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Racconti di Nativi Americani: La Terra dell’Aquila Maculata: A cura di Raffaella Milandri
Racconti di Nativi Americani: La Terra dell’Aquila Maculata: A cura di Raffaella Milandri
Racconti di Nativi Americani: La Terra dell’Aquila Maculata: A cura di Raffaella Milandri
E-book329 pagine5 ore

Racconti di Nativi Americani: La Terra dell’Aquila Maculata: A cura di Raffaella Milandri

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Info su questo ebook

La Terra dell’Aquila Maculata racconta nel dettaglio e con passione la vita dei Lakota. Quando Luther Standing Bear, Sicangu e Oglala Lakota, tornò alla riserva Sioux di Pine Ridge, lo sgomento e la rabbia per le condizioni del suo popolo lo portarono alla stesura di Land of the Spotted Eagle. Qui descrive le usanze e le tradizioni dei Lakota, parla dell'organizzazione sociale e politica, della famiglia e della religione, e narra ricordi e aneddoti personali. Standing Bear commenta anche l'importanza delle culture e dei valori dei Nativi in America e il loro status nella società americana. È un’opera provocatoria e polemica, che testimonia quanto lo spirito dell’autore fosse disilluso e amareggiato nei confronti delle politiche del Governo statunitense verso i Nativi Americani. Standing Bear scava a fondo nel pozzo della sua memoria, cercando di portare alla luce ogni preziosa goccia di informazione sul suo popolo. Un grande classico della letteratura nativa americana, tradotto per la prima volta in italiano e annotato da Raffaella Milandri.
L’Autore: Luther Standing Bear (1868-1939) fu un capo Oglala Lakota, noto come autore, educatore, attivista e attore nativo americano del XX secolo. Fu tra i primi studenti della tristemente famosa Carlisle Indian Industrial School, in Pennsylvania. Iniziò la sua carriera nel mondo dello spettacolo come interprete e danzatore con il Buffalo Bill Wild West Show, all'inizio del XX secolo. Dal 1910 agli anni ‘30 recitò in diversi film western. Lottò per preservare l'eredità e la sovranità dei Lakota e fu in prima linea per cambiare la politica del Governo nei confronti dei Nativi Americani.  
Il curatore:  Scrittrice e giornalista, Raffaella Milandri, attivista per i diritti umani dei Popoli Indigeni, è esperta studiosa dei Nativi Americani e laureata in Antropologia. È membro onorario della Four Winds Cherokee Tribe in Louisiana e della tribù Crow in Montana. Ha pubblicato oltre dieci libri, tutti sui Nativi Americani e sui Popoli Indigeni, con particolare attenzione ai diritti umani, in un contesto sia storico che contemporaneo. Si occupa della divulgazione della cultura e letteratura nativa americana in Italia e attualmente si sta dedicando alla cura e traduzione di opere di autori nativi. Tra le sue opere ricordiamo “Nativi Americani. Guida alle Tribù e alle Riserve Indiane degli Stati Uniti” (Mauna Kea, 2021), una opera completa e aggiornata sul mondo delle tribù indiane oggi. 
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2023
ISBN9788831335485
Racconti di Nativi Americani: La Terra dell’Aquila Maculata: A cura di Raffaella Milandri
Autore

Luther Standing Bear

Luther Standing Bear was a Sicangu and Oglala Lakota author, educator, philosopher, and actor. He worked to preserve Lakota culture and sovereignty, and was at the forefront of a Progressive movement to change government policy toward Native Americans. Standing Bear was one of the Lakota leaders of his generation who was born and raised in the oral traditions of his culture, but educated in white culture. He went on to write historical accounts in English about his people and their history. Standing Bear’s writings about his early life, years at the Carlisle Indian Industrial School, Wild Westing with Buffalo Bill, and life on the reservations presented a Native American viewpoint during the Progressive Era in American history. His commentary on Native American culture educated the American people, deepened public awareness, and created popular support to change government policies toward Native American groups. Standing Bear helped create the popular twentieth-century image that Native American culture is traditionally holistic and deeply respectful of nature. His works have become part of college syllabi in anthropology, literature, history, and philosophy, and constitute a legacy and treasury of Native American thought.

