Poesie
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Poesie - Guido Gozzano
Poesie
Guido Gozzano
In copertina: Henri Matisse, Pianista e giocatori di dama, 1924 National Gallery of Art Washington
© 2011 REA Edizioni
Via S.Agostino 15
67100 L’Aquila
Tel diretto 348 6510033
www.reamultimedia.it
redazione@reamultimedia.it
La Casa Editrice esperite le pratiche per acquisire tutti i diritti relativi alla presente opera, rimane a disposizione di quanti avessero comunque a vantare ragioni in proposito.
Indice
LA VIA DEL RIFUGIO
La via del rifugio
L'analfabeta
Le due strade
Il responso
L'amica di nonna Speranza
I sonetti del ritorno
La differenza
Il filo
Ora di grazia
Speranza
L'inganno
Parabola
Ignorabimus
La morte del cardellino
L'intruso
La forza
La medicina
Il sogno cattivo
Miecio Horszovski
In morte di Giulio Verne
La bella del Re
Il giuramento
Nemesi
Un rimorso
L'ultima rinunzia
I COLLOQUI
Il giovenile errore
I colloqui
L'ultima infedeltà
Le due strade
Elogio degli amori ancillari
Il gioco del silenzio
Invernale
L'assenza
Convito
Alle soglie
Il più atto
Salvezza
Paolo e Virginia
La signorina Felicita ovvero la Felicità
L'amica di nonna Speranza
Cocotte
Il reduce
Totò Merùmeni
Una risorta
Un'altra risorta
L'onesto rifiuto
Torino
In casa del sopravissuto
Pioggia d'agosto
I colloqui
LE FARFALLE
epistole entomologiche
Storia di cinquecento Vanesse
Dei bruchi
Delle crisalidi
Monografia di varie specie
Del parnasso
Parnassus Apollo
Della cavolaia
Pieris brassicae
Dell'aurora
Anthocaris cardamines
Dell'ornitottera
Ornithoptera Pronomus
Della testa di morto
Acherontia Atropos
Della passera dei santi
Macroglossa Stellatarum
POESIE SPARSE
Primavere romantiche
La preraffaelita
Vas voluptatis
Il Castello d'Agliè
Laus Matris
Parabola dei frutti
L'incrinatura
La falce
Suprema quies
A Massimo Bontempelli
L'Antenata
Il viale delle Statue
Il frutteto
Domani
I Fratelli
Garessio
L'esilio
La loggia
A un demagogo
Il modello
Mammina diciottenne
L'invito
Elogio del sonetto
La beata riva
«Non radice, sed vertice...»
L'altro
Le golose
Al mio Adolfo
Nell'Abazia di San Giuliano
L'ipotesi
Il commesso farmacista
«Historia»
L'esperimento
[Stecchetti]
Congedo
La più bella
Le non godute
L'amico delle crisalidi
Dante
«Ex voto»
La statua e il ragno crociato
Im Spiele der Wellen
Ad un'ignota
Ketty
Risveglio sul Picco d'Adamo
La bella preda
[Ah! Difettivi sillogismi!]
La ballata dell'Uno
La messaggiera senza ulivo
La basilica notturna
Ai soldati alladiesi combattenti
Prologo
Carolina di Savoia
La culla vuota
LA MORTE INVISIBILE
Natale
Pasqua
La Befana
Oroscopo
Dolci rime
Prima delusione
La canzone di Piccolino
(dal bretone)
La Notte Santa
LA VIA DEL RIFUGIO
La via del rifugio
Trenta quaranta,
tutto il Mondo canta
canta lo gallo
risponde la gallina...
Socchiusi gli occhi, sto
supino nel trifoglio,
e vedo un quatrifoglio
che non raccoglierò.
Madama Colombina
s'affaccia alla finestra
con tre colombe in testa:
passan tre fanti...
Belle come la bella
vostra mammina, come
il vostro caro nome,
bimbe di mia sorella!
...su tre cavalli bianchi:
bianca la sella
bianca la donzella
bianco il palafreno...
Ne fare il giro a tondo
estraggono le sorti.
(I bei capelli corti
come caschetto biondo
rifulgono nel sole.)
Estraggono a chi tocca
la sorte, in filastrocca
segnado le parole.
Socchiudo gli occhi, estranio
ai casi della vita.
Sento fra le mie dita
la forma del mio cranio...
Ma dunque esisto! O Strano!
vive tra il Tutto e il Niente
questa cosa vivente
detta guidogozzano!
Resupino sull'erba
(ho detto che non voglio
raccorti, o quatrifoglio)
non penso a che mi serba
la Vita. Oh la carezza
dell'erba! Non agogno
cha la virtù del sogno:
l'inconsapevolezza.
Bimbe di mia sorella,
e voi, senza sapere
cantate al mio piacere
la sua favola bella.
Sognare! Oh quella dolce
Madama Colombina
protesa alla finestra
con tre colombe in testa!
