Liber Amicorum Moccia
Liber Amicorum Moccia
Liber Amicorum Moccia
E. CALZOL AIO, R. TORINO, L. VAGNI (a cura di) · LIBER AMICORUM LUIGI MOCCIA
Il volume raccoglie saggi di studiosi italiani e stranieri dedicati a
LUIGI MOCCIA
Luigi Moccia come testimonianza per il contributo allo sviluppo della
comparazione giuridica e del diritto europeo nel corso della sua attività
scientifica. È articolato in tre tracce tematiche che delineano le linee
fondamentali della sua riflessione: a) comparazione giuridica e dialogo tra
common law e civil law; b) dalla comparazione all’integrazione giuridica:
cittadinanza e diritto europeo; c) comparazione giuridica e prospettive di
studio del diritto.
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Collana
L’Unità del Diritto
32 2021
Università degli Studi Roma Tre
Dipartimento di Giurisprudenza
Nella stessa Collana
LIBER AMICORUM
LUIGI MOCCIA
a cura di
Ermanno Calzolaio, Raffaele Torino, Laura Vagni
2021
La Collana L'unità del diritto è stata varata su iniziativa dei docenti del Dipartimento di
Giurisprudenza. Con questa Collana si intende condividere e sostenere scientificamente il progetto
editoriale di Roma TrE-Press, che si propone di promuovere la cultura giuridica incentivando la
ricerca e diffondendo la conoscenza mediante l’uso del formato digitale ad accesso aperto.
Collana pubblicata nel rispetto del Codice etico adottato dal Dipartimento di Giurisprudenza
dell’Università degli Studi Roma Tre, in data 22 aprile 2020.
Coordinamento editoriale:
Gruppo di Lavoro
Elaborazione grafica della copertina: mosquitoroma.it
Caratteri tipografici utilizzati:
American Typewriter condensed, Brandon Grotesque, Gotham rounded (copertina e frontespizio)
Adobe Garamond (testo)
Impaginazione e cura editoriale: Colitti-Roma colitti.it
Edizioni: ©
Roma, marzo 2021
ISBN: 979-12-5977-003-5
http://romatrepress.uniroma3.it
Quest’opera è assoggettata alla disciplina Creative Commons attribution 4.0 International License (CC BY-
NC-ND 4.0) che impone l’attribuzione della paternità dell’opera, proibisce di alterarla, trasformarla o usarla
per produrre un’altra opera, e ne esclude l’uso per ricavarne un profitto commerciale.
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In questa prospettiva, la collana si ripromette di ospitare non solo con-
tributi scientifici di tipo monografico, raccolte di scritti collettanee, atti di
convegni e seminari ma anche materiali didattici che possano proficuamente
essere utilizzati nella formazione dei giovani giuristi.
La collana entra a far parte della struttura della editrice Roma TrE-Press
che, affiancando alla tradizionale pubblicazione in volumi la pubblicazione
in formato digitale on-line, consente un accesso libero ai contributi scientifici
contribuendo, così, ad una nuova e più ampia diffusione del sapere giuridico.
84
Indice
Introduzione 13
Bibliografia 33
PARTE I
COMPARAZIONE GIURIDICA E DIALOGO
TRA COMMON LAW E CIVIL LAW
Maurizio Lupoi, English ‘equity’ and the civil law – a tale of two worlds 81
PARTE III
COMPARAZIONE GIURIDICA
E PROSPETTIVE DI STUDIO DEL DIRITTO
Mario Serio, Diritto di visita dei familiari dei ricoverati in case di cura,
emergenza sanitaria e questioni etico-giuridiche di carattere generale
nella giurisprudenza inglese 549
«Il male non è che i sapienti non vedono la risposta, ma che non
vedono l’enigma»1.
L’acuta osservazione del grande scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton
descrive l’esperienza nata dall’incontro con Luigi Moccia. Guardandolo
insegnare, o frequentandolo in occasione di lunghi dialoghi, spesso scaturiti
dalla lettura di nostri testi sottoposti al suo esame, si è sempre costretti ad
alzare lo sguardo, stimolati a collocare ogni tema in un contesto più ampio,
ma anche più profondo. Quando si cercano risposte, ci si trova invece di
fronte a nuove domande.
Condividendo questa esperienza tra noi che abbiamo avuto più diretta-
mente il privilegio di formarci alla sua scuola, è nato il desiderio di invitare
alcuni studiosi, che in circostanze diverse hanno incontrato Luigi Moccia
nel corso degli anni, ad offrire un loro contributo. Un Liber Amicorum,
appunto. Come occasione per rendergli omaggio, in luogo di asettici ‘scritti
in onore’ con intenti celebrativi, così estranei alla sensibilità dell’interessato.
Ne è uscito un quadro ricco e variegato, che si è pensato di articolare
in tre tracce tematiche. Esse delineano – ci sembra – le linee fondamentali
della riflessione che Luigi Moccia ha condotto nel corso della sua attività
scientifica: comparazione giuridica e dialogo tra common law e civil law;
dalla comparazione all’integrazione giuridica: cittadinanza e diritto europeo;
comparazione giuridica e prospettive di studio del diritto.
Quando poi abbiamo posto mano alla bibliografia, davvero imponen-
te, ci siamo resi conto che il modo più adeguato per tracciare un profilo
dell’Autore era quello di ‘lasciar parlare’ i suoi scritti. Di qui l’idea di pro-
porgli di ricostruirne la trama, rileggendo in prima persona ambiti e filoni
di studio. Una testimonianza diretta, insomma, che potesse costituire una
guida per seguire il percorso di una vita dedicata allo studio e alla ricerca. In
modo forse inusuale, abbiamo quindi pensato di dare avvio a questa raccolta
proprio con la ‘lettura’ della sua bibliografia (ivi inclusa), che l’Autore ha così
generosamente accettato di scrivere.
Nello stesso tempo, poiché la verità di una testimonianza si apprezza alla
luce del lascito che essa genera in chi vi si imbatte, abbiamo voluto proporre
come primo contributo degli amici la riflessione della studiosa rumena Lia
1
G.K. Chesterton, Ortodossia, Milano, 1988, p. 49.
13
Pop, che consente di cogliere fino a che punto l’autorevolezza non discende
dalla superiorità accademica o da sterili appartenenze di scuola, ma dall’at-
trattiva suscitata dall’incontro con chi accetta la sfida di essere protagonista
di un’avventura, insieme entusiasmante e rischiosa, di una ricerca ‘a tutto
campo’ o (come a lui piacerebbe dire) ‘senza confini’. Nella confusione che
caratterizza il contesto attuale c’è davvero bisogno di ‘maestri’. Luigi Moccia
lo è. Per questo gli siamo grati.
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Luigi Moccia
1. Diritto inglese
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L. Moccia
giusto che sia così. Perché la mia tesi di laurea (relatore Maurizio Lupoi,
allora assistente ordinario alla “Sapienza” di Roma), sul sistema di giustizia
inglese, non solo mi impegnò al punto da dovermi laureare con un anno di
fuori corso (nel 1971), ma mi offrì l’occasione (mentre ancora ci lavoravo
sopra) di andare a Londra (grazie a una borsa assegnatami per un breve
soggiorno di studio). Dove in seguito (grazie al sostegno del British Council
nell’ambito del programma “European Young Lawyers”), è iniziata la mia
frequentazione dei luoghi simbolo del mondo giuridico inglese: (non le
università, ma) le corti centrali londinesi e annessi studi forensi tra le mura
storiche delle inns of court.
I primi lavori sono tutti dedicati a temi vari riguardanti il diritto
inglese (tranne uno sul “modello di contrattazione collettiva nella pubblica
amministrazione in Svezia”, che pure si spiega con quanto dirò subito
appresso).
‘Temi vari’ significa sostanzialmente temi scelti, o nei quali mi
imbattevo, sull’onda di vicende dell’attualità di allora e di motivazioni legate
a circostanze e interessi di impegno in senso ampio sociale e culturale (che
hanno, poi, continuato ad accompagnare la mia attività).
In questo modo o, meglio, con questo spirito facevo le prime esperienze
di comparazione come ‘spazio di libertà’, aperto su altri spazi. Come un
tempo si diceva dell’aria di città che rende liberi, così la comparazione e
già solo la sua base d’origine, il diritto straniero, mi hanno sempre dato
l’impressione di respirare un’aria di libertà di scelta, assieme alla possibilità,
appunto, di affrontare temi i più vari, e di farlo attingendo informazioni e
ispirazioni a fonti non solo e sempre giuridiche.
Naturalmente, l’ambiente dell’allora Istituto di Diritto Comparato
dell’Università di Roma “La Sapienza” (diretto dal ‘maestro dei maestri’ della
comparazione giuridica in Italia, Gino Gorla), che avevo preso a frequentare
assiduamente, già prima e dopo la laurea, sono stati per me, e tanti altri, un
‘luogo privilegiato’ di questo modo ‘diverso’ di studiare diritto
Tra i temi con cui mi sono cimentato, in testi (alcuni firmati assieme a
Ferdinando Albisinni) di commento a leggi o casi giudiziari inglesi, vorrei
menzionare quelli pubblicati (grazie all’amicizia con Massimo D’Antona)
nella “Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale”, tra le più
antiche riviste italiane di diritto del lavoro, che si apriva in quegli anni a
contributi di diritto straniero e comparato.
Sempre con riguardo a quei primi lavori, mi piace qui annotare i temi
relativi alla riforma del processo e della giustizia, all’epoca molto sentiti e
dibattuti nel nostro paese, trattati con riguardo a certi aspetti rilevanti, in
una chiave di lettura che traeva spunto dall’esperienza inglese.
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Rileggendo la mia bibliografia… annotazioni (e ricordi) a margine
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Rileggendo la mia bibliografia… annotazioni (e ricordi) a margine
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Rileggendo la mia bibliografia… annotazioni (e ricordi) a margine
europeo (§ seguente).
A questo punto della mia rilettura della bibliografia, posso annotare le
due monografie che riassumono, completano e sviluppano questo filo di
riflessione.
Comparazione giuridica e diritto europeo (2005). Questo libro nasce
dall’idea di fornire una visione d’insieme dei precedenti ambiti: diritto
inglese, diritto comune europeo, revisiting, con una proiezione sul processo
di integrazione europea come frontiera avanzata di una comparazione in
grado di recuperare il senso storico-culturale del diritto comune dei secoli
passati. Per questo motivo non poteva che essere un libro particolarmente
‘voluminoso’: di “oltre mille pagine” (come mi scrisse con divertita sorpresa
Rodolfo Sacco, già così, comprendendone appieno questa trama complessa,
nella sua consueta lettera manoscritta, di cui mi ha sempre gratificato, in
risposta all’invio di copia del volume).
Comparazione giuridica e prospettive di studio del diritto. Raccolta di
saggi (2016). Questo libro rappresenta, invece, l’altra faccia di quella stessa
riflessione, che cercava e cerca di affrancarsi dalla logica della comparazione
‘per sistemi’, per guardare più avanti e oltre. (Ancora una volta Rodolfo
Sacco, nella sua immancabile lettera manoscritta in risposta all’invio di
copia del volume, ne coglie questa cifra, commentando: “Chi ha scritto il
libro è il Luigi Moccia di sempre, e dunque il libro non dovrebbe stupire.
E invece qualcosa ci sorprende. I problemi che tratti (salvo, forse, la Cina)
sono i problemi che proprio ora incominciano ad essere sentiti da tutti. E
allora bisogna convenire che i vari articoli riportati nel libro, e scritti tempo
addietro, spesso nell’altro secolo, precorrevano i tempi”).
Siamo così già dentro l’ambito che segue.
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Rileggendo la mia bibliografia… annotazioni (e ricordi) a margine
prospettive (2015).
In una chiave sempre storico-comparativa di riflessione, una notazione
particolare merita il volume La formación del derecho europeo. Una perspectiva
histórico-comparada (2012), che ripropone in una versione completamente
rinnovata (e arricchita di una bibliografia finale) la terza parte del libro
“Comparazione giuridica e diritto europeo”, quella su “Civil law e rapporti
con la tradizione di common law: per un diritto europeo” (nella traduzione
ed edizione a cura di Faustino Martínez Martínez).
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6. Diritto cinese
Per rispetto sempre all’ordine cronologico in cui sono elencati i titoli della
bibliografia, inserisco qui alcune notazioni riguardanti l’ambito tematico del
diritto in Cina. I miei interessi di studio in questo ambito risalgono già agli
anni 1990 (con l’avvio nel 1992-93 di un progetto di ricerca finanziato dal
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Rileggendo la mia bibliografia… annotazioni (e ricordi) a margine
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giuridica cinese antica quanto moderna, sono stati pubblicati altri saggi, tra
cui: The ‘Dual Paradox’ of Modernity in China (2012); The Idea of ‘Law in
China: An Overview (2018).
In definitiva, ritengo che in uno studio del diritto in Cina, l’intento
di scoprire elementi caratteristici di una legal tradition nel mondo cinese
(la cui ‘antichità’ dura fino alla caduta dell’impero, agli inizi del XX
secolo, e che richiederebbe il possesso di specifiche competenze, non solo
linguistiche, nel campo della sinologia), come mondo solitamente ritenuto
assai diverso, se non addirittura ‘altro’, rispetto al mondo occidentale, abbia
senso – questo intento – se unito all’esigenza (muovendo dal presupposto
di valore educativo dell’approccio comparativo) di riflettere, alla luce di
una esperienza così particolare, sul diritto in generale. Vale a dire, con un
focus sulle relazioni (di grande interesse e attualità, dopo le stagioni del
positivismo e del formalismo giuridico) del diritto con la società, i costumi,
i valori e la cultura: relazioni che hanno sempre caratterizzato e continuano
a caratterizzare in modo strutturale l’esperienza giuridica cinese; e che ne
fanno un campo ‘ideale’ di studio, tanto più oggi, quale paese destinato a
diventare, nel suo slancio di modernizzazione, una delle forze culturalmente
egemoniche, al livello regionale e mondiale.
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Rileggendo la mia bibliografia… annotazioni (e ricordi) a margine
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8. Varie
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Rileggendo la mia bibliografia… annotazioni (e ricordi) a margine
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Bibliografia
1983 Glossario per uno studio della “Common Law”, Milano, Unicopli, pp. 1-902.
1984 Il sistema di giustizia inglese: profili storici e organizzativi, Rimini,
Maggioli, pp. ix-xi, 1-154.
1993 Figure di usucapione e sistemi di pubblicità immobiliare. Sintesi di
diritto privato europeo, Milano, Giuffrè, pp. 1-134.
2005 Comparazione giuridica e diritto europeo, Milano, Giuffrè, pp. vii-
xxi, 3-1076.
2008 Unione Europea: una guida per argomenti, ed. riveduta e aggiornata
(1a ed. 2006, Roma, Philos), Roma, Aracne, pp. 1-150.
2009 Il diritto in Cina. Tra ritualismo e modernizzazione, Torino, Bollati
Boringhieri, pp. 1- 258.
2012 La formación del derecho europeo. Una perspectiva histórico-comparada,
traducción y edición a cargo de F. Martínez Martínez, Madrid,
Universidad Complutense, pp. 1- 429.
2012 Las nuevas fronteras del derecho privado. Estudios de teoría del derecho
y derecho comparado, Colección “Tendencias actuales del Derecho”, Dir.
C.A. Hernández, S. Ortega, Bogotà, Universidad Libre, pp. 9-243.
2015 Comparación jurídica y perspectivas de estudio del derecho, traducción
y edición al cuidado de C.A. Gonzáles y S.L. Quequejana Mamani,
“Biblioteca de Derecho Comparado”, vol. I, Lima, Motivensa Editora
Jurídica, pp. 7-207.
2016 Comparazione giuridica e prospettive di studio del diritto, Padova,
Cedam-Wolters Kluwer Italia, pp. v-xiv, 1-268.
2018 La formación del derecho europeo. Una perspectiva histórico-comparada,
Edición Latino Americana, Santiago Chile, Ediciones Olejnik, pp. 1-392.
2
Originariamente pubblicato come Appendice al volume di P. Stein e J. Shand, I valori
giuridici della civiltà occidentale (trad. it. di “Legal values in Western Society”, Edinburgh
University Press, 1974), Milano, Giuffré, 1981, pp. 377-465.
33
Bibliografia
34
Bibliografia
1977 “Proprietà pubblica” dei suoli e politica del territorio in Gran Bretagna:
il Community Land Act 1975, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”,
XXVII/2, pp. 807-843.
1978 L’esperienza inglese della partecipazione dei laici all’amministrazione
della giustizia, in “Rivista di diritto processuale”, XXXIII (II Serie)/4, pp.
741-764.
1978 Appunti sul “law reporting” in Inghilterra, in “Il Foro italiano”,
CI/11, pt. V, coll. 286-303.
1978 Sui limiti alla proprietà privata nell’interesse collettivo (Un notevole caso
di concordanza fra una decisione del Vernaccini del 1780 e una recente opi-
nion di Lord Denning), in “Il Foro italiano”, CI/2, pt. V, coll. 57-64.
1979 (recensione) A.T. von Meheren, J.R. Gordley, The Civil Law System.
An Introduction to the Comparative Study of Law (1977), in “Rivista trime-
strale di diritto e procedura civile”, XXXIII/2, pp. 796-802.
1980 Sull’uso del termine “civil law” (Contributo ad un programma di ricer-
che sul “diritto comune europeo”), in “Il Foro italiano”, CIII/10, pt. V,
coll. 254-258.
1981 (*) A “Revisiting” of the Comparison between “Continental Law” and
“English Law” (16th to 19th Century), “The Journal of Legal History”,
2/2, pp. 143-156 (con G. Gorla).
1981 English Law Attitudes to the Civil Law, in “The Journal of Legal
History”, 2/2, pp. 157-168.
1984 A proposito del ricorso giurisprudenziale al diritto straniero (e
“comparato”), nota a C. Cost. 4 maggio 1984, n. 234, in “Giustizia
civile”, XXXIV/12, pp. 3235-3238.
1985 (recensione) G. Gorla, Il diritto comparato in Italia e nel “mondo occi-
dentale” e una introduzione al “dialogo Civil Law-Common Law” (1983),
in “The American Journal of Comparative Law”, 33/3, pp. 533-535.
1986 (*) A Short Historical Account of Comparative Law in Europe and in
Italy during Modern Times (16th to 19th Century), in “Rapports nation-
aux italiens au XII Congrès Int. Droit Comparé”, Sidney 1986, Milano,
Giuffrè, pp. 67-86 (con G. Gorla).
1986 (*) Profili di una storia del “diritto comparato” in Italia e nel “mondo
comunicante”, in “Rivista di diritto civile”, XXXIII/3, pt. I, pp. 237-262
(con G. Gorla).
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Lia Pop
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Luigi Moccia: l’accademico dedito alle istituzioni e alla costruzione dell’Europa… e non solo!
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Luigi Moccia: l’accademico dedito alle istituzioni e alla costruzione dell’Europa… e non solo!
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Luigi Moccia: l’accademico dedito alle istituzioni e alla costruzione dell’Europa… e non solo!
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Luigi Moccia: l’accademico dedito alle istituzioni e alla costruzione dell’Europa… e non solo!
4. “Diplomazia accademica”
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Luigi Moccia: l’accademico dedito alle istituzioni e alla costruzione dell’Europa… e non solo!
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5. Conclusioni
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Luigi Moccia: l’accademico dedito alle istituzioni e alla costruzione dell’Europa… e non solo!
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PARTE I
COMPARAZIONE GIURIDICA E DIALOGO
TRA COMMON LAW E CIVIL LAW
Faustino Martínez Martínez
1. Proemio
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F. Martínez Martínez
pero es un periplo que comienza años atrás y en otros contextos que ponen
de manifiesto el carácter extraordinario de este profesor universitario, sabio,
prudente, pero, sobre todo, maestro y amigo.
2. (Intra)Historia
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Moccia En Madrid: Historia Y Fases De Una Traducción
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F. Martínez Martínez
para seguir el hilo del texto. Con estas instrucciones preliminares comencé a
trabajar en el proyecto esbozado poco a poco. La idea era ir enviando cada
mes, aproximadamente, en todo caso con cierta regularidad, los resultados
de esa traducción que iría elaborando, para su revisión y corrección por parte
del autor. Entre 2011 y 2012, la cosa evolucionó positivamente. La prosa de
Moccia era sencilla de manejar y de trasladar al castellano. No solamente la
reducción de los elementos principales a traducir facilitó el empeño; Moccia
quiso además, como ya se ha indicado, aligerar el texto de notas copiosas y
redujo el aparato bibliográfico a lo mínimo indispensable y, en todo caso,
figurando en la recapitulación final bajo la rúbrica que le era propia (en
pp. 411 ss. de la final edición española). Así se recogerá finalmente en el
texto: las notas a pie de página son muy reducidas, parcas, muy elementales,
básicas y mínimas para guiar al lector sin mayores distracciones. Lo esencial
va al texto principal y es éste el que debe servirnos de dirección informativa.
Sin embargo, el catálogo bibliográfico final sí es sumamente completo y
sólidamente fundado, donde aparecen citados historiadores del Derecho
y romanistas de primera fila, lo que muestra el empeño tomado por el
autor para ratificar el valor otorgado a estas dos disciplinas formativas
en su discurso. Están Gorla y Lupoi, como no podía ser de otra manera,
pero también Calasso, Orestano, Grossi, entre otros muchos. Como se ve,
primeras figuras de la comparación y de la historiografía jurídica.
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Moccia En Madrid: Historia Y Fases De Una Traducción
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F. Martínez Martínez
como el original, que lleva como título La formación del Derecho Europeo.
Una perspectiva histórico-comparada, título que pone de manifiesto, al mismo
tiempo, objeto y método a aplicar1. Su propósito es trazar una Historia de
ese Derecho desarrollado en ese tal espacio geográfico que conocemos por
Europa, desde la Antigüedad hasta nuestros días, y hacerlo empleando para
ello no solamente los rudimentos que la Ciencia Histórica nos suministra,
sino también los derivados de ese método comparado o comparativo que
liga, acoge y somete a un proceso de diferenciación elementos, en principio,
antitéticos o con pocos puntos de conexión, con el objeto de demostrar
tanto los lugares comunes como los lugares discrepantes, algo de utilidad en
el día de hoy, qué duda cabe, pero también relevante a los efectos de estudiar
el Derecho del pasado. Bajo la idea de unidad aparente, el Antiguo Régimen
encierra muchas especialidades regnícolas que han de ser objeto de un detal-
lado tratamiento de este tipo para examinar las singularidades de cada uno
de los reinos, principados y demás unidades políticas. Cierto es que estaba el
Derecho Común romano-canónico, pero no es menos cierto que no estaba
de la misma manera en todos los territorios europeos. Hacia allí deben ir los
pasos del estudioso a los efectos de condensar cuánto de similitud y cuánto
de diferencia existe, teniendo en cuenta además que el terreno histórico no
es un terreno firme e inmutable, sino cambiante y oscilante, por tanto. Tras
una breve Introducción, el Prof. Moccia nos dirige a sucesivas estaciones en
un viaje que aparentemente no termina, puesto que la parte final desemboca
en nuestros tiempos, en la más rabiosa actualidad, al ocuparse del Derecho
en Europa a día de hoy, lo que acaso puede ser calificado como el propósito
oculto del autor: mostrar que lo que hoy parece quimera fue posible en el
pasado con unos instrumentos políticos, públicos, mucho más débiles que
los que hoy en día tenemos a nuestra disposición. La unidad jurídica, que
no implica uniformidad, ni homogeneización, es perfectamente dable en el
contexto europeo actual porque hay juristas, hay instituciones, hay bocetos,
hay intenciones en ese sentido, hay tribunales y hay jurisprudencias. De
la Europa del Derecho se pasa al Derecho de Europa, juego de palabras que
encierra la esencia del libro. Ése es el tránsito principal que se quiere dibujar.
La Europa del Derecho responde a la idea de que nuestra representación
del continente se hizo a partir de una unificación forjada desde el campo
jurídico, sin patrias concretas responsables. Hoy, el dilema es una Europa
dada y armada, a la que hay que dotar de ese componente jurídico, del que
carece por el peso de los Estados miembros y de sus respectivas soberanías.
1
La formación del derecho europeo. Una perspectiva histórico-comparada, traducción y
edición a cargo de Faustino Martínez Martínez, Madrid, 2012. Vuelve a aparecer en la
Biblioteca de Derecho Comparado de Ediciones Olejnik, Santiago de Chile, 2018.
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Moccia En Madrid: Historia Y Fases De Una Traducción
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Moccia En Madrid: Historia Y Fases De Una Traducción
centra en los casos italianos: las diversas Rotas eclesiásticas, Saboya, Milán,
Nápoles, etc., por ser los más cercanos y los mejor dominados, pero hay
menciones a otros territorios), con sus respectivos estilos, creando principios,
sentencias, normas, disposiciones, modos de actuar y de ordenar, leyes en
suma, que determinaban el funcionamiento regular de esa gran máquina
jurídica que era el Derecho Común, Derecho siempre en movimiento y
en aplicación, donde hallamos espacios muy interesantes para desmontar
la idea del Antiguo Régimen y de su vida jurídica como un templo de la
arbitrariedad, del abuso y del capricho del gobernante. Varias razones se
pueden oponer a esto: la minuciosa motivación de las decisiones judiciales
en ciertos casos, el control de la labor de los gobernantes o el importante
tema de los derechos naturales inmutables, que operaban como freno frente
a acciones injustificadas del poder político. Todo lo cual demuestra el
carácter eminentemente jurídico y juridificado de esos tiempos complejos y
remotos, el papel relevante del Derecho en la ordenación y conservación de
la sociedad, y la imposibilidad de acuñar fórmulas absolutistas de gobierno.
Un Derecho transnacional, extraestatal, universal en cuanto a gestación y a
difusión, privado en origen, alumbrado por juristas y tribunales, impedía
todo lo anterior. Se impone así un orden jurídico de textura abierta, nunca
cerrado porque sus plurales y variadas fuentes no lo eran, ni lo estaban, un
orden jurídico comunicante porque desconocía las fronteras y se mantenía
plenamente atento al posible intercambio de pareceres y opiniones entre
juristas de diversas nacionalidades, pero con una sola formación científica.
No había obstáculos. Las universidades y los libros acababan por crear un
mercado unificado donde los juristas imperaban sin oposiciones relevantes.
El cambio se dará con las Revoluciones liberales y la nueva idea de Código,
que llega entre los siglos XVIII y XIX.
Allí, en ese cambio, están concurriendo tanto la crisis del Derecho
Común en el siglo XVIII por cierto agotamiento del modelo jurídico, como
la respuesta a esa crisis por parte de un Racionalismo que quiere un Derecho
más sencillo y claro, más ordenado y más sistemático, pero también
diferente en cuanto a sujetos, a facultades y a instrumentos de ejecución
de los nuevos mensajes ilustrados de autonomía y libertad, los nuevos
mensajes que I. Kant sistematizará y desarrollará a lo largo de la centuria.
Moccia pasa al capítulo cuarto (IV). Es el tiempo de la Codificación como
propuesta política y como proyecto jurídico, que hunde sus raíces en la
Ilustración para estallar en pleno siglo XIX con las realizaciones de Francia,
Austria y Alemania (también con reacciones como la Escuela Histórica o
con expresiones de defensa llevadas al paroxismo como la Exégesis gala),
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F. Martínez Martínez
pero con un cambio sustancial del Derecho como tal configurado, hasta el
punto de que entra en crisis la noción tradicional de jurisprudencia como
fuente indiscutible y dominante del orden jurídico. Ya no lo será nunca
más. La experiencia y la tradición dan paso a la ciencia y a la legislación
como hitos dominantes de la renovada vida jurídica liberal burguesa. Los
presupuestos se están invirtiendo. Esos Códigos han procedido a captar el
mensaje ilustrado sin contemplaciones y han logrado una inversión de la
vida jurídica, tal y como hasta entonces estaba configurada. La pluralidad
de fuentes ha dado paso a una sola, el Código en sí mismo considerado.
La jurisdicción ha cedido ante la legislación y se ha subordinado a la
misma: los jueces ahora son los ciegos aplicadores de leyes, bocas que dicen
las palabras de la norma, como quiso Montesquieu. Ya no es tiempo de
juristas, sino de políticos. Nunca más tradiciones, sino leyes. Propuestas e
informes, reflexiones doctrinales, dan paso a la fuerza de la sanción y de la
decisión. Lo particular y casuístico, la inspección, se ha topado de frente
con la abstracción y la generalidad. Ahí está la nueva ley. Eso es el nuevo
Código. El remozado orden jurídico, trasunto de un rehecho orden social,
político y económico, había llegado, precedido por las Constituciones en la
mayor parte de los casos, y había llegado con fuerza inusitada, con amplitud
temporal y espacial, con presencia incontestable, con cambios formales y
también sustanciales, comenzando por la propia concepción del Derecho,
de las fuentes y del valor ordenador, casi dictatorial, de ese Código que se
convierte en la fuerza jurídica más poderosa de toda la Historia del Derecho
universal. Porque determinaba a todas las demás.
Sin embargo, no toda Europa funcionaba igual: las Islas Británicas, en
el capítulo quinto (V), muestran otros orígenes, otras evoluciones, otros
ritmos, otras instituciones preponderantes, otros efectos, otros resultados
finales. Parte esencialmente desmitificadora porque, al albur de esa Historia
del Common Law, detallada y bien trazada, se muestra cómo ese Derecho
anglosajón no dista tanto del Derecho continental y también viceversa. El
componente mítico es aquí relevante a efectos de impugnación. No están
tan alejados como se ha dicho. Sus primeras manifestaciones son plenamente
coincidentes a todos los efectos y operan como ordenamientos paralelos,
equilibrando el Derecho romano-canónico con el Derecho nacional o local,
pero tal armonía se rompe a partir del siglo XVI. Hasta entonces Inglaterra
conoce, difunde, enseña, escribe en términos de Derecho Común como
el resto de Europa. A partir de ahí, cambia. La reforma religiosa, las crisis
políticas o el papel de las jurisdicciones especiales hacen que las divergencias
vayan creciendo, aunque no tanto como se pudiera pensar porque sigue
76
Moccia En Madrid: Historia Y Fases De Una Traducción
77
F. Martínez Martínez
5. Dilatatio
78
Moccia En Madrid: Historia Y Fases De Una Traducción
79
F. Martínez Martínez
3
En Annuario di Diritto Comparato e di Studi Legislativi, 2013, n. 4, pp. 599-605.
4
En Revista de Estudios Histórico-Jurídicos, 2014, n. 36, pp. 551-552.
80
Maurizio Lupoi
Summary: 1. Equity and aequitas – 2. The title of this essay – 3. Utraque lex – 4.
Law of the Church and civil law – 5. Civil law sources in Renaissance England –
6. Equity as a legal order of its own – 7. Equity and written law – 8. The role of
the judge – 9. Conclusion.
81
M. Lupoi
other equally evasive concepts are called into play. Then philosophy from
Aristotle’s Nicomachean Ethics 4, sociology, commercial considerations and
what else are summoned in order to support a decision that would not be
supported by purely legal considerations5. That is not how equity is invoked
in English law, where equitable rules preexist to their implementation and
can be – indeed, are – put down in writing as one does with customary or
legislative rules.
Comparative law has shown that the persistence of a body of rules
separate from the mainstream of a given legal system requires an entity
apt to produce new rules or at least to adapt the existing ones, thus often
bringing about new rules under cover of interpretation. The English legal
system has enabled equity to grow as it has always grown, that is, by judicial
precedent; and here we have a second point of distinction with the civil law.
Not only equity is a body of rules as a legal text could be, whether or not
termed “code”, but is a living body.
The subtitle I gave to this brief essay – “A tale of two worlds” – recalls a
motion picture of 1921 about a Chinese girl grown in America as a white
girl but then thrown back into Chinese reality when she became the object
of a contract of marriage with a Chinese slave trader and was finally rescued
by a young American secretly in love with her.
I thus meant to underline how a word that undoubtedly originated in
Roman law – “aequitas” – has lost any distinctive character in the legal sys-
tems directly deriving from Roman law and has come to identify a legal sys-
tem that for many centuries was seen – and still is – as the other half of the
world, actually another world6. And that any attempt to move the Roman
law heritage into this other word would be doomed to failure.
3. Utraque lex
4
Cf. H.E. Yntema, Equity in the Civil Law and in the Common Law, (1966-67) 15 Am.
J. Comp. L. 60, at pp. 62-66. Among recent works see A. Sucre, Aristotle’s Conception of
Equity in Context (2013). Theses, http://irl.umsl.edu/thesis/201.
5
See the interdisciplinary studies by M. Fortier, The Culture of Equity in Early Modern
England, Aldershot, 2006 and The Culture of Equity in Restoration and Eighteenth-
Century Britain and America, Farnham-Burlington, 2015.
6
The expression “the other half of the world” refers to the initial stages of modern
comparative law, when Hindu, Muslim, Chinese law (not to mention the so-called
“primitive legal systems”) did not warrant any consideration.
82
English ‘equity’ and the civil law – a tale of two worlds
Most legal systems have had to cope with a deficit in their ability to fol-
low the development of society. Systems based on written law of legislative
origin, like Roman law after Justinian, often deluded themselves into believ-
ing that it would be possible to have all new matters referred to an entity
that in each instance would dictate new rules (as was enacted by Justinian in
his constitution “Tanta”) or that a court of final instance could ensure that
every judge kept within a code that was meant to provide for all possible
occurrences, so that any new rule or any non-literal application of the law
would have to be referred back to the legislative body (as the Tribunal de
Cassation in France from 1790 to 1804 with its attendant référé législatif)7.
An alternative view prevailed in the Middle Ages. Already emperor
Constantine had convened an ecclesiastical council at Nicaea in 325, there-
by commencing a collaboration between secular and religious powers that
took a completely new turn in the following centuries when kingdoms were
built on the ruins of the Western Roman empire and the Church, greatly
experienced in legislative matters, provided the kings of the new peoples
with the know-how they required to build the new kingdoms8. The notion
of utrumque ius or utraque lex took hold from the sixth century. The king
was the recipient of a divine mandate. The bishops stood at the apex of the
state and the anointment of the king was listed among the sacraments. The
royal unction turned the king into a priest who often achieved sainthood.
In Carolingian times the king would decide legal matters together with
those who knew both laws – the sacred and the prophane – but in case of
conflict the law of God was to prevail:
«[the king] ita statueret ut, ubi utrumque servari posset, utrumque
servaretur, sin autem lex saeculi merito comprimeretur and iustitia
Dei conservaretur»9.
That was the prevailing view in all Europe until well into the XIII
and XIV centuries (suffice it to recall the prohibition of interests on loans,
enforced by the civil law in order to implement the precepts of canon law).
It was then that writers on Canon law, most notably Cardinal Hostiensis
in the second half of the XIII century, expounded a proposition that was
7
See Jean-Louis Halperin, Le Tribunal de cassation et les pouvoirs sous la Révolution
(1790 – 1799), LGDJ, 1987.
8
This is one of the theses I developed in The origins of the European legal order, transl.
A. Belton, Cambridge, 2000.
9
Hincmar, De ordine palatii, cap. 21.
83
M. Lupoi
perfectly in keeping with the picture I have just sketched: there exists an
unwritten aequitas, namely the law of God, he said, and that is to prevail
even against written law whenever a soul is in danger – “ubicumque agatur
de periculo animarum”10.
For instance, when the law of the land does not enforce promises unless
they are embodied in a document bearing the seal of the promisor, as was
the case in England until the Slade’s case of 160211, canon law would enforce
them because it is a sin not to stand by the word given, even more so if the
promisor has sworn his promise or engaged his faith. Bracton’s notebook in
the second half of the XIII century had shown that the laesio fidei enforced
by the curia christianitatis usually related to the breach of what we would
today call binding engagements or “contracts”12.
The law of the Church was seen by English lawyers as intertwined with
the civil law, “utraque lex”. The catalogue of the Bodleian library of 1605
put them into a single class: “Jurisprudence” or “Libri Juris”13.
The bishops held their own courts in England, the consistory courts that
drew on a late Imperial institution, the episcopalis audientia14; those courts
were staffed by experienced advocates and proctors and were presided over
by judges with training in both Roman and canon laws15. Ecclesiastical
courts were very active in England during the Middle Ages and their
jurisdiction encompassed wider areas than elsewhere in Europe. Bishops
10
Henricus de Segusio (Card. Hostiensis), Apparatus super quinque libros decretalium,
cap. 9, De arbitris, I, 48.
11
See J.H. Baker, New Light on Slade’s Case, (1971) Camb. LJ 51 and 213; D. Ibbetson,
Sixteenth Century Contract Law: Slade’s Case in Context, (1984) 4 Oxford Journal of Legal
Studies 295; A.W.B. Simpson, The Place of Slade’s Case in the History of Contract”, in Allen
D. Boyer (ed.), Law, Liberty and Parliament: Selected Essays on the Writings of Sir Edward
Coke, Indianapolis, 2004.
12
Bracton’s Note Book (F. W. Maitland ed., 1887), Nos. 50, 351, 670, 1464, 1893; it
should be remembered that Bracton was an ecclesiastic in addition to being a judge.
13
Th. Baker, Catalogus librorum Bibliotecae publicae …, Oxoniae, 1605, now in The first
printed Catalogue of the Bodleian library 1605 – a facsimile, Oxford, 1986.
14
As to which see M. Cimma, L’“episcopalis audientia” nelle costituzioni imperiali da
Costantino a Giustiniano, Turin, 1989.
15
R.H. Helmholz, The Oxford History of the Laws of England, I – The Canon Law and
the Ecclesiastical Jurisdictions from 597 to the 1640s, Oxford, 2004, p. 207.
84
English ‘equity’ and the civil law – a tale of two worlds
would sit in their courts and adjudge under canon and civil law matters as
diverse as legitimate birth, marriage, probate, defamation, adultery, breach
of faith and succession to personal property.
In order to understand the birth of equity it is not enough to recall
that the King’s Chancellors until Henry VIII were mostly bishops; one
has to add that quite often they held a university degree in canon law as
well as in civil law16 and that that went on for almost another century. For
instance, Chancellor Egerton was labelled in a law report as being “utriusque
legis peritus”17. And one has to place all this in context: chancellors before
being appointed had usually been judges of the ecclesiastical courts. It then
becomes obvious that the law they dispensed once they sat in the Chancery
as the King’s chancellors to hear litigants who could find no redress in the
courts where the common law of the land was applied would be the same
law they had until then applied in the ecclesiastical courts, ignorant as
they were of the technicalities of common law pleading. Contemporaries
perceived neatly that the Chancellor drew his rulings from canon and
Roman or contemporary ius commune Continental law sources, to which
they referred under a common label: “civil law”18; common lawyers would
often mark the distance with the expression “lour ley”, ‘their law’19.
The Chancellors made sure to have a strong civilian basis in their staff:
the Lancastrian monarchy employed doctores legum in key positions and the
Tudors staffed the Chancery with civilian masters20; their list is impressive
and shows a total civilian dominance21.
16
Not only that, often they were prominent lawyers; for instance three predecessors of
Cardinal Wolsey, Henry VII’s Lord Chancellor, had been principals of the canon or of
the civil law school at Oxford: J. Barton, The Faculty of Law, in T.H. Aston (gen. ed.),
The History of Oxford University, III, J. McConica (ed.), Oxford, 1986, pp. 285-293.
17
Rogers’ case (1603 x 1617), in W.H. Bryson, Cases concerning Equity and the Courts of
Equity 1550-1660, Selden Society, vol. 117, 2001, p. 474.
18
See the concept of “ius commune” and Roman law and Canon law as its components:
R.H. Helmholz, The ius commune in England. Four studies, Oxford, 2001, pp. 10-15;
L. Moccia, English Attitudes to the Civil Law, (1981) 2 J. of Legal History 157.
19 After apprentice Rolf spoke of Canon law as “lour ley”, Tyrwhit, judge of the King’s Bench,
retorted: «Vous ne direz pas leur ley; nostre ley; mes per ley de Saint Esglise»: (1409) Y.B.
Mich 11 Hen 4 pl. 30.
20 N. Pronay, The Chancellor, the Chancery, and the Council at the End of the Fifteenth
Century, in H. Hearder, H.R. Lyon (eds.), British Government and Administration. Studies
presented to S.B.L Chrimes, Cardiff, 1974, pp. 91-92; see also W.J. Jones, The Elizabethan
Court of Chancery, London, 1967; M.L. Cioni, Women and law in Elizabethan England with
particular reference to the Court of Chancery, Cambridge, 1985.
21 E. Heward, Masters in Ordinary, Chichester, 1990, pp. 79-81 provides a detailed list.
Among the very few Chancellors who could be termed “common lawyers” was obviously Sir
85
M. Lupoi
That could not have had lasting effects unless civil law sources were
readily available: mainly manuscripts until the end of the XV century and
then printed texts.
The history of civil law manuscript sources in English Universities and
in private libraries is still unwritten but there is enough evidence to allow an
observer to say that a consistent body of civilian literature was there and was
kept up to date22; from private ownership it would often migrate to college
libraries by way of donation23.
Scholarly research in this area is still wanting. However, specific
contributions allow us to catch glimpses of what must have been an
uninterrupted flow from the Continent to England. That was favoured by
the fact that English doctors of both laws (canon and civil) would graduate
not only from Oxford or Cambridge but very often also from Continental
universities such as Paris, Padua24 Bologna or Ferrara25, and that civil lawyers
were welcome in England26.
Between 1490 and 1540 once printed books became available
Thomas More.
22
Cf. P. Morgan, Oxford Libraries Outside the Bodleian, 2nd ed., Oxford, 1980; Oxford
College Libraries in 1556. Guide to an Exhibition held in 1956; J. Buxton, P. Williams
(eds.), New College, Oxford, 1979. Contemporary evidence supports this view: see, for
instance, All Souls’ catalogues of 1546 and of 1556; cf. E. Craster, The History of All Souls
College Library, London, 1971.
23
See N.R. Ker, Records of All Souls College Library 1437-1600, Oxford, 1971, where the
objects of gifts to the college’s library are listed, thus showing the existence of important
private collections of civil law books. Andrew Perne, a vice-Chancellor of Cambridge
University, not a lawyer (but a cleric) owned 2900 books and among them were
Mysinger, Tiraquellus, Paul de Castro, Alciatus, the Codex, the Digest, the Institutiones,
the Speculum Durandi and other civil law books: E.S. Leedham-Greee, Books in
Cambridge Inventories, vol. II: Catalogue, Cambridge, 1986, at p. 419 ff.
24
See J. Woolfson, Padua and the Tudors. English Students in Italy, 1485-1603,
Cambridge, 1998.
25
G.D. Squibb, Doctors’ Commons. A History of the College of Advocates and Doctors of
Law, Oxford, 1977, p. 31.
26
A. Wijffels, “Ius gentium” in the practice of the Court of Admiralty around 1600, in A.D.E.
Lewis, D.J. Ibbetson (eds.), The Roman Law Tradition, Cambridge, 1994, p. 119, at p. 124,
footnote 12, relates that in 1593 the Faculty of Tübingen delivered an opinion that was filed
before the Admiralty Court. See also M. Clandison, The Bodleian Library and its Readers,
(2006) 19 Bodleian Library Record 300; a specific occurrence is related by R.A. Beddard,
The Bodleian First Foreign Reader, 1603, (2003) 18 Bodleian Library Record 151.
86
English ‘equity’ and the civil law – a tale of two worlds
manuscripts on the civil law were no longer looked after27 and many of
them were cut into pieces and inserted at the end of the books to strengthen
their binding (pastedowns)28. That makes the list of Oxford manuscripts
surviving in 1852 most impressive29.
The flow from the Continent was if at all strengthened30. Gifts went
on, but there is evidence of a deliberate policy of purchases by college and
university libraries31 as well as by individuals32. Even stout common lawyers
27
Entire collections disappeared, for instance the Duke Humphrey university library:
N.R. Ker, The provision of books, in The History of Oxford University, III (fn. 16) at p.
465; many of All Souls’ civil law manuscripts were given away (E. Craster, The History
of All Souls College Library (fn. 22), p. 19).
28
N.R. Ker, Fragments of Medieval Manuscripts used as Pastedowns in Oxford Bindings,
Oxford, 1954.
29
H.O. Coke, Catalogus codicum MSS qui in collegiis aulisque oxoniensibus hodie
adservantur, 2 voll., Oxford, 1852. They cover all the European civil law scholars (some
manuscripts date from the XIII century). From the XIV century students were required
to own their own copies of the Roman law texts and scribes were available to produce
them: M.B. Parkes, The provision of books, in J.I. Catto, R. Evans (eds.), The History of
Oxford University, II, Oxford, 1992, at pp. 410-415.
30
As to Cambridge see E.S. Leedham-Greene, Books in Cambridge Inventories, (fn.
23); as to Oxford see Th. Baker, Catalogus librorum Bibliotecae publicae (fn. 13). Civil
law books were then regularly added, witness the Appendix ad Catalogum librorum in
Bibliotheca Bodleiana, 1620, showing the purchase, among others, of a collection of
French cases (Placitorum summae apud Gallos curiae libri XII, Lutetiae Parisiorum 1559),
of Scaccia’s De iudiciis, of an edition of the Corpus iuris civilis with Accursius’ gloss and
several commentaries, and of three works of Bartolus.
31
N.R. Ker, Oxford College Libraries in the Sixteenth Century, (1957-1961) VI Bodleian
Library Record 459; A. Wijffels, Late Sixteenth-Century Lists of Law Books at Merton College,
Cambridge, 1992.
32
Historical research has uncovered the contents of the personal library of a Master in
Chancery, Sir Edward Stanhope, admitted at Doctors’ Commons 1576, Master in Chancery
1591-1608. He owned 15 manuscripts and 146 books, among which were Bartolus, Baldus,
Azo, Mysinger, Paulus de Castro, Menochius, Mantica, Tartagni, Cynus, Salicetus, Farinacius
etc.: A. Wijffels, Sir Edward Stanhope’s Library, in R. J. Fehrenbach, E. W. Leedham-Green
(eds.), Private Libraries in Renaissance England, 6 vols., New York, (1992-2004), I, 41 ff.
87
M. Lupoi
were not averse to owning books of the civil law33 34. The evidence so far
brought to light shows that by the end of the XVII century college and
University libraries owned vast collections of civil law books35 and that civil
law books by then outnumbered canon law books36.
English canon and civil law doctors from the very beginning of collegiate
studies were thus imbued with theological and Romanistic learning37;
Hostiensis’ view of “rigor iuris” and the Glossators and post-Glossators
discussions on “aequitas rudis” as opposed to “equitas constituta in legibus”
and Martinus’ view of aequitas as an element of the office of the judge as
well as his often-repeated sentence “nihil aliud est [equitas] quam Deus”
were part of their cultural common ground38.
33
Cf. W.O. Hassall (ed.), A Catalogue of the Library of Sir Edward Coke, Yale University
Press, 1950. The libraries of the Inns of Court include Renaissance civil law books. For
instance, I located 54 books of Consilia at Middle Temple, mostly printed in the XVI century,
and law reports from the Roman Rota, the Florentine Rota and the Portuguese Senat. At
Lincoln’s Inn – Gray’s Inn (their library catalogues have been unified) I found XVI century
works such as Guy Pape, Jason de Mayno, Dino del Mugello, Grotius, Mantica and for the
subsequent century the full Theatrum veritatis of Cardinal De Luca. However, based on the
information I collected there is no evidence of purchases or even of gifts made at the time
those books were printed.
34
Here is an interesting and possibly still unknown fact about St John’s books. When the
college was founded in 1555 by Sir Thomas White, a London merchant presented him
with a book “ad usum Colegij per eumipsum de novo erecti in Oxonia”: it was a Digest
that included the Infortiatum (the relevant document is among St. John’s mss, fol. 24).
35
Only one example. In 1741 St. John’s College (Oxford) owned, among other civil
law books, several editions of the Corpus iuris civilis, including the Institutiones cum
glossis of 1512, a Digestum of 1511 and another 0f 1553, Bartlolus’ Commentaries in 8
volumes and Bartolus’ Consilia, Azo, Cujacius, Gothofredus, Donellus, Paul de Castro’s
Commentaries of 1521, the Opera Omnia of Duarenus, the Roman Rota’s decisions with
comments by P. Rebuffo of 1567 and 28 volumes of the Tractatus illustrium in vtraque
tum pontificii, tum caesarei iuris facultate iurisconsultorum of 1584.
36
N.R. Ker, Oxford College Libraries (fn. 31), pp. 496-7.
37
I do not disregard Doctors Commons, but that was an institution for qualified doctors,
I am here concerned with their training.
38
Recent research on aequitas in canon law and in the ius commune include: P. Landau,
‘Aequitas’ in the Corpus Iuris Canonici, (1994) 20 Syracuse J. Int’l L. & Com. 95; E.
Cortese, Equité et justice, la dynamique bipolaire du droit au Moyen Age, in Mélanges en
l’honneur d’Anne Lefebvre-Teillard, Paris, 2009, p. 299; A. Padoa Schioppa, Equità nel diritto
medievale e moderno: spunti della dottrina, https://doi.org/10.4081/incontri.2017.301.
88
English ‘equity’ and the civil law – a tale of two worlds
89
M. Lupoi
the claim of Canon law to prevail over written law whenever a soul is in
danger - “ubicumque agatur de periculo animarum” and we can detect here
the cornerstone of the building erected by the Chancellors over the course
of time on the basis of the canon and civil law theoretical conceptions of
aequitas. The key to understanding the role played by the Chancellors is that
they kept morals and laws together whilst everywhere else in Europe the two
were parting and did eventually part.
“Conscience” is at the root of “unconscionable”, an adjective very
difficult to translate in other languages43 but playing a pivotal role in the
world of equity44. Lest a civil law reader of this essay should think that I
am referring to historical episodes, I hasten to add that “conscience” and
“unconscionable” are words currently employed in contemporary case-law;
as a Law Lord wrote in 1996: «Since the equitable jurisdiction to enforce
trusts depends upon the conscience of the holder of the legal interest being
affected, he cannot be a trustee of the property if and so long as he is
ignorant of the facts alleged to affect his conscience»45.
Written law may have to yield to equity as one of the traditional maxim
of equity holds: «equity will not allow a statute to be used as an instrument
of fraud»46, meaning that in the world of equity one cannot use the written
law as a shield when to do so would be against the conscience. An example
is when the law requires that certain contracts be made in writing and a
party makes a claim on an oral promise. In spite of such promise being
legally void, equity may compel the defendant to keep his oral promise if
that is what conscience dictates47. It is not difficult to find here the echo of
the discussions among the Glossators and Giovanni Bassiano’s statement
to the common law but was accepted by equity: «un tort per le commen ley, mes en
conscience est auter»: Y.B. Mich.18 Edw 4 pl. 29 (1478). References of this kind are
many, see my essay Trust and Confidence, (2009) 125 LQR 253.
43
Cf. W. Barbour, Some Aspects of Fifteenth-Century Chancery, (1918) 31 Harvard LR,
at pp. 838-840; W.J. Jones, The Elizabethan Court of Chancery (fn. 20), pp. 422-448.
44
Among the earliest modern authors see L.O. Pike, Common Law and Conscience in the
Ancient Court of Chancery, (1885) 1 LRQ 443; J.B. Ames, Purchaser for Value Without
Notice, (1887) 1 Harvard L R 1, at p. 3.
45
Lord Browne-Wilkinson in Westdeutsche Landesbank v. Islington London Borough
Council, [1996] AC 699, at p. 705.
46
On the historical basis of this maxim see J.D. Feltham, Informal trusts and third
parties, (1987) Conveyancer 246; P. Critchley, Instruments of fraud, testamentary
dispositions, and the doctrine of secret trusts, (1999) 115 LQR 631; see also M. Pawlowski,
Fraud, Legal Formality and Equity, (2001) 23 Liverpool LR 79.
47
See, for instance, Bannister v. Bannister, [1948] 2 All ER 133; Binions v. Evans, [1972]
2 All ER 70; and Re Densham, [1975] 3 All ER 726.
90
English ‘equity’ and the civil law – a tale of two worlds
that the judge should decide a case «potius secundum equitatem animi sui
quam secundum legem»48.
The cultural chasm thus separating equity from contemporary civil law
does not require to be underscored but one more dramatis persona must be
brought to the fore before we leave this subject: the judge.
