Zanna Bianca
Di Jack London
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Jack London
Jack London nació en San Francisco en 1876, hijo ilegítimo de un astrólogo ambulante que pronto los abandonaría a él y a su madre, una joven «huida» de una acomodada familia de Ohio. Poco después de dar a luz, la madre se casó con John London, carpintero y vigilante jurado entre otros oficios, de quien el hijo tomaría el apellido. Jack dejó el colegio a los trece años, y desde entonces hasta los veintisiete, edad en la que se consagraría como escritor, su juventud fue inquieta y agitada: sus biógrafos y él mismo convertirían en leyenda sus múltiples trabajos y vagabundeos, de ladrón de ostras a buscador de oro en Alaska, así como su visionaria vocación política, formalizada con su ingreso en 1896 en el Partido Socialista de los Trabajadores. En 1903 publicó un reportaje sobre el proletariado del East End londinense, Gente del abismo, y La llamada de la selva, que le lanzó a la fama. Su experiencia marinera fue la base de El lobo de mar (1904), otro gran éxito, y a partir de entonces publicó asiduamente narrativa y ensayos, pronunció conferencias por todo el mundo y emprendió nuevos viajes. De uno de ellos nació un ciclo sobre los Mares del Sur, al que pertenecen los cuentos de La casa del orgullo (1909; ALBA CLÁSICA núm. ). Son de especial interés sus textos autobiográficos, la novela (1909) y las «memorias alcohólicas» de John Barleycorn (1913). London murió de una sobredosis de morfina y atropina en su rancho californiano, en 1916.
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Anteprima del libro
Zanna Bianca - Jack London
dorme
L'autore
Nato a San Francisco il 12 gennaio 1876, Jack London è uno dei pochi scrittori ai quali arrisero in vita successo e ricchezza. Era figlio di un girovago, ed i suoi genitori ben presto si disinteressarono di lui: dovette badare a se stesso in un'età in cui di norma i fanciulli non hanno altri pensieri che lo studio e il gioco. Fece tutti i mestieri: lo strillone di giornali, il pescatore clandestino di ostriche, il lavandaio, l'agente di assicurazioni, il coltivatore, il cercatore d'oro nel Klondike, il corrispondente nella guerra russogiapponese ed infine lo scrittore.
Era l'epoca in cui l'America stava mutando radicalmente. L'emigrazione era aperta a tutti. Dall'Europa arrivavano i diseredati, i poveri, gli oppressi, gli avventurieri; tutti spinti da un desiderio di libertà, di emancipazione, di avventura.
Il paese da agricolo si stava trasformando in industriale. Le città sorgevano e si ingrandivano vertiginosamente, la lotta per emergere e farsi una posizione diventava frenetica. Non era più l'America presbiteriana ed austera dei tempi dei pionieri. La presenza di individui diversi fra loro per razza, cultura, tradizione, il progredire della scienza, e delle nuove teorie materialistiche, sociali, filosofiche, contribuirono senza dubbio a creare nel paese e nei suoi abitanti una grande confusione ma anche ad imprimerle quella forza e vitalità che negli anni a venire avrebbero fatto dell'America una potenza mondiale.
Pochi scrittori furono come Jack London figli del proprio tempo. Intelligentissimo, forte, robusto, dotato di un'indomita forza di volontà, autodidatta; non c'era rischio, lavoro, impresa, teoria che non lo interessasse. Grandissima influenza ebbero certamente sul suo spirito assetato di sapere e aperto a tutte le idee e ricerche, la «Teoria dell'evoluzione» di Darwin, la filosofia di Nietzsche e il socialismo di Zola. Questa sua cultura appresa affrettatamente e senza metodo e conseguentemente non meditata né assimilata a fondo fece sì che le sue opere siano a volte prolisse, caotiche e contraddittorie pur essendo pervase da un profondo spirito vitale.
Tutti i personaggi dei romanzi di London sono esseri fuori del comune, siano essi uomini o animali. Esseri forti, spregiudicati, rotti ad ogni eccesso e ad ogni sregolatezza, dominati solo dall'istinto primordiale della sopravvivenza e della lotta. Ma Jack London era anche un romantico ed a modo suo un poeta, sensibile alla bellezza della natura e alla forza dell'amore inteso come riscatto dalla brutalità.
suoi romanzi sono in gran parte autobiografici. Tante erano state le esperienze della sua vita trascorsa sotto le più svariate latitudini e in ambienti quanto mai eterogenei che non era certamente il materiale che gli mancava per le sue creazioni. Cercatori d'oro, minatori, pescatori, contrabbandieri, ubriaconi, indiani, cacciatori sono i protagonisti dei suoi romanzi e in ognuno di essi vi è un po' della sua vita.