Sognare. Oh quei tre fanti
su tre cavalli bianchi:
bianca la sella,
bianca la donzella!
Chi fu l'anima sazia
che tolse da un affresco
o da un missale il fresco
sogno di tanta grazia?
A quanti bimbi morti
passò di bocca in bocca
la bella filastrocca
signora delle sorti?
Da trecent'anni, forse,
da quattrocento e più
si canta questo canto
al gioco del cucù.
Socchiusi gli occhi, sto
supino nel trifoglio,
e vedo un quatrifoglio
che non raccoglierò.
L'aruspice mi segue
con l'occhio d'una donna...
Ancora si prosegue
il canto che m'assonna.
Colomba colombita
Madama non resiste,
discende giù seguita
da venti cameriste,
fior d'aglio e fior d'aliso,
chi tocca e chi non tocca...
La bella filastrocca
si spezza d'improvviso.
«Una farfalla!» «Dài!
Dài!» - Scendon pel sentiere
le tre bimbe leggere
come paggetti gai.
Una Vanessa Io
nera come il carbone
aleggia in larghe rote
sul prato solatio,
ed ebra par che vada.
Poi - ecco - si risolve
e ratta sulla polvere
si posa della strada.
Sandra, Simona, Pina
silenziose a lato
mettonsile in agguato
lungh'essa la cortina.
Belle come la bella
vostra mammina, come
il vostro caro nome
bimbe di mia sorella!
Or la Vanessa aperta
indugia e abbassa l'ali
volgendo le sue frali
piccole antenne all'erta.
Ma prima la Simona
avanza, ed il cappello
toglie ed il braccio snello
protende e la persona.
Poi con pupille intente
il colpo che non falla
cala sulla farfalla
rapidissimamente.
«Presa!» Ecco lo squillo
della vittoria. «Aiuto!
È tutta di velluto:
Oh datemi uno spillo!»
«Che non ti sfugga, zitta!»
S'adempie la condanna
terribile; s'affanna
la vittima trafitta.
Bellissima. D'inchiostro
l'ali, senza rintocchi,
avvivate dagli occhi
d'un favoloso mostro.
«Non vuol morire!» «Lesta!
ché soffre ed ho rimorso!
Trapassale la testa!
Ripungila sul dorso!»
Non vuol morire! Oh strazio
d'insetto! Oh mole immensa
di dolore che addensa
il Tempo nello Spazio!
A che destino ignoto
si soffre? Va dispersa
la lacrima che versa
l'Umanità nel vuoto?
Colombina colombita
Madama non resiste:
discende giù seguita
da venti cameriste...
Sognare! Il sogno allenta
la mente che prosegue:
s'adagia nelle tregue
l'anima sonnolenta,
siccome quell'antico
brahamino del Pattarsy
che per racconsolarsi
si fissa l'umbilico.
Socchiudo gli occhi, estranio
ai casi della vita;
sento fra le mie dita
la forma del mio cranio.
Verrà da sé la cosa
vera chiamata Morte:
che giova ansimar forte
per l'erta faticosa?
Trenta quaranta
tutto il Mondo canta
canta lo gallo
canta la gallina...
La Vita? Un gioco affatto
degno di vituperio,
se si mantenga intatto
un qualche desiderio.
Un desiderio? sto
supino nel trifoglio
e vedo un quatrifoglio
che non raccoglierò.
L'analfabeta
Nascere vide tutto ciò che nasce
in una casa, in cinquant'anni. Sposi
novelli, bimbi... I bimbi già corrosi
oggi dagli anni, vide nella fasce.
Passare vide tutto ciò che passa
in una casa, in cinquant'anni. I morti
tutti, egli solo, con le braccia forti
compose lacrimando nella cassa.
Tramonta il giorno, fra le stelle chiare,
placido come l'agonia del giusto.
L'ottuagenario candido e robusto
viene alla soglia, con il suo mangiare.
Sorride un poco, siede sulla rotta
panca di quercia; serra per sostegno
fra i ginocchi la ciotola di legno;
mangia in pace così, mentre che annotta.
Con la barba prolissa come un santo
arissecchito, calvo, con gli orecchi
la fronte coronati di cernecchi
il buon servo somiglia il Tempo... Tanto,
tanto simile al Nume pellegrino,
ch'io lo vedo recante nella destra
non la ciotola colma di minestra,
ma la falce corrusca e il polverino.
Biancheggia tra le glicini leggiadre
l'umile casa ove ritorno solo.
Il buon custode parla: «O figliuolo,
come somigli al padre di tuo padre!
Ma non amava le città lontane
egli che amò la terra e i buoni studi
della terra e la casa che tu schiudi
alla vita per poche settimane...».
Dolce restare! E forza è che prosegua
pel mondo nella sua torbida cura
quei che ritorna a questa casa pura
soltanto per concedersi una tregua;
per lungi, lungi riposare gli occhi
(di che riposi parlano le stelle!)
da tutte quelle sciocche donne belle,
da tutti quelli cari amici sciocchi...