One of the civilian marks of equity is its use of maxims, the number
of which is variable49. Most of them are addressed to the judge and entrust
him with decisions that are basically left to his discretion as we have just
seen. For instance, the maxims “One who seeks equity must do equity” or
“He who comes into equity must come with clean hands” clearly call into
play an assessment of the behaviour of the claimant that cannot be based
only on legal rules and that, therefore, requires to be entrusted to judges
who are accustomed to deciding cases according to the values of the society
they live in rather than logically deriving conclusions from the written law.
That does not turn equity into a “roguish thing” as a controversial XVII
century jurist put it50, it simply marks the watershed between two historical
developments of that notion of utrumque ius that between the Middle Ages
and the Renaissance made a legal commonalty of many nations that would
have nothing else in common (not even religion from a certain date on).
One could then ask why English law developed “equity” and the civil
law did not51. The answer is probably to be found in the different role that
48
A. Padoa Schioppa, Equità nel diritto medievale e moderno (fn. 38).
49
A comparative law outlook is in P. Stein, Regulae Iuris. From Juristic Rules to Legal
Maxims, Edinburgh, 1966.
50
J. Selden, Table Talk (Pollock ed., 1927), p. 43. Selden held that the civil law had had
no role in England from the beginning of the reign of Edward III save in marginal cases,
basically concerned with foreigners (such as Admiralty, Marshal and University courts).
It is however striking to notice how familiar Selden was with civil law sources and how
appropriately he referred to them in his Dissertatio of 1647; see D. Ogg (ed.), Ioannis
Seldeni Ad Fletam Dissertatio, Cambridge, 1925. In fact, Selden held that the civil law
was the best and richest depository of jurisprudence and wrote on civil law matters such
as tithes, law of the sea and ius gentium: cf. D.R. Coquillette, The Civilian Writers of
Doctors’ Commons, London-Berlin, 1988, p. 261.
51
Cf. M.P. Gilmore, The Jurisprudence of Humanism, (1961) 17 Traditio 493, points out
that Budé, Alciatus and Zasius together with Erasmus of Rotterdam had shared the view
that written law had to be corrected in the light of higher ethical norms.
91
M. Lupoi
statute law played in the civil law and in England. In the civil law the Cor-
pus Iuris stood at the apex of legal sources and in spite of its many inconsis-
tencies commanded obeyance (today one could substitute codes and consti-
tutions to the Corpus Iuris and would bring about the same consequences);
in England there was no comparable structure and in fact equity rulings did
mostly concern common law rules, only occasionally statutes52.
9. Conclusion
Much though English equity was begotten by the canon and the civil
law, it would be hard to detect any point of contact with contemporary
civil law53.
52
Probably writing in 1581, R. Snagg related that, according to some, Chancellors could
«cancellare iniquam Legem Communem»: I. Williams, Prerogative and the Authority of
Chancery, in M. Godfrey (ed.), Law and Authority in British Legal History, 1200-1900,
Cambridge, 2016, 33 at pp. 50-51.
53
For a quite different approach see R.A. Newman, Equity in Comparative Law, (1968)
17 Int’l & Comp LQ 807.
92
Diego Corapi
*
Questo studio è dedicato al caro amico Luigi Moccia, che potrà in esso ritrovare qualche
frutto degli insegnamenti con lui condivisi dell’indimenticabile Maestro Gino Gorla
93
D. Corapi
94
Comparazione e diritto privato nella tradizione giuridica occidentale
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96
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109
D. Corapi
6. Conclusioni
110
Comparazione e diritto privato nella tradizione giuridica occidentale
valori e principi propri dello ius, fondamento della tradizione che lega gli
ordinamenti dell’occidente europeo.
Nota bibliografica
111
D. Corapi
112
Comparazione e diritto privato nella tradizione giuridica occidentale
113
D. Corapi
114
Antonino Procida Mirabelli di Lauro
115
A. Procida Mirabelli di Lauro
contributo offerto da G. Gorla, L. Moccia, Profili di una storia del «diritto comparato»
in Italia e nel «mondo comunicante», in Riv. dir. civ., 1987, n. 1, p. 237 ss.
2
Sottolinea «l’importanza che la memoria storica alla base delle tradizioni giuridiche
europee assume per il diritto comparato», L. Moccia, Prospetto storico delle origini e degli
atteggiamenti del moderno diritto comparato. (Per una teoria dell’ordinamento giuridico
«aperto»), in Riv. trim. dir. e proc. civ., I, 1996, p. 181. Sulla nozione di tradizione
giuridica, J.H. Merryman, La tradizione di Civil Law nell’analisi di un giurista di
Common Law, trad. it. di A. De Vita, Milano, 1973.
3
Sul punto, i due volumi a cura di S. Bagni, M. Nicolini, E. Palici Di Suni, L. Pegoraro,
A. Procida Mirabelli di Lauro, M. Serio, Giureconsulti e giudici. L’influsso dei professori
sulle sentenze: I, La prassi delle Corti e le teorie degli studiosi, Torino, 2016; II, La dottrina
nella giurisprudenza oltre i confini di spazio, giurisdizione e materia, Torino, 2016.
4
Proprio a tali nozioni si ispira la sezione I (Dialoghi espressi, dialoghi muti: l’influenza
della dottrina sulla giurisprudenza) della parte monografica (parte I) dell’Annuario di
diritto comparato, Napoli, 2015.
5
Moccia, Prospetto storico, cit., p. 193.
6
Gorla, Moccia, Profili di una storia, cit., p. 242. Sul punto, tra le tante opere dedicate
a questo tema, G. Gorla, Diritto comparato e diritto comune europeo, Milano, 1981; Id.,
Il diritto comparato in Italia e nel «mondo occidentale» e una introduzione al «dialogo Civil
law-Common law», Milano, 1983; G. Gorla, L. Moccia, A «revisiting» of the Comparison
between «Continental Law» and «English Law» (16th to 19th Century), in Journal of Legal
History, 1981, p. 144 ss.; Id., A Short Historical Account of Comparative Law in Europe
and in Italy During Modern Times (16th to 19th Century), in Italian National Reports to
the XIIth International Congress of Comparative Law, Milano, 1986, p. 67 ss.; L. Moccia,
Comparazione giuridica e diritto europeo, Milano, 2005.
116
La circolazione dei modelli dottrinali e giurisprudenziali nel «mondo comunicante»
117
A. Procida Mirabelli di Lauro
118
La circolazione dei modelli dottrinali e giurisprudenziali nel «mondo comunicante»
proteggere il potere regio «dal timore della sua erosione» da parte di una
giurisprudenza che «potesse divenire os doctorum piuttosto che os regis»19.
Dall’altro, vi è il periodo storico testimoniato dall’art. 265 del R.D. 14
dicembre 1865, n. 2641 il quale, pur nell’escludere che le Corti dovessero
preoccuparsi di «confutare tutti gli argomenti addotti in contrario dai
patrocinatori delle parti, e senza invocare l’autorità degli scrittori legali»,
rappresenta un sicuro «mutamento di passo rispetto al secolo precedente»20.
Il divieto perde «il temibile aspetto di attentato all’autorità regia» ed è
inserito «in un contesto squisitamente formale, quello riguardante la tecnica
motivazionale delle sentenze, dichiaratamente ispirata al criterio della
concisa esposizione dei motivi»21. Da qui l’attuale divieto sancito dall’art.
118, comma 3, disp. att. c.p.c. che, per un verso, rileva sul mero piano
deontologico, essendo sfornito di una sanzione di nullità; per altro verso
rappresenta una regola ingannevole e apparente, che opera sul mero piano
formale, là dove obbliga il giudice soltanto a non rivelare esplicitamente la
fonte bibliografica, ma non, invece, a prendere nella dovuta considerazione
le diverse posizioni della dottrina. Silente o omessa è «l’identità dell’autore,
non l’esistenza stessa del pensiero, inteso nella sua oggettività»22. A parte
eventuali sentimenti di frustrazione degli autori italiani, condannati all’oblio
identitario23, la giurisprudenza, in realtà, ripropone «il modello analitico
di ragionamento dottrinario, il quale fa, pertanto, ingresso nell’impianto
della sentenza ancora una volta dalla porta principale, sebbene si tenga
pudicamente nascosta l’identità del suo autore» ricorrendo «ad artifizi
dialettici, quali l’uso di impersonali espressioni: dottrina prevalente, nota
dottrina, migliore dottrina, ecc.»24.
Gli esempi sono troppo numerosi per essere citati, poiché un più o
meno articolato riferimento agli orientamenti della dottrina è ravvisabile
in quasi tutte le sentenze della Suprema Corte. Ma, oltre ai casi che in
seguito saranno esaminati, può essere utile qui rimarcare alcune locuzioni
paradigmatiche. Se, da un lato, il tema «mirabilmente indagato in un lontano
passato da autorevolissima dottrina» ha consentito di porre in discussione «il
contrario avviso espresso, in argomento», dalla scienza giuridica dominante,
«(dottrina il cui contributo, a giudizio del collegio, e come già a più riprese
19
Serio, Le ragioni del silenzio, cit., p. 27.
20
Ivi, p. 28.
21
Ibidem.
22
Ivi, p. 32.
23
Con sottile ironia, B.S. Markesinis, Comparative Law in the Courtroom and the
Classroom, Oxford-Portland Oregon, 2003, p. 78.
24
Serio, Ibidem.
119
A. Procida Mirabelli di Lauro
affermato dalle stesse sezioni unite di questa corte, deve essere sempre
sinergicamente e opportunamente valutato e collegato all’evoluzione
della giurisprudenza)»25. Dall’altro, la Cassazione ha dato rilievo, talvolta,
anche al genere muliebre, là dove ha condiviso in maniera “innegabile”
la teoria della «ricordata dottrina, che coniuga autorevolezza scientifica
e convincente pragmaticità femminile»26. Dall’altro ancora, le Sezioni
Unite civili, nel portare a compimento la loro controversa controriforma
in tema di responsabilità civile, suffragano le deboli argomentazioni
riprese da una dottrina “pietrificata” ora con l’utilizzo, spregiudicato
ma senz’altro fantasioso, della citazione dell’«argomento che la dottrina
definisce “epicureo”»27, ora con espliciti, anche se approssimativi, riferimenti
comparativi, affermando che la soluzione che nega il risarcimento del danno
tanatologico sarebbe «conforme agli orientamenti della giurisprudenza
europea con la sola eccezione di quella portoghese»28, o richiamando alcuni
precedenti (contrari alla risarcibilità del danno da “nascita malformata”)
«attinti dall’esperienza maturata in ordinamenti stranieri, culturalmente
vicini ed informati al più assoluto rispetto dei diritti della persona»29.
Pur in presenza di un uso discutibile della comparazione giuridica, che
viene utilizzata soltanto in funzione normativa30, al fine di citare quelle
opinioni idonee a suffragare la soluzione assunta nella decisione, val la pena
sottolineare, in questa sede, come la giurisprudenza italiana sia sempre più
sensibile al dialogo non solo con la dottrina nostrana, cosa ormai pacifica,
ma anche con idee e regole tratte dalle scienze giuridiche straniere. Questo
fenomeno, senz’altro benemerito, trova la sua conferma anche nelle sempre
più frequenti citazioni, nel corpo delle sentenze della Cassazione, di testi
giuridici di altri Paesi di civil law, soprattutto dei paragrafi del BGB e degli
articoli del Codice civile francese, o di sentenze leader di alcune esperienze
di common law (inglese e statunitense) che vengono utilizzati al fine di
25
Testualmente, Cass. Civ., sez. III, 17 settembre 2013, n. 21255, Fininvest c. Cir, pp.
50 e 54 (del dattiloscritto).
26
Ancora Cass. Civ., sez. III, 17 settembre 2013, n. 21255, cit., p. 70.
27
Cfr. Cass. Civ., sez. un., 22 luglio 2015, n. 15350, in Danno e resp., 2015, p. 892,
con note di V. Carbone, M. Franzoni, R. Pardolesi - R. Simone, G. Ponzanelli.
28
Cass. Civ., sez. un., 22 luglio 2015, n. 15350, cit., p. 892.
29
Cass. Civ., sez. un., 22 dicembre 2015, n. 25767, in Danno e resp., 2016, p. 354.
Per ulteriori rilievi sull’uso della comparazione in questa decisione, v. M. Feola, La
circolazione dei formanti dottrinali e giurisprudenziali nel risarcimento del danno da
«nascita malformata», in Giureconsulti e giudici, II, cit., p. 160 ss.
30
Così, G. Smorto, L’uso giurisprudenziale della comparazione, in Europa e dir. priv.,
2010, p. 228 ss.
120
La circolazione dei modelli dottrinali e giurisprudenziali nel «mondo comunicante»
121
A. Procida Mirabelli di Lauro
38
Sul punto si rinvia ad A. Procida Mirabelli di Lauro, L’Annuario di Diritto Comparato
nel pensiero giuridico del primo Novecento, in Annuario di diritto comparato e di studi legislativi,
2010, p. 40 ss.; Id., Il diritto comparato tra storia e futuro, in Riv. crit. dir. priv., 2010, p. 315.
39
S. Galgano, Premessa, in Annuario di diritto comparato e di studi legislativi, 1927, I, p. VIII.
40
S. Galgano, Prefazione, ivi, 1930, I, pp. X e XI.
41
Sempre attuali, in proposito, le pagine di L.-J. Constantinesco, Il metodo comparativo,
ed. it. di A. Procida Mirabelli di Lauro, Torino, 2000, p. 11 ss.
42
Gorla, Moccia, Profili di una storia del «diritto comparato», cit., p. 261.
43
Ibidem.
122
La circolazione dei modelli dottrinali e giurisprudenziali nel «mondo comunicante»
123
A. Procida Mirabelli di Lauro
124
La circolazione dei modelli dottrinali e giurisprudenziali nel «mondo comunicante»
del prestigio del suo autore54, quanto per tutelare un determinato assetto
d’interessi. Tuttavia, se è vero che il diritto civile italiano vive, oggi, una
fase di “eclissi”55, ciò è dovuto non tanto ad una supposta eterogenesi dei
fini56 nel dialogo tra dottrina e giurisprudenza, quanto a ben altre ragioni
e responsabilità. Al contrario, l’attuale intenso dialogo tra la dottrina e
le Corti di vertice concorre a formare un diritto che si riappropria del
significato più autentico del termine iurisprudentia, nel senso etimologico di
iuris prudens. Ma tale realtà, espressione di quel dinamismo che permea tutti
gli ordinamenti, non impedisce alla scienza giuridica di dover ricostruire il
sistema57 proprio sulla base dei nuovi dati che assumono un valore ordinante
e determinante58.
Il dialogo tra la dottrina civil-comparativa e la Suprema Corte italiana ha
prodotto, negli ultimi anni, importanti risultati. Ciò è accaduto soprattutto
in tema di responsabilità civile, in virtù della vocazione giurisprudenziale e
transnazionale di questa materia. Si pensi, ad esempio, al danno biologico59
e al danno esistenziale60, figure sicuramente elaborate in dottrina (così come
l’avversa corrente anti-esistenzialista)61 prima di essere stabilmente recepite
in giurisprudenza. Ciò è accaduto per il danno da perdita di chances che,
54
Sul punto si rinvia ai §§ 6 e 7.
55
Cfr. Castronovo, Ibidem.
56
Così, invece, Serio, Le ragioni del silenzio, cit., p. 33.
57
Con riferimento all’accezione conferita al termine “sistema” sembra opportuno
precisare che, con tale idea, si vuole intendere non un’entità ontologica esistente a priori,
bensì una nozione “aperta” che, conformemente alla natura teleologica, assiologica e
valutativa della scienza del diritto, sia idonea a cogliere la storicità del fenomeno giuridico
(sul punto, C.-W. Canaris, Pensiero sistematico e concetto di sistema nella giurisprudenza
sviluppati sul modello del diritto privato tedesco, ora anche nell’ed. it. a cura di G. Varanese,
Napoli, 2009, passim).
58
Sulla teoria degli elementi determinanti, noto è il pensiero del suo autore
(Constantinesco, Introduzione, cit., p. 229 ss.).
59
F.D. Busnelli, Il danno biologico dal “diritto vivente” al “diritto vigente”, Torino, 2001,
p. 135 ss., e G. Alpa, Il danno biologico, 2ª ed., Padova, 1993. Innegabile, tuttavia, il
contributo dei giudici genovesi sintetizzato nel “manifesto” redatto da V. Monetti, G.
Pellegrino, Proposte per un nuovo metodo di liquidazione del danno alla persona, in Il
Foro it., 1974, V, c. 159 ss.
60
Cfr. il volume P. Cendon, P. Ziviz (cur.), Il danno esistenziale. Una nuova categoria della
responsabilità civile, Milano, 2000, e, in particolare, il contributo di P. Cendon, Non di
sola salute vive l’uomo, ivi, p. 10 ss.
61
G. Ponzanelli, Sei ragioni per escludere il risarcimento del danno esistenziale, in Danno
e resp., 2000, p. 693 ss.; Id., Una voce contraria alla risarcibilità del danno esistenziale, ivi,
2002, p. 339 ss.; Id. (cur.), Critica del danno esistenziale, Padova, 2003, p. 7 ss.; Id. (cur.),
Il risarcimento integrale senza il danno esistenziale, Padova, 2007, passim.
125
A. Procida Mirabelli di Lauro
dopo essere stato accolto dalla giurisprudenza in molteplici settori del diritto
del lavoro, del diritto civile e di quello amministrativo62, ha interessato il
tema della responsabilità del professionista sanitario63, fino a riparare la
perdita delle probabilità di miglioramento della qualità e delle aspettative
di vita del paziente64. Ciò ha consentito di trasporre sul solo piano civile65
le ipotesi, assai frequenti, di erronea o di mancata diagnosi di un processo
morboso terminale, che il precedente orientamento giurisprudenziale in
tema di causalità66 sanzionava anche in sede penale, considerando sufficiente
la «strana regola del ciò che accade nel minor numero dei casi»67. Ciò è
accaduto per il risarcimento del danno da «nascita malformata»68, ove il
revirement, operato attraverso uno «splendido documento giuridico»69 –
contraddetto, però, da un successivo intervento delle Sezioni Unite70 –, si è
accompagnato ad una dettagliata critica del precedente orientamento della
Cassazione, sulla base di una puntuale analisi dei principali ragionamenti
già espressi da quella dottrina che aveva condiviso e argomentato la
soluzione ideata dall’arrêt Perruche 71. Ciò è accaduto in materia di
62
Sul punto si rinvia a M. Feola, Il danno da perdita di chances, Napoli, 2004, passim.
63
Il leading case è rappresentato da Cass. Civ., sez. III, 4 marzo 2004, n. 4400, in
Danno e resp., 2005, p. 45 ss., con nota di M. Feola, Il danno da perdita delle chances di
sopravvivenza o di guarigione è accolto in Cassazione.
64
Cfr. Cass. Civ., sez. III, 20 agosto 2015, n. 16993; e già Cass. Civ., sez. III, 18
settembre 2008, n. 23846, in Diritto e giurisprudenza, 2008, p. 581 ss., con nota di M.
Feola, La responsabilità del medico per il danno da perdita delle chances di miglioramento
della qualità e delle aspettative di vita del paziente. Tuttavia, secondo una recente sentenza
della Cassazione (sez. III, 9 marzo 2018, n. 5641, in Nuov. giur. civ. comm., 2018, p.
1285 ss.), tale danno va risarcito integralmente, e non come danno da perdita di chance
(sul punto, M. Feola, Paralogismi e morfologia del danno da perdita di chance, in Comp.
e dir. civ., 2019, p. 32 ss.).
65
In questi termini, Feola, Il danno da perdita di chances, cit., p. 188 ss.
66
Ribaltato, com’è noto, in occasione del celeberrimo caso Franzese deciso da Cass. Pen.,
sez. un., 10 luglio 2002, in Il Foro it., 2002, II, c. 619 s.
67
Il riferimento è, evidentemente, allo scritto di G. Giannini, La questione del nesso
causale, la Suprema Corte e la strana regola del ciò che accade nel minor numero dei casi, in
Resp. civ. prev., 1992, p. 367 s., nota a Cass. Pen., 17 gennaio 1992, n. 371.
68
Cass. Civ., sez. III, 2 ottobre 2012, n. 16754, in Nuov. giur. civ. comm., 2013, p. 175 ss.
69
Così, Berruti, La dottrina delle Corti, cit., c. 182.
70
Cass. Civ., sez. un., 22 dicembre 2015, n. 25767, cit., p. 349 ss.
71
La sentenza cit. in nt. 68 sembra ispirarsi, riproducendo testualmente anche talune
espressioni tra virgolette, ai lavori di M. Feola, Violazione degli obblighi d’informazione
e responsabilità del medico per il danno prenatale, in Riv. crit. dir. priv., 2004, p. 611 ss.;
Ead., Essere o non essere: la Corte di Cassazione e il danno prenatale, in Danno e resp., 2005,
p. 392 ss., ed alla migliore dottrina italiana e straniera ivi cit. Riguardo al celeberrimo
126
La circolazione dei modelli dottrinali e giurisprudenziali nel «mondo comunicante»
127
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La circolazione dei modelli dottrinali e giurisprudenziali nel «mondo comunicante»
131
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104
In argomento, Favale, Il rapporto obbligatorio, cit., p. 61 ss.
105
Con specifico riguardo alle regole di imputazione della responsabilità in ambito
contrattuale e delittuale, Feola, L’obbligazione come rapporto complesso, cit., p. 191 ss.
106
Sostenuta proprio da K. Larenz fino alla IX edizione (1968) della sua opera (così,
G. Varanese, Commiato dalla teoria dei rapporti contrattuali di fatto, in Haupt, Sui
rapporti contrattuali, cit., p. 42). Il mutamento di opinione dell’esimio maestro è posto
in evidenza da H. Köhler, Karl Larenz, in Versicherungsrecht, 1993, p. 421.
107
K. Larenz, M. Wolf, Allgemeiner Teil des deutschen bürgerlichen Rechts, IX ed.,
München, 2004, p. 579.
132
La circolazione dei modelli dottrinali e giurisprudenziali nel «mondo comunicante»
133
A. Procida Mirabelli di Lauro
134
La circolazione dei modelli dottrinali e giurisprudenziali nel «mondo comunicante»
un’interpretazione unitaria dell’art. 1228 c.c. nei riguardi di tutti gli altri
ausiliari del debitore. In proposito non sembrava possibile, da un lato,
escludere che l’ausiliare del debitore potesse essere «a propria volta debitore»,
e quindi tenuto a responsabilità contrattuale nei riguardi del creditore125;
dall’altro, affermare che il medico dipendente da una struttura sanitaria
pubblica o privata (che è un ausiliare del debitore) fosse direttamente
responsabile in via contrattuale nei riguardi del paziente, in virtù di una
responsabilità da affidamento derivante dallo specifico status professionale.
Il sistema del c.d. “doppio binario” introdotto dalla l. n. 24 del 2017, che
pur è sembrato pervaso da una qualche «contraddittorietà» nella misura
in cui dispone che «il medico non risponde della propria “prestazione”
ma solo per aver arrecato danno ad altri come un quisque de populo (art.
2043 c.c.)»126, ha, però, il merito di aver ricomposto l’interpretazione
dell’art. 1228127, riconducendo anche gli operatori sanitari nel novero degli
ausiliari del debitore che, a differenza di quest’ultimo, responsabile a titolo
contrattuale e oggettivo dei loro fatti dolosi e colposi, rispondono a titolo
extracontrattuale e per colpa128. La responsabilità del debitore (la struttura
sanitaria) che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di
terzi, quindi, non può che essere contrattuale, come esattamente dispone la
recente legge di riforma, che richiama esplicitamente gli artt. 1218 e 1228
c.c. (art. 7, comma 1).
125
C. Castronovo, Ritorno all’obbligazione senza prestazione, in Eur. e dir. priv., 2009, p. 708.
126
A. di Majo, La salute responsabile, Torino, 2018, p. 10.
127
A. Procida Mirabelli di Lauro, L’obbligazione come rapporto complesso, in Riv. dir.
civ., 2018, n. 4, p. 921.
128
Per l’unanime interpretazione in tal senso, per tutti, Bianca, Diritto civile, vol. 5, cit., p. 64.
135
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136
La circolazione dei modelli dottrinali e giurisprudenziali nel «mondo comunicante»
137
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Volendo, ora, trarre qualche conclusione da alcuni dati che sono stati
esaminati nel corso di questa ricerca, è possibile affermare che la dinamica
142
Cass., Ch. Mixte, 20 décembre 1968, in Dalloz, 1969, Jur., p. 37.
143
Per una ricerca sulle ulteriori regole “equivalenti” che inducono la giurisprudenza
a qualificare la responsabilità in termini ora delittuali, ora contrattuali, Feola, Le
obbligazioni di sécurité, cit., pp. 35 ss., 222 ss. e passim.
144
Cass. Civ., I Ch., 17 janvier 1995, in Dalloz, 1995, Jur., p. 350 s., con nota di P.
Jourdain.
138
La circolazione dei modelli dottrinali e giurisprudenziali nel «mondo comunicante»
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A. Procida Mirabelli di Lauro
intensa tutela della vittima, posta al riparo (grazie al § 278 BGB) dalla prova
liberatoria del debitore prevista dal § 831 BGB in tema di responsabilità
delittuale. D’altronde lo stesso Stoll, quando distingue nitidamente lo
Schutzinteresse dal Leistungsinteresse nell’ambito di una struttura allargata di
rapporto obbligatorio, è mosso non tanto da esigenze dogmatiche, quanto
da una prospettiva esplicitamente legata ad una Interessenjurisprudenz 163
finalmente idonea a tutelare, oltre all’interesse del creditore all’esatto
adempimento, gli interessi delle parti coinvolte nel rapporto obligatorio alla
protezione della propria sfera personale e patrimoniale.
Un caso emblematico, poi, ha riguardato, in Germania, verso la metà
degli anni ’50, l’efficacia protettiva del contratto riguardo a determinati
terzi, inaugurando il nuovo inquadramento giurisprudenziale del Vertrag
mit Schutzwirkung zugunsten bestimmter Dritter, quale figura del tutto
autonoma rispetto al contratto a favore di terzi (di cui al § 328 BGB). Tale
istituto rappresenta, altresì, una delle ipotesi più significative di recezione,
da parte della nostra Suprema Corte, di un modello dottorale tedesco,
la cui applicazione, però, a differenza di quanto accaduto nel diritto
germanico, sarà essenzialmente limitata alle fattispecie di responsabilità
del medico per il danno prenatale. Nei casi di condotta commissiva del
ginecologo che compie un’erronea “manovra” nel corso del parto164, o di
somministrazione di farmaci contro la sterilità potenzialmente teratogeni,
in assenza della dovuta informazione sui rischi conseguenti165, legittimerà
il minore nato malformato ad agire direttamente (mediante i suoi legali
rappresentanti) nei riguardi dei sanitari al fine di ottenere il risarcimento
integrale dei danni biologico, morale e/o esistenziale. Nel caso di mancata
o erronea informazione nei riguardi della gestante, privata del suo diritto di
autodeterminazione nella scelta procreativa, legittimerà il marito166 e, poi,
anche i fratelli e le sorelle167 del bambino nato malformato ad ottenere il
risarcimento del danno morale e/o esistenziale168.
163
Un esplicito riferimento alla giurisprudenza degli interessi è proprio nel § 2 del
cap. IV che, non a caso, è intitolato: «La lesione degli interessi come fondamento della
costruzione sistematica» (Stoll, Commiato, cit., p. 24).
164
Cass. Civ., sez. III, 22 novembre 1993, n. 11503, in Giurisprudenza italiana, 1994,
I, 1, c. 557 s.
165
Cass. Civ., sez. III, 11 maggio 2009, n. 10741, in Diritto e giurisprudenza, 2010, p.
108, con nota di M. Feola.
166
Cass. Civ., sez. III, 29 luglio 2004, n. 14488, in Danno e resp., 2005, p. 379 ss.
167
Cass. Civ., sez. III, 2 ottobre 2012, n. 16754, in Nuova giurisprudenza civile
commentata, 2013, p. 178.
168
Per un’esplicita qualificazione in termini di danno esistenziale, Cass. Civ., sez. III, 4
142
La circolazione dei modelli dottrinali e giurisprudenziali nel «mondo comunicante»
gennaio 2010, n. 13, in Danno e responsabilità, 2010, p. 699, con nota di M. Feola, La
Cassazione e il diritto del minore «a nascere sano».
169
K. Larenz, Anmerkung a BGH, 25 aprile 1956, in Neue Juristische Wochenschrift,
1956, p. 1193 s. La soluzione era stata già anticipata nella prima edizione del suo trattato
(Id., Lehrbuch des Schuldrechts, I, Allgemeiner Teil, München, 1953, p. 139 ss.).
170
J. Gernhuber, Drittwirkungen im Schuldverhältnis kraft Leistungsnähe, in Festschrift
für Arthur Nikisch, Tübingen, 1958, p. 249 ss.
171
Ivi, p. 250 s.
172
BGH, 25 aprile 1956, cit., p. 1194.
173
W. Wussow, Das Unfallhaftpflichtrecht, V ed., Berlin-Köln, 1954, p. 239.
174
BGH, 15 maggio 1959, in Neue Juristische Wochenschrift, 1959, p. 1676.
175
R.-A. Hirth, Die Entwicklung der Rechtsprechung zum Vertrag mit Schutzwirkung
zugunsten Dritter in ihrer Bedeutung für den Ausgleich von Drittschäden im Zahlungsverkehr,
Berlin, 1991, p. 27 s.
143
A. Procida Mirabelli di Lauro
144
La circolazione dei modelli dottrinali e giurisprudenziali nel «mondo comunicante»
184
BGH, 10 gennaio 1968, in Monatsschrift für Deutsches Recht, 1968, p. 402.
185
BGH, 10 gennaio 1968, cit., p. 403.
186
RG, 7 dicembre 1911, in Entscheidungen des Reichsgerichts in Zivilsachen, 1912, 78, p. 239 ss.
187
Così, C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, III ed., Milano, 2006, p. 552 s.
145
A. Procida Mirabelli di Lauro
146
La circolazione dei modelli dottrinali e giurisprudenziali nel «mondo comunicante»
tutela risarcitoria della vittima dagli esiti del giudicato penale e dalla prova,
quasi sempre diabolica per il paziente o per i suoi aventi causa, del rapporto
di causalità tra la condotta e l’evento192.
Così, in Italia, la Cassazione penale nel caso Baltrocchi193 utilizzerà
l’autorevolezza del pensiero di F. Stella194, ampiamente e testualmente citato
nel corso della sentenza, per invertire quella tendenza lassista che, a seguito
del caso Melis195 e della giurisprudenza c.d. del 30%196, aveva vulnerato, in
sede di giudizio controfattuale, il «principio di legalità e di tipicità delle fonti
di responsabilità penale, rischiando, nei casi più macroscopici, di attentare
al principio di personalità della responsabilità penale»197. Il revirement
giurisprudenziale, che dopo alterne vicende sfocerà nel celeberrimo caso
Franzese, consegue un duplice risultato: da un lato ristabilire, in sede di
processo penale, in ossequio al favor pro reo, un giudizio di «“alto o elevato
grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”»198, sulla base di una
prova fornita «al di là di ogni ragionevole dubbio»199; dall’altro, sulla scia
dell’esperienza francese, determinare la divaricazione200 della giurisprudenza
civile da quella penale in materia di prova della causalità, confermata dalla
ricezione della figura del danno da perdita di chances e dal celeberrimo
dictum delle Sezioni Unite che introduce, in sede civile, il diverso principio
147
A. Procida Mirabelli di Lauro
148
La circolazione dei modelli dottrinali e giurisprudenziali nel «mondo comunicante»
149
A. Procida Mirabelli di Lauro
213
Cass. Civ., sez. un., 2 dicembre 2015, n. 25767, cit., p. 349 ss.
214
D. Mazeaud, Régards sur l’influence de la doctrine sur la Cour de cassation en droit des
obligations, in Giureconsulti e giudici, I, cit., p. 193 ss.
215
Introdotto da Cass. Civ., sez. III, 26 luglio 2017, n. 18392, in Danno e resp., 2017,
p. 696 ss., con nota di D. Zorzit, La Cassazione e la prova del nesso causale: l’inizio di
una nuova storia? Oltre alle ulteriori sentenze del 7 dicembre 2017, n. 29315 (Cass. Civ.,
sez. III), in Pluris, e del 15 febbraio 2018, n. 3704 (Cass. Civ., sez. III), ivi, molte altre
decisioni assumono la forma dell’ordinanza: ad es., Cass. Civ., sez. III, 13 luglio 2018,
n. 18540, in Pluris; Cass., sez. III, 19 luglio 2018, n. 19204, ivi; Cass. Civ., sez. III, 22
agosto 2018, n. 20905, ivi; Cass. Civ., sez. III, 13 settembre 2018, n. 22278, ivi; Cass.
Civ., sez. III, 20 novembre 2018, n. 29853, www.dejure.it.
150
La circolazione dei modelli dottrinali e giurisprudenziali nel «mondo comunicante»
151
A. Procida Mirabelli di Lauro
incerta e/o ignota. Tale orientamento, censurato anche dagli Autori che
qualificano l’obbligazione sanitaria come obbligazione “di mezzi”223 o con
“risultato indeterminato”224, oltre a rappresentare un regresso rispetto alla
stessa giurisprudenza sulle prestazioni c.d. routinarie225, viola gli artt. 1218
e 2697 c.c. e disattende la recente riforma della responsabilità sanitaria (l.
n. 24 del 2017) la quale ha inteso collocare in ambito extracontrattuale la
sola responsabilità dell’ausiliare del debitore, ma in ambito contrattuale la
responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata, concedendo anzi
al creditore danneggiato un’azione diretta nei riguardi dell’assicuratore del
debitore (art. 12, comma 1).
Questi esempi hanno cercato di illustrare le dinamiche circolatorie tra
dottrina e giurisprudenza, pur nella consapevolezza delle difficoltà, ma
anche del fascino, di una ricerca condotta su paesi che non professano la
citazione esplicita (Epicuro a parte!), ma nei quali è risultato evidente come
i giudici, pur senza rivelare la fonte bibliografica, fondino la loro decisione
sulle diverse posizioni della dottrina. La giurisprudenza di legittimità, più
che essere influenza dal prestigio di un certo Autore, dal “rigore” delle sue
argomentazioni e costruzioni sistematiche, spesso sembra recepire (pur
sempre da una dottrina, sovente militante) quegli orientamenti che, nel caso
concreto, sono funzionali a realizzare un proprio ed autonomo disegno di
politica del diritto. Allora lo stesso discorso giuridico sulle obbligazioni, sui
contratti, sui modelli di responsabilità e, più in generale, sugli istituti del
diritto civile trascende il piano della pura dogmatica e risulta comprensibile
soltanto sulla base delle scelte di policy effettuate dalle Corti in ordine al
concreto assetto degli interessi divisati, in considerazione delle peculiari
caratteristiche sistemiche che sono proprie di ciascun diritto.
223
Ad es., di Majo, La salute responsabile, cit., p. 15 ss.; G. D’Amico, Il rischio della “causa
ignota” nella responsabilità contrattuale in materia sanitaria, in Danno e resp., 2018, p. 357.
224 Così, F. Piraino, Il nesso di causalità materiale nella responsabilità contrattuale e
la ripartizione dell’onere della prova, in Giurisprudenza italiana, 2019, p. 709 ss. Ma
l’orientamento della Terza Sezione ha raccolto molteplici altre critiche: R. Pardolesi, R.
Simone, Tra discese ardite e risalite: causalità e consenso in campo medico, in Il Foro it., 2018,
I, c. 3582 ss.; Id., Nesso di causa e responsabilità della struttura sanitaria: indietro tutta!, in
Danno e resp., 2018, p. 10 ss.; A. Procida Mirabelli di Lauro, M. Feola, La cooperazione
mancata: sopravvenuta impossibilità della prestazione e imputabilità dell’inadempimento, in
Comparazione e diritto civile, 2019, p. 33 ss.; M. Magliulo, R. Pardolesi, Pluralità di nessi
di causa e paziente allo sbaraglio, in Danno e resp., 2019, p. 256 ss.
225
Introdotta da Cass. Civ., 21 dicembre 1978, n. 6141, in Il Foro it., 1979, I, c. 4.
152
Vincenzo Zeno-Zencovich
A Normative Metastasis? *
1. Introduction
153
V. Zeno-Zencovich
e) While in the human body one can try to stop the fatal consequences
of cancer through chemo-radiotherapy and/or removal or amputation,
there does not appear to be, presently, a remedy to normative metastasis.
It might appear contradictory if not hypocritical that a lawyer denounces
the excesses of normativism, which is tantamount to biting the hand that
feeds him. A disclaimer is therefore necessary. The author, having given, as
many other lawyers engaged in institutional counselling, his contribution to
the increase in the production of norms is in no position to point his finger
against anybody or against a system of which he is – albeit in a minuscule
fraction – part. This paper more simply aims at highlighting a significant
problem of contemporary societies. There are no culprits or villains. There
is however a dominant idea – rather, a dominant ideology – which sets
norms above everybody and everything. Seen from a lawyer’s point of
view normative metastasis raises ethical issues on the role of lawyers in
society. Seen from outside normative metastasis could be one of the factors
that generate anti-institutional behaviours and movements in developed
societies1. Or, seen from the other way around, proliferation of norms is
seen as an expression of complexity and specialization which one wants
to eliminate through a drastic simplification, i.e. it is in the eyes of the
beholder. It is important to clarify at the outset that this topic will be
discussed with reference only to Western democratic legal systems, and
specifically the European and North-American areas which share common
values and law making processes.
154
A Normative Metastasis?
155
V. Zeno-Zencovich
the number of norms in force in a system, and that one can infer from such
quantification largely shared conclusions5.
One can therefore limit oneself to a few factual elements.
a) Institutions are created by norms and their main, if not exclusive, raison
d’être is producing norms. Each time a new institution is created – at
a local national, supra-national, international level – it is tantamount
to the creation of a new factory. One indicator one can look at is
the multiplication of norm-producing entities. The common term is
that of “sources” of the law. Once they were reasonably determinable.
Presently the list is countless.
b) The multiplication of such entities is, largely, the result of the
“unbundling” of law and norm-making monopolies. Since the early
19th Century, especially in Europe, law and norm-making was the
prerogative of Parliament and of Government, centralized entities
which had a physiological output6. Decentralization (“devolution”)
of public powers with the goal – perfectly legitimate – of bringing
institutions nearer to communities has generated local parliaments and
governments, to which one must add to municipal entities. Specialized
branches of administration – typically so-called independent regulatory
agencies – have been set up to govern complex economic sectors
(financial markets, telecommunications, energy, etc)7.
for 1990; 1939 for 2000; 1690 for 2010; 2023 for 2018. It would appear therefore
that the yearly output has not significantly increased. This should not, however, lead to
the conclusion that production of norms is stable. First of all, not all texts are equal in
length and complexity. Secondly the data indicates that in the last 20 years nearly 40.000
legal texts have been added to the EU legal environment. One should then consider the
interaction with the legal system of the Member state.
5
For a clear summary of the different approaches and of the controversies surrounding
them see the International Encyclopedia of Social Sciences (2nd ed.), ad vocem Quantification,
Farmington Hills, Michigan, p. 655. See also V. Zapatero Gòmez, The Art of Legislating,
Heidelberg, 2019 who titles the paragraph (at p. 16) “The Alleged Inflation” (the only
conclusion that can be reached is that «In absence of precise studies that measure the
normative density of our societies with reliable methodologies, the partial and provisional
data available allow us to confirm that the number of norms that have been poured out
daily on our societies has certainly grown»).
6
See R. Savatier, L’inflation législative et l’indigestion du corps social, in Dalloz, 1977,
chron., 43 (and republished in Il Foro it., 1977, V, 174).
7
Carbonnier, Droit et passion du droit sous la Ve République, cit., p. 30 ff. calls it
«l’invasion du droit bureaucratique». On a US/EU comparison see R.W. Hahn, R.E.
Litan, Counting Regulatory Benefits and Costs: Lessons for the U.S. and Europe, (2005) 8
Journal of International Economic Law 473.
156
A Normative Metastasis?
157
V. Zeno-Zencovich
during their lifetime. They influence the way subsequent norms are
interpreted. They create a layer on which the new norms are built. It
takes decades, if not more, before they fall completely in disuse and are
of mere historical interest. Metaphorically, it is like on the road where
we find ultra-modern vehicles but also automobiles that are decades
old and are regularly used.
f ) If one looks at the production of norms from an institutional
market perspective one can suggest that what appears to be an “over-
production” actually is the response to very high demand of norms
which drives the system.
Norms are not the solipsistic result of institutions insulated from reality
but follow a request from society. In contemporary Western societies norms
are seen as granting rights and privileges to various groups of stakeholders.
Norms set the balance between competing interests, and pressure groups
and lobbies work in order to obtain new norms or to shift the existing
balance in their favour. Interests are mainly economic – such as in regulated
markets – but also in non-economic matters (e.g. religious affairs) there
are issues of status and of ideology that beg for a legal recognition10. In
many societies, norms create a comfort-zone for those citizens who believe
that a well-ordered society is based on a widespread regulation of human
activities11. And the growing social request for “safety” and “security” is
used as an argument for “n’importe quoi” laws12. To all this one must add
the interaction between science and regulation: scientific procedures are
regulated; scientific procedures become regulations themselves.
As one can see there are extremely complex and reasoned justifications
for the multiplication of norm-producing entities and therefore of norms.
One can simply acknowledge the phenomenon without, however, been able
to state, undisputedly, that the number of norms is excessive. Is it possible
to assess or forecast that society would be more efficient if there were fewer
norms? When over 30 years ago the term “deregulation” became politically
10
Carbonnier, Droit et passion du droit sous la Ve République, cit., p. 124 speaks of
«projection désordonnée d’une infinité de passions individuelles, en rivalité entre elles,
ego contre ego. Chaque droit subjectif arrive à la lumière armé d’une action en justice,
débordant de prétentions nouvelles».
11
The term “norm” immediately suggests that of “normal”: see M. Foucault, Sécurité,
Territoire, Population, Paris, 2004, p. 59: «Si la loi se réfère à une norme, la loi a donc
pour rôle et fonction de codifier une norme (…), j’essaie de repérer comment, en dessous,
dans les marges et peut-être même à contresens d’un système de la loi se développent des
techniques de normalisation».
12
G. Carcassonne, Penser la loi, in Pouvoirs, 2005, 114, p. 39.
158
A Normative Metastasis?
fashionable it seemed that the tide might be turned. Experience tells us that,
as often happens, ideological manifestos are not followed by facts. At any
rate the term “deregulation” is a useful sign to detect the willingness – or
its opposite – of a community to give up norms and substitute them with
individual freedom.
Until now one has used the term “norm” in very general and generic
way. In the first place it is quite common to add to the term a specification
which should better qualify it: “legal”, “technical”, “social” etc13. And among
legal philosophers there is an extremely heated debate – which is long-dated
and to which great names have given their contribution – on what we
actually mean for “norm”, in particular on the level of its binding nature to
be considered such14.
For the purpose of this paper one will adopt an analytical definition
common to legal informatics. When one has to translate a norm into a
computer program it necessarily has to be broken down to its elementary
components. Each variation is a different norm15. One easily understand
13
See H. Hydén, M. Svensson, The Concept of Norms in Sociology of Law, (2008)
53 Scandinavian Studies in Law 15 who (at p. 25) distinguish, from their viewpoint,
between “Legal”, “Social”, “Technical”, “Economical”, “Bureaucratic” norms. This
classification may not be appropriate from a legal point of view because «the two
epistemological systems compete in the explanations of one and the same problem» (at
p. 28). The approach followed here is strongly influenced by the many writings on these
topics of Jean Carbonnier. In the first place that «le droit se prête à une multiplicité de
definitions» (‘Il y a plus d’une definition dans la maison du droit’, in (1990) 11 Droits
5. A view that is shared among many, not only French, scholars: see R. Draï, ‘Mémoire
du droit’, (1990) 11 Droits 17 («Définir le droit c’est s’affronter à une tache presque
impossible»). This is not a novelty: «Jurists are still without a complete definition of the
idea of right» (I. Kant, Critique of pure reason, Trascendental doctrine of method, Ch. 1, § 1
(1781). And, from a legal realist perspective «The ‘nature of the law’ is the main problem
of jurisprudence» (A. Ross, On Law and Justice, Berkeley, 1959, p. 11).
14
In Anglo-American literature there is, very often, a strong insistence on the differences
between “norm” and “law”: see e.g. S. Levmore, Norms as Supplements, (2000) 86 Virginia
Law Review 1989. For the purposes of this paper we shall consider “norms” binding
propositions, in which the binding nature is not only in an explicitly legal context, but
also when compliance is imposed de facto (typically through technological devices). From a
European perspective see Pino, La norma giuridica, cit., chapters from 1 to 3.
15
Thanks to the pioneering works of V. Frosini (ex multis Cibernetica, diritto e società,
159
V. Zeno-Zencovich
that if one follows such an approach even a short legal text can contain a
number of norms: let us take the 1st Amendment to the US constitution
or the classical provision of article 711 of the Code Napoléon: «Ownership
in goods is acquired and transmitted by succession, by donation between
living parties, or by will, and by the effect of obligations». Both provisions
can be broken down in multiple norms: the first in at least six, the second
in at least eight.
The problem is that no norm stands by itself, but is immersed in a legal
environment in which there are paramount rules (e.g. the Constitution),
other rules that are placed on the same level, norms that claim they are the
implementation of others; procedural norms et caetera16.
Constantly – and this is the main task of any lawyer under any sky – one
must combine norm N with norm N1 to Nn.
Each of these operations gives birth to new norms17. Hypothetically one
could imagine unlimited number of combinations between all the existing
norms. In practice this is improbable, but one finds areas – typically in
judicial procedures – in which the interaction is constant and generates an
inextricable thicket which troubles lawyers and judges.
For this reason, it makes little sense to try to measure “how many
norms” exist because only experience can tell us what combinations arise.
The issue becomes even more complex when one considers case-law,
and not only in common law jurisdictions18. Apparently, a judicial decision
Milan, 1968), and of M.G. Losano (Giuscibernetica: Macchine e modelli cibernetici
del diritto, Turin, 1969) legal informatics have had an extraordinary flourish in Italian
jurisprudence. For some of the many analysis of the IF/THEN logic applied to legal
norms see R. Borruso, S. Russo, C. Tiberi, L’informatica per il giurista. Dal bit a
Internet, 3a ed., Milan, 2009, p. 83 ff.; G. Sartor, L’informatica giuridica e le tecnologie
dell’informazione, 3a ed., Turin, 2016, p. 74 ff.
16
See V. Cyras, F. Lachmayer, Legal Norms and Legal Institutions as a Challenge for
Legal Informatics, in A. Aarnio et al. (eds.), Positivität, Normativität und Institutionalität
des Rechts. Festschrift für Werner Krawietz, Berlin, 2013, p. 581 («Legal norms are
interpretative products whereas legal documents are tangible products and are represented
according to documentary rules»).
17
This phenomenom has been described as “autopoiesis”: see G. Teubner (ed.),
Autopoietic Law – A New Approach to Law and Society, Berlin, 1988, 2, quoting
Maturana: «Law, like other autopoietic systems, is nothing but an ‘endless dance of
internal correlations in a closed network of interacting elements’». Teubner however sees
autopoiesis as the effect of closed systems, which surely – both de iure and de facto – is
not the case in Western legal tradition. «Les normes continueront d’enfanter d’autres
normes» (Carbonnier, Droit et passion du droit sous la Ve République, cit., p. 51).
18
Law is «a concept which comprises statute law as well as case-law» (ECtHR, Varvara v.
Italy, 29.10.2013, § 55). According to the ECtHR not only case-law but also «hardened
160
A Normative Metastasis?
stands by itself, in the sense that it decides the issue presented to the court
and should apply only to the parties of the case. But we know that, regularly,
case-law modifies, supplements and even suppresses an existing norm whose
content cannot be established without considering its judicial interpretation
and the unlimited variations in which the case can present itself19.
Henceforth a further element: not only do norms combine with other
norms generating new and different norms, but each time a norm is the
object of a judicial decision new norms are created.
One could imagine a “fertility rate” of each norm taking into account its
aptitude to reproduce itself. This has also to do with the drafting of the text
and the possibility of unintended consequences related to the controversies
that arise.
The main result of this endogenous process of normative reproduction
is that of considerable uncertainty: the meaning of norm A can be clear,
but when it is combined with norms B, C, D and N, the variables in
interpretation are endless.
The common example – but one could call it the “common nightmare”
– in any jurisdiction is that of taxation law in which every taxpayer is
constantly in doubt whether he or she has correctly filled the form and paid
what is due20.
One should therefore consider what are, for each norm, the costs of
compliance, enforcement, litigation, and sanction.
Apparently, this seems an impossible task. However, one can extract
some indicators from the number of people who are employed in order to
ensure compliance with the normative framework; if it has increased over
the years; what is the cost, in percentage, in the balance sheets.
From an economic point of view there are further elements to be consid-
ered: if and what is the competitive advantage – in a perspective of interna-
tional trade and of foreign direct investment (FDI) – for operating in a less
burdensome legal environment. And to what extent is the cost of compli-
ance passed on to the final consumers/users of the product or of the service.
soft law is a source of law with ‘considerable importance’ or ‘great weight’ in European
human rights law» (Mursic v. Croatia, 20.10.2016, § 61).
19
Carbonnier, ult. op. cit., p. 59 ff. speaks of “jurisprudence comme parole” (du droit)
and of “jurisprudence comme action”.
20
See C.C. Evans, B.Tran-Nam, Towards the Development of a Tax System Complexity
Index, UNSW Australian School of Business Research, Paper No. 2013 TABL 1001.
Available at SSRN. Retrieved 25 November 2019, https://ssrn.com/abstract=2216322; E.
Cauble, Superficial Proxies for Simplicity in Tax Law, (2019) 53 University of Richmond
Law Review 329.
161
V. Zeno-Zencovich
162
A Normative Metastasis?
163
V. Zeno-Zencovich
4. The metastasis
164
A Normative Metastasis?
Western capitalistic model. Together with their products and services Western
states and business entities tend to export legal models which surround their
sale, distribution, production, and protection. The basic argument is that a
country is developed if it has a complex legal system which mirrors Western
ones. This expansion of normative production in non-Western countries is
strongly encouraged, if not imposed, by international organizations such as
the International Monetary Fund and the World Bank28.
If the tendency to create norms is an ineradicable feature of Western
mankind, criticism towards what appears to be an excessive production of
norms is scarcely effective since its roots go too deep in the past and in the
development of our society. The debate therefore shifts from “how much”
to the quality of norms and their coordination as a system29.
165
V. Zeno-Zencovich
166
A Normative Metastasis?
In the first place one must consider that philosophy of law plays a
fundamental role in how the system is shaped. The European view of “rule
of law” is significantly different from the Anglo-Saxon template and is
properly qualified as État de droit or Rechtsstaat where the accent goes on the
State as nearly exclusive producer of laws or franchisor of normative powers.
The liens with dominant political theory – throughout Europe, irrespective
of North or South, continental or insular – are clear.
In the US the continuing role of legal realism and the very limited
influence of European political theory inevitably enhance a sociological
approach which , pour cause, on social norms.
In Europe to study the legal process we shall begin from popular
sovereignty. In the US one can start from the case of a load of cantaloupe
melons gone rotten34.
The second aspect that one can point out is the schizophrenic
relationship that Europeans have with legal norms: invoked as a factor of
order and of conferral of benefits, but at the same time despised as the
expression of an institutional Moloch35.
This can be paralleled with a widespread hypocritical US tendency
to vilify regulation but then introduce it without hesitations36. But even
without applying anthropomorphic categories to social bodies – the
directions in which the analysis moves are quite different. If one were to
apply a quantitative approach one can easily understand that the US federal
Regulation, Oxford, 2014 in the chapter devoted to ‘Comparative Legislative Drafting’
(p. 199 ff.) pointing out how strong clichés still are in the trans-Atlantic dialogue.
34
The latter reference is to the case which opens H.M. Hart’s, A.M. Sacks’ casebook
The Legal Process: Basic Problems in the Making and Application of Law, New York, 1994.
35
For a strong defence of EU legislative production see E. Van den Abeele, ‘Better
Regulation’: A Bureaucratic Simplification with a Political Agenda, ETUI Working
Paper 2015.04. Retrieved 25 November 2019, https://ssrn.com/abstract=2628067 who
forcefully makes the point: «Europe is not a cost. It is the absence of Europe that costs
dear, by preventing entrepreneurs, citizens, workers and consumers from seizing all the
opportunities of the internal market. Regulatory work remains to be done in areas such as
social protection, sustainable development, energy, the digital economy, financial services
and international trade» (at p. 74). The Author also (p. 5) states that «Studies into the costs
of regulations are one-sided and mostly tend to exaggerate the results, which also allows the
expected benefits of deregulation to be inflated».
