Compiti per casa: Riflessioni e interviste
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Info su questo ebook
Compiti per casa non è solo una raccolta di piccole gemme del grande scrittore ceco, ma l’occasione per sbirciare nel suo laboratorio letterario e per avvicinarsi alla sua personalità.
A sorprendere, in questi testi, è il superamento dell’immagine di Hrabal come “ trascrittore ” di avvenimenti vissuti, una formula semplificatoria di cui l’autore stesso ha abusato. Poche pagine bastano, infatti, per scoprire quanto fosse rilevante l’ispirazione letteraria accuratamente nascosta dietro lo stile da “ cinema verità ” di tanti racconti.
Questa edizione presenta per la prima volta al pubblico italiano tutti i testi originari senza tagli, compresi gli otto eliminati nella prima edizione e i tre aggiunti dopo.
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Anteprima del libro
Compiti per casa - hrabal bohumil
Tavola dei Contenuti (TOC)
La corda tra la culla e la bara
Ma com’è che si diventa scrittori?
Elementi non standard nella prosa ceca contemporanea
Che ha visto di interessante all’estero?
Vasi comunicanti
Un giorno
Sui western
Confessione
La congiura della bellezza
La vecchia posta al civico 8
All’ombra delle spade di Damocle
Lode al cedimento45
Lode a una professione
Il calcio
Ho viaggiato invano per il mondo?
Un’intervista insolente
Nove domande
Una visita arrivata dalla città natale
Due domande
Intervista a nymburk
Un autografo dello stramparlone
Una serata alla birreria formanka
Palla al centro
Alla vigilia del congresso
L’happening «my 68»81
Omaggio a Vladimír Boudník
Frammenti di un incontro pubblico con i lettori
Che cosa sta facendo in questo periodo, signor Hrabal?
A volte lo spirito della storia ha il senso dell’umorismo
Il gioco per la verità
Compito per casa a piacere
Sull’argine dell’eternità97
Ammissione
Tre domande scomode
La cordicella
Gatti e gattini
Auguri della vigilia di Natale
La carta da parati in movimento
I permessi di espatrio
Il rammendo artificiale e artistico delle stoffe
La sbalorditiva pistola di Pepík Hlinomaz110
Il più bello dei capodanni
A mo’ di postfazione
Quanti compiti per Bohumil Hrabal… di Alessandro Catalano
NováVlna
( 16 )
BOHUMIL HRABAL
COMPITI PER CASA
A cura di Alessandro Catalano
Traduzione dal ceco di Laura Angeloni
© 1970, Bohumil Hrabal Estate, Zürich, Switzerland
©
2019
Miraggi edizioni, Torino
www.miraggiedizioni.it
Logo-Ministero-cecoTitolo originale:
Domácí úkoly, prima edizione: Mladá fronta, Praha 1970
Translation of this book was realized with
the support of the Ministry of Culture
of the Czech Republic
Ringraziamo il Ministero della Cultura
della Repubblica Ceca per il sostegno
alla traduzione e alla pubblicazione
Progetto grafico Miraggi
Immagine di copertina: © Hana Hamplová, 1988
(Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported)
Finito di stampare a Chivasso nel mese di novembre
2022
da A
4
Servizi Grafici per conto di Miraggi edizioni
su Carta da Edizioni Avorio – Book Cream
80
gr
e Carta Fedrigoni Woodstok Materica Chalk
180
gr
Prima edizione digitale: novembre
2022
isbn
978
-
88
-
3386
-
234
-
7
Prima edizione cartacea: novembre
2022
isbn
978
-
88
-
3386
-
235
-
4
SINOSSI
Compiti per casa raccoglie testi di natura molto varia (racconti, articoli, apologhi, riflessioni sulla letteratura e sulla scrittura, resoconti di viaggio ecc.) usciti tra il 1964 e il 1969. La prima edizione ceca del 1970, nonostante gli interventi della censura comunista, fu di fatto ritirata dal commercio appena stampata a causa della sua inopportunità politica.
Compiti per casa non è solo una raccolta di piccole gemme del grande scrittore ceco, ma l’occasione per sbirciare nel suo laboratorio letterario e per avvicinarsi alla sua personalità.