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    Anteprima del libro

    Racconti di Nativi Americani - Luther Standing Bear

    Frontespizio

    Luther Standing Bear

    La Terra dell’Aquila Maculata

    a cura di Raffaella Milandri

    Luther Standing Bear

    La Terra dell’Aquila Maculata

    Land of the Spotted Eagle (1933)

    Prefazione, traduzione e note

    a cura di Raffaella Milandri

    Prima edizione

    © 2023 MAUNA KEA EDIZIONI

    Prefazione di Raffaella Milandri

    Prefazione di Raffaella Milandri

    A chi ha letto Il mio Popolo, i Sioux (1928) di Luther Standing Bear, questo testo del 1933 potrebbe apparire di un autore diverso. È un’opera provocatoria e polemica, che testimonia quanto il suo spirito fosse disilluso e amareggiato. Si avverte nelle sue pagine una grande tensione tra i due mondi, quello nativo e quello dei bianchi, e i paragoni tra essi sono portati all’estremo, enfatizzando la positività della cultura e della vita Lakota e contrapponendole la negatività estrema della civiltà caucasica. Rabbia e orgoglio trasudano in buona parte del libro, in particolare negli ultimi capitoli. Mi ha dato la sensazione di un disperato e furioso canto del cigno che Standing Bear esibisce in nome del suo popolo avvilito e non più libero. Ma se oggi l’autore potesse vedere il suo popolo, i Lakota, e quanta forza ancora essi abbiano per difendere l’ambiente, anche contro gli oleodotti, e quanti sforzi stiano compiendo per salvaguardare la lingua e cultura nativa, nonché i loro diritti, probabilmente si rasserenerebbe, nella Terra delle Anime dei suoi antenati.

    Riporto qui una citazione di Frederick Hale, storico e teologo, che evidenzia proprio la differenza tra i due volumi dell’autore, entrambi da me curati e tradotti per la Mauna Kea: «Lo zelo di Standing Bear di ritrarre la tradizione del suo popolo in una luce favorevole lo ha portato a fare delle generalizzazioni [...]. I temi principali [...] sono che i Lakota erano un popolo vigoroso, armonioso, artisticamente talentuoso, spiritualmente vivace, moralmente retto e colto, ben adattato all’ambiente naturale nelle pianure prima dell'avvento della civiltà europea. [...] in misura ancora maggiore rispetto a Il mio popolo, i Sioux, Standing Bear ha descritto i Lakota e i loro modi tradizionali in termini entusiasmanti. In misura molto maggiore rispetto a Il mio popolo, i Sioux, i bianchi americani sono i cattivi imperialisti di La Terra dell‘Aquila maculata. Mentre nel primo volume Standing Bear li aveva alternativamente lodati e criticati, in quest'ultimo libro sono oggetto del suo disprezzo quasi incondizionato».

    Aggiungo quindi che lo sforzo etnografico di Standing Bear della prima parte del libro – supportato dall'assistenza di Melvin R. Gilmore, direttore di etnologia presso l'Università del Michigan – nel riportare usanze, tradizioni e canti del suo popolo dà l’impressione che abbia scavato a fondo nel pozzo della sua memoria, cercando di portare alla luce ogni preziosa goccia di informazione. Ne risulta senz’altro un testo apprezzabile e molto peculiare, anche se lacunoso da un punto di vista prettamente antropologico e, soprattutto, schierato con feroce determinazione a favore dei Nativi.

    NOTA LESSICALE

    Nella traduzione ho cercato di rispettare al massimo lo scritto originale e lo stile, effettuando aggiustamenti solo dove indispensabile per la scorrevolezza del testo. Ho spesso rispettato l’uso alterno dell’autore di tempo presente e passato. Ho aggiunto diverse annotazioni esplicative laddove necessario, oltre a fare alcune correzioni di refusi dal testo del 1933.