36
The exaltation of social norms is challenged, at least with regards to corporations, by
J.C. Coffee Jr., Do Norms Matter? A Cross-Country Evaluation, (2001) 149 University
Pennsylvania Law Review 2151. And from a very practical point of view it is sufficient
to try to find one’s path through the 1601 sections of the Dodds-Frank Act or the 1107
sections of the Sarbanes-Oaxley Act to understand that in corporate law and in securities
markets legal norms are absolutely paramount.
167
V. Zeno-Zencovich
system, with its two layers of government (state and federal) and of courts,
has an enormous normative output, but this does not appear to be perceived
as a problem. Apparently, society (both citizens and entities) and legal
scholars can cope with intricate systems without having to invoke every day
a drastic simplification.
Legal culture is therefore extremely important and so is comparing its
features on both sides of the Atlantic; between the Anglo-Saxon world and
other Western cultures; between North and Southern Europe; between
Latin America on one side, and Europe and the US on the other. This
comparison goes well beyond the traditional common law/civil law cliché (a
divide which appears to be quite immaterial in this case) and points at the
general Weltanschauung of the legal community: the studies its members
have made, their exposure to political and social theories, the role they feel
they have in society and vis-à-vis the institutions37.
A good example could be the widespread literature one finds on the topic
in France and in French speaking countries, not only among lawyers but also
among social scientists. Can one establish a link with the very elaborate and
sophisticated philosophical trends expressed by authors who have had a wide
influence on intellectual milieus such as Sartre, Althusser, Foucault, Derrida,
Deleuze? In that case one could say that the problem is not with norms, their
number and pervasiveness, but with the way one looks at them.
The fact that vast regions (Europe and the US) which share common
values and have reached similar levels of social and economic development
have rather distant perceptions of the phenomenon of norm inflation is
revealing of long lasting and deep differences. The issue of “normative
metastasis” is, really, not a substantial one and the views one has on it may
be considered immaterial. What we are interested in is, instead, detecting
common grounds where one can move ahead on the assumption that pre-
comprehension allows reaching a certain solution. And other areas where
such an agreement is extremely difficult because the way the problem is seen
is substantially different. Comparative research must therefore focus not only
on objective features – norms and their application – but on highly subjective
and volatile aspects, such as perceptions, directions, forecasts, priorities38.
37
«Legal principles sometimes serve a characterizing rather than a normative function:
they tell us about the character of a legal system rather than giving us instructions about
how to deal with difficult cases» (J. Waldron, Non-Normative Principles, available
online at SSRN. Retrieved on 25 November 2019, https://papers.ssrn.com/sol3/papers.
cfm?abstract_id=3463964).
38
This is the approach favoured by P. Legrand in his vast recent writings. Ex plurimis
see his latest book Negative Comparative Law, London, 2019. The nihilist conclusion
168
A Normative Metastasis?
6. Is there a cure?
169
V. Zeno-Zencovich
170
A Normative Metastasis?
d) Digital response (1): The most obvious reply to the complexity of the
normative system is that of finding a digital answer, which thoroughly
simplifies the detection of the solution to the problem. An example is
that of expert taxation systems: once one has inserted the individual
data, the system elaborates them according to the applicable rules
and turns out the correct result. From this point of view, it is quite
irrelevant whether the norms are 1 or 1000, because the work is done
by a computer and not by humans. One could even maintain that more
are the norms, more precise is the result. This way out is, apparently,
easy and coherent with our times. It presents, however, a series of
drawbacks. In the first place we have been well aware, since the last 20
years, that “code is the law”46. Gradually, digital applications direct the
action of individual and entities, compliance is with pre-determined
digital patterns (the typical example is that of the fields of an online
form which must be filled in order to obtain a certain result). Norms
are substituted by binary codes, lawyers by informaticians47. The main
questions are to what extent the digital result is the same, and what
is the influence of the constraints of programming48. There is also
an issue of transparency and accountability which is becoming of
increasing importance in relation to algorithms: what are the political,
economic, social assumptions underlying them? Efficiency, fairness,
social justice? The “gentle nudge” that comes from digital applications
perhaps may solve the issue of normative over-production but opens
that of control over digital decision-makers. Should the solution be
found in new norms for the digital world?
e) Digital response (2): Can other digital technologies be of assistance
to simplify, and rationalize the normative thicket, and offer new
methods in drafting norms? Over the last four decades jurimetrics
has attempted to offer the appropriate tools in order to organize the
system. One of its branches, legimatics or computing for legislation
is aimed at suggesting computer assisted procedures in the legislative
States of the European Union is wasted on unnecessary administrative burdens on
business enterprises».
46
The obvious reference is to L. Lessig, Code and other laws of cyberspace (2006 edition),
available at codev2.cc
47
For a typical, and very debated, contemporary issue see M. Eriksson, The Normativity
of Automated Driving: A Case Study of Embedding Norms in Technology, (2017) 26
Information & Communications Technology Law 46.
48
E. Micheler, A. Whaley, Regulatory Technology: Replacing Law with Computer Code,
(2019) European Business Organization Law Review 1.
171
V. Zeno-Zencovich
172
A Normative Metastasis?
173
Ermanno Calzolaio
1. Rilievi preliminari
175
E. Calzolaio
176
Il ruolo della giurisprudenza come fonte normativa tra civil law e common law
177
E. Calzolaio
2. La dicotomia delle fonti nel diritto inglese e i caratteri del case law
8
Il riferimento, in particolare, è alle modifiche del giudizio di cassazione che si sono
succedute negli ultimi anni, a partire dal d. lgs. n. 40 del 2 febbraio 2006 e, poi, dalla l.
18 giugno 2009, n. 69 (su cui sia consentito rinviare a E. Calzolaio, Riforma del processo
di cassazione e precedente giudiziale: riflessioni nella prospettiva della comparazione “civil law-
common law”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, p. 1003 ss.), fino al d.l. 22 giugno 2012, n.
83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134 che ha nuovamente modificato l’art. 360 c.p.c. n. 5,
nonché alla disciplina organica del processo amministrativo (denominata, appunto, codice
del processo amministrativo: d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104), che pure contiene interessanti
novità circa il ruolo delle sentenze rese dalla adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
9
«La jurisprudence est donc une source de droit, tout en ne l’étant pas, bien qu’elle le
soit. Tout cela n’est pas clair»; così, P. Malaurie, La jurisprudence parmi les sources du
droit, Paris, 2006, p. 479.
178
Il ruolo della giurisprudenza come fonte normativa tra civil law e common law
179
E. Calzolaio
180
Il ruolo della giurisprudenza come fonte normativa tra civil law e common law
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E. Calzolaio
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Il ruolo della giurisprudenza come fonte normativa tra civil law e common law
183
E. Calzolaio
184
Il ruolo della giurisprudenza come fonte normativa tra civil law e common law
27
«Had Parliament intended Part 1 of Chapter 1 of the 2006 Act to bind the Crown,
nothing would have been easier than to insert such a provision into that Part» (ivi, n. 48).
28
Solo per fare un esempio, la Corte di cassazione ha superato la lettera dell’art. 2941 n.
1 c.c. ritenendo che la sospensione del termine prescrizionale tra i coniugi non opera in
caso di separazione personale, sulla scorta della seguente argomentazione: «Ritenuto che
l’esistenza di una chiara formulazione grammaticale della norma non è sufficiente per
limitare l’interpretazione all’elemento letterale, occorrendo, altresì, che il senso reso palese
dal significato proprio delle parole, secondo la loro connessione, non si ponga in contrasto
con le argomentazioni logiche sull’intenzione del legislatore; ritenuto che da tempo è
divenuto desueto il noto canone in claris non fit interpretatio e l’art. 12 disp. prel. c.c. non
privilegia più il criterio interpretativo letterale perché, facendo riferimento alla intenzione
del legislatore, evidenzia un riferimento essenziale alla coerenza della norma e del sistema;
ritenuto che la dottrina e la giurisprudenza dominanti hanno rilevato l’inadeguatezza della
stessa idea di interpretazione letterale, dovendo l’interpretazione della legge avere anche una
funzione evolutiva ed adeguatrice; ritenuto, altresì, che in tema di sospensione del termine
prescrizionale, il diritto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento tra coniugi
separati (o divorziati), avente ad oggetto più prestazioni autonome, distinte e periodiche, si
prescrive non a decorrere da un unico termine, bensì dalle singole scadenze di pagamento;
ritenuto, infine, che la norma di cui all’art. 2941, n. 1 c.c. vada ormai inquadrata nel
generale e progressivo fenomeno di valorizzazione delle posizioni individuali dei membri
della famiglia rispetto al principio della conservazione dell’unità familiare: ritenuto tutto
quanto precede, deve ritenersi che in tema di diritto del coniuge separato (o divorziato)
beneficiario di un assegno di mantenimento, alla luce dell’evoluzione del quadro normativo
e della coscienza sociale, la sospensione della prescrizione non opera nell’ipotesi di
separazione personale tra coniugi di cui all’art. 2941 c.c.» (Cass. Civ., sez. I, 4 aprile 2014,
n. 7981, in Diritto di Famiglia e delle Persone, 2014, I, p. 1070).
185
E. Calzolaio
186
Il ruolo della giurisprudenza come fonte normativa tra civil law e common law
187
E. Calzolaio
«valore di atti fonte del diritto di provenienza dal giudice: soluzione non
certo coniugabile con il precetto costituzionale dell’art. 101 Costituzione».
La Corte si chiede però se ciò valga anche nei casi di un mutamento
di giurisprudenza che attiene ad una regola del processo «con effetto
preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte che sulla stabilità del
precedente abbia ragionevolmente fatto affidamento». In queste ipotesi,
il «valore superiore del giusto processo» impone che sia tutelato tale
affidamento, attraverso l’istituto della remissione in termini o, se ciò non è
concretamente possibile, attraverso la «esclusa operatività della preclusione
derivante dall’overruling nei confronti della parte che abbia confidato nella
consolidata precedente interpretazione della regola stessa»: infatti, «se è pur
vero che una interpretazione giurisprudenziale reiterata nel tempo che sia poi
riconosciuta errata, e quindi contra legem, non può, per la contraddizione
che non lo consente, essere considerata la lex temporis, vero è però anche che,
sul piano fattuale, quella giurisprudenza ha comunque creato l’apparenza
di una regola, ad essa conforme. Per cui, anche per tal profilo, viene in
rilievo l’affidamento in quella apparenza riposto dalla parte. Affidamento,
ovviamente, tutelabile non oltre il momento di oggettiva conoscibilità (da
verificarsi in concreto) dell’arresto nomofilattico di esegesi correttiva».
Questa sentenza ha dato avvio ad un orientamento ormai granitico. La
semplice consultazione di qualsiasi banca dati fa emergere che il termine
“overruling” è utilizzato in oltre mille sentenze della Corte di cassazione tra
il 2011 e il 2019, senza contare tutte le sentenze di merito e le non meno
numerose pronunce dei giudici amministrativi. La regola che si è affermata
può essere enunciata nel modo che segue: i mutamenti di giurisprudenza
pronunciati dalle sezioni unite della Corte di cassazione hanno effetto solo
per il futuro ogni volta che rechino una nuova interpretazione di norme
processuali che implica una limitazione del diritto di difesa della parte33. La
33
V. ad esempio Cass. Civ., sez. un., 20 giugno 2012, n. 10143, www.dejure.it, che
risolve un contrasto di giurisprudenza e modifica l’interpretazione dell’art. 82 r.d. n.
37 del 1934 secondo cui l’avvocato ha l’onere di eleggere domicilio nel luogo dove ha
sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso e, in difetto, l’elezione
di domicilio si intende presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria, ove sono
legittimamente eseguite le comunicazioni e le notificazioni. Facendo leva sul mutato
contesto normativo, in base al quale ora l’avvocato deve indicare, al momento della
costituzione in giudizio, un indirizzo di posta elettronica certificata, la Corte è giunta a
ritenere che l’elezione di domicilio presso la cancelleria prevista dall’art. 82 cit. vale solo
nel caso in cui l’avvocato non abbia indicato il proprio indirizzo di posta elettronica
certificata. In tale contesto, la Corte, facendo leva sulla sentenza Cass. Civ., sez. un.,
11 luglio 2011, n. 15144, cit., afferma che l’interpretazione di una disposizione può
mutare nel tempo in ragione del diverso contesto normativo in cui si innesta «e che
188
Il ruolo della giurisprudenza come fonte normativa tra civil law e common law
189
E. Calzolaio
Al lettore che ha avuto la pazienza di seguire sin qui non sarà sfuggito
che la premessa maggiore del ragionamento della nostra Corte di cassazione
è la natura dichiarativa della giurisprudenza, insistendo, per un verso, sul
fatto che la soggezione del giudice alla legge impedisce di attribuire all’inter-
pretazione giurisprudenziale il valore di fonte del diritto e, per altro verso,
che la norma giuridica trova la sua unica fonte di produzione nella legge,
quale atto di esclusiva competenza del potere legislativo. Sicché, il giudice
è chiamato ad applicare la legge e, nel momento in cui la interpreta, non
svolge un ruolo propriamente creativo, ma ne disvela il significato. Si tratta,
all’evidenza, di una fictio, perché già quando il giudice attribuisce alla norma
un certo significato in qualche modo partecipa alla formazione del diritto
e, a maggior ragione, la creatività dell’interpretazione si fa ancor più palese
laddove il giudice applica la norma a situazioni e con finalità del tutto estra-
nee a quelle contemplate dal legislatore al momento della sua emanazione.
Orbene, è interessante rilevare che ad una simile finzione si ricorre
anche oltre Manica, almeno a partire dal Sei-Settecento, con la ben nota
definizione del Blackstone, che vedeva nei giudici i «depositari della legge»,
gli «oracoli viventi», che dichiarano e rendono pubblico il diritto del Regno.
Il carattere fittizio della “declaratory theory” è stato evidenziato dai teorici
inglesi del positivismo giuridico ottocentesco, che non hanno esitato ad addi-
tare come una “finzione puerile” la pretesa completezza della common law, in
41
Cass. Civ., sez. un., 3 maggio 2019, n. 11747, n. 13.6, De Jure.
42
Ivi, n. 13.5.
43
Ivi, n. 13.2.
190
Il ruolo della giurisprudenza come fonte normativa tra civil law e common law
base alla quale i giudici si limiterebbero ad attingere dalla general custom of the
realm per dare la soluzione ai casi nuovi o dubbi, mascherando così la verità
delle cose e cioè che il diritto basato sui precedenti è creato dai giudici44.
Oggi nessuno pone seriamente in dubbio che la giurisprudenza abbia
un ruolo creativo nel diritto inglese. Tuttavia, il contrasto di posizioni
sulla natura dichiarativa o creativa dei precedenti «rivela il doppio (e
contraddittorio) volto di un medesimo processo di formazione del diritto
per via giurisprudenziale: un processo che prima di compiersi, quando
ancora pende la decisione e si tratta di trovarne le ragioni, non può fare
a meno di riferirsi a materiali giuridici già esistenti (o suscettibili di essere
reperiti, con abilità e pazienza) dove cercare la (una) regola di diritto, nel
senso di presumerne, ovvero di fingerne la (pre)esistenza; mentre una
volta e, anzi, non appena compiuto, esso tende ad essere razionalizzato,
all’opposto, in termini di modifica, aggiunta o innovazione, rispetto al
diritto preesistente»45.
Questo approccio è ben evidenziato da Lord Goff in un importante
caso in cui la House of Lords ha affrontato direttamente il tema: «quando
un giudice decide un caso a lui sottoposto, egli decide sulla base di ciò che
intende essere il diritto. Ciò egli scopre (discovers) dalle leggi applicabili
e dai precedenti. Oggidì trova molto aiuto dagli scritti accademici
nell’interpretazione delle leggi e, ancor più, dalle decisioni pubblicate; e, se
del caso, considera le pertinenti decisioni di giudici di altri paesi. In sede
di decisione del caso può, in certe occasioni, sviluppare la common law
nell’interesse della giustizia, sebbene come regola generale ciò avvenga solo
‘in modo interstiziale’, per usare l’espressione di O.W. Holmes J. formulata
nel caso South Pacific Co. v. Jensen (1917) 244 U.S. 2095, 221. Questo
significa non solo che [il giudice] deve agire nei limiti fissati dalla regola del
precedente, ma che il cambiamento così introdotto va riguardato come uno
sviluppo, e di solito uno sviluppo molto modesto, di un principio esistente,
tale da assumere il proprio posto nella common law nel suo insieme»46.
44
Per un quadro di sintesi delle posizioni espresse da Jeremy Bentham e da John Austin,
v. Moccia, Comparazione giuridica e diritto europeo, cit., p. 446 ss.
45
Ivi, p. 452.
46
«When a judge decides a case which comes before him, he does so on the basis of what
he understands the law to be. This he discovers from the applicable statutes, if any, and
from precedents drawn from reports of previous judicial decisions. Nowadays, he derives
much assistance from academic writings in interpreting statutes and, more especially, the
effect of reported case; and he has regard, where appropriate, to decisions of judges in
other jurisdictions. In the course of deciding the case before him he may, on occasion,
develop the common law in the perceived interests of justice, though as a general rule he
does this “only interstitially”, to use the expression of O.W. Holmes J. in South Pacific
191
E. Calzolaio
Co. v. Jensen (1917) 244 U.S. 2095, 221. This means not only that he must act within
the confines of the doctrine of precedent, but that the change so made must be seen as a
development, usually a very modest development, of existing principle and so can take its
place as a congruent part of the common law as a whole» (Kleinwort Benson Ltd v. Lincoln
City Council Kleinwort, [1998] 4 All ER 513, per Lord Goff of Chieveley).
47
Cfr. ancora Moccia, op. ult. cit., p. 453. Sul tema v. anche Duxbury, op. cit., p. 3 ss.
48
V., da ultimo, S.J. Hammer, Retroactivity and Restraint: An Anglo-American Comparison,
(2018) Harv. J. L. & Pub. Pol’y 409. Cfr. altresì A. Gathan, The incentive problem with
prospective overruling, in Real Property, Trust and Estate Law Journal, 2010, p. 179 ss.
49
Cfr. M. Harding, I. Malkin, Overruling in the High Court of Australia in Common
Law Cases, (2010) Melbourne University Law Review 519. Cfr. altresì B. Juratowitch,
Retroactivity and the Common Law, Portland, 2008, p. 205 ss.
50
Cfr. in specie Barclays Bank Plc v. O’Brien, [1995] 1 All ER 289 e Royal Bank of
Scotland v. Etridge, [2001] 4 All ER 449.
51
National Westminster Bank plc v. Spectrum Plus ecc., cit.
192
Il ruolo della giurisprudenza come fonte normativa tra civil law e common law
6. Riflessioni conclusive
È ora possibile tornare allo spunto da cui si sono prese le mosse, circa un
modo di rappresentare il rapporto civil law-common law in termini di ormai
raggiunta convergenza, stante il ruolo assunto dalla giurisprudenza nei paesi
di civil law e la proliferazione del diritto legislativo in quelli di common law,
in cui il giudice starebbe perdendo il suo tradizionale ruolo creativo.
I rilievi sin qui svolti mostrano chiaramente che il tema del ruolo
normativo della giurisprudenza, lungi dall’essere confinato al mondo di
common law, è invece comune ad entrambe le tradizioni giuridiche. Sicché,
non è davvero più sostenibile la narrazione, tuttora prevalente, secondo
cui negli ordinamenti di civil law alla giurisprudenza non può essere
riconosciuto un ruolo di fonte del diritto. Del resto, che il giudice crei
diritto è un’evidenza e, diremmo, una necessità. Per quanto chiara possa
essere la lettera di una disposizione normativa, la norma che essa contiene
costituisce il risultato, più che il presupposto, dell’attività interpretativa,
perché quando la legge scritta impatta il mondo reale, quello dell’esperienza,
essa non può che sprigionare dubbi interpretativi52. Se si osserva ciò che
accade nell’esperienza, insomma, è agevole avvedersi che il giudice, quando
decide, non applica solo la lettera della legge ma, appunto, da essa parte
in un percorso avventuroso che si incontra con le vicissitudini umane, gli
interessi materiali e i motivi ideali che si celano dietro ai fatti della vita reale.
È sempre più chiaro, allora, che la contrapposizione civil law-common
law non costituisce più la linea di confine tra culture antagoniste
geograficamente collocabili, quanto piuttosto essa è l’emblema di due
diversi modi di concepire e praticare il diritto che coesistono all’interno
di ciascun ordinamento: un tipo di diritto codificato e, comunque, a base
legislativa, esposto in forma sistematico-deduttiva e un tipo di diritto a base
giurisprudenziale, esposto in forma analitico-induttiva53.
Nello stesso tempo, è fuorviante trarre da ciò argomento per ritenere
(frettolosamente) superata la diversità del ruolo del diritto giurisprudenziale
nelle due tradizioni giuridiche.
Quanto al mondo di common law almeno due aspetti meritano di essere
52
Osserva Moccia, Riflessioni sparse (e qualche involontario aforisma) su interpretazione e
diritto, cit., p. 918, che «il rapporto diritto/interpretazione non è mai un rapporto lineare
[…] si tratta, invece, di un rapporto circolare […] poiché una volta arrivati alla realtà dei
casi, dove situare la (una) norma ad essi applicabile, occorre tornare alla disposizione di
partenza, dove poter attingere, ma con l’esperienza maturata nel tempo del viaggio che
separa il diritto dalla vita, la norma da applicare al caso concreto».
53
Sul tema v. ampiamente Moccia, Comparazione giuridica e diritto europeo, cit., p. 27.
193
E. Calzolaio
evidenziati.
In primo luogo, la presenza di una parte del diritto avente formazione
giudiziale, cioè prodotta mediante i precedenti per opera di generazioni di
giuristi e giudici, che essi continuano a stabilire e sviluppare, integrandola
se necessario con i precetti legislativi54. Il case law è una fonte autonoma e
separata rispetto al diritto di fonte legislativa e le regole giuridiche create
dal giudice costituiscono regole del caso concreto che, come tali, vengono
assunte a base di decisioni future: «tendiamo a pensare che il singolo caso
ha un effetto relativamente limitato, è una base per operazioni future, in
quanto il diritto si sviluppa in avanti da caso a caso – e occasionalmente
all’indietro se siamo abbastanza modesti di riconoscere che forse si è andati
troppo lontano»55.
In secondo luogo, l’atteggiamento di grande prudenza rispetto al
mutamento giurisprudenziale, che si fa particolarmente rigoroso quando si
tratta di modificare l’interpretazione di una norma legislativa, preferendosi
lasciare nelle mani del legislatore la scelta di intervenire per attribuire ad essa
un significato diverso rispetto a quello accolto per via giudiziale. Insomma,
la stabilità della regola giurisprudenziale (che costituisce la ragion d’essere
dello stare decisis) è percepita come un valore ancor più rilevante proprio
quando il giudice è chiamato ad interpretare una norma, essendo ben
consapevole del ruolo creativo dell’interpretazione, sicché una volta che
alla norma viene attribuito un significato, spetta poi al legislatore, e non al
giudice, attribuirne uno diverso.
Per converso, nel mondo di civil law il ruolo assunto dalla giurisprudenza
continua a non scalfire la concezione secondo cui la legge è (percepita come)
fonte formalmente superiore e (come) categoria prevalente di diritto e
costituisce il punto di partenza imprescindibile del «diritto vivente», che
la giurisprudenza elabora «nei termini – riflessivi, più che creativi – di
un diritto legislativo in evoluzione»56. Sicché, non è tanto il precedente
54
Le ragioni di una simile concezione del diritto giurisprudenziale e, in specie, della
sua autonomia rispetto alla fonte legislativa, vanno rintracciate nella vicenda evolutiva
dell’esperienza giuridica inglese: anzitutto, la precoce affermazione, già dal XIII secolo, di
un sistema accentrato di giustizia, che faceva perno sulle corti regie aventi sede a Londra; in
secondo luogo, il formarsi, attorno a queste corti, di un ristretto gruppo di giuristi pratici,
esperti nell’arte forense dell’allegazione e discussione delle questioni di fatto e di diritto
oggetto di causa; in terzo luogo, il reclutamento dei giudici tra le fila di questi professionisti
dell’arte forense. Per questo quadro di sintesi, cfr. ancora Moccia, op. ult. cit., p. 461.
55
Lord Goff of Chieveley, The future of the common law, (1997) Int. Comp. Law
Quarterly 745.
56
Moccia, op. ult. cit., p. 439. Per una conferma che è esattamente questa la concezione
che informa la nostra esperienza giuridica, cfr. V. Marinelli, voce Precedente giudiziario,
194
Il ruolo della giurisprudenza come fonte normativa tra civil law e common law
in Enc. dir., aggiorn. 6, Milano, 2002, p. 871 ss., ove si parla di «autorità normativa
riflessa dei precedenti, in quanto rispecchiano il valore della fonte da cui deriva ciascuna
delle norme interpretate ed applicate in sede giurisdizionale» (p. 910).
57
Così si esprime G. Canzio, già Procuratore generale della Repubblica presso la Corte
di cassazione, nel saggio Nomofilachia, valore del precedente e struttura della motivazione,
in Studi in onore di Pasquale Stanzione, Napoli, 2018, t. I, p. 99 ss., a p. 107 (corsivo
nostro). Cfr. altresì M. Taruffo, Precedente e giurisprudenza, Napoli, 2007, p. 13,
nonché G. Visintini, Il dovere professionale di conoscere la giurisprudenza, in Scintillae
Iuris. Studi in memoria di Gino Gorla, Milano, 1994, p. 409.
195
E. Calzolaio
196
Biagio Andò
1. Premessa
197
B. Andò
198
Il diritto privato maltese tra fonti della tradizione e processo di codificazione
199
B. Andò
200
Il diritto privato maltese tra fonti della tradizione e processo di codificazione
201
B. Andò
Nei propri Appunti 13, in cui Dingli cita espressamente i modelli che
hanno rappresentato fonte d’ispirazione per la redazione delle ordinanze, è
dedicato ampio spazio a norme tratte da precedenti codificazioni europee
del diritto privato, al Code Nap. ed a commenti dottorali a esso dedicati14,
alle esperienze italiane preunitarie di codificazione, alle riflessioni di giuristi
europei (non solo francesi) operanti prima dell’elaborazione del codice
francese del 1804, alle esperienze di codificazione e dottrinali maturate nel
mondo civilian al di fuori dello spazio europeo continentale (Louisiana e
Scozia). I riferimenti effettuati costituiscono chiaro riconoscimento da parte
del Crown Advocate dell’influenza esercitata sull’attività di codificazione da
modelli esterni al contesto maltese15. Per quanto risulta allo scrivente, questo
documento non è stato fatto oggetto di puntuali indagini; esso tuttavia
merita di essere discusso in questa sede proprio perché osservatorio prezioso
del laboratorio del codificatore.
Questi riferimenti appartengono a tipologie diverse.
Un primo ambito ricomprende i molti casi in cui è semplicemente
effettuato un rinvio al ‘luogo normativo’ da cui è mutuata la previsione
maltese senza ulteriori commenti; in questi casi, Dingli sottintende di aver
operato una mera trasposizione di una soluzione normativa vigente altrove16.
In altri casi, le note assolvono alla funzione di argomentazione a soste-
gno di scelte (di carattere eterogeneo) operate alla luce di soluzioni invalse
negli ordinamenti giuridici considerati dal codificatore. Le glosse apposte da
Dingli alle singole disposizioni di volta in volta: illustrano una scelta innova-
tiva rispetto all’universo normativo di riferimento; spiegano le ragioni dell’a-
italiano all’art. 15 delle Disposizioni sulla legge in generale), quale meccanismo atto a
governare la presenza di fonti dello stesso livello gerarchico, ma emanate in tempi diversi,
da cui discendano conseguenze giuridiche incompatibili a margine di una medesima
fattispecie; quanto al codice civile maltese introdotto nel 1942, è evidente la mancanza
di una disciplina che regoli a livello generale la successione delle leggi nel tempo.
13
Chi scrive ha consultato una copia dattiloscritta degli Appunti presso la Library
Melitense dell’University of Malta.
14
Fra tutti i commentatori citati (Zachariae, Toullier, Troplong) viene accordato uno spazio
primario a Marcadé.
15
Nelle materie del diritto di famiglia e delle successioni hanno rilievo centrale istituti e
regole della tradizione giuridica maltese di fonte consuetudinaria (v. infra in queste note).
16
Esempi di questa tecnica si rinvengono negli artt. 8, 10, 21.
202
Il diritto privato maltese tra fonti della tradizione e processo di codificazione
203
B. Andò
204
Il diritto privato maltese tra fonti della tradizione e processo di codificazione
rispettare e mantenere […] il diritto comune, e per ragioni locali, certi statuti e
consuetudini che trovarono veglianti. Così, ad esempio, conservano […] il testamento
congiuntivo, […], il retratto legale, il diritto di preferenza nella locazione delle case,
l’ipoteca generale, che colpisce tutti i beni presenti e futuri del debitore […]; vietano pel
futuro le sostituzioni fidecommissarie, ma non aboliscono quelle anteriormente ordinate,
sebbene ne agevolino la derogazione» (pp. 307-308).
25
Diversamente Bonello, The Maltese Civil Code, cit., il quale rileva che l’originalità delle
previsioni si spiega alla luce di una valutazione da parte del codificatore dell’inadeguatezza
dei modelli, e della necessità di colmarne le lacune «with its own original drafting» (p.
194). Questa spiegazione ingenera perplessità perché implicitamente riduce l’opera di
Dingli ad una pedissequa trasposizione nell’ordinamento maltese di norme vigenti in
altri contesti, laddove essa sembra essere caratterizzata da un respiro più ampio.
26
Sul concetto di ‘ordinamento aperto’, si vedano le belle pagine di L. Moccia, Riflessioni
sparse (e qualche involontario aforisma) su interpretazione e diritto, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 2012, vol. 3, pp. 923-927.
205
B. Andò
206
Il diritto privato maltese tra fonti della tradizione e processo di codificazione
207
B. Andò
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Il diritto privato maltese tra fonti della tradizione e processo di codificazione
che entrano in gioco nel caso di silenzio del Diritto Municipale di Malta,
rilievo primario quale fonte suppletiva del diritto scritto riveste il diritto
romano-comune. Questa locuzione rende immediatamente evidente che
il diritto romano non è evocato in una dimensione storica precisa, quanto
piuttosto quale precipitato della sovrapposizione ad un tessuto di principi
costitutivi di un diritto romano ‘atemporale’ di concrezioni di epoca
medievale. Il diritto romano oggetto delle pratiche discorsive dei giuristi
maltesi consta di un insieme di regole e principi ricondotti all’universo del
diritto romano attraverso il filtro delle elaborazioni dei giuristi medievali
integrate dall’usus fori 36. Un sistema di precetti la cui esistenza è pacifica
e che viene riconosciuta nella veste di ratio scripta al fine di governare
problemi d’interpretazione del diritto scritto37 o in quella, più rilevante, di
fonte di produzione di regole operanti in caso di lacune38.
Il diritto romano non esaurisce le fonti che innervano la tradizione
giuridica maltese; accanto ad esso devono considerarsi gli istituti propri del
diritto feudale il cui rilievo di diritto vigente – di matrice consuetudinaria –
nell’ambito del diritto delle successioni non sarà messo in discussione fino
agli anni ’50 del secolo scorso39, nonché regole di diritto canonico e siculo.
pp. 330-354, che legge nel Codice un «typical codification effort of post-medieval, pre-
modern times […] certainly […] not belonging to the modern, Napoleonic model» (p.
354). Dei codici premoderni il Codice gerosolimitano ha il tratto tipico di raccolta di
leggi appartenenti a distinte aree dell’ordinamento (di diritto sostanziale e processuale).
36
In questi termini, Harding, Law, cit., p. 212. Si veda anche De Bono, Sommario, cit.,
p. 211, che dopo aver qualificato il Codice come «statuto municipale secondo i concetti
del tempo», ed aver ad esso riconosciuto il rango di «prima fonte del diritto nostro», precisa
che «a lato di esso rimasero, fonti sussidiarie, ma obbligatorie: a) le leggi comuni; b) nei casi
controversi e dubbi, le opinioni abbracciate da’ supremi e più accreditati tribunali, c) negli
affari marittimi, gli usi e gli stabilimenti del consolato generale del mare».
37
In alcuni casi decisi dalla Corte d’Appello maltese, nell’ultimo ventennio del
diciannovesimo secolo il diritto romano viene utilizzato per risolvere problemi
d’interpretazione sollevati da disposizioni regolanti istituti di origine romanistica: Dr.
Messina v. Galea, 5 gennaio 1881 (in materia di prescrizione); Nobile Giuseppe dei
Marchesi De Piro vs. Monsignor Don Salvatore Grech Delicata, 7 gennaio 1885 (a
margine del problema della definizione di sanità mentale); Camenzuli v. Vella, 28 ottobre
1895 e Manduca vs. Mizzi, 18 maggio 1895 (entrambe in tema di servitù).
38
Concorso di creditori della eredità di Edward Watson (1840); Concorso dei creditori
del Conte Fonatni Manduca (1897).
39
Al riguardo, J.M. Ganado, The Contribution of the Privy Council on Questions of Maltese
Civil Law, in R.H. Code Holland, G. Schwarzenberger (eds.), Law, Justice and Equity.
Essays in tribute to G.W. Keeton, London, 1967, pp. 92-101, il quale distingue fra individual
entails (primogenitures; majorats) e dividual entails, che cessano di essere vigenti negli anni
’50 del secolo scorso, e le feudal tenures ancora vigenti all’epoca in cui l’a. scriveva.
209
B. Andò
40
De Bono tratteggia la storia giuridica maltese nel prisma delle molteplici ‘dominazioni’
che si sono succedute: fenicia; greca; gotica; giustinianea; musulmana; normanna; sveva;
angioina ed aragonese; castigliana; gerosolimitana; francese; inglese (prima nella forma di
‘protettorato’ e poi in quella più intensa di ‘dominazione’). La stessa griglia concettuale
è adottata da H.W. Harding, Law, in H. Frendo, O. Friggieri, Malta. Culture and
Identity, Ministry of the Youths and Art, Malta, 1994, pp. 205-217.
41
La questione della posizione occupata da Malta nel British Empire – suscettibile di
essere qualificata in tre modi diversi, a cui corrispondono gradi di autonomia differenziata:
conquered, ceded, settled – riveste rilievo strategico in un leading case deciso dal Privy
Council, Sammut and Another v. Strickland, [1938] 3 All ER 693 (sul quale si ritornerà
nelle conclusioni). La rappresentazione di cui viene dato conto nel testo può forse
considerarsi come una narrazione ‘strategica’ attraverso cui l’élite maltese intende reagire ad
un atteggiamento del potere coloniale percepito come squalificante e non rispettoso delle
gerarchie sociali operanti nella comunità maltese. Al riguardo, si vedano le considerazioni
sull’atteggiamento politico definito Maltese Nationalism svolte da J. Chircop, Colonial
Encounters in Multiple Dimensions: Collaboration, Defiance, Resistance, and Hybridity in the
Making of Maltese History, in Id. (ed.), Colonial Encounters: Maltese Experiences of British
Rule, 1800-1970s, Malta, 2015, p. 24 ss., il quale coglie intime contraddizioni nel fatto
che «[w]hile forcefully proclaiming its opposition to British Colonialism, this nationalist
discourse of Latinità contained a veritable paradox, by virtue of its being rooted in the
same colonial Europeanist epistemology that informed British attitudes towards the
Maltese. […] it was fully impregnated with an analogous prejudice against and belief in
racial-ethnic superiority, expressed in a denial of any racial, cultural or historical intimacy
with ‘the Arabs’, whom they saw as members of a race inferior to their own Latin one. […]
Such myths facilitated their strategy of class distinction from the rest of the common native
population and framed their nationalism» (p. 25).
210
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5. Conclusioni
211
B. Andò
212
Il diritto privato maltese tra fonti della tradizione e processo di codificazione
42
«[T]heir Lordship […] are unable to agree […] that it is an established constitutional
principle […] that the grant of representative institutions once made, the Crown is
immediately and irrevocably deprived of its right to legislate by letters patent or orders in
council, unless there is an express reservation of a right to that effect. […] as a general rule,
such a grant, without the reservation of a power of concurrent legislation, precludes the
exercise of the prerogative while the legislative institutions continue to exist».
213
Adolfo Giuliani*
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A. Giuliani
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A. Giuliani
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After comparative legal history
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A. Giuliani
220
After comparative legal history
the study of the particular viewed in historical evolution; on the other was
the coherent construction of legal science.
Among those who have explored Savigny’s intellectual project, as for
example Franz Wieacker, the consensus has been that this union of history
and system was indeed a fragile thing. Ideally, legal history and legal science
proceeded hand in hand but in practice their union was a sting that pierced
the entire project. It is true that Savigny’s project turned private law into a
unified theory and generally legal science into a coherent doctrinal system,
but it is nevertheless true, as Franz Wieacker observed, that «the path toward
the most utterly internal vision of law led to a legal science whose integral
formalism turned it into the first non-historical jurisprudence of the whole
history of law»15.
The price to pay to upgrade legal science to a philosophy was to separate
it from the real world. It is therefore unsurprising, as Wieacker remarked,
that the ensuing scholarship – Rudolph Jhering and the jurisprudence
of concepts, Philippe Heck and the jurisprudence of interests, Hermann
Kantorowicz and the free law movement, American and Scandinavian
realism, legal sociology – sought facts, experience, concreteness16. They
not only disliked any sort of abstractions and formalism, but refused to
follow Savigny in his project of constructing a legal world «in indissoluble
communion with the whole past», and turned upside down the legacy
received from the 19th century.
In the aim to re-formulate the 19th century intellectual legacy received
from Pandectism, anti-formalism focused on the boundary that protected
the law’s purity, and accordingly abhorred the idea of law understood as a
depurated knowledge and challenged the connected notion of a dividing
line that separated the purely legal from the real world. Some scholars
refused to think of law as a closed system because too narrow and abstract,
and explored the ways to broaden it17. They thus sought to enlarge what
they perceived a field impoverished by the demise of justice, which
believed to be intrinsic to the legal. But at the same time they shared the
preoccupation of a whole generation jurists to separate the legal from the
15
F. Wieacker, Storicismo e formalismo alle origini della scienza giuridica moderna, in
Studi in onore di Salvatore Pugliatti, Milan, 1978, p. 893 ff., at 909.
16
I owe this observation to Wieacker, Storicismo e formalismo, supra note 15. See on this
also J. Gordley, The Jurists. A Critical History, Oxford, 2014, pp. 275-312.
17
Wieacker, A History of Private Law in Europe, cit., at 328 and 295. In this essay, I
avoid the term ‘post-modernism’ because of its vagueness. If a reference to modernity is
necessary, the historical orientation which pervades this intellectual stream would rather
suggest the term ‘pre-modernism’.
221
A. Giuliani
222
After comparative legal history
22
A. Hägerström, Inquiries into the Nature of Law and Morals, translated by C.D.
Broad, Stockholm, 1953; see also H. Pihlajamäki, Against Metaphysics in Law: The
Historical Background of American and Scandinavian Legal Realism Compared, (2004) 52
Am. J. Comp. L. 469.
23
B. Leiter, Rethinking Legal Realism: Toward a Naturalized Jurisprudence, (1997)
76 Texas Law Review 267, at 269. On realism see generally N. Duxbury, Patterns of
American Jurisprudence, Oxford, 1997 and B. Leiter Positivism, Formalism, Realism,
(1999) 99 Columbia Law Review 1138.
223
A. Giuliani
Masquerading as Facts’24. The moral was that the proper subject of legal
study was only the latter: facts.
It is true that both American and European approaches fixed their
eyes on formal law’s indeterminacy to the effect of eroding its immaterial
majesty. However, as Kantorowicz stressed, there was a point that needed
to be emphasised in American legal realism: the extent by which they
considered the empirical approach to be their chief centre of attention. Such
single-minded concern with facts blurred the line between law and natural
sciences, and this was a step which he was unwilling to take25. The current
extension of economic analysis to the legal field makes those arguments
worthy of being considered again.
Antiformalism is one of the traits of today’s legal thinking. Some of the
seminal ideas that have fuelled original research in legal studies in the last
decades, and are today shared as an obvious truth – ‘to place law in context’,
‘to think outside the doctrinal box’, the distaste for abstract theorising –bare
the fruit of the antiformalist turn of the 1930-60.
224
After comparative legal history
philosopher José Ortega y Gasset asserted, «man does not have a nature, has
a history»). All they have is the belief that human learning grows by posing
questions and attempting answers. They also know that to investigate on
the institutions, concepts and doctrines of the social world produces a
fully effective knowledge, as this is man-made world and thus knowable,
according to Vico’s “verum ipsum factum” principle («the true and the made
are convertible into each other»)27.
One of the clearest signs of the dismissal of a theory-centred idea of law
is the turn to procedure and evidence occurred in early 20th century. The
rise of comparative legal history boosted this turn. Beginning from Gino
Gorla’s earliest researches in the 1950s, Luigi Moccia and other legal scholars
stressed the significance of judges and courts in the making of early-modern
law. By doing so, they contributed to establish a field of inquiry that today
has the lion’s share of research projects of comparative legal history28.
Those inquiries reflect a major preoccupation in the legal science. Keeping
in mind the distinction between substantive law and procedure we realise
that, while 19th century legal science prioritised the first and despised the
second, the early 20th century legal scholarship reversed the trend prioritising
the second: judicial procedure and evidence. Legal scholars found a largely
understudied field of inquiry emarginated by the almost exclusive concern
with private law; in England procedure has won some serious consideration
only recently29. Such shift of focus implies the recognition that at the heart
of law is the controversy, not a system of subjective rights to be enforced
and executed, and that the whole fabric of law starts from disputed facts and
the judicial ways to settle them. Such arguments opened another stream of
research aimed at a better understanding of the question of fact. It favoured
the study of legal reasoning, the revival of rhetoric and of a constellation of
other subjects finalised to the rise of a new evidence scholarship, with its
interdisciplinary implications. As the legal theorist William Twining said,
«[t]he serious study of reasoning in regard to disputed matters of fact is
at least as important and can be at least as intellectually demanding as the
study of reasoning in respect of disputed questions of law». In short, jurists
27
This principle is invoked in the Trento manifesto of comparative law, third thesis
(1987) cited in R. Sacco, Legal Formants: A Dynamic Approach to Comparative Law (I of
II), (1991) 39 Am. J. Comp. L. 1, at 26, note 29.
28
See e.g. the titles of the series Comparative Studies in Continental and Anglo-American
Legal History published by Duncker & Humblot, Berlin.
29
J.A. Jolowicz, Lo studio del diritto processuale civile in Inghilterra. Perché così scarno e
così in ritardo?, (1998) 52 Riv. trim. dir. proc. civ. 871, and generally the essays collected
in W. Twining, Rethinking Evidence. Exploratory Essays, Cambridge, 2006.
225
A. Giuliani
226
After comparative legal history
des rezipierten Rechtes und auf die Methode eingeht, mit welcher die Juristen seit der
Wiederbelebung der Rechtswissenschaft an diese Quellen herangetreten sind». (emphasis
in the original text).
33
A. Wijffels, Qui millies allegatur. Les allégations du droit dans les dossiers du Grand Conseil
de Malines, Leiden, 1985, I, pp. 454-455. See the study of the ‘styles of legal thought’
advocated by William Ewald «as an intermediate position broader than textualism, but less
broad than full sociological contextualism» in W. Ewald, Legal History and Comparative
Law, (1999) 7 Zeitschrift für Europäisches Privatrecht 553, at 556.
34
The relation between Ethics, Economics and Politics is stated in Thomas Aquinas, In
decem libros Ethicorum Aristotelis ad Nicomachum expositio, Turin, 1934, p. 4: «moralis
philosophia in tres partis dividitur. Quarum prima considerat operationes unius hominis
ordinatas ad finem, quae vocatur monastica [scil. Ethics]. Secunda autem considerat
operationes multitudinis domesticae, quae vocatur oeconomica. Tertia autem considerat
operationes multitudinis civilis, quae vocatur politica», cited in J. Kraye, Cambridge
History of Renaissance Philosophy, Cambridge, 1988, p. 304.
35
C. Perelman, L. Obrechts-Tyteca, Traité de l’argumentation, la nouvelle rhétorique,
Paris, 1958. On the intellectual context of the 20th century revival of Aristotle’s Rhetoric
see A. Giuliani, L’altro Aristotele, (2010) 3 Sociologia 125.
227
A. Giuliani
228
After comparative legal history
229
A. Giuliani
the ways by which they are applied in the real world, and examine new
dimension of their interrelation, for example to see how judicial procedure
evolved reflecting an ongoing development of legal reasoning general views
about approaching the truth42. These sectors, so strictly dependent from
epistemic concerns, require a philosophical key to understand the full range
of their implications.
230
After comparative legal history
231
A. Giuliani
2. Law as information
232
After comparative legal history
of that tradition transmitted the Western ideal to the whole world. Its
formation was accompanied by claims about the West having reached the
‘end of history’, the belief in a Western world dominance, the promise of
uninterrupted growth. Looking back, we realise that only little is left today
of that optimism: the 21st century started with the erosion of longstanding
geopolitical arrangements following the terrorist attacks of 9/11, the fall of
economies of 2008 followed, with the ensuing loss of security on a world
scale, leaving global instability and uncertainty. That ‘felix aetas’ is about
two generations away, and we sense its belonging to another phase. From
our detachment from those claims, so confidently asserted during the last
decades of the 20th century, we measure the distance from that age.
In those claims some scholars today tend to see utopias. For example,
in international law Martti Koskenniemi denounced the utopia implicit
in the appeal to the superior normativity and impartiality of this body
of law; Samuel Moyn sees “the last utopia” in human rights theory,
and denounces as preposterous and self-congratulatory the belief in the
immemorial inheritance of human rights; his argument being that «[t]
he search for the origins of human rights is a by-product of the end of
the Cold War – more specifically, the temporary age between the bipolar
stand-off of the past and the multipolar struggle of the future»; and the
European legal tradition – the seedbed of rule of law, rights, equality and
liberty – has been shown by Kaius Tuori to be the child of the troubled
events of World War II48.
Legal historians are perhaps on the verge of another phase of legal-
historical research, which may be entirely possible if there is some truth
in the statement that legal history has a history. To have a more precise
perception of this shift, and because this discipline evolves in hand with
changing images of law and cannot be separated from a philosophical
idea of ‘law’, we must turn to consider how in the present time legal
scholars tend to conceptualise law. What does it mean to ‘know’ the law
in the present time, understanding knowledge, as Annelise Riles writes,
as «the ensemble of forms of knowing, theorizing, judging, analyzing
and reflecting that constitute the practices of legal actors»49? My working
48
M. Koskenniemi, From apology to utopia: the structure of international legal argument,
Cambridge, 2005; S. Moyn, The last utopia: human rights in history, Cambridge
(Massachusetts), 2012; Tuori, Empire of law: Nazi Germany, exile scholars and the battle
for the future of Europe, cit. Moyn’s quotation appears in his Human rights and the uses of
history, Verso, 2017, xiv.
49
On this approach see A. Riles, Legal knowledge, in International Encyclopedia of Law
and Society, 2007, pp. 885-88 (Cornell Legal Studies Research Paper No. 05-034).
233
A. Giuliani
234
After comparative legal history
sense of the legal facts upon which actors operate. By entering a conceptually
uncharted territory this divide is thus creating a legal phase which cannot
justify its premises and so misunderstands the nature and consequences of
its own evolution. Such risk is made deeper by the challenging blueprints
in legal education and new dispute settlement practices. Paraphrasing Karl
Popper, the current legal phase seems to produce buildings which have been
growing up stacking floors upon floors but without having dug proper
foundations54, thus risking to produce a legal phase without foundations.
What follows begins from the concern about the perverse effects of the
present divide between legal theory and practice.
235
A. Giuliani
«[t]he sad truth is that scholars who invest their energies in mastering
the doctrines of the past, comparing manuscripts, establishing texts,
and sifting through archival records are scholars whose work seems
unimportant, even trivial, to too many colleagues. Specialists in
European legal history risk being relegated to a sleepy and neglected
corner of legal academia. This is a sorry prospect, made all the sorrier
when non-specialists in other departments write best-sellers about
our subject while our positions are being cut and our funding is being
236
After comparative legal history
237
A. Giuliani
turn to the textual forms used in dispute settlement and teaching we soon
realise that they changed at specific points in time, and those junctures
went in hand with the broad epistemic changes that separate the basic
phases of legal history (glossators, commentators, humanism, natural law,
state-codifications, informational law). They reflect changing attitudes
about accessing and communicating the available legal information. At
the same time, this historical approach makes visible the complexity of
the legal system and the interconnections between its components, one of
which is the text. Such framework explains how changes in information-
management are accompanied by changes in the law.
True, it may be admitted that the present concern about the technological
medium’s role in legal evolution arises from today’s overwhelming presence
of information management, from which current legal systems are currently
dependent. It has nevertheless a rationale. Such historical account has the
benefit of showing that legal digitalization, with its fluid texts constantly
updated in real time, is part of a broader story: it is a further phase in a long
development in which the printed page revives in another form, with its
corollary of consequences in legal reasoning and judicial institutions. Such
historical account will be meaningful to the younger audience of digital
natives who will be accessing the legal environment in the next future. Unlike
jurists educated in the 20th century, they will be in the position of having no
experience of the traditional non-digital environment. If lacking a historical
perspective, if unable to make sense of this development, they will be
irremediably separated and working and thinking with a law without history.
The concern with information advocated by the present essay has been
in the air for some time already59. As the philosopher Luciano Floridi
observes, information has been the mute servant of most philosophical
disciplines, including the legal field, and jurists have sometimes benefited of
its explanatory power. A good example is the idea of ‘reception’. When we
turn to Franz Wieacker’s History of Private Law in Europe (1952), we find
that he explained his idea of ‘reception’ borrowing the idea of information
from biology:
«Perhaps the genetic model of modern biology is the most
238
After comparative legal history
239
A. Giuliani
63
G.W. Leibniz, New essays on human understanding [1765], Cambridge, 1996, bk. II,
chap. I, p. 111, cited in S. Pinker, The Blank Slate. The Modern Denial of Human Nature,
New York, 2002, p. 34
64
H. P. Glenn, L. D. Smith, Law and the New Logics, Cambridge, 2017; see also his
Legal traditions of the world ch. 10 and M. Hildebrandt, The Precision of Vagueness,
Interview with H. Patrick Glenn, (2006) 35 3 NJLP 346-360.
65
Floridi, Philosophy and computing: an introduction, cit., p. 18.
240
After comparative legal history
3. Conclusion
241
PARTE II
DALLA COMPARAZIONE ALL’INTEGRAZIONE GIURIDICA:
CITTADINANZA E DIRITTO EUROPEO
Sabino Cassese
245
S. Cassese
246
The European Common Constitutional Traditions
European Court of Justice, which stated that: «[r]ecourse to the legal rules or
concepts of national law in order to judge the validity of measures adopted
by the institutions of the Community would have an adverse effect on the
uniformity and efficacy of Community law […]. However, an examination
should be made as to whether or not any analogous guarantee inherent in
Community law has been disregarded»1.
The importance of this clause has been stressed by the president of
the European Court of Justice: «Any European State wishing to join the
EU must adhere unequivocally to the constitutional traditions common
to the Member States by ensuring compliance with democratic principles,
fundamental rights, and the rule of law. As the Court of Justice made clear in
the seminal Wightman and Others case, joining the EU – as well as leaving
it – is a free and voluntary act of national sovereignty. Nonetheless, once a
Member State decides to join the EU, it must comply with a set of common
values. It is thus assumed that after taking up EU membership such a State
will remain committed to defending liberal democracy, fundamental rights,
and a government of laws, not men. Recent developments show that this
assumption cannot simply be taken for granted»2.
Regarding the norms that refer to common constitutional traditions as
sources of principles for European law, there are two opposite points of view.
On the one hand, there are those who consider them as «the ‘gold standard’
for examining the Union’s courts’ recourse to the comparative law method»,
«as a source of inspiration in the interpretation and discovery of general
principles of EU law»3. On the other hand, there are those who find that
«the Charter of Fundamental Rights contains so many and such expansive
1
On the history and sources of the clause, see S. Cassese, The “constitutional traditions
common to the Member States” of the European Union, in Riv. trim. dir. pub., 2017, n. 4, p.