Oh! il piccolo giardino ormai distrutto
dalla gramigna e dal navone folto...
Ascolto il buon silenzio, intento, ascolto
il tonfo malinconico d'un frutto.
Si rispecchia nel gran Libro sublime
la mente faticata dalle pagine,
il cuore devastato dall'indagine
sente la voce delle cose prime.
Tramonta il giorno. Un vespero d'oblio
riconsola quest'anima bambina;
giunge un riso, laggiù dalla cucina
e il ritmo eguale dell'acciottolio.
In che cortile si lavora il grano?
Sul rombo cupo della trebbiatrice
s'innalza un canto giovine che dice:
anche il buon pane - senza sogni - è vano!
Poi tace il grano e la canzone. I greggi
dormono al chiuso. Nella sera pura
indugia il sole: «Or fammi un po' lettura:
te beato che sai leggere! Leggi!».
Me beato! Ah! Vorrei ben non sapere
leggere, o Vecchio, le parole d'altri!
Berrei, inconscio di sapori scaltri,
un puro vino dentro il mio bicchiere.
E la gioia del canto a me randagio
scintillerebbe come ti scintilla
nella profondità della pupilla
il buon sorriso immune dal contagio.
Gli leggo le notizie del giornale:
i casi della guerra non mai sazia
e l'orrore dei popoli che strazia
la gran necessità di farsi male.
Ripensa i giorni dell'armata Sarda,
la guerra di Crimea, egli che seppe
la tristezza ai confini delle steppe
e l'assedio nemico che s'attarda.
Poi cade il giorno col silenzio. Poi
rompe il silenzio immobile di tutto
il tonfo malinconico d'un frutto
che giunge rotolando sino a noi.
E m'inchino e raccolgo e addento il pomo...
Serenità!... L'orrore della guerra
scende in me: cittadino della Terra,
in me: concittadino d'ogni uomo.
Ora il vecchio mi parla d'altre rive
d'altri tempi, di sogni... E più m'alletta
di tutte, la parola non costretta
di quegli che non sa leggere e scrivere.
Sereno è quando parla e non disprezza
il presente pel meglio d'altri tempi:
«O figliuolo il meglio d'altri tempi
non era che la nostra giovinezza!».
Anche dice talvolta, se mi mostro
taciturno: «Tu hai l'anima ingombra.
Tutto è fittizio in noi: e Luce ed Ombra:
giova molto foggiarci a modo nostro!
E se l'ombra s'indugia e tu rimuovine
la tristezza. Il dolore non esiste
per chi s'innalza verso l'ora triste
con la forza d'un cuore sempre giovine.
Fissa il dolore e armati di lungi,
ché la malinconia, la gran nemica,
si piega inerme, come fa l'ortica
che più forte l'acciuffi e men ti pungi».
E viene allo scrittoio, se m'indugio:
«Ah! Già i capelli ti si fan più radi,
sei pallido... Da tempo è che non badi
per queste carte al remo e all'archibugio.
Chi troppo studia e poi matto diventa!
Giova il saper al corpo che ti langue?
Vale ben meglio un'oncia di buon sangue
che tutta la saggezza sonnolenta».
Così ragiona quegli che non crede
la troppo umana favola d'un Dio,
che rinnegò la chiesa dell'oblio
per la necessità d'un'altra fede.
Dice: «Ritorna il fiore e la bisavola.
Tutto ritorna vita e vita in polve:
ritorneremo, poiché tutto evolve
nella vicenda d'un'eterna favola».
Ma come, o Vecchio, un giorno fu distrutto
il sogno della tua mente fanciulla?
E chi ti apprese la parola nulla,
e chi ti apprese la parola tutto?
Certo, fissando un cielo puro, un fiume
antico, meditando nello specchio
dell'acque e delle nubi erranti, il Vecchio
lesse i misteri, come in un volume.
Come dal tutto si rinnovi in cellula
tutto; e la vita spenta dei cadaveri
resusciti le selve ed i papaveri
e l'ingegno dell'uomo e la libellula.
Come una legge senza fine domini
le cose nate per se stesse, eterne...
Tanto discerne quei che non discerne
i segni convenuti dagli uomini.
Ma come cadde la tua fede illesa:
fede ristoratrice d'ogni piaga
per l'anima fanciulla che s'appaga
nei simulacri della Santa Chiesa?
Come vedi le cose? Senza fedi,
stanco, sul limitare della morte,
sai vivere sereno, o vecchio forte,
sorridere pacato... Come vedi?
Guardi le stelle attingere i fastigi
dell'abetaia, contro il cielo, e l'orsa
volger le sette gemme alla sua corsa:
senti il ritmo macàbro delle strigi
e il frullo della nottola ed il frullo
della falena... Pel sereno illune
spazi tranquillo, vecchio saggio immune.
La tua pupilla è quella d'un fanciullo.
Qualche cosa tu vedi che non vedo
in quell'immensità, con gli occhi puri: