti scatti fotografici del triestino: è un
tratto di qualità distintiva, che lo accomuna con le sorprendenti riprese di Pilon e di Carmelich, la cui umanizzazione dell’oggetto e la parallela oggettivazione
dell’uomo rinvengono dei referenti nelle foto industriali
di Hein Gorny e nel gioco delle maschere dello stesso
Franz Roh o di Pilon di nuovo.
La mostra milanese d’inizio 1929 di Fini, Nathan e Sbisà
segna l’acme e quindi l’inizio del crepuscolo del Realismo Magico triestino. Carlo Carrà recensiva l’iniziativa
con un articolo, Fantasia e Realtà, in cui biasimava del
pittore più anziano il titolo «tremendamente letterario»
dato all’opera che, alla fine dei conti, considerava la migliore della produzione nathaniana: Il cavallo compassionevole, subito dopo diventato, presumibilmente sulla
scorta di una così autorevole critica, L’abbandonato38. Si
tratta, con evidenza, di un dipinto che paga un grosso
debito al paesaggismo di Carrà di quegli anni e che segna, in effetti, uno stacco dalla precedente produzione
di Nathan. Dalle pagine de «L’Ambrosiano» Carrà, infatti, si accorgeva che nelle prove grafiche del 1926-28
il collega giuliano, connettendosi «all’idealismo tedesco
29
il mondo è là arte moderna a Trieste 1910-1941
F. Roh, Nach-Expressionismus. Magischer Realismus.
Probleme der Neuesten Europäische Malerei, 1925,
Biblioteca del Civico Museo Revoltella
“Sergio Molesi”, Trieste
ENRICO LUCCHESE «Il mondo è là»: avanguardia e retroguardia a Trieste
G. Carmelich, Uomo calorifero, 1928 ca.
Fotografia b/n, collezione privata
e più specialmente a saggi di Alberto Durero giovane»
era uscito dai binari nazionali della vera figurazione
moderna: «da Piero della Francesca a Carpaccio – per
dir solo dei maggiori e dei più noti – il Realismo Magico e
la Metafisica Plastica furono argomento di speculazione
artistica»39.
Era vietato parlare in una lingua che non fosse l’italiano,
neppure nell’arte. L’imposizione non giovò alle vicende
figurative giuliane che, nel quarto decennio del Novecento, sembrano a volte dipendenti in modo passivo
dal linguaggio della nazione, anche in opere d’indubbia
qualità: il san Giorgio di Carpaccio dei teleri alla Scuola
degli Schiavoni è spaesato nella Città deserta di Carlo
Sbisà. Pure gli artisti “nazionali” paiono risentire del clima mutato: la cavalcata nella piazza metafisica di Trieste
di Achille Funi appare essere un’esercitazione codificata, corretta e, alla fine dei conti, sterile. Pare confermare questo cambiamento di rotta la mostra del Gruppo
Universitario Fascista su Carrà e Soffici voluta da Malabotta, manifestazione di spirito didattico al quale forse
si collega l’arrivo a Fiume de Sulla via di Querceta, titolo
di un’opera effettivamente esposta (n. 6 del catalogo) al
Padiglione Comunale di Trieste nel 1930.
In una sostanziale crisi d’ispirazione formale, la lettura
e il ricorso al mito soccorrono le personalità di spicco
30
H. Gorny, Colletti bianchi, fotografia,
collezione privata
V. Pilon, Maschere, 1930, fotografica
Galleria Pilon, Ajdovščina / Aidussina
della scena giuliana: Il palombaro di Sbisà è un vero capolavoro, nato nel periodo della fortuna, anche cinematografica, di un romanzo della modernità, Moby Dick, di
cui la traduzione di Cesare Pavese del 1932 è in copia
nel Lascito Gruber Benco alla Biblioteca Civica di Trieste. L’intuizione, di Lorenzo Nuovo, è utile anche per
un riesame della posizione di Nathan, nel 1934 pittore
di balene immerse in mari polari40, intento – possiamo immaginare – a sfogliare il Claude Lorrain di Pierre Courthion, edito nel 1932 a Parigi nell’alveo delle
pubblicazioni di Valori Plastici41. Il testo iniziava con un
emblematico “être un homme libre” ed era corredato da
una serie di tavole, cruciali per la concezione di molti
dipinti ambientati in tramonti marini. Alla suggestione
per Lorrain si assommava la considerazione per un altro
antico maestro di luci infuocate, Joseph Mallord William
Turner.42
La nostalgia ha preso il sopravvento sulla malinconia.
