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GIORGIA MIRTO LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA ESTRATTO da LARES Quadrimestrale di studi demoetnoantropologici 2019/1 ~ a. 85 Anno LXXXV n. 1 – Gennaio-Aprile 2019 Rivista fondata nel 1912 diretta da Fabio Dei Leo S. Olschki Firenze Anno LXXXV n. 1 Gennaio-Aprile 2019 LARES Rivista quadrimestrale di studi demoetnoantropologici Fondata nel 1912 e diretta da L. Loria (1912), F. Novati (1913-1915), P. Toschi (1930-1943; 1949-1974), G.B. Bronzini (1974-2001), V. Di Natale (2002), Pietro Clemente (2003-2017) Redazione Fabio Dei (direttore), Caterina Di Pasquale (coordinamento redazionale), Elena Bachiddu, Paolo De Simonis, Fabiana Dimpflmeier, Antonio Fanelli, Maria Federico, Mariano Fresta, Martina Giuffrè, Maria Elena Giusti, Costanza Lanzara, Federico Melosi, Luigigiovanni Quarta, Emanuela Rossi, Lorenzo Urbano. Comitato Scientifico Internazionale Dionigi Albera (CNRS France), Francesco Benigno (Scuola Normale Superiore di Pisa), Alessandro Casellato (Università “Ca’ Foscari” di Venezia), Pietro Clemente (Università di Firenze), Sergio Della Bernardina (Université de Bretagne Occidentale), David Forgacs (New York University), Lia Giancristoforo (Università di Chieti), Angela Giglia (Universidad Autónoma Metropolitana, Unidad Iztapalapa), Gian Paolo Gri (Università di Udine), Reinhard Johler (Universität Tübingen), Ferdinando Mirizzi (Università della Basilicata), Fabio Mugnaini (Università di Siena), Silvia Paggi (Université di Nice-Sophia Antipolis), Cristina Papa (Università di Perugia), Leonardo Piasere (Università di Verona), Goffredo Plastino (Newcastle University), Alessandro Simonicca («La Sapienza» Università di Roma) Miscellanea Pietro Clemente, L’andatura precaria dell’antropologia (Premio Cocchiara 2018) . . . Alberto M. Sobrero, La macchina antropologica. Michel de Certeau: l’invenzione del quotidiano (Parte seconda). . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giorgia Mirto, La sepoltura delle vittime delle frontiere in Italia . . . . . . . . . Luigigiovanni Quarta, «Qu’est-ce que la critique?». Didier Fassin e l’attitude critique in antropologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 17 49 85 ARCHIVIO (a cura di Fabiana Dimpflmeier) . . . . . . . . . . . . . . Fabiana Dimpflmeier, One Who Knows: Lamberto Loria testimone d’eccezione in terra australiana (1896) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . New Guinea by One Who Knows. Interview with Dr. Loria (1896) . . . . . . . . . Lamberto Loria, Notes on the Ancient War Customs of the Natives of Logea and Neighbourhood (1895) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lamberto Loria, An Episode of Mission Life in New Guinea (1896) . . . . . . . . Lamberto Loria, A Scientist’s View of Mission Work (1896) . . . . . . . . . . Lamberto Loria, A Scientist’s Estimate of a New Guinea Station (1897) . . . . . . 109 138 150 152 155 TESTIMONIANZE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gian Luigi Bruzzone, Nicola Scarano: evocatore della cultura tradizionale sannita . . . Mariano Fresta, La seconda linea dell’antropologia . . . . . . . . . . . . . 161 163 173 Gli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203 111 134 Anno LXXXV n. 1 – Gennaio-Aprile 2019 Rivista fondata nel 1912 diretta da Fabio Dei Leo S. Olschki Firenze Tutti i diritti riservati Casa Editrice Leo S. Olschki Viuzzo del Pozzetto, 8 50126 Firenze www.olschki.it Giorgia Mirto LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA Mi accingo a trattare alcuni risultati collaterali delle ricerche che svolgo da anni sul tema dei migranti deceduti e dispersi lungo i confini meridionali dell’Unione Europea, dapprima per il progetto Human Costs of Border Control (dal novembre 2011) 1 e poi, successivamente, dal settembre 2015, per il progetto Mediterranean Missing.2 Tra le maglie delle ricerche sono emersi complessi meccanismi culturali messi in opera dalle comunità locali del sud Italia per affrontare l’ingresso dei migranti deceduti in mare all’interno di quelli che sono luoghi sacri per la collettività: i cimiteri. Se attraverso l’analisi delle procedure burocratiche attuate dalle autorità italiane affiora una severa riduzione nello status del corpo come indice di persona,3 lo studio delle pratiche funerarie delle comunità locali dimostra un profondo lavoro di appropriazione del lutto e di sussunzione del deceduto migrante all’interno della propria comunità dei degli estinti. Nel presente saggio si vuole dimostrare come in assenza – o nella inottemperanza– di norme consolidate che regolino la gestione del lutto del migrante, le comunità locali attingano alla propria antica tradizione, rendendolo parte della loro storia. Il costo umano delle frontiere L’immigrazione irregolare verso l’Unione Europea è stata oggetto di numerose discussioni. Le pubblicazioni che tendono a contare, diagno1 Human Costs of Border Control è stato coordinato dalla dott.ssa Tamara Last, diretto dal prof. Thomas Spijkerboer dell’Università Vrije di Amsterdam e finanziato dal NWO (www. bordersdeaths.org). 2 Migrants and Deaths at the EU’s Mediterranean Border: Humanitarian Needs and State Obligations è stato condotto dal CAHR dell’Università di York, dalla City University of London, dalla IOM e finanziato dall’ESRC (www.mediterraneanmissing.eu). 3 A. Tapella – G. Mirto – T. Last, Death at borders. From institutional careless to Private Concern. Research note from Italy, «Intrasformazione», vol. 5, 1, 2016, pp. 57-64. 50 GIORGIA MIRTO sticare, classificare e medicalizzare coloro che entrano in maniera (resa) irregolare e risiedono nel territorio italiano ed europeo sono aggiornate costantemente e fruibili al vasto pubblico. Diverso è invece l’atteggiamento nei confronti dei decessi. Gli organismi che si occupano dei migranti che cercano di oltrepassare i confini dell’UE, come le Guardie costiere nazionali o Frontex, non includono nelle loro relazioni annuali o pubblicazioni statistiche i dati dei morti: essi non vi possono rientrare perché non si può stilare un certificato di morte ISTAT per i non residenti. Lo Stato, di fatto, non ha come ‘contarli’ 4 e vi è quindi una carenza generale di informazione sull’argomento – specialmente se la si compara con l’ingente cifra di dati che si ha invece su arrivi, intercettazioni, soccorsi, detenzioni e deportazioni dei migranti, ovvero su statistiche che servono a giustificare la richiesta di fondi e l’intensificazione al controllo delle frontiere. Insomma: chi attraversa illegalmente le frontiere è inserito nelle statistiche, chi vi muore non lo è.5 Come sostiene l’antropologo Didier Fassin, più che un mero risultato amministrativo, l’assenza di statistiche indica una specifica operazione amministrativa.6 Gli unici dati su coloro che sono morti nel tentativo di oltrepassare le frontiere sono forniti dalla stampa, come la lista dei decessi dell’associazione olandese UNITED for Intercultural Action (List of 33.305 documented deaths of refugees and migrants due to the restrictive policies of Fortress Europe); 7 la lista del blog del giornalista Gabriele del Grande, Fortress Europe,8 che riporta le notizie prese dalla stampa italiana e internazionale sui migranti 4 Fa eccezione il Registro dei corpi non identificati elaborato dall’Ufficio del Commissario del Governo per le Persone Scomparse che, come dice il titolo stesso, non comprende tutte le vittime delle frontiere ma solo quelle non identificate. La limitatezza della lista è data inoltre dal suo anno di creazione, il 2007, che non comprende i decessi precedenti. Fattore ancora più grave è poi la mancata partecipazione alla redazione dell’elenco ministeriale degli enti locali che si è osservata durante le ricerche svolte. 5 T. Last – T. Spijkerboer, Tracking deaths in the Mediterranean, in T. Brian – F. Laczko, Fatal journeys: tracking lives lost during migration, Ginevra, International Organisation for Migration, 2014, pp. 85-106. 6 D. Fassin, The biopolitics of otherness. Undocumented foreigners and racial discrimination in French public debate, «Anthropology Today», vol. 17, 1, 2001, pp. 3-7. 7 La lista si basa su informazioni prese dalla stampa, la cui fonte è riportata separatamente per ogni caso. L’elenco venne creato nel 1993 come iniziativa di monitoraggio di un gruppo di attivisti della società civile al fine di annotare le morti dei migranti che sembravano poter essere attribuite alle politiche di immigrazione e controllo delle frontiere di Fortress Europe. L’ultima versione delle lista include 33.305 casi, dal 1993 al giugno 2015 (http://unitedagainstrefugee deaths.eu/wp-content/uploads/2014/06/UNITEDListOfDeathsActual.pdf ). 8 Creata nel 2006 con lo scopo di denunciare le leggi europee che rendono impossibile a molti viaggiare in maniera sicura, la lista usa, al pari della precedente, i media come fonte primaria e, come secondaria, le organizzazioni della società civile. I decessi vengono riportati in un elenco cronologico in cui è segnata la data del ritrovamento, il paese, una descrizione sommaria dell’incidente (es. «13 cadaveri rinvenuti») e la fonte giornalistica (http://fortresseurope. blogspot.nl/p/la-strage.html). LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA 51 deceduti dal 1988 a oggi; o il recente Missing Migrants Project dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM).9 Le stesse ricerche accademiche sui migranti morti e dispersi nel Mediterraneo si basano ampiamente su queste fonti,10 nonostante riportino notizie che, essendo state estrapolate dalla stampa,11 sono lontane dall’indicare un numero di morti attendibile o di consistenza simile. Se infatti i grandi naufragi, dato il loro interesse mediatico, sono ampiamente documentati, così come per alcuni luoghi di passaggio – quali Lampedusa e Lesbos, ‘spettacolarizzati’ 12 come confini per eccellenza dell’UE – possiamo aspettarci che i decessi siano riportati in maniera sistematica, in molti altri casi che fanno meno notizia, i ritrovamenti di cadaveri possono essere passati inosservati. Per non parlare del fatto che la stampa per lo più si sofferma sul numero di morti e poco ci dice su chi siano queste persone, da dove vengano, cosa le abbia spinte a migrare, come sia stato il loro viaggio e quali le circostanze della loro morte, includendo anche una enorme quantità di dispersi quantificata solo approssimativamente. Se c’è da un lato la necessità di gridare al massacro e quindi di enfatizzare il numero dei morti, dall’altro urge sapere di chi e di cosa stiamo parlando. Le border death o vittime delle frontiere Nel tentativo di rispondere a questa domanda è stato istituito il Deathsat: the Borders Database for the Southern EU External Borders,13 coordinato 9 Nato sull’onda emotiva del famoso naufragio del 3 ottobre 2013 a largo di Lampedusa, si tratta di un sito internet che riporta, oltre a una lista dei decessi avvenuti – questa volta con una maggiore coerenza di selezione del dato – anche dati grafici, quali mappe e schemi. Anch’esso si basa principalmente su notizie mediatiche integrate con altre fonti: organizzazioni non governative, associazioni, enti statali e operatori OIM presenti agli sbarchi in loco (http:// missingmigrants.iom.int/). 10 Cfr. P. Cuttitta, Il controllo dell’immigrazione tra Nordafrica e Italia, in N. Dentico – M. Gressi (a cura di), Libro bianco. I centri di permanenza temporanea e assistenza in Italia. Un’indagine promossa dal gruppo di lavoro sui CPTA in Italia, Roma, 2006; J. Carling, Migration control and migrant fatalities at the Spanish-African Borders, «International Migration Review», 41, 2, 2007, pp. 316-343; T. Spijkerboer, The human costs of border control, «European Journal of Migration and Law», 9, 2007, pp. 127-139; L. Weber – S. Pickering, Globalization and Borders: Death at the Global Frontier, Hampshire, Palgrave Macmillan, 2011; S. Pickering – B. Cochrane, Irregular border-crossing deaths and gender: Where, how and why women die crossing borders, «Theoretical Criminology», 17, 2012, pp. 27-48; K. Williams – A. Mountz, Rising Tide: Analyzing the Relationship between Externalization and Migrant Deaths and Boat Losses, in R. Zaiotti (ed.), Externalizing Migration Management: Europe, North America and the Spread of ‘Remote Control’ Practices, London-New York, Routledge, 2016, pp. 31-50. 11 T. Last – T. Spijkerboer, Tracking deaths in the Mediterranean, cit. 12 P. Cuttitta, Borderizing the Island: Setting and Narratives of the Lampedusa Border Play, «ACME: an international e-journal for critical geographies», 13, 2, 2014, pp. 196-219. 13 La versione italiana è la Banca dati delle morti ai confini meridionali dell’UE-ITALIA, consultabile su http://www.borderdeaths.org/. 