suo successo fu enorme. Guadagnò oltre un milione di dollari che però sperperò e dissipò in spese pazzesche: possedeva uno yacht di oltre quindici metri e un lussuosissimo ranch. Si fece erigere persino un castello che bruciò durante la costruzione. Tentò anche la politica, ma il suo socialismo era più teorico che concreto e non gli procurò che amarezze ed incomprensioni. Era in fondo un solitario e un disilluso della vita e già in Martin Eden
(che è del 1909) vi è in germe l'idea del suicidio che sette anni dopo, il 22 novembre 1916, egli attuerà nel suo splendido ranch «Beauty», disperato e deluso dalle sue aspirazioni che in fondo non gli avevano portato che insoddisfazioni e scontento.
Opere. Jack London fu scrittore fecondissimo. Nella sua breve vita scrisse più di quaranta romanzi, tradotti in tutte le lingue, una ventina dei quali anche in italiano. I principali sono: Il richiamo della foresta
(1903), Zanna Bianca
(1906), La valle della luna
, La piccola signora della grande casa
, Il lupo di mare
, Il vagabondo delle stelle
. I più direttamente autobiografici sono Martin Eden
e John Barleycorn
. Di ispirazione socialista sono invece: Il popolo dell'abisso
(1903), La guerra delle classi
(1905), Il tallone di ferro
(1907), Rivoluzione
(1910). Scrisse inoltre molti racconti che pubblicava su riviste, o raccoglieva in volumi.
Zanna bianca - l'epoca, l'ambiente.
L'epoca in cui avvengono i fatti narrati nel romanzo Zanna Bianca
è quella sul finire del diciannovesimo secolo, dopo la scoperta dell'oro in Alaska.
L'eterno mito dell'oro spinse uomini di ogni razza e di ogni ambiente a gettarsi con tutti i mezzi e con tutte le forze in questa terribile e a volte mortale avventura e l'elemento naturale ne fu in certo qual modo scosso. Quelle terre che fino ad allora erano state dominio incontrastato degli animali selvatici e di pochi Indiani furono invase da uomini rozzi e crudeli.
Tutto si trasformava con sorprendente rapidità: sorgevano città e si posavano le traversine per le ferrovie; ma nella landa deserta e ghiacciata erano i cani che trascinavano le slitte, e la presenza dell'uomo terrorizzava gli animali che fuggivano sempre più lontano. Solo i lupi sferzati dalla loro insaziabile fame osavano avvicinarsi ai fuochi degli uomini per cacciare e predare. Lo spettacolo della violenza induriva anche gli uomini.
Cupe foreste di abeti, fiumi ghiacciati, vento, interminabili distese di neve, alberi stecchiti presi nella morsa di ghiaccio o ricoperti di brina e silenzio, tanto silenzio, rotto di tanto in tanto solo dall'ululare dei lupi affamati: ecco il Klondike, la terra tra l'Alaska e il Canada. Qui nasce, cresce e trascorre buona parte della sua vita White Fang, il lupo Zanna Bianca.
In pochi libri l'ambiente è importante come in Zanna Bianca
: esso seleziona, rafforza, uccide; esso condiziona e determina le azioni dei protagonisti. Per sopravvivere si deve uccidere, uccidere per non essere uccisi. Sembra non ci sia posto per la pietà.
Ciononostante Zanna Bianca
non è un libro che esalti la violenza. La violenza è sì sempre presente, ma in uomini che sono sempre esseri inferiori e vili, uomini che si divertono ai combattimenti dei cani, uomini che diffondono il vizio del bere fra gli Indiani per indebolirli e piegarli ai loro voleri e in tal modo sfruttarli. Da questa violenza pura e disgregatrice di ogni senso morale sono immuni gli Indiani. Essi vivono secondo le loro leggi millenarie, spostandosi come è loro costume secondo il corso delle stagioni, cacciando e pescando. Gli Indiani non sono avventurieri strappati dal loro ambiente: essi in questo ambiente ci vivono da sempre. La natura selvaggia e primitiva che li circonda li rende duri, forti, atti a sopportare la fatica, le privazioni, la fame; ma in loro alberga un senso di giustizia istintiva, e saldi e profondi sono i legami familiari.