Abbiamo raccolto delle opere triestine degli anni trenta
in una sezione che si chiama Il porto sepolto, come le
prime poesie di Giuseppe Ungaretti stampate a Udine
nel 1916: quei versi, che si uniscono alla successiva (Firenze, 1919) Allegria di Naufragi, descrivono il malessere moderno che, nuovamente, stava portando il mondo
verso un cataclisma bellico. Ancora letteratura, ma per
Franz Roh, Senza Titolo (Composizione con maschere), 1929-1930, fotografia, collezione privata
A. Nathan, L’abbandonato
(Il cavallo compassionevole), 1928,
collezione privata
C. Carrà, Dopo il tramonto da P. M. Bardi,
Carrà e Soffici 1930
31
il mondo è là arte moderna a Trieste 1910-1941
ENRICO LUCCHESE «Il mondo è là»: avanguardia e retroguardia a Trieste
1 Per una sintetica disamina, si rimanda alla prima parte del saggio di
Lorenzo Nuovo in catalogo.
22 «Alla…Mostriciattola. Ancora della pittura», in Marameo, 21 giugno
1929.
2 A sua volta l’Autoritratto di Lannes era riprodotto specularmente in terza di copertina: il progetto grafico fu di Diego Birelli.
23 «Cfr.» J. Mikuž, Dix in Pilon, in Zbornik za Špelco Čopič, Ljubljana 2006, pp.
76-106.
3 Arte moderna in Italia 1915-1935. Catalogo della mostra (Firenze, Palazzo
Strozzi, 26 febbraio - 28 maggio 1967), Marchi e Bertolli editori, Firenze
1967.
24 A. Savinio, «Primi saggi di filosofia delle arti (per quando gl’italiani si
saranno abituati a pensare) II» in Valori Plastici, vol. III, n. 3, 1921, p. 52.
4 R. Masiero, Quasi un diario scientifico, in Il mito sottile. Pittura e scultura
nella città di Svevo e Saba. Catalogo della mostra (Trieste, Civico Museo
Revoltella, 26 ottobre 1991 – 30 marzo 1992) a cura di R. Masiero, Comune di Trieste, Trieste 1991, p. 9.
26 M. Malabotta, «Gli artisti giuliani», in Il Popolo di Trieste, 25 giugno 1929
(in L. Nuovo, Manlio Malabotta critico, cit., p. 60).
5 È la medesima direzione critica impostata nel 2009 con il volume su
Arturo Nathan per la Fondazione CRTrieste.
27 Riprodotto, con attenzione critica solo alla partecipazione del gruppo
futurista giuliana, in Cataloghi di esposizioni a cura di E. Crispolti, De
Luca Editore d’Arte, Roma 2010 (Nuovi Archivi del Futurismo, 1), pp.
446-447.
6 V. Giotti, «Tre disegni e quattro aneddoti», in Ponterosso, vol. 1 (1947), pp.
23-25.
28 «Cfr.» V. Gransinigh, Carlo Sbisà, Fondazione CRTrieste, Trieste 2014, p.
245.
7 U. Saba, «Ritratto di un pittore: “Io sono alla retroguardia”», in Corriere
della Sera, 3 ottobre 1946.
29 F. Marzinsky, Die methode des Expressionismus. Studien ze seiner psychologie, Klindkhardt & Biermann, Leipzig 1921.
8 «Cfr.» l’Appendice documentaria di D. D’Anza, Vittorio Bolaffio, Fondazione CRTrieste, Trieste 2010, p. 248.
C. Sbisà, Il palombaro (Ritratto di Enrico Nordio), 1931,
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in deposito al
Civico Museo Revoltella, Trieste
A. Nathan, La baia delle balene, 1934, ubicazione ignota
9 N. Stringa, La Biennale di Venezia, tracce per un secolo di storia, in La Pittura nel Veneto. Il Novecento, II, a cura di G. Pavanello e N. Stringa, Electa,
Milano 2008, p. 660.
10 Se per Timmel l’omaggio klimtiano è palese, il dipinto di Sofianopulo,
nonostante fosse nel 1912 reduce da un soggiorno parigino, dimostra di
tener presente la patetica invenzione mariana della Pietà di Zwintscher
illustrata alla tavola 19 del catalogo della Biennale di Venezia del 1910.
introdurre scelte formali, non più di avanguardia, che ritornano ai miti del decennio precedente o che scelgono
vie di fuga nel passato: Lannes riprende Poussin (e il De
Chirico del ritorno al museo), Anna Maria Boldi, pittrice
poco nota amica di Nathan, chiude gli occhi cercando
forse di nuovo il sogno del Realismo Magico, Santo Bidoli nella Bambina con palla compie un’incursione retrospettiva nell’Ottocento43, il secolo nel quale sembrano
preferire vivere i membri dell’ovattata, di un biedermeier
rassegnato, Famiglia di Romano Rossini.