52 GIORGIA MIRTO da Tamara Last e frutto del progetto di ricerca Human Cost of Border Control 14 diretto da Thomas Spijkerboer, entrambi afferenti al dipartimento di Migration Law dell’Università Vrije di Amsterdam.15 Si tratta della prima banca dati europea relativa ai casi di tutti coloro che sono deceduti cercando di raggiungere i paesi a sud dell’Unione Europea (oltre all’Italia, anche la Spagna, la Grecia, Malta e Gibilterra) e i cui corpi sono stati ritrovati e registrati. Il database è fondato su documentazioni ufficiali, tratte – per l’Italia – da archivi di Stato Civile, uffici comunali, cimiteri, archivi delle Procure e dei Medici legali. L’arco temporale comprende il periodo 19902013. Le variabili più importanti sono: nome, età, genere e origine del defunto; luogo di morte, luogo di ritrovamento, luogo di registrazione, luogo di sepoltura; causa della morte e altri dettagli sull’accidente occorso.16 Un insieme di dati che permette di tracciare non solo una geografia della morte alle frontiere, ma anche di mettere accanto al ritratto collettivo innumerevoli ritratti individuali. Il soggetto dell’indagine sono state le border death o vittime delle frontiere, le morti di coloro che hanno cercato di oltrepassare il confine ed entrare nell’UE clandestinamente. Un termine che vuole evidenziare come i loro decessi siano causati dall’esistenza stessa delle frontiere e che non sia la condizione del migrare ad essere rilevante, quanto il fatto che numerose persone cerchino di oltrepassare le pericolose frontiere esterne dell’UE e che qui vi muoiano.17 Il termine vittime delle frontiere va oltre e allo stesso tempo respinge la distinzione fatta con sempre più frequenza tra migranti economici e richiedenti asilo, questi ultimi designati come coloro che per la normativa vigente avrebbero davvero diritto.18 14 Il progetto è stato finanziato dal fondo olandese di ricerca (Nederlandse Organisatie voor Wetenschappelijk Onderzoek – NWO). 15 Sul territorio italiano la ricerca è stata condotta da chi scrive, Giovanna Vaccaro e Amélie Tapella. 16 Sulla metodologia di indagine consultare: T. Last et alii, Deaths at the Borders Database: evidence of deceased migrants’ bodies found along the southern external borders of the European Union, «Journal of Ethnic and Migration Studies», Vol. 43, 2017, pp. 693-712. 17 Nello specifico sono messi in questione i confini creati dal trattato di Schengen che, se da un lato ha abbattuto le frontiere interne dei paesi europei, dall’altro ha imposto ai paesi firmatari di rafforzare i controlli alle comuni frontiere esterne, con nefaste conseguenze (Cfr. E. Balibar, We, the People of Europe? Reflections on Transnational Citizenship, Princeton, Princeton University Press, 2004; T. Spijkerboer, The human costs of border control, cit.; H. de Haas, The myth of invasion: the inconvenient realities of migration from Africa to the European Union, «Third World Quarterly», 29, 2008, pp. 1305-1322; L. Weber, Knowing-and-yet-not-knowing about European border deaths, «Australian Journal of Human Rights», 15, 2, 2010, pp. 35-58). 18 Una separazione in termini radicali ignora la pluralità di situazioni concrete che spinge un uomo, una donna e, sempre più spesso, un minorenne non accompagnato ad abbandonare il proprio paese di origine. La stessa Costituzione Italiana, all’art. 10, ignora tale distinzione. Sebbene si riconoscano le categorie legali distinte a cui ci si riferisce generalmente parlando di migranti (rifugiati, migranti economici, richiedenti asilo e così via), il termine vittime delle fron- LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA Dato che la legge italiana impone la registrazione degli atti di morte nel Comune in cui è stato rinvenuto il corpo (oppure in cui è avvenuto il decesso),19 sono stati consultati gli uffici di 250 Comuni della fascia costiera italiana, come mostrato nella cartina, a cui si sono aggiunti alcuni porti italiani (Napoli, Palermo, Catania, Bari, Ancona), in cui passeggeri irregolari sono stati trovati su cargo e navi internazionali. La fascia costiera dell’Italia meridionale sarà il luogo preso in esame nella presente trattazione e che fornirà la base geografica dell’esplorazione delle procedure di elaborazione del lutto. 53 Mappa dei luoghi presi in esame dalla ricerca HCBC in Italia. I dispersi nel Mediterraneo Tra i risultati più significativi del progetto olandese vi è il riscontro del bassissimo numero di vittime delle frontiere identificato dalle autorità europee, la cui media è del 65% nel Death at borders database,20con un picco negativo in Sicilia del 21,9%.21Parallelamente alla ricerca olandese, altri studi effettuati sull’isola greca di Lesbos rilevano i limiti e i difetti nelle politiche prodotte dalle autorità locali, nazionali ed europee nella gestione delle salme e nell’identificazione dei deceduti.22 tiere non fa distinzione tra queste, ne vuole farne, in quanto la natura dei cadaveri è ambigua indipendentemente dal loro status legale prima della morte, e gli obblighi degli stati riguardo a quei resti umani sono gli stessi. 19 D.P.R. 396/2000. 20 T. Last, Who is the ‘Boat Migrant’? Challenging the Anonymity of Death by Border-Sea, in V. Moreno-Lax – E. Papastavridis, Boat refugees’ and migrants at sea. A comprehensive approach, Leida, Brill, 2016, pp. 79-116. 21 G. Mirto, Border Death, in S. Greco – G. Tumminelli (a cura di), Migrazioni in Sicilia 2016, Osservatorio Migrazioni, Istituto di Formazione Politica Pedro Arrupe, 2017, pp. 219-236. 22 S. Robins – I. Kovras – A. Vallianatou, Addressing Migrant Bodies on Europe’s Southern Frontier: An agenda for research and practice, Institute for the Study of Conflict Transformation & Social Justice, Belfast, Queen’s University, 2014, disponibile su: http://www.simonrobins.com/ Policy%20brief%20%20Addressing%20migrant%20bodies%20in%20the%20EU.pdf. 54 GIORGIA MIRTO Sulla base di queste considerazioni è stato creato il progetto di ricerca Mediterranean Missing: Understanding Needs of Families and Obligations of Authorities, una collaborazione tra il Center for Applied Human Rights dell’Università di York, la London City University e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM).23 La ricerca è stata condotta su due fronti, uno europeo – in Sicilia e a Lesbos – e un altro nelle comunità di origine dei migrati o dove si sono trasferite le famiglie dopo la diaspora –Tunisia e Turchia. Da un lato, dato il vuoto di iniziative esistente a livello nazionale e comunitario, l’obiettivo era quello di esaminare le norme, le procedure e le pratiche adottate dalle autorità nell’investigare, identificare, seppellire e rimpatriare i resti dei migranti, e quindi capire cosa l’UE e gli stati interessati facessero per rispettare i vigenti obblighi legali di diritto internazionale verso i famigliari.24 Dall’altro, lo studio ha coinvolto le famiglie dei dispersi presenti nelle zone toccate dalle migrazioni su larga scala (in Tunisia e nelle comunità dei rifugiati siriani) attraverso un’indagine etnografica multifocale volta a comprendere i bisogni dei parenti. In entrambi i casi sono state effettuate delle interviste semi strutturate ai soggetti considerati più interessanti,25 e che in Italia hanno coinvolto sia coloro che hanno avuto un ruolo istituzionale nella gestione del ritrovamento di una border death, sia gli esponenti della società civile implicati nel processo che riguarda l’identificazione dei migranti deceduti, nonché nell’assistenza e supporto alle famiglie che richiedevano informazioni riguardo ai loro cari dispersi.26 Se infatti per disperso (missing person) il Comitato Internazionale della Croce Rossa intende a person whose whereabouts are unknown to his/her relatives and/or who, on the basis of reliable information, has been reported missing in accordance with the national legislation in connection with an international or non-international armed conflict, a situation of internal violence or disturbances, natural catastrophes or any other situation that may require the intervention of a competent State authority,27 23 Il progetto è stato finanziato dall’Economic and Social Research Council (ESRC) del Regno Unito.. 24 Primo fra tutti l’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Cfr. S. Grant, Dead and missing migrants. The obligations of states in the European region under international human rights law, York, Mediterranean Missing Project, 2016, disponibile su: http://www.mediterraneanmissing.eu/wp-content/uploads/2015/10/ Mediterranean-Missing-Legal-Memo-290816.pdf. 25 Le linee guida per le interviste sono state concordate dal team di ricercatori. In linea con la metodologia di selezione degli intervistati ‘a palla di neve’, è stato chiesto durante i colloqui di indicare chi altro si ritenesse rilevante contattare in modo da ampliare il raggio di azione del progetto secondo il suggerimento degli attori coinvolti. 26 Si tratta soprattutto di associazioni del Terzo settore e mediatori culturali, che si sono dimostrate più volte essenziali nella gestione delle border death, dal ritrovamento alla sepoltura, e soprattutto nell’identificazione. 27 International Committee of the Red Cross, Guiding Principles/ Model Law on the missing, LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA 55 è chiaro che per ogni corpo non identificato rinvenuto presso i confini meridionali dell’UE, per tutti coloro che sono dispersi in mare o per chi non riesce a contattare i suoi parenti c’è una famiglia che aspetta notizie. Parlare di dispersi permette di rendere visibile anche quelle vittime del disastro umanitario che rimangono ampiamente invisibili. Sono molti gli studi effettuati su questo tema, ultimamente focalizzati soprattutto sul concetto di ‘lutto ambiguo’, ambiguous loss, ovvero «a situation of unclear loss resulting from not knowing whether a loved one is dead or alive, absent or present».28 Si tratta di un’ambiguità esterna, oggettiva e misurabile, data dal non sapere e quindi dall’incapacità di interfacciarsi con l’assenza e che porta a essere divisi tra l’elaborazione del lutto e la continua speranza del ritorno. Viene meno il cardine centrale dell’accettazione del decesso perché è proprio questo punto ad essere ambiguo. «Ambiguous loss occurs when a family member is psychologically present, but physically absent»,29 e si vive in un limbo di incertezze. I risultati delle interviste condotte dal progetto Mediterranean Missing indicano che le situazioni di scomparsa di un proprio caro preludono a fenomeni di depressione, ansietà e conflitti familiari e comunitari. In particolare, quando a migrare sono soprattutto giovani uomini che potenzialmente sarebbero dei membri produttivi di reddito, le famiglie vengono messe a dura prova dalla scarsezza dei mezzi di sostentamento.30 Il diritto alla vita famigliare impone la partecipazione delle famiglie alle indagini e alla sepoltura.31 Il vuoto nelle politiche che esiste nella gestione 2009. Per maggiori informazioni: https://www.icrc.org/en/document/guiding-principles-model-law-missing-model-law. 28 P. Boss, Loss, trauma and resilience: Therapeutic work with ambiguous loss, New York, W.W. Norton, 2006, p. 554. 29 A causa di conflitti, disastri naturali, migrazioni, oppure nel caso in cui il parente sia presente fisicamente ma psicologicamente assente, come per esempio nella malattia di Alzheimer o altre malattie croniche. 30 ‘Like a part of a puzzle which is missing’: The impact on families of a relative missing in migration across the Mediterranean, York, Mediterranean Missing Project, 2016 (http://www.mediterraneanmissing.eu/wp-content/uploads/2015/10/Mediterranean-Missing-Italy-long-report-IT. pdf ). Nonostante la pena e le situazioni di ansia, le famiglie hanno istaurato dei meccanismi di cooperazione che in molti casi si sono rivelati molto efficienti. La solidarietà collettiva è da considerarsi di grande supporto, soprattutto quando si creano contatti tra varie famiglie di dispersi, come nel caso tunisino, dove esistono vere e proprio associazioni fondate su questa base. Ad esempio le ‘madri Tunisine’ sono riunite in diversi gruppi tra cui spicca l’associazione La terre pour Tous, che rappresenta le madri di 504 ragazzi dispersi durante il viaggio migratorio verso l’Italia e le supporta nella loro ricerca, nel tentativo di ritrovarli o di conoscere la verità sulla loro sorte. Di fatto lo scopo dell’associazione consiste nel facilitare il dialogo – non sempre facile – tra le famiglie e le istituzioni tunisine e italiane e, come recita lo statuto dell’associazione, «nel tentativo di costruire una rete di solidarietà capace di connettere le realtà sensibili alle istanze della ricerca della verità e della giustizia» (https://www.facebook.com/laterrepourtous/). 