    Breve biografia

    Luther Standing Bear, Sicangu e Oglala Lakota, è cresciuto in un periodo in cui la vita tradizionale dei Sioux veniva erosa dall'influenza della cultura bianca. Nella sua vita adulta, come autore, attore e conferenziere, Standing Bear si adoperò per modificare la politica federale statunitense sugli Indiani. Nacque a metà degli anni '60 del XIX secolo e ricevette un'educazione tradizionale Sioux, ma nel 1879 lasciò la riserva per diventare uno dei primi a frequentare la Scuola Indiana di Carlisle in Pennsylvania. Nel 1891 trasferì la famiglia nella riserva di Pine Ridge, dove lavorò come insegnante, allevatore, impiegato dell'agenzia e assistente del sacerdote. Nel 1902 trascorse diversi mesi in Inghilterra come interprete nello spettacolo Wild West di Buffalo Bill. Fu eletto capo della banda paterna nel 1905. Nel 1912, Standing Bear si trasferì in California e lavorò nel cinema. Scoraggiato dalla rappresentazione cinematografica poco realistica degli Indiani d'America, iniziò a tenere conferenze e a scrivere a favore degli Indiani, diventando uno dei primi autori nativi più noti. Luther Standing Bear morì a Huntington Park, in California, il 19 febbraio 1939 mentre lavorava al film Union Pacific.

    DEDICATO A

    DEDICATO A

    Alla mia madre Indiana Pretty Face che, nel suo modo umile, ha contribuito a fare la storia del suo popolo. Perché sono le madri, non i guerrieri, a creare un popolo e a guidarne il destino.

    È questa perdita di valori che ha lasciato un vuoto nella vita degli Indiani, un vuoto che la civiltà non può colmare.

    La vecchia vita era in sintonia con il ritmo della natura, legata in modo mistico al sole, alla luna e alle stelle, alle erbe ondeggianti, ai ruscelli fluttuanti e ai venti sussurranti.

    Non si tratta (come molti scrittori bianchi amano dire) dell'uomo bianco che porta l'Indiano al suo livello di pensiero e di azione. È piuttosto un caso in cui l'uomo bianco farebbe meglio a cogliere un po' della forza spirituale dell'Indiano. Mi oppongo al fatto che il mio popolo sia chiamato selvaggio.

    Come può l'Indiano, che condivide tutte le virtù dell'uomo bianco, essere legittimamente chiamato selvaggio?

    La razza bianca oggi è civilizzata solo a metà e non è in grado di organizzare la sua vita in termini di pace e giustizia.

    Luther Standing Bear, The Tragedy of the Sioux .

    American Mercury 24, n. 95 (novembre 1931): 277.

    PREFAZIONE DELL’AUTORE

    PREFAZIONE DELL’AUTORE

    In questo libro cerco di raccontare ai miei lettori come vivevamo noi Lakota – le nostre usanze, le nostre abitudini, le nostre conoscenze e le nostre tradizioni – le cose che rendono tutti gli uomini ciò che sono. Ci sono ragioni per cui gli uomini vivono come vivono, pensano come pensano e si comportano come fanno; quindi, ci sono state forze che hanno reso il Lakota l'uomo che era.

    Gli uomini bianchi sembrano avere difficoltà a rendersi conto che persone che vivono in modo diverso da loro potrebbero ancora percorrere la strada della vita verso lo sviluppo e il progresso.

    Dopo quasi quattrocento anni di vita su questo continente, è ancora una concezione popolare, da parte della mente caucasica, considerare il Nativo Americano come un selvaggio, cioè un uomo povero nei pensieri e nei sentimenti e crudele nelle azioni; un barbaro, cioè un uomo incapace, quindi privo, di un alto pensiero filosofico sulla vita e sulle sue relazioni.

    Per questo selvaggio l'uomo bianco ha poco amore fraterno e poca comprensione. Dall'Indiano l'uomo bianco si allontana e si fa da parte, a malapena si degna di parlargli o di toccargli la mano in segno di un rapporto umano.

    Per l'uomo bianco molte cose fatte dall'Indiano sono inspiegabili, anche se continua a scrivere molto della sua vita materiale ed esteriore con spiegazioni il più delle volte errate. La vita interiore dell'Indiano è, ovviamente, un libro chiuso per l'uomo bianco.

    Perciò dalle pagine di questo libro parlo in nome dei Lakota, la tribù in cui sono nato. Ho raccontato la nostra vita esteriore e ho cercato di descrivere qualcosa della vita interiore: gli ideali, la religione, i concetti di bontà e fratellanza; le leggi di comportamento e il modo in cui ci siamo sforzati di raggiungere obiettivi di uguaglianza e giustizia.