939 ff. See also M. G. Graziadei, R. De Caria, The «Constitutional Traditions Common to
the Member States» in the Case law of the European Court of Justice: Judicial Dialogue at its
Finest, in Riv. trim. dir. pub., 2017, vol. 4, p. 949 ff.; M. Comba, Common Constitutional
Traditions and National Identity, in Riv. trim. dir. pub., 2017, vol. 4, p. 973 ff., spec. p. 974;
M. Fichera, O. Pollicino, The Dialectics Between Constitutional Identity and Common
Constitutional Traditions: Which Language for Cooperative Constitutionalism in Europe?,
(2019) 20 German Law Journal 1097-1118, https:// doi.org/10.1017/glj.2019.82; G.
Pitruzzella, Do common constitutional traditions matter in the field of regulated markets?,
in Federalismi.it, 25 ottobre 2019, n. 5.
2
K. Lenaerts, New Horizons for the Rule of Law Within the EU, (2019) 21 German Law
Journal 29-34, https:// doi.org/10.1017/glj.2019.91.
3
K. Lenaerts, K. Gutman, The Comparative Law Method and the Court of Justice of the
European Union, in M. Andenas and D. Fairgrieve (eds.), Courts and Comparative Law,
Oxford, 2015, p. 151 and p. 173.
247
S. Cassese
248
The European Common Constitutional Traditions
I shall now take a step back and consider the insertion of supranational
regimes into national legal orders, and vice versa.
Since the decline of the State as the exclusive source of regulation, supra-
national and national regimes have attempted to adjust to each other’s com-
petences, trying to find a solution to the problem of the simultaneous allo-
cation of authority. There are numerous examples of this “dialogic” exercise.
One example is Article 38 of the Statute of the International Court
of Justice, which refers to the «general principles of law recognized by
the civilized nations». Another was Article 4 of the Weimar Constitution
(1919), according to which «the generally accepted rules of international
law are to be considered as binding integral parts of the law of the German
Reich»; yet another is Article 10 of the 1948 Constitution, which provides
that «the Italian legal system conforms to the generally recognized principles
of international law». These provisions are good examples of the reciprocal
openness of “superior” and the “inferior” legal orders, because they provide
for adjustments in both directions.
The legal historian Luigi Lacché noticed that «the concepts of “common
constitutional heritage” and CCTs are to be confronted […] with those,
for example, of pluralism and complexity». «We need to be aware of
5
A different interpretation is that proposed by K. Lenaerts, K. Gutman, The Comparative
Law Method and the Court of Justice of the European Union, in M. Andenas and D.
Fairgrieve (eds.), Courts and Comparative Law, cit., p. 173. They write «including, but not
limited to fundamental rights».
249
S. Cassese
the fact that myths and traditions are part and parcel of constitutional
history building». «A constitution is at one and the same time a factor of
sharing and of separation, of identity and of difference. A constitution
is always a patchwork composed of different elements. A constitution is
not a fixed design because it always lives through discourses, languages,
the transnational exchange of ideas and the interplay of constitutional
stakeholders. A constitution has long been a means of communication
between State and society, institutions and social classes»6.
Bottom-up, national regimes accept supranational primacy, but with
some exceptions, as may be seen in Solange I and II and in the “counter-
limits” doctrine present in some European national legal orders. In these
cases, national legal orders, while accepting the primacy of a supranational
body of law, want to continue having the final say.
Top-down, supranational legal systems, while assuming their superiority
over the national legal orders, recognize some room for maneuvering on the
part of national legal orders, resorting to doctrines of deference, subsidiarity
or margins of appreciation, which are all means of decentralization.
The crucial problem is, then, how can the superior legal order assert
itself as higher law. In this field, the richest experience is that of the ECtHR,
which has developed a test of proportionality based on counting (consensus)
as a means to confine the discretion (“margin of appreciation”) of the
national governments.
250
The European Common Constitutional Traditions
The European Union could have established a higher law for fundamental
rights that disregarded the different national legal orders and their provisions
or traditions in this area. However, it did not follow that path, in order to
take into account the different national traditions, to let them – so to say –
speak to each other, trying to find out what they have in common. Article
8
G. Repetto, Argomenti comparativi e diritti fondamentali in Europa. Teorie dell’argomentazione
e giurisprudenza sovranazionale, Naples, 2011, pp. 129, 134, 184 and 144.
9
Repetto, op. cit., p. 127.
10
Repetto, op. cit., p. 259 and p. 264.
251
S. Cassese
252
The European Common Constitutional Traditions
The CCT clause raises many questions and presents some dangers.
The first lies in the ambiguity of the word “tradition”. What is a tradi-
tion? Tradition includes interpretation, implementation, conventions, prac-
tices, customs… in one word, “living law”. Law in action is as relevant, or
perhaps even more relevant, than law in books. But the same principles may
have different implementations. Should a time requirement be established
to conclude that there is indeed a tradition? What about the “invention of
13
See M. Comba, Common constitutional traditions and national identity, in Riv. trim.
dir. pub., 2017, n. 4, p. 973 ff.
253
S. Cassese
14
E. Hobsbawm, T. Ranger (eds.), The Invention of Tradition, Cambridge, 1983.
15
This is a “paraphrasing” of the question raised by C. Santos Botelho in Constitutional
Narcissism on the Couch of Psychoanalysis. Constitutional Unamendability in Portugal and
Spain, (2019) 21 3 European Journal of Law Reform 345: «Can the constituent power
of the people be petrified in one historical constituent decision and constrain future
democratic transitions?».
254
Silvio Gambino
255
S. Gambino
256
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
limitate (ancorché rilevanti) eccezioni (si ricordano, fra gli altri, i casi Kreil,
Viking, Laval, Rüffert), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (d’ora in
poi CGUE), fin qui, ha saputo dare prova di equilibrio e di self-restraint,
nel suo mancato invadere l’area di protezione dei diritti costituzionali
nazionali, ma ciò non toglie che il problema esiste, per come la (discutibile)
giurisprudenza europea in tema di libertà economiche conferma. Ed esiste
sia, e innanzitutto, come problema di legittimazione politica, sia come
problema teorico-dogmatico, ed è per tale ragione che in un Liber amicorum
incentrato sulle tematiche (teoriche e pratiche) del diritto dell’Unione, si è
ritenuta tutto affatto singolare la trattazione del tema che ora se ne farà.
257
S. Gambino
258
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
decisori della Costituzione europea. È pur vero, sotto tale profilo, che i
conflitti fra gli ordinamenti – nazionali e comunitario – sono più paventati
che effettivi (almeno fino alla recente, discussa, stagione delle sentenze in
tema di primato delle libertà economiche europee sui diritti costituzionali
economici nazionali). In tale contesto, i giudici nazionali sono chiamati a
conciliare regole costituzionali e diritto europeo, assicurando la primazia e
la diretta applicabilità di quest’ultimo (regolamenti comunitari ma anche
direttive self-executing) ma, al contempo, azionando, nel caso si renda
necessario, il sindacato delle leggi di recezione dei trattati, almeno rispetto
ai profili riguardati dal giudizio in corso. Omologo percorso è chiamato a
seguire la giurisprudenza della CGUE a sostegno del primato del diritto
dell’Unione su quello degli Stati membri dell’Unione.
La giurisprudenza costituzionale interna in tema di contrasto fra norme
comunitarie e princìpi supremi dell’ordinamento costituzionale5 – partendo
dall’orientamento nel quale, con la sanzione del principio della diretta
applicabilità e del primato delle norme comunitarie, si limita ad ipotizzare
l’incostituzionalità delle leggi di esecuzione del Trattato6 – rinvia ad un
controllo di costituzionalità che si estende a qualsiasi norma del Trattato per
come è interpretata e applicata dalle istituzioni comunitarie7. D’altra parte,
la previsione, nel TUE, della disposizione sulle ‘tradizioni costituzionali
comuni agli Stati membri’, come si vedrà meglio in seguito, non può che
fondare princìpi generali del diritto a cui la CGUE deve attenersi nella
propria giurisdizione, facendo sì che, in conclusione, i timori di vedere
violata la Costituzione da parte del diritto comunitario dovrebbero scemare
di molto, (quasi) fino a scomparire.
Circa il ruolo che la CGUE avrebbe potuto ulteriormente svolgere
nella recezione della CDFUE all’interno del TC, prima, ed ora nel TUE,
ad ulteriore sviluppo delle forme di tutela dei diritti fondamentali e nello
stesso consolidamento del diritto costituzionale comune europeo, avremo
modo di ritornare nel seguito della riflessione, sia pure in modo essenziale.
Rimane in ogni caso aperta la questione della giustiziabilità degli atti del
diritto comunitario derivato, che in Italia ha trovato fondamento sulla
(debole) base dell’art. 11 Cost., nella parte in cui autorizza l’immissione di
norme in contrasto con la Costituzione, soggette, tuttavia, al sindacato della
Corte costituzionale (mentre questa strada, ad esempio, rimane preclusa
5
In particolare nella sent. n. 232/1989, su cui, fra gli altri, cfr. M. Cartabia, Princìpi
inviolabili e integrazione europea, Milano, 1995, p. 112 ss.
6
Sentt. cost. n. 183/1973 (Frontini) e n. 170/1984 (Granital).
7
A. Adinolfi, I princìpi generali nella giurisprudenza comunitaria e la loro influenza sugli
ordinamenti degli stati membri, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1994, p. 521 ss.
259
S. Gambino
8
Sul punto, cfr. anche il nostro La protección de los derechos fundamentales: el parámetro de
los principios y de los derechos fundamentales en la jurisprudencia constitucional, comunitaria y
del tribunal europeo de los derechos del hombre, in Revista de Derecho Constitucional Europeo,
2007, vol. 8, p. 189 ss.
9
R. Mastroianni, Disciplina degli accordi internazionali e partecipazione dell’Italia al
processo di integrazione europea nel testo della Commissione bicamerale, in S. Gambino (a
cura di), La riforma della Costituzione nelle proposte della Commissione bicamerale per le
riforme costituzionali della XIII Legislatura, Roma, 1998.
260
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
261
S. Gambino
6 del TUE, nella presente fase, la disciplina di tali diritti costituisce ormai un
acquis communautaire e con esso una importante apertura allo stesso tema del
bilanciamento fra valori economici e valori sociali dell’ordinamento comu-
nitario originario11. Questi ultimi, così, registrano una innovazione partico-
larmente significativa (non più solo sotto il profilo simbolico), presentandosi
come contenuto fondamentale del ‘patrimonio costituzionale comune’ euro-
peo12. La stessa dottrina che era stata validamente impegnata nel sostenere le
ragioni della necessarietà della CDFUE in sede di Convenzione (sul futuro
dell’Europa) aveva sottolineato come lo stesso art. 136 TCE (ora art. 151 del
TFUE) – ove si prevedeva che l’Unione e gli Stati membri si impegnano a
“tenere presenti” i diritti sociali nel perseguimento degli obiettivi di politica
sociale definiti nella medesima disposizione – esclude «tassativamente dalle
competenze comunitarie le materie delle retribuzioni, del diritto di associa-
zione, del diritto di sciopero, ecc.»13.
Uno dei problemi di maggior rilievo in materia, ampiamente
approfondito in dottrina e nella stessa giurisprudenza nazionale e in quella
comunitaria, è costituito dalla definizione della posizione della CDFUE
nell’ambito della gerarchia delle fonti comunitarie14. Benché la volontà della
11
Sulla rilevanza della “scrittura” dei diritti, cfr. C. Pinelli, La Carta dei diritti, la
cittadinanza, la vita democratica dell’Unione, in F. Bassanini, G. Tiberi (a cura di), La
Costituzione europea. Un primo commento, Bologna, 2004; Id., Il momento della scrittura,
Bologna, 2002. Sulle «domande inappagate sulla Costituzione europea e il tempo lungo
del dibattito sulle tradizioni comuni», dell’A. appena citato cfr. anche Il dibattito sulla
Costituzione europea e le virtù trasformative delle tradizioni costituzionali comuni, in www.
associazionedeicostituzionalisti.it; P. Ridola, I diritti di cittadinanza, il pluralismo ed il
‘tempo’ dell’ordine costituzionale europeo. Le ‘tradizioni costituzionali comuni’ e l’identità
culturale europea in una prospettiva storica, in Id., Diritto comparato e diritto costituzionale
europeo, Torino, 2010; L. Lacchè, Europa una et diversa. A proposito di jus commune
europaeum e tradizioni costituzionali comuni, in Teoria del diritto e dello Stato, 2003,
p. 40 ss. Per una lucida analisi sul futuro dei diritti fondamentali nell’ottica della loro
positivizzazione nel Trattato costituzionale e nella prospettiva della globalizzazione, cfr.
anche G. Azzariti, Il futuro dei diritti fondamentali nell’era della globalizzazione, in Politica
del diritto, vol. 3, 2003, p. 239 ss.
12
A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale, cit.; M. Patrono, I diritti dell’uomo nel Paese
d’Europa. Conquiste e nuove minacce nel passaggio da un millennio all’altro, Padova, 2000.
13
A. Manzella, Agnizione e innovazione: nascita di una Costituzione, in E. Paciotti (a
cura di), La Costituzione europea. Luci e ombre, Milano, 2003; S. Rodotà, La Carta come
atto politico e documento giuridico, in A. Manzella, P. Melograni, E. Paciotti, S. Rodotà (a
cura di), Riscrivere i diritti in Europa, Bologna, 2001; R. Bifulco, M. Cartabia, A. Celotto
(a cura di), Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, Bologna, 2001.
14
Fra gli altri, P. Caretti, I riflessi del nuovo sistema delle fonti comunitarie sul diritto
interno (Relazione al Seminario di Pisa sulle fonti comunitarie, del 5 novembre 2004); M.
Cartabia, I diritti fondamentali e la cittadinanza dell’Unione, in F. Bassanini, G. Tiberi
262
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Commissione, del Parlamento Europeo e di alcuni Stati (tra cui l’Italia) fosse
quella di un inserimento della CDFUE nel corpus dei trattati comunitari,
e benché anche l’organo costituito per la sua redazione avesse lavorato sul
presupposto della sua efficacia vincolante, il Consiglio europeo, a Nizza,
come si è già osservato, si era limitato a ‘proclamare’ solennemente la
CDFUE senza assumerne ancora l’integrazione/incorporazione nei trattati
europei. Nelle sue conclusioni, in proposito, il Consiglio di Colonia (3/4
giugno 1999) aveva precisato che, solo dopo la proclamazione comune
della CDFUE ad opera del Parlamento europeo, del Consiglio e della
Commissione, si sarebbe potuto esaminare se, ed eventualmente in quale
modo, la CDFUE potesse essere integrata nei trattati. Nonostante la sua
incerta natura giuridica, nel primo decennio della sua attuazione, la CDFUE
aveva comunque registrato una piena attuazione sia nell’ordinamento
dell’Unione che nel costituzionalismo nazionale. In tale ottica – a mo’ di
Bill of rights del costituzionalismo comunitario – la CDFUE rappresentava
un passo significativo verso una futura Costituzione europea, rendendo
più chiara l’esigenza di ripensare se non a forme di statualità compiute,
(almeno) ad un nuovo e peculiare costituzionalismo inclusivo della relativa
legittimazione costituzionale15. Pertanto, è da rilevare come la CDFUE,
prima ancora della sua incorporazione (sia pure sostanziale) nei ‘nuovi’
trattati, quale ‘ricognizione’ di un comune ‘patrimonio costituzionale
europeo’ ha costituito una importante base di riferimento, soprattutto
in sede giurisdizionale16. Benché tale orientamento non sia stato sempre
seguito dalla CGUE, che in merito, durante tale fase, si era attenuta ad un
prudente self-restraint17, secondo parte della dottrina, essa offriva il vantaggio
di consentire una fissazione chiara e definitiva dei diritti fondamentali,
assicurandone l’indivisibilità (fra diritti civili, economici e sociali) e
l’inscindibilità rispetto ai valori e alla pregressa esperienza comunitaria18, in
maniera tale da consentire di stabilizzare un processo, a volte convulso, che
263
S. Gambino
19
A. Pizzorusso, La codificazione internazionale dei diritti fondamentali e la loro influenza
sugli ordinamenti nazionali (paper).
20
V. Onida, Il difficile compito della Convenzione sull’avvenire dell’Europa, in http://
forumcosttuzionale.it 2004.
21
Onida, Il difficile compito, cit.
264
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
265
S. Gambino
Constitucional, vol. 8, 2004, p. 455 ss., nonché Carta europea dei diritti e integrazione
interordinamentale: il punto di vista della giustizia e della giurisprudenza costituzionale, in
A. Pizzorusso, R. Romboli, A. Ruggeri, A. Saitta, G. Silvestri (a cura di), Riflessi della
Carta europea dei diritti sulla giustizia e la giurisprudenza costituzionale: Italia e Spagna a
confronto, Milano, 2003. Nel volume appena citato cfr. anche R. Romboli, Carta europea
dei diritti e garanzie giurisdizionali (notazioni introduttive), p. 107 ss. e A. Spadaro, Verso la
Costituzione europea: il problema delle garanzie giurisdizionali dei diritti, p. 115 ss.
24
A. Baldassarre, La Carta europea dei diritti, I mutamenti costituzionali in Italia nel
quadro dell’integrazione europea, in http://www.luiss.it/semecost/europa/carta/index.html.
25
A. Spadaro, Dalla Costituzione come ‘atto’ (puntuale nel tempo) alla Costituzione come
‘processo’ (storico). Ovvero della continua evoluzione del parametro costituzionale attraverso i
giudizi di costituzionalità, in Quaderni costituzionali, vol. 3, 1998, p. 343 ss.; Id., Il caso
esemplare della Costituzione europea come ‘insieme di atti’ (puntuali nel tempo) e ‘insieme di
processi’ (storici): dalle C.E.E. alla C.E., all’U.E., in Aa.Vv., Verso una Costituzione europea,
Lungro di Cosenza, 2003, pp. 721 ss.
266
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
267
S. Gambino
27
S. Gambino, La Carta e le Corti costituzionali. ‘Controlimiti’ e ‘protezione equivalente’,
in Politica del diritto, vol. 3, 2006, p. 411 ss.
268
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
269
S. Gambino
270
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
271
S. Gambino
stessi hanno svolto fin qui una funzione per così dire strumentale, in ragione
delle esigenze connesse ai progressi della costruzione del mercato comune
europeo, il loro inserimento all’interno dei trattati (sia pure con una tecnica
di mero rinvio) ne disvela ora una nuova vocazione, capace di assicurare
maggiore linfa e smalto a concetti ugualmente centrali nel processo di
costruzione europea, come la cittadinanza dell’Unione o il significato della
reciproca fiducia tra gli Stati ‘in uno spazio comune di libertà, di sicurezza e
di giustizia’. I diritti fondamentali, in tale nuovo quadro, non costituiscono
più un mero limite, imposto all’azione delle Istituzioni comunitarie o
degli Stati membri nel campo di applicazione del diritto dell’Unione,
per come viene espressamente sancito nei ‘nuovi’ trattati. Al previgente
obbligo (di non violare i diritti fondamentali) imposto alle istituzioni e agli
organi dell’Unione, come anche agli Stati membri in sede di attuazione
del relativo diritto, ne segue ora uno di tipo promozionale, secondo cui «i
suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono
l’applicazione secondo le rispettive competenze» (art. 51.1 CDFUE).
A questo punto dell’analisi, volendo richiamare (sia pure in termini
essenziali) il tema centrale della giurisdizione nonché quello dell’effettività
della tutela giudiziaria delle pretese giuridicamente riconosciute ai soggetti30,
può osservarsi come le recenti evoluzioni nel processo d’integrazione
europea appaiano (plausibilmente) destinate a una valorizzazione ulteriore
del sistema giurisdizionale, al cui interno potrà assistersi (in modo
inevitabile) ad un nuovo protagonismo sia della CGUE che dei giudici
nazionali. Tale protagonismo potrà esprimersi sia nella fase ascendente,
di adizione alla CGUE da parte del giudice nazionale (ed ora della stessa
Corte costituzionale) attraverso lo strumento del ‘rinvio pregiudiziale’, che
avrà nuove e più articolate disposizioni su cui esercitarsi, sia, e soprattutto,
nella fase discendente, con riferimento cioè alla disapplicazione del
diritto interno per contrasto con la normativa dell’Unione, ora composta
sia da disposizioni di garanzia dei diritti, sia da disposizioni che sanciscono
princìpi31. In tale quadro, quanto ai rapporti fra diritto dell’Unione e diritto
30
Nell’ampia bibliografia, sul punto, cfr. anche S. Gambino, Il diritto a un giudice autonomo e
indipendente. Ri-forma di stato e sistema di giustizia nell’ottica interna, comparata e comunitaria,
in Democrazia e diritto, vol. 3, 2005, pp. 320-363; Id., Modelli europei di ordinamento giu-
diziario e tradizioni costituzionali in materia giudiziaria comuni agli stati membri dell’U.E., in
http://www.federalismi.it, 2005, vol. 3; Id.-G. Moschella, L’ordinamento giudiziario fra dirit-
to comparato, diritto comunitario e CEDU, in Politica del diritto, 2005, vol. 4, pp. 543-623.
31
R. Alonso García, Il giudice nazionale come giudice europeo, in Quaderni costituzionali,
2005, vol. 1, pp. 11-136; dello stesso A. cfr. anche Costituzione europea: un nuovo modello
di giustizia costituzionale?, in Quaderni costituzionali, vol. 1, 2004, pp. 874-878.
272
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
273
S. Gambino
38
S. Gambino, I diritti fondamentali tra ‘Carta dei diritti UE’ e ‘costituzionalismo
multilivello’, in La cittadinanza europea, 2020, vol. 1, pp. 47-85.
274
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
275
S. Gambino
276
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
In tale quadro, appare innegabile assistere alla concorrenza con il livello delle
garanzie accordate a livello nazionale sulla base delle relative disposizioni
costituzionali e delle interpretazioni assicurate dalle Corti costituzionali
nazionali; nell’ordinamento italiano particolarmente evidente almeno fino
al revirement giurisprudenziale segnato dalla sentenza n. 356 del 1996, con
riguardo al vincolo dell’interpretazione conforme a Costituzione richiesto al
giudice ordinario dalla Corte costituzionale.
Possiamo, ora, trarre qualche considerazione conclusiva, anche
richiamando la più autorevole dottrina italiana che si è fin qui espressa
in materia. La questione centrale – con riferimento alla forza giuridica
accordata alle disposizioni generali della CDFUE – rimane quella del
rapporto esistente, a livello di Unione, fra la tutela dei diritti fondamentali,
le altre disposizioni costituzionali europee e le ‘tradizioni costituzionali
comuni’ agli Stati membri, nonché quella – strettamente connessa – se
sia o meno previsto un controllo di costituzionalità comunitaria sugli atti
normativi ‘ordinari’. La risposta che può darsene è nel senso assertivo, e
da ciò può trarsene la conclusione che tale controllo costituisce sintomo
ed evidenziamento di un processo di costituzionalizzazione europeo che,
se non può ancora definirsi compiuto, indubbiamente si spinge fino ai
‘controlimiti’ opponibili dai livelli costituzionali nazionali di protezione
costituzionale dei diritti e dei princìpi fondamentali. Come si è fatto bene
osservare, infatti, «[…] questo sembra il momento essenziale in cui nasce
una vera Costituzione: finché non c’è nessun giudice che può utilizzare la
Costituzione per contestare la legalità di un altro atto, anche legislativo,
il documento rimane una mera enunciazione politica; si trasforma in un
documento giuridico quando questo controllo è possibile»42. Pertanto,
che si dia una competenza (di giurisdizione costituzionale europea) in
capo alla CGUE appare problema non revocabile in dubbio. Che tale
competenza confonda in una sola giurisdizione competenze di merito e
competenze di legittimità (degli atti dell’Unione rispetto al relativo diritto)
è parimenti indubitabile. Ciò che costituisce, al momento, un problema
aperto (e che potrà accompagnarsi con eventuali pronunce divergenti fra
le diverse giurisdizioni in sede di applicazione del diritto dell’Unione e
di quello convenzionale-CEDU) – più che l’incerta individuazione del
contenuto dei singoli diritti – è dato da quello, risalente e ancora senza
compiuta soluzione, posto dal «rapporto fra le diverse enunciazioni degli
stessi diritti e fra le diverse giurisdizioni sui diritti»43 e in particolare del
42
Onida, Il problema della giurisdizione, cit.
43
L. Favoreu, I garanti dei diritti fondamentali europei, in G. Zagrebelsky (a cura di),
277
S. Gambino
278
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
279
S. Gambino
52
U. Allegretti, I diritti sociali, in S. Panunzio (a cura di), I diritti fondamentali e le
Corti in Europa, Napoli, 2005.
280
Francisco Balaguer Callejón
1. Introduzione
281
F. Balaguer Callejón
282
La costruzione di un’identità cittadina europea
283
F. Balaguer Callejón
284
La costruzione di un’identità cittadina europea
politico, non deve far pensare che, al fine di favorire il progetto europeo,
sia auspicabile la costruzione di un’identità nazionale europea. In realtà,
il significato moderno di identità nazionale è stato costruito sulla base di
condizioni storiche che, attualmente, hanno subito sostanziali evoluzioni11,
ragion per cui sarebbe difficile riflettere sulla possibilità di articolare una
identità nazionale europea, anche qualora fosse (ma non lo è) augurabile.
In questa prospettiva, sarebbe più opportuno che l’identità di cittadino
europeo contribuisse a moderare i profili di un’identità nazionale che negli
Stati membri sta dando vita a movimenti nazionalisti, ispirati a posizioni
chiaramente contrarie al diritto costituzionale europeo.
Pertanto, si può parlare di una identità cittadina o, allo stesso modo, di
una futura identità costituzionale europea, ma non di un’identità nazionale
europea. Ebbene, anche per la prospettiva di un’identità costituzionale
europea bisogna chiedersi a quali elementi di tale identità non si possa
ricorrere in quanto legati ad una configurazione costituzionale che risale alle
origini dello Stato costituzionale moderno ed alla prefigurazione nazionale
di questa tipologia di Stato12. Senza voler pretendere che il progetto europeo
sostituisca le identità nazionali, sarebbe auspicabile canalizzare queste
identità all’interno di uno spazio cittadino europeo, in cui la tensione
politica possa articolarsi in termini razionali e costituzionali.
A ciò può ovviamente contribuire il riconoscimento dell’identità
nazionale come identità costituzionale così come avviene, dopo il Trattato
di Lisbona, tramite l’articolo 4.2 del TUE, e cioè vincolando l’identità
nazionale con il profilo costituzionale, in maniera tale che l’Unione europea
sia chiamata a rispettare, innanzi agli Stati membri, «l’identità nazionale
insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso
il sistema delle autonomie locali e regionali». In effetti, la canalizzazione
dell’identità nazionale attraverso le strutture politiche e costituzionali
fondamentali conduce ad uno spazio di razionalità, proprio del mondo
del diritto e, più precisamente del diritto costituzionale, dove il conflitto
tra l’identità nazionale e il progetto europeo fa riferimento ad un insieme
di concetti che troveranno punti di contatto con il diritto costituzionale
dell’Unione europea, come è evidenziato dalla giurisprudenza di merito
della Corte di Giustizia13.
11
Cfr. J. Habermas, Geschichtsbewusstein und posttraditionale identität, 1987, versione
spagnola di M. Jiménez redondo, Conciencia histórica e identidad postradicional in J.
Habermas, Identidades nacionales y postnacionales, Madrid, 2007, p. 83 ss.
12
Cfr. Habermas, Faktizität und Geltung, 1998, versione spagnola di Redondo,
Facticidad y validez, Madrid, 2005, p. 619 ss.
13
Cfr. F. Balaguer Callejón, A relação dialética entre identidade constitucional nacional
285
F. Balaguer Callejón
286
La costruzione di un’identità cittadina europea
287
F. Balaguer Callejón
288
La costruzione di un’identità cittadina europea
Aa.Vv., Estudios sobre la Constitución Española. Homenaje al Profesor Jordi Solé Tura,
Cortes Generales, Madrid, 2008, vol. II, pp. 1923-1933.
24
Cfr. F. Balaguer Callejón, L’articolazione territoriale del potere politico in Europa.
Il pluralismo costituzionale di fronte alla crisi económica, in F. Balaguer Callejón, P. Cruz
Villalón, P. Grossi, P. Häberle, S. Mangiameli, G. Milano, J. Miranda, D. Schefold,
Scritti in onore di Antonio D’Atena, Milano, 2015, pp. 81-100.
25
Sulla relazione tra conflitto e costituzione, cfr. C. De Cabo Martín, Conflicto y
constitución desde el constitucionalismo crítico, Madrid, 2019.
26
Cfr. F. Balaguer Callejón, Diritto e giustizia nell’ordinamento costituzionale europeo,
versione italiana di A. Schillaci, in A. Cantaro (a cura di), Giustizia e diritto nella scienza
giuridica contemporanea, Torino, 2011, pp. 31-49.
289
F. Balaguer Callejón
che è stata quella che lo ha inspirato fino ad ora, non può considerarsi
europeista in un senso profondo, in quanto porta ad attribuire all’Europa
tutti gli aspetti negativi delle politiche pubbliche, in maniera tale che, ogni
qualvolta vi siano da promuovere azioni impopolari, la responsabilità dei
governi nazionali si trasferisce in capo alle istituzioni europee. Pertanto, la
costruzione di una identità europea è resa più complessa poiché la relazione
con l’Europa si manifesta attraverso una tensione che finisce con il rinforzare
l’identità nazionale e svilire quella europea. La conclusione che possiamo
trarre da ciò è che il modello di integrazione europea non solo non favorisce
la costruzione di un’identità europea ma, altresì, la rende più difficile 27,
favorendo, al contrario, il rafforzamento delle identità nazionali e, come
effetto patologico, dei nazionalismi.
Ciò che manca in Europa è uno spazio pubblico europeo fondato sulla
contrapposizione democratica tra maggioranze e minoranze. In altri termini,
il problema dello spazio pubblico europeo non è il suo carattere in fieri, il
suo scarso grado di sviluppo, ma una configurazione inadeguata (derivante
dal modello di integrazione seguìto finora) basata sulla contrapposizione
di interessi nazionali e non nell’articolazione pluralista e democratica di
alternative politiche a livello europeo. La questione del deficit democratico
e costituzionale dell’Unione europea è quindi strettamente connessa
con quella dell’identità. Fintantoché l’Europa sarà carente di strutture
democratiche omologabili a quelle nazionali non sarà possibile far emergere
un sentimento europeo attraverso la cittadinanza, capace di esprimere una
sua specifica identità.
Nell’Unione europea la dimensione politica della cittadinanza è
praticamente assente dallo spazio pubblico europeo, al quale si accede
sostanzialmente attraverso la mediazione dello Stato membro al quale si
appartiene. Tutto ciò finisce con il rinforzare l’identità nazionale di fronte
a quella europea e impedire, nella pratica, la costruzione di un’identità
propria a livello europeo. Nello spazio europeo non esistono alternative
democratiche se non quelle nazionali, cosicché l’identità nazionale è
sempre proiettata quale elemento consustanziale al progetto europeo. La
trasformazione della struttura politica europea in una democrazia pluralista
è quindi la prima esigenza costituente in Europa, la quale renderebbe
possibile portare a termine l’opera fondamentale inaugurata con l’entrata
in vigore della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Considerato che la Carta definisce una cittadinanza europea affidandole
una configurazione propria di diritti, la democrazia pluralista permetterebbe
27
Cfr. Balaguer Callejón, European Identity, Citizenship and the Model of Integration, cit.
290
La costruzione di un’identità cittadina europea
291
F. Balaguer Callejón
292
La costruzione di un’identità cittadina europea
32
Durante il processo di elaborazione del Trattato Costituzionale, la questione della
estensione della cittadinanza ebbe una rilevanza significativa rispetto al tema dei migranti
che siano residenti di lunga durata. La proposta del Comitato Economico e Sociale
Europeo (19/09/2002), indicata nella Convenzione, di sganciare la cittadinanza e la
nazionalità al fine di rendere possibile la concessione della cittadinanza dell’Unione europea
ai migranti di lunga durata senza la necessità che fossero cittadini degli Stati membri,
anche se alla fine non venne approvata, indica una futura prospettiva di approccio al
tema: «Occorre migliorare le politiche d’integrazione degli immigrati. Il Comitato chiede
che la Convenzione europea studi la possibilità̀ di concedere la cittadinanza dell’Unione
ai cittadini dei Paesi terzi che hanno lo status di residenti di lunga durata». Cfr. il Parere
del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Integrazione nella cittadinanza
dell’Unione europea» in cui il Comitato «propone alla Convenzione di contemplare,
all’articolo 7 (Cittadinanza dell’Unione), la concessione della cittadinanza dell’Unione non
soltanto ai cittadini degli Stati membri, bensì anche a tutti coloro che risiedono stabilmente
o per un periodo prolungato nell’Unione europea. La cittadinanza dell’Unione andrà̀ ad
aggiungersi alla cittadinanza nazionale senza sostituirla. In tal modo queste persone saranno
cittadini europei e pertanto uguali davanti alla legge».
293
Ennio Triggiani
295
E. Triggiani
296
Fra sovranità e sovranismi nell’Unione europea
297
E. Triggiani
298
Fra sovranità e sovranismi nell’Unione europea
299
E. Triggiani
300
Fra sovranità e sovranismi nell’Unione europea
3
Ci si riferisce al Gruppo degli stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (abbreviato
in ACP) che è un’organizzazione internazionale formata dai Paesi che partecipano al
sistema di partenariato e cooperazione con l’Unione europea istituito dalla Convenzione
di Lomé del 1975 e confermato dalla Convenzione firmata a Cotonou il 23 giugno 2000
attualmente in fase di ridefinizione. Il numero dei paesi ACP è passato da 46 nel 1975 a
79 dal 2012 (48 paesi dell’Africa subsahariana, 16 dei Caraibi e 15 del Pacifico).
301
E. Triggiani
Che la strada alla ricerca, per questa via, di una nuova dimensione della
sovranità effettiva sia quella giusta è riscontrabile, anzitutto, nella pace
proprio grazie al ridimensionamento del carattere di onnipotenza di cui nel
corso degli anni si era rivestito il nazionalismo statale come indiscutibile
fonte di aggressività individuando la guerra come madre degli Stati nazionali.
La pace, invece, è un indiscutibile risultato dell’integrazione europea e della
condivisione di sovranità proprio perché, pur non cancellandoli, sono stati
ridimensionati i confini scolorendoli nelle proprie molteplici dinamiche.
In questo senso, il processo di unificazione continentale deve essere
considerato anche come il tentativo degli europei di riscattare il loro passato
trasformando il nostro da continente di guerra in continente di pace.
Strettamente connesso al valore della pace, che viene così ulteriormente
qualificata, è l’irrompere dell’affermazione e della tutela dei diritti
fondamentali della persona. Cade definitivamente la visione dell’esclusività
della sovranità statuale e si afferma l’idea che i diritti fondamentali non
possono essere violati neanche dallo Stato. La creazione della Corte europea
dei diritti dell’uomo ed il processo evolutivo delle Comunità europee
costituiscono, nel nostro Continente, la prima consacrazione istituzionale
di una vera e propria rivoluzione. L’affermazione e la tutela dei diritti
fondamentali rappresentano, pertanto, un ulteriore aspetto positivo ed
efficace dell’integrazione europea, rafforzato all’inizio del terzo millennio
dalla Carta di Nizza dei diritti fondamentali che offre il valore aggiunto di
porre sullo stesso piano diritti individuali, collettivi, economici e sociali. Si
tratta, tuttavia, di una parificazione che non sempre ha trovato riscontro nei
fatti. Lo stesso principio di solidarietà, con forza e sotto più profili sancito
da Lisbona, è per sua natura di portata sovranazionale, senza però riuscire
anch’esso a trovare ancora adeguata applicazione se solo si pensa alla que-
stione dei flussi migratori (art. 80 TFUE). La solidarietà sintetizza la natura
stessa del processo d’integrazione essendo declinabile nell’ambito sia delle
relazioni tra i cittadini europei anche in ottica intergenerazionale sia nelle
relazioni tra Stati membri e tra questi ultimi e le istituzioni ‘comunitarie’.
In tale ambito, il riconoscimento ai cittadini europei di un ampio
catalogo di diritti direttamente ostensibili dinanzi ad un giudice è una
caratteristica che differenzia l’UE da gran parte delle organizzazioni
intergovernative e che la accomuna, piuttosto, agli Stati. In ordine alla loro
tutela la Corte di giustizia, contrariamente alle Corti supreme federali, non
ha però il potere di annullare le norme interne in contrasto con il diritto
dell’Unione.
302
Fra sovranità e sovranismi nell’Unione europea
303
E. Triggiani
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Fra sovranità e sovranismi nell’Unione europea
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E. Triggiani
coesistenza fra culture differenti ma, allo stesso tempo, affini in continuità
con una tendenza storica; infatti l’Europa è stata caratterizzata, sin dal
Medioevo, da una profonda unità culturale che non ha potuto svilupparsi
compiutamente proprio a causa delle divisioni politiche create dalle barriere
ideologiche dello Stato-nazione. È necessario ricordare, in proposito, il
ruolo svolto da S. Benedetto, non a caso riconosciuto da Paolo VI nel 1964
Patrono d’Europa, che, nel secolo più buio del disfacimento dell’Impero
Romano, ha fatto appello ai nostri valori comuni per ricostruire l’anima
e la stessa economia dell’Europa di allora. Gli insegnamenti di Benedetto
arrivarono, appunto, dopo il declino della civiltà romana e furono
fondamentali per la nascita della cultura europea, portando la novità, dopo
gli eccessi dell’età romana e delle violenze dei barbari, di non guardare «alla
condizione sociale, né alla ricchezza» ma al «senso della persona». Le radici
più profonde e più chiare dell’Europa pensata come un insieme nel secolo
XX sono quelle culturali. Secondo gli storici contemporanei esse si collocano
nell’Alto Medioevo: l’uso della lingua latina, la civiltà della scrittura, i centri
di insegnamento – e la nascita delle Università – sono alcuni dei fattori
che gli storici coniugano con fattori giuridici: il diritto scritto, le scuole di
diritto, l’universalità delle leggi, la nozione di cittadinanza e di res publica
costituiscono quelle che Michel Baniard, docente dell’Università di Tolosa,
definisce le «salvaguardie culturali» della civiltà europea.
Per Paolo Rumiz – autore di Il filo infinito, scritto al termine di un
lungo pellegrinaggio nei monasteri benedettini – c’è tuttavia bisogno di
una narrazione all’altezza non solo di ciò che l’Europa è stata in passato, ma
anche di ciò che è anche oggi questa grande costruzione comune. E non
è vero che la diversità abbia creato i confini, piuttosto sono i confini che
hanno esaltato la diversità; questi, nella storia, cambiavano a seconda delle
conquiste, con la nascita e il declino degli imperi, e non sono mai stati rigidi.
Ci si deve abituare a pensare alla nostra identità culturale come qualcosa
di plurale, di composito, frutto di innumerevoli stratificazioni storiche,
processi di riconoscimento, ibridazioni e incroci: si tratta di assumere la
diversità come valore in sé e quindi molto più significativa di un generico
‘multiculturalismo’.
L’identità non è uno stato ma un processo, non è un’essenza ma un dato
storico che viene costruito, decostruito e ricostruito secondo le circostanze
politiche, economiche e sociali, locali o regionali, le tendenze demografiche,
le migrazioni e, in generale, la considerazione che viene assegnata all’identità
e alla dignità umana. Non ci si può limitare ad iscriversi ad una identità.
Per di più, come già aveva sostenuto Joseph Ernest Renan in un celebre
306
Fra sovranità e sovranismi nell’Unione europea
discorso tenuto a Parigi alla Sorbonne l’11 marzo 1882, «le nazioni non
sono eterne, come hanno avuto un inizio così avranno una fine (…)
Probabilmente le rimpiazzerà la confederazione europea». Il nesso tra Stato
e nazione, dato dall’intreccio fra un elemento politico-giuridico e uno
storico-etnico e culturale, è un fenomeno storico fondamentale ma, proprio
in quanto tale, tende a configurarsi in forme e contenuti diversi.
È, infatti, anche storicamente datata la modalità attraverso la quale si
entra a far parte di una nazione. L’aggregazione a una comunità nazionale
avviene, generalmente, su base ascrittiva e non elettiva in quanto di regola
si nasce in uno Stato e più difficilmente si è in grado di poterlo scegliere
liberamente. Tuttavia, negli ultimi decenni il progressivo ampliarsi dei flussi
migratori, in Europa in particolare, ha portato al radicamento di milioni
di persone provenienti anche da realtà continentali diverse consentendo ad
esse di acquisire, in tempi più o meno lunghi, la cittadinanza del Paese nei
quali avevano collocato stabilmente la residenza. Si è, pertanto, modificata
sensibilmente la natura stessa delle popolazioni statali e ridimensionata
la coscienza nazionale, ponendo così in termini nuovi il problema della
legittimazione dello Stato.
D’altronde proprio attraverso la ‘convivialità delle differenze’ si
instaurano legami inscindibili espressione del concetto di identità plurale,
il quale consente ad ogni individuo di identificarsi ad un tempo con varie
comunità e gruppi, sfuggendo alla desolazione della mono-identificazione
identitaria ed avendo a mente che invece i conflitti culturali son ben più
profondi rispetto a quelli economici e sopravvivono agli stessi. Si tratta, in
altri termini, di ridefinire le varie identità, nessuna delle quali è esclusiva ed
escludente, per adattarle alla nuova realtà creatrice di una identità aggiuntiva
rispetto alle nazionali. Secondo Chabod l’idea di Europa intesa in senso
moderno non si deve confondere con la sua idea geografica o fisica. Ciò che
rileva è l’Europa intesa in senso politico culturale e morale, perché è questa
l’idea che penetra nella forma mentis, nell’abito culturale dei moderni. Quel
che conta è l’idea politica d’Europa, come ‘corpo politico’ in cui gli Stati si
bilanciano reciprocamente in un equilibrio dei poteri.
307
E. Triggiani
passato e di costruire il futuro sulle basi dello Stato di diritto. E, poi, c’è da
chiedersi se, in un ambito democratico, sia necessario riferirsi astrattamente
al ‘popolo’ o se sia invece preferibile parlare di ‘cittadini’ con il loro catalogo
di diritti e di doveri. Dal punto di vista dinamico il fattore giuridico ha
un ruolo ancora più rilevato, perché diviene uno dei motori propulsivi
dell’Europa del futuro; ed infatti è dalla dimensione giuridica che è partita
la edificazione della nuova Europa.
Cicerone ha dato una definizione del popolo che sembra ancora valida:
«Dunque la repubblica è la cosa del popolo, e popolo non è ogni unione di
uomini raggruppata a caso come un gregge, ma l’unione di una moltitudine
stretta in società dal comune sentimento del diritto e della condivisione
dell’utile collettivo»4.
In proposito non può che salutarsi positivamente la Risoluzione con
cui il 12 settembre 2018 il PE, ai sensi dell’art. 7 TUE, ha invitato il
Consiglio a stabilire se esista un evidente rischio di violazione grave da
parte dell’Ungheria dei valori fondanti dell’Unione (art. 2 TUE), per di
più ribaditi con la Carta dei diritti fondamentali. Purtroppo, la richiesta
unanimità nel Consiglio europeo, al termine dell’intera procedura, rende
improbabile le previste conseguenze sanzionatorie considerato che almeno la
Polonia esprimerà un voto contrario. Essa, infatti, è a sua volta oggetto di un
ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia riguardo ad una
legge sulla Corte suprema che violerebbe il principio di indipendenza della
magistratura, la cui applicazione è stata sospesa con ordinanza del 19 ottobre
dalla vicepresidente della Corte di giustizia. Lo stesso PE il 20 gennaio 2020
ha denunciato che «l’incapacità del Consiglio di applicare efficacemente
l’articolo 7 continua a compromettere l’integrità dei valori comuni europei,
la fiducia reciproca e la credibilità dell’Unione nel suo complesso».
L’indispensabile modifica del Trattato di Lisbona dovrebbe partire
proprio dalla realizzazione ulteriore di tali valori fondanti, quali d’altronde
già indicati dal ministro degli esteri francese Robert Schuman giusto
70 anni fa in quel 9 maggio 1950 nella Dichiarazione che ha segnato la
nascita dell’integrazione europea e che è pertanto ricordata, nel suo forte
valore simbolico, come data della Festa dell’Europa. L’obiettivo primario
da conseguire era (ed è) la pace che «non potrà essere salvaguardata se non
con sforzi creativi… Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può
apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni
pacifiche… Questa proposta…costituirà il primo nucleo concreto di
una Federazione europea indispensabile al mantenimento della pace».
4
La repubblica, introduzione, trad. it. e note di F. Nenci, Milano, 2016, libro I, XXV, p. 297.
308
Fra sovranità e sovranismi nell’Unione europea
309
E. Triggiani
7. Conclusioni
310
Fra sovranità e sovranismi nell’Unione europea
Senza la cessione di ulteriori poteri sovrani non può avere luogo una
condivisione democraticamente legittimata delle conseguenze delle politiche
fiscali, economiche e sociali comuni. Il vero pericolo per la democrazia è,
infatti, il consolidarsi di una realtà in cui la sovranità non è più sottoposta
a regole e vengono esercitati poteri che i cittadini non possono controllare.
Il rischio deriva dalla delegittimazione delle democrazie nazionali senza
l’edificazione di una democrazia federativa.
Tuttavia, se si vuole contrastare il sovranismo occorre rivedere molte idee
ingenue dell’europeismo. È vero che il protezionismo ci renderebbe tutti
più poveri, ma è anche vero che l’apertura dei mercati deve essere governata
per prevenire la polarizzazione sociale. Certo, il populismo ci renderebbe
tutti meno liberi, ma è altresì vero che le identità nazionali debbono essere
riconosciute. L’UE ha bisogno di essere ulteriormente democratizzata, ma
non si può farlo pensando di ripetere semplicemente l’esperienza degli
Stati nazionali. È ora di abbandonare gli ormeggi dell’inerzia culturale e
politica e si spera che la citata Conferenza sul futuro dell’Unione, la quale
dovrebbe concludersi nel 2022 durante la presidenza francese, possa fornire
le necessarie risposte.
Solo se l’Europa diventa lo spazio dove si organizza la politica e la
discussione democratica – se diventa l’istituzione intermedia fra Stati e
mondializzazione, fra cittadini e mercati anonimi – ciascun Paese potrà
ridivenire padrone di sé. Si tratta di costruire, su base non solo economica
ma anche ideale, i caratteri sostanziali dello stare insieme in una casa
comune per realizzare una società più giusta con ambizioni sociali in cui
nessuno minaccia l’altro (homo homini lupus) che invece va rispettato come
si rispetta un essere divino, l’homo homini deus di Cecilio Stazio evocato fra
gli altri da Erasmo, de Vitoria, Locke, Bacon.
La questione del deficit democratico riguarda oggi congiuntamente
l’Unione e gli Stati in un comune destino politico. È quindi urgente
porre in relazione la democrazia politica, che proviene storicamente dallo
Stato-nazione, a quanto si sta formando al di fuori di esso in particolare
nell’Europa ‘comunitaria’, recuperando appieno il nesso fra sovranità
effettiva e democrazia compiuta, come si è già detto.
L’Europa non può restare un sistema economicamente integrato, social-
mente segmentato e politicamente acefalo. Ma l’arduo compito di superane
gli ormai evidenti limiti potrà essere svolto solo sulla spinta di noi cittadini
se matureremo fino in fondo la consapevolezza di dover essere ‘europei’.
311
Fulvio Attinà
1. Introduzione
313
F. Attinà
da raggiungere.
Questo è vero ma può non essere l’unica ragione che blocca il
processo d’integrazione. Può esserci una causa istituzionale che oggi ingessa
l’integrazione perché impedisce la produzione di nuove politiche comuni
quali che siano le circostanze, sfavorevoli o favorevoli, del momento. Può
esserci anche una causa ideologica: è cambiata l’ideologia degli europei ed è
cambiata di conseguenza la prospettiva con la quale i governanti statali e gli
eurocrati guardano all’Unione e ne progettano il futuro.
Seppure il passato dell’integrazione e le politiche comuni già in atto
non siano intaccati dalle condizioni che producono l’attuale blocco del
processo integrativo perché gli Stati membri si sono ormai abituati alle
politiche comuni che hanno recepito ed interiorizzato nelle pratiche delle
loro amministrazioni, la produzione di nuove politiche in settori importanti
per la crescita futura dell’integrazione è oggi compromessa: ogni governo si
è ripreso istituzionalmente – cioè mediante la riforma delle istituzioni e delle
procedure legislative dell’Unione (vedremo più avanti quali sono queste
riforme) – la capacità di dire no alla composizione di vantaggi e svantaggi, cioè
ai package deals, e ogni governo può chiedere, e di fatto ormai ogni governo
chiede, di dare priorità ai vantaggi ricavabili dalle decisioni dell’Unione
perché sono questi che contano davanti agli elettori, e non voglia assumere
svantaggi, seppure compensabili all’interno di un package deal, perché questi
oggi non piacciono agli elettori e gli costerebbero la rielezione in patria e
l’uscita di scena a Bruxelles, soprattutto da quella istituzione – il Consiglio
Europeo – che, per l’appunto, ha cambiato la struttura istituzionale del
processo di integrazione. In breve, in un insieme di stati segnato da diverse
condizioni economiche, visioni culturali e pratiche politiche, è preferibile
approfondire il coordinamento e l’integrazione all’interno di un network
flessibile, ossia composto da diversi insiemi di stati con interessi largamente
convergenti piuttosto che integrarsi in un unico network rigido che viene
bloccato dalla diversità degli interessi.
In questo capitolo, propongo un breve esame di queste due cause – fra
loro connesse, come si vedrà – del blocco della produzione di soluzioni
politiche comuni dei principali problemi che l’Unione europea affronta in
questi anni. Da quando hanno firmato i trattati istitutivi delle Comunità
europee, i governi hanno sempre esercitato la protezione dei propri interessi
nel processo d’integrazione che la Commissione aveva il compito di portare
avanti attraverso l’emanazione di regole che producevano politiche comuni.
La prima tesi che sostengo in questo capitolo è che il Trattato di Lisbona ha
imbrigliato la Commissione e trasferito l’iniziativa delle politiche comuni
314
Due cause del blocco integrativo
2. La causa istituzionale
315
F. Attinà
Box 1
I primi quattro commi dell’articolo
Box 2
15 del Trattato di Unione Europea
dopo l’approvazione del Trattato di Lisbona danno chiara informazione
316
Due cause del blocco integrativo
Box 2
La capacità del Consiglio europeo di guidare la risposta comune
al problema dell’ondata migratoria Figura 1 l’Europa dal 2013 ad oggi è
verso
certamente esemplare della, a dir poco, scarsa capacità del Consiglio di
MODELLI DI
definire orientamenti e INTEGRAZIONE
priorità politiche E META DEL PROCESSO
destinate a dare impulso allo
INTEGRATIVO
sviluppo delle politiche dell’Unione proprio quando Europa più ce ne è bisogno,
cioè in circostanze critiche. Gli orientamenti ione sui varifederaleaspetti della risposta
1 ‐ Integraz a
all’afflusso di migranti irregolari e diProrichiedenti
gress iv asilo, che sono stati forniti
dai membri del Consiglio raz i onseeuropeo tanto alla T2 Commissione
T3 che ai governi
nteg ile approvati quasi sempre per consenso ovvero
T1
statali (cioè a sé3 – Istessi!),
b
flesi
all’unanimità, sono stati criticati dagli stessi governanti dopo averli approvati
e sono stati disattesi da quasi tutti i governi. Alcune misure preparate dalla
e
Commissione in esecuzione degli orientamenti zion Consiglio sono state
del
te gra e
n l
largamente minimizzate da alcuni governi 2e– Iignorate Va r
iab
i da altri, valgano per
tutte le misure sulla ricollocazione dei migranti presenti in Grecia e in
Europa
à la carte
317
1
F. Attinà
Italia e le misure sui contributi di personale e risorse degli hot spots in Italia
e in Grecia. Insomma, far dipendere la produzione di politiche europee
importanti dall’impulso del Consiglio Europeo è una scelta inconcludente
se, nella percezione di un capo di governo, si mette a rischio il successo
elettorale della maggioranza partitica che lo sostiene.