31 S. Grant, Dead and missing migrants. The obligations of states in the European region under international human rights law, York, Mediterranean Missing Project, 2016 (http://www. 56 GIORGIA MIRTO statale suggerisce che tali obblighi non si concretizzino o siano del tutto ignorati.32 Procedure di gestione e identificazione delle vittime delle frontiere Il ritrovamento di un cadavere apre una serie di procedure ufficiali che coinvolgono le autorità statali e che producono una considerevole mole di dati. Accanto a quelle previste dalla normativa italiana e internazionale e dai protocolli di intesa redatti dall’Ufficio Straordinario per le Persone Scomparse del Ministero dell’Interno, esistono però altre pratiche per gestire le vittime delle frontiere e pertanto vi è discrepanza tra procedure ufficiali e ufficiose. La discrezionalità delle autorità Nel caso di ‘disastro di massa’ (un incidente in cui muoiono più di cinque persone), le pratiche di gestione delle salme dovrebbero seguire le procedure previste e schematizzate dal manuale operativo dell’International Committee for the Red Cross (CICR).33 L’applicazione di queste prassi è però a discrezione delle autorità pubbliche, che sono quelle che organizzano un coordinamento generale delle operazioni, compresa l’identificazione delle vittime. In Italia, dal 1990 al 2013, si sono verificati ben 36 ‘disastri di massa’, oltre a numerosi ritrovamenti singoli di cadavere,34 e fin ora le procedure CICR sono state usate solo nel caso di due tragici eventi: i naufragi del 3 e dell’11 ottobre del 2013 a largo dell’isola dei Conigli a Lampedusa e per il barcone affondato il 18 aprile 2015. I restanti 34 casi non sono stati oggetto della stessa attenzione forense o mediatica, così come le altre centinaia di recuperi in mare. La gestione dei cadaveri delle vittime delle frontiere Il recupero del corpo, il trasferimento, l’autopsia, la conservazione e la sepoltura o rimpatrio costituiscono le principali fasi del sistema di gestione mediterraneanmissing.eu/wp-content/uploads/2015/10/Mediterranean-Missing-Legal-Memo-290816.pdf ). 32 Missing migrants: management of dead bodies in Sicily. Italy Country Report, York, Mediterranean Missing Project, 2016 (http://www.mediterraneanmissing.eu/wp-content/uploads/2015/10/Mediterranean-Missing-Italy-long-report-IT.pdf ); A. Tapella – G. Mirto – T. Last, Death at borders, cit.; G. Mirto, Border Death, in S. Greco – G. Tumminelli (a cura di), Migrazioni in Sicilia 2016, Osservatorio Migrazioni, Istituto di Formazione Politica Pedro Arrupe, pp. 219-236. 33 O. Morgan – M. Tidball-Binz – D. van Alphen, Management of Dead Bodies after Disasters: A Field Manual for First Responders, Washington D.C., Pan American Health Organization, 2009 (www.icrc.org/eng/assets/files/other/icrc-002-0880.pdf ). 34 Dati tratti dalla Banca dati delle morti ai confini-meridionali dell’UE-ITALIA (www.borderdeaths.org). LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA 57 appena accennato – anche se, in realtà, queste diverse fasi sono strettamente interconnesse e si sovrappongono. Innanzi tutto è fondamentale recuperare i cadaveri. Il mancato ritrovamento della salma significa escludere ogni possibilità di identificazione e quindi registrare la morte della vittima delle frontiere nella categoria dei dispersi.35 Nel corso degli anni il recupero e il soccorso in mare si è evoluto. Resti umani sono stati trovati impigliati negli scogli o spiaggiati lungo la costa. In alcuni casi cadaveri sono stati rinvenuti direttamente nei porti, perché i migranti si erano nascosti nelle stive delle navi ed erano morti durante il tragitto. Corpi possono inoltre essere ripescati in mare da pescatori, rimasti impigliati tra le reti (rinvenimenti involontari e paventati da questi ultimi, che ne farebbero volentieri a meno).36 È celebre a questo proposito l’egregio lavoro d’inchiesta del giornalista Giovanni Maria Bellu, che ne I fantasmi di Portopalo (2004) discute il caso di alcuni pescatori che ributtano a mare senza denunciarne il ritrovamento alle autorità i corpi senza vita provenienti da una barca naufragata la notte di Natale del 1996 a largo della costa siciliana.37 Inoltre, i cadaveri possono anche essere recuperati da pescatori a seguito di un soccorso in mare di una barca in avaria,38 cosa che rappresenta per loro un dilemma di complessa soluzione, visto che sono passibili dell’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. A tal proposito, è bene tenere presente che secondo la legge internazionale in mare si ha il dovere di prestare assistenza a imbarcazioni e persone in pericolo – come menzionato nella Convenzione delle Nazioni Unite sul 35 S. Romano, The Italian legal framework for the management of missing persons and unidentified dead bodies, and the rights of the relatives, York, Mediterranean Missing Project, 2016 (http:// www.mediterraneanmissing.eu/wp-content/uploads/2015/10/Mediterranean-Missing-Italian-legal-memo.pdf ). 36 I pescatori che effettuano la pesca a strascico raccontano di aver smesso di pescare in alcune zone in cui abbondano i relitti delle imbarcazioni dei migranti, per evitare che al passaggio le reti rimangano impigliate ai natanti affondati o di dover recuperare resti umani. Si noti, tra l’altro, che tale pratica è più usuale di quanto si pensi. Anzi, è più usuale di quanto ci sia modo di sapere (http://www.rfi.fr/europe/20140908-frontiere-histoires-migrants-morts-mediterranee-migration-italie-pecheurs-mazara-del-vallo ed anche http://www.rts.ch/play/ radio/detours/audio/ces-anonymes-qui-rendent-hommage-aux-migrants-13?id=6649762). 37 Si tratta delle vittime, si stima 283, del naufragio dovuto allo scontro tra il cargo libanese «Friendship» e la motonave «Yohan». Questa notizia viene riportata da svariate fonti giornalistiche, eppure non risulta dai registri statali perché questi corpi non sono mai stati rinvenuti ufficialmente e portati a riva (http://www.repubblica.it/online/cronaca/palo/trovati/trovati.html). 38 Nel 2007, per esempio, sette pescatori tunisini sono accusati e processati dalla giustizia italiana per avere soccorso quarantaquattro persone in acque internazionali e averle portate a Lampedusa (Corte di Appello di Palermo, Terza Sezione Penale, 21 settembre 2011). Dopo quattro anni, sono assolti da tutti i capi di imputazione, ma nel frattempo gli sono stati confiscati i pescherecci e le licenze di pesca, e le loro vite rovinate. Tali episodi hanno ridotto ulteriormente la disponibilità dei pescatori a prestare soccorso. 58 GIORGIA MIRTO diritto del mare 1982 (UNCLOS), nella Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare 1974 (SOLAS), nella Convenzione internazionale sulla ricerca e soccorso in mare 1979 (SAR) e infine nella Convenzione internazionale sull’ Assistenza del 1989.39 L’obbligo di soccorso non ricade solo sui pescatori, ma anche sulle forze dello Stato. Tuttavia, quando si tratta di prestare aiuto a imbarcazioni di persone etichettate come ‘immigranti’, le violazioni di questi trattati non sono rare. L’evoluzione del soccorso in mare è stato oggetto di studio di Paolo Cuttitta, che ha analizzato il lungo processo di umanitarizzazione delle frontiere dal sicuritarismo e dalla protezione degli anni ’90 e primi del 2000 in direzione di una logica umanitaria e di soccorso delle vite umane.40 Da Mare Nostrum in poi,41 a seguito dei soccorsi in mare, è più comune rinvenire cadaveri di vittime delle frontiere. Il recupero dei corpi è però secondario rispetto alla sicurezza dell’equipaggio e dei sopravvissuti durante le impervie manovre di soccorso, e non è raro che vengano lasciati in balia della corrente. Se il cadavere è portato con successo a bordo, è poi fondamentale che sia trasportato adeguatamente, e la maggior parte delle navi che operano nel Mediterraneo sono sprovviste di celle frigorifere. Un problema che si ripropone anche a riva, dove spesso mancano luoghi idonei per preservare i corpi 42 – e, sebbene non sia questa la sede per approfondire l’argomento, va sottolineato che esistono enormi differenze di gestione tra i Comuni.43 39 M. Tondini, Fishers of Men? The Interception of Migrants in the Mediterranean Sea and Their Forced Return to Libya, Inex Project Paper, 2010. 40 P. Cuttitta, Ricerca e soccorso indipendenti nel Canale di Sicilia, «Intrasformazione», 5, 1, 2016, pp. 130-139; Id., From the Cap Anamur to Mare Nostrum. Humanitarianism and migration controls at the EU’s maritime borders, in C. Matera – A. Taylor (eds.), The common European asylum system and human rights: enhancing protection in times of emergencies, Den Haag, Asser Institute, 2014, pp. 21-37. 41 Dal primo novembre 2014 Triton ha sostituito, unificandole e potenziandole, le due precedenti operazioni di Frontex ospitate dall’Italia (Aeneas, a largo delle coste pugliesi e calabresi, ed Hermes, nel Canale di Sicilia). L’evoluzione di Triton di schiama EUNAVFORMED. Accanto a queste missioni statali intervengono altri attori nell’operare soccorso in mare quali le già citate ONG e le navi mercantili. Il coinvolgimento di queste ultime indica, secondo Cuttitta, una tendenza delle autorità a servirsi del privato per fare fronte a esigenze derivanti da proprie scelte politiche operando una vera e propria «nazionalizzazione temporanea della marina mercantile» (P. Cuttitta, Ricerca e soccorso indipendenti, cit., p. 136). 42 Missing migrants, cit. 43 Il Regolamento di Polizia Mortuaria impone che il corpo venga custodito ed esposto in un deposito di riconoscimento (DPR 285/1990 art. 12) e regola la capienza di questi alle dimensioni del comune (artt. 8-15). Purtroppo, sono stati riscontrate numerose disattenzioni alla norma. Si riporta ad esempio le difficoltà in cui è incorsa la Città di Palermo nell’estate del 2015, quando le sole 15 celle frigorifere a disposizione del Comune non erano in grado di contenere le 79 vittime trasportate nel capoluogo siciliano nell’arco di poche settimane. O ancora Lampedusa che, nonostante sia il Comune europeo con il più alto tasso di vittime delle frontiere, non dispone di un obitorio, una sala autoptica e un luogo idoneo dove effettuare le analisi sui corpi, LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA 59 A questo punto le procedure di gestione possono prendere due strade. La prima protende verso la registrazione del decesso e la sepoltura del cadavere, l’altra verso le analisi del corpo, l’identificazione – se possibile – e le indagini giudiziarie. Entrambe sono accomunate da un assunto di fondo: un corpo non identificato, rinvenuto in luogo pubblico, che si sospetta esser vittima di un reato, ricade sotto la competenza della Procura della Repubblica circondariale e della polizia giudiziaria. È la Procura che raccoglie i dati sul deceduto e che dà inizio alle fasi successive. Analizzare il corpo significa nominare il medico legale per capire le cause di morte. Se non è sufficiente un esame esterno per dedurla o si sospetta un reato, viene fatta l’autopsia. I medici e la polizia scientifica quindi raccolgono alcuni elementi dal corpo (DNA, foto, ecc.), che dovrebbero essere immagazzinati in archivi fisici e telematici. Si passa poi all’ascolto dei testimoni, ad esempio i compagni di viaggio, per trarre maggiori informazioni sull’identità del deceduto.44 A questo punto il procuratore emette il Nulla Osta alla sepoltura che viene inviato, assieme ad altri documenti, all’Ufficio di Stato Civile del Comune in cui è stata rinvenuta la salma. Si redige l’Atto di Morte e si catalogano gli Allegati agli Atti. Solo ora l’Ufficio redige il Nulla Osta al seppellimento, che implica un’altra serie di passaggi: il Comune indice una gara d’appalto per l’impresa di pompe funebri, la salma, con i documenti annessi, è trasportata al cimitero e sepolta, anche se rimane a disposizione dell’autorità giudiziaria per future indagini. Per sempre irrintracciabili Quanto esposto è ciò che dovrebbe avvenire secondo il Codice di Procedura Penale, il regolamento dello Stato Civile (DPR 396/2000) e il Nuovo Regolamento di Polizia Mortuaria (DPR 285/90). La realtà è però spesso un’altra. La Procura, ad esempio, può rifiutare di occuparsi delle indagini e dei doveri annessi, con la motivazione di non reputare di pertinenza penale il ritrovamento di un cadavere di migrante. Ciò che è avvenuto nel che possono esser fatte direttamente sul molo Favarolo dopo lo sbarco, oppure nell’hangar dell’aeroporto, come nel caso dei grandi naufragi del 3 ed 11 Ottobre 2013. Secondo il racconto dell’ex custode del cimitero – al momento la struttura è sprovvista di addetti – spesso accadeva che, non sapendo dove mettere i corpi, questi venivano inumati provvisoriamente nelle fosse comuni per poi essere riesumati in caso di analisi – che dovrebbero essere obbligatorie prima dell’inumazione – o del trasporto della salma. 44 Non è raro però che tale fase venga tralasciata da parte delle autorità presenti allo sbarco, impedendo anche ai parenti sopravvissuti di identificare il proprio congiunto deceduto. Ciò è avvenuto ad esempio a Francis Ipisbhe soccorso assieme alla moglie Mary, deceduta però durante la traversata nel maggio 2017, ma che non gli è stato reso possibile identificare. Soltanto dopo svariati tentativi e coinvolgendo la società civile, il sig. Ipisbhe è riuscito ad individuare la sepoltura della moglie. Cfr: https://www.theguardian.com/world/2018/jun/03/ migrant-love-story-voyage-sicily-ended-in-tragedy-drowned-grave. 