A sorprendere, in questi testi, è il superamento dell’immagine di Hrabal come trascrittore
di avvenimenti vissuti, una formula semplificatoria di cui l’autore stesso ha abusato. Poche pagine bastano, infatti, per scoprire quanto fosse rilevante l’ispirazione letteraria accuratamente nascosta dietro lo stile da cinema verità
di tanti racconti.
Questa edizione presenta per la prima volta al pubblico italiano tutti i testi originari senza tagli, compresi gli otto eliminati nella prima edizione e i tre aggiunti dopo.
BIOGRAFIA AUTORE
Bohumil Hrabal (Brno 1914, Praga 1997) è stato uno dei più originali scrittori cechi del Novecento e i suoi personaggi stralunati sono divenuti proverbiali tra i lettori e gli spettatori dei film tratti dalle sue opere. Autore di molti testi, spesso difficili da ricondurre ai tradizionali generi letterari, è stato ripetutamente tradotto in italiano da Einaudi, Longanesi, e/o, Sapiens e in un Meridiano
di Mondadori.
Di Hrabal, nel 2020 Miraggi edizioni ha pubblicato La perlina sul fondo.
La corda tra la culla e la bara
Per un narratore è difficile mostrare l’esistenza di valori prendendo a esempio cittadini fisicamente e psichicamente ben nutriti. Le convenzioni e le istituzioni, ma anche l’istruzione, fanno sembrare che tutto proceda con calma, ordine e armonia. La fertile inquietudine è sigillata da assi con su scritto: « Se non stai bruciando, fregatene dell’incendio », « Morto un papa se ne fa un altro », « Mai pisciare controvento ». Ma non c’è uomo che possa resistere alla forza propulsiva dei valori quando il destino lo avvinghia tra le sue grinfie. È proprio nel momento in cui un individuo deraglia che è possibile quasi sempre prenderlo a esempio per mostrare la portata dell’uomo, quando cioè inizia a naufragare, quando le certezze vacillano e, anche se non vuole, anzi spesso controvoglia, gli viene concessa in dono l’opportunità di umanizzarsi, grazie alla situazione morale degli opposti, con o senza l’apporto di un ceffone. E con la caduta di questo eroe in erba anche l’ambiente e la lingua vengono riportati alla loro essenza ed egli ha la possibilità, se vuole, di tastare il fondo, di sentire sulla pelle l’esperienza tattile della discesa e della disperazione propria, e dell’umanità in generale. C’è poi un luogo, da qualche parte nell’immondezzaio dell’epoca¹, in cui ci si rende conto che all’inizio, all’ingresso del mondo fenomenico, c’era una culla ben salda, mentre davanti c’è quella bara fluttuante in cui un giorno senza dubbio ciascuno finirà, e tra questi due recipienti è tesa la corda su cui ognuno è chiamato a suonare la sua romanza. È quello il luogo degli incontri straordinari, un luogo di cui tutti conoscevano l’esistenza, nei confronti del quale erano stati invano messi in guardia, un luogo mutevole che però ognuno ha potuto vivere e sperimentare, e di conseguenza anche creare, solo nel corso della propria caduta. Gli insegnamenti corretti arrivano quasi sempre tardi. Ma nell’apparente tragitto verso il basso i valori si sono accesi e messi in moto, solo l’esperienza della discesa ha reso questi valori utilizzabili, commestibili, concreti. Qui le categorie in gioco sono due: quella cristiana (se non rinascerà…) e la nostra (le trasformazioni qualitative)². Nessuna delle due può essere prevista in anticipo. Perfino lì dove uno se le aspetterebbe con certezza matematica, non le troverà mai, mentre dove meno se lo aspetta, eccole sbocciare in pompa magna per celebrare la vita come è corretto e adeguato. E forse è giusto così.