Giunto vicino al termine della parabola di critico militante per Il Popolo, Malabotta punta l’occhio sugli artisti udinesi, dal 1931 espositori alle sindacali accanto
ai triestini44: Alessandro Filipponi, i fratelli Basaldella,
Fred Pittino. I giovani friulani stanno, in questo torno di
anni, trovando a Roma esempi di una nuova figurazione, posta a una distanza siderale da quello che Trieste
aveva proposto e su cui tuttora s’interrogava, piegata su
se stessa: Mafai, Scipione, Cagli, ora Il mondo è là, alla
scuola di via Cavour.
25 Rimando al saggio di Nuovo in catalogo.
11 «Cfr.». N. Barbantini, Scritti d’arte inediti e rari, Fondazione Giorgio Cini,
Venezia 1953, p. 271.
12 «Cfr.». A. Del Puppo, La Fondazione Bevilacqua La Masa, in La Pittura nel
Veneto, cit., pp. 674-675.
13 «Cfr.» P. Franceschetti, «Un padovano a Parigi ritratto da Umberto Boccioni», in Padova e il suo territorio, vol. 123 (ottobre 2006), pp. 44-46.
14 Per una riflessione d’ordine stilistico sulle due opere, cfr. in catalogo il
saggio di Nuovo.
15 «Cfr.». D. D’Anza, Vittorio Bolaffio, cit., p. 17 n. 8.
16 Ivi, pp. 17-19 n. 10.
17 M. Malabotta, «Artisti giuliani, milanesi, veneti», in Il Popolo di Trieste, 12
luglio 1931 (in L. Nuovo, Manlio Malabotta critico figurativo, Società di
Minerva, Trieste 2006, p. 133).
18 «Cfr.» M. Lorber, Levier Adolfo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol.
80, Treccani, Roma 2014.
19 Utilizzo questo termine rifacendomi alle riflessioni, sul dipinto di Carlo
Carrà Il funerale dell’anarchico Galli di A. Del Puppo, Modernità e nazione.
Temi di ideologia visiva nell’arte italiana del primo Novecento, Quodlibet,
Macerata 2012, pp. 38-39.
20 V. Pica, «I moderni incisori su legno: Félix Vallotton», in Emporium, vol.
XXI, n. 124 (1905), p. 316.
30 «Cfr.» Realismo Magico pittura e scultura in Italia. 1919-1925. Catalogo
della mostra (Milano, Palazzo Reale, 16 febbraio – 2 aprile 1988) a cura
di M. Fagiolo dell’Arco, Mazzotta, Milano 1988.
31 E. Montale, «I quadri in cantina», in Il Corriere d’Informazione, 21 marzo
1946 (in N. Zar, Giorgio Carmelich, cit., pp. 201-202).
32 «Cfr.». E. Lucchese, Arturo Nathan, Fondazione CRTrieste, Trieste 2009,
pp. 78-83.
33 Ivi, pp. 89-92. H. Wölfflin, Die Kunst Albrecht Dürers, F. Bruckmann,
München 1920, a fronte di p. 154.
34 G. L. Luzzatto, Albrecht Dürer, A. F. Formiggini, Roma 1924: l’autoritratto
di Dürer è in antiporta.
35 Trascritto da V. Iato, Guido Ludovico Luzzatto. Critico d’arte militante, Scalpendi editore, Milano 2014, pp. 90-100.
36 «Cfr.». Lucchese, Arturo Nathan, cit., pp. 104-105.
37 F. Roh, Nach-Expressionismus. Magischer Realismus. Probleme der Neuesten Europäische Malerei, Klindkhardt & Biermann, Leipzig 1925, p. 42.
La traduzione in italiano: F. Roh, Post-Espressionismo. Realismo Magico.
Problemi della nuova pittura europea, a cura di S. Cecchini, Liguori, Napoli
2007, p. 30.
38 C. Carrà, «Mostre milanesi. Fantasia e realtà», in L’Ambrosiano, 9 gennaio 1929.
39 Ibidem.
40 «Cfr.». E. Lucchese, Arturo Nathan, cit., p. 162.
41 P. Courthion, Claude Gelée dit le Lorrain, Librairie Floury. Direction de la
Casa Editrice “Valori Plastici”, Paris 1932.
42 «Cfr.». E. Lucchese, Arturo Nathan, cit., p. 170.
43 «Cfr.» il saggio di Nuovo in catalogo.
44 L. Nuovo, Malabotta critico, cit., p. 24.
21 «Cfr.» N. Zar, Giorgio Carmelich, Fondazione CRTrieste, Trieste 2002, p.
155.
Copertina di H. Melville, Moby Dick o la balena, a cura di C. Pavese,
1932, Biblioteca Civica “Attilio Hortis”, Lascito Gruber Benco, Trieste
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