60 GIORGIA MIRTO caso delle stragi del 3 e dell’11 ottobre 2013. Solo l’alto interesse mediatico sul fenomeno ha fatto sì che altri attori entrassero in gioco per sopperire a questa mancanza. Altri fattori critici possono riguardare la conservazione dei dati prelevati dal cadavere, la tracciabilità della salma e l’effettiva registrazione del decesso. A Lampedusa, per esempio, nel 2006, a seguito di un soccorso in mare, alcuni pescatori trasportarono al porto il cadavere di un ragazzo. I compagni di viaggio conoscevano il suo nome, Samuel, e lo dissero alla polizia che, tuttavia, registrò la salma solo con il numero della foto che gli fu scattata. Fu prelevato il DNA, ma la sua cattiva conservazione lo rese inutilizzabile per successive ed eventuali analisi. La procura emise il Nulla Osta alla sepoltura, ma il decesso non fu registrato nel Comune di Lampedusa e Linosa, ma ad Agrigento – dove il corpo rimase in custodia della Procura per qualche tempo – per poi essere sepolto, sotto un altro nome ancora, nel cimitero di un comune limitrofo. In mancanza di un’indagine a tappeto tra gli uffici agrigentini, la salma di Samuel sarebbe stata per sempre irrintracciabile. La grammatica delle sepolture delle vittime delle frontiere Il punto cruciale delle procedure di gestione dei migranti morti in mare riguarda però la mancanza di una normativa che imponga l’identificazione della salma e che disponga come rintracciare i famigliari e viceversa (cioè come questi ultimi possano entrare in contatto con le Procure italiane).45 Non esiste alcuna legge a livello nazionale che tratti in maniera centralizzata e omogenea il destino dei corpi di coloro che sono deceduti attraversando il Mediterraneo, e quelle in vigore relegano buona parte del proprio lavoro ai territori. Tuttavia, nonostante le norme circa la gestione delle salme siano spesso disattese, che alcune Procure non si prendano in carico le indagini per l’identificazione delle salme o che manchi una procedura che permetta ai familiari di avere notizie e risposte – insomma nonostante le carenze del sistema – una cosa è certa: i morti devono essere sepolti. Del resto, al di là dell’esempio fenomenologico, sappiamo grazie a Claude Levi-Strauss che l’uomo si occupa dei corpi dei propri morti. Anzi, ribadisce Luis-Vincent Thomas, «l’uomo è l’animale che seppellisce i suoi morti». E quindi, anche i corpi dei migranti devono essere sepolti, ovvero devono essere trattati culturalmente.46 45 Per un ulteriore approfondimento sulla gestione delle salme delle vittime delle frontiere si rimanda a G. Mirto, Procedure di gestione delle vittime delle frontiere in Italia, in G. Crua – S. Giletti – F. Prono (a cura di), Desaparecidos e migranti nel Mediterraneo e nelle Americhe, Acireale-Roma, Gruppo Editoriale Bonanno, 2018, pp. 75-98. 46 A. Favole, Resti di umanità. Vita sociale del corpo dopo la morte, Roma-Bari, Laterza, 2003. LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA 61 Già alla fine degli anni ’50 Lloyd Warner aveva suggerito che cimiteri e tombe fossero anche luoghi in cui i significati della morte e gli atteggiamenti verso di essa sono espressi e negoziati. Nel permettere di seppellire nel cimitero locale i resti di chi muore nel territorio di un dato Comune, la legge italiana gli affida anche la sovranità sulla gestione della sepoltura dei morti di nazionalità straniera,47 dando vita a relazioni particolari tra gli abitanti della frontiera europea e i migranti deceduti: relazioni che a loro volta influenzano la produzione di diverse comprensioni del ‘noi’ e del ‘voi’, della ‘nostra comunità’ e dell’‘altro’.48 La vita cimiteriale è governata da leggi che si applicano a tutti i morti: non esiste una sezione separata per le vittime delle frontiere. Semmai è presente, nei cimiteri edificati alla fine dell’Ottocento, una sezione per stranieri, con cui si usava indicare una categoria di persone molto diversa da quella che si suole intendere oggi. Tale terminologia, originaria dei primi decenni dell’unità italiana, è ancora in uso nel gergo cimiteriale odierno soprattutto nei camposanti comunali risalenti a quel periodo. Il cimitero degli stranieri o degli inglesi 49 non è altro che una porzione di terreno consacrato dove venivano sepolte persone di altra fede (ad es. protestanti, ortodossi ed ebrei) o atei (stranieri o italiani). Al tempo per stranieri, come ci ricorda Luigi Einaudi, si intendeva una categoria di persone, per la maggior parte benestante, composta da imprenditori del nord Europa venuti a far fortuna in Italia e che costituiva la fetta più importante di stranieri nel paese. Nelle mie ricerche i cimiteri sono stati i depositari dei dati e dell’ultima prova – definitiva – della morte di una vittima delle frontiere: il suo corpo. Si potrebbe immaginare quindi il cimitero come un archivio inequivocabile, dove andare a cercare le tracce dei cadaveri rinvenuti lungo la frontiera italiana. Un approccio che ben si allinea con la cura meticolosa con cui tutti i cimiteri annotano l’ingresso del corpo e la sua ubicazione nella struttura: l’unico dato inconfutabile e rintracciabile che non può essere disperso tra i faldoni impolverati degli archivi e la cui compilazione non viene usualmente disattesa. Una diligenza che, a mio parere, soprattutto se paragonata alla discrezionalità degli approcci adottati negli altri uffici esaminati, trova ragione nel ruolo simbolico specifico che ricopre il cimitero, ovvero nella funzione esercitata nel trattare culturalmente i corpi dei morti. 47 Secondo quanto riporta il Nuovo Regolamento di Polizia Mortuaria, ovvero il DPR n. 285 del 1990. 48 S. Green, Absent Details: The Transnational Lives of Undocumented Dead Bodies in the Aegean, «The Refugee and Migrant Issue: Readings and Studies of Borders», 2012, pp. 133-158; V. Zagaria, Vita e morte alla porta d’Europa. Riflessioni sulle tombe dei morti di frontiera nella provincia di Agrigento, «Intrasformazione», 5, 1, 2016, pp. 80-100. 49 Sospetto che il termine derivi dal fatto che ai tempi dell’Unità di Italia l’unica presenza ragguardevole di stranieri nel sud del paese era di origine inglese, come riportato in L. Einaudi, Le politiche dell’immigrazione in Italia dall’Unità a oggi, Bari, Laterza, 2007, pp. 4-40. 62 GIORGIA MIRTO Oltretutto, come si è evinto nel corso degli anni di ricerca sul campo, il cimitero, luogo sacro per la collettività, è lo scenario di complessi meccanismi culturali messi in opera dalle comunità locali del sud Italia per affrontare l’ingresso dei migranti deceduti in mare. Meccanismi culturali che ci portano ad analizzare il ruolo assunto da questi cadaveri e il modo in cui gli abitanti della frontiera marittima dell’UE gestiscono queste morti, generando esperienze di vita, conoscenza e reinterpretazione dei rapporti identitari. E, ancora, che portano a interrogarci sui tipi di legami emotivi e simbolici tra vivi e morti che vengono creati a seguito della sepoltura dei migranti e su quali intrecci di sistemi di credenze religiose, laiche o magiche prendono forma. Ciò che è rilevante in questa trattazione non è tanto quanto avviene in ottemperanza alla legge nazionale, contraddistinta da norme igienico-sanitarie e burocrazia (entrambe costantemente disattese, come già esposto). Ma quanto, al contrario, elude queste norme lasciando all’etnografo uno spazio per capire cosa vi sia al di là delle procedure, per studiare lì dove si cela la differenza. L’indagine svolta nei cimiteri del sud Italia non è – almeno non ancora – un’etnografia delle istituzioni o un’etnografia dei cimiteri. I miei interlocutori intervistati durante le ricerche, infatti, sono stati sia i fruitori dei cimiteri che i responsabili dei loro servizi. Come si è anticipato, la mia ricerca non intendeva indagare il cordoglio nei confronti della morte dei migranti, bensì raccogliere le informazioni in possesso delle autorità italiane su chi fossero quei migranti. Pertanto questo lavoro rappresenta un primo approccio all’analisi delle pratiche del cordoglio nei confronti delle vittime delle frontiere. Sebbene si riconosca la differenza sostanziale tra ciò che muove un sindaco che rivendica la sepoltura di un migrante e un padre italiano che ne abbellisce la tomba, ciò su cui vorrei porre enfasi è il loro sostrato comune, ovvero l’atteggiamento nei confronti della morte. Magari spinti da diverse motivazioni, si vede come diversi attori che entrano in contatto con la gestione dei migranti deceduti si sono ‘appropriati’ in qualche modo dei corpi delle vittime delle frontiere e li hanno ‘culturalizzati’, facendoli entrare, anche da morti, in riti locali di socializzazione. L’osservazione delle procedure di gestione dei cadaveri dei migranti, il ruolo che questi corpi giocano, le emozioni che suscitano, i particolari riti personali e punti di vista delle persone che hanno avuto a che fare con queste morti dimostrano un profondo lavoro di appropriazione del lutto e di sussunzione del deceduto migrante all’interno della propria comunità di cari estinti. Nel presente lavoro si vuole dimostrare che in assenza – o nell’inottemperanza– di norme che regolano la gestione del lutto per il migrante, le comunità locali hanno attinto alla propria tradizione, reinventandola. LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA 63 Il confinamento dell’analisi sui corpi dei migranti Il fenomeno delle border death in Italia è ancora poco studiato, e ancora meno lo sono le loro sepolture e le pratiche che vi afferiscono. Una delle prime analisi sul ruolo occupato dalle vittime delle frontiere nei nostri cimiteri è della filosofa Federica Sossi che, impegnata nello studio della memoria e dei racconti autobiografici dei migranti, in Migrare. Spazi di confinamento e strategie di esistenza, sostiene che le autobiografie dei migranti sono necessarie per ridar voce a coloro che (anche morti) sono rinchiusi nei luoghi di confinamento.50 Tra i possibili luoghi di confinamento, dunque, ci potrebbero anche essere le tombe dei migranti ignoti sepolti sotto cumuli di terra. In Storie migranti (2005), nel racconto Rosa, Sossi prova ad immaginarsi la storia di «Seppellito in data 29-9-2000 all’ore 11»: 51 uno dei primi casi in cui le tombe delle border death vengono descritte nella loro estetica. Nella sepoltura in questione, che si trova nel cimitero di Porto Empedocle (Fig. 1), sono stati inumati due corpi, uno sopra l’altro. Una donna e un bambino.52 Secondo il racconto del custode del cimitero durante il mio sopralluogo, questi ha scelto di seppellirli assieme, trascurando le normativa che impedisce tale pratica, pur non sapendo se avessero un qualche grado di parentela. L’uomo non voleva ‘lasciare solo’ il bambino, per cui vi ha sepolto la donna accanto, assegnandole il ruolo simbolico di madre, affinché potesse curarlo. Ciò che ha incuriosito Sossi, da un punto di vista estetico, sono state le rose che lo stesso custode ha piantato accanto alla tomba e che sono cresciute – con una sua certa soddisfazione – in maniera molto rigogliosa.53 Da qui F. Sossi, Migrare. Spazi di confinamento e strategie di esistenza, Roma, Manifestolibri, 2006. F. Sossi, Storie migranti. Viaggio tra i nuovi confini, Roma, DeriveApprodi, 2005. La certezza delle date di morte, confrontata nei registri degli Atti di Morte dell’Ufficio di Stato Civile del Comune nonché nel Registro Cimiteriale, mi porta a supporre che la data di inumazione indicata dall’autrice nel racconto non sia corretta, forse perché falsificata dalla stessa per licenza poetica o discrezione. 52 Tale informazione viene dalla testimonianza del custode del cimitero che ha effettuato l’inumazione. Eppure le analisi effettuate presso il registro di Stato Civile e Cimiteriale non hanno permesso di risalire con certezza al sesso e all’età dei deceduti qui inumati. Tale incertezza purtroppo caratterizza le vicende relative alla sepoltura delle border death. 53 Le vicende che riguardano le sepolture del naufragio in questione – del 15 settembre 2002 – sono particolarmente macabre e non sarebbe fuori luogo supporre che i corpi stessi abbiano agito da fertilizzante per le rose. In un primo momento, date le condizioni di sovraffollamento in cui il cimitero versava, il Comune si rifiutò di inumare i cadaveri. I corpi, non potendo essere inumati con la celerità che contraddistingue la gestione dei cadaveri in estate, e non potendo esser posti in camere mortuarie, di cui la Provincia è carente, vennero lasciati nei sacchi neri lungo i viali del cimitero. La struttura, a causa dell’odore della decomposizione, chiuse al pubblico per motivi di igiene. Infine alcuni cadaveri furono trasportati nei comuni vicini ed altri vennero sepolti nelle fosse di Porto Empedocle, d’urgenza, il 23 settembre. Data l’approssimazione che ha caratterizzato la vicenda e la mancanza di fatture per la fabbricazione di bare, si suppone che i corpi siano stati inumati direttamente nei sacchi neri nella nuda terra. 