Così stando le cose, appare evidente che si è creato un meccanismo
che consente al singolo governo di sottrarsi alla responsabilità di bloccare
il normale funzionamento democratico dell’Unione europea. Nei regimi
democratici chi adotta una politica è sanzionabile dagli elettori che valutano
gli effetti che quella politica ha sui loro interessi quando viene eseguita.
Nell’Unione non è così. Non viene sanzionato dal voto dell’elettore colui
che prende le decisioni a Bruxelles ma il governo statale che contribuisce
a formarle e che le deve eseguire. Di conseguenza, ogni governo valuta se
e come eseguire quelle decisioni e, ovviamente, sottomette il se e il come
eseguirle ai suoi interessi elettorali. Da quando il Consiglio Europeo definisce
le priorità politiche generali dell’Unione (art.15 TEU), ogni capo di governo
calcola se gli convenga fare uso del potere di condizionare la formazione di
una politica comune facendo venire meno il proprio consenso nel Consiglio
Europeo oppure se customizzare l’esecuzione delle politiche europee, cioè
fare ricorso all’adattamento nazionale fino a trasgredire parzialmente o
totalmente le regole emanate a Bruxelles. Quanto più i capi di governo
bloccano la formazione del consenso sulle deliberazioni del Consiglio o
deviano a proprio interesse l’esecuzione delle deliberazioni tanto più si
blocca la produzione di politiche comuni e si deforma il processo integrativo.
Questo è molto probabile che avvenga su politiche che hanno un impatto
simbolico sulla sovranità statale e un impatto economico sul benessere dei
cittadini: in sostanza, sulle politiche più importanti del processo integrativo
e degli interessi elettorali dei partiti di governo.
In queste circostanze, non sorprende che ‘coordinazione’ sia il termine che
sostituisce ‘integrazione’ in un crescente numero di documenti dell’Unione.
Le decisioni dei capi di governo nel Consiglio Europeo, in sostanza, indicano
alla Commissione quali proposte di legislazione, quali misure amministrative
e quali meccanismi la Commissione deve avanzare per coordinare regole,
politiche e agenzie degli stati. Come non considerare questa rivoluzione
delle relazioni inter-istituzionali dell’Unione che toglie alla Commissione la
responsabilità dell’esecuzione del Trattato di Unione Europea e del processo
integrativo una ragione importante del declino della produzione di nuove
politiche? Ma c’è di più. Le posizioni espresse dal singolo capo di governo
nelle riunioni del Consiglio Europeo trasmettono ai parlamentari europei
318
Due cause del blocco integrativo
del partito o dei partiti di governo dello stesso stato un chiaro messaggio su
quali sono gli interessi elettorali in gioco per i partiti di governo e, quindi,
su quale condotta tenere nei lavori parlamentari e su quale voto conviene
esprimere sulle proposte legislative in discussione al Parlamento europeo e in
ogni altra votazione su temi correlati. Il capo di governo in Consiglio Europeo
e i deputati dello stesso governo nel Parlamento Europeo hanno gli stessi
interessi elettorali. La visione tradizionale della dialettica inter-istituzionale
Consiglio-Commissione-Parlamento, insomma, non corrisponde più alla
realtà di oggi. Non c’è più, come si è ripetutamente sostenuto, al centro del
processo decisionale dell’Unione la Commissione che riceve il sostegno del
Parlamento che parla per i cittadini che vogliono più Europa e che bilancia
o si contrappone al Consiglio che porta avanti gli interessi dei governi che
vogliono conservare negli stati il controllo sulla coordinazione delle politiche
concertate a Bruxelles. Sulle questioni politiche più delicate e divisive, gli
schieramenti partitici determinano la produzione di nuove politiche comuni
dal momento che i partiti di maggioranza negli stati unificano le scelte dei
loro rappresentanti nel Consiglio Europeo, nel Consiglio (dei ministri) e
nel Parlamento. Questo avviene sulle questioni più importanti o di public
politics, cioè le questioni che destano la preoccupazione dei cittadini, causano
la polarizzazione delle posizioni dei partiti e degli stakeholders e mobilitano
la società civile riducendo l’autonomia dei politici1.
3. La causa ideologica
319
F. Attinà
320
Due cause del blocco integrativo
321
F. Attinà
Figura 1
322
Due cause del blocco integrativo
Figura 2
2
H. Wallace, W. Wallace (eds.), Policy-making in the European Communities, 4th ed.,
London, 1996, p. 13. Box 3
IL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA IN STALLO
323
UE prima della crisi economico-finanziaria del 2008
3
F. Attinà, Tackling the migrant wave: EU as a source and a manager of crisis, in Revista
Espanola de Derecho Internacional, 2018, 70, 2, pp. 49-70.
324
Due cause del blocco integrativo
Box 3
IL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA IN STALLO
Box 3
4. Conclusioni
325
F. Attinà
costa agli inglesi fare diversamente. Fra l’altro, le politiche comuni hanno
evitato il rischio più importante che i padri fondatori avevano posto come
obiettivo del progetto, i conflitti violenti tra gli stati europei. Restano
incerti e incompiuti, invece, gli obiettivi che Jacques Delors aveva proposto
con il mercato unico e la riforma dei trattati, cioè attrezzare l’Europa per
restare competitiva nel sistema mondiale e dare conseguenti servizi e beni
ai cittadini. Difficile raggiungere questi obiettivi con un’organizzazione
internazionale che si limita a coordinare le politiche nazionali. Esiste ancora
una via per rimettere l’Unione europea in condizione di produrre politiche
legittimate dal consenso dei cittadini, dei partiti, delle organizzazioni sociali
e specialmente dalla leale adesione dei governi?
Il consenso permissivo dei cittadini, che in passato ha permesso ai leader
europei di creare le politiche comuni, è tramontato. L’integrazione europea è
entrata come tema controverso nella competizione politica e partitica di tutti
gli Stati membri. La contestazione dell’integrazione ha messo ovunque radici
nella politica interna. Lo scontro tra il progetto, voluto dalla Germania, di
un’Europa prima di tutto economicamente stabile e competitiva nel sistema
globale e il progetto di un’Europa anche sociale e vicina ai cittadini, messo
in campo da Jacques Delors, è stato risolto a vantaggio del primo con
le regole dell’unione monetaria. Il Consiglio Europeo, con le sue regole
di funzionamento, non è stato in grado di risolvere gli effetti che la crisi
economico-finanziaria ha prodotto negli stati. Ne è seguito il riemergere di
istanze di conservazione dei sistemi sociali nazionali garantiti dall’intervento
statale, cioè dai governi. Riusciranno i leader e i partiti politici a varare
nuove politiche comuni che salvaguardino la sicurezza sociale e riaprano
lo sviluppo economico? Questo obiettivo appare difficile da raggiungere
dentro un’organizzazione che può soltanto coordinare attese e pretese
nazionali. Nessuno, fra l’altro, sa come riaccendere i motori e muoversi verso
la meta federale.
326
Salvatore Bonfiglio
327
S. Bonfiglio
328
Il metodo degli Spitzenkandidaten e la riforma dei trattati
329
S. Bonfiglio
330
Il metodo degli Spitzenkandidaten e la riforma dei trattati
Per le elezioni europee del 2014 e del 2019, tutti i principali partiti poli-
tici europei15 hanno adottato il sistema degli Spitzenkandidaten, indicando
il proprio candidato alla carica di Presidente della Commissione. Si sono
tenuti dibattiti pubblici tra i candidati, valorizzando la partecipazione dei
cittadini europei. Ora, come si è detto, dopo le elezioni europee del 2019
tale sistema ha registrato una battuta d’arresto. Ciò in evidente controten-
denza rispetto a quanto deciso dal Parlamento europeo e in forte distonia
rispetto al Trattato di Lisbona, che ha riconosciuto forme di democrazia
partecipativa diretta da parte dei cittadini16 e, altresì, i partiti politici
come elementi strumentali privilegiati del rapporto cittadini-istituzioni e
incorporati all’interno della rappresentanza democratica dell’Unione17. Per
14
Atto relativo all’elezione dei rappresentanti al Parlamento europeo a suffragio universale
diretto, allegato alla decisione 76/787/CECA, CEE, Euratom del Consiglio (GU L 278
dell’8.10.1976, p. 1), quale modificato dalla decisione 93/81/Euratom, CECA, CEE del
Consiglio (GU L 33 del 9.2.1993, p. 15) e dalla decisione 2002/772/CE, Euratom del
Consiglio (GU L 283 del 21.10.2002, p. 1).
15
Più esattamente, nel dare seguito alla Risoluzione 2012/2829, cinque partiti europei
(European People’s Party, Party of European Socialists, Alliance of Liberals and
Democrats for Europe, European Left e Green Party) hanno indicato i propri candidati
alla presidenza della Commissione.
16
In tal senso l’art. 11, comma 4, del TUE prevede una iniziativa dei cittadini, attraverso
la quale un milione di cittadini, appartenenti ad almeno un numero significativo di
Stati membri, possano rivolgersi direttamente alla Commissione europea per chiedere la
presentazione di una proposta di legge di loro interesse in un settore di competenza dell’UE.
17
G. Conti, Costituzionalismo e democrazia dei partiti a livello europeo, in Federalismi,
2014, n. 24.
331
S. Bonfiglio
18
L’art. 224 costituisce la base giuridica della legislazione di diritto derivato sullo statuto
e sul finanziamento dei partiti politici europei.
19
L’art. 12, comma 2, della Carta dei diritti statuisce: «I partiti politici a livello
dell’Unione contribuiscono a esprimere la volontà politica dei cittadini dell’Unione».
20
Si veda G. Conti, L’elezione del Parlamento Europeo del 2014 e il processo di consolidamento
dei partiti politici europei, in Osservatorio AIC, 2/2014, pp. 1-37; S. Bonfiglio, La
disciplina giuridica dei partiti e la qualità della democrazia. Profili comparativi e il caso
italiano visto nella prospettiva europea, in Nomos. Le attualità nel diritto, 2015, vol. 3, pp.
16-35; F. Saitto, European Political Parties and European Public Space from the Maastricht
Treaty to the Reg. No. 1141/2014, in Riv. dir. comp., 2017, vol. 2; P. Marsocci, La possibile
disciplina (legislativa) dei partiti politici e il suo collegamento con il loro finanziamento,
in Costituzionalismo.it, 1/2017, p. 75 ss.; G. Grasso, Partiti politici europei e disciplina
costituzionale nazionale, in Nomos. Le attualità nel diritto, 2017, vol. 1, p. 159 ss.
21
Per incoraggiare e sostenere i partiti politici, dunque, viene istituito uno specifico status
giuridico europeo dei partiti politici europei e delle fondazioni europee a essi affiliate. Il
«partito politico europeo», secondo l’art. 2 del Regolamento, è «un’alleanza politica che
persegue obiettivi politici ed è registrata presso l’Autorità per i partiti politici europei e
le fondazioni politiche europee». Il partito politico europeo può chiedere la registrazione
soltanto a determinate condizioni (art. 3), tra cui quella di rispettare, in particolare nel
suo programma e nelle sue attività, i valori sui quali è fondata l’Unione. Il Regolamento
prevede, altresì, alcune regole organizzative e di “democraticità” interna.
332
Il metodo degli Spitzenkandidaten e la riforma dei trattati
partiti politici europei22. Inoltre, in vista delle elezioni europee del 2019,
il Regolamento n. 1141/2014 è stato modificato dal Regolamento n.
2018/673 del 3 maggio 201823. Tale modifica ha come obiettivo quello
«di incoraggiare e assistere i partiti politici europei e le fondazioni poli-
tiche europee a essi affiliate nel loro sforzo di creare un legame forte tra
la società civile europea e le istituzioni dell’Unione e in particolare il
Parlamento europeo» (si veda il considerando n. 2).
Si tratta di una tendenza senza dubbio positiva che segna anche un ele-
mento di discontinuità rispetto al passato: basti pensare che l’Unione europea
è stata tradizionalmente più attenta alle funzioni dei “gruppi di pressione”
piuttosto che alla rappresentanza democratica dell’Unione, che va difesa,
innanzitutto, dalle ingerenze delle potenze straniere: ad esempio, vietando il
finanziamento dei partiti politici europei da parte delle potenze straniere24.
L’istituzionalizzazione della forma-partito a livello europeo può essere
utile non soltanto al riconoscimento giuridico dei partiti politici come
elementi strumentali privilegiati del rapporto cittadini-istituzioni, ma anche
a potenziare il ruolo del Parlamento europeo ed aumentare la partecipazione
al voto europeo. In tal senso va considerata positivamente l’affluenza alle
elezioni europee del 2019, che è stata la più alta dal 1994. Essa è stata
determinata da un aumento della partecipazione dei giovani, secondo i
risultati dell’indagine Eurobarometro post-elettorale commissionata dal
Parlamento. In particolare, i giovani cittadini europei sotto i 25 anni (+14
punti percentuali sul 2014) e i 25-39enni (+12 punti percentuali sul 2014)
sono andati al voto in misura maggiore rispetto al passato.
Questo dato sull’affluenza conferma quanto sia importante politicizzare
lo spazio pubblico europeo e «garantire meglio che i partiti politici europei
e le fondazioni politiche europee a essi affiliate abbiano un’autentica
dimensione transnazionale» (si veda, del Regolamento n. 2018/673 del 3
maggio 2018, anche il considerando n. 4).
In questo quadro, costruire veri e propri partiti europei dovrebbe
favorire anche il rilancio del metodo degli Spitzenkandidaten e contribuire
22
Pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, L 317 del 4 novembre 2014.
23
In vigore dal giorno della sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione
europea (4 maggio 2018).
24
Emmanuel Macron nel marzo 2019, nel suo noto appello “per un Rinascimento
europeo” (pubblicato nel sito dell’Eliseo in tutte le lingue dell’Ue), propone anche che
«venga creata un’Agenzia europea di protezione delle democrazie che fornirà esperti europei
ad ogni Stato membro per proteggere il proprio iter elettorale contro i cyberattacchi e le
manipolazioni» e, altresì, di «vietare il finanziamento dei partiti politici europei da parte
delle potenze straniere».
333
S. Bonfiglio
334
Il metodo degli Spitzenkandidaten e la riforma dei trattati
D’altra parte, non soltanto i partiti politici europei hanno una base
nazionale: ciò avviene anche negli Stati federali, a cominciare dagli Stati
Uniti d’America, in cui il partito democratico e il partito repubblicano
altro non sono che federazioni di partiti tra loro molto diversi, sia dal
punto di vista culturale che programmatico. Presenti nei cinquanta Stati
che compongono la Federazione, i partiti statunitensi si dice, non a caso,
che siano almeno cento: due per ogni Stato considerando soltanto quelli
dei democratici e dei repubblicani.
Cosa ha spinto i partiti politici statunitensi a organizzarsi su base
statale e a “unirsi” su base federale? Certamente le elezioni presidenziali,
che ne hanno anche favorito lo sviluppo organizzativo. Ciò si è verificato,
innanzitutto, con la nascita del Partito democratico26e con le Conventions
per la formazione delle candidature presidenziali: si tratta, come scrive
Tocqueville, del sistema rappresentativo applicato ad un partito27.
Attraverso gli studi storico-comparativi conosciamo anche la genesi
costituzionale del sistema partitico britannico di derivazione parlamentare
e l’evoluzione della forma di governo parlamentare influenzata dai partiti
politici28. Come negli Stati Uniti il sistema delle primarie è fondamentale
per la selezione dei candidati alle elezioni presidenziali, così nel Regno
Unito il sistema dei partiti e, in particolare, la meccanica bipartitica e
la disciplina di partito sono rilevanti per la scelta dei parlamentari e per
assicurare il necessario legame tra il legislativo e l’esecutivo29. Infatti, attra-
verso quel processo di concentrazione nella figura del Premier del ruolo
di capo dell’esecutivo, capo della maggioranza parlamentare e leader del
26
J.H. Aldrich, Why Parties? The Origin and Transformation of Political Parties in
America, Chicago, 1995.
27
A. de Tocqueville, Voyage en Amérique (1831-1832), in Oeuvres, vol. I, Paris,
1991 (tr. it.: Viaggio in America: 1831-1832, Milano, 1990); N. Matteucci, Alexis de
Tocqueville. Tre esercizi di lettura, Bologna, 1990.
28
S. Bonfiglio, Dall’«influenza» regia a quella dei partiti politici. Elementi caratterizzanti
l’evoluzione della forma di governo parlamentare del Regno Unito nel XVIII secolo, in Nomos.
Le attualità nel diritto, 2018, vol. 2, pp. 1-12.
29
J. Valera Suanzes-Carpegna, Governo e partiti nel pensiero britannico (1690-1832), nella
collana del Centro studi per la storia del pensiero giuridico moderno, vol. 73, Milano, 2007,
p. 77. Sul punto si veda M. Galizia, Caratteri del regime parlamentare inglese del Settecento.
(In tema di incompatibilità fra la carica di Ministro e appartenenza al regime parlamentare),
estratto “provvisorio” dalla Riv. trim. dir. pub., 1969. Qui l’a. scrive che il meccanismo idoneo
a realizzare la «benefica corrispondenza fra Esecutivo e Legislativo è per Burke il sistema dei
partiti, i quali, adottando una struttura libera e articolata, dovrebbero essere in grado a suo
parere di superare gli inconvenienti emersi al riguardo nell’esperienza inglese dell’epoca»
(citazione tratta dall’estratto, pp. 51-52).
335
S. Bonfiglio
336
Il metodo degli Spitzenkandidaten e la riforma dei trattati
337
S. Bonfiglio
338
Il metodo degli Spitzenkandidaten e la riforma dei trattati
le. Una opinione pubblica europea e un contatto diretto dei partiti politici
europei con l’elettorato, senza la necessaria mediazione dei partiti nazionali,
avvicinerebbero i cittadini europei alle istituzioni dell’Unione34.
Inoltre, per rilanciare il metodo degli Spitzenkandidaten si dovrebbe
rafforzare il ruolo dei gruppi parlamentari nella fase di consultazione del
Consiglio europeo per l’individuazione del Presidente della Commissione
e cambiare le regole sulla investitura di quest’ultimo da parte del
Parlamento.
Oggi, secondo la procedura introdotta dall’art. 17, par. 7, TUE, così
come modificato dal Trattato di Lisbona, se «il candidato non ottiene la
maggioranza, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata,
propone entro un mese un nuovo candidato, che è eletto dal Parlamento
europeo secondo la stessa procedura». In questo modo, spetta soltanto al
Consiglio il potere di designazione del candidato alla presidenza.
La riforma dei trattati35, invece, dovrebbe prevedere che nel caso di
una bocciatura del candidato proposto dal Consiglio europeo da parte del
Parlamento europeo sia quest’ultimo a proporre, entro due settimane dalla
bocciatura, uno dei candidati preventivamente indicati agli elettori come
candidati alla presidenza della Commissione europea. Se, però, trascorso
il termine di trenta giorni, a partire dalla prima votazione sul candidato
proposto dal Parlamento, nessun candidato avesse ottenuto la fiducia, il
34
Attualmente invece può essere presentata una lista nazionale senza che la relativa forza
politica (o le forze politiche, in caso di soggetto federativo) sia affiliata ad alcun partito
politico europeo. In compenso, la Raccomandazione della Commissione europea del 14
febbraio 2018 (2018/234/UE), anche dando seguito alla precedente Raccomandazione del
12 marzo 2013 (2013/142/UE), ha invitato gli Stati membri a «promuovere e semplificare
la diffusione all’elettorato delle informazioni sulle affiliazioni tra partiti nazionali e partiti
politici europei, nonché sui candidati capilista, prima e durante le elezioni del Parlamento
europeo, anche permettendo e incoraggiando l’indicazione dell’affiliazione sul materiale
usato nella campagna elettorale, nei siti web dei partiti membri nazionali e regionali e, ove
possibile, sulle schede elettorali»; di più, nell’atto sull’elezione dei parlamentari europei,
dopo la decisione 2018/994 del Consiglio del 13 luglio 2018, ora si prevede che gli Stati
membri possano «consentire l’apposizione, sulle schede elettorali, del nome o del logo
del partito politico europeo al quale è affiliato il partito politico nazionale o il singolo
candidato». In proposito si veda G. Maestri, Sognando Strasburgo… senza firme: il caso
del simbolo dei Verdi Europei, in Federalismi.it, 2014, vol. 9, pp. 8-10; si veda anche, dello
stesso A., Verso le europee: ecco cosa dicono sui simboli le Istruzioni del Viminale, www.
isimbolidelladiscordia.it, 22 marzo 2019.
35
Il piano di Francia e Germania: riformare l’Europa entro il 2022 insiste (http://
www.mfe.it/site/fileMfe/file-vari/191126_Conference-on-the-Future-of-Europe.pdf ) in
particolare sui seguenti aspetti: «transnational lists, lead candidate system, issues related
to citizens’ participation in EU institutions/matters».
339
S. Bonfiglio
36
Si tratta di proposte che tendono al rafforzamento delle prerogative e delle funzioni del
Parlamento, visto il permanere di alcuni evidenti elementi di criticità. Ad esempio, né il
Parlamento nel suo complesso, né i singoli deputati europei hanno il potere di iniziativa
legislativa, saldamente conservato, almeno in via ordinaria , nelle mani della Commissione.
37
Molti studiosi hanno correttamente evidenziato poco prima e subito dopo le ultime
elezioni per il Parlamento europeo la necessità di riformare le istituzioni europee,
affermando la centralità del Parlamento. Si vedano: L. Moccia, La cittadinanza comune
come fondamento della sovranità democratica europea: ovvero, la posta in gioco nelle elezioni
del 2019 per il rinnovo del Parlamento dell’Unione, in La cittadinanza europea, 2018, vol. 2,
pp. 5-19 e, dello stesso A., Cittadini Uniti d’Europa, in La cittadinanza europea, 2019, vol.
2, pp. 5-20; B. Caravita, Il dibattito sul futuro dell’Europa: quali politiche e quale governance
per l’Unione dopo le elezioni europee del 2019 e dopo Brexit, in Federalismi.it, 23/2019, p.
13. Caravita, però, nutre dei dubbi sulla esperienza degli Spitzenkandidaten e vede una
dinamica del sistema europeo che si avvicina al modello svizzero della forma di governo
direttoriale (op. cit., p. 14).
38
Risoluzione del Parlamento europeo del 13 febbraio 2019 sullo stato del dibattito sul
futuro dell’Europa (2018/2094(INI)).
39
Moccia, La cittadinanza comune come fondamento della sovranità democratica europea,
cit., p. 14.
340
Alessandro Somma
341
A. Somma
342
Il Meccanismo europeo di stabilità e il mercato delle riforme
5
Cfr. M. Patrono, Diritto dell’integrazione europea, vol. 1 (Initium Europae), Torino, 2013,
p. 72.
343
A. Somma
344
Il Meccanismo europeo di stabilità e il mercato delle riforme
345
A. Somma
346
Il Meccanismo europeo di stabilità e il mercato delle riforme
14
Considerando 12 Regolamento 21 maggio 2013 n. 472.
15
Guideline on Precautionary Financial Assistance del 9 ottobre 2012, www.esm.europa.
eu/sites/default/files/esm_guideline_on_precautionary_financial_assistance.pdf.
16
Dettagli in www.esm.europa.eu/assistance/spain.
17
Cfr. www.esm.europa.eu/assistance/cyprus e www.esm.europa.eu/assistance/greece.
347
A. Somma
Banca centrale europea: solo il Mes può operare come un vero e proprio
acquirente di ultima istanza dei titoli del debito pubblico. È infine il caso
del «meccanismo di ricapitalizzazione diretta» destinato all’assistenza alle
istituzioni finanziarie: uno strumento introdotto nel 201418, che la riforma
del Mes ha inteso riformare.
348
Il Meccanismo europeo di stabilità e il mercato delle riforme
ad adottare nel merito «principi specifici per guidare gli Stati membri»:
compito assolto attraverso la previsione per cui «ogni Stato membro fornisce
al Fondo le informazioni necessarie a questa sorveglianza e, su richiesta
del Fondo, conduce consultazioni con il Fondo stesso riguardo a queste
politiche» (art. iv). Con la precisazione che la sorveglianza del Mes dovrebbe
avere come punto di riferimento quanto previsto nel Patto di stabilità e
crescita e nel Fiscal compact, e con ciò il rispetto rigoroso dei parametri di
Maastricht in particolare quanto ai limiti al deficit e al debito pubblico.
La riforma del Mes dovrebbe poi accompagnarsi alla definizione di «un
prevedibile meccanismo di ristrutturazione del debito» nel quale sia previsto
e disciplinato anche il ruolo dei creditori privati. Nel merito Schäuble
intende evitare il rischio che una minoranza di loro possa impedire un taglio
del debito facendo leva sulla disciplina delle clausole di azione collettive
(collective action clauses), che il Trattato istitutivo del Mes aveva imposto di
includere in tutti i titoli del debito pubblico emessi dal 1. gennaio 2013 (art.
12). Queste clausole consentono di modificare le condizioni di pagamento
di un titolo con il consenso dei creditori, prevedendo nel merito una doppia
maggioranza: del totale dei creditori e di singole categorie di creditori, di
norma corrispondenti ai detentori delle diverse serie di titoli (double limb
aggregation). Ciò pone ostacoli alla ristrutturazione del debito, che può
essere impedita da una cosiddetta minoranza di blocco: esito che si intende
impedire consentendo ai creditori di esprimersi con la maggioranza singola,
ovvero unicamente quella del totale dei creditori (single limb aggregation).
L’ex Ministro delle finanze tedesco propone poi di utilizzare il Mes
nell’ambito del Meccanismo di risoluzione unico (Single resolution
mechanism), il sistema europeo di risoluzione ordinata delle banche concepito
come secondo pilastro dell’Unione bancaria europea20. In particolare il Mes
dovrebbe assolvere al ruolo di backstop, ovvero divenire la fonte ultima di
finanziamento del Fondo di risoluzione unico (Single resolution fund). Il
tutto in sostituzione del «meccanismo di ricapitalizzazione diretta», e in
alternativa alla proposta avanzata dall’allora Presidente della Commissione
europea di utilizzare a questi fini il bilancio dell’Unione, suscettibile di
chiamare in causa criteri politici nel governo delle insolvenze bancarie o
comunque di impedire l’operare di automatismi.
Va da sé che la riforma del Mes nel senso auspicato da Schäuble
dovrebbe avvenire ricorrendo a un accordo intergovernativo, ovvero
evitando di ricondurre la materia al diritto europeo. Si dice nel merito che
mancherebbe il necessario consenso politico alla modifica dei Trattati, e di
20
Regolamento 15 luglio 2014 n. 806.
349
A. Somma
21
Comunicazione della Commissione: Ulteriori tappe verso il completamento dell’Unione econo-
mica e monetaria dell’Europa: tabella di marcia del 6 dicembre 2017, Com/2017/0821 fin.
22
Comunicazione della Commissione su un Ministro europeo dell’economia e delle finanze del
6 dicembre 2017, Com/2017/0823 fin.
23
Proposta di Regolamento sull’istituzione del Fondo monetario europeo del 6 dicembre
2017, Com/2017/827 fin.
350
Il Meccanismo europeo di stabilità e il mercato delle riforme
351
A. Somma
352
Il Meccanismo europeo di stabilità e il mercato delle riforme
29
Lettera del Presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno al Presidente del Vertice Euro
Donald Tusk del 25 giugno 2018, www.consilium.europa.eu/media/35798/2018-06-25-
letter-president-centeno-to-president-tusk.pdf.
30
Future cooperation between the European Commission and the European Stability
Mechanism del 14 novembre 2018, www.consilium.europa.eu/media/37324/20181203-
eg-1b-20181115-esm-ec-cooperation.pdf.
31 Memorandum of Understanding on the working relations between the European
Commission and the European Stability Mechanism del 27 aprile 2018, www.esm.europa.
eu/sites/default/files/2018_04_27_mou_ec_esm.pdf.
32
In caso di divergenze nella valutazione circa la sostenibilità del debito e la capacità di rim-
borso, la Commissione prevale sulla prima, mentre il Mes sulla seconda (considerando 12a).
353
A. Somma
sorti del debitore. Lo stesso vale per il monitoraggio circa il rispetto delle
condizionalità, il tutto confermando ovviamente il coinvolgimento degli
altri soggetti il cui apporto alimenta la spoliticizzazione dell’assistenza
finanziaria: il Fondo monetario internazionale e la Banca centrale europea
(art. 13).
33
V. Giacché, Audizione presso le Commissioni riunite V e XIV della Camera
dei Deputati (20 novembre 2019), www.centroeuroparicerche.it/wp-content/
uploads/2019/11/20191120AudizioneCER20191120_new.pdf.
354
Il Meccanismo europeo di stabilità e il mercato delle riforme
355
A. Somma
36
C. Clericetti, Riforma del Fondo salva Stati, fermate quel mostro (22 novembre
2019), http://clericetti.blogautore.repubblica.it/2019/11/22/riforma-del-fondo-salva-
stati-fermate-quel-mostro.
37
Giacché, Audizione presso le Commissioni riunite V e XIV della Camera dei Deputati, cit.
38
I. Visco, Audizione presso le Commissioni riunite V e XIV della Camera dei Deputati (4
dicembre 2019), www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-governatore/integov2019/
visco-audizione-4122019.pdf
39
I. Visco, L’Unione economica e monetaria: è ora di superare lo stallo, intervento al
Seminario OMFIF-Banca d’Italia “Future of the Euro area”, Roma, 15 novembre
2019, www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-governatore/integov2019/Visco_
OMFIF_15112019.pdf.
40
V. anche S. Cesaratto, M. D’Antoni, Quel Gattopardo del Mes (6 dicembre 2019),
http://politicaeconomiablog.blogspot.com/2019/12/quel-gattopardo-del-mes.html?m=1.
356
Il Meccanismo europeo di stabilità e il mercato delle riforme
357
A. Somma
358
Il Meccanismo europeo di stabilità e il mercato delle riforme
tutto recepito dal legislatore nazionale, che in sede di ratifica del Trattato ha
fornito una ricca e dettagliata elencazione di prerogative del Parlamento che
non devono in alcun modo essere frustrate dall’attività del Mes47.
L’opportunità di riconoscere alla Germania specifici diritti di
partecipazione parlamentare è stata ribadita in sede di valutazione della
riforma del Mes48. Se non altro perché questa è stata criticata per non aver
disciplinato l’assistenza precauzionale con automatismi tali da impedire
forzature da parte dei Paesi «con deficit strutturale e politiche fiscali
deboli»49. Va peraltro detto che diritti di partecipazione parlamentare sono
stati assicurati anche ad altri Paesi capaci di vantare un sostanziale rispetto dei
parametri di Maastricht: Austria, Estonia, Finlandia e Paesi Bassi. Nessuno
tra i Paesi in difficoltà con quei parametri ha ottenuto simili privilegi, e anzi
l’emarginazione dei loro parlamenti è direttamente proporzionale al peso di
quelle difficoltà50.
359
A. Somma
360
Il Meccanismo europeo di stabilità e il mercato delle riforme
Tutto ciò trae conferma dalla proposta di istituire un non meglio definito
«strumento di convergenza e competitività» destinato a «fornire sostegno
all’attuazione tempestiva delle riforme strutturali», in particolare delle
«riforme difficili» da realizzare «nel quadro della procedura per gli squilibri
macroeconomici»54. Con l’occasione si sottolinea infatti che lo strumento,
sebbene si traduca in una spesa a favore di un singolo Stato membro, non
mira immediatamente a produrre benefici per quest’ultimo: è concepito,
come l’assistenza finanziaria condizionata, per «sostenere riforme importanti
con potenziali ripercussioni su altri Stati membri, sulla Zona Euro e sull’Ue
considerata nel suo insieme»55.
Il tutto mentre l’impiego dello strumento di convergenza e competitività
resta oramai l’unica modalità attraverso cui alla Commissione europea è
dato incidere sull’equilibrio dell’ordine economico, dal momento che la
cessione al Mes di poteri in materia di assistenza finanziaria condizionata
l’ha oramai «ridotta a ufficio studi e strumento meramente esecutivo»56.
E dal momento che il bilancio europeo è «finalizzato principalmente a
sostenere le politiche e gli obiettivi comuni dell’Ue», e per il resto risulta
«troppo limitato per una vera stabilizzazione economica anticiclica e per
una redistribuzione sostanziale»: come recentemente riconosciuto persino
dal Gruppo di alto livello sulle risorse proprie dell’Unione57.
Sarebbe però un errore ritenere tutto questo il risvolto di una costruzione
dell’Unione economica e monetaria ancora in itinere, suscettibile di essere
completata in un futuro prossimo in forme idonee a prevenire quanto si
reputa ora una patologia. La costruzione europea costituisce un dispositivo
neoliberale, e da questo punto di vista la sua incompletezza non deve
ritenersi tale: rappresenta un esito voluto, rispecchia cioè il corretto e
fisologico funzionamento di una struttura pensata per catalizzare il mercato
delle riforme.
Insomma, siamo ancora prigionieri della logica del vincolo esterno
54
Cfr. Un piano per un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita del 30
novembre 2012, Com/2012/777 fin.
55
Verso un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita. Creazione di uno
strumento di convergenza e di competitività del 20 marzo 2013, Com/2013/165 fin.
56
E. Russo, Di grande interesse il dibattito sulla proposta di modifica del Meccanismo
europeo di stabilità finanziaria (22 novembre 2019), http://enzorusso.blog/2019/11/23/
di-grande-interesse-il-dibattito-sulla-proposta-di-modifica-del-meccanismo-europeo-di-
stabilita-finanziaria.
57
Future Financing of the Eu. Final Report and Recommendations of the High Level Group
on own Resources (dicembre 2016), http://ec.europa.eu/budget/mff/hlgor/library/reports-
communication/hlgor-report_20170104.pdf.
361
A. Somma
58
G. Carli, Cinquant’anni di vita italiana (1993), Roma e Bari, 1996, p. 432 ss.
362
Daniela Preda
1. Introduzione
363
D. Preda
364
La partecipazione nel processo d’integrazione europea: il ruolo delle élites e del popolo
365
D. Preda
366
La partecipazione nel processo d’integrazione europea: il ruolo delle élites e del popolo
15
M. Albertini, Voi siete i primi europei della storia d’Europa, in Domani d’Europa, numero
speciale per gli elettori europei di Milano e di Como, dicembre 1957, n. 12, ora in Albertini,
Tutti gli scritti, cit., vol. II, pp. 783-784.
367
D. Preda
368
La partecipazione nel processo d’integrazione europea: il ruolo delle élites e del popolo
uno Stato (Italia, Francia, Germania, ecc.) e una federazione di Stati (la
federazione europea).
Promossa nella prima metà degli anni Sessanta, anche quest’azione
era tuttavia destinata a non avere seguito. Altre iniziative dei movimenti
per l’unità europea sarebbero seguite, facendo da contrappunto alle tappe
fondamentali del processo di unificazione europea sino ai nostri giorni. Su di
esse si auspica che la storiografia possa presto far luce in maniera sistematica.
Le prime Comunità europee sono state create – come noto – sulla base
della strategia funzionalista. L’integrazione europea si è realizzata tramite
il diritto: una serie di trattati internazionali tra i sei Paesi della piccola
Europa con cui gli Stati non si sono limitati a stipulare accordi bilaterali
o multilaterali, ma hanno progressivamente limitato la propria sovranità
in alcuni settori. Una grande rivoluzione della storia – quella europea –,
silenziosa, poco conosciuta dai cittadini, poco “partecipata” e scarsamente
comunicata.
369
D. Preda
370
La partecipazione nel processo d’integrazione europea: il ruolo delle élites e del popolo
371
D. Preda
372
La partecipazione nel processo d’integrazione europea: il ruolo delle élites e del popolo
373
Fabio Zucca
1. Introduzione
1
L.V. Majocchi, F. Rossolillo, Il Parlamento europeo. Significato storico di un’elezione,
Napoli, 1979.
2
Cfr. M. Albertini, Il Risorgimento e l’unità europea, Napoli, 1979. Sul pensiero e l’azione di
Mario Albertini cfr. Id., Tutti gli scritti, voll. I-IX, a cura di N. Mosconi, Bologna, 2006-2010.
375
F. Zucca
è l’Ateneo pavese che, nella seconda metà degli anni Cinquanta del secolo
scorso, riappropriandosi di un ruolo di formazione non solo nazionale, ha
proiettato giovani studenti nell’agone della Storia.
2. Ernesto Teodoro Moneta: gli Stati Uniti d’Europa premessa per la pace mondiale
376
L’Università di Pavia e l’Europa: dall’utopia all’azione politica
377
F. Zucca
378
L’Università di Pavia e l’Europa: dall’utopia all’azione politica
Partendo dall’analisi del contesto generale che rilevava la crisi dello Stato
nazionale sovrano11, la corrente di pensiero federalista, definito costituzionale
o hamiltoniano, aveva raggiunto, attraverso la lotta al nazifascismo, un
concreto punto d’elaborazione politica. Questi federalisti si ponevano
l’obiettivo di una federazione europea quale premessa indispensabile
per l’affermazione della democrazia e il raggiungimento della pace nel
continente e nel mondo. Il vero problema non era una riforma in senso
federale della struttura statale o della società, ma la costruzione di uno Stato
sovranazionale in Europa, fondato sui principi del federalismo costituzionale
statunitense. Si trattava di una rivoluzione politica e culturale in cui la
preminenza della battaglia per la federazione europea era determinata dalla
realtà storica, il crollo del sistema europeo degli Stati, mentre quella per
la federazione mondiale sarebbe stata, al momento, un’utopia12. Nella sua
10
Ivi, pp. 67-68.
11
Per una visione generale dell’orientamento storiografico che pone la crisi dello Stato
nazionale sovrano al centro delle proprie riflessioni cfr. L. Einaudi, La guerra e l’unità
europea, Milano, 1948; L. Dehio, Equilibrio o egemonia. Considerazioni sopra un problema
fondamentale della storia politica moderna, Bologna, 1988, 2a ed. [Bologna 19541]; A.
Spinelli, E. Rossi, Problemi della Federazione europea, Bologna, 1970; M. Albertini, Lo
Stato nazionale, Milano, 1960, 2a ed. [Milano 19581]; S. Pistone, Ragion di Stato, relazioni
internazionali, imperialismo. Corso di storia del pensiero politico contemporaneo (anno
accademico 1983-1984), Torino, 1984.
12
Sulla storia dell’idea mondialista e federalista, per la poderosa bibliografia citata, cfr. J.F.
Billion, Mondialisme, fédéralisme européen et démocratie internationale. Le mondialisme et
379
F. Zucca
380
L’Università di Pavia e l’Europa: dall’utopia all’azione politica
381
F. Zucca
382
L’Università di Pavia e l’Europa: dall’utopia all’azione politica
volontario e poi supplente tra il 1957 e il 1959, anno in cui fu abilitato alla
libera docenza e prese avvio la carriera accademica che lo vedrà impegnato
come docente dell’Ateneo pavese fino al 1994. Titolare, tra il 1959-60 e il
1972-73, degli insegnamenti di Storia contemporanea, Storia della Politica
e Dottrina dello Stato, ottenne poi la nomina di Professore di Filosofia
della Politica, straordinario dal 1980 e ordinario dal 1984. Come ha
scritto Giovanni Vigo «queste discipline costituivano, al di là degli steccati
accademici, un terreno unitario, da esplorare accuratamente (...) per agire
allo scopo di dare il proprio contributo alla soluzione dei problemi che ogni
generazione deve affrontare»26.
Sempre a Pavia, in corso Cavour, dopo il conflitto mondiale Albertini
aprì, insieme alla fidanzata Valeria Scuri27 e al fratello Maurizio, la libreria
Lo spettatore. Si trattò del passaggio fondamentale per Albertini e per la
storia del movimento federalista a Pavia: la libreria divenne infatti un
centro politico-culturale di dibattito, incontro e propaganda. La situazione
internazionale, le speranze suscitate prima dalla Comunità Europea di
Difesa poi dalla Comunità Politica Europea, stimolarono nuove adesioni
al MFE e la ricostituzione, nel febbraio 1953, della sezione pavese la cui
attività era andata spegnendosi dopo l’attivismo degli anni Quaranta. La
riunione costitutiva avvenne, su iniziativa di Giulio Cesoni, vigevanese e
segretario regionale del MFE, in collaborazione con il rettore del Collegio
Ghislieri Aurelio Bernardi, nell’aula Volta dell’Ateneo alla presenza del
rettore dell’Università Plinio Fraccaro28. Albertini, iscritto al MFE dal 1945,
venne eletto segretario della rifondata sezione e la libreria Lo Spettatore
divenne la vera sede del MFE pavese. I primi anni della sua militanza
effettiva, che coincide quindi con la rinascita della sezione locale del
movimento, rientrano nel contesto della linea politica di “nuovo corso” che
Spinelli ideò nel 1954, dopo la caduta della Comunità Europea di Difesa.
Una linea radicale, apartitica e antigovernativa, cui Albertini rimase fedele
anche quando, all’inizio degli anni Sessanta, lo stesso Spinelli ne prese le
distanze. Il distacco che ne seguì spinse Albertini a fondare una corrente
interna al MFE, Autonomia Federalista, e ad avviare a Pavia un percorso
politico indipendente, di natura teorico-culturale, che diventerà il tratto
più distintivo dell’intero movimento italiano a partire dal 1966, quando
lo stesso Albertini ne assunse la guida. I membri di Autonomia Federalista,
26
G. Vigo, Mario Albertini, filosofo della politica e teorico del federalismo, in Divulgatori
di conoscenza, di idee e di metodi, cit., p. 92.
27
Valeria Scuri sposerà Albertini il 24 novembre 1955.
28
Fraccaro era iscritto al MFE già dal 1952 (cfr. Preda, Per una biografia di Mario
Albertini, cit., p. 50).
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F. Zucca
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L’Università di Pavia e l’Europa: dall’utopia all’azione politica
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F. Zucca
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L’Università di Pavia e l’Europa: dall’utopia all’azione politica
di Pavia negli anni Cinquanta del secolo scorso si è formato, grazie all’opera
culturale di Mario Albertini e al proselitismo di Giulio Guderzo, un gruppo
di politologi, storici, giuristi ed economisti che hanno svolto un’importante
funzione di precursori politici. Convinti che solo un’azione d’avanguardia
accompagnata da una rivoluzione culturale potesse condurre alla fondazione
degli Stati Uniti d’Europa, essi fusero attività pratica e teorica, avviando così
linee di ricerca e insegnamento sui temi europei estremamente innovative e
ancora attuali.
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Antonello Miranda
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3
Tra i miei compagni di studio, tutti stranieri, c’era un unico italiano, oltre a me: il dott.
Giancarlo Olmi, vice-direttore dell’ufficio legale della Commissione. Il dottor Olmi,
persona affabile e squisita, direi un gentiluomo di altri tempi, era a Londra per studiare
“on site” il sistema inglese la cui conoscenza era, a suo dire, per lui importante visto che
con l’ingresso del Regno Unito e dell’Irlanda nel suo servizio capitava sempre più spesso
di doversi confrontare proprio con quell’alieno del Common Law.
4
Come è noto il richiamo all’art. 11 della Costituzione proviene (oltreché dalla dottrina)
in modo autorevole dalle Corti più importanti del nostro ordinamento: e so bene che
“rigore c’è quando arbitro fischia” e dunque se è stato così deciso resta poco da fare.
Ma, come si vedrà più avanti, questo richiamo è discutibile, anzi discutibilissimo e si ha
l’impressione che come spesso accade, si sia voluto far dire al legislatore qualcosa che non
poteva neppure immaginare di poter pensare. Con buona pace di Napoleone …
5
Insegnato, come da copione, da un docente di diritto internazionale “imprestato” alla
disciplina.
6
Tutto avrei potuto immaginare ma non che nel caso Simmenthal la Commissione avesse
mandato a sostenere la sua opinione proprio quel dott. Giancarlo Olmi, mio collega di
studi a Londra. Quando si dice la combinazione …
7
O nel MEC come più riduttivamente ma con grande lungimiranza dicevano i Britannici.
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per notare come mentre dal 1952 al 1972 la Corte di giustizia era stata
investita da una media di circa 50 casi l’anno, a partire dal 1973 si assiste
inizialmente ad un raddoppio dei casi e poi a una vera esplosione dal 1979,
anno in cui furono presentati innanzi alla Corte ben 1324 cause. La media,
in seguito, si assesterà intorno ai 500 casi l’anno (fino al 2017)23.
Sarà possibilmente una coincidenza ma questi numeri sembrano
confermare un continuo ampliamento della quantità dei ricorsi presentati
alla Corte proprio a seguito dell’arrivo dei “common lawyers” e senza che
tale aumento possa essere imputato all’incremento del contenzioso “contro”
(o dovuto a) gli Stati newcomers. A tal proposito è utile ricordare che se si
guarda ai ricorsi per inadempimento contro gli Stati membri, sempre nel
periodo 1952-2017, il Regno unito subisce 142 ricorsi a fronte dei 291 della
Germania, dei 386 dell’insospettabile Belgio, dei 418 della Francia e dei 645
dell’Italia “europeista”.
A tutto questo va aggiunto che la Corte di Giustizia proprio nel decennio
più ricco di sviluppi e sotto la presidenza di MacKenzie Stuart si trovò ad
operare con una composizione particolare in quanto all’ampliamento a 12
della Comunità non corrispose l’invio “immediato” di giudici provenienti
dai Paesi newcomers: il ruolo di “mediatore culturale” svolto dai common
lawyers ed in particolare dal Presidente ne fu decisamente rafforzato. Inoltre
va anche considerato che la composizione della Corte che giudicava in
quegli anni (circa 21 giudici) era un gustoso mix ottenuto, come un perfetto
Negroni, da 1/3 di professori, 1/3 di “togati” di varie corti nazionali e varia
esperienza e 1/3 di politici, economisti e amministratori non sempre e non
tutti necessariamente “giuristi” anzi direi “diversamente giuristi”.
Come dicevo non è qui il caso di analizzare la “storia” della composizione
della Corte ma questo elemento ha sicuramente influito sull’evoluzione (per
me, adesso diventata più un’involuzione) delle decisioni prese dalla Corte:
se le sentenze sono oggi sempre più “tecniche” e sempre più giustificate su
rigidi schemi interpretativi e ragionamenti logico-giuridici e sempre meno
improntate alla “reasonableness” forse lo si deve all’aumentato peso dei
“giuristi” duri e puri rispetto alle altre componenti.
Comprendo benissimo che si tratta di una “impressione aneddotica”
che, come dicono i virologi, non è scientificamente provata ma la
composizione odierna della Corte (e tralascio quella del Tribunale di prima
era cresciuto a dismisura. Lord Stuart tra l’altro fu tra i fautori dell’istituzione del “Tribunale
di prima istanza” che venne inaugurato pochi mesi dopo il termine della sua presidenza.
23
I dati sono ricavati dalle statistiche ufficiali presenti nelle relazioni annuali dell’attività
giudiziaria della Corte di Giustizia e reperibili online al seguente indirizzo web: https://
curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2018-06/ra_jur_2017_it_web.pdf.
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A. Miranda
istanza) conta 38 tra giudici e avvocati generali di cui quasi tutti, con la
sola eccezione dei pochissimi rappresentanti dell’area del Common Law,
purtroppo oggi in uscita, laureati o plurilaureati in Giurisprudenza, giudici
“togati” nazionali e, in massima parte, professori di diritto internazionale o
europeo o diritto amministrativo24: siamo passati dal Negroni al Bellini25 e
il gusto è decisamente diverso.
Per uno dei tanti casi della Storia, Lord MacKenzie Stuart espose il suo
pensiero sul rapporto tra diritto comunitario e diritto interno, e sul ruolo
pragmatico della Corte di Giustizia attraverso le “Hamlyn Lectures” con il già
citato libro The European Communities and the Rule of Law edito nell’aprile
del 1977 e cioè tre mesi prima che fosse presentato il ricorso pregiudiziale e
a meno di un anno dalla decisione del caso Simmenthal che qui ci interessa.
Nelle “Hamlyn Lectures” del 1977 Lord Mackenzie Stuart, rivolgendosi
ad un pubblico inglese fa il punto sulla “evoluzione” e sullo stato dei rapporti
tra diritto comunitario e diritto interno, alla luce della diversità concettuale
tra Common law e Civil Law Systems, cercando di spiegare l’opera di
“reconstruction” delle regole comunitarie e dei Trattati e le funzioni della Corte.
Si parte con l’affermazione che «Community law has a habit of emerging in
unlikely corners. Who at first sight would have thought that an advertisement
in a Belgian newspaper for players who might be interested in joining an
Italian football club or the issue by French Railways of a card entitling large
families to reduced fares could give rise to problems of Community law?»
per poi passare a sottolineare che «among the unspectacular achievements of
Community Institutions I would include those of the Court of Justice of the
24
La fonte è, ovviamente quella ufficiale nella pagina web di presentazione dei componenti
della Corte, https://curia.europa.eu/jcms/jcms/Jo2_7026/it/. Sul punto della evoluzione
della Corte di Giustizia si veda: Y. Dezalay, B. G. Gart (eds.), Lawyers and the Construction
of Transnational Justice, Oxon e N.Y., 2012, p. 217 ss. ed in particolare A. Vauchez, The
Force of a Weak Field: Law and Lawyers in the Government of Europe, p. 219 ss.; A. Cohen,
The European Court of Justice in the Emergent European Field of Power: Transnational Judicial
Institutions and National Career Path, p. 239 ss.
25
La composizione della corte è oggi di 2/3 di professori e 1/3 di togati. Per chi (pochi,
presumo) non conoscesse la composizione dei due famosi cocktail la riporto qui di seguito.
Negroni: 1/3 di gin 1/3 di bitter Campari e 1/3 di vermut rosso; Bellini: 2/3 di prosecco e
1/3 di succo (meglio nettare) di pesca.
400
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30
C. Martinelli, Brevi riflessioni sulla rule of law nella tradizione costituzionale del Regno
Unito, in Diritti Comparati, 2017, https://www.diritticomparati.it/brevi-riflessioni-sulla-
rule-law-nella-tradizione-costituzionale-del-regno-unito.
31
Non possiamo certo dimenticare che siamo il Paese dove occorre “certificare”
persino l’esistenza in vita. Emblematica è poi la norma dell’art. 1 del nostro codice
civile: La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. Come se ci volesse il
“riconoscimento” dello Stato per affermare che gli individui hanno per il solo fatto di
essere “umani” la piena titolarità dei propri diritti e doveri. Può darsi che la norma sia stata
messa li (e poi nella Costituzione) per “tutelare” i cittadini ma a me suona sempre come
una graziosa concessione del legislatore/Stato; a meno di non considerarla pleonastica e
lapalissiana come un po’ tutte le tanto mitizzate norme costituzionali relative ai “diritti”:
belle dichiarazioni di principio che dicono tutto ed il contrario di tutto.
32
MacKenzie Stuart, The European Communities …, cit., p. 4.
33
R. Pound, The Spirit of the Common Law (Classic Reprint), London, 2017.
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MacKenzie Stuart, The European Communities …, op. cit. p. 3. Sul punto e
più approfonditamente si veda il ricchissimo Giudici e giuristi. Il problema del diritto
giurisprudenziale fra Otto e Novecento, in Quaderni Fiorentini, n. 40, Milano, 2011.
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Non posso né voglio qui entrare nel dettaglio dei rapporti tra Statute
Law, Common Law ed Equity anche perché è materia molto ben conosciuta.
Mi limito dunque a richiamare alcuni passaggi fondamentali e una serie
di scritti49 sul tema che ci danno la misura del contesto in cui è maturato
l’approccio britannico al diritto comunitario o meglio l’opera di giudici
come MacKenzie Stuart.
Come si è visto per gli Inglesi e i common lawyers la coesistenza di sistemi
e fonti diverse che agiscono pariteticamente non è qualcosa di traumatico
e comunque non viene risolto in termini di supremacy o di abdicazione
e limitazione di poteri che in teoria non possono essere neppure messi
in discussione: i conflitti, quando ci sono, vengono risolti “andandosene
all’inglese” – anche se proprio gli inglesi preferiscono dire: to take french
leave - e cioè aggirando i problemi oppure con degli escamotage tecnici che
ottengano il risultato concreto salvando, almeno apparentemente, la logica
intrinseca del sistema.