    I Lakota sono oggi un popolo triste, silenzioso e in regressione, che subisce il destino di tutti gli oppressi. Oggi non vedete che un esemplare malridotto, una caricatura, se volete, dell'uomo che fu il Lakota. È stato forse un conquistatore gentile, saggio, disponibile e benevolo a creare questa situazione?

    Un ordine sociale reale, onesto, autenticamente superiore può creare un tale scempio? Il Nativo Americano non possedeva forse qualità umane di valore, se il caucasico fosse stato in grado di riconoscerle e accettarle? E non è stato forse un eccessivo senso di superiorità a causare questa cecità?

    A queste domande si può rispondere alla luce del senso di giustizia e della capacità di interpretazione del lettore.

    Per quanto riguarda me stesso, azzardo questo piccolo autocompiacimento e dico: della mia vecchia vita ho molto da ricordare con orgoglio. C'erano tra noi uomini lungimiranti e pieni di ideali etici e umani; c'erano grande onestà e lealtà; splendida fede e umiltà; nobile sacrificio e concetti elevati. Eravamo altruisti e devoti. In alcuni casi abbiamo ottenuto notevoli successi e siamo stati al passo con i tempi. Nel complesso, siamo riusciti a essere membri validi e meritevoli della nostra società, così come in molti paesi del mondo dominante riescono a esserci buoni membri della loro comunità.

    Ad ogni modo, la vita indiana è stata arricchita da amici bianchi brillanti e comprensivi, e uno di questi, un uomo di vera nobiltà d’animo, mi è stato di inestimabile aiuto nel leggere il mio manoscritto e nell'offrire suggerimenti: il professor Melvin Gilmore, Direttore di Etnologia all'Università del Michigan, di Ann Arbor in Michigan, egli stesso autore. In qualità di botanico di riconosciuto livello, ha fornito preziosi suggerimenti e la sua acuta conoscenza scientifica ha rinfrescato la mia memoria che si era un po' annebbiata a causa della interruzione del contatto con la terra in cui sono nato. Al professor Gilmore esprimo il mio più sincero apprezzamento, non solo per la sua assistenza in questo particolare lavoro, ma anche per la sua fedeltà nel ritrarre il popolo Sioux nelle sue opere pubblicate. La mia ultima parola è per rendere merito a mia nipote e segretaria, Wahcaziwin, che ora mi assiste nella scrittura e nella revisione. Tutte le difficoltà precedenti sono state eliminate, poiché il mio lavoro più duro è stato quello di farmi capire in tutti i dettagli e nelle complessità del pensiero e della vita indiana. Ma Wahcaziwin ha una comprensione ampia e completa, e quando parlo mi capisce perfettamente.

    Capo Standing Bear

    NOTA ESPLICATIVA

    Lakota è il nome tribale delle bande occidentali del popolo delle Pianure oggi conosciute come Sioux, mentre le bande orientali si chiamano Dakota. La parola Sioux non è indiana ma francese e, poiché l'autore si occupa delle usanze tribali del suo popolo, ha scelto di utilizzare l'antico nome tribale della banda cui appartiene.

    INTRODUZIONE a cura di Melvin R. Gilmore

    INTRODUZIONE a cura di Melvin R. Gilmore – Università Del Michigan

    Ho spesso pensato che fosse un gran peccato che il nostro popolo, la gente europea, fosse piombato in questa terra d'America e vi si fosse sparpagliato come uno straniero insensibile, invece di presentarsi come un amico disponibile, desideroso di conoscere a fondo le caratteristiche di bellezza e di interesse della terra e le ammirevoli qualità della sua gente.

    Gli indigeni erano in grado, disposti e pronti a farci da guida, a metterci a nostro agio nella terra che era la loro casa e a far sentire anche noi a casa nostra. Ma noi preferimmo iniziare e portare avanti, per quanto possibile, la rimozione e la distruzione di tutti gli oggetti di questa casa e sostituirli, che fossero adeguati o meno, con quelli della nostra precedente casa in Europa.