50 51 64 GIORGIA MIRTO Fig. 1. Cimitero di Porto Empedocle. Tomba di ignoti, strage di Capo Rossello del 15 settembre 2002. Fotografia di Max Hirzel. il pretesto, letterario e filosofico, per raccontarne la loro storia ‘muta’ nel racconto Rosa – che, tuttavia, si concentra su una probabile autobiografia della donna e poco su cosa abbia significato per il custode seppellirla nel suo cimitero, porvi accanto il corpo del bambino, piantare sulle loro tombe delle rose e curarle nel tempo, come fosse la tomba di un suo caro. Alla luce delle pratiche e dei rituali effettuati dal custode, il cimitero di Porto Empedocle non sembra tuttavia un luogo di confinamento identitario, quanto piuttosto un luogo in cui si sono esercitati dei ‘meccanismi di reazione’ da parte del custode che hanno portato a una ricreazione identitaria delle border death – si pensi alla supposta parentela tra la donna e il bambino e al modo in cui egli ha sviluppato un approccio alla loro morte: il seppellirli assieme o il tributo delle rose. Una seconda rilevante analisi si deve all’antropologa Valentina Zagaria, che analizza le pratiche di sepoltura, come anche le relazioni e gli affetti che gli abitanti formano con i migranti vivi e con i morti attraverso il contesto biopolitico nel quale si iscrivono. Uno studio che sottolinea come l’approccio ai morti sia lasciato ai margini della gestione statale.54 54 V. Zagaria, Vita e morte alla porta d’Europa, cit. LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA 65 Per quanto concerne l’analisi della natura del potere sovrano biopolitico, Zagaria riprende il lavoro di Michael Foucault (1997), Giorgio Agamben (1995) e Achille Mbembe (2003), che considerano la sovranità fondata rispettivamente sul razzismo, sulla nuda vita e sulla morte.55 Nelle parole di Mbembe, la politica sembra mostrarsi nel «lavoro della morte» e la sovranità si si esprime prevalentemente come il «diritto di uccidere».56 Agamben identifica nel rifugiato una figura che, anziché incarnare i diritti dell’uomo, ne segna invece una crisi irreversibile 57 e sottolinea che, se il lasciar morire certe categorie di persone è fondamento del governo sovrano, allora deve essere caratteristica anche delle ‘democrazie’ come l’Italia, e non solo delle dittature eugenetiche. Per Maurizio Albahari, poi, lo stato italiano liberale e democratico può lasciare morire i migranti solamente inquadrando la loro morte come incidenti: nascondendo quindi le proprie responsabilità (non investigando l’identità dei deceduti), depistando l’attenzione con missioni di salvataggio, e continuando a lasciar morire in nome della sicurezza da minacce straniere.58 Si tratta di crimini di pace, discorsi e pratiche discriminatorie di uno stato intrinsecamente razzista: «questa potenziale forma di discriminazione post-mortem – dice Albahari – non è l’espressione di un presunto razzismo innato. Al contrario, è un fatto che si iscrive in un contesto strutturalmente razzista, in cui i telespettatori italiani imparano dai rappresentanti politici e dal semplice fatto che la morte dei migranti è una routine, che è moralmente accettabile tollerare le morti dei migranti».59 Zagaria aggiunge che l’approccio ai morti è diverso rispetto a quello destinato ai vivi, perché questi esistono al di là delle preoccupazioni biopolitiche, e sono di conseguenza lasciati esistere ai suoi margini. Il termine «biopolitica» e l’approccio di filosofia giuridica di Agamben ha avuto un sorprendente successo tra attivisti e accademici. Eppure, secondo l’antropologo Fabio Dei, in questa analisi sembrano esistere solo due entità o livelli: l’individuo definito dal diritto e la nuda vita. Se non ci sono 55 M. Foucault, Bisogna difendere la società, Milano, Feltrinelli, 1998 (I ed. 1997); G. Agamben, Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, Einaudi, 1995; A. Mbembe, Necropolitica, Verona, Ombre Corte, 2016 (I ed. 2003). 56 Ivi, p. 16. 57 Secondo Agamben, nelle forme classiche di stato la nascita è criterio immediato di appartenenza a un territorio e a un ordinamento giuridico, la cittadinanza. I flussi migratori generalizzati fanno però saltare questo criterio. I cosiddetti diritti ‘sacri e inalienabili’ dell’uomo diventano lettera morta nel momento in cui non esiste più uno stato che li riconosce come tali ai suoi cittadini. 58 M. Albahari, Death and the Moral State: Making Borders and Sovereignty at the Southern Edges of Europe, San Diego, Center for Comparative Immigration Studies, Working Paper 136, June 2006, p. 28 (ccis.ucsd.edu/wp-content/uploads/WP_136.pdf ). 59 M. Albahari, Crimes of Peace. Mediterranean Migrations at the World’s Deadliest Border, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2015, p. 15. 66 GIORGIA MIRTO pieni diritti, c’è nuda vita: non vi è niente nel mezzo.60 Una prospettiva che, se abbracciata, porta non poche difficoltà a quanti vogliano fare una ricerca antropologica e che sono anche difficili da applicare, perché definire l’individuo unicamente attraverso la sfera giuridica impedisce di cogliere, attraverso l’esperienza etnografica, il comportamento culturalmente codificato e la disposizione a indagarne la matrice attraverso l’analisi. Dei quindi rivendica la presenza di un terreno intermedio, quello culturale, per cui l’esistenza sociale non è mai nuda vita (nel senso di pura esistenza biologica) e non è mai neppure nudo diritto. Una lezione analoga ci viene impartita anche dall’antropologo Michel Agier tramite il suo studio dei campi accoglienza, degli spazi urbani contemporanei e delle forme di socialità che li caratterizzano e li animano. Agier e i suoi collaboratori hanno studiato in particolare la Giungla di Calais (2018) e si sono interrogati sulla moltitudine di atti e di interessi che nutrono la vita di un campo di richiedenti asilo, facendo emergere la produzione di discorsi, di azioni politiche e di relazioni tra gli immigrati e nelle comunità locali.61 Si sottolinea così come l’etnografia possa contribuire a leggere, negli interstizi delle relazioni sociali e umane, il modo con cui al di là dell’assenza di stato o della sua negligenza si creano legami sociali, culturali e umani. Dall’analisi nel campo risulta che i significati sono contesi, ricostruiti e negoziati volta per volta, dal basso. Non si tratta di scoprire essenze nascoste, ma di apprezzare le distinzioni, le differenze, gli scarti. Così, se attraverso l’analisi delle procedure burocratiche attuate dalle autorità italiane emerge una severa riduzione nello status del corpo del migrante come indice di persona,62 lo studio delle pratiche funerarie ci descrive un altro tipo di atteggiamento nei confronti dei morti e di come la loro morte – a parere di chi scrive – permette di trascendere la disumanizzazione dei migranti. L’obiettivo delle prossime pagine sarà quelle di analizzare la presenza di codici di comportamento che lasciano spazio al lavoro dell’etnografo e all’analisi delle metamorfosi culturali, alle ibridazioni, per andare alla ricerca delle grammatiche che delineano regole ed eccezioni. Si tratta di esaminare il comportamento ‘significativo’, cioè culturalmente codificato, di chi entra in contatto con i corpi dei migranti e di indagarne il significato attraverso l’analisi etnografica svolta. Si ricostruirà quindi il sistema di categorie, regole e principi che costituiscono la dimensione culturale delle sepolture dei migranti: ovvero un habitus implicito fatto di poetiche, politiche e pratiche, capaci di ‘addomesticare’ o ‘disorientare’ il senso comune. 60 F. Dei – C. di Pasquale (a cura di), Grammatiche della violenza. Esplorazioni etnografiche tra guerra e pace, Pisa, Pacini Editore, 2014. 61 M. Agier et alii, La giungla di Calais. I migranti, la frontiera e il campo, Verona, Ombre Corte, 2018. 62 A. Tapella – G. Mirto – T. Last, Death at borders, cit. LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA 67 Addomesticamento del lutto Fin dai primi sopraluoghi effettuati nel 2011 mi sono accorta che il vocabolario utilizzato dai custodi del cimitero, dagli addetti alle sepolture e dai fruitori del camposanto (soprattutto anziane signore), era molto diverso da quello adoperato negli uffici pubblici, dove si faceva riferimento ai migranti come a extracomunitari 63 o clandestini,64 rimarcandone il loro essere illegali e non appartenenti a questo luogo. Un aspetto che richiama quanto sottolineato da Sarah Green in merito al grande mutamento del concetto di persona avvenuto in Europa e in America: «the difference between the social person and the person as citizen becomes particularly visible in the bodies of undocumented migrants: while losing their rights as citizen-persons through being defined by their lack of state documentation, these bodies somehow continued to be recognized as social persons, in spite of being anonymous and different from those who recognized them».65 I custodi del cimitero, invece, usavano riferirsi agli stessi morti col termine siciliano mischino 66 («mischini [poverini], erano appena dei ragazzi»), mentre le vedove adottavano un linguaggio tipico di chi si riferisce a giovani componenti del proprio gruppo familiare: ciato mio,67 sango meo,68 poveru cristo.69 L’uso del dialetto siciliano, usato per riferirsi ai membri della propria comunità, e di una terminologia che colloca le vittime delle frontiere all’interno di una cornice relazionale-familiare di chi interagisce con tali decessi, si è manifestata una costante rilevante dei mie sopralluoghi successivi. Questa terminologia relazionale si contrappone al ‘burocratese’ delle istituzioni e colloca tali decessi all’interno di un quadro valoriale: nel momento in cui si definisce un migrante morto come ‘povero figlio’ si ascrive tale morte a quelle della collettività dove il lutto viene condiviso. Accanto alla terminologia utilizzata dai fruitori del cimitero troviamo altre pratiche di relazione con le vittime delle frontiere. La rituale deposiLetteralmente «proveniente da un paese non appartenente all’Unione Europea». Dal latino -clam («nascosto») e dies («giorno»), letteralmente «nascosto di giorno», indica nell’italiano di uso mediatico e politico un immigrato che è presente su suolo italiano o che vi entra senza documenti. 65 S. Green, Absent details: the transnational lives of undocumented dead bodies in the Aegean, manoscritto, s.d.l. 66 Poverino: termine siciliano di derivazione araba (‫مسكئن‬-, miskìn*), su cui è ancora aperto un dibattito etimologico, che indica genericamente una persona sfortunata. 67 «Soffio del mio cuore». Perifrasi tipica del siciliano agrigentino. 68 «Sangue del mio sangue». Perifrasi siciliana. 69 «Povero Cristo». Perifrasi siciliana che richiama la flagellazione di Gesù Cristo lungo la via crucis. 63 64 68 GIORGIA MIRTO zione di fiori, peluche, l’accensione di ceri o la decorazione delle tombe e lapidi si trovano pressoché in tutti i cimiteri visitati. Passeggiando tra i cimiteri, mi è stato possibile osservare anziane signore omaggiare con fiori le tombe dei migranti e anche piangere su queste. Alle mie domande, mi hanno risposto che ogni qual volta andavano al cimitero a trovare i loro cari, passavano dalle tombe dei ‘poveri cristi’. Alcune si limitavano a pulirle, strappare le erbacce, sistemare i vasi caduti. Altre dividevano i mazzi di fiori tra tutte le tombe a cui facevano visita, comprese quelle dei migranti. Altre, infine, non trattenevano le lacrime al pensiero della sorte toccata a quel mischino o chato mio. Ciò è avvenuto prevalentemente nell’agrigentino, mentre pratica più comune in Puglia era il sostenere le spese per l’abbonamento ai lumini da tenere accesi notte e giorno sulle lapidi delle vittime delle frontiere. Tra i tanti casi di decorazioni delle tombe, presenti su tutto il territorio ispezionato, presento in questa sede due vicende particolarmente significative. A Siracusa, nel campo di inumazione comune, è stato sepolto un ragazzo nord africano, sconosciuto, di età tra i 20 e i 30 anni. Inizialmente viene sepolto senza particolari decori. Successivamente, quando accanto al migrante viene deposto un altro ragazzo siracusano suo coetaneo, il padre di questi, vista la tomba spoglia, si è impegnato a realizzargli una lapide: in marmo, con incisioni coraniche e abbellita da simboli geometrici e mezze lune, in stile arabeggiante. L’uomo ha deciso di mantenere l’anonimato e ha chiesto che non venissero scattate foto alla tomba. Ci tiene però a far sapere che il suo gesto è stato motivato dall’insofferenza nel vedere la disparità di trattamento tra suo figlio e il migrante. Ha rivelato che dignificare la tomba del migrante era un gesto per rispettare la morte del suo stesso figlio, dal momento che la loro comune età li rendeva uguali. Spostandoci un poco più a ovest nel cimitero di Bonamorone, ad Agrigento, la direttrice del camposanto ha deciso di tumulare una vittima della strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013 nella sua tomba di famiglia. La signora Vullo ha affermato che «dopo la tragedia bisognava dare degna sepoltura ai morti». In quell’occasione la Prefettura di Agrigento aveva richiesto ai comuni della Provincia spazi disponibili per inumare le salme che non potevano essere accolte nel piccolo Comune di Lampedusa e Linosa. I corpi era stati distribuiti in più comuni e la signora Vullo si è fatta avanti, in qualità di privata cittadina, per mettere a disposizione il posto nella sua tomba gentilizia. La sepoltura è avvenuta a spese pubbliche, come da regolamento, ma in un luogo privato e sotto la custodia della famiglia Gelardi, ed è curata al pari di quelle che le stanno vicino. La signora Vullo Racconta che: Questa giovane ragazza è diventata un membro della nostra famiglia perché noi andiamo a trovare i nostri cari al cimitero e fra i nostri cari c’è anche lei, Wegatha. Ma la cosa più bella è che qualche mese dopo siamo venuti in contatto con i fratelli LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA 69 di questa ragazza che vivono adesso in Norvegia e con loro intratteniamo rapporti telefonici, ci scambiamo le