Quasi tutta la letteratura mondiale mi fa l’effetto di un chiaro scivolamento verso l’immondezzaio dell’epoca. Più il protagonista scende nella scala sociale, più cresce la sua carica. Sembra che lo stesso spirito della storia venga elettrizzato e contaminato, che approvi questo scivolamento verso il basso, almeno nell’ambito della prosa. Che cioè lo spirito della storia fornisca alle persone geniali un’istruzione, solo perché mentre scrivono siano consapevoli di ciò che è più importante: cosa non scrivere. Da qualche parte ho enumerato tutta una serie di filosofi che hanno accostato alla forza dell’intelligentia il suo apparente contrario. Lao-Tzu: « Sapere di non sapere ». Socrate: « So di non sapere ». Niccolò Cusano: « Docta ignorantia ». E così via, fino a Breton.
Sembra cioè che lo spirito della storia, non per difesa, ma come adeguato complemento dell’intelligenza, che nel nostro secolo significa civiltà, fornisca un contrappeso sotto forma di apparente ignoranza, di rozzezza, di un abisso che sul suo fondo cela una perla.
Un vecchio pescatore solitario dimenticato da tutti, tanto che persino nel suo villaggio nessuno voleva andare a pesca con lui, raccontò a Hemingway di una volta in cui aveva pescato un pesce gigantesco, che era stato poi divorato fino allo scheletro da pesci predatori. E Hemingway si identificò completamente con quel pescatore, tramite quel suo libricino spostò se stesso, mettendo quasi la parola fine alla sua opera, che senza quel vecchio non sarebbe quella che è. Poi il vecchio pescatore si rivolse a un tribunale per ricavare dalla fama raggiunta dallo scrittore qualche spicciolo, ma il giudice sentenziò che pur se il pescatore gli aveva fornito l’ossatura della storia, era stato Hemingway a lavorarne artisticamente la carne. E l’istanza viene pertanto respinta.
Io credo che il tribunale, se avesse avuto un po’ di umiltà per il tema, per la vicenda ispiratrice, per l’avvenimento, avrebbe dovuto emettere una sentenza che riconoscesse l’apporto del vecchio pescatore, per tutti il vecchio. Breton l’avrebbe fatto, proprio come ha collaborato con Nadja.
Io personalmente vengo a tal punto fecondato dall’esterno che a volte mi reputo più che altro un trascrittore e un montatore cinematografico. Per me d’altronde le persone più importanti sono proprio quelle che appartengono all’immondezzaio dell’epoca; mio zio Pepin, calzolaio e maltatore, è da lui che ho imparato praticamente ogni cosa, ma anche tutti gli altri mi hanno donato talmente tante storie che a rigore dovrei citarli con nome e cognome e, se fosse possibile, ritirarmi nell’anonimato, come facevano i pittori di quadri gotici con le loro firme.
L’umiltà di Kubín³ nei suoi racconti, il suo rispetto per la lingua del narratore, ha rappresentato per me una rivelazione! Non c’è bisogno di elencare per chi fa il tifo Steinbeck in Vicolo Cannery, o Caldwell in La via del tabacco, né starò a spiegare il motivo per cui Faulkner si è identificato quasi del tutto con Mink, il finto poverello⁴.
In un’epoca in cui tutti i cieli sono precipitati e l’uomo e la società possono contare solo e unicamente su se stessi, in cui però l’atto della creazione assume un valore negativo sotto forma delle armi nucleari, e il futuro potrebbe dunque trasformarsi in una catastrofe, l’istruzione e il sapere sono enormemente d’impaccio, il memento mori viene percepito dall’intelligentia diversamente e con più forza che in passato. Lo spostamento verso chi non sa quasi niente, non prende parte alle conquiste della civiltà, ma è coraggioso e di sicuro anche felice per il solo fatto di esistere, rappresenta un contrappeso naturale. Uno spostamento in tal senso è necessario. Come se per l’immondezzaio dell’epoca si fosse trovata una cura, un modo di cicatrizzare, tipo la penicillina.
Da questo punto di vista è naturale che i beatnik abbiano reagito alla possibilità di un’era atomica esaltando la vita da mendicanti, in cui ritrovarsi al fondo delle proprie forze significa guardare in alto, vivere come i vagabondi del Dharma, nella meditazione e nel pellegrinaggio, guadagnarsi da vivere con le proprie mani. Penso alla loro lingua piena di slang, gerghi, barbarismi, a quello spostamento della lingua verso i suoi principi strutturali, penso anche alla lingua di Céline, che ha spostato i personaggi e se stesso verso l’immondezzaio dell’epoca, ma che al centro del suo viaggio al termine della notte solleva il lume e fa luce sul viso di un sergentino addormentato che è rimasto in servizio ai tropici più a lungo del dovuto solo per mandare i soldi a una sua nipote, che nemmeno conosce bene, e permetterle così di imparare a suonare il pianoforte. Il signor Céline, dottore in scienze mediche, fa luce sull’uomo e si chiede come sia possibile che un tale angelo esista, senza che si noti nemmeno una piuma delle sue ali. Ripenso ora allo sguardo acuto di Čechov che, montando una dopo l’altra frasi scritte in un gabinetto, compone il geniale Libro dei reclami. Penso a Babel’, che inserisce nel suo libro due lettere che gli erano state dettate parola per parola da un soldato perché non poteva o non sapeva scrivere. Il soldato ovviamente. Penso a Hašek, che di questo spostamento verso il basso, e allo stesso tempo anche verso una data elevatezza, è la prova vivente, ammiro il suo Švejk, figura che attraversa imperturbabile tutto il testo e senza galloni, senza una moglie, senza figli, senza un’amante e in sostanza senza amici, ma grazie alle sue chiacchiere, come un mago, svela e sconfigge la degenerazione del mondo.
Questo generale scivolamento dei protagonisti, e dunque anche delle ambientazioni, della letteratura mondiale, rappresenta il bisogno della dotta ignoranza di trovare un posto con meno ipocrisia e alienazione, in cui viva ancora un uomo che riesce a donare la speranza che non tutto sia perduto. Riflette la democratizzazione in continuo evolvere di tutti i remoti temi, e il paradosso che i primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi. In un certo senso rappresenta anche il bisogno dell’intelligenza di temperare la sua brillantezza ed eguagliare la sua polvere⁵. Ecco la romanza suonata sulla corda tesa tra la culla e la bara. Prediligere l’esperienza vissuta rispetto alla mera erudizione.
Nel suo saggio sul romanzo sperimentale, Émile Zola ha scritto un elogio del documento umano: « Si finirà per produrre semplici studi, senza avvenimenti imprevisti e conclusioni, l’analisi di un anno di vita, la storia di una passione, la biografia di un personaggio, le osservazioni fatte sulla vita e disposte in ordine logico »⁶.
Questa poetica naturalista mi ha incantato. Forse un giorno sarà davvero possibile. Io stesso, come dicevo, vorrei essere più un trascrittore e un montatore che uno scrittore. Forse un giorno davvero il tamburo si sfonderà grazie alla frase di Lautréamont: l’arte deve essere fatta da tutti.
È l’avvenire di un’illusione⁷ che vedrà l’uomo interpretare il ruolo di se stesso.
Ma com’è che si diventa scrittori?
I lettori mi chiedono spesso se provo un sentimento paterno nei confronti dei libricini che ho pubblicato. Paterno direi di no, piuttosto il mio è quel sentimento filiale che si nutre nei confronti del Padre, ovvero la vita reale che è fluita in quasi tutti i miei testi. A volte mi sento come un vigile urbano che con il movimento delle braccia dirige i gangli della realtà, ora da una parte, ora dall’altra. A volte penso di non essere uno scrittore, ma un trascrittore. Non dovete prendermi alla lettera però. È solo umiltà al cospetto del tema. E poi secondo me l’umorismo aiuta a gestire la parabola dell’esagerazione che dà piena corposità alle cose viste e sentite. E poi bisogna tener presente anche la costruzione del testo. Rispetto alla prosa convenzionale, si può cominciare un testo nel mezzo. E così alla fine di ciò che sto scrivendo sono ancora a metà e devo raccogliere tutte le mie forze per trascinare il testo fino a una vera conclusione, affrettarmi a trovare una forma definitiva che va ancora immaginata, inventata. Forse