    Così abbiamo proceduto a distruggere, invece di adattarci e migliorare l'America. Abbiamo iniziato semplicemente a cercare di costruire una Nuova Spagna, una Nuova Francia, una Nuova Olanda e una Nuova Inghilterra. Invece di accettare i buoni doni di questa nuova terra e di questo nuovo popolo, e di aggiungervi i doni desiderabili del nostro bagaglio, arredando così completamente una casa veramente nuova e bella, li abbiamo rifiutati, e il nostro sforzo ha avuto come risultato la distruzione di un'incalcolabile bellezza originaria e di un carattere straordinario, al posto del quale siamo riusciti a stabilire una struttura di seconda mano, arredata con molti degli oggetti della vecchia casa cui eravamo abituati ma, qui, priva del suo senso di appropriatezza e innovazione. Abbiamo distrutto e scacciato molti incantevoli uccelli nativi e al loro posto abbiamo introdotto specie infestanti come lo storno e il passero domestico. Abbiamo cambiato il paesaggio e su vaste aree abbiamo distrutto tutta la vegetazione autoctona, e invece di fiori indigeni squisitamente belli e ricchi di varietà che appaiono in ondate di colore continuamente successive durante tutto il ciclo delle stagioni, sia nella foresta che nella prateria, ora abbiamo bardana, verbasco, dente di leone, carota selvatica e altri intrusi turbolenti.

    Nel frattempo, i Nativi d'America potevano solo guardare questa devastazione con inarticolato e doloroso stupore. Mentre avevano sempre vissuto in termini di amicizia e accordo con la natura, vedevano la nostra gente porsi in un antagonismo intenzionale con lo scopo di conquistare la natura, spesso semplicemente per il gusto di vincere.

    È strano che le persone di razza europea che entrarono in possesso di questo Paese non abbiano mai fatto conoscenza con i Nativi d'America. Invece di accettarli semplicemente come uno dei popoli di uomini del mondo, dotato di poteri di pensiero, emozioni e sentimenti come tutte le altre popolazioni, hanno sempre preferito vederli o in una luce nebulosa e spettrale o in una luce vivida altrettanto irreale. Stranamente, la nostra gente si è rifiutata di considerare i Nativi d'America come persone che hanno dovuto adattarsi al loro ambiente naturale e recuperare il cibo, i vestiti e il riparo necessari, nonché soddisfare le esigenze della loro natura estetica tra i doni naturali di questa terra.

    Essendo costantemente fraintesi, i Nativi d'America non sono stati in grado di trovare una vera espressione nei modelli di pensiero e di sentimento della razza straniera, e quindi sono stati per lo più muti o inespressivi. Ma ora alcuni rappresentanti della razza nativa americana stanno riuscendo in qualche modo e grado a rappresentare il pensiero, i sentimenti e la vita del loro popolo alla comprensione della razza aliena.

    In questa impresa, Land of the Spotted Eagle delinea in modo corretto l'antica vita dei nativi, in modo tale che l'intelligenza e il comune sentimento umano di tutti possano coglierla con facilità. Se il seguente paragrafo di questo libro venisse letto in modo approfondito e con comprensione da tutta la nostra gente, potrebbe contribuire a correggere molte false nozioni: "Non consideravamo ‘selvagge’ le grandi pianure aperte, le belle colline ondulate e i corsi d'acqua tortuosi con vegetazione rigogliosa. Solo per l'uomo bianco la natura era ‘selvaggia’ e solo per lui la terra era ‘infestata’ da animali ‘selvaggi’ e persone ‘selvagge’. Per noi era addomesticata. La terra era generosa e noi eravamo circondati dalle benedizioni del Grande Mistero. Solo quando arrivò l'uomo barbuto [1] dell'est e con brutale frenesia riversò le ingiustizie su di noi e sulle famiglie che amavamo, per noi fu ‘selvaggia’. Quando gli stessi animali della foresta cominciarono a fuggire al suo avvicinarsi, allora per noi iniziò il ‘selvaggio West’".

    CAPITOLO I - I GIORNI DELLA CULLA

    CAPITOLO I - I GIORNI DELLA CULLA

    Da neonato fui accudito e cresciuto come tutti i neonati della tribù Lakota. Avvolto in morbidi e caldi indumenti fatti di pelle di vitello di bisonte, quando non ero in braccio a mia madre, ero adagiato su una tavoletta rigida di pelle non conciata. Questa tavola era leggermente più lunga del mio corpo e si estendeva per qualche centimetro sotto i miei piedi e sopra la mia testa. Non aveva molle, era dura e non flessibile, ma teneva dritta la mia tenera schiena e permetteva al mio collo di diventare abbastanza forte da reggere la testa.

