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Un Mondo Ecosostenibile

Effetto Antropocene

Effetto Antropocene

Che dopo la metà degli anni ’50 si sia reso manifesto un processo mai conosciuto dalla comparsa del primo uomo sulla terra è cosa oramai compresa e sempre più analizzata. Importanti scienziati che lavorano nel campo della ricerca sul clima e sull’ambiente hanno chiamato “Antropocene” il periodo della storia della Terra corrispondente all’età moderna della storia dell’uomo (in greco “anthropos”).

L’idea è che a partire dall’inizio dell’era industriale, dei cambiamenti nel regime dei venti, nei fenomeni meteorologici e nella copertura nuvolosa hanno influenzato lo stato generale dell’atmosfera, la circolazione oceanica, l’estensione dei ghiacci e la desertificazione; gli stessi fattori sono importanti per la crescita delle piante e l’evoluzione degli ecosistemi. Se questo processo, ed i suoi effetti sono tutti da comprendere e, quindi da scrivere, altrettanto vero è che vari fenomeni manifesti creano non poche preoccupazioni a livello mondiale. Fenomeni come la desertificazione, la perdita di fertilità di varie regioni del pianeta, i cambiamenti climatici e cosi via, rappresentano aspetti di complessa comprensione e di ancor più complessa soluzione. Eppure dietro a tante notizie allarmanti, forse qualcosa di nuovo va delineandosi all’orizzonte. La notizia, apparentemente in controtendenza viene direttamente dalla NASA. L’Agenzia Spaziale Americana ha pubblicato recentemente una notizia che ci sembra il caso di divulgare. Ricerche, condotte da un team di ricercatori della NASA, dimostrano che da circa venti anni in alcune regioni del nostro pianeta la vegetazione sta diventando sempre più rigogliosa, mentre in altre avanza il deserto.
Dall’analisi dei dati raccolti da alcuni satelliti in orbita intorno al nostro pianeta, un team di ricercatori della NASA guidato dal dott. Liming Zhou dell’Università di Boston, ha scoperto che la vegetazione di alcune regioni terrestri settentrionali starebbe diventando sempre più rigogliosa.Questo processo, iniziato agli inizi degli anni ottanta, andrebbe lentamente progredendo di anno in anno, coinvolgendo in particolare le latitudini settentrionali, dai 40 gradi in poi. A cosa si deve imputare tutto ciò? “Probabilmente gioca un ruolo fondamentale l’aumento della temperatura del pianeta e l’allungamento delle stagioni calde – afferma Liming Zhou – Abbiamo riscontrato, infatti, una stretta dipendenza tra l’aumento termico medio del pianeta e quello della vegetazione”. In realtà le aree verdi non si sono estese ma, piuttosto, si sono infittite soprattutto nell’Europa Centrale e nell’Asia (dalla Siberia alle estreme regioni orientali della Russia). A questa conclusione si è giunti dopo aver analizzato i dati raccolti dal Global Historical Climate Network che conta migliaia di stazioni meteorologiche distribuite su tutta la superficie del pianeta. Il dott. James Hansen del Goddard Institute sugli Studi Spaziali di New-York della NASA è il responsabile dell’analisi di questi dati. Egli ha evidenziando che è in atto una variazione climatica in Europa, Asia e America del Nord, sia pure in termini differenti. In particolare nel continente euroasiatico si registra un allungamento della stagione calda di 21 giorni (con un anticipo della Primavera di una settimana e un posticipo dell’Autunno di 12 giorni), mentre nel continente Americano l’Estate si è allungata mediamente di 12 giorni. Il dott. Ranga Myneni dell’Università di Boston, sostiene che l’aumento della vegetazione può determinare ripercussioni nel ciclo dell’anidride carbonica e, quindi, dell’effetto serra. Il biossido di carbonio è, infatti, il principale elemento responsabile dell’aumento termico della Terra e una sua variazione avrebbe, sicuramente, delle conseguenze sul nostro clima”. Questo lavoro di ricerca è stato appena pubblicato sul numero di settembre della prestigiosa rivista scientifica internazionale Journal of Geophysical Research Atmosferes.

Guido Bissanti





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