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COMUNE DI MILANO Raccolte d’Arte Antica Raccolte d’Arte Applicata Raccolte Extraeuropee Museo degli Strumenti Musicali Gabinetto Numismatico e Medagliere Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli Archivio Fotografico Gabinetto dei Disegni RASSEGNA DI STUDI E DI NOTIZIE Vol. XXXIII - Anno XXXVII CASTELLO SFORZESCO SETTORE MUSEI MILANO 2010 COMITATO DI REDAZIONE Membri CLAUDIO SALSI Direttore LAURA BASSO Conservatore delle Raccolte d’Arte Antica ARNALDA DALLAJ Conservatore del Gabinetto dei Disegni RODOLFO MARTINI Conservatore del Gabinetto Numismatico e Medagliere GIOVANNA MORI Conservatore della Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli CAROLINA ORSINI Conservatore delle Raccolte Extraeuropee SILVIA PAOLI Conservatore delle Raccolte Fotografiche FRANCESCA TASSO Conservatore delle Raccolte d’Arte Applicata e del Museo degli Strumenti Musicali PAOLO BELLINI GRAZIA BISCONTINI UGOLINI ROSSANA BOSSAGLIA GRAZIETTA BUTAZZI ALBERTO MILANO OLEG ZASTROW Direttore Responsabile CLAUDIO SALSI Direttore del Settore Musei del Comune di Milano Redazione di ILARIA BRUNO, ELENA OTTINA Autorizzazione Tribunale di Milano n. 321 del 17-10-74 INDICE Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli Alessia Alberti - Le Tavole moderne di Geografia di Antonio Lafréry. Note sull’esemplare della Raccolta Bertarelli ……………………… Pag. 13 Maria Goldoni - La Sentenza contro Gesù Cristo: qualche aspetto italiano di un’iconografia europea …………..…………………… » 45 Alberto Milano - Per la datazione delle ultime xilografie edite dai Remondini ……………………………...………..………………… » 87 » 111 Marco Albertario, Giulio Perotti - Giovanni Angelo Del Maino 1517-1518: la Madonna dal Compianto di Morbegno …………… » 129 Andrea Bardelli - Proposta di attribuzione e modelli iconografici per alcuni sedili intarsiati nelle Raccolte del Castello Sforzesco …………………………………………………………… » 183 Gabinetto dei Disegni Alessandra Guzzi Piola - Cartouches di Bernardo Castello e Camillo Cungi ……………………….…….……………………………… Raccolte d’Arte Applicata Paola Cordera - Un musée remarquable. Il contributo del collezionismo ottocentesco alla raccolta di smalti dipinti del Museo Artistico Municipale ………………………………………………………… RASSEGNA DI STUDI E DI NOTIZIE Pag. 197 Benedetta Gallizia di Vergano- Candelabri per l’uso della Corte: da Parigi aMilano, i primi anni di attività dello stabilimento dell’Eugenia ………………………………………………………… » 219 Oleg Zastrow - La vasta diffusione di un raffinato Crocifisso rinascimentale e la sua controversa attribuzione …………………… » 235 » 261 Elena Bugini - Un cavigliere ‘al maschile’ di mantegnesca austerità. Il frammento di violone INV. N. 198 del Castello Sforzesco di Milano » 279 Alessandro Restelli - La Pochette «Antonio Cati». Questioni di attribuzione ………………………………………………………… » 303 Raccolte Extraeuropee Daniela Cecutti - Le mattonelle siriane delle collezioni del Castello Sforzesco di Milano ………………………………………………… Museo degli Strumenti Musicali Giovanni Angelo Del Maino 1517-1518 La Madonna dal Compianto di Morbegno Marco Albertario, Giulio Perotti A i primi di novembre del 2007, nel corso di un sopralluogo disposto del nuo- vo arciprete di Morbegno don Andrea Salandi, il restauratore Aldo Broggi e il collaboratore parrocchiale Marco Rapella rinvenivano una statua lignea della Madonna collocata sopra un alto armadio nella sacrestia est della collegiata di San Giovanni Battista (FIGG. 1, 4, 5). Nonostante la decorazione pittorica piuttosto rozza, la statua è subito apparsa di straordinaria fattura, e concepita non isolatamente, ma destinata