Proprio Luigi Moccia in Comparazione Giuridica e Diritto Europeo,
chiarisce il senso del dualismo “Law-Equity” che si traduce in quella
«separazione dei due sistemi di regole, principi e mezzi di tutela a lungo
mantenutasi, e che continua ad essere influente sulla struttura del diritto
in Inghilterra… caratterizzata da una duplicità di regimi e di categorie
giuridiche, con le relative classificazioni e qualificazioni, di carattere sia
terminologico che concettuale»50. Una coesistenza (non sempre pacifica)
di difficile comprensione per un giurista post-napoleonico se è vero che «if
someone were compelled to explain the essence of civil law to a common
lawyer in one sentence, he could perhaps say that civil law is what common
law would have been if it had never known a court of chancery. It is true that
the answer would hardly be helpful, the picture suggested being probably
beyond the imagination of a common lawyer. The picture of conflicting and
appunto recependo spunti di riflessione, idee e soluzioni, imparando a usare tecniche
argomentative diverse da quelle a cui si è abituati.
49
La letteratura in materia è vastissima. Per ciò che riguarda questo lavoro occorre in primo
luogo fare riferimento al volume curato da J.C.P. Goldberg-H.E. Smith-P.G. Turner,
Equity and the Law. Fusion and Fission, Cambridge, 2019 (ai quali sono tributario del titolo
di questo mio scritto e anche se si vuole della conferma della mia impressione iniziale circa il
tema della relazione tra diritto interno e comunitario). All’interno del volume in questione
va segnalato il lavoro di P.G. Turner, Fusion and Theories of Equity in Common Law Systems
che si trova facilmente anche nella versione in open access nelle Legal Studies Research Paper
Series, Paper no. 63/2018, http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3253606.
50
L. Moccia, Comparazione giuridica e diritto europeo, Milano, 2005, p. 213. E per un
altra illuminante e chiarissima ricostruzione si veda: Criscuoli, Introduzione allo Studio
del Diritto Inglese, cit., in particolare il capitolo dedicato all’Equity.
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una base che è quella della “lingua del caso” ma che a sua volta costituisce
la traduzione di una discussione possibilmente avvenuta tra i giudici della
Corte con una lingua veicolare che non sempre è pienamente padroneggiata
e non sempre riesce a tradurre perfettamente i concetti e i contenuti
giuridici delle espressioni terminologiche. A maggior ragione qui che la
lingua della sentenza era l’italiano, il giudice relatore era lussemburghese,
l’avvocato generale tedesco e due giudici erano uno scozzese che conosceva
la lingua francese e un irlandese. E a maggior ragione qui perché questa
sentenza è stata, presumo nella sola versione “italiana”, alla base di tante
decisioni anche della nostra Corte di cassazione e della Corte costituzionale
e in particolare della “sentenza Granital”.
Considerata la “professione di fede” fatta da Lord MacKenzie nelle sue
Hamlyn Lectures e le considerazioni su esposte, ho voluto confrontare il testo
italiano e quello francese e inglese per essere sicuro che il significato delle
espressioni in italiano fosse davvero “coerente” con quanto scritto in inglese
e francese.
Il capoverso 17 suona piuttosto simile tra la versione italiana64 e quella
francese65 se si eccettua che la frase più importante “con rango superiore
rispetto alle norme interne” nella versione francese sia “avec rang de priorité”
guarda caso senza il riferimento alle norme interne e non usando il termine
“superieur” che pure avrebbe avuto una maggiore aderenza.
A ben guardare il termine priorité richiama66maggiormente il concetto
64
«in forza del principio della preminenza del diritto comunitario, le disposizioni del Trattato
e gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l’effetto, nei loro
rapporti col diritto interno degli Stati membri, non solo di rendere “ipso jure” inapplicabile,
per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della
legislazione nazionale preesistente, ma anche – in quanto dette disposizioni e detti atti fanno
parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme interne, dell’ordinamento giuridico
vigente nel territorio dei singoli Stati membri – di impedire la valida formazione di nuovi atti
legislativi nazionali, nella misura in cui questi fossero incompatibili con norme comunitarie».
65
«qu’au surplus, en vertu du principe de la primauté du droit communautaire, les dis-
positions du traité et les actes des institutions directement applicables ont pour effet, dans
leurs rapports avec le droit interne des États membres, non seulement de rendre inappli-
cable de plein droit, du fait même de leur entrée en vigueur, toute disposition contraire
de la législation nationale existante, mais encore – entant que ces dispositions et actes font
parti intégrante, avec rang de priorité, de l’ordre juridique applicable sur le territoire de
chacun des États membres – d’empêcher la formation valable de nouveaux actes législatifs
nationaux dans la mesure où ils seraient incompatibles avec des normes communautaires».
66
Rinvio alla completissima definizione di priorité data dal Centre National de Ressources
Textuelles et Lexicales, https://www.cnrtl.fr/definition/priorité. Per questa indicazione
devo ringraziare il Collega di facoltà (pardon... dipartimento, lo so bene; ma noi vecchi
dean-o-sauri in estinzione siamo ancora affezionati alla facoltà) prof. Antonio Lavieri,
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assolutamente libero di non “farle”. Potremmo dire che in questo caso vale
lo stesso principio dell’autonomia delle persone e dei contraenti: la massima
libertà non consiste semplicemente nel “poter fare” qualcosa ma nell’essere
libero anche e soprattutto di “non” farlo.
Nel momento in cui il Parlamento (direi il Legislatore) fosse in qualche
modo costretto a emanare per forza una legge, esso non sarebbe più libero
di esercitare la sovranità in nome del popolo secondo il dettato dell’art. 1
della nostra Costituzione75.
In riferimento al caso in esame si potrebbe obiettare che c’è appunto una
limitazione di sovranità (in base all’art. 11 della Costituzione) conseguente
all’appartenenza all’Unione europea; si potrebbe dire che esiste l’obbligo
di adeguamento nei confronti delle Direttive europee e che il mancato
adeguamento comporta la responsabilità dello Stato nei confronti del
cittadino secondo il precedente Francovich. Su quest’ultimo punto si sono
concentrate le due note critiche alla sentenza in esame. Tuttavia, come
dicevo prima, non mi pare che la Corte di cassazione abbia in qualche modo
messo in dubbio il precedente Francovich e dall’altro l’obbligo derivante dai
trattati di adeguare l’ordinamento alle direttive comunitarie. È possibile che
a mettere fuori strada i critici sia stato l’esplicito riferimento ai precedenti
della stessa Cassazione richiamati in sentenza; ma anche in questo caso la
motivazione fa riferimento a un principio generale, anzi generalissimo del
nostro ordinamento e non legato al tema della Francovich.
I giudici della Cassazione mi sembra siano stati più che chiari: «La Carta
Costituzionale nel dettare le norme fondamentali sull’organizzazione e sul
funzionamento dello Stato, regola la funzione legislativa, ripartendola tra
il governo e il parlamento, quale espressione di potere politico, libero cioè
nei fini e sottratto perciò a qualsiasi sindacato giurisdizionale. Ne consegue
che di fronte all’esercizio del potere politico non sono configurabili
situazioni soggettive protette dei singoli, onde deve escludersi che dalle
norme dell’ordinamento comunitario possa farsi derivare, nell’ordinamento
italiano, il diritto del singolo all’esercizio del potere legislativo e comunque
la qualificazione in termini di illecito, ai sensi dell’art. 2043 c.c., da imputare
allo Stato-persona, di quella che è una determinata conformazione dello
Stato-ordinamento».
La Corte in sostanza dice espressamente che il Parlamento è e resta libero
e sovrano nel fare (o non fare) le leggi e che non c’è alcun diritto del singolo
ad ottenere una legge. Dice pure implicitamente che dal diritto comunitario
75
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della
Costituzione.
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Certo c’è il tema non facile della funzione “legislativa” assunta piano
piano dalla Corte di Giustizia Europea. Ma anche in questo caso la “delega”
e il conferimento di poteri alla U.E. sembrerebbero comportare la concreta
alterazione dello schema positivo delle fonti del diritto (quello per intenderci
dell’Art. 1 delle “Disposizioni sulla legge in generale”): ammesso che tale
schema sia mai stato vero e reale, pensare oggi che la “legge” sia l’unica fonte
del diritto è solo una dichiarazione di principio. Eppur volendo essere più
positivisti dei positivisti, in fondo le “norme” europee in quanto “delegate”
sono, come si diceva, per definizione anche interne mentre i trattati, che
riconoscono il ruolo e le funzioni della Corte di Giustizia, a loro volta sono
internalizzati con le leggi di ratifica e, sia pure con uno sforzo interpretativo
ampio, dal richiamo costituzionale al principi88 del “Pacta sunt servanda”
sulla esegesi fin troppo analitica della giurisprudenza, sulle tecniche decisorie, sulla procedura
dei ricorsi e dei giudizi. Rischiandosi così di compiere una sorta di trasformazione verso un
“diritto processuale costituzionale” in luogo della “giustizia costituzionale”, il cui obiettivo
può sembrare quello di volere giurisdizionalizzare al massimo un organo che ha invece
un’innegabile legittimazione di tipo politico. Storici come Francesco Bonini o politologi
come Patrizia Pederzoli hanno compiuto ricerche molto interessanti, che hanno evidenziato
il ruolo politico della Corte costituzionale, vuoi attraverso una ricostruzione delle scelte
sulle nomine e delle maggioranze all’interno dell’organo, vuoi attraverso un percorso di
analisi delle decisioni in punto di policy. I giuristi, e in particolare i costituzionalisti, invece
si sono prevalentemente trincerati dietro il tecnicismo della giurisprudenza, limitandosi a
criticarla in modo felpato oppure, nella maggior parte dei casi, a valorizzarla. Esemplare in
proposito è la formula che per tanti anni, in dottrina, ha accompagnato l’attività e il ruolo
della Corte nel sistema: “unica isola della ragione nel caos delle opinioni”».
88
Ben nota per quanto unica e solitaria la teoria esposta da R. Quadri, Diritto
internazionale pubblico, V ediz., Napoli, 1968, p. 59 e seguenti; nonché Introduzione
al diritto internazionale pubblico, Napoli, 1963, p. 37 ss. che a mio avviso oggi tenuto
conto dell’evoluzione del diritto comunitario torna ad essere centrale. La tesi si concentra
su alcuni ragionamenti estremamente lucidi e coerenti che leggiamo nella chiara summa
fattane da G. Tesauro, Costituzione e norme esterne, in Dir. Un. Eur., vol. 2, 2009, p.
201 e 202: «In primo luogo, è del tutto irragionevole un doppio intervento legislativo del
Parlamento, per autorizzare la ratifica e poi per ordinare l’esecuzione del trattato ratificato;
a maggior ragione se entrambi gli atti sono consegnati nella stessa legge. In secondo luogo,
è paradossale che l’efficacia di una legge interna, spesso preventiva rispetto all’entrata in
vigore del trattato, possa dipendere per ciò stesso dal verificarsi di un evento futuro e
incerto. In terzo luogo, è irragionevole un meccanismo di adattamento automatico alle
norme del diritto internazionale non scritto senza un adattamento altrettanto automatico
alle deroghe che a tali norme apportino i trattati. L’ordinamento internazionale è un tutto
unitario ed organico; ed il sistema delle sue norme non può essere scomposto dando
automaticamente esecuzione ad alcune delle sue norme, senza tener conto di altre norme
che condizionano il vigore delle prime. Gli argomenti che venivano opposti alla tesi di
Quadri, erano da questi puntualmente contestati. Quanto ai lavori preparatori, essi non
erano per lui decisivi. L’altro argomento, fondato sulla natura non materiale della norma
430
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o, al limite del nuovo art. 177 della Costituzione italiana che, però, a mio
avviso non muta il quadro della situazione, limitandosi ad una classica e
banalissima affermazione di principio89.
Pertanto, con il classico gioco delle formule magiche spesso usato nel
diritto, alla fine sembrerebbe ancora rispettato nella forma se non nella
sostanza quello schema delle fonti del diritto.
Tutto questo sempre per salvare l’approccio positivistico e giuridico della
questione perché se svoltiamo decisamente sul fronte della politica e delle sue
scelte non vedo davvero dove stia il problema di considerare preso un preciso
impegno da parte dello Stato che comporta, finché non cambi la politica
dello Stato, il rispetto degli impegni liberamente e politicamente assunti.
Che non si tratti di un problema di “limitazione di sovranità” ma piuttosto
di esercizio della stessa da questo punto di vista mi sembra evidente. Com’è
evidente che da quell’impegno derivano conseguenze politiche e concrete
di grandissima rilevanza: penso ad esempio all’introduzione della moneta
unica e al riconoscimento dei poteri conferiti alla Banca centrale europea o
al caso delle politiche estere dell’Unione. E non si tratta certo di cose meno
importanti dell’emanazione di una legge sulle dimensioni delle losanghe
delle reti da pesca o della discussione sulla direttiva sulla dimensione dei
“mezzi meccanici di contraccezione”.
Potremmo allora forse dire, parafrasando gli inglesi, che «the European
Law is National Law known by another name»90 se non fosse che a ben
guardare così come la teoria della fusione tra Equity e Common Law non
regge alla prova della realtà dei fatti, così accade pure al rapporto tra diritto
comunitario e diritti degli Stati membri.
Già basterebbe questa evidente peculiarità e cioè il fatto che laddove
pacta sunt servanda, era per Quadri altrettanto infondato, in ogni caso provava troppo.
Tutte le norme internazionali producono i loro effetti nell’ordinamento internazionale;
nulla vieta, tuttavia, che gli Stati operino un rinvio all’ordinamento internazionale
affinché le norme richiamate entrino nel diritto interno, che siano materiali ovvero
norme sulla produzione giuridica. Le seconde entrano nel diritto interno affinché le
prime lo possano a loro volta. Ora, se si riconosce da tutti che l’art. 10, primo comma,
consente l’ingresso automatico delle norme internazionali consuetudinarie, come può
giustificarsi tale ingresso automatico indipendentemente dalla norma consuetudo est
servanda che impone agli Stati l’osservanza delle norme consuetudinarie? Lo stesso
dovrebbe valere per i trattati e per la norma pacta sunt servanda».
89
Supra, nota 75.
90
La frase originale è: «Equity is common law known by another name», Goldberg-
Smith-Turner, Equity and the Law. Fusion and Fission, cit., p. 1. Credo che sia il caso di
dire che la relazione tra Equity e Common Law si riproduce anche nel rapporto tra Statutory
Law e Common Law, ovviamente fatte le debite proporzioni.
431
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432
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nucleo nuovo più pesante ma la cui energia non corrisponde alla semplice
somma dei nuclei originali.
Prendendo a prestito, sia pure in modo veramente minimale, le nozioni
della fisica, credo che per il diritto comunitario sia più corretto parlare di
“fissione”: un nucleo pesante che si scinde in 2 meno pesanti ma con una
maggiore energia che a loro volta interagiscono dando vita a nuove scissioni
e nuovi nuclei con nuova produzione di energia e così via in una infinita
reazione a catena.
Con grande dispiacere di mio padre, non sono mai stato troppo abile con
i numeri e le formule (e si vede continueranno a pensare i miei venticinque
lettori), però l’esperienza da preside mi ha costretto a lavorare con algoritmi
e diagrammi di flusso di svariata natura e per svariati scopi. Provo quindi a
sintetizzare prendendo a prestito il linguaggio algebrico e chiedendo scusa
per le inevitabili imprecisioni nell’uso di concetti giuridici che per forza di
cose devo qui ridurre … ai minimi termini.
433
A. Miranda
434
Smoke gets in Euro-eyes: fusione e fissione del diritto comunitario
435
A. Miranda
95
Cfr. A. Miranda, Tra moglie e marito non mettere il dito, in R. Cavalieri, G.F. Colombo
(a cura di), Il massimario. Proverbi annotati di diritto comparato, Milano, 2013, p. 165 ss.
96
Si tratta dello “strano caso di Mr. Joseph Jekyll”, richiamato da A.R. Mellows, The Law
of Succession, London, 1983, p. 38. Si veda inoltre: Miranda, Il testamento nel diritto inglese.
Fondamento e sistema, cit., p. 274.
436
Michele Graziadei
1. Introduction
437
M. Graziadei
438
The European Court of Justice at work: comparative law on stage and behind the scenes
influences, but also poses a good number of critical questions concerning the
use of comparative law by Courts. A basic question is whether comparative
law references are relevant at all in deciding a case pending before a national
Court. What are these references? A mere puffery by learned jurists, an
embellishment of national laws, the mark of a desperate litigator? What
else could they be? Another question often posed is to what degree are
comparative law arguments made by the courts legitimate? Do they simply
fall outside the purview of the judge because they go beyond the local,
applicable law? Are they legitimate, if examined under broad rule of law
criteria? In some judgments of United States Supreme Court these questions
emerge, and are also addressed by some members of that court in their
extrajudicial writings3. Personally, I had the pleasure of listening to Justice
Ruth Bader Ginsburg on these very issues. The occasion was the World
Congress of Comparative Law held in Washington by the International
Academy of Comparative law in 20104. It was a fascinating lecture, which
defended the use of comparative law in constitutional adjudication. Closer
to home, the Italian Constitutional Court has increasingly paid attention to
comparative law as a subject that is relevant in various ways to the decision
of constitutional law cases5. A former Italian Constitutional Court Judge,
Cheltenham, 2018, p. 403 ff.; G.F. Ferrari (ed.), Judicial Cosmopolitanism: The Use of
Foreign Law in Contemporary Constitutional Systems, Leiden; Boston, 2019; C. Lienen,
Judicial Constitutional Comparativism at the UK Supreme Court, (2018) 39 Legal Studies
166. The literature on judicial dialogue, judicial globalisation, community of courts, or
transnational organizational field of courts, provides further insights on the trends mapped
by this literature. For the historical perspective: G. Gorla, Il ricorso alla legge di un «luogo
vicino» nell’ambito del diritto comune europeo, in Il Foro it., 1973, V, 89.
3
S.A. Simon, The Supreme Court’s Use of Foreign Law in Constitutional Rights Cases: an
Empirical Study, (2013) 1 Journal of Law and Courts 279; R.C. Black, R.J. Owens,
J.L. Brookhart, We Are the World: The U.S. Supreme Court’s Use of Foreign Sources of
Law, (2014) 46 British Journal of Political Science 891; G.F. Ferrari, Legal Comparison
Within the Case Law of the Supreme Court of the United States of America, in Id. (ed.),
Judicial Cosmopolitanism, 2019, 94 ff.
4
The speech was delivered on July 30, 2010. It is now reported on the web site of
the Supreme Court of the United States, https://www.supremecourt.gov/publicinfo/
speeches/viewspeech/sp_08-02-10. An extended version of the speech was delivered
on previous occasions: see., e.g., R. Bader Ginsburg, A Decent Respect to the Opinions
of Humankind: The Value of a Comparative Perspective in Constitutional Adjudication,
(2005) 64 Cambridge Law Journal 575.
5
For a recent assessment: P. Passaglia, Corte costituzionale e comparazione giuridica:
una analisi (molto) sineddotica, una conclusione (quasi) sinestesia, in I rapporti civilistici
nell’interpretazione della Corte costituzionale nel decennio 2006-2016, proceedings of the
conference (Naples 11-13 May 2017, 12° Convegno Nazionale della Società Italiana
degli Studiosi del Diritto Civile), Napoli, 2018, p. 63 ff.; the offices of the Court have
439
M. Graziadei
Prof. Sabino Cassese, points to the fact that in the late twentieth century
the increased relevance of comparative law in this context has been favoured
by the demise of the ideology of nationalism, and by the spreading of the
awareness that common problems may yield common solutions, elaborated
beyond the nation state, at the international level6.
The literature that I have just mentioned is hardly relevant to approach
the use of comparative law by the European Court of Justice, however. The
use of comparative law reasoning by the ECJ must be understood holistically,
in the light of the institutional position of the Court and the nature of EU
law. Far from being contested, recourse to the use of comparative law by the
ECJ is widely accepted. The legitimacy of recourse to comparative law in the
interpretation or application of European law derives, in specific instances,
from the fact that it is required by the texts of the Treaties that are the
bulwark of the EU’s very existence. But, beyond those cases, comparative
law is widely accepted (and practiced) by all the players in the game:
members of the Court, litigants, and academic commentators on EU law
by and large share the same support for the legitimacy of comparative law in
the judicial practice of the ECJ. Eminent members of the Court – including
its current President, Koen Lenaerts – writing in their extrajudicial capacity
signal the substantial role that comparative law plays in the jurisprudence
of the Court7. I will therefore discuss the overall practice of comparative law
produced a document which reflects on this use as well: Corte Costituzionale - Servizio
studi, L’assistenza alla decisione giurisdizionale, R. Nevola (ed.), 2018 (STU 308), https://
www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/stu_308.pdf.
6
S. Cassese, Sulla diffusione nel mondo della giustizia costituzionale. Nuovi paradigmi per
la comparazione giuridica. Relazione al seminario “La dinamica dei formanti nel mondo
contemporaneo”, (Torino, 14 gennaio 2016), in Riv. trim. dir. pub., 2016, p. 993 ff.
7
F.G. Jacobs, Comparative Law and European union Law, in M. Reimann, R.
Zimmermann (eds.), Oxford Handbook of Comparative Law, 2nd. ed. Oxford, 2019, 525
ff.; K. Lenaerts, The European Court of Justice and the Comparative Law Method, (2017)
25 Eur. Rev. Priv. Law 297; Id., The Comparative Law Method and the European Court of
Justice: Echoes Across the Atlantic, (2016) 64 Am. J. Comp. Law 841; K. Lenaerts, La Cour
de Justice de l’Union européenne et la méthode comparative, in B. Fauvarque-Cosson (ed.),
Le droit comparé au XXIe siècle – Enjeux et défis, 2015, p. 35 ff. For previous extra judicial
writings by members of the Court on its use of comparative law methods: P. Mengozzi,
Les principes fondamentaux du droit communautaire et les droits des États membres, in RDUE,
2002, p. 435 ff.; W. Van Gerven, Comparative Law in a Texture of Communitarization of
National Laws and Europeanization of Community Law, in Liber Amicorum in Honour of
Lord Slynn of Hadley, I, The Hague, Boston, 2000, p. 433 ff.; C.N. Kakouris, Use of the
Comparative Method by the Court of Justice of the European Communities, (1994) 6 Pace Int’l
L. Rev. 267; J Mertens de Wilmars, Le droit comparé dans la jurisprudence de la Cour de
justice des Communautés européennes, in Journal des Tribunaux, 19 January 1991, nr. 5575;
440
The European Court of Justice at work: comparative law on stage and behind the scenes
by the Court, while highlighting some of its specific features. I will then
formulate a few observations concerning this practice, to better understand
what the Court is comparing when it goes about the business of rendering
its rulings.
441
M. Graziadei
of the Union for their publication in the Official journal of the Union.
The deliberations and the internal communications of the Court are all in
French, which was the language of choice when the Court was established
in 1958. French is also the language of the draft judgments deliberated by
the Court and of the final judgement. Once more, however, that judgment
has to be translated in the language of the original procedure – the language
considered authentic – and then in all the official languages of the Union.
By itself, this demanding linguistic regime involves considerable comparative
law skills. To provide reliable, accurate renderings of meaning across all these
languages is a formidable task. One commentator who closely observed the
workings of the institution noticed that: «[…] the role of translation at the
CJEU goes deeper than ‘simply’ converting judgments from the working
language of that Court into the other 23 EU official languages. Translation
is, in fact, embedded in the process of drafting, reasoning and deciding a
case before the CJEU»10. Consider, for example, the case of Webb v. Webb11.
This litigation raised a question of jurisdiction over immovable property
located in France, subject to an English resulting trust. The question referred
to the Court required the European judge to be familiar with notions such
as legal ownership, beneficial interest, presumption of advancement, and
the nature of a resulting trust. To bring these terms into languages other
than English, where the trust may be a relatively new or even non-existent
concept, surely requires comparative law skills. A similar difficulty may
arise with purely civilian notions, of course. For instance, can a usufruct
over immovable property be compared to the concept of ‘leasing or letting
of immovable property’ for tax purposes? In giving a positive answer to
this question, Advocate General Francis Jacobs provided an extensive
comparative examination of the legal regimes of Europe in relation to time
limited rights over immovable property12. This is a wonderful example of
functional comparative law. It must have also been a formidable challenge
for the lawyer-linguists who translated this opinion into all the other official
languages of the Union13. To facilitate the tasks of the 606 lawyer-linguists
10
K. McAuliffe, Translating Ambiguity, (2015) 9 The Journal of Comparative Law 65,
at 66. For an insider’s view of the process which is involved in the drafting of a judgment:
Ead., Behind the Scenes at the Court of Justice, in F. Nicola, B. Davies (eds.), EU Law Stories:
Contextual and Critical Histories of European Jurisprudence, Cambridge, 2017, p. 35 ff.
11
C-294/92, EU:C: 1994:193; ECR 1994 I 01717.
12
Opinion of Advocate General Jacobs of 22 February 2001, Case C-326/99, Stichting
‘Goed Wonen’v Staatssecretaris van Financiën, EU:C:2001:115; ECR 2001 I-06831.
13
On their role: K. McAuliffe, Hidden Translators: The Invisibility of Translators and
the Influence of Lawyer-Linguists on the Case Law of the Court of Justice of the European
442
The European Court of Justice at work: comparative law on stage and behind the scenes
3. Comparative law, and the search for shared meaning in European law
443
M. Graziadei
of the European judiciary, although some of them are now accessible on the
web site of the Court.
How does the Court proceed to resolve conflicting interpretations
of EU law in the Member States? Here is a simple, illustrative example,
provided by a famous package travel case16. A girl goes on holidays with
her parents in Turkey. At the club where they spend their holiday she gets
food poisoning. After her return to Austria, she claims damages for pain
and suffering and, most importantly, for her spoiled holiday. The defendant
is a German travel agency. Vacation packages in Europe are governed by
a directive, which has been implemented in all the Member states17. But
how the concept of ‘damages’ plays out in EU law under that directive
is unclear. The Austrian Court that has jurisdiction over the case rejects
the claim for the loss of enjoyment of the holiday. Under Austrian law
this is type of non-material loss is not a compensable loss. On appeal, the
Court formulated a request for a preliminary ruling by ECJ. The question
referred to the ECJ concerned the concept of ‘damages’ under the applicable
package travel directive. Can damages include compensation for the non-
material damage suffered by the unlucky young tourist? Without a clear
answer in the directive, was the Austrian court right to simply apply its
own law concerning what damage is recoverable in similar circumstances?
In addressing this issue, the ECJ had before itself the variety of solutions
prevailing in the laws of Member States: some favouring compensation for
the non-material damages, others rejecting it. Advocate general Tizzano,
presenting this picture to the Court, spotted a trend prevailing across the
Member State favouring the reparation of the non-pecuniary damage for
spoiled holidays18. Furthermore, to rule out a uniform approach to those
losses would have frustrated one of the purposes of the Directive, namely
the securing of undistorted competition in the functioning of the internal
16
Case C-168/00, Simone Leitner v. TUI Deutschland GmbH & Co. KG, EU:C:2002:163;
ECR 2002 I-02631.
17
Council Directive 90/314/EEC of 13 June 1990 on package travel, package holidays and
package tours. The Directive has been replaced by a new instrument, which is force since
2018: Directive (EU) 2015/2302 of the European Parliament and of the Council of 25
November 2015 on package travel and linked travel arrangements, amending Regulation
(EC) No 2006/2004 and Directive 2011/83/EU of the European Parliament and of the
Council and repealing Council Directive 90/314/EEC. The recitals of the new Directive
now make clear that damages for spoiled holidays under the Directive shall: «cover non-
material damage, such as compensation for loss of enjoyment of the trip or holiday because
of substantial problems in the performance of the relevant travel services».
18
Opinion of Mr Advocate General Tizzano, Case C-168/00, Simone Leitner v. TUI
Deutschland GmbH & Co. KG, cit.
444
The European Court of Justice at work: comparative law on stage and behind the scenes
market19. Following the Advocate General’s opinion, the Court thus held
that compensation of the non-pecuniary damage asked by the claimant for
the non performance of touristic services should have been allowed, if such
damages were proven before the national court.
445
M. Graziadei
446
The European Court of Justice at work: comparative law on stage and behind the scenes
jurists strived to provide a text that would eventually help to fill many of
the gaps, by providing an overall frame of reference for those areas23. The
search for a full set of principles, concepts, and rules covering certain private
law matters was driven by the desire to overcome the piece-meal approach
of EU law to contract, torts, delictual liability, obligations, and so on.
Whether the EU had the competence to enact such a wide ranging text was
a foundational constitutional question24, which was often postponed in the
debates over this proposal. In the end, the Union decided not to go forward,
for a number of disparate reasons, which cannot be investigated here. But
the challenge posed by this state of affairs remains open25, although surely
the many lessons linked to this failure must still be explored26. To further
outline the challenge that the Court must address in interpreting EU law
one has to consider that any comparative law input must anyhow still lead
to the application of rule that fits the aims or purposes of the Union, because
the use of comparative law as a means of gap filling and interpretation of
EU law is useful only insofar it advances the purposes of the European legal
order and fits coherently into the system of EU law27. However, reference to
the laws of Member States remains indispensable in the search for a solution
that is fully in line with the objectives and basic principles of EU law.
This has been recognised by the Court over and over again, from the very
inception of its activity. The Algera case28 is an early, much cited illustration
of this approach. In the Algera case the Court remarked that the rules of the
Treaty did not cover the problem raised by the litigation, but also found
that it was:
23
C. Twigg-Flesner, The Europeanisation of Contract Law: Current Controversies in Law,
2nd ed., London, 2013.
24
See, e.g., S.R. Weatherill, European Private Law and the Constitutional Dimension, in
F. Cafaggi (ed.), The Institutional Framework of European Private Law (Collected Courses
of the Academy of European Law, Volume XV/2), Oxford, 2006.
25
See, e.g., N. Jansen, R. Zimmermann (eds.), Commentaries on European Contract Laws,
Oxford, 2018. The books in the Common Core of European private Law series (gen. ed.
Ugo Mattei and Mauro Bussani), and the Ius Commune Casebooks for the Common Law
of Europe, started by Walter van Gerven and now directed by Dimitri Droshout, tackle
as well the same challenge.
26
For critical reflections on this see H.-W. Micklitz, The Politics of Justice in European
Private Law, Cambridge, 2018.
27
There is common agreement on this point, which is further highlighted by S. Rodin,
Constitutional Relevance of Foreign Court Decisions, (2016) 64 Am. J. Comp. L. 815.
28
Joined Cases 7/56 and 3-7/57, Dineke Algera et al v. Common Assembly of the European
Coal and Steel Community, EU:C:1957:7; [1957–58] ECR 39.
447
M. Graziadei
«[…] familiar in the case-law and learned writing of all the countries of
the Community [...] Unless the Court is to deny justice it is therefore
obliged to solve the problem by reference to the rules acknowledged
by the legislation the learned writing and the case-law of the member
countries»29.
448
The European Court of Justice at work: comparative law on stage and behind the scenes
449
M. Graziadei
450
The European Court of Justice at work: comparative law on stage and behind the scenes
451
M. Graziadei
The Court ruled instead that the privacy shield is invalid 51. This litigation
brought about an unprecedented wave of comparative law research about
privacy laws on the two sides of the Atlantic. Some form of harmonisation
between the EU and US approach to privacy and data protection is much
more likely to occur in the future as a consequence of these developments.
452
The European Court of Justice at work: comparative law on stage and behind the scenes
«As has been observed more than once, the Supreme Court of the
United States and this Court often find themselves confronted with
similar problems. Although of course the provisions of the United
States Civil Rights Act of 1964 that were in question in the Griggs
case were worded differently from Article 119 of the Treaty, their
essential purpose was the same, except in so far as the provision in
question in the Griggs case was about racial discrimination, not sex
discrimination. Indeed in Dothard v. Rawlinson (1977) 433 US 321
the Supreme Court applied similar reasoning to sex discrimination.
I draw considerable comfort from finding that my conclusion
accords with the conclusions of that court in those cases»55.
54
Griggs v. Duke Power Co., 401 U.S. 424 (1971).
55
Case 96/80, Opinion of Mr Advocate General Warner, EU:C:1981:21; ECR 1981
-00911.
453
M. Graziadei
The Advocate General thinks that when the relevant facts occurred in
56
Case C-96/80, Jenkins v. Kingsgate Ltd, cit., § 15.
57
C-34/09, Gerardo Ruiz Zambrano c. Office National de l’Emploi, EU:C:2011:12; ECR,
2011 I-01177. On this case see see the instructive contribution by F. Strumia, Ruiz
Zambrano’s Quiet Revolution, in F. Nicola, B. Davies (eds.), EU Law Stories: Contextual
and Critical Histories of European Jurisprudence, cit., p. 224 ff.
58
Opinion of Advocate General Sharpston in case C-34/09, Gerardo Ruiz Zambrano c.
Office National de l’Emploi, EU:C:2010:560; ECR 2011 I-01177 §§ 172-173.
59
Gitlow v New York, 268 U.S. 652 (1925). Cp. R. Schütze, European Fundamental
Rights and the Member States: From ‘Selective’ to ‘Total’ Incorporation?, in C. Barnard,
M. Gehring (eds.) Cambridge Yearbook of European Legal Studies, vol. 14, 2011-2012,
Oxford and Portland, 2012, p. 337 ff.
60
Ibidem, § 172.
454
The European Court of Justice at work: comparative law on stage and behind the scenes
«[…] the Court should not, in the present case, overtly anticipate
change. I do suggest, however, that (sooner rather than later) the
Court will have to choose between keeping pace with an evolving
situation or lagging behind legislative and political developments
that have already taken place. At some point, the Court is likely to
have to deal with a case – one suspects, a reference from a national
court – that requires it to confront the question of whether the
Union is not now on the cusp of constitutional change (as the Court
itself partially foresaw when it delivered Opinion 2/94). Answering
that question can be put off for the moment, but probably not for
all that much longer»61.
61
Ibidem, §177.
62
Case C-64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses v. Tribunal de Contas,
EU:C:2018:117.
455
M. Graziadei
63
Ibidem, §41.
64
Ibidem, §42.
65
L. Pech, S. Platon, Judicial Independence under Threat: The Court of Justice to the
Rescue in the ASJP Case, (2018) 55 Common Market Law Review 1827. According to
the authors, the case «[…] comes close to being the EU equivalent of the US Supreme
Court case of Gitlow as regards the principle of effective judicial protection».
66
Case C-619/18, European Commission v. Republic of Poland, EU:C:2019:531.
456
The European Court of Justice at work: comparative law on stage and behind the scenes
The ECJ ruling in this case as in the previous case concerning the
Portuguese judges holds that effective judicial protection is a general
principle of EU law stemming from the constitutional traditions common
to the Member States67. The same holding has also been affirmed in
Commission v. Poland (Indépendance des juridictions de droit commun) 68
and underlies the judgement of the Court in the Joined Cases C-585/18,
C-624/18 and C-625/18, A. K. and Others v. Sąd Najwyższy 69. The latter
of these decisions makes clear that the principle of the primacy of EU
law requires the referring court to disapply national law which reserves
jurisdiction to a court that does not meet the requirements of judicial
independence. As such, the case would need to be heard and decided by a
court that meets the articulated requirements.
457
M. Graziadei
458
The European Court of Justice at work: comparative law on stage and behind the scenes
turn, these works have been cited to the Court – as usual, the citations are
mostly in the Advocates General’s opinions73. In terms of effectiveness, the
jurisprudence of the Court in this matter attracts some critical remarks
because claims brought against European institutions on this basis have a
very low rate of success. A recent study prepared for the European Parliament
highlights this outcome74. From the time that the Community was founded
to the year 2000, only 20 actions for damages were successful. The number
is similar between 2000 and 2014: 19 plaintiffs have won against the
European institutions. It is not quite ‘mission impossible’ but these are very
low numbers indeed. The average success rate is a mere 8%. More recent
data do not change this picture. The case law of the Court thus makes «only
a modest contribution to breaking down the immunity afforded to public
bodies»75. This is somewhat ironic, considering the importance that the
Court attributes to the principle of effective judicial protection.
459
M. Graziadei
what is common among the Member States. Obviously, this is more than
invitation to adopt a comparative stance to ascertain the general principles
of European law in the area of fundamental rights.
Those who are familiar with the evolution of European law will quickly
draw attention to the absence of similar provisions from the text of the
original Treaties. They are right, of course. A first version of this provision
was incorporated in the Treaties only after the European Court of Justice
recognized the necessity of containing the potentially disruptive dynamics
originating in the inevitable collisions between the norms of the national
constitutions of the Members States and European law77. The way out
of the problem was to proclaim that the validity of EU law could not be
challenged on the basis of the constitutions of Member States, and yet, at
the same time, to elaborate a doctrine of EU fundamental rights that draw
from the constitutional traditions common to the Member States78. As the
Court first held in Internationale Handelsgesellschaft 79:
The Court thus asserted the autonomy and the independence of the
Community legal order vis à vis the Member States, but it also recognized
that this order presents a constitutional dimension ‘inspired’ – this was the
original expression – by the constitutional traditions common to the laws
of the Member States. This formula has been subsequently refined and now
it is featured in over one hundred decisions rendered by the ECJ according
to research conducted by Riccardo de Caria in 201780. The constitutional
traditions of the Member States are not a stand-alone source of law in this
77
S. Cassese, The «Constitutional Traditions Common to the Member States» of the
European Union, in Riv. trim. dir. pub., 2017, p. 939.
78
B. Davies, Internationale Handelsgesellschaft and the Miscalculation at the Inception
of the ECJ’s Human Rights Jurisprudence, in F. Nicola, B. Davies (eds.), EU Law Stories:
Contextual and Critical Histories of European Jurisprudence, cit., p. 155 ff.
79
Case 11-70, Internationale Handelsgesellschaft mbH v Einfuhr- und Vorratsstelle für
Getreide und Futtermittel, EU:C:1970:114; ECR 1970 -01125, §14.
80
M. Graziadei, R. De Caria, The «Constitutional Traditions Common to the Member
States» in the Case-law of the European Court of Justice: Judicial Dialogue at its Finest,
in Riv. trim. dir. pub., 2017, p. 949. Meanwhile, the number of decision featuring a
reference to the notion has grown.
460
The European Court of Justice at work: comparative law on stage and behind the scenes
81
C. Calliess, G. van der Schyff (eds.), Constitutional Identity in a Europe of Multilevel
Constitutionalism, Cambridge, 2019.
82
Pollicino, Common Constitutional Traditions in the Age of the European Bill (s) of
Rights: Chronicle of a (Somewhat Prematurely) Death Foretold, cit., pp. 42-71.
461
PARTE III
COMPARAZIONE GIURIDICA E
PROSPETTIVE DI STUDIO DEL DIRITTO
Guido Alpa
465
G. Alpa
la costruzione del mercato dei dati che sono componente essenziale del
mercato digitale, la loro circolazione e quindi l’autorizzazione, o il consenso
da parte dell’interessato, alla loro acquisizione, al trattamento e alla
utilizzazione ed include anche la proprietà delle banche di dati realizzate
dagli operatori economici2; (iii) un’altra ancora attiene ai contratti che
hanno contenuto digitale, tra i quali possono essere rinvenuti dati di natura
personale3. Vi sono, ovviamente, altre linee di sviluppo, intrecciate con
il mondo dell’informatica, della cibernetica e dell’intelligenza artificiale,
ma per il momento la letteratura, la giurisprudenza, gli atti delle Autorità
indipendenti, i deliberati degli organismi economico-sociali europei e
internazionali, i codici di condotta sono concentrati soprattutto sui dati
personali e sul loro rapporto con il mercato.
Non è facile ricostruire il quadro normativo, che si compone di fonti
europee e di fonti interne, e neppure il substrato dottrinale dal quale esso
trae la terminologia, i concetti e le tecniche, anche rimediali, per poter
dominare un fenomeno che coinvolge ed investe ogni individuo, ogni
impresa, ogni istituzione. E si affida anche a contrapposti orientamenti, che,
volendo semplificare le cose, si potrebbero definire l’uno liberista, l’altro
garantista: il primo volto a consentire la liberalizzazione della circolazione
dei dati e quindi la loro configurazione come “bene” dotato di un valore
– e quindi di un prezziario – oggetto di scambio per ottenere altri beni o
servizi, l’altro preoccupato invece di tutelare la persona anche contro la sua
stessa volontà, a preservare gli aspetti intimi dell’individuo connessi con la
sua identità, a controllare l’acquisizione e il trattamento dei dati e a limitare
466
La “proprietà” dei dati personali
467
G. Alpa
16) e dai Trattati, nonché con il diritto di proprietà (art. 17), è proprio su
questo principio-valore che la dottrina recente ha edificato il concetto di
homo dignus e di identità digitale.
Sempre la Carta ha distinto la tutela della privacy (art. 7) dalla tutela dei
dati personali (art. 8): anche se si volesse inferire dal testo che si è dato corpo
ad un aspetto peculiare della privacy, che gli studiosi americani denominano
informational privacy, il legame tra persona, dati e consenso implica una
fattispecie diversa da quella originaria come da quella anche più evoluta
di riservatezza, perché l’orizzonte dei dati personali è più ampio di quello
della vita privata, essendo connesso con l’identità della persona ed essendo
inclusivo di tutti quegli aspetti della persona che possono costituire altrettante
cause di discriminazione (art. 21 della Carta), così come è inclusivo degli
aspetti relativi alla integrità fisica e alla salute, alla cultura, alla propensione
al consumo e al risparmio, ai gusti e così via. Come ha sottolineato Stefano
Rodotà, «la distinzione non è solo di facciata. Nel diritto al rispetto della vita
privata e familiare si manifesta soprattutto il momento individualistico, il
potere si esaurisce sostanzialmente nell’escludere interferenze altrui: la tutela
è statica, negativa. La protezione dei dati, invece, fissa regole ineludibili sulle
modalità del loro trattamento, si concretizza in poteri di intervento: la tutela
è dinamica, segue i dati nella loro circolazione»6.
Per la verità anche il TUE, all’art. 2, richiama i valori del rispetto della
dignità umana e il rispetto dei diritti umani e il TFUE all’art. 16 dispone
che «ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale
che la riguardano», sì che in questo settore il coordinamento di Carta e
Trattati è più agevole.
Il Regolamento n. 679 del 20167 si colloca in questo quadro di valori
e di principi, e già dai suoi “considerando” si può derivare il bilanciamento
degli interessi in gioco e delineare l’area della protezione. Il diritto
fondamentale che il Regolamento assicura è il diritto alla protezione dei
dati, che deve essere “al servizio dell’uomo” ma, in applicazione del principio
di proporzionalità, non è assoluto in quanto «[...] va considerato alla luce
della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali,
in ossequio al principio di proporzionalità. (…) Rispetta tutti i diritti
fondamentali e osserva le libertà e i principi riconosciuti dalla Carta,
sanciti dai trattati, in particolare il rispetto della vita privata e familiare,
del domicilio e delle comunicazioni, la protezione dei dati personali, la
6
Rodotà, Il mondo nella rete. Quali diritti quali vincoli, cit., pp. 31-32.
7
Nella versione integrata con le modifiche apportate successivamente, il cui testo è
rinvenibile sul sito dell’Autorità Garante dei dati personali.
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concludere il contratto.
Alla natura del consenso si è dedicata una letteratura sconfinata, in Italia
e all’estero: sciogliere questo dubbio è importante, per via della validità
dei contratti conclusi con i titolari dei dati, con le imprese e così via. E
soprattutto è importante capire se il consenso sia revocabile ad nutum.
Solo se si considera il consenso come consenso dell’avente diritto si può
considerare tutelato adeguatamente il dato e quindi la persona.
Una recente sentenza della Suprema Corte (Cass. Civ., sez. I, 2 luglio
2018, n. 17278) a proposito del divieto pronunciato dal Garante per
la protezione dei dati personali nei confronti di una società che aveva
raggiunto gli interessati con messaggi pubblicitari senza averne prima
richiesto il consenso, ha espresso il seguente principio:
«In tema di consenso al trattamento dei dati personali, la previsione
dell’articolo 23 del Codice della privacy, nello stabilire che il consenso
è validamente prestato solo se espresso liberamente e specificamente in
riferimento ad un trattamento chiaramente individuato, consente al gestore
di un sito Internet, il quale somministri un servizio fungibile, cui l’utente
possa rinunciare senza gravoso sacrificio (nella specie servizio di newsletter su
tematiche legate alla finanza, al fisco, al diritto e al lavoro), di condizionare
la fornitura del servizio al trattamento dei dati per finalità pubblicitarie,
sempre che il consenso sia singolarmente ed inequivocabilmente prestato
in riferimento a tale effetto, il che comporta altresì la necessità, almeno,
dell’indicazione dei settori merceologici o dei servizi cui i messaggi
pubblicitari saranno riferiti».
Il consenso sembra dunque un requisito per poter acquisire i dati
lecitamente, ma non il corrispettivo del servizio, che è reso gratuitamente
perché – come avviene nel caso di specie – il messaggio pubblicitario serve
soltanto a catturare l’interesse del destinatario e a promuovere un prodotto
o un servizio ma non è né una promessa né una offerta al pubblico e non
esprime una volontà del mittente.
Senza cadere in un “ùsteron pròteron” si può argomentare questa
tesi anche considerando i rimedi apprestati per tutelare il soggetto cui si
riconosce il diritto di autodeterminazione.
I rimedi messi a disposizione dell’interessato nel caso in cui il titolare o
gli altri soggetti che trattano i dati non rispettino le norme del Regolamento
non sono rimedi di diritto contrattuale. Il Regolamento prevede infatti
rimedi di responsabilità extracontrattuale per la violazione delle regole sui
dati personali: sembra quindi che anche il Regolamento avvalori questa tesi
(v. i considerando 75 e 146).
475
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477
G. Alpa
478
La “proprietà” dei dati personali
Siamo giunti ora al punto clou del nostro discorso: dalla ricostruzione
normativa, anche attraverso la definizione di un quadro complessivo e
possibilmente sistematico delle norme che provengono dall’Unione europea
e che devono essere coordinate con le norme interne, possiamo trarre la
conclusione che nel mercato digitale l’individuo (che sia consumatore,
utente od operatore o contraente) vanta un diritto di proprietà sui propri
dati personali? Oppure che questa scelta sia uno strumento di tutela che
rafforza la sua posizione di fronte all’impresa che fa uso dei suoi dati?
Il tema è sollecitante sia sotto il profilo pratico, sia sotto il profilo
dogmatico, ed ancora economico, storico e comparatistico. Esso è oggetto
di una letteratura infinita, soprattutto diffusa nei Paesi di common law, e
segnatamente negli Stati Uniti.
Anche qui occorre assumere alcune precauzioni, dato che la maggior
parte dei contributi proviene da esperienze assai distanti dalla nostra per
14
Digital Content Directive. Key commendations for the trialogue negotiations, a cura di
Reyna e SchmonBruxelles, s.d.
15
Position concerning contract rules for online purchases of goods and digital content (COM
(2015) 634 and 635) 18/03/2016 sul sito del CCBE.
16
Si rinvia perciò a Resta, ult. op. cit.
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G. Alpa
17
V. per tutti Resta, op. ult. cit.
18
Uno dei saggi più acuti si deve a P.M. Schwartz, Property, Privacy, and Personal Data,
(2004) 111 Harv. L. Rev. 2056; ma v. già J. Cohen, Examined Lives: Informational Privacy
and the Subject as Object, (2000) 52 Sta. L. Rev. 1373; più di recente, T. Hemnes, The
Ownership and Exploitation of Personal Identity in the New Media Age, (2012) 12 J. Marshall
Rev. Intell. Prop. L. 1.
19
R. Posner, The Right of Privacy, (1978) 12 Georgia L. Rev. 392.
20
C.D. Tindall, Argus Rules: The Commercialization of Personal Information, (2003) 1
J.of L.Tech.& Policy 183.
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482
La “proprietà” dei dati personali
27
V. Hemnes, op.cit., supra n. 18.
28
D. Zimmerman, Living Without Copyright in a Digital World, (2007) 70 Albany L.Rev. 1375.
483
G. Alpa
7. A mo’ di conclusione
484
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34
V. per tutti Rodotà, Il mondo nella rete, cit., p. 13 e p. 33 ss.
485
Laura Vagni
487
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492
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493
L. Vagni
20
Ibidem.
21
Ibidem.
22
Cass. Civ., sez. un., 16 febbraio 2018, n. 3873, cit.; cfr. Bona, op. cit, secondo il quale
il passaggio riecheggia la Verwirkung.
494
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23
Cfr. S. Ruperto, voce Usucapione (diritto vigente), in Enc. dir., XLV, 1992, p. 1022 ss.,
a p. 1046; U. Natoli, Il possesso, Milano, 1992, p. 244 ss.; contra R. Sacco, R. Caterina,
Il possesso, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu, F. Messineo, vol.
VII, 2a ed., Milano, 2000, p. 508, secondo i quali: «[…] il soggetto che ha posseduto per
venti anni non è un proprietario: è un soggetto che può essere possessore o proprietario
a sua scelta». Coerenti con questa impostazione sono, secondo gli autori, il potere di
rinuncia del possessore e la non rilevabilità d’ufficio dell’usucapione.
24
Contra Sacco, Caterina, ult. op. cit., p. 509.
25
Cass. Civ., sez. I, 28 maggio 1996, n. 4945, www.dejure.it; Cass. Civ., sez. II, 10 aprile
2019, n. 10056, www.dejure.it.
26
Cfr. Cass. Civ., sez. I, 28 maggio 1996, n. 4945, cit., in cui si legge: «il soggetto
rinuncia unicamente di avvalersi della tutela giuridica connessa col decorso del tempo,
apprestata dall’ordinamento per garantire la stabilità dei rapporti giuridici».
495
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Proprietà e tutela dell’affidamento: note a margine di alcune decisioni giurisprudenziali
497
L. Vagni
«[…] la rinuncia agli effetti positivi del decorso del tempo da parte del
possessore di un bene immobile altrui non equivale alla rinuncia al
diritto di proprietà già acquisito […] ma conserva inalterato il diritto
di proprietà del precedente titolare, attraverso il rifiuto di far valere la
tutela giuridica concessa nei confronti del possesso ininterrotto pro-
tratto per il periodo di tempo previsto dalla legge»35.
498
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pactum fiduciae orienta la soluzione del problema della forma del negozio.
Un orientamento recente della Cassazione ha stabilito, in ossequio al
principio della libertà delle forme, che il mandato senza rappresentanza
per l’acquisto di beni immobili non necessita della forma scritta ai fini
della validità e che anche il mandato concluso informalmente può essere
eseguito in forma specifica55. Similmente, anche il patto fiduciario concluso
oralmente è valido e l’obbligo del fiduciario può essere eseguito ex art. 2932
c.c. La promessa del fiduciario di ritrasferire il bene al fiduciante, assunta
successivamente alla stipulazione del negozio, non costituisce un vestimento
del patto fiduciario concluso oralmente. Il patto orale è la fonte dell’obbligo
di trasferimento. La promessa costituisce piuttosto un atto unilaterale
riconducibile alla figura della promessa di pagamento che «[…] ha la
funzione di dispensare ‘colui a favore del quale è fatta dall’onere di provare
il rapporto fondamentale’, l’esistenza di questo presumendosi fino a prova
contraria»56. La promessa unilaterale del fiduciario, in conclusione, non
è fonte dell’obbligazione, ma ha un effetto confermativo del preesistente
rapporto fondamentale e determina un’astrazione processuale della causa
debendi, in base alla quale il fiduciante è dispensato dall’onere di provare il
patto fiduciario57.
505
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506
Proprietà e tutela dell’affidamento: note a margine di alcune decisioni giurisprudenziali
riguarda la possibilità per gli eredi (o gli aventi causa del donante in caso di
donazione) di confermare tacitamente il testamento nuncupativo o la dona-
zione orale. La giurisprudenza in tema conta poche pronunce, che appaiono
comunque orientate ad applicare gli artt. 590 e 799 c.c. a questi casi.
Com’è noto, dalle motivazioni dei giudizi di Cassazione emergono
raramente i fatti di causa, che invece si svelano nelle poche pronunce di
merito in materia, e illuminano di significato il ragionamento del giudice.
Tra le più recenti decisioni si può citare una controversia tra sorelle
riguardo all’eredità del padre, basata su circostanze invero singolari, decisa
nel 2009 dal Tribunale di Napoli64.
In una famiglia composta da padre, madre e due figlie, il padre era pro-
prietario di tre appartamenti e la madre di un altro appartamento. Il padre
moriva intestato. Gli eredi, volendo dare esecuzione alla volontà, manifesta-
ta in vita dal de cuius, di dividere il patrimonio familiare in parti uguali tra
le figlie, trasferendo a ciascuna la proprietà di due appartamenti, decidevano
di scrivere un testamento falso. Il testamento, redatto materialmente dalla
figlia maggiore, disponeva a favore di quest’ultima due appartamenti e a
favore della figlia minore un appartamento. Gli eredi, d’intesa tra loro, non
impugnavano le disposizioni testamentarie, ma sottoscrivevano un accordo
in cui la madre s’impegnava a lasciare in eredità l’appartamento di sua pro-
prietà alla figlia minore e pareggiare così i conti tra le due sorelle. Nel tempo,
la madre non manteneva fede alla promessa e vendeva l’appartamento; la
figlia minore, allora, agiva in giudizio per far valere la nullità del testamento
e ottenere la reintegrazione della sua quota di legittima.
Il Tribunale di Napoli ha respinto la domanda. Nel corso del processo
le parti riconoscevano la natura apocrifa del testamento ma, nello stesso
tempo, ammettevano la coincidenza tra la volontà testamentaria espressa
dal padre in vita e le dichiarazioni riprodotte da una delle sorelle nel
documento. Dalla prova testimoniale raccolta in corso di causa emergeva
che il de cuius aveva «[…] effettivamente esternato le proprie volontà in un
testamento nuncupativo di contenuto assolutamente identico a quello del
testamento poi pubblicato».
Le due sorelle avevano entrambe dato esecuzione al testamento orale del
padre, curando la trascrizione degli acquisti degli appartamenti oggetto di
controversia; l’attrice aveva così tacitamente confermato il testamento e non
poteva agire in giudizio per invocarne la nullità.
Più di recente il tema della conferma delle disposizioni testamentarie
64
Tribunale di Napoli, 30 giugno 2009, in Giur. Merito, 2010, vol. 12, p. 3010 ss., con
nota di M. Di Marzio, Accordo tra coniugi sulla destinazione post mortem dei beni.
507
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L. Vagni
84
V. supra, paragr. 5.
85
V. supra, paragr. 4.
86
Sulla continuità e discontinuità delle forme di proprietà v. diffusamente L. Moccia,
Forme della proprietà nella tradizione giuridica europea, in Comparazione giuridica e
prospettive di studio del diritto, Lavis, 2016, p. 107 ss.
514
Francesco Paolo Traisci
1. Premessa
Nel nostro codice civile, come è noto, gli animali sono tuttora considerati
a pieno titolo dei beni materiali. Come tali vengono spesso menzionati
515
F.P. Traisci
516
L’animale. Oggetto o soggetto di diritto?
517
F.P. Traisci
del bestiame e gli altri prodotti e utili che ne derivano», laddove per
accrescimento si considera tanto quello ponderale quanto quello numerico
in virtù dei nuovi parti, mostrando quindi che l’animale non viene ceduto
dal soccidante al soccidario ma viene allevato dal secondo per conto del
primo usando «la diligenza del buon allevatore», tanto che il soccidario non
risponde del bestiame che provi essere perito per causa a lui non imputabile,
anche se «deve rendere conto delle parti recuperabili».
Che siano inquadrati fra i beni mobili, si può poi dedurre, a contrario,
dall’art. 812, 3 comma che definisce i beni mobili come categoria residuale
rispetto a quelli immobili definiti ed elencati nei primi due commi della
medesima norma.
Più esplicite sono però quelle norme che disciplinano in senso analogo,
ma non identico al modello del Code, i casi di acquisto a titolo originario
degli animali, specificandone, questa volta, la natura di bene mobile.
In particolare, relativamente alla occupazione della res nullius, l’art.
923, limitando il suo ambito di applicazione ai «beni mobili che non siano
di proprietà di alcuno», specifica che tali sono da considerarsi «gli animali
che formano oggetto di caccia o di pesca». Coerentemente, le altre norme
che riguardano invece l’invenzione, sono destinate agli animali già oggetto
di proprietà. Fra queste, la regola generale dell’art. 925, che relativamente
all’animale mansuefatto, ossia a quello domestico destinato all’agricoltura in
genere, concedendo la facoltà al proprietario di inseguirlo nel fondo vicino
e riprenderselo e prevedendo che il proprietario del fondo in cui è riparato
ne diventi proprietario solamente se l’originario proprietario non l’abbia
reclamato entro 20 giorni da quando ha avuto conoscenza del luogo dove
si trova, in definitiva sottintende che esso rimane di proprietà dell’originale
proprietario anche se esce dal fondo nel quale si trovava. Lo stesso codice
prevede poi all’art. 924 una regola speciale per lo sciame di api, con il diritto
di inseguirlo e riprenderselo, ma con un termine di 2 giorni scaduto il quale
il proprietario del fondo può tenerselo, mentre all’art. 926 ha disposto la
regola opposta per la migrazione di colombi, conigli e pesci, con l’acquisto
della proprietà da parte del proprietario della struttura in cui sono riparati,
sempre che non vi siano stati attirati «con arte o con frode».
518
L’animale. Oggetto o soggetto di diritto?
Anche il BGB, nella sua versione originale, comprendeva gli animali fra
i beni materiali, ai sensi del § 90 in virtù del quale «Sachen im Sinne des
Gesetzes sind nur körperliche Gegenstände», restringendo quindi il novero
degli oggetti di diritto ai beni materiali, senza tuttavia specificarli meglio.
Senonché, con l’introduzione del § 90a tutto è cambiato, pur senza l’appor-
to di alcuna modifica alla originaria formulazione del § 90. Il legislatore ha
infatti, con la norma di nuovo conio, espressamente escluso che gli animali
fossero cose, con la formula “Tiere sind keine Sachen”, giustificando tale
assunto in virtù della natura di esseri viventi degli animali e restringendo così
di fatto la categoria delle cose giuridiche ai beni inanimati4. Lo stesso § 90a,
poi, al n. 2 ha specificato che, pur essendo oggetto di proprietà, la signoria
su di loro, anziché essere disciplinata ai sensi del § 903 come un qualsiasi
bene, è regolamentata da specifiche leggi di protezione, applicandosi il regi-
me dei beni solamente in caso di assenza di una norma specifica5. Di modo
che, alla originaria versione del § 903, è stata aggiunto un secondo comma
che ora impone all’esercizio del diritto di proprietà su di un animale il limite
della protezione di quest’ultimo6. Tutto ciò è stato il frutto della Gesetz zur
Verbesserung der Rechtsstellung des Tieres im bürgerlichen Recht (TierVerbG)
del 28.8.1990, che ha riportato, anche nell’ambito dei rapporti civilistici
disciplinati dal BGB, il frutto delle varie normative di protezione degli ani-
mali, inserendo nelle norme codicistiche ampi ed espliciti richiami ai limiti
che vengono posti, nella disciplina dei rapporti da esso regolati, dalle norme
di tutela delle varie specie animali.
Una posizione armonica e coerente che prende atto della natura di essere
vivente e sensibile dell’animale e ne trae le conseguenze anche all’interno dei
rapporti civilistici. In virtù di tale drastica previsione, qualche voce all’inter-
no della dottrina ha cercato di suggerire che con essa il legislatore avrebbe
inteso eliminare la tradizionale distinzione fra beni materiali e beni imma-
teriali, creando una terza categoria autonoma, quella degli esseri viventi in
cui inserire anche parti del corpo umano oggetto di possibile commercio. La
4
In tal senso v. K. Larenz, M. Wolf, AllgemeinerTeil des Bürgersliches Recht, München,
1997, p. 386 ss.
5
Che così recita con riferimento agli animali: «sie werden durch besondere Gesetze
geschützt. Auf sie sind die für Sachen geltenden Vorschriften entsprechend anzuwenden,
soweit nicht etwas anderes bestimmt ist». In tal senso v. W. Brehm, C. Berger, Sachenrecht,
2. Aufl., Tübingen, 2006, p. 27 e s.
6
Questo il dettato della «der Eigentümer eines Tieres hat bei der Ausübung seiner
Befugnisse die besonderen Vorschriften zum Schutz der Tiere zu beachten».
519
F.P. Traisci
previsione del comma 3 del §903, che ha previsto che comunque in assenza
di una disciplina specifica viene applicato il regime dei beni materiali, ha
tuttavia portato il resto della dottrina a dubitare della effettiva efficacia della
disposizione, tanto da arrivare a definire il § 90a una norma declamatoria
priva di reale contenuto giuridico7, ovvero un’operazione di Begriffskosmetik8,
mentre altri l’hanno vista come un ethitsches Postulat e un corpo estraneo al
BGB9. Una unica certezza accomuna tuttavia la dottrina: non vi è infatti
dubbio che il § 90a non abbia inserito l’animale fra i soggetti di diritto10.
È vero, però, che al di là dell’effettiva portata del §90°, nessuno può
dubitare della sua forza declamatoria e del suo ruolo armonizzante all’in-
terno del sistema. Il valore rappresentato dall’introduzione, all’interno dello
statuto della proprietà di limiti ed obblighi negli interessi dell’oggetto stesso
della proprietà, anche con valenza civilistica, non può certo essere trascurato!
520
L’animale. Oggetto o soggetto di diritto?
all’animale una sensibilità, ossia una capacità di sentire dolore e piacere, per
molti commentatori la legge si sarebbe limitata a punire le manifestazioni
pubbliche di maltrattamenti nei confronti di animali domestici, quindi
oggetto di proprietà, sembrando così essere orientata verso la tutela della
sensibilità dell’uomo spettatore rispetto agli atti di crudeltà, piuttosto che
nei riguardi del benessere animale.
Da questa norma, successivamente oggetto di modifiche, si è poi
sviluppata nell’ordinamento francese una legislazione penale che è andata
in tre direzioni: 1) ha esteso l’ambito della tutela eliminando il requisito
della pubblicità; 2) ha diversificato i comportamenti punibili inasprendo le
sanzioni; 3) ha raffinato le basi della tutela, allargandone il fondamento oltre
al novero degli animali domestici.
Per quanto riguarda il primo aspetto, ossia quello dell’abolizione del
requisito della “pubblicité des agissements”, la dottrina richiama il decreto
Michelet del 1959, che pur eleminando la necessità che il maltrattamento
dell’animale fosse avvenuto pubblicamente, ha mantenuto però il
legame con il diritto di proprietà su quest’ultimo: solo il maltrattamento
dell’animale domestico sarebbe rientrato nell’ambito della normativa, anche
quando esercitato clandestinamente. Questa soppressione del requisito
della pubblicità è stata vista da alcuni come sintomo dello spostamento
dell’interesse tutelato: da quello della persona umana a quello proprio
dell’animale, anche se le successive vicende soprattutto della disciplina
civilistica hanno fatto ritenere a molti che tale prospettiva non sia stata
ancora del tutto realizzata con questo provvedimento normativo12.
Per quanto riguarda poi i comportamenti punibili, la legge n. 63-1143
del 1963 iniziò una fase di diversificazione delle infrazioni penali, creando
il delitto di crudeltà punito più severamente rispetto alla contravvenzione di
maltrattamenti, mentre la legge 76-629, relativa alla protezione dell’ambiente,
ha aggiunto il reato di sevizie gravi agli atti di crudeltà ed ha creato il reato di
abbandono (evidentemente dell’animale domestico), poi confluiti nell’art.
521-1 del Code pénal.
Una disciplina speciale hanno avuto in questa ottica le corride, vietate
in generale dalla giurisprudenza della Cour de Cassation con l’assimilazione
dei tori agli animali domestici. Le tauromachie, la cui crudeltà nei confronti
degli animali fa tuttora discutere, oltre che nel sud della Spagna sono
consentite anche in alcune zone della Francia meridionale, in virtù di una
521
F.P. Traisci
specifica eccezione contenuta nel comma 7 dell’art. 521-1 del codice penale
che, pur vietando gli atti di crudeltà nei confronti degli animali, afferma
esplicitamente che «les dispositions du présent article ne sont pas applicables
aux courses de taureaux lorsqu’une tradition locale ininterrompue peut être
invoquée. Elles ne sont pas non plus applicables aux combats de coqs dans
les localités où une tradition ininterrompue peut être établie»13.
La stessa legge ha poi creato altre contravvenzioni più specifiche,
vietando alcune pratiche particolarmente cruente (come il tiro al piccione).
Peraltro appare interessante notare come mentre la stessa legge del 1976 ha
introdotto nel Code rural, limitatamente agli animali oggetto di quel testo
normativo, il divieto di maltrattamenti senza ulteriori specifiche, lo stesso
strumento normativo non ha soppresso il requisito dell’assenza di necessità
nel reato di maltrattamento, in quello di atti di crudeltà e in quello di sevizie
gravi previsto dal Code pénal. Questo requisito è stato soppresso, infatti, solo
con la legge n. 99-5 del 6 gennaio 1999 (art. 22) limitatamente ai reati (ma
non alle contravvenzioni).
La riforma dello Code pénal del 1993 ha poi dato alla luce ulteriori
contravvenzioni, quale quella di «atteinte involontaire sans nécessité à
la vie d’un animal domestique, apprivoisé ou tenu en captivité», l’antica
“contravention d’atteinte volontaire”, riformulandola e privandola di ogni
riferimento a specie animali ed al proprietario ed allargando il novero anche
agli animali addomesticati o tenuti in cattività come le fiere o gli elefanti nei
circhi o nei giardini zoologici.
Per quanto riguarda, infine, l’ambito soggettivo di applicazione della
tutela, l’ottica proprietaria è poi sempre rimasta, perché l’unica effettiva
estensione della tutela dell’animale domestico è avvenuta nei confronti di
quelli addomesticati o tenuti in cattività come le fiere nei circhi e nei giardini
zoologici o nei parchi. Anche nei confronti di questi ultimi infatti è possibile
individuarne il proprietario tenuto al rispetto della sua natura sensibile così
come è stata riconosciuta a tutta la categoria animale, dalla stessa legge del
1976, poi codificata nel Code rural, nell’art. 9, che ha affermato: «Tout
animal étant un être sensible doit être placé par son propriétaire dans des
conditions compatibles avec les impératifs biologiques de son espèce».
Tutto, quindi, è riservato agli animali domestici (seppur esteso poi a
quelli addomesticati o tenuti in cattività) e si possono individuare solo
alcune disposizioni che introducono forme di clemenza verso gli animali
erranti (ad esempio il divieto di eutanasia sistematica e la imposizione di
13
Sul punto v. J.-P. Maguenard, Le droit animalier, de l’anecdotique au fondamental, in
Dalloz, 2017, p. 996 ss.
522
L’animale. Oggetto o soggetto di diritto?
523
F.P. Traisci
più a scomparire, tanto che la Corte Suprema ha inteso distinguere bene fra
le condotte punite con le norme sopra specificate e quelle punite dall’art.
638 c.p. Le prime norme sarebbero infatti poste a tutela del sentimento
di pietas umana nei confronti degli animali, mentre le seconde hanno
come oggetto di tutela la proprietà privata altrui16. Sempre all’interno del
Codice penale abbiamo l’art. 727, che punisce l’abbandono, comma 1 e
la detenzione, in condizioni incompatibili con la sua natura, dell’animale
domestico o che abbia acquisito «abitudini della cattività». A tali norme
può poi aggiungersi l’art. 2 della già richiamata legge del 2004 n. 189, che
vieta l’utilizzo di cani e gatti per la produzione di vestiario e l’introduzione
di simili capi di abbigliamento sul suolo nazionale. La stessa legge ha
tuttavia introdotto una riserva: quella della necessità sociale, in virtù della
quale le disposizioni sopra richiamate non si applicano ai casi previsti dalle
leggi speciali «in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto,
di macellazione di animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi, di
attività circense, di giardini zoologici, nonché dalle altre leggi speciali in
materia di animali», aprendo quindi lo spazio alle regole speciali dettate
dalla legislazione speciale: quella di stampo amministrativistico per quanto
riguarda la custodia ed il trattamento degli animali nei circhi e nei parchi
zoologici; quella sulla caccia e sulla pesca, che pur considerando l’animale
come un bene rientrante all’interno del patrimonio indisponibile dello Stato
lascia la sua protezione alla legislazione regionale e provinciale e quelle di
origine comunitaria per le attività di allevamento, trasporto e macellazione
alle quali si è aggiunta quella di sperimentazione scientifica.
Relativamente a queste ultime possiamo, infatti, solo brevemente
ricordare che buona parte della disciplina è di origine comunitaria, perché
emanata nell’ottica della disciplina uniforme del commercio di alcune delle
principali specie di animali destinati all’alimentazione umana, regolando in
modo prescrittivo le condizioni di allevamento (in termini di nutrizione,
di spazi per il ricovero e di trattamenti sanitari) ma anche di macellazione
e di trasporto e vietando trattamenti che possano infliggere loro sofferenze
eccessive o inutili. Seguendo tale filone, poi, la disciplina comunitaria si è
occupata anche del commercio e del trasporto degli animali di affezione e
della sperimentazione cosmetica e farmaceutica sugli animali.
16
In tal senso Cass. Pen., sez. III, 17 aprile 2019, n. 16755, www.dejure.it.
524
L’animale. Oggetto o soggetto di diritto?
525
F.P. Traisci
526
L’animale. Oggetto o soggetto di diritto?
527
F.P. Traisci
limiti ed agli obblighi nei loro confronti del proprietario, ma anche con
alcuni diritti propri25.
530
L’animale. Oggetto o soggetto di diritto?
531
Enrico del Prato
533
E. del Prato
534
Status di figlio: autoresponsabilità e verità
535
E. del Prato
536
Status di figlio: autoresponsabilità e verità
537
E. del Prato
4. Figli di coppie same sex? L’adozione in casi particolari come mezzo per
salvaguardare la continuità della relazione affettiva
538
Status di figlio: autoresponsabilità e verità
cui deve seguire il consenso di quella estranea alla vicenda procreativa. Ecco,
allora, che l’istituto matrimoniale acquisisce un ruolo centrale nell’istituire il
rapporto di filiazione per la genitrice intenzionale. Non si registra, invece, la
possibilità di un trio genitoriale istituendo la filiazione col padre biologico,
poiché la scelta della moglie della partoriente la preclude.
Tuttavia nell’ipotesi di una coppia di donne che ricorrono alla
fecondazione assistita eterologa può darsi il caso che una sia la madre
gestante e l’altra quella biologica. Ma il ruolo della madre biologica resta
fuori dall’area giuridica anche nel diritto spagnolo12: madre è la partoriente
e, come abbiamo rilevato, la filiazione con la coniuge nasce dal matrimonio
e dall’intento. Sul piano dei fatti possiamo, però, dire che le donne sono
madri a diverso titolo.
Alla nostra giurisprudenza si è posto il caso dell’eventuale contrarietà
all’ordine pubblico della trascrizione nei registri dello stato civile italiano
dell’atto di nascita del bambino nato da una cittadina spagnola e concepito
con ovulo della coniuge, cittadina italiana, con gamete di un donatore
anonimo, bambino al quale l’atto di nascita spagnolo attribuiva due madri
conformemente al diritto spagnolo. Esso è stato deciso, in grado di appello
e in sede di legittimità, nel senso della conformità all’ordine pubblico sul
presupposto che la relativa verifica non riguardi la conformità dell’atto di
stato civile straniero con le norme inderogabili del nostro ordinamento,
ma l’eventuale contrasto con la «tutela dei diritti fondamentali dell’uomo
desumibili dalla Costituzione, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, nonché dalla Convenzione europea dei
diritti dell’uomo»13. Perno della decisione è la salvaguardia dell’interesse del
bambino a mantenere lo status corrispondente ai rapporti affettivi acquisiti14.
Nel caso in questione la circostanza che una delle donne fosse la madre
biologica rileva sul piano esistenziale, ma resta sullo sfondo, almeno allo
stato, della soluzione giuridica. Madre è la gestante; l’altra acquisisce la
12
Emblematico, nell’esperienza italiana, nel senso di attribuire inderogabilmente la maternità
alla partoriente è il caso deciso da Trib. Roma, 10 maggio 2016, in Giur. it., 2016, p. 2019
ss., con nota di L. Pascucci, Procreazione medicalmente assistita. L’errore nell’impianto di
embrioni: l’eccezionalità del caso entro od oltre i paradigmi legali esistenti?, relativo allo scambio
accidentale di embrioni nell’ambito di una fecondazione assistita omologa.
13
Cass. Civ., sez. I, 30 settembre 2016, n. 19599, in Corr. giur., 2017, p. 181, con nota di
G. Ferrando, Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli status filiationis.
14
Nello stesso senso si è espressa Cass. Civ., sez. I, 31 maggio 2018, n. 14007, in Il
Foro it., 2018, p. 2717 ss., relativamente alla trascrizione nei registri dello stato civile
della sentenza francese che aveva pronunciato l’adozione “legittimante” dei rispettivi figli
biologici (la c.d. stepchild adoption) da parte di due donne cittadine francesi e coniugate
in Francia, ma residenti in Italia.
539
E. del Prato
540
Status di figlio: autoresponsabilità e verità
5. Interesse del minore e verità nel riconoscimento del figlio nato fuori dal
matrimonio e nel disconoscimento di paternità
La riforma del regime del riconoscimento del figlio nato fuori dal
matrimonio (un tempo il figlio “naturale”) ha inciso sul rapporto tra verità
e autoresponsabilità rendendo l’interesse del figlio il centro di gravità della
disciplina18. L’intangibilità del principio di verità, sancita dall’imprescrittibilità
dell’impugnazione per difetto di veridicità con legittimazione generalizzata
nel vecchio testo dell’art. 263 c.c., è rimasta intatta solo rispetto al figlio,
per il quale l’azione è imprescrittibile, mentre per i terzi vi è un termine di
decadenza quinquennale, decorrente dall’annotazione del riconoscimento
sull’atto di nascita, ridotto a un anno per l’autore del riconoscimento (art.
263 c.c.).
L’interesse del minore a preservare la relazione affettiva è stato invocato
per elidere la rilevanza della verità in quel limitato tempo in cui essa può
essere invocata per rimuovere lo stato, sostenendo l’illegittimità costituzionale
dell’art. 263 c.c. nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del
riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità possa essere accolta
solo quando sia rispondente all’interesse del figlio stesso. Nel respingere
la censura, la Corte costituzionale ha interpretato ortopedicamente la
disposizione in esame ritenendo che «non è costituzionalmente ammissibile
che l’esigenza di verità della filiazione si imponga in modo automatico
sull’interesse del minore, con la conseguenza che i due valori (verità ed
interesse del minore) devono essere bilanciati mediante un adeguato giudizio
comparativo»19, perché «l’attuale quadro normativo e ordinamentale, sia
18
Sul punto, A. Palazzo, La filiazione, 2a ed., in Trattato di diritto civile e commerciale,
diretto da A. Cicu e F. Messineo e continuato da L. Mengoni e P. Schlesinger, Milano,
2013, p. 354.
19
Corte cost., 18 dicembre 2017, n. 272, in Corr. giur., 2018, p. 446 ss., con nota adesiva
di G. Ferrando, Gestazione per altri, impugnativa del riconoscimento e interesse del minore.
La massima così prosegue: «[…] all’esito del quale non è affatto necessario che, in base alle
emergenze del caso concreto, l’esigenza di verità dello status filiationis prevalga sull’interesse
541
E. del Prato
interno, sia internazionale20, non impone nelle azioni volte alla rimozione
del minore a rimanere in quel contesto familiare. Il favor veritatis non costituisce un valore
di rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi comunque, atteso che l’art. 30 Cost. non
ha attribuito un valore indefettibilmente preminente alla verità biologica rispetto a quella
legale. Nel disporre, al 4° comma, che ‘la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della
paternità’, l’art. 30 Cost. ha demandato al legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel
rispetto degli altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella naturale,
nonché di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest’ultima, così affidandogli
anche la valutazione in via generale della soluzione più idonea per la realizzazione
dell’interesse del figlio». La massima è pubblicata in Giur. it., 2018, p. 1830 ss., con nota
di E. Falletti, Il riconoscimento in Italia dello status di figlio nato da surrogacy straniera.
Il caso, peraltro, non riguarda la rimozione della paternità, ma della maternità: si trattava
dell’impugnazione del riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio fatto dalla
madre che, con il compagno, aveva fatto ricorso alla gestazione per altri (la c.d. maternità
surrogata) all’estero, ed aveva trascritto in Italia il certificato di nascita formato all’estero.
Per l’impiego dell’espressione «gestazione per altri» in luogo di «maternità surrogata» v. A.
Sassi, F. Scaglione, S. Stefanelli, La Filiazione e i Minori, 2a ed., in Trattato di diritto
civile, diretto da R. Sacco, Le Persone e la Famiglia, vol. 4, Torino, 2018, p. 142 ss. In tema
di disconoscimento di paternità, sulla «assenza di ogni automatismo nel cogliere l’interesse
del minore rispetto al principio di verità biologica della filiazione» e la correlata «necessità
di un attento bilanciamento degli interessi che vengono in rilievo (…) peraltro imposta non
solo dalle fonti interne, ma anche da quelle sovranazionali» si è ripetutamente pronunciata
anche la Cassazione (Cass. Civ., sez. I, 3 aprile 2017, n. 8617; Cass. Civ., sez. I, 30 maggio
2013, n. 13638; Cass. Civ., sez. I, 22 dicembre 2016, n. 16767, che, a proposito del
bilanciamento fra “l’esigenza di affermare la verità biologica” e “l’interesse alla stabilità
dei rapporti familiari”, funzionali allo sviluppo del minore e alla tutela della sua identità,
ammonisce che lo stesso non può costituire il risultato di una valutazione astratta ma
impone un accertamento in concreto, ritagliato caso per caso). In direzione parzialmente
contraria, Cass. Civ., sez. I, 15 febbraio 2017, n. 4020, pur ribadendo la necessità del
bilanciamento, afferma «l’importanza del legame genetico sotto il profilo dell’identità
personale, nella quale sono compresi il diritto di accertare la propria discendenza biologica
(Corte Edu, 14 gennaio 2016, Mandet c. Francia) e il diritto dell’adottato di conoscere le
proprie origini (Corte cost. n. 278 del 2013)»; anche l’imprescrittibilità riguardo al figlio
delle azioni di stato varrebbe a dimostrare «l’importanza della discendenza biologica e
della connessa identità personale, la cui tutela rientra a pieno titolo nell’ambito dei diritti
fondamentali della persona riconosciuti dalla nostra Costituzione, prima ancora che dalle
fonti internazionali».
20
Ed infatti la sentenza fa ampio riferimento a Convenzioni internazionali. Tra queste,
in particolare, la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, del 20 novembre
1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, in forza della quale
«in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o
private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi
legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente»
(art. 3, par. 1). Ricorda anche la Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei
fanciulli di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo
2003, n. 77, le Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una
542
Status di figlio: autoresponsabilità e verità
giustizia a misura di minore, adottate il 17 novembre 2010, nonché la Carta dei Diritti
Fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000.
21
I cui termini sono così individuati dalla Consulta: «Se l’interesse a far valere la verità
di chi la solleva prevalga su quello del minore; se tale azione [ex art. 263 c.c.] sia davvero
idonea a realizzarlo (come è nel caso dell’art. 264 cod. civ.); se l’interesse alla verità abbia
anche natura pubblica (ad esempio perché relativa a pratiche vietate dalla legge, quale
è la maternità surrogata, che offende in modo intollerabile la dignità della donna e
mina nel profondo le relazioni umane) ed imponga di tutelare l’interesse del minore nei
limiti consentiti da tale verità». Ma, una volta elevato l’interesse del minore a centro di
gravità delle decisioni, viene spontaneo rispondere positivamente al quesito se esso debba
prevalere anche quando la procreazione sia avvenuta in violazione di divieti: gli effetti
negativi della violazione non possono colpire chi ne è del tutto estraneo. L’esperienza dei
figli incestuosi fornisce un utile criterio di orientamento.
22
In argomento v. Sassi, Filiazione intenzionale e interesse allo status, cit., p. 14 ss.
543
E. del Prato
544
Status di figlio: autoresponsabilità e verità
545
E. del Prato
31
Corte cost., 22 novembre 2013, n. 278, cit. supra, nota 6, ha dichiarato l’incostituzionalità
dell’art. 28, comma 7, legge n. 184/1983, che inibiva l’accesso alle informazioni.
546
Status di figlio: autoresponsabilità e verità
32
Sottolinea le «forti incongruenze» della disciplina A. Sassi, in Sassi, Scaglione,
Stefanelli, La Filiazione e i Minori, cit., p. 351 ss., spec. p. 361 ss.; ritiene, invece, che
la contestazione così come il reclamo dello stato di figlio «si riferiscono a ipotesi specifiche
che, per gran parte attengono, anche dopo la recente riforma, alla filiazione dentro il
matrimonio» M. Dogliotti, La filiazione fuori del matrimonio, Art. 250-290, in Il Codice
Civile. Commentario fondato da P. Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2015, p.
408. Ma resta il fatto che la nascita presuppone un parto, e perciò il riconoscimento non
veridico della madre è fatto da colei che non ha partorito o che ha partorito un figlio diverso
da quello riconosciuto. Per C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1, La famiglia, 5a ed., Milano,
2014, p. 382, «estranea all’azione di contestazione dello stato di figlio è anche l’ipotesi del
riconoscimento non veridico», secondo cui «in tal caso lo stato di figlio risultante dall’atto
di nascita può essere rimosso esclusivamente mediante l’azione di impugnazione del
riconoscimento per mancanza di veridicità».
547
Mario Serio
549
M. Serio
singolari, laceranti casi della vita2. Sin da adesso può osservarsi che la
locuzione “in the best interest of ” (di volta in volta il paziente, il minore3,
l’incapace) racchiude, costituendone suggestivo simbolo, il nucleo centrale
delle questioni implicate dalla costruzione del fenomeno giuridico su un
fondamento che sviluppa conoscenze, valutazioni, decisioni eccedenti il
semplice ambito del diritto positivo. Il diritto inglese è stato in tempi recenti
attraversato da domande di giustizia di talmente profonda tessitura morale
da imporre orientamenti giurisprudenziali, preceduti o seguiti da significativi
commenti dottrinari, che, animati come non potevano non essere da
sofferte considerazioni conducenti appunto alla individuazione del genere
di interesse di cui si discute, hanno aperto la strada ad importanti opinioni,
anche aspramente divise. Circostanza, questa, che di per sé né affievolisce
l’intimo valore della singola scelta né meccanicamente dovrebbe indurre
all’auspicio che le scelte stesse siano avulse da inevitabili nodi problematici e
controversi, come è nella natura della materia discussa. Ed allora, un primo
motivo di interesse nei riguardi di questo genere tematico è costituito dalla
ricognizione estesa delle ipotesi più comunemente presenti nella quotidiana
esistenza che richiamino, a propria volta, tutte le formazioni di giuristi al
compito di misurarsi con nuove categorie di giudizio, aspirando ad una
classificazione in senso tassonomico delle “rationes decidendi” e, in genere,
degli argomenti spesi a suffragio od in opposizione ad esse.
Ma non è solo euristico lo scopo di questo tipo di ricerca: essa,
invero, cospira a guidare chi la pone in essere verso la sponda del dialogo
interordinamentale europeo, al cui interno è ben possibile, come il prosieguo
del lavoro si propone di render chiaro, reperire testimonianze di un filo
unico di riflessione, non importa quanto diversificata nelle conclusioni.
Un netto sintomo di questa interazione tra sistemi giuridici differenti,
ma utilmente integrabili nel rispetto delle reciproche autonomie, può
percepirsi nella travagliata storia riguardante il neonato inglese affetto da una
grave ed irreversibile patologia neurodegenerativa congenita4: si trattava di
2
Un’esemplare rassegna tematica in prospettiva europea si riscontra in R. Conti, Scelte
di vita o di morte: il giudice è garante della vita umana?, Relazione di cura, DAT e “congedo
dalla vita” dopo la l 219/2017, Roma, 2019. Per una specifica area problematica v. V. Lo
Voi, Mors omnia solvit? Parto anonimo e valutazione circa l’attualità del diritto all’anonimato
della madre biologica nel caso di morte dello stesso, in Riv. dir. fam. pers., 2018, p. 1120 ss.
3
Sulla peculiare condizione del minore in diritto comparato, v. D. Vanni, Il consenso del
minore al trattamento medico in prospettiva comparatistica: un nuovo soggetto di diritto?, in
F. Bilotta, F. Raimondi (a cura di), Storia ed evoluzione di un concetto nel diritto privato,
Napoli, 2020, p. 131 ss.
4
Del caso Charlie Gard si occuparono nel breve spazio di poco di un trimestre tra l’aprile
e la fine di giugno del 2017 i tre gradi di giurisdizione professionale inglese, High Court,
550
Diritto di visita dei familiari dei ricoverati in case di cura
Court of Appeal e Supreme Court, e la Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo quanto
brevemente si dirà nel testo.
5
Le rispettive pronunce furono emesse l’11 aprile 2017 dal Giudice Francis, il successivo
23 maggio da una unanime Court of Appeal, [2017] EWCA (Civ) 410, il 19 giugno dalla
Supreme Court che non autorizzò e, pertanto, dichiarò inammissibile il ricorso davanti
a sé per mancata deduzione di una questione di importanza generale secondo i propri
parametri, pur sospendendo l’efficacia del provvedimento del primo giudice – che aveva
autorizzato l’ospedale ad interrompere le cure – in attesa della preannunciata decisione della
Corte Europea, intervenuta dopo una decina di giorni: c. 39793/17.
6
Merita di essere ricordato il passaggio della sentenza della High Court in cui il Giudice,
riportando le parole di una dei consulenti d’ufficio inglesi interpellati, sottolineò
con malcelato spirito polemico come la filosofia della clinica medica britannica fosse
improntata a mettere al centro della scena la persona e le esigenze del paziente, mentre
quella d’oltreoceano mostrasse spiccata proclività a porre in essere, ad ogni costo, qualsiasi
tentativo sperimentale.
551
M. Serio
552
Diritto di visita dei familiari dei ricoverati in case di cura
12
Glass v. United Kingdom, App. n. 61827/00, del 9 marzo 2004.
13
In questa decisione si avverte nitidamente l’eco di una pronuncia, di due anni anteriore,
della medesima Corte di Strasburgo in Burke v. United Kingdom, App. n. 19807/06, dell’11
luglio 2006 (in cui si era chiarito che il compito giurisdizionale non ha finalità autorizzative
ma puramente dichiarative della legittimità di una dato programma medico).
14
Aintree University Hospitals NHS Foundation Trust v. James, [2013] UKSC 67.
15
«The Mental Capacity Act 2005 Code of practice provides that it may be in the best
interests of a patient in a limited number of cases not to give life-sustaining treatment
where treatment is futile, overly burdensome to the patient or where there is no prospect
of recovery».
16
Sulla nozione si veda il fondamentale contributo di G. Criscuoli, Variazioni e scelte
in materia di status, in Riv dir. civ., 1984, n. 2, I, p. 157 ss.
553
M. Serio
2. Il sistema delle Corti specializzate nel common law inglese: ragioni e dubbi.
La Court of Protection ed il Mental Capacity Act del 2005
554
Diritto di visita dei familiari dei ricoverati in case di cura
555
M. Serio
rispetto ad ogni altro soggetto di diritto. Di alcune di esse, per la loro diretta
incidenza sugli angoli visuali di questo studio, è utile il richiamo. In primo
luogo è posta la presunzione “iuris” di capacità fino alla prova contraria
consistente in una pronuncia giurisdizionale: nel medesimo senso si prevede
che a tale risultato deprivativo possa solo giungersi dopo l’infruttuoso
esperimento di ogni tentativo di prevenirlo; né tale estrema soluzione
potrebbe giustificarsi sulla base esclusiva della constatazione che la persona
ha preso decisioni poco sagge. Se quelle appena citate si prospettano come
disposizioni protettive della persona in senso preventivo della dichiarazione
di incapacità, altre intervengono a delinearne lo “status” nell’ipotesi che
tale situazione sia effettivamente venuta in essere. La prima e principale,
di assorbente rilievo in questa sede, consiste nella proclamata necessità che
ogni atto o provvedimento afferente alla persona incapace ne presupponga
la piena conformità al suo interesse e risponda, in ogni caso, all’imperativo
di contenere al massimo la compressione dei relativi diritti e della libertà
d’azione. L’opzione legislativa si esprime nel senso che a legittimare le
misure incapacitanti debba essere l’inettitudine della persona a decidere
autonomamente ovvero di comprendere o ritenere i dati informativi sui
quali fondare la decisione. Anche la nozione del prima evocato criterio
del “best interest” è declinata secondo un modello definitorio rivolto a
preservare, seppur in forma deduttivo-ipotetica, la volontà della persona
in quanto chi è chiamato a rappresentarla è tenuto, nella prefigurazione di
ciò che più fedelmente corrisponda all’interesse del rappresentato, a porsi
l’interrogativo circa la possibilità che in futuro questi possa riacquistare la
capacità di amministrarsi in relazione ad uno specifico oggetto, sì da non
rendere irreversibilmente opponibile all’interessato la scelta da altri per suo
conto effettuata e, quindi, permanente la condizione limitativa. Questa, a
propria volta, non può giammai convertirsi in un’indebita privazione della
libertà personale, se non nei casi in cui essa consegua ad un ordine giudiziale
volto anche a surrogare in casi di necessità la carenza di condizioni limitative
della libertà stessa ed in particolare ad un provvedimento disposto in vista
della somministrazione alla persona incapace di trattamenti sanitari vitali e,
comunque, necessari per ragioni di mantenimento in esistenza. Egualmente
non infrange il divieto di impedire la libertà della persona l’iniziativa che
chi è chiamato a prendersene cura assuma nella ragionevole convinzione che
essa valga a prevenire pregiudizi all’incapace.
In tale contesto normativo di somma protezione della persona e della
personalità dell’incapace si pongono le fitte previsioni (sezione 46 ss.) che
disciplinano la Court of Protection, determinandone prerogative, competenze,
556
Diritto di visita dei familiari dei ricoverati in case di cura
557
M. Serio
3. Il caso BP and Surrey County Council and RP deciso nel marzo 2020
dalla Court of Protection: le possibili limitazioni agli incontri con i propri
familiari imposte alle persone dichiarate incapaci
558
Diritto di visita dei familiari dei ricoverati in case di cura
del Mental Capacity Act 2005 egli, sin dal 12 agosto 2019 (dopo un
iniziale ricovero a far data dal 25 giugno 2019), è stato giudicato (sebbene
definito come soggetto in grado di capire e ritenere la maggior parte delle
informazioni veicolategli) incapace di autodeterminarsi congruamente
in quanto colpito dalla malattia di Alzheimer e, pertanto, sottoposto,
attraverso uno dei provvedimenti previsti per simili evenienze dalla legge in
parola (una “standard authorisation”), al regime di ricovero, a proprie spese,
nella casa di cura fino al 3 giugno 2020, allorché sarebbe stato sottoposto
a nuova valutazione delle proprie condizioni. Con costante regolarità il
paziente ha sempre ricevuto visite dai propri familiari, in particolare di
una delle figlie con cadenza quotidiana e della moglie trisettimanalmente.
Ripetutamente egli, dal momento della “deprivation of liberty” (tale
considerandosi nel lessico legislativo la condizione del destinatario del prima
descritto provvedimento), ha senza alcuna ambiguità espresso il proprio
desiderio di ritornare a casa, cui si è frapposta l’efficacia della disposizione
incapacitante. Con una lungimiranza (che in Italia sarebbe stata auspicabile
da parte degli enti territoriali con riferimento ai problemi dei degenti nelle
residenze sanitarie assistite) forse sfortunatamente mancata a livello politico,
prima ancora che il Governo inglese adottasse misure di contenimento
della diffusione e della trasmissione della pandemia (pur non così radicali
come quelle di cui si sta per dire), ed esattamente con un anticipo di 3
giorni, alle 17 del 17 marzo 2020, la casa di cura ha disposto che per tutto
il tempo dell’emergenza sanitaria siano sospese visite e contatti esterni
con i pazienti in essa degenti. Il divieto ha diviso i parenti del paziente, in
quanto la figlia che lo visitava assiduamente ha ritenuto, contrariamente
all’avviso materno, che fosse meglio rispondente agli interessi paterni il
temporaneo ritorno nella propria abitazione dove avrebbe potuto ottenere
adeguata assistenza in virtù dell’approvvigionamento dei necessari mezzi di
cura. Al diniego di flessibilità nell’osservanza di questa disposizione da parte
della casa di cura o di deroga circoscritta al singolo paziente, la figlia, nel
frattempo assunta la posizione processuale di “litigation friend”, di cui si è
prima detto, implicante il perseguimento processuale di azioni rivolte alla
miglior protezione della sua condizione23, si è rivolta alla Court of Protection,
nella persona del giudice designato Hayden24, formulando un’articolata e
23
La fedele interpretazione della delicata funzione, in concreto riconosciuta nel caso
in esame, implica che il titolare agisca in modo equilibrato ed equo, soddisfacendo gli
elevati requisiti di integrità morale richiesti dalle circostanze: così si espresse il giudice
Charles della stessa Court of Protection in Re UF, [2013] EWCOP 4289.
24
Di lui le cronache ricordano un’infelice esternazione nell’aprile 2019 allorché, nel
corso dell’udienza preliminare di un procedimento promosso nell’interesse di una
559
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560
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4. Brevi considerazioni finali: il ruolo del giudice inglese nella decisione intorno
a questioni di coscienza
565
M. Serio
umana e dei suoi inalienabili diritti, a partire da quelli alla dignità, alla
libertà ed alla salute, occupi un posto preminente nella scala dei valori che
tutti i sistemi giuridici non possono declinare dal preservare. È altrettanto
indiscutibile che questi stessi valori si configurino in maniera ancor più
basilare e drammatica quando siano riconducibili a persone le cui condizioni
soggettive per ragioni fisiche o mentali le rendano più deboli, meno
autonome, maggiormente bisognose di solidarietà e tutela. Il vero dissecante
interrogativo sulle appropriate risposte da dare si propone nelle occasioni in
cui per terribile paradosso si tratti di decidere se la migliore estrinsecazione di
solidarietà e tutela debba essere perseguita a seguito di una scelta implacabile
tra la permanenza in vita, lungo una esistenza martoriata da sofferenze,
disagi ed obnubilamento mentale irrimediabili terapeuticamente, ed il suo
opposto, meditatamente decretato quale epilogo ineludibile di un’avventura
umana impossibile da decorosamente perpetuarsi. Nell’esatta linea mediana
di questi contesti decisionali che, per tornare al concetto sattiano, possono
apparire, a dispetto della loro strenua aspirazione all’umanità della scelta,
inumani, si collocano spunti normativi ed applicazioni giurisprudenziali
ormai entrati a far parte per la loro alta incidenza statistica del vasto
patrimonio dell’esperienza comune non specialistica.
Il diritto inglese, come si è cercato di illustrare per tratti sommari, ormai
con alta frequenza va incontro a scelte, cui è generalmente deputato l’apparato
giurisdizionale, che, nel porre il valore della vita e della persona umana come
esclusivo punto di riferimento, sono costrette all’innaturale propensione verso
uno dei suoi poli alternativi, la prosecuzione o l’estinzione. Va accreditata al
Mental Capacity Act del 2005 una rimarchevole forza propulsiva manifestata
per il tramite di una indicazione di metodo cui ispirare la scelta, quello della
minuziosa ricerca del “best interest” della persona interessata ad essa. Non
una bacchetta magica, né una meccanica formula di soluzione dei problemi
etico-giuridici che vengono sottoposti al vaglio decisorio dell’autorità
pubblica, di quella giudiziaria in particolare. Ma pur sempre un criterio
generale di orientamento, da utilizzare sapientemente nel caso concreto: in
altri termini, uno strumento atto a prevenire abusi, arbitrii, irrazionalità.
E nel caso su cui ci si è qui soffermati la Court of Protection sembra aver
fatto buon governo della preziosa indicazione legislativa la quale, proprio
per l’insopprimibile esigenza di concretizzazione alla luce delle particolari
circostanze, mentre svolge un ruolo di orientamento dell’interprete, mal si
presta ad essere imprigionata in confini definitori di portata generale che
ne pregiudicherebbero le possibilità espansive richieste dalla non replicabile
singola esperienza individuale.
566
Diritto di visita dei familiari dei ricoverati in case di cura
567
M. Serio
568
Diritto di visita dei familiari dei ricoverati in case di cura
36
A matter of life and death, cit., p. 434: vi si sottolinea il bisogno di un «independent
oversight» e di una maggior chiarezza a proposito di questioni afferenti ai deficit cognitivi
ed ai principii giuridici ed etici alla cui stregua governarle.
569
Raffaele Torino
571
R. Torino
572
Déséquilibre significatif e clausole contrattuali ingiustificatamente gravose
principio di proporzionalità nei contratti, in Rass. dir. civ., vol. 2, 2001, p. 334; A. Barba,
Libertà e giustizia contrattuale, in Studi in onore di P. Rescigno, III, Milano, 2000, p. 536.
6
Per quanto concerne l’ordinamento spagnolo v. A. Jannarelli, Le relazioni contrattuali nella
catena alimentare: la legge spagnola n. 12 del 2013, in Riv. dir. agrario, vol. 4, I, 2015, p. 386.
7
Il Decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante Disposizioni urgenti per la concorrenza,
lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, è stato convertito con modificazioni dalla
Legge 24 marzo 2012 n. 27, nonché successivamente modificato dall’art. 2, comma 3,
lett. a), D.L. 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni, dalla L. 2 luglio 2015,
n. 91. Sull’art. 62 del D.L. 1/2012 mi sia consentito di rinviare a R. Torino, La nuova
disciplina dei contratti e delle relazioni commerciali di cessione dei prodotti agricoli e alimentari,
in Contr e impr., vol. 6, 2013, pp. 1425-1447, dove altre citazioni bibliografiche. V.,
successivamente, N. Lucifero, Le pratiche commerciali sleali nel sistema delle relazioni
contrattuali tra imprese nella filiera agroalimentare, Milano, 2017; L. Petrelli, L’art. 62 dopo
le ultime decisioni, in Aa. Vv., Studi in onore di Luigi Costato, vol. II, Diritto Alimentare.
Diritto dell’Unione europea, Napoli, 2014, p. 313; E. Rook Basile, La disciplina della
cessione dei prodotti agricoli e agroalimentari fra neo-formalismo contrattuale e abuso del
diritto, in Aa. Vv., Studi in onore di Luigi Costato, vol. II, cit., p. 352; M. Tamponi, Cessione
di prodotti agricoli e agroalimentari, forma e incertezze legislative, in Studi in onore di Luigi
Costato, cit., p. 375; L. Petrelli, L’art. 62 dopo le ultime decisioni, in Studi in onore di Luigi
Costato, cit., p. 375; R. Tommasini, La nuova disciplina dei contratti per i prodotti agricoli e
alimentari, in F. Albisinni, M. Giuffrida, R. Saija, A. Tommasini (a cura di), I contratti del
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R. Torino
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R. Torino
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Déséquilibre significatif e clausole contrattuali ingiustificatamente gravose
dei contraenti che, per loro natura e secondi gli usi, non abbiano alcuna
connessione con l’oggetto degli uni e delle altre13; d) il conseguimento di
indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura o dal contenuto
delle relazioni commerciali14.
In relazione alla seconda tipologia di condizioni sopra menzionate l’art.
62 del D.L. 1/2012 stabilisce che siano vietate a) la pratica di «imporre
direttamente o indirettamente condizioni di acquisto, di vendita o altre
condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose» e b) «ogni ulteriore
condotta commerciale sleale che risulti tale anche tenendo conto del
complesso delle relazioni commerciali che caratterizzano le condizioni di
approvvigionamento».
È evidente la differenza fra i due insiemi di pratiche commerciali sleali15.
Mentre il primo insieme risulta maggiormente definito e delimitato
nei connotati e richiederà una ordinaria attività interpretativa ai fini della
concreta applicazione del divieto, il secondo insieme di pratiche fonda la
valutazione di slealtà su connotati estremamente generici (una ingiustificata
gravità, ossia onerosità, della clausola per la parte che la subisce) ove non
tautologici (mi riferisco, in particolare, alla lett. e) del 2 comma dell’art. 62
del D.L. 1/2012, secondo cui è vietata ogni condotta commerciale sleale,
senza che venga fornito nessun elemento per determinare in cosa consista
13
Anche tale previsione appare essere ripresa integralmente dall’art. 2, comma 2, lett. d), della
Legge 287 del 1990, ponendo il divieto – per entrambe le parti – di richiedere l’esecuzione
di prestazioni che non presentino alcuna connessione con l’oggetto dei contratti e delle
relazioni commerciali riguardanti la cessione dei prodotti agricoli e alimentari. La formula
utilizzata appare lasciare, in realtà, spazio considerevole all’inserimento all’interno dei contratti
di cessione dei prodotti agricoli e alimentari di prestazioni non strettamente connesse alla
mera compravendita, poiché richiede che la connessione sia del tutto assente (“alcuna”) e
che sia da escludere in forza della natura della prestazione richiesta, valutata alla luce degli
usi commerciali (ove presenti e ove prendano in considerazione la specifica prestazione). Sarà
quindi sufficiente che la prestazione da valutare presenti una ragionevole connessione con la
cessione del prodotto agricolo o alimentare perché la sua richiesta possa ritenersi legittima.
14
Tale condotta commerciale sleale appare caratterizzata dal duplice requisito del difetto di
corrispettività della prestazione (dunque, unilaterale nel senso di non effettuata a fronte di
un corrispettivo, di qualsivoglia sorta) e dalla contestuale mancanza di giustificazione della
‘unilateralità’, da valutarsi alla luce della natura e del contenuto delle relazioni commerciali.
15
Tale differenza non si rinviene nella Direttiva (UE) 2019/633 che, contrariamente all’art.
62 del D.L. 1/2012, non prevede clausole generali di slealtà delle pratiche commerciali,
ma due distinte ben definite liste di pratiche commerciali che gli Stati membri devono
provvedere a vietare, armonizzando i rispettivi ordinamenti: una prima lista, c.d. Blacklist,
di pratiche commerciali sempre vietate (art. 3, par. 1) e una seconda lista, c.d. Greylist, di
pratiche commerciali sleali vietate solo qualora non siano state precedentemente concordate
fra le parti in termini chiari ed univoci nell’accordo di fornitura.
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affermato che «les clauses sont appréciées dans leur contexte, au regard ed
l’économie du contrat et in concreto»40.
Al riguardo, la Cour de cassation ha precisato che incombe sulla parte
a beneficio della quale sono stabilite le obligations déséquilibrées l’onere
della prova che altre clausole del contratto permettono di riequilibrare le
obbligazioni fra le parti41.
Passando ora all’esame della tipologia di clausole che sono state
ritenute generatrici di un déséquilibre significatif, i giudici francesi appaiono
sanzionare quattro categorie principali di clausole:
a) le clausole che riconoscono una prerogativa a una sola delle parti o
che pongono un obbligo a carico di una sola delle parti anche se la
prerogativa o l’obbligo di specie avrebbero potuto essere reciproche;
b) le clausole che senza un’adeguata contropartita riconoscono una
prerogativa esorbitante in favore di una delle parti o che pongono
un’obbligazione esorbitante a carico di una fra esse;
c) le clausole che derogano in maniera ripetuta alle regole e norme
suppletive in favore di una sola delle parti;
d) le clausole di riduzione dei prezzi.
Per altro verso, in alcuni limitati casi, anche clausole non rientranti nelle
quattro categorie sopra menzionate sono state ritenute suscettibili di gene-
rare un déséquilibre significatif, a testimonianza del carattere particolarmente
“aperto” della disposizione normativa. Così, ad esempio, la Corte di appello
di Versailles ha ritenuto in grado di configurare un’ipotesi di déséquilibre
significatif una clausola che garantiva un certo fatturato alla controparte due
anni dopo lo scioglimento del contratto42.
Prima di procedere allo specifico esame della giurisprudenza che ha
40
CA Paris, 19 avr. 2017, n. 15-24221, in AJ Contrat, 2017, p. 282, obs. S. Regnault.