    Un'attenzione particolare era riservata alla testa di ogni bambino Lakota, perché un cranio rotondo e liscio era considerato molto bello e la madre Lakota, come tutte le madri, desiderava che il suo bambino fosse ammirato e lodato. Di conseguenza, era consuetudine confezionare per il neonato una cuffia resistente ma morbida e soffice, di pelle di cervo o di vitello di bisonte. Questo indumento si adattava perfettamente, ma veniva allargato man mano che il bambino cresceva di dimensioni. Per sei o otto mesi, o fino a quando la struttura ossea era morbida, il bambino portava questa cuffia per evitare che la testa si deformasse.

    Quando arrivava la notte, venivo preso dalla culla e il mio corpo riceveva ulteriori attenzioni. Venivo spogliato dei miei vestiti e messo su un giaciglio morbido accanto al fuoco, dove ero caldo e comodo. Tutto il mio corpo era accuratamente strofinato e pulito con grasso di bisonte. Mi era permesso di scalciare le gambe, di dondolare le braccia e di esercitare i muscoli. Il mio piccolo corpo bruno prendeva aria e si abituava a stare senza vestiti. L'obiettivo di mia madre era quello di abituarmi gradualmente a qualsiasi tipo di temperatura, perché sapeva che la mia salute dipendeva da questo. Così, subito dopo la nascita e anche nei mesi più freddi, questo allenamento era portato avanti. Divenne un rituale che veniva rispettato regolarmente e religiosamente e non ero mai messo a letto prima di essere stato pulito e massaggiato. Per un certo periodo di tempo tutti i bambini Lakota apparivano, come dicevano i Cinesi, tutta faccia.

    Questa premurosa cura mi era rivolta per mantenere il mio corpo in crescita sano e ben formato, proprio come era alla nascita. Si voleva che diventassi un uomo dal fisico robusto e con gambe e braccia dritte, senza difetti o imperfezioni.

    I miei muscoli dovevano essere tonici e dovevo usarli con agilità e grazia. Dovevo imparare a correre, arrampicarmi, nuotare, cavalcare e saltare con la stessa facilità con cui la maggior parte delle persone cammina.

    La maturità dell’uomo era pianificata fin dalla prima infanzia. Mia madre stava crescendo un futuro protettore della tribù. Quando i giorni della vecchiaia e della debolezza sarebbero arrivati per i più forti e attivi, ci sarebbe stato chi avrebbe preso il loro posto. Io mi stavo preparando per prendere uno di questi posti di responsabilità nella tribù.

    Per i primi sei anni della mia vita, il pensiero di mia madre era così fortemente incentrato su di me che sacrificò persino la compagnia di mio padre per dedicarmi tutto il suo tempo. Un bambino debole o gracile era una vergogna per una madre Lakota. Sarebbe stata la prova per la tribù che non stava dedicando al figlio il giusto tempo e le giuste attenzioni e che non stava adempiendo ai suoi doveri verso la tribù. Inoltre, sarebbe stata la prova che non aveva usato il giusto senso di responsabilità sociale e che aveva violato una tradizione secolare. La legge dei Lakota prevedeva che per i primi sei anni di vita il bambino dovesse essere affidato alle cure incondizionate della madre e che non dovessero nascere altri figli nell'arco di quei sei anni. Infrangere questa legge significava perdere il rispetto della tribù, e sia il padre sia la madre ne avrebbero subite le conseguenze. Un bambino bello e sano era quindi un segno di orgoglio e di rispetto, e i bambini sani erano la regola. Per quanto riguarda i bambini invalidi o malformati, non ne ho mai conosciuto uno nato così. Occasionalmente, tuttavia, un bambino nasceva con un marchio blu o rosso sul corpo, ma questo non destava alcuna preoccupazione, non avendo nulla a che fare con la salute del bambino.