Nel Nord però non ci sono solamente uomini rozzi ed ignoranti. Da contrade civili e ridenti dove il clima è mite e dove l'oceano lambisce le coste con costante e solenne mormorio, sono partiti uomini che hanno messo il loro sapere e la loro esperienza al servizio del progresso. Per questi uomini la vita è sì lotta, lavoro, sacrificio, ma rischiarata dalla luce dell'amore e della comprensione. Essi sono continuamente sorretti dalla fede nell'intelligenza e nel trionfo del bene. Hanno alle spalle una vita ordinata: belle città, strade, giardini e una famiglia che li ama.
E' proprio con uno di questi uomini che Zanna Bianca concluderà la sua vita, quando il suo amore per il padrone che ha saputo comprenderlo ed amarlo saprà far tacere in lui gli istinti ferini del lupo, e dal profondo del suo essere verranno alla luce l'obbedienza, l'abnegazione, la fedeltà: le qualità peculiari del cane.
PERSONAGGI.
Gli uomini in Zanna Bianca
sono le figure meno importanti, tranne Beauty Smith e Weedon Scott, cioè la forza del male e l'amore. Poi c'è Castoro Grigio, l'indiano; gli altri non sono che figure di contorno. Castoro Grigio è per Zanna Bianca l'anello di congiunzione tra la vita ferina dominata dalla violenza e la civiltà vera, intesa come forza propellente di progresso morale e di amore. I veri e gli unici protagonisti restano la Natura, gli Animali e Zanna Bianca.
LA VICENDA.
libro comincia con la corsa sulla neve di una slitta trainata dai cani; sospinta e incalzata dal freddo e dalla presenza sempre più incombente dei lupi guidati da una lupa rossa. Viene la primavera, la natura si ridesta, i torrenti non sono più imprigionati nel ghiaccio, la terra si ricopre di fiori, ogni creatura rinasce alla vita e le tane, i nidi, gli anfratti sono pieni di cuccioli. Anche la lupa è divenuta madre. Tutto il giorno sta nella tana oscura a custodire e alimentare i suoi lupacchiotti mentre One Eye, il padre, è in giro a cacciare per lei e per i piccoli. Ma la fame, l'inseparabile compagna degli animali selvatici, è sempre in agguato. One Eye, nel quale si sono ridestati gli istinti paterni, è costretto ad andare sempre più lontano in cerca di preda, finché un brutto giorno non ritorna più. I lupacchiotti languiscono, mugolano e ad uno ad uno soccombono, tranne lupetto grigio; la natura ha attuato ancora una volta una delle sue leggi fondamentali: la selezione! Il più forte è sopravvissuto. Zanna Bianca è costretto ora a trascorrere lunghe ore da solo, mentre la madre è in giro a caccia. C'è una cosa che lo colpisce e lo interessa in modo straordinario: quella cosa luminosa in fondo alla tana che ha il potere di far sparire sua madre.
Un bel giorno si decide: avanza verso questa cosa misteriosa, finché davanti al lupetto stupefatto si presenta tutto un mondo nuovo e sconosciuto. Per Zanna Bianca è finito il periodo della vita vegetativa e sta per iniziare la vita nel vero senso della parola.
Bellissima è la sua prima esperienza di caccia, quando, avventuratosi fuori dalla tana, s'imbatte per caso in un nido di pernice.
Poi è di nuovo la fame che sospinge lui e la madre in luoghi sempre più lontani e meno sicuri. E' la fame che costringe la madre ad avvicinarsi nuovamente all'uomo. Kiche, la madre, era nata in una tribù indiana e non aveva dimenticato le voci e i richiami degli uomini.
Zanna Bianca la segue e in tal modo fa la conoscenza dell'Uomo e rimane stupefatto. L'Uomo può alzare e far volare le cose per lanciartele addosso, l'Uomo è capace di creare una bellissima cosa rossa e luminosa, il fuoco, ma è causa di un inenarrabile dolore, se uno si avvicina troppo ad essa. L'Uomo possiede il cibo, ma guai a prenderlo; allora l'Uomo prende le cose e te le getta addosso, oppure ti dà una terribile strigliata con un randello.
Nel campo vivono tanti cani, adulti e cuccioli, che non accettano Zanna Bianca; lo attaccano, lo mordono, lottano con lui, forse sentono in lui il lupo e ne hanno paura. Fra tutti primeggia Lip-Lip, un cucciolo più anziano e più grosso di Zanna Bianca. Lip-Lip è per Zanna Bianca un vero incubo.
Il tempo passa e Zanna Bianca impara a trainare la slitta. Ora non più corse sfrenate in libertà, ma correre, correre con gli altri cani che sembra lo inseguano e che invece sono prigionieri come lui. Zanna Bianca si chiude in se stesso, si apparta, è feroce, nessuno più osa cimentarsi con lui, nessun animale è in grado di resistergli. La sua fama si diffonde anche tra gli uomini, e questa sarà la sua rovina.
Un uomo, un certo Beauty Smith, essere profondamente avido e vile, lo vuole per fare di lui un cane da combattimento ed arricchirsi in tal modo con le scommesse.
Questo sarà il periodo più atroce e terribile di tutta la vita di Zanna Bianca. Ora egli è veramente un lupo. Un lupo nel vero significato che noi diamo a questo nome. D'ora in poi le sue uniche qualità saranno la ferocia, la crudeltà e un prepotente istinto di ribellione. Zanna Bianca lotta, lotta sempre più disperatamente, quasi posseduto dal demone della distruzione, finché un giorno sta per soccombere. Non così però deve compiersi il suo destino. Nauseato dalla vista di tanta ferocia e di tanto sadismo, interviene Weedon Scott, un ingegnere che compra l'agonizzante Zanna Bianca, lo cura e lo salva.
In un primo tempo Zanna Bianca è quasi disorientato dal cambiamento che si è verificato nella sua vita, non sa quale atteggiamento assumere, perciò continua a starsene appartato e a ringhiare, poi, lentamente, giorno per giorno, abbandona la sua difesa. Viene il giorno in cui finalmente si lascia accarezzare. Da quel momento Scott prende nella vita di Zanna Bianca il posto più importante. Zanna Bianca è totalmente soggiogato, non può più vivere senza il suo dio.
Se Scott per un po' di tempo deve allontanarsi, Zanna Bianca non mangia più, si ammala. Quando Scott deve tornare in California e pensa di lasciarlo in buone mani, Zanna Bianca fugge e lo raggiunge sul battello e Scott è costretto a portarlo con sé. Zanna Bianca non sarà mai più un lupo, ma anzi un prezioso cane da guardia che salverà la vita al padre di Weedon Scott.
Spunti di riflessione
Zanna Bianca
non è soltanto un romanzo avvincente per la trama, le avventure, l'ambiente e il protagonista, o per la ben dosata carica di «suspense» che tutto lo pervade; ma se lo si legge attentamente e soffermandosi a riflettere su quello che l'autore attraverso le vicende e i «ragionamenti» di un lupo ha voluto dire, si rivela un'opera densa di profondi insegnamenti.
L'obiettività
. - Non considerare mai le cose da un punto di vista solo personale, ma cercare sempre le cause e le ragioni dell'agire degli altri. Zanna Bianca è un lupo, ma noi man mano che leggiamo e seguiamo le sue avventure e lo svolgersi della sua vita, a poco a poco lo comprendiamo, ci spogliamo quasi della nostra umanità e accettiamo le sue azioni e il suo «ragionamento», perché ineluttabili e congeniali al suo stesso essere
L'amore materno
. - E' certamente il sentimento più profondo e comune a tutti gli esseri viventi, uomini e bestie. Osserva quanto sia profondo e in quanti modi tangibili lo dimostri Kiche, la mamma di Zanna Bianca.
La potenza del bene
. - La vigliaccheria, l'avidità, la malvagità di Beauty Smith avevano potenziato ed esasperato le qualità peggiori di Zanna Bianca, lo avevano reso introverso, feroce, crudele; quando il destino però lo pone nelle mani di Weedon Scott, queste qualità negative si assopiscono e poi scompaiono. Ciò avviene per merito della comprensione e della bontà. In ciascuno di noi esiste una carica di bene, spesso soffocata dalle circostanze e dall'incomprensione. Sta a noi far sì che tale carica non vada perduta, ma emerga e dia i suoi frutti.
L'amore verso gli animali
. - Anche le bestie sono creature di Dio. Hanno in comune con noi il dolore fisico, la vecchiaia e la morte. Partecipi, naturalmente in maniera diversa, anche di dolori morali: il distacco dalla madre, l'ingiustizia, la gelosia. Sono completamente in balia degli elementi naturali, dai quali non sanno difendersi, e dell'uomo, del quale sentono la superiorità.
Siamo buoni con loro, perché oltretutto chi approfitta della propria forza e superiorità per tormentare ed opprimere il debole è un vile.
A noi Dio ha dato l'intelligenza: dimostriamo di esserne degni.