41
V. Cass. Com., 3 mars 2015, n. 13-27.525, in JCP E, 2015, 17-18, p. 36, con nota di
S. Le Gac-Pech, Sanctions et démeseure; Cass. Com., 4 oct. 2016, n. 14-28.013, in cui
i giudici francesi – in difetto di allegazione di prove – non hanno ritenuto di esaminare
l’argomento del pourvoi in base al quale il rischio per il fornitore derivante dalla clausola
in favore del distributore di rifiutare la consegna e non corrispondere il prezzo fosse stato
in realtà tenuto in debito conto da parte del fornitore nella determinazione dei prezzi
dei prodotti. Anche CA Paris, 19 avr. 2017, n. 15-24221 ha affermato «La preuve d’un
rééquilibrage du contrat par une autre clause incombe à l’entreprise mise en cause, sans que
l’on puisse considérer qu’il y a alors inversion de la charge de la preuve». Per parte sua la
CEPC ha ritenuto che in presenza di un’asimmetria creata da alcune clausole contrattuali,
gravi sulla parte che beneficia di tali clausole la prova del riequilibrio realizzato da altre
clausole del contratto (CEPC, 22 janv. 2015, avis n. 15-01).
42
CA Versailles, 17 mai 2016, n. 14-06579.
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comme au concessionaire le même droit de mettre fin au contrat et dans les mêmes
conditions, notamment sans justification d’une faute, et quel es intérêts de l’un comme
de l’autre peuvent varier en fonction de l’évolution de leurs situations et de la conjoncture
économique; qu’en cet état, la cour d’appel, qui n’avait pas à effectuer la recherche
inopérante invoquée à la première branche, a pu retenir que la clause ne créait pas un
déséquilibre significatif entre les parties; que le moyen n’est pas fondé»).
47
Cass. Com., 12 avr. 2016, n. 13-27-721, in Contrats conc. consom., 6 juin 2016, comm.
142, con nota di N. Mathey. Il rigetto del pourvoi è avvenuto «attendu que l’arrêt relève
que la clause de résiliation anticipée confère au concédant comme au concessionaire le
même droit de mettre fin au contrat et dans les mêmes conditions, notamment sans
justification d’une faute, et quel es intérêts de l’un comme de l’autre peuvent varier en
fonction de l’évolution de leurs situations et de la conjoncture économique».
48
CA Paris, 1 oct. 2014, n. 13-16336.
49
Cass. Com., 4 oct. 2016, n. 14-28.013. Per un commento a tale sentenza, non pubblicata
sul Bulletin, S. Le Gac-Pec, Que reste-t-il du principe de liberté contractuelle en droit de la
distribution?, in JCP E, 4, 26 janvier 2017, 36, la quale lamenta che la Suprema Corte
francese, con un atteggiamento “tradizionale” e in sostanza, «ne se livre pas davantage à un
contrôle de proportionnalité qui aurait permis de décider si l’éradication de telles clauses ne
porte pas une atteinte disproportionnée au principe de la liberté contractuelle». V. anche N.
Mathey, note, in Contrats conc. consom., 12 déc. 2016, comm. 253.
50
Le clausole contrattuali in questione erano di tre tipi: a) clausole che consentivano al
distributore di rifiutare la consegna dei prodotti in ogni circostanza o di annullare un ordine
senza oneri per il distributore medesimo, a fronte di clausole che prevedevano penalità per
il fornitore in caso di ritardi nella consegna superiori ai 60 minuti o finanche ai 30 minuti
per i prodotti en flux tendu (ossia riforniti just-in-time) o per prodotti freschi; b) clausole
che permettevano il rifiuto della consegna dei prodotti la cui data limite di consumo (non
consumare oltre) ovvero la data limite di consumazione ottimale (consumare preferibilmente
entro il) fossero identiche a quelle di una consegna precedente; c) clausole che prevedevano
termini di pagamento differenti in relazione al pagamento dei servizi prestati dal distributore
a titolo di cooperazione commerciale e rispetto al pagamento dei prodotti forniti.
587
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588
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53
La CEPC in un avis del 2010 (CEPC, 29 sept. 2010, avis n° 10-13) ha osservato
che anche la clausola che consente al distributore di modificare unilateralmente
l’organizzazione logistica può dare luogo a un déséquilibre significatif, poiché, sebbene tale
clausola possa discendere dalla volontà delle parti di far evolvere gli schemi organizzativi
al fine di razionalizzarli, occorre che tale evoluzione rispetti alcune condizioni: il
distributore deve prevedere un periodo di tempo sufficiente alla propria controparte per
consentire di adattare la sua organizzazione alla mutata situazione, i costi e i guadagni
sopportati da ciascuna delle parti devono essere stimati in maniera più precisa possibile,
così come la loro ripartizione, l’eventuale rinegoziazione delle condizioni commerciali
che discenda dalla riorganizzazione logistica non deve essere suscettibile di creare un
déséquilibre significatif rispetto alla situazione precedente.
54
Cass. Com., 29 sept. 2015, n. 13-25.043. Per un commento v. S. Le Gac-Pech,
Nouvelles précisions sur le contrôle du déséquilibre significatif des contrats commerciaux, in
JCP E, 3, 21 janv. 2016, 46.
589
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a non esprimersi sulla giusta misura del prezzo (ribadendo che la Corte
d’appello non fosse tenuta a ricercare ed indicare quale fosse le «juste prix»),
ma ha comunque affermato che ai giudici compete – sia pure nell’ambito
delle pratiques restrictives de concurrence – un più generale controllo
dell’adeguatezza fra il prezzo e la controprestazione del prezzo67.
Nel settembre del 2018 il tema è tornato all’esame del Conseil
constitutionnel. Infatti, la Cour de cassation ha accettato di presentare una
nuova QPC (Question Prioritaire de Constitutionnalité) relativa all’art. L. 442-
6, I, 2°68, sul presupposto di un intervenuto cambiamento delle circostanze
rispetto alla sopra menzionata decisione del Conseil constitutionnel del 2011.
Il Conseil constitutionnel ha ammesso la nuova QPC, rinvenendo il
(necessario) «changement des circumstances justifiant le réexamen des
dispositions contestées» proprio nella sentenza della Cour de cassation del
25 gennaio 2017 (con cui, come visto, la Cassazione francese ha introdotto
il controllo giudiziario dei prezzi in relazione all’accertamento di un
déséquilibre significatif ). Al riguardo, va rammentato che la decisione del
Conseil constitutionnel del 2011 era sostanzialmente fondata sul richiamo alla
giurisprudenza sviluppatasi in applicazione dell’art. L. 132-1 (oggi L. 212-1)
del Code de la consommation, che chiaramente non consente di dichiarare
il carattere abusivo di una clausola in ragione di una valutazione di (in)
adeguatezza del prezzo. Sicché, il nuovo QPC è stato fondato (ed ammesso)
sulla considerazione che chi avesse fatto affidamento sui termini della
decisione del Conseil constitutionnel del 2011 avrebbe potuto legittimamente
ritenere che il prezzo non potesse essere soggetto al controllo giudiziario ai
sensi dell’art. L. 442-6,I, 2° del Code de commerce, cosa che invece la Cour
67
In senso contrario, nel novembre 2016 il Tribunal de commerce di Parigi (21 novembre
2016, Ministre c/ société ..., RG 2015027442) ha ritenuto che «le simple fait de renégocier
ou tenter de renégocier les conditions économiques en cours de contrat ne saurait, en lui-
même, constituer une pratique sanctionnable sans que le demandeur ne démontre que
l’équilibre économique du contrat a été rompu», sottolineando che nel caso di specie «il
ne s’agit même pas pour la société […] d’imposer des clauses relatives à la détermination
du prix mais qu’il s’agit du prix lui-même; qu’en ce sens, ce n’est donc pas l’économie du
contrat au sens juridique du terme qui est affectée dès lors que ce n’est pas l’équilibre des
droits et obligations de la société […] et de ses fournisseurs qui est en cause; qu’il s’agit
au contraire de l’économie du contrat au sens économique à savoir du caractère équilibré
du prix; que cet aspect du contrat, à savoir le prix, n’entre pas dans le champs de l’article
L. 442-6 I 2 du code de commerce». Su tale decisione è stato proposto appello da parte
del Ministro competente, ma non è stato possibile reperire notizie sulla sorte dell’appello.
68
Cass. Com., 27 sept. 2018, n. 18-40.028. Sulla QPC v. M. Disant, Le changement
jurisprudentiel de circonstances. La jurisprudence, source de QPC?, in JCP, éd. G, 2018, 46,
n. 2025.
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600
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di fornitura83.
In particolare, sul presupposto dell’esistenza di un significativo squilibrio
di potere negoziale e della conseguente avvenuta imposizione della clausola in
questione in capo ai fornitori di prodotti freschi di panificazione84, l’AGCM
ha ritenuto che la stessa configuri un ingiustificato trasferimento del rischio
imprenditoriale dall’acquirente (l’operatore della grande distribuzione
organizzata) al fornitore dei prodotti di panificazione, ad esclusivo beneficio
del primo e con significativi danni economici per il secondo. In altre
parole, l’AGCM ha ritenuto che il rischio dell’invenduto finale (ossia
della mancata vendita ai consumatori) sia un rischio che deve di necessità
gravare sull’operatore della grande distribuzione organizzata (valutando
una diversa allocazione del rischio come non suscettibile di essere il frutto
di una negoziazione fra le parti, bensì di una imposizione inevitabilmente
subita dalla parte dotata di minore potete contrattuale e che la stessa non
avrebbe accettato ove non si fosse trovata in una situazione di significativo
squilibrio di potere negoziale) e che la clausola del reso del pane trasferisca
illegittimamente/slealmente tale rischio dall’acquirente-distributore al
produttore-fornitore. Al riguardo, nei diversi provvedimenti l’AGCM ha
sostenuto tale propria valutazione sottolineando la gravosità della pratica per
il produttore-fornitore (il quale sopporta lui il rischio dell’invenduto, oltre ai
costi di ritiro e smaltimento secondo legge dello stesso) e richiamandosi al
documento Rapporti verticali nella filiera alimentare: Principi di buone prassi
del 29 novembre 2011 elaborato a livello europeo da alcune associazioni
degli operatori della filiera agro-alimentare riunite nel Forum di alto livello
(guidato dalla Commissione europea) per un migliore funzionamento della
filiera alimentare85, fra cui viene espressamente sancito il principio che
obbliga ciascuna parte della filiera ad assumersi i propri rischi imprenditoriali
e tra gli esempi di pratiche sleali vietate viene espressamente indicato «il
trasferimento di un rischio ingiustificato e sproporzionato all’altra parte».
83
Si tratta dei provvedimenti deliberati nell’adunanza del 27 giugno 2019 n. 27821
(AL15A) riguardante la catena distributiva ad insegna Coop, n. 27822 (AL15B) riguardante
la catena distributiva ad insegna Conad, n. 27823 (AL15C) riguardante la catena
distributiva ad insegna Esselunga, n. 27824 (AL15D) riguardante la catena distributiva ad
insegna Eurospin, n. 27825 (AL15E) riguardante la catena distributiva ad insegna Auchan
e n. 27826 (AL15F) riguardante la catena distributiva ad insegna Carrefour.
84
Al riguardo, va rammentato che il Decreto Interministeriale di Attuazione ha integrato
l’art. 62 del D. L. 1/2012 sotto il profilo dei presupposti per la sua applicazione prevedendo
che lo stesso debba trovare applicazione alle «relazioni economiche tra gli operatori della
filiera alimentare connotate da un significativo squilibrio nelle rispettive posizioni di forza
commerciale».
85
Il documento in questione è un allegato del Decreto Interministeriale di Attuazione.
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Al punto 68 del provvedimento n. 25797 del 22 dicembre 2015, AL14, l’AGCM
afferma che «ad ulteriore rafforzamento dell’accertamento di una situazione di forte
squilibrio di potere tra le parti, si rileva che, da un punto di vista “soggettivo”, ossia con
riguardo alla specifica posizione di Celox nei confronti di Coop, le evidenze istruttorie
portano a ritenere che il fornitore di per non avesse, perlomeno nel breve periodo, alcuna
possibilità di sostituire il suo unico cliente della GDO, con un nuovo partner commerciale,
essendo i costi legati al cambiamento estremamente gravosi, se non del tutto insostenibili».
Sulla necessità della circostanza della impossibilità di reperire sul mercato alternative
sodisfacenti per la configurabilità della fattispecie dell’abuso di dipendenza economica v.,
in giurisprudenza, Trib. Milano, sent. 17 maggio 2017; Trib. Treviso, sent. n. 2602/2015;
Trib. Treviso, sent. 14 agosto 2019.
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Come sopra visto (par. 4.2.4), i giudici d’Oltralpe, sia della Cour de
cassation (con la sentenza del gennaio 2017 nell’affaire Galec), sia del Conseil
constitutionnel (allorché si sono pronunciati per la seconda volta sulla
costituzionalità dell’art. L. 442-6, I, 2°, nel novembre del 2018), appaiono
oramai ammettere che il controllo giudiziario sulle clausole contrattuali
generanti un déséquilibre significatif possa spingersi sino al punto di sindacare
l’adeguatezza fra il prezzo fissato in contratto e la controprestazione del prezzo.
Sotto questo profilo l’ordinamento francese appare discostarsi
significativamente dall’ordinamento italiano.
La giurisprudenza italiana nei casi in cui il problema dell’equilibrio
economico nel contratto non strutturalmente squilibrato si è posto, appare
rimanere ferma nel ritenere che la mera divergenza fra il prezzo di mercato
e quello pattuito non inficerebbe la causa, qualora si tratti di uno scambio
effettivo e non si ricada nell’ipotesi del prezzo simbolico89. Nei rari precedenti
nei quali si è attribuito rilevanza allo squilibrio originario delle prestazioni,
i giudici italiani hanno piuttosto preso in esame la impossibilità giuridica
di una delle prestazioni oggetto del preteso scambio, come quando una
delle parti si obblighi ad una prestazione senza che, in cambio, le venga
attribuito nulla di più di quanto già le spetti per legge90.
89
Così Cass. Civ., sez. II, 28 agosto 1993, n. 9144; Cass. Civ., sez. II, 19 aprile 2013, n. 9640.
90
V., in tal senso, Cass. Civ., sez. II, 27 luglio 1987, n. 6492, secondo cui «l’assoluta mancanza
della controprestazione determina, quindi, indubbiamente la nullità del contratto bilaterale,
607
R. Torino
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609
R. Torino
96
T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 16 luglio 2018, n. 418, il quale richiama Cass. Civ.,
4 novembre 2015, n. 22567.
97
Foti, ult. op. cit.
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Giulio Napolitano
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Le leggi sul procedimento amministrativo
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G. Napolitano
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Le leggi sul procedimento amministrativo
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Le leggi sul procedimento amministrativo
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G. Napolitano
Tra i paesi che hanno una legge generale sul procedimento, a seguito
dell’approvazione della l. n. 241/1990 e dunque da circa un trentennio, vi
è anche l’Italia.
Al momento della sua adozione, non vi erano molti precedenti da cui
trarre ispirazione: tra questi, i più rilevanti erano senza dubbio quello sta-
tunitense e quello tedesco. L’impianto statunitense fu considerato troppo
lontano rispetto al contesto giuridico-istituzionale di un paese europeo. Non
fu quindi recepita né l’idea di una procedura quasi giurisdizionale di aggiu-
dicazione per i procedimenti individuali; né il modello della rappresentanza
degli interessi attraverso il riconoscimento del ruolo della partecipazione nei
procedimenti generali. Maggiore influenza ebbe senza dubbio il precedente
tedesco, costantemente tenuto in considerazione dalla Commissione Nigro
incaricata di predisporre una bozza del disegno di legge.
L’impianto normativo che ne risultò, tuttavia, fu molto diverso. La
Commissione, infatti, rinunciò sin da subito all’idea di una disciplina
dettagliata che includesse anche la definizione del regime dell’atto
amministrativo, come avvenuto invece in Germania. Né poteva trovare
ingresso la figura del contratto di diritto pubblico, consacrata invece
dal legislatore tedesco, trattandosi di concetto sostanzialmente estraneo
alla cultura giuridica italiana. Cadde invece nel corso del lungo processo
politico-legislativo innanzi tutto l’opzione favorevole al riconoscimento
del principio di libertà delle forme, volto a favorire lo sviluppo di una più
snella attività amministrativa informale, che costituiva uno dei pilastri della
disciplina tedesca. Fu abbandonata anche l’idea di un’«istruttoria pubblica»
per i progetti aventi un rilevante impatto sull’economia e sull’assetto del
territorio, che traeva ispirazione dai casi di inchiesta pubblica previsti dalla
legislazione speciale nell’ordinamento francese e in quello inglese.
La legge italiana venne così inizialmente presentata come una disciplina
che prevalentemente si limitava a consolidare e generalizzare gli orientamenti
della giurisprudenza amministrativa. Non a caso si trattava di un testo
normativo relativamente semplice e breve, contenente norme di principio e
ad applicazione residuale, in mancanza di disposizioni speciali (relative cioè
618
Le leggi sul procedimento amministrativo
619
G. Napolitano
620
Le leggi sul procedimento amministrativo
Nota bibliografica
621
G. Napolitano
622
Ricardo Maurício Freire Soares - Camila Miranda Sousa Race
623
R.M. Freire Soares - C.M. Sousa Race
624
The human dignity as an axiological framework of the Brazilian constitutional system
is no easy task, given the pragmatic and utilitarian mentality of this juridical
tradition.
Moreover, rationalism, formalism and abstract methodology predominate
in Continental Europe, as can be seen in the differences between the rule
of law, the due process of law and the rechtsstaat. Although they have points
of convergence: the legality, the normative hierarchy, the publicity of the
rules, the non-retroactivity of the restricting individual rights rules, the legal
security, the liability and arbitrariness of public authorities.
Later, the influence of the German doctrine, from the late nineteenth
century until the twentieth century, was confirmed in the configuration
of constitutional dogmatic. Can be cited names of jurists such as Gerber,
Laband, Jellinek, and Kelsen. All of them could be situated in the field
of positivist formalism, except for the sociological approach conferred by
Jellinek on his dualist theory of the state.
The German Republic of Weimar between 1919 and 1932 was the
microcosm of European constitutional culture, which soon was transported
to the Western world. The diverse tendencies that emerged in this historical
moment of Germanic constitutionalism were characterized by the fight
against juridical positivism, under the influence of anti-formalism expressed
in the vitalism philosophy, in sociology and in the attention that is now
devoted to political science. In this period, the Theory of Constitution
will appear in 1928 with the works of Schmitt, Smend and his disciples,
making clear the need to approach cultural conditioning and the axiological
foundation of the Constitution Theory, in order to demonstrate the
intimate connection between culture, values and constitutional law.
According to Pablo Verdu3, the constitutional meditation is aware that
all cultural speculation about the Constitution consists of an ideological
inspiration, founded on values that operate in social and political reality.
Such axiological guidelines illuminate and base human rights by delimiting
the public powers to a normative organization that is based on a democratic
socio-political structure.
Thus, the substantivity of the Theory of the Constitution presents itself
as an innovation in the face of past and present positivist positions, since
all the Constitution is based on values that are expressed in constitutional
principles, such as freedom, equality, fraternity and, above all, the human
dignity, conferring an axiological and teleological dimension to postmodern
constitutionalism.
With neo-constitutionalism, there is also the process of normalization
3
P.L. Verdú, Teoria de la Constitución como Ciencia Cultural, 2a ed., Madrid, 1998, p. 21.
625
R.M. Freire Soares - C.M. Sousa Race
626
The human dignity as an axiological framework of the Brazilian constitutional system
627
R.M. Freire Soares - C.M. Sousa Race
as the need to overcome the positivist idea of a separation between the Law
and the Moral.
Certainly, the neoconstitutionalist model does not seem to be in line
with the positivist perspective. Which is so old-fashioned, because it has
arisen in the context of the liberal-individualist state, and inadequate, for
not incorporate the standards of morality into the study of Law.
The model of juridical science that requires neo-constitutionalism
also contrasts with that advocated by juridical positivism. The notions
of distance, value neutrality and descriptive function of legal science are
rejected, to incorporate the ideas of commitment, axiological intervention,
practical priority and political character of the scientific knowledge of Law.
The common denominator of the so-called neoconstitutionalist theories
seems to be the need to overcome a model that establishes that juridical
science should be exclusively concerned with describing law, through an
activity that is neutral to social values and blind to the problem of the
effectiveness of the juridical system.
From the moment that some standards of morality are incorporated
into the Constitutions through ethical-juridical principles, the task of
determining what the Law says can not be conceived as a wholly scientific
or objective activity, since opinions and moral considerations make part of
it, which gives a true political nature to the jurist activity.
In this sense, neoconstitutionalism, in addition to showing that some
descriptions may have a political significance, is presenting the virtue to evi-
dence that not all value judgments should be placed on the same plane and that
not all value judgments are returned to the uncontrollable scope of subjectivity.
Finally, the neoconstitutionalist movement, with the internalization of
values embodied by the legal principles, is favorable to the idea of a moral
acceptance of the Law, resulting in the adoption of internal and external
perspectives of understanding the legal phenomenon. The legitimacy of the
legal system goes through the search for a balance between the points of view
of internal criticism, whose parameter is the Constitution, and of external
criticism, whose parameter is the axiological substrate of social morality.
Thus, neo-constitutionalism, as a manifestation of legal post-positivism,
encompasses a broad set of changes that take place in the Democratic State
of Law and in Constitutional Law, approximating the Constitutions to the
ethical substrate of social values and opening space for the recognition of the
normative force of Constitution and of a new constitutional interpretation
based on principles.
628
The human dignity as an axiological framework of the Brazilian constitutional system
As can be deduce from the previous topic, one of the most remarkable
features of neoconstitutionalism, an expression of juridical post-positivism in
Constitutional Law, is the frequent use of legal principles in the background
of hermeneutical and decision-making processes, as normative species that
allow the reconciliation of justice (legitimacy), typical of jusnaturalism, with
the requirements of security (legality), proper to juridical positivism.
The valorization of these legal principles has been follow, pari passu, by
the progressive constitutionalization of these ethical canons, promoting the
transition from the formal model of Constitution, which reduces it to a
merely catalog of competences and procedures, to the substantial paradigm
of Magna Carta, which is elevated to the level of repositories of the founding
values of the State and of civil society as a whole.
Maria Moraes7 highlight that these juridical principles, drawn from
culture, express social consciousness, the ethical ideal and, therefore, the
notion of justice present in Society appearing, thus, as values through which
that community organized itself. It is in this sense that one must understand
the real and deeper meaning axiological of the so-called principiological
constitutionalization, through which the Constitution begins to represent
the set of values in which builds the fundamental axiological pact of
collective coexistence.
With the valorization of constitutional principiology by the
neoconstitutionalism, the Constitutional Charter becomes a living and
concrete expression of the world of facts and values, acquiring an
undeniable axiological and teleological fabric. Thus, the principle of each
Fundamental Law becomes the convergence point of validity (normative
dimension), of effectiveness (factual dimension) and, above all, of the
legitimacy (value dimension) of a given legal system, opening space for the
constitutionalization of the just rights.
The various neoconstitutionalist conceptions seems to converge to
the understanding that law is an axiological and teleological construction.
Which imposes the understanding and application of juridical principles,
especially those with a constitutional nature, in order to enhance the
realization of justice.
Certainly, among the various ethical and juridical principles that
7
M.C.B. Moraes, O conceito de dignidade humana: substrato axiológico e conteúdo
normativo, in I.W. Sarlet, Constituição, Direitos Fundamentais e Direito Privado, Porto
Alegre, 2003, p. 107.
629
R.M. Freire Soares - C.M. Sousa Race
630
The human dignity as an axiological framework of the Brazilian constitutional system
from the set of jusfundamental principles and of the fundamental rights that
translate them normatively.
Therefore, it is appropriate to investigate the elements that define this
process of the just law positivation, based on the axiological and teleological
support of the ethical-juridical of the human dignity principle, since the
process of internationalization of human rights until its express conversion
into constitutional normativity.
631
R.M. Freire Soares - C.M. Sousa Race
632
The human dignity as an axiological framework of the Brazilian constitutional system
4. The legal recognition of the human dignity principle: from the internationa-
lization of human rights to the phenomenon of the constitutional positivation
Although the respect for the human dignity is an old conception from
remote cultural matrices, since the Greco-Latin and Christian antiquity to
the anthropocentric renaissance and illuminism of the modern age.
In the philosophical thought of classical antiquity, the human dignity
was related to the social position occupied by the individual and his degree
of recognition by the other members of the community. On the other hand,
already in the Stoic thought, dignity was considered as the quality that, for
being inherent to the human being, distinguished it from other creatures. In
the sense that all human beings were endowed with the same dignity.
During the medieval period, according to the Christian religion, the
human being was created in the image and likeness of the divinity, a premise
from which Christianity extracted the consequence that the human being
is endowed with an inherent value and can not be transformed into mere
633
R.M. Freire Soares - C.M. Sousa Race
634
The human dignity as an axiological framework of the Brazilian constitutional system
and rights (art.1). Beyond that the Declaration proclaim the character of
fundamental equality of the human rights by providing that everyone can
take advantage of all the rights and freedoms proclaimed in this document,
without distinction of any kind, especially of race, color, sex, language,
religion, public opinion or any other opinion, whether of national or social
origin, fortune, birth or other status (Article 2).
How sustain Dimitri Dimoulis e Leonardo Martins14, fundamental
rights in the international sphere are called human rights, indicating the set
of rights and faculties that guarantee the human dignity and benefit people
with institutionalized international guarantees. This internationalization
goes beyond the binary relationship between the individual and the state,
which is the traditional conception of fundamental rights, bringing a new
conception of the protection of the human dignity: extension of rights
holders; possibility to make the State responsible externally; politicization
of matter because of the need to make continuous commitments between
States and international actors.
From the internationalization of the human dignity and related human
rights, was followed the phenomenon of the constitutionalization of
these human rights, which were denominated, after the positivation, as
fundamental rights, increasing the possibility to guarantee their applicability
in the relations developed in the framework of domestic legal systems.
In addressing the externalization of the human dignity as a principle of the
western constitutionalism J. J. Gomes Canotilho15 observes that the human
being started to emerge as the foundation of the Republic and a greater
limit to the exercise of the inherent powers of political representation. Given
the historical experiences of annihilation of the human being (inquisition,
slavery, Nazism, Stalinism, polpotism, ethnic genocide), the human dignity
means, without transcendence or metaphysics, the recognition of homo
noumenon, which means, the individual as limit and foundation to the
political domain of the Republic.
There are many examples of this process of constitutional positivation
of the human dignity. Italian Republic Constitution, dated of 27th of
December, 1947, states that «all citizens have the same social dignity»
(Article 3). The Germany Federal Republic Constitution, dated from 1949,
solemnly contemplates, in its art. 1, that «the dignity of man is inviolable.
Respect and protect it is the duty of all the Powers of the State». Similarly,
14
D. Dimoulis, L. Martins, Teoria Geral dos Direitos Fundamentais, São Paulo: Revista
dos Tribunais, 2007, p. 40.
15
J.J.G. Canotilho, Direito Constitucional e Teoria da Constituição, 3 ed., Coimbra,
1998, p. 221.
635
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References
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641
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642
Marina Timoteo
1. Introduzione
1
Questo rinnovamento è parte di un processo più ampio che investe tutta la lingua
cinese. Per un resoconto completo dell’introduzione della terminologia moderna nella
lingua cinese v. F. Masini, The Formation of Modern Chinese Lexicon and Its Evolution
Towards a National Language: The Period from 1840 to 1898, English translation, (1993)
Journal of Chinese Linguistics monograph series 6.
643
M. Timoteo
644
Il diritto nelle parole: aspetti linguistici del diritto cinese contemporaneo
645
M. Timoteo
6
Sul punto v. H. Pazzaglini, La recezione del diritto civile nella Cina del nostro secolo, in
Mondo cinese, 1991, pp. 53-54.
7
Ancora oggi il tema della traduzione dei documenti giuridici da e verso il cinese è
al centro dell’attenzione degli studiosi per le numerossisime insidie che questo tipo
di traduzione continua a comportare. A queste insidie non si sottraggono neppure i
traduttori ufficiali dei consessi istituzionali più prestigiosi, in cui il cinese è assurto a
lingua ufficiale, ad esempio l’ONU, come illustrano chiaramente Cao e Zhao, Lianhe
guowenjian fanyi (Tradurre alle Nazioni Unite), Beijing, 2006.
8
Pubblicato nel 1836 e divenuto uno dei manuali di diritto internazionale più popolari del
XIX secolo, oggetto di traduzione in francese, spagnolo, italiano, oltre che in lingua cinese.
9
All’epoca “diritto internazionale” era stato reso con il termine wangguogongfa che, più
tardi verrà sostituito con il termine di derivazione giapponese ed ancora oggi utilizzato
di guojifa, 国际法.
646
Il diritto nelle parole: aspetti linguistici del diritto cinese contemporaneo
647
M. Timoteo
648
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M. Timoteo
650
Il diritto nelle parole: aspetti linguistici del diritto cinese contemporaneo
651
M. Timoteo
viene utilizzata, per la prima volta, dal legislatore nella nuova Minfa zonzge,
ossia il libro primo del redigendo codice civile cinese28. Questo termine,
andando oltre la nozione di proprietà come diritto su un bene corporale,
nozione classica del diritto moderno euroromanista, richiama l’idea di un
diritto che si riferisce agli elementi attivi del patrimonio. È interessante
osservare, a questo proposito, che 财产权利caichan quanli è anche il termine
utilizzato a Hong Kong per tradurre in cinese la nozione di property del
mondo di common law29, il quale notoriamente non è così monolitica così
come quella tipica della tradizione moderna di civil law. Il processo di
frammentazione e dematerializzazione che ha investito il mondo dei beni
nel diritto e scosso l’architettura concettuale del civil law, spostando l’asse
del rapporto proprietà-beni verso questi ultimi, ha dunque trovato una sua
espressione nel diritto cinese, in cui convivono concetti e termini di diversa
provenienza culturale.
L’incrocio di mondi terminologici che derivano da culture giuridiche
diverse e esprimono categorie che demarcano diversamente i fatti relativi ai
vari ambiti del diritto30, è, tuttavia, operazione assai complessa che richiede
un grande lavoro sulle tassonomie, sulla ridefinizione delle categorie e dei
concetti del diritto privato, i quali nell’ultimo secolo hanno attraversato
passaggi complessi e conosciuto molte stratificazioni dovute all’evoluzione
storica del diritto cinese. Questo lavoro è tanto più urgente in vista di quello
che oggi è per il governo cinese un obiettivo epocale, ossia l’elaborazione di
un codice civile, il primo della storia delle Repubblica popolare31.
La Parte generale del diritto civile, Zonghua renmin gongheguo minfa zonzge 中华人
28
652
Il diritto nelle parole: aspetti linguistici del diritto cinese contemporaneo
653
M. Timoteo
654
Il diritto nelle parole: aspetti linguistici del diritto cinese contemporaneo
deve sempre essere tenuto presente quando si lavora con il diritto cinese e
la sua lingua.
Il cinese è una lingua che ha in sé i germi dell’azione, una lingua, come
ci ricorda Marcel Granet, che è fatta da «un sistema di simboli più efficaci a
orientare l’azione che adatti a formulare concetti, teorie o dogmi»37. In ciò
sta una fondamentale differenza con le modalità occidentali di espressione
del pensiero. Di questo è necessario tenere conto quando ci si pone in
comunicazione con il diritto cinese.
37
M. Granet, Il pensiero cinese, 4a ed., Milano, 2004, p. 23.
655
Federico Roberto Antonelli
L’extraterritorialità e le concessioni:
contributo alla modernizzazione dei sistemi giuridici locali
e profili di comparazione giuridica
1. Introduzione
657
F.R. Antonelli
658
L’extraterritorialità e le concessioni
659
F.R. Antonelli
660
L’extraterritorialità e le concessioni
2. L’extraterritorialità
661
F.R. Antonelli
Treaties (1902).
662
L’extraterritorialità e le concessioni
663
F.R. Antonelli
664
L’extraterritorialità e le concessioni
sottoposti alla giurisdizione cinese ma, dalla caduta dell’Impero (1911) agli
anni ’30, sempre più attratti dalla giurisdizione delle concessioni e giudicati
quindi da stranieri e secondo procedure straniere.
3. Le concessioni
665
F.R. Antonelli
666
L’extraterritorialità e le concessioni
667
F.R. Antonelli
tuttavia non venne accettata, sia per la debolezza politica del governo cinese
sia perché le poche riforme giuridiche adottate a partire dall’inizio del XX
secolo erano perlopiù rimaste solo sulla carta (Antonelli, 2020: 45-62). Si
concordò tuttavia, a partire dalla successiva Conferenza di Washington per
la limitazione degli armamenti (1921), di prevedere l’istituzione di una
‘Commissione sulla extraterritorialità in Cina’ con il compito di verificare
lo stato del sistema giuridico cinese e formulare proposte utili per giungere
all’abrogazione del sistema di extraterritorialità.
La Commissione sull’extraterritorialità lavorò fino al 1926 e pubblicò un
rapporto finale sia sulla «presente pratica della giurisdizione extraterritoriale in
Cina» sia sulle «leggi, il sistema giudiziario ed i metodi dell’amministrazione
giudiziaria in Cina», con il fine di «riferire […] le loro constatazioni […]
e le loro raccomandazioni […]» (Musso, 1926: 460)8. Il rapporto consta
di 166 pagine diviso in 4 capitoli (Extraterritorialità in Cina, Leggi e
sistema giudiziario e carcerario cinese, Amministrazione della giustizia in
Cina e Raccomandazioni) e fu redatto dai dodici paesi rappresentati nella
Commissione, presieduta dallo statunitense Silas H. Strawn, eminente
avvocato di Chicago e personale amico del presidente Coolidge, e della
quale facevano parte anche un rappresentante del governo cinese e di
quello italiano (il diplomatico Girolamo de Rossi). Sempre nell’ambito dei
lavori della Commissione furono pubblicati numerosi manuali e traduzioni
riguardanti il sistema giuridico cinese.
Nella prima fase, l’istituzione di concessioni si è rivelata soprattutto una
preziosa fonte di diffusione della scienza giuridica occidentale, prima di
tutto per quanto concerne il diritto internazionale e commerciale, grazie alle
grandi società di capitali inglesi ed americane che cominciavano ad operarvi.
Gli stessi trattati commerciali e doganali che regolavano i commerci tra i paesi
stranieri e la Cina svolsero un ruolo non secondario nel far familiarizzare i
cinesi con principi estranei al diritto cinese tradizionale. Si vedano, ad
esempio, i ‘Regolamenti commerciali annessi al Trattato del 26 ottobre
1866 tra l’Italia e la China’ (Musso, 1926: 1371-1376) che prevedevano
dettagliate specificazioni in tema di diritto doganale. Più in generale, in
un primo periodo, le concessioni e i porti aperti rappresentarono il luogo
di diffusione di pubblicazioni e traduzioni di testi giuridici, che un certo
numero di cinesi poterono così cominciare a conoscere. In questo senso
molto importante fu l’opera delle missioni cristiane in Cina che, come nel
caso dei Taiping, avevano già avuto modo di influenzare la cultura politica
8
Il Report è disponibile alla pagina <https://babel.hathitrust.org/cgi/
pt?id=uc1.$b47432&view=1up&seq=5 > (16/03/2020).
668
L’extraterritorialità e le concessioni
e giuridica cinese. Ma ciò che più colpisce fu l’interesse diffuso, sia da parte
cinese che da parte occidentale, a stabilire un intenso scambio culturale,
anche in ambito giuridico ma non necessariamente grazie a giuristi. Un
esempio è la pubblicazione (1870) della traduzione in cinese del ‘Codice
napoleonico’, da parte di Anatole Adrien Billequin, chimico di professione.
Altri, economisti o giuristi, divennero invece famosi sinologi; è il caso di Sir
Thomas Francis Wade, ministro plenipotenziario britannico in Cina, già
ispettore delle dogane e negoziatore del Trattato di Chefoo, cui si deve un
sistema di traslitterazione dei caratteri cinesi rimasto a lungo il più usato,
e che ritiratosi dal servizio divenne, nel 1888, il primo professore di cinese
all’Università di Cambridge.
L’influenza di tipo culturale e scientifica è proseguita e si è rafforzata
nella terza ed ultima fase grazie all’apporto dei membri della Commissione
sulla extraterritorialità, ma anche di altri giuristi stranieri; tra questi,
Georges Padoux, Jean Escarra o l’italiano Attilio Lavagna che svolsero un
importante ruolo di consiglieri del governo cinese repubblicano, come pure
nella divulgazione scientifica in Europa del sistema giuridico cinese. Da
menzionare che la maggior parte di questi esperti giuridici era stipendiata
dal governo cinese a valere sulle riparazioni di guerra contenute nel
protocollo dei Boxer del 1901.
In questa ultima fase ad avere una forte e diffusa influenza sulla
modernizzazione del sistema giuridico cinese è stato l’esercizio della
giurisdizione extraterritoriale delle corti e consoli stranieri nei casi misti o
anche addirittura tra soli cinesi, come spesso avveniva nelle concessioni e
specialmente in quella ‘internazionale’ di Shanghai. Appare dunque utile
delineare il funzionamento del sistema della giustizia civile nelle concessioni,
mettendo in risalto il grado di interazione tra il sistema giuridico cinese e
la giurisdizione delle Potenze straniere e il grado di influenza esercitato da
queste sull’evoluzione del sistema giuridico cinese.
669
F.R. Antonelli
Court for China and Japan che appellava i giudizi dei tribunali provinciali
presieduti dai consoli, dalla quale si poteva fare ricorso al Judicial Committee
of the Privy Council a Londra. Gli Stati Uniti avevano prima provveduto
a stabilire vari tribunali consolari (1848), le cui sentenze erano appellabili
presso la Corte di Circuito per il distretto di California; successivamente, nel
1906, istituirono a Shanghai la United States Court for China. La Francia,
che conosceva già da duecento anni l’istituto dei tribunali consolari, decise
nel 1869 di investire la Corte Imperiale di Saigon degli appelli alle sentenze
pronunciate dai tribunali consolari in Cina, Giappone e Siam. Anche
l’Italia, con la Legge Consolare del 28 gennaio 1866 n. 2804, stabilì di
investire i consoli delle funzioni di giudici sia in materia penale che civile; le
decisioni dei tribunali consolari erano appellabili presso la Corte di appello
di Ancona.
Se si escludono la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, che crearono corti ad
hoc per la Cina (questi ultimi inoltre derogando al sistema della giuria), la
giurisdizione extraterritoriale era portata avanti normalmente dai consoli
o da uomini d’affari residenti in Cina da questi delegati che non avevano
in genere una specifica preparazione di tipo giuridico. Con il consolidarsi
di una loro presenza in Cina, Italia, Francia e Giappone poterono invece
contare sull’invio di giudici di professione (Report, 1926: VI).
Il grado di interazione tra l’autorità cinese e quella straniera rimase
sempre forte anche nei momenti di maggiore debolezza dell’apparato
burocratico cinese. Un quadro di tale interazione con il sistema della
giustizia vigente in quel momento in Cina e tra le diverse giurisdizioni
extraterritoriali straniere ci viene ben descritto da Musso, che fu magistrato
(foreign assessor, come venivano denominati i giudici stranieri) presso la
Corte mista della Concessione internazionale di Shanghai dal 1903 al 1908:
«le cause civili, puramente cinesi, erano sentite dal magistrato cinese
[…] e non era permesso l’intervento di avvocati [ …] [poiché] pri-
ma della rivoluzione del 1911, non era per i sudditi cinesi una pro-
fessione permessa e quindi non ne esistevano, ad eccezione di quelli
che, avendo studiato ed essendosi debitamente qualificati all’estero,
erano autorizzati ad esercitare la loro professione nei confini della
Concessione […]. La Cina era un paese estremamente conservatore,
nemico delle riforme, e, quindi, non poteva incoraggiare il sorgere
di una classe che incominciando con il difendere il diritto indivi-
duale delle persone, avrebbe finito con il rivendicare quelli delle
collettività» (Musso, 1926: 440).
670
L’extraterritorialità e le concessioni
nelle cause cinesi, anche civili, si continuava a praticare l’usanza di far stare
inginocchiati sia l’attore che il convenuto, nelle cause civili miste gli assessori
(giudici) stranieri che vi intervenivano non permettevano tale usanza.
La legge applicabile era quella cinese, ma
671
F.R. Antonelli
672
L’extraterritorialità e le concessioni
673
F.R. Antonelli
5. Conclusioni
Riferimenti bibliografici
674
L’extraterritorialità e le concessioni
675
Ilaria Ricci
1
Q. Bu, Will Chinese Legal Culture Constrain its Corporate Governance-related Laws?, in
L. Moccia, M. Woesler, China & Europe: Fostering the Mutual Understanding Between
China and Europe by Multi-level Comparisons of their Cultures, Societies, and Economies,
Berlin, Bochum, Dülmen, London, Paris, 2014, pp. 212-213.
677
I. Ricci
678
Chinese Company Law: an Overview
is expressed by the term “li”, which means “rites”5, intending rules of proper
conduct, secular as well as religious, aimed at assuring natural harmony in
the relations among people.
Li may be considered as pre-legal moral normativity which expresses
members’ endeavour to act according with the natural harmony of things.
Generally speaking, li refers to «a natural ordering of society integrated
with a code of morality based on human nature which operates not by
external compulsion but through individual conscience, in view of an idea
of social harmony implying the individual’s obligation to act accordingly»6.
Li seems, therefore, to be relevant from a normative point of view,
since it may be intended as a principle of “self-regulation” of society and
individuals, according to the natural state of things in the frame of a fixed
cosmic order.
The importance of li is expressed in term of moral standards and rules
which are fundamental for the ideal social normative order.
Therefore, li, as the core of Chinese traditional culture, implies the
seeking of what is right and good, the existence of individual and social
obligations, the respect of hierarchical order of rank and rules, such as social
disapproval in case of breach of the rules7.
In traditional Chinese culture, instead, the term “fa” is translated as law,
written law in particular, in association with punishment.
From a general point of view, fa refers to a set of rules aimed at assuring
good order of the social relationships and correct administration of the state.
According to traditional Confucian view, a well-ordered society requires
the conformity of its members’ conduct to a proper self-regulating order,
with the aim of achieving “harmony” as the highest of social normative order.
Confucian moral education was considered to be a strong incentive for
citizens to cultivate civility and virtues8.
The modernization process of the Chinese legal tradition is initially
marked by the fall of the Qing Empire in 1911, together with the
establishment of the First Republic of China in 1912.
The need to modernize the country required to adapt and to reinterpret
the Chinese traditional settings to the Western-style legal models.
After the birth of People’s Republic of China in 19489, under the
5
Moccia, The Idea of “Law” in China: An Overview, cit., p. 60.
6
Ibidem, p. 61.
7
Ibidem, p. 61.
8
S. Veitch, Confucian Perfectionism: Political Philosophy for Modern Times, in (2015) 45
3 Hong Kong Law Journal 1026.
9
F. Monti, Diritto societario cinese, Roma, 2007, p. 21.
679
I. Ricci
10
R. O’Brien, The Survival of Traditional Chinese Law in the People’s Republic of China,
in (2010) 40 1 Hong Kong Law Journal 173.
11
Ibidem, p. 167.
12
K. Zou, China’s Legal Reform. Towards the Rule of Law, Leiden, 2006, p. 73; M. Porto,
Cina, in R. Torino (ed.), Sistemi giuridici. Diritto e geopolitica, Milano, 2017.
13
The expression “Open Door Policy” was applicable before the founding of the People’s
Republic of China in 1949. After Deng Xiaoping took office in 1978, the term referred
to China’s policy of opening up to foreign business that wanted to invest in the country,
setting into motion the economic transformation of modern China (K. Zou, China’s
Legal Reform. Towards the Rule of Law, cit., p. 1).
14
R. Peerenboom, Law and development in China and India, in M. Sornarajah, J. Wang
(eds.), China, India and the International Economic Order, 2010, p. 491.
680
Chinese Company Law: an Overview
681
I. Ricci
682
Chinese Company Law: an Overview
683
I. Ricci
684
Chinese Company Law: an Overview
685
I. Ricci
The State had difficulties controlling all companies and, due to the chaos
in the economic order, in 1985 the State Council issued the Notification
on Further Clearance and Rectification of Companies and the Provisional
Regulation Regarding Company Registration Management (Provisional
Regulation)39.
The Provisional Regulation restricted the establishment of companies
by individuals and emphasized the government’s control over companies.
In 1988, with the progress of the market economy, the State Council
promulgated the Provisional Regulation for Private Enterprises.
By means of the Regulations, private enterprises (being for-profit
economic organizations having private ownership and employing eight
or more workers) were formally recognised. Furthermore, villagers, urban
unemployed, retired people and individual households were authorized
to establish private enterprises in the form of a sole proprietorship, a
partnership or a limited liability company40.
Therefore, the regulation confirmed the legality of private enterprises
and advanced the commonly acceptable concept of limited liability
company (LLC) and three forms of private enterprises were allowed: the sole
proprietorship, the partnership, and the limited liability company.
Article 5 provided that «LLC means the enterprise that the investor’s
liability to the company is limited to its investment while the company shall
take the responsibility with its whole assets».
The Regulation was important in order to develop a socialist market
economy and to try to be more compliant with international practices41.
The economic reform of 1990s brought to a remarkable development
of company law in China42 and provided China with the reformation
of state-owned enterprises, the expansion of foreign investment and the
implementation of private enterprises in the national economy.
In 1992, detailed descriptions for the setting-up procedures for a
limited liability company (LLC) and for a joint stock company (JSC) were
introduced by the Standards for Limited Liability Companies Opinion and
its companion, the Standards for Companies Limited by Shares Opinion43.
By means of the amendment passed in 1993, Chinese Constitution adopt-
686
Chinese Company Law: an Overview
2.2. The 1993 Law of the People’s Republic of China on Company Law
The People’s Republic of China did not have any formal national
company law until the National People’s Congress promulgated the Law of
the People’s Republic of China on Company Law in 1993 (the “Company
Law”)46.
The Company Law came into force on 1994 and, since then, it has been
amended many times.
The 1993 Company Law was important because, for the first time,
in mainland China the organization and activity of business entities were
regulated.
The Company Law was therefore the foundation of modern socialist
44
R. Ulatowski, Evolution of the Chinese Economic Model and its International
Implications, in L. Golota, J. Hu, K. Van der Borght, S. Wang (eds.), Perspectives on
Chinese Business and Law, Cambridge, Antwerp, Chicago, 2018, p. 3.
45
Qing, The Company Law of China, cit., pp. 463-464.
46
M. Gu, Understanding Chinese Company Law: A comparative introduction, Hong Kong,
2006, p. 1.
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I. Ricci
688
Chinese Company Law: an Overview
The 1993 Company Law only governs limited liability companies and
joint-stock companies within Chinese territory, while in China, before the
enforcement of the Company Law, there were a great deal of companies.
Article 229 of the Company Law dealt with non-limited liability
companies and non-joint-stock companies established before the
enforcement of the Company Law. Pursuant to such provision, the
companies established pursuant to laws, regulations, local laws, and the
Standard Opinions on limited liability companies and joint-stock companies
before the enforcement of this law, as well as those not in compliance with
this law, had to meet the legal requirements within a stipulated time.
The Company Law has been amended multiple times51 since then and
the most current version of the Company Law took effect in 2018.
689
I. Ricci
690
Chinese Company Law: an Overview
Officially, the purpose of this reform was to make the corporate legisla-
tion more efficient, with the aim of simplifying and liberalizing investments
in China60.
On April 22, 2019 the Supreme People’s Court published Provisions
on Several Issues Relating to the Application of the Company Law of the
People’s Republic of China (V).
The Provisions are related to disputes of shareholders’ rights and they
seem to be in line with the government’s efforts to strengthen China’s
business environment61.
The Provisions are composed by 6 articles62 and were issued in order
691
I. Ricci
692
Chinese Company Law: an Overview
During the 1950s there were five forms of companies in China. During
the drafting of the Company Law, it has been suggested to add the provision
of unlimited companies and joint liability companies to the two popular
company forms, i.e. limited liability companies and joint stock companies.
Legally, the Company Law only deals with two types of company.
However, it would not be correct to say that other types of company
(created later on by other rules and regulations) would have nothing to do
with Chinese company regulation63.
Apparently, the Company Law has not been amended to adopt other
company forms.
So far, there is no sign that the Company Law would be used to govern
the joint stock cooperative companies because they are currently governed
by various national and local regulations64.
A limited liability company is usually recognized as a “private” or
“closed” company, while a joint stock company is recognized as a “public
company”.
Moreover, an important distinction is between “public company” and
“listed company”.
In a listed company65 the shares are traded over the stock exchanges,
63
G. Minkang, Understanding Chinese Company Law: A Comparative Introduction,
Hong Kong, 2010, pp. 26-28.
64
For example, joint stock cooperative companies have been officially endorsed in China
since the Fifteenth Party Congress (Minkang, Understanding Chinese Company Law: A
Comparative Introduction, cit., pp. 26-28).
65
A listed company is a joint stock company whose shares will be traded over stock
exchanges (Art. 121). Therefore, a listed company needs to satisfy not only requirements
for a joint stock company, but also additional requirements as follows: (i) the shares have
693
I. Ricci
while in a public company the shares are issued to the public but are not
necessarily traded over the stock exchanges. Therefore, every listed company
is a public company but not vice versa66.
already been issued to the public with the approval of the China’s Securities Regulatory
Commission, (ii) the total amount of the company’s share capital shall not be less than
Y30,000,000; (iii) the amount of shares issued to the public shall be more than 25 per
cent of the total amount of the company’s shares; and (iv) the company has not committed
any significant illegal acts and there are no false records in the financial accounting
statements for the previous three years (Minkang, Understanding Chinese Company Law:
A Comparative Introduction, cit., p. 27).
66
Ibidem, p. 27.
67
Adopted at the Fourth Session of the Sixth National People’s Congress on April 12,
1986 and promulgated by Order No. 37 of the President of the People’s Republic of
China on April 12, 1986.
68
Pursuant to Article 41 of Chinese Civil Law: «an enterprise collectively-owned or wholly-
state owned shall be qualified as a legal person when it has sufficient funds as stipulated
by the state; has articles of association, an organization and premises; has the ability to
independently bear civil liability; and has been approved and registered by the competent
authority. A Chinese-foreign equity joint venture, Chinese-foreign contractual joint
venture or foreign-capital enterprise established within the People’s Republic of China shall
be qualified as a legal person in China if it has the qualifications of a legal person and has
been approved and registered by the administrative agency for industry and commerce in
according with the law» (unofficial translation available at http://www.asianlii.org/cn/legis/
cen/laws/gpotclotproc555/).
694
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695
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696
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75
Qiu, Lin, Chinese Company Law, cit., p. 194.
76
Monti, Diritto societario cinese, cit., pp. 138-145.
77
Qiu, Lin, Chinese Company Law, cit., p. 196.
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The government shall establish and perfect the service system for foreign
investment, and provide foreign investors and foreign-funded enterprises
with consultation and services in respect of laws and regulations, policies
and measures, investment project information and other aspects.
It shall establish multilateral and bilateral cooperation mechanisms for
the promotion of investment with other countries, regions and international
organizations, so as to enhance international exchanges and cooperation in
terms of investment.
It is provided that the government shall not expropriate any invest-
ment made by foreign investors. Only under special circumstances, the
government may expropriate or requisition an investment made by foreign
investors for public interests in accordance with the law. Such expropriation
or requisition shall be made pursuant to statutory procedures and fair and
reasonable compensation will be given in a timely manner.
A foreign investor may, in accordance with the law, freely transfer
inward and outward its contributions, profits, capital gains, income from
asset disposal, royalties of intellectual property rights, lawfully obtained
compensation or indemnity, such as income from liquidation, within the
territory of China.
According to Article 22, intellectual property rights of foreign investors
and foreign-funded enterprises shall be protected, such as the legitimate
rights and interests of holders of intellectual property rights and relevant
right holders.
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Chinese Company Law: an Overview
5. Conclusive Remarks
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Bibliography
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LIBER AMICORUM
E. CALZOL AIO, R. TORINO, L. VAGNI (a cura di) · LIBER AMICORUM LUIGI MOCCIA
Il volume raccoglie saggi di studiosi italiani e stranieri dedicati a
LUIGI MOCCIA
Luigi Moccia come testimonianza per il contributo allo sviluppo della
comparazione giuridica e del diritto europeo nel corso della sua attività
scientifica. È articolato in tre tracce tematiche che delineano le linee
fondamentali della sua riflessione: a) comparazione giuridica e dialogo tra
common law e civil law; b) dalla comparazione all’integrazione giuridica:
cittadinanza e diritto europeo; c) comparazione giuridica e prospettive di
studio del diritto.
32
Collana
L’Unità del Diritto
32 2021