    Tra gli adulti, un invalido era tale a causa di qualche incidente di vita o di guerra. Di tanto in tanto un uomo o una donna erano afflitti da una bocca storta o che cadeva all'angolo. La spiegazione di questa condizione era che la persona colpita aveva parlato in modo scortese o maligno di un'altra persona che era passata alla terra degli spiriti. Lo spirito di colui che era stato offeso e che tornava in uno stato di risentimento si avvicinava all'offensore e lo spaventava con un rapido fischio. Il colpevole, spaventato, si girava velocemente nella direzione del suono e il suo viso si abbassava in un angolo. Nessun innocente poteva udire il fischio dello spirito, ma l’offensore che lo sentiva era marchiato a vita. Il senso di colpa veniva il tal modo rivelato. Così divenne una cattiva condotta per un Lakota parlare male di un altro, e l'abitudine di parlare lentamente e con attenzione, con parole prudenti, divenne l'abitudine consueta.

    Il rigido pezzo di pelle non conciata su cui ero tenuto per la maggior parte del giorno non era per nulla scomodo con la sua morbida imbottitura di pelle di bisonte. Essendo così semplice da costruire, permetteva a mia madre di portarmi con sé mentre era impegnata nelle faccende domestiche. La mia testa era poggiata sulla tavola e non poteva oscillare all'indietro mentre lei camminava o si muoveva per lavoro o cavalcava il suo pony. Questa culla non era pensata per essere esteticamente attraente, ma solo per essere un oggetto di uso quotidiano. Nelle occasioni di festa venivo portato in giro in una graziosa culla fatta di tavole di pelle lisce e ricoperte della più morbida pelliccia di daino. Anche il cappuccio era di pelle di daino, decorato con aculei di porcospino tinti nei colori più brillanti. A questo cappuccio vivacemente colorato erano fissate frange di piume d'aquila anch’esse tinte in colori vivaci. Veniva mantenuto profumato con wahpe waste mna o foglioline odorose.

    Per sei o otto mesi passai molto tempo in una di queste culle.

    Quando l'accampamento si spostava, la mamma mi metteva sulla schiena e mi avvolgeva con la sua coperta. A volte mi metteva sul travois [2] per un viaggio, ma non spesso. Se cavalcava il suo pony, prima montava e poi mi caricava insieme a lei, legandomi saldamente con la sua coperta. Quando fui abbastanza grande da stare seduto, mi metteva a cavalcioni del cavallo, davanti a lei. Naturalmente non ricordo la prima volta che ho cavalcato in questo modo, ma non ricordo nemmeno di aver imparato a cavalcare da solo.

    La maggior parte del lavoro della mamma si svolgeva portandomi nella culla sulla schiena. Caricava e scaricava i suoi cavalli e ha persino montato il suo tipi portandomi in questo modo. Quando lavorava dentro al tipi , spesso appoggiava la mia culla a qualcosa, in modo che rimanessi in posizione eretta. In questo modo potevo guardarmi intorno e, sicuramente, osservavo i movimenti della mamma mentre lavorava, la ascoltavo mentre mi parlava o mi cantava delle canzoncine. Se mi addormentavo, mi tirava fuori dalla culla ed io dormivo mentre lei mi guardava.

    Nella maggior parte dei casi un neonato Lakota era vestito in modo semplice e leggero, ma la realizzazione del materiale per gli indumenti richiedeva molto tempo e molta cura. Le madri preferivano una leggera pelle di daino o di vitello di bisonte non nato per questi utilizzi. Se conciate correttamente, nessun materiale prodotto dall'uomo può eguagliare queste pelli per consistenza di tessuto e qualità. Quando il processo di conciatura è completato, queste pelli sono squisitamente bianche, più ricche di lucentezza di una stoffa fine e più morbide del velluto. La donna Lakota lavava questi indumenti in acqua e, strofinandoli, li riportava alla morbidezza e al candore originali. Gli indumenti da indossare erano decorati con frange, piume e pitture. Per scopi igienici si usava la lanugine dei baccelli del pioppo, l'albero del cotone.

    In autunno anche le code di gatto (cattail) fornivano una morbida peluria soffice, ma la lanugine di cotone era preferibile. Nessun articolo simile prodotto nelle fabbriche può eguagliare questa lanugine per la sua consistenza setosa, così leggera da fluttuare nell'aria in una giornata senza vento. Inoltre, le scorte erano abbondanti e le donne le tenevano in grandi sacchi di pelle di cervo.