La traccia della carne
Una cupa foresta di abeti si stendeva sulle due rive del fiume ghiacciato. Recentemente il vento aveva strappato agli alberi il loro bianco mantello di brina; e gli alberi, neri e sinistri, sembrava si appoggiassero l'uno all'altro, nella luce morente. Un silenzio di tomba regnava sul paesaggio: e il paesaggio stesso era desolato, senza vita, senza movimento, così squallido e gelido da sembrare permeato di un qualcosa di più triste della stessa tristezza. Vi regnava quasi un accento di riso, un ghigno ben più terribile di ogni tristezza, un riso tetro come il sorriso della sfinge, un riso freddo come il gelo, in cui si sentiva aleggiare la truce minaccia dell'ineluttabilità. Era la saggezza imperiosa dell'eternità che irrideva alla futilità della vita e agli sforzi dell'umanità. Era il Wild
, il selvaggio Wild
della Terra del Nord, dal cuore di ghiaccio.
Ma in quella regione, sfidando il gelo, c'era la vita. Lungo il fiume ghiacciato scendeva a fatica una muta di cani lupi. Il loro pelo irsuto era coperto di brina. Ad ogni respiro, il vapore che usciva come un getto dalle loro bocche gelava subito e si posava, sotto forma di cristalli di ghiaccio, sulle loro pellicce. I cani erano bardati con finimenti di cuoio ed erano attaccati ad una slitta con tirelle pure di cuoio. La slitta non aveva pattini ed era fatta di robusta corteccia di betulla; aderiva alla neve con tutta la sua superficie.
La parte anteriore della slitta era sollevata e come ripiegata su se stessa, per cacciare sotto e ai fianchi la neve fresca, come se si trattasse di un'onda marina. Sulla slitta vi era una cassa oblunga, lunga e stretta, saldamente legata. Vi erano anche altre cose, delle coperte, una scure, una caffettiera e una padella; ma la cosa che più spiccava ed occupava maggiore spazio era la cassa oblunga.
Davanti ai cani vi era un uomo, che calzava delle larghe racchette da neve. Dietro alla slitta si affaticava un altro uomo. E sulla slitta, nella cassa, giaceva un terzo uomo per cui ogni fatica era cessata, un uomo che il Wild
aveva soggiogato ed abbattuto, fino a togliergli per sempre la possibilità di muoversi e di lottare. Il Wild
non ama il movimento. La vita è un'offesa per lui, perché la vita è movimento; e il Wild
mira ognora a distruggere il movimento. Gela le acque, per impedire la loro corsa verso il mare; succhia la linfa dagli alberi, finché il gelo raggiunge il loro cuore. Ma il Wild
incrudelisce soprattutto, nel modo più feroce e terribile, contro l'uomo, per schiacciarlo e soggiogarlo: l'uomo, in cui la vita scorre più irrequieta, l'uomo, ribelle alla legge che stabilisce che ogni movimento deve alla fine cessare.
Ciononostante, con coraggio indomito, uno davanti, l'altro dietro alla slitta, i due uomini che ancora non erano morti proseguivano nella loro fatica. Erano vestiti di pellicce e di morbide pelli conciate. Avevano le sopracciglia, le guance, le labbra coperte di ghiaccioli, formatisi dal condensarsi del loro respiro, così che non si potevano distinguere i loro volti. Sembravano maschere spettrali, impresari di pompe funebri, che, in un mondo spettrale, seguissero il funerale di
qualche fantasma. Ma sotto quell'apparenza erano uomini, che penetravano in quella regione desolata, beffarda e silenziosa, microbi dallo spirito avventuroso che si slanciavano in un'avventura colossale, e che volevano battersi contro un mondo potente, contro un mondo straniero, ostile e tragicamente immobile come gli abissi dello spazio.
Camminavano senza parlare, per non sprecare il fiato, necessario al faticoso lavoro. Ovunque era silenzio, un silenzio così intenso ed opprimente, che sembrava materializzarsi in qualcosa di tangibile. Opprimeva le loro menti alla maniera con cui l'acqua grava, con tutto il suo volume, sul palombaro. Li schiacciava col peso di una vastità infinita; li opprimeva fin nei più remoti recessi delle loro menti, spremendone, come si spreme il succo da un grappolo d'uva, tutti i falsi ardori, le esaltazioni e le eccessive presunzioni dell'animo umano. Ed essi non potevano non sentirsi dei piccoli esseri, polvere, atomi, che si muovevano goffamente e scioccamente in mezzo al giuoco equilibrato degli elementi ciechi e delle forze cosmiche.
Un'ora trascorse, e poi un'altra ancora. Già svaniva la pallida luce della breve giornata senza sole, quando nell'aria tranquilla si innalzò un debole grido lontano. Sorse improvviso, crebbe sino a raggiungere la nota più alta, che tenne per un poco, una nota forzata e palpitante, e poi lentamente morì. Avrebbe potuto essere il lamento di un'anima smarrita, se non fosse stato impregnato di una certa triste ferocia, di un ardore impaziente