nostre sensazioni, gli eventi di famiglia, le nostre cose più importanti e questa è una cosa meravigliosa. Loro sono venuti ad Agrigento a visitare la tomba dove riposa Wegatha e sono stati anche a casa nostra. Per noi è stata un’emozione unica, veramente un’emozione: mi emoziono ancora a raccontarlo! Penso che per loro sia una consolazione sapere di averla affidata a me.70 Altri casi di appropriazione della cura della tomba dei migranti deceduti si possono riscontrare nel resto dell’Italia del Sud, da Buggerru, in Sardegna, al foggiano. Ad esempio, a Pozzallo (RG), le confraternite dei carrettieri hanno messo a disposizione i loculi destinati agli appartenenti della loro comunità per tumulare le salme trasportate al porto cittadino dalle navi dei soccorsi. Nel piccolo Comune di Castronovo di Sicilia (AG) il santino funebre per una migrante morta il 3 ottobre 2013 è stato distribuito ai parrocchiani all’uscita della messa funebre. Gli impiegati comunali con cui ho parlato durante le mie ricerche, lo custodivano nel portafoglio accanto a quello dei propri cari. Anche qui, infine, i migranti sono stati inumati in una tomba gentilizia in disuso. A Favara, invece, prima di entrare nel cimitero alcune vittime del mare sono state ribattezzate. Sebbene sconosciuti, oggi questi cadaveri si chiamano Vito o Emanuele. Si tratta di nomi comuni, dei Santi protettori dei paesi o dei pescatori. Altri, sono stati chiamati Giovanni Paolo II o Pio, ovvero con i nomi dei papi particolarmente amati. Dar il nome a qualcuno, anche se morto, non vuol dire, in parte, appropriarsene? Poterlo chiamare, poterne parlare, potersi riferire a lui? Accanto a questi episodi esemplari troviamo altri casi meno eclatanti, ma altrettanto significativi, come le collette tra i parrocchiani per comprare marmi e rivestimenti per i loculi dei migranti. Si tratta di episodi di cura delle tombe che rimangono per lo più nella sfera dell’anonimato, del privato e del rapporto quotidiano che gli abitanti della frontiera intraprendono con i morti. Zagaria sottolinea come le relazioni che si vengono a creare con la presenza dei morti di frontiera e le loro tombe generano affettività che, a loro volta, si basano su, e provocano, conoscenze personali e condivise.71 E ne conclude che: il fatto che la legislazione italiana affida la gestione dei morti ai comuni e alle popolazioni locali ha come conseguenza il lasciare che queste persone entrino 70 Non ho potuto registrare il colloquio svolto personalmente con la sig.ra Vullo. Quanto detto è ripreso da un’intervista rilasciata a un quotidiano locale, consultabile sul sito: https:// www.catt.ch/newsi/agrigento-accolta-nella-tomba-famiglia-giovane-eritrea/. 71 La ricercatrice utilizza in questo caso il lavoro di T. Brennan, The Transmission of Affect, Ithaca, Cornell University Press, 2004. 70 GIORGIA MIRTO in contatto con i defunti in una maniera più intima, dal momento che sono loro stessi a doversi interrogare sull’adeguata gestione della sepoltura di questi morti senza nome. Ciò comporta la formazione di legami particolari con i morti, che sono diversi da quelli che si possono formare attraverso le interazioni, limitate e controllate dal governo, con i sopravvissuti. Le leggi che amministrano i morti in Italia causano la creazione di relazioni affettive e conoscenza che incidono su concettualizzazioni più ampie relative alla vita, la morte, lo stato, l’“altro”, e quindi l’ambiente temporale.72 Prendendo spunto da queste parole vorrei sottolineare come le relazioni affettive che si costituiscono con i cadaveri dimostrano un tentativo da parte della popolazione locale di approcciarsi a queste morti: un tentativo che spinge gli abitanti della frontiera sud italiana a utilizzare pratiche relative al trattamento dei morti non dissimili rispetto a quelle per le morti domestiche dei loro cari. Pertanto definisco addomesticamento del lutto i diversi modi in cui si è cercato di dare un senso alle morti di frontiera utilizzando strumenti culturali che appartengono al proprio bagaglio rituale locale di trattamento dei morti. Probabilmente non sapremo mai a chi ‘appartenessero’ quei corpi, nel duplice senso che ha questa espressione in siciliano di proprietà individuale e appartenenza a una genealogia, a una collettività; ma sappiamo del loro addomesticamento da parte delle comunità locali che interagiscono con le vittime delle frontiere. Luogo delle sepolture Dove vengono sepolti quindi i migranti deceduti nel tentativo di oltrepassare le frontiere? La maniera in cui essi sono ricevuti e tumulati differisce da luogo a luogo, a seconda delle disposizioni dei singoli comuni nei quali sono stati recuperati e inumati. Da un lato i migranti sono sepolti lì dove c’è spazio, che sia un fossa nel campo comune o un loculo, con l’urgenza che contraddistingue la gestione delle salme delle border death. Dall’altro, la scelta è soggetta ad altri fattori. Si può notare per esempio che spesso i migranti vengono sepolti in zone considerate meno ‘appetibili’ dai cittadini, ovvero nei campi comuni, a terra. Ciò è dovuto alla disponibilità immediata di tali sepolture, lasciate libere dai locali perché meno prestigiose oppure dal crollo demografico dei comuni e la turnazione della salme. La sepoltura a terra crea spesso una netta distinzione tra le vittime delle frontiere e gli abitanti locali. Nei cimiteri dei comuni costieri del ragusano, ad esempio, i migranti sono praticamente le uniche salme inumate a terra, mentre i locali vengono esclusiva72 V. Zagaria, Vita e morte alla porta d’Europa, cit., p. 96. LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA 71 Fig. 2. Cimitero di Rosolini. Tombe di sei vittime della strage del 18 aprile 2015 avvenuta in acque internazionali. mente sepolti nelle cripte di famiglia. Ciò fa sì che le sepolture siano messe particolarmente in vista rispetto alle altre e la loro centralità le fa risaltare. È il caso del cimitero di Rosolini, dove sono inumate le vittime del 18 aprile 2018,73 riportate nella fotografia di Max Hirtzel (Fig. 2).74 Il cimitero di Castellammare (TP), facendo di necessità virtù, ha colto questa eccezionalità e l’ha rimarcata comprando lapidi di marmo e piantando il prato all’inglese, con l’intento di abbellire la sepoltura dei migranti (Fig. 3). Tanto hanno fatto, che questo sforzo ha incontrato il gusto degli stranieri residenti in Sicilia, i quali mi hanno indicato il cimitero di Castellammare come il loro luogo ideale in cui essere sepolti. 73 Il recupero di queste salme è stato possibile grazie a un importante progetto realizzato dal Ministero dell’Interno, con la collaborazione della Marina Militare e il Commissario Straordinario per le Persone Scomparse. Le procedure di identificazione, extragiudiziarie, sono state svolte da medici e specializzandi in Medicina legale, a titolo gratuito, sotto la guida del LABANOF (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense). Si tratta di una operazione di avanguardia ed eccellenza condotta dallo Stato Italiano che meriterebbe di essere trattata con maggiore approfondimento in altra sede. 74 Max Hirzel, fotografo italo-svizzero, nel 2015 ha intrapreso il progetto a lungo termine Migrant bodies sul destino dei corpi dei migranti morti nel Mediterraneo: le loro sepolture, identificazioni, famiglie e memorie. 72 GIORGIA MIRTO Fig. 3. Cimitero di Castellammare. Tombe delle vittime del 3 ed 11 ottobre 2013. Fotografie di Max Hirzel. Nondimeno, le vittime delle frontiere sono state inumate anche in sepolture considerate prestigiose, quali loculi e cripte gentilizie. Questo è il caso del cimitero di Piano Gatta ad Agrigento, dove si è scelto di inumare le vittime del naufragio del 3 ottobre in alcune sepolture gentilizie, nel viale centrale del cimitero, area particolarmente ambita dagli stessi agrigentini. La visibilità delle tombe delle border death ha guidato anche le scelte del custode del cimitero di Canicattì, artefice dello spostamento delle salme fino ai loculi ad altezza d’uomo nel viale centrale. In altri casi, il luogo di sepoltura dei migranti è stato scelto a priori, cosa che dimostra come accanto alle procedure regolamentate dalla legge, vi siano altre vie, a mio avviso più significative, sia perché eccezionali sia perché culturalmente dense di significato. Un esempio fra tutti è quanto è avvenuto nel foggiano. Nel 2004 venne trovato il corpo di una donna defunta, di presunta origine iugoslava,75 incastrato negli scogli dell’Isola di Capraria, nelle isole Tremiti. Dopo le analisi, il Comune richiese di seppellire la salma nel suo cimitero. L’impiegato comunale, intervistato, mi ha raccontato di aver tra75 Rimase ignota e la nazionalità venne dedotta da una maglietta riportante la scritta «I ♥ Yugoslavia». LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA 73 sportato la bara in spalla, con il Sindaco, dal porto su per l’impervio sentiero che porta al cimitero. Adesso Persona non identificata giace sotto la statua della Madonna, simbolo protettore dei defunti del cimitero. Ogni 15 agosto, in processione, gli abitanti delle isole si recano al cimitero per far visita sia alla Madonna che alla vittima delle frontiere: prendono sulle spalle la statua – così come il sindaco e l’ufficiale avevano preso la bara della donna rimasta sconosciuta – la trasportano fino a riva e poi di nuovo al cimitero, perché possa proteggere la comunità dei deceduti. La materialità dei corpi può far vacillare la loro efficacia come simboli. Un cadavere diventa carico di significato attraverso le relazioni stabilite culturalmente nei confronti della morte e attraverso il modo in cui l’importanza di una specifica persona è variamente costruita. Le salme acquisiscono la proprietà, per dirla con Lévi-Strauss, di essere simboli «bonnes à penser». I corpi sono stati utilizzati in molte occasioni e luoghi in tutto il mondo come simboli dell’ordine politico e sociale: 76 recognizing relations with the death can be a way of reordering live human communities. That is, precisely, because the human community includes both living and dead, any manipulation of the dead automatically affects relations with and among the living.77 Ma di cosa sono simboli i corpi dei migranti deceduti in mare? Rispondono gli stessi impiegati delle pompe funebri del Comune di Campobello di Licata, che vedono nei corpi dei migranti i resti di vittime di un’ingiustizia che nessuno avrebbe meritato e che, come recita l’epitaffio da loro scritto, servono da monito sempiterno: «il vostro sacrificio possa servire a capire il valore della vita». A mio avviso in questi casi si è avviato un processo di sacralizzazione dei cadaveri dei migranti che li ha portati da corpi non identificati e, perché no, da nuda vita, a corpi da separare dal trattamento comune dei cadaveri per riservagli luoghi di sepolture e liturgie d’eccezione, attraverso un processo di attribuzione simbolica che li ha resi martiri e simboli della vita, della collettività (in alcuni casi) e della morte stessa. Pertanto le particolarità della sepoltura dei migranti qui riportate si potrebbero ricollegare alla peculiarità della sepoltura dei martiri già studiate in letteratura. Faccio riferimento al lavoro dello storico Philippe Ariès e alla sepoltura ab sanctos (cioè dell’usanza di essere sepolti nelle vicinanze di un santo o un martire) da lui analizzata in Storia della morte in occidente (1989) e caratteristica dei morti cristiani durante i primi secoli del cristianesimo.78 76 K. Verdery, The political lives of dead bodies, reburial and postsocialist change, New York, Columbia University Press, 1999, p. 28. 77 K. Verdery, The political lives of dead bodies, cit., p. 108. 78 P. Ariés, Storia della morte in Occidente, Milano, Rizzoli, 1989, p. 27. 