    Per scopi igienici venivano conservati anche dei buffalo chips [3] finemente polverizzati, molto efficaci per lo scopo prefissato.

    Mentre il bambino Lakota continuava a crescere, aveva la costante compagnia di un anziano; se non il padre o la madre, allora la zia, lo zio o uno dei numerosi cugini della banda.

    I bambini erano sempre i benvenuti tra gli anziani. Ogni bambino non solo apparteneva a una determinata famiglia, ma apparteneva anche alla banda, e non importava dove si fosse allontanato quando era in grado di camminare, era sempre a casa, perché tutti nella banda vantavano un legame. La mamma mi ha raccontato che spesso ero portato in giro per il villaggio da tipi a tipi e che a volte mi vedeva solo di tanto in tanto durante il giorno. Venivo trasferito da parente a parente e qualcuno mi intratteneva continuamente.

    Gran parte della cura di un bambino spettava alla nonna, che per certi aspetti era importante nella vita del bambino quanto la madre. L'interesse delle donne anziane si concentrava sul benessere dei bambini e, possedendo esperienza e saggezza, si faceva molto affidamento su di loro. Questa conoscenza riguardo alle pratiche di accudimento dei piccoli dava alla nonna una posizione di superiorità, soprattutto nei confronti delle donne e delle madri più giovani. Le permetteva di avere un ruolo come educatrice e consigliera nella sua banda. Inoltre, era un lavoro più leggero rispetto al trasporto di legna e acqua e alla conciatura delle pelli, compiti di cui si occupavano le donne più giovani e più forti.

    Le nonne erano abili nel preparare il cibo per i bambini, e la maggior parte aveva una schiera di piccoli che correva sempre dietro di loro. Quando i bambini avevano fame, quasi sempre si affrettavano dalla nonna per prima a chiedere cibo e non la si trovava mai sprovvista di scorte. Né ai bambini veniva mai rifiutata la loro richiesta di cibo. C'era una prelibatezza speciale che richiedeva tempo e pazienza per essere preparata e di cui tutti i bambini erano ghiotti. Era la wasna ed era compito della nonna prepararla. La wasna era composta di carne secca e bacche essiccate pestate insieme, con tutti i semi, fino a ottenere una fine consistenza. Questa preparazione veniva accuratamente mescolata e tenuta insieme in filoni o panetti dal grasso scremato delle ossa bollite del bisonte. Non era solo un cibo delizioso, ma anche un alimento salutare per i bambini che iniziavano a mangiare alimenti solidi. Nessuno poteva reclamare il lavoro ufficiale della nonna come preparatrice di wasna .

    La nonna si occupava di tutti i nostri giocattoli. I giocattoli invernali li riponeva in estate. Quando arrivava l'inverno, riponeva i giocattoli estivi. Faceva dei bei sacchetti in cui riponeva le biglie, le trottole e altri giocattoli.

    La maggior parte delle nonne sembrava essere più felice quando si occupava di un certo numero di bambini. Ricordo una nonna in particolare per la sua passione per i bambini. Questa nonna – ho dimenticato il suo nome – apparteneva alla banda di mio nonno, il capo One Horse. Questa anziana signora visse fino a una tarda età, ma prima di morire fu colpita da cecità. Anche con questo grave problema, però, non poté rinunciare a prendersi cura dei suoi piccoli.

    Un giorno chiamò a raccolta tutti i bambini e iniziò a pitturare i loro volti. Questo era un impegno quotidiano per qualcuno, ed era il suo modo di aiutare. I bambini si raggrupparono intorno a lei, ognuno aspettando il proprio turno. I suoi sacchetti di pittura erano vicini e rapidamente tutti i bambini furono sistemati. Ma ben presto i bambini cominciarono a sentire una strana sensazione di stiramento del viso, come se fosse tutto raggrinzito in un punto. Cominciarono a guardarsi l'un l'altro e scoprirono che ogni piccolo viso bruno era punteggiato di bianco e in alcuni punti era indurito. Allora le madri curiose cominciarono a guardare i loro figli. Si scoprì subito che la nonna aveva confuso i suoi sacchetti di sale con quelli di pittura e ogni bambino era stato generosamente salato invece che pitturato. Questo incidente causò una grande

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