74 GIORGIA MIRTO La sepoltura dei migranti oggi risuona, in alcune circostanze, del tributo conferito ai martiri cristiani. Le vittime delle frontiere non entrano semplicemente a far parte della comunità dei morti attraverso pratiche di addomesticamento del lutto, ma ne possono diventare dei veri e propri simboli. La loro sussunzione nella comunità passa attraverso la loro trasformazione e al conferimento di un surplus di sacralizzazione. Il battesimo, l’attenzione per la degna sepoltura, la distribuzione della foto della border death come fosse un santino, ci porta a pensare che questa non sia semplicemente un membro del cimitero, ma un supermembro che deve essere particolarmente ossequiato. Il migrante diventa un rappresentante della comunità dei deceduti, il cui sacrificio può spiegare ‘il valore della vita’ in rapporto alla condizione esistenziale dell’uomo al momento traumatico dell’esperienza della morte. Parole sulle vittime delle frontiere La grammatica delle sepolture non si compone solo delle pratiche intorno alle stesse, ma anche delle poetiche, delle rappresentazioni, dei discorsi sulle vittime delle frontiere. Cosa dicono gli abitanti della frontiera su queste morti? A margine delle ricerche svolte ho avuto modo di identificare alcuni motivi ricorrenti nelle rappresentazioni dei migranti deceduti, tra cui vorrei isolare il tema dei mischini, della morte stupida e della descrizione del cadavere. Si tratta di topos sui morti, una possibile cornice entro cui contestualizzare la rappresentazione dei migranti. Mischino L’appellativo di mischino riferito alla vittima delle frontiere è caratteristico di tutta la Sicilia. Il termine deriva dall’arabo ‫( مسكئن‬miskìn*) che indica genericamente una persona sfortunata. Secondo Antonino Pellitteri (2008) i mischini arabi erano anticamente coloro che non erano mussulmani e che quindi non erano inseriti nella comunità dei fedeli.79 La radice indica poi una persona inerme e quiescente, che in effetti si ricollega alla condizione di un corpo senza vita. Il termine in siciliano ha caratterizzato una persona povera, emarginata, dal destino infausto. Il termine, riferito alle vittime delle frontiere, può indicare dunque sia le supposte condizione economiche svantaggiate – caratteristica tipica del migrante nell’immaginario – sia il destino avverso che lo ha portato alla morte. Il modo di morire li rende mischini. I loro corpi sono stati inumati in terra straniera, con nessuno che 79 A. Pellitteri, Introduzione allo studio della storia contemporanea del Mondo Arabo, Roma-Bari, Laterza, 2008. LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA 75 li pianga – almeno apparentemente – e trattati in maniera impropria secondo la testimonianza, ad esempio, degli addetti di pompe funebri di Campobello di Licata. Una morte stupida Con tale termine ci si vuole riferire alla maniera in cui alcuni migranti sono morti secondo il racconto degli intervistati. Per quanto la morte in sé sia stata rappresentata come un fatto tragico, quando il racconto degli abitanti delle frontiere verte sulle modalità della morte, si nota un certo stupore. Queste morti sono, per gli abitanti della frontiera, inutili ed evitabili. Si sorprendono infatti che le imbarcazioni si siano incagliate sull’unico scoglio del litorale, che si siano rovesciate quasi a riva, o che i migranti non sapessero nuotare, che siano morti affogati lì dove avrebbero potuto toccare il fondo. Tali discorsi segnano la differenza tra chi conosce il proprio territorio, il mare che lo circonda e che ha dimestichezza a muoversi in quell’ambiente, come il saper nuotare, e chi non l’ha. Soprattutto segnano la mancata comprensione di chi sia il migrante, del perché non sappia nuotare e di come può apparire impervio ed esotico un luogo che, per chi parla, è domestico. Descrizione dei cadaveri La condizione dei corpi dei migranti deceduti – il loro essere decomposti, fetidi – emerge con elemento di disgusto da numerosi racconti. I corpi sono cotti al vapore nei sacchi neri. L’odore della decomposizione si sente già prima che le navi che trasportano deceduti attracchino al molo. Numerose sono le descrizioni delle bare da cui sgocciolano gli umori o dei funerali in cui il fetore dei cadaveri fa vomitare gli astanti. Così il corpo della vittima delle frontiere viene caricato di repulsione. Pare che perda il suo tratto umano per diventare un qualcosa di mostruoso, osceno. In senso letterale, questi corpi sono «matter out of place» secondo la celebre definizione di Mary Douglas sul concetto di sporco.80 I corpi dei migranti, che si trovano lì dove non dovrebbero essere, maneggiati da chi non li dovrebbe maneggiare, sono raccontati come un qualcosa di fuori luogo, ripugnante. Contravvengono le bandiere sociali costruite su ciò che è proprio, pulito, e ciò che non lo è. Diverso è invece l’atteggiamento di altri attori. Alcuni funzionari dei cimiteri hanno conservato le fotografie dei cadaveri putrefatti gelosamente nei cassetti, per riammirale qualora qualcuno fosse interessato. Altri hanno insistito per mostrarmi i corpi stessi, custoditi negli obitori in attesa di se80 M. Douglas, Purity and Danger: An Analysis of Concepts of Pollution and Taboo, London, Routledge and Kenan Paul, 1966 (I ed. it. 1975), p. 44. 76 GIORGIA MIRTO poltura, commentando le parti anatomiche che ne rimanevano. I giovani medici legali del Policlinico di Palermo hanno un profondo interesse per le peculiarità dei cadaveri: le loro ossa sono esaminate e conservate diligentemente nei loro laboratori; le particolarità dei teschi sono fotografate; i corpi sono scansionati, pesati, trattati letteralmente con pinze e guanti. Seguendo la definizione di Douglas, tali corpi apparterrebbero a quel luogo e a quelle persone per cui non vengono più considerati sporchi. Lì dove è consueto che questi cadaveri siano custoditi, sono l’oggetto di un profondo interesse, mentre per le altre persone che li maneggiano, come i poliziotti o i funzionari pubblici, sono esseri mostruosi da allontanare dalla vista. L’enfasi sulla vittima I discorsi dominanti nel dibattito pubblico europeo sulle morti in mare e sulle persone in viaggio, come sostiene Albahari, permettono allo stato italiano e all’UE in una sola mossa di costruire la loro sovranità sul lasciar morire e di dichiararsi «as agents of humanitarianism in rescue operations, finding in this moral intervention a paradoxical legitimization of border enforcement».81 Al contrario, nei discorsi dei locali non ho trovato traccia di alcuna forma di imputazione all’UE della responsabilità di queste morti. Nonostante il ripetersi di naufragi e morti nel corso di oltre vent’anni, ritrovare una persona sconosciuta morta nel territorio del proprio comune e seppellirla, pare non abbia alcun ruolo nell’influenzare opinioni e sentimenti riguardanti la migrazione. Quando si parla dell’addomesticamento del lutto, dei mischini, delle morti stupide, fin anche dei cadaveri decomposti, si parla della vittima. Mai del suo carnefice. Il mischino, non è a sua volta vittima di un sistema, di una politica, di un criminale. La morte dei migranti in mare non viene percepita come un evento traumatico per la comunità. O meglio la tragedia delle morti in mare non viene rappresentata come un trauma culturale, secondo la definizione che ne dà Jeffrey C. Alexander (2006), per cui il trauma culturale si verifica quando i membri di una collettività «sentono di essere stati colpiti da un evento terribile che ha lasciato un marchio indelebile sulla loro coscienza di gruppo, segnando le loro memorie per sempre e mutando la loro identità futura in modi profondi e irreversibili» e che porta «alla luce un nuovo campo di responsabilità sociali ed azioni politiche».82 Secondo l’autore, attraverso la costruzione dei traumi culturali, i gruppi sociali identificano l’esistenza e la fonte della sofferenza umana ed inoltre si assumono anche M. Albahari, Death and the Moral State, cit., p. 2. J.C. Alexander, La costruzione del male. Dall’Olocausto all’11 settembre, Bologna, il Mulino, 2006 (I ed. 2003), p. 129. 81 82 LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA 77 «una responsabilità nei confronti di essa».83 Nel caso delle tragedie ricorrenti nel Mediterraneo, nei discorsi degli intervistati non si innescano livelli di attribuzione di responsabilità, al contrario di qualsiasi evento percepito come traumatico (si pensi ad esempio ad un evento tristemente ricorrente in Italia, come le catastrofi causate dai terremoti). Com’è possibile che dei fenomeni naturali inneschino un processo di accusa, mentre quelle che sono state definite catastrofi umanitarie senza precedenti nella storia del Mediterraneo non hanno avuto lontanamente la stessa attenzione? Forse potremmo andare a cercare una risposta a tale domanda proprio all’interno della modalità usata per descrivere il migrante deceduto, ovvero quello di vittima mischina di un fato avverso. Procediamo con ordine. Per Alexander è necessario, perché si inneschi un trauma culturale, non solo l’attribuzione di responsabilità, ma anche un’estensione simbolica e un’identificazione psicologica con la vittima affinché i componenti di un gruppo vengano traumatizzati da un’esperienza che loro stessi non hanno vissuto,84 come nel caso della morte dei migranti. Dai discorsi, dalle poetiche e dai racconti circa le vittime delle frontiere mancherebbe l’identificazione psicologica con le vittime e i loro familiari e con il loro dolore. Le vittime delle frontiere, non sono raccontate come persone, con una storia personale e un contesto di cause politiche, economiche e sociali che li ha portati ad essere sepolti nei cimiteri del sud Italia. Chi ne parla non si vede simile alle vittime: questi sono mischini, sono trasfigurati, sono morti in una maniera assurda. Non possono essere come gli abitanti delle frontiere. Non è possibile scorgere familiarità dai racconti. La loro morte diviene un simbolo dalla morte stessa. I migranti deceduti diventano così vittime, cessano d’essere delle persone in quanto tali e diventino l’esempio universale di vittima. La figura umana presa nella sua universalità è un concetto elaborato da Roland Barthes (1980) e ripreso dall’antropologa Lisa Malkki (1995) nello studio comparativo della costruzione sociale e dell’uso della categoria di rifugiati nei differenti settori sociali e istituzionali coinvolti nella gestione e narrazione dei rifugiati hutu del Burundi. Secondo Malkki, rappresentare il rifugiato come una categoria di vittima universale produce un processo destoricizzazione che crea a context in which it is difficult for people in the refugee category to be approached as historical actors rather than simply as mute victims. It can strip from them the authority to give credible narrative evidence or testimony about their own condition in politically and institutionally consequential forums.85 83 Ibid. Ivi, p. 31. 85 L. Malkki, Speechless emissaries. Refugees, humanitarism and dehistoricization, «Cultural Anthropology», 11, 4, 1995, pp. 377-404: 378. 84 78 GIORGIA MIRTO Il cadavere di un migrante non identificato e non identificabile per scarsità di interesse e mezzi da parte delle autorità italiane, risulterebbe a questo punto la massima espressione di un migrante senza voce: senza alcuna capacità di rappresentarsi e raccontare le cause che lo hanno portato a essere lì dove si trova. Privato della sua identità individuale, al migrante viene attribuita la categoria di mischino, un’altra identità e addirittura un altro nome. Del resto, come diceva Francesco Remotti (2009), per riuscire a intendere l’altro da noi bisogna spersonalizzarlo, farlo diventare categoria.86 Verrebbe pertanto da domandarsi se integrare il migrante deceduto all’interno della comunità dei deceduti sia possibile soltanto attraverso la categoria di mischino o rappresentante della comunità dei deceduti. I corpi dei migranti sono culturalizzati al prezzo di non essere politicizzati? Il lavoro del lutto messo in atto in sud Italia rappresenta un terreno socio-culturale capace di avere visibilità pubblica ed entrare nel cuore delle istituzioni e produrre cambiamento? Il valore politico del lutto è al centro del lavoro di ricerca della filosofa Judith Butler, che si domanda cosa renda una vita degna di lutto: «se la perdita riguarda qualcuno che non è considerato tale, quale è allora la perdita, e dov’è, e come può essere elaborato il lutto?». La sua ipotesi è che «sia possibile fare appello a un ‘noi’, perché noi tutti siamo consapevoli di cosa significhi aver perso qualcuno. La perdita ha creato un sottile legame tra tutti ‘noi’».87 Sulla scia di quanto detto, è mia opinione che gli abitanti della frontiera rifuggono dal dibattito politico di attribuzione di responsabilità e che sia proprio il rischio di entrare in quella polemica che viene visto come un qualcosa che snatura la pietà rituale dell’individuo. Così che il bisogno di restare umani nella condivisione del valore della morte diventa, forse, un gesto ancora più politico, al di fuori della retorica mediatica. La tipologia del lutto per le vittime delle frontiere in sud Italia Ripercorrendo la grammatica delle sepolture dei migranti in sud Italia vediamo coesistere all’interno dello stesso territorio usanze apparentemente contraddittorie se non addirittura opposte tra loro. A ciò si aggiunge il fatto che sono stati presi in esame attori con ruoli piuttosto diversificati, come funzionari pubblici e semplici cittadini che frequentano il cimitero per motivi privati, così che l’esposizione di quanto osservato rischia di scivolare nel racconto aneddotico se non viene analizzato all’interno di un F. Remotti, Contro l’identità, Bari-Roma, Laterza, 2009. J. Butler, Vite precarie. I poteri del lutto e della violenza, Milano, Postmedia Books, 2013 (I ed. 2004), p. 46. 86 87 LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA 79 quadro esemplificativo. Si potrebbe ad esempio esporlo all’interno di una tipologia che metta a confronto la formalizzazione degli approcci attuati in relazione al lavoro del cordoglio nei confronti dei migranti. Tipologia del lutto per le vittime delle frontiere in Italia Molto formalizzato Molto cordoglio Molto formalizzato Poco cordoglio • Procuratori della Repubblica che si rifiutano di aprire fascicoli d’inchiesta contro ignoti Asse del lavoro del cordoglio •Mancata registrazione dei decessi • Salme non identificate • Funerali di Stato • Sindaci che rivendicano le sepolture dei migranti nei cimiteri dei propri comuni •Preti che ribattezzano le salme dei mischini • Fosse comuni • Border death sepolti nelle tombe di famiglia e abbellimento delle sepolture • Visite rituali alle tombe dei migranti e lamenti funebri Poco formalizzato Poco cordoglio Asse della formalizzazione delle pratiche Poco formalizzato Molto cordoglio Se prendiamo ad esempio la prima retta, quella verticale, troveremo una escursione che procede dall’informalità degli approcci alla loro massima formalizzazione. Il punto di partenza sono le pratiche dal ‘basso’, anonime, quotidiane, messe in atto dai fruitori dei cimiteri. Tra questi le vedove che, andando a trovare i loro cari, depositano i fiori sulla tomba dei migranti, che vi piangono sopra e li apostrofano con epiteti di familiarità. Ed ancora abbiamo l’esempio dei preti che ribattezzano i cadaveri dei migranti con i nomi dei santi patroni locali o dei papi. Procedendo verso i più alti gradi di formalizzazione troviamo le associazioni locali che hanno indetto collette per abbellire le tombe dei migranti o le processioni organizzate dalle parrocchie locali verso la tomba dei migranti. Ed infine nel più alto livello di formalizzazione, troveremo i sindaci che della retorica del lutto traggono un vantaggio politico, sia propagandistico di sfoggio di pietà nei confronti dei deceduti, sia di interesse nel riunire la collettività politica all’interno di valori comuni di cui si fanno portavoce. Così abbiamo i gonfaloni del comune al cimitero, i funerali pubblici a cui partecipa- 80 GIORGIA MIRTO no ambasciatori, ministri, prefetti, vescovi, sindaci, assessori, col lutto e la fascia tricolore. Oppure ancora le dichiarazioni successive alle stragi, come quella di Matteo Renzi del 19 aprile 2015 in cui promise di «restituire dignità alle vittime» 88 e identificò negli scafisti i carnefici delle continue stragi in mare, tentando di aprire una retorica di attribuzione di responsabilità dell’evento traumatico. L’asse delle ascisse delinea il grado del lavoro del cordoglio, ovvero l’insieme di gesti, parole, atti e pratiche ritualizzate, socialmente condivise che rappresenta la morte di un individuo. Pertanto l’asse delle ascisse parte da un minimo di lavoro di cordoglio, che si identifica nelle fosse comuni nei cimiteri, fino ad un massimo come la sepoltura dei migranti all’interno delle tombe di famiglia di cittadini italiani. La tipologia produce quindi quattro quadranti per cui avremo in alto (partendo da sinistra) molto formalizzato-poco lavoro di cordoglio, molto formalizzato-molto lavoro di cordoglio ed in basso poco formalizzato-poco lavoro di cordoglio e poco formalizzato-molto lavoro di cordoglio. E quindi, per semplificare ulteriormente: in alto a sinistra avremo il Procuratore della Repubblica che si rifiuta di aprire un fascicolo d’inchiesta contro ignoti che avvia la pratica di sepoltura; in alto a destra i funerali di stato; in basso a sinistra le salme irrintracciabili disperse tra i cimiteri; infine, in basso a destra avremo le vedove paesane che piangono il migrante figghiu mio. Non esiste un modo di fare comune, ma diverse attitudini dimostrate rispetto allo stesso evento. Nella tipologia possiamo inoltre distinguere le pratiche a seconda di chi le conduce. Un approccio istituzionale e gerarchico si contrappone a uno informale, popolare. Uno maschile, autoritario ha il suo contrapposto nella cura, nel cordoglio, nelle vedove, nel femminile. Da un lato vi è la ricorrenza dell’evento, una tantum, la commemorazione pubblica e ufficiale, dall’altro la quotidianità delle visite al cimitero, la pratica comune di accendere una candela, pagare i lumini, pregare, dare l’acqua ai fiori. In mezzo a queste contrapposizioni vi sono tutta una serie di compromessi che caratterizzano una grammatica inusuale e non consolidata del lutto per le vittime delle frontiere. Ci sono ad esempio gli ufficiali di stato civile che non registrano gli atti di morte per i deceduti, ma che custodiscono nel portafoglio la fotografia del migrante a mo’ di santino, accanto a quella dei genitori spirati. Si tratta di realtà che non entrano in contrapposizione tra di loro, ma che convivono all’interno dello stesso panorama di significato. 88 Il video della conferenza stampa è disponibile su http://www.rainews.it/dl/rainews/ articoli/renzi-naufragio-vertice-conferenza-soccorsi-6fe428e2-7825-4b69-a1b8-2a786e79ce90. html. In questo discorso lo scafismo venne accusato per la prima volta di creare la schiavitù del XXI secolo. LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA 81 Il valore della morte delle vittime delle frontiere Da Foucault, passando per Agamben, Albahari e numerosi illustri studiosi, l’analisi della filosofia e del diritto dà un’interpretazione del migrante come una non-persona, un essere a cui non è riconosciuto lo stesso livello di umanità dei cittadini. Seguendo l’insegnamento di Dei e Agier, dall’altra parte, osserviamo come l’indagine etnografica si fa spazio tra queste interpretazioni cercando di analizzare le metamorfosi culturali, le ibridazioni, per andare alla ricerca delle grammatiche che delineano regole ed eccezioni, ovvero nel terreno intermedio tra cittadinanza e nuda vita, quello culturale. Solo all’interno delle cornici culturali popolari, degli abitanti delle frontiere, si può spiegare la grammatica di significazione del lutto e il valore che viene dato a queste morti. Nella fusione esperienziale dell’etnografia e nell’anelito all’interpretazione dei significati, si possono ricostruire i modelli culturali che in positivo plasmano il comportamento degli abitanti delle frontiere e il valore che questi danno a coloro che sono morti nel tentativo di oltrepassarle. Un processo che ci conduce verso la constatazione di codici di comportamento dal basso, locali, che potremmo senza paura definire di cultura popolare. Quanto osservato, piuttosto che rimarcare una differenza tra un ‘noi’ cittadini e un ‘loro’ nuda vita, sembra basarsi sul patrimonio normativo-culturale tradizionale che decide di «far passare i morti nel valore trascendendo con ciò la situazione luttuosa».89 Si cerca, utilizzando le parole del celebre antropologo Ernesto de Martino, di «far morire i nostri morti in noi».90 Gli abitanti locali cercano legami simbolici con chi non c’è più. Questa ricerca si chiama cordoglio e consiste in un insieme di gesti, parole, atti e pratiche ritualizzate, socialmente condivise da un nucleo familiare, da un gruppo sociale o da una comunità intera, che così rappresenta la presenza dell’assenza e trasforma i morti in antenati. Si tratta di un processo che cerca di elaborare il lutto partendo proprio dalla costatazione dell’assenza di colui che è morto. L’assenza mette in crisi la presenza individuale e comunitaria e si innesca così la «crisi del cordoglio».91 Per l’antropologo la crisi sarebbe una malattia e «il cordoglio è il lavoro speso per tentare la guarigione».92 Esso costringe la comunità a elaborare strategie per integrare la natura nella cultura, e quindi lo scandalo della mortalità nella continuità 89 E. de Martino, Morte e pianto rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di Maria, Torino, Bollati Boringhieri, 2000 (I ed. 1958), p. 53. 90 Ibid. 91 Ivi, p. 42. 92 Ivi, p. 53. 82 GIORGIA MIRTO quotidiana. Tali strategie riguardano il mondo dei valori, stimolato dai rituali come il lamento funebre analizzato in Lucania, il cui correlativo orizzonte mitico viene invocato, a vari livelli di autonomia e consapevolezza, in modo tale da trascendere lo stesso morto come valore. Quando però si abbandona il campo della mortalità come condizione dell’esistenza e si entra in quello della mortalità di uno straniero, morto nell’atto di migrare, il lavoro del cordoglio si complica. Non è forse il pianto di una paesana sulla tomba del migrante anch’esso un lamento funebre? In che punti è simile ad esso e in che cosa se ne allontana? Si tratta di comprendere il lutto dell’altro alla luce delle pratiche che si attuano per il lutto del nostro. Andrebbe approfondita l’analisi delle variabili e delle invariabili tra i due sistemi e se le pratiche funerarie si muovono sulla base di atteggiamenti pietistici cristiani o se poggiano le loro basi su credenze culturali ancestrali.93 Ecco quindi che la grammatica delle sepolture, che poggia sulla tradizione della cultura popolare, si disperde all’interno della tipologia del lutto in cui convivono pratiche e discorsi molto diversi tra di loro, seppur all’interno della stessa cornice culturale. La popolazione locale vede nella vittima delle frontiere un essere umano deceduto, non uno scarto della società. Si riconosce a tal punto nella sua umanità che è portata essa stessa ad attuare le pratiche per lei più umane, culturalmente appropriate, di pietà rituale dell’individuo. La trascendenza del valore della morte porta al superamento del concetto di nuda vita, rompe la definizione tra un’appartenenza a una collettività di diritto o a un’altra, permettendo così di scorgere l’umanità della popolazione locale nel riconoscimento di umanità/mortalità dei migranti deceduti. Parrebbe la classica «funzione specchio dei fenomeni migratori» così come l’ha immaginata Abdelmalek Sayad: 94 i migranti sarebbero coloro che, per il solo fatto di esistere tra noi, ci costringono a rivelare chi siamo. Ancora una volta, siamo nient’altro che «l’animale che seppellisce i suoi morti», che cerca di integrare lo scandalo della mortalità, di elaborare strategie per integrare la natura nella cultura. Il lavoro del cordoglio per i migranti deceduti nel Mediterraneo si attua in modalità differenti all’interno della costellazione di pratiche e discorsi nella tipologia del lutto, variando tra picchi di formalizzazione delle usanze ed elaborazione del lutto. I significati non sono già dati da uno stato razzista, ma sono contesi, negoziati e ricostruiti di volta in volta dal basso. Vi è quindi la necessità di apprezzarne le distinzioni, le differenze. Così facendo si superano inevitabilmente le classiche definizioni basate sul concetto foucaultiano di biopotere nella versione proposta da Agamben di «stato di 93 94 p. 10. I. Buttitta, I morti e il grano. Tempi del lavoro e ritmi della festa, Milano, Booklet, 2006. A. Sayad, L’immigration ou le paradoxe de l’alterité, Bruxelles, De Boeck Wesmael, 1990, LA SEPOLTURA DELLE VITTIME DELLE FRONTIERE IN ITALIA 83 eccezione permanente»,95 per restare legati alla tradizione dell’antropologia-etnografia e alla sua vocazione di tradurre in parole l’esperienza culturale e l’azione sociale. Prima ancora che politica, è una questione umana. Riassunto – Summary I corpi dei migranti senza vita, morti nel tentativo di oltrepassare il mar Mediterraneo, vengono riversati sulle coste italiane da oltre trenta anni. Alcune ricerche svolte in sud Italia sulla questione delle border deaths e dei migranti dispersi (Human Costs of Border Control e Mediterranean Missing Project) hanno portato alla luce complessi meccanismi culturali messi in opera dalle comunità locali per affrontare l’ingresso dei migranti deceduti in mare all’interno del luogo sacro per la collettività, i cimiteri. Se attraverso l’analisi delle procedure burocratiche attuate dalla autorità italiane emerge una severa riduzione nello status del corpo come indice di persona, lo studio delle pratiche funerarie attuate dalle comunità locali dimostra un profondo lavoro di appropriazione del lutto e di sussunzione del deceduto migrante all’interno della propria comunità dei deceduti. Nel presente saggio si vuole dimostrare come in assenza – o nella inottemperanza – di norme consolidate che regolino la gestione del lutto del migrante, le comunità locali hanno attinto alla propria antica tradizione rendendolo parte della loro storia. Così facendo, i comportamenti degli abitanti della frontiera mettono in questione tatticamente il trattamento discriminatorio nei confronti dei migranti, morti e vivi, da parte dello stato. The bodies of migrants attempting to cross the Mediterranean Sea have been washing up on Italian shores for more than thirty years. I have been conducting empirical work in southern Italy on how local communities deal with these bodies being buried in their communities, on how the dead are integrated into the sacred collective space of local cemeteries. Through the study of funerary practices one can observe the labour of mourning and the subsumption of the deceased migrant into the community of the indigenous dead, e.g. through post-mortem baptism, burying migrants in family chapels or in symbolic places, or rituals on the Day of the Dead. The aim of my research project is to explore how these communities have drawn on their own historic cultural traditions for the mourning process, rendering it a part of their own history. In so doing they transform local attitudes to migrants in ways that tactically challenge discriminatory treatment of migrants, both dead and alive, by state and citizens. 95 G. Agamben, Homo Sacer, cit. Direttore Responsabile Prof. Fabio Dei Università degli Studi di Pisa Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere Registrazione del Tribunale di Firenze n. 140 del 17-11-1949 ISSN 0023-8503 FINITO DI STAMPARE PER CONTO DI LEO S. OLSCHKI EDITORE PRESSO ABC TIPOGRAFIA • CALENZANO (FI) NEL MESE DI GIUGNO 2019 ISSN 0023-8503