a far parte di un Compianto. La Madonna si presenta infatti sopraffatta dallo strazio, mentre perde le forze e ricade all’indietro con una struggente smorfia di dolore di fronte al corpo esanime di Cristo. Fino agli inizi degli scorsi anni Novanta, si trovava nella nicchia dell’altare del Crocifisso (quarta cappella sinistra), nascosta dalla pala della Deposizione di Pietro Ligari (FIG. 2). Era collocata davanti a un grande Crocifisso, col quale sembrava formare un’originale composizione statuaria: col volto reclinato all’indietro, appariva in angosciata contemplazione del Figlio in croce. Fino alla metà degli anni Sessanta, e cioè fino alle riforme conciliari (che a Morbegno hanno coinciso col passaggio dell’arcipretura da mons. Edoardo Danieli a don Antonio Marchesini, avvenuto nel 1963), il venerdì antecedente la Domenica di Passione (quinta di Quaresima) si asportava la pala ligariana e il gruppo statuario, protetto da un’antica vetrata, appariva alla venerazione dei fedeli. Da quel giorno si celebrava, da parte delle spose e madri della parrocchia, un solenne settenario (in riferimento ai sette dolori o piaghe della Vergine) in preparazione alla festa dell’Addolorata, fissata allora dal calendario liturgico per il Venerdì di Passione. Il grande Crocifisso alle spalle dell’Addolorata era l’unico, allora, non coperto dai drappi violacei che, dalla Domenica di Passione, secondo le prescrizioni liturgiche di quei tempi, nascondevano alla vista ogni immagine sacra. 128 129 Fig. 1 - Morbegno, Collegiata di San giovanni Battista, giovanni angelo Del Maino, Madonna (figura dal Compianto rusca). Fig. 2 - Morbegno, Collegiata di San giovanni Battista, giovanni angelo Del Maino, altare del Crocifisso, con la pala della Deposizione di Pietro ligari che si apre sulla nicchia retrostante. 130 131 La festa dell’Addolorata comprendeva, oltre alla comunione generale delle spose e delle madri, un complesso di riti celebrati all’altare della Madonna del Carmine, con la partecipazione delle due confraternite del Santissimo Sacramento e della Madonna per il canto dell’ufficio divino, che culminava con la grandiosa esecuzione dello Stabat Mater secondo la solenne melodia locale. E la scena della Madonna straziata ai piedi della croce, davanti agli occhi delle spose e delle madri, traduceva visivamente le parole dello Stabat Mater. Da quando è tramontata questa tradizione, attorno alla metà degli scorsi anni Sessanta, il gruppo scultoreo è rimasto nascosto dalla pala del Ligari, finché l’arciprete don Antonio Marchesini, probabilmente agli inizi del 1991, non ricuperò il Crocifisso per collocarlo – in accordo con l’architetto Luigi Caccia Dominioni – nella parete absidale della nuova chiesa di San Giuseppe, consacrata il 19 marzo 1993, ma officiata dal 19 marzo 1991. Anche la statua della Madonna – secondo quanto conferma Mons. Francesco Abbiati, allora canonico di Morbegno – venne estratta dalla nicchia e riconosciuta di pregio artistico ma, sembrando inutilizzabile da sola, venne collocata sopra quell’armadio dove è rimasta fino ai nostri giorni. Ripercorrendo a ritroso le vicende del gruppo scultoreo, non va dimenticato che esso rimase costantemente in vista sull’altare del Crocifisso per qualche decennio: nel loro itinerario storico-artistico dell’anno 1900 nella bassa Valtellina, agli albori della moderna critica d’arte in Valtellina, il pittore Giovanni Gavazzeni e il letterato Guglielmo Felice Damiani affermano che la tela del Ligari, «guastata da un inesperto, venne strappata dalla sua sede e relegata, come quadro inutile, in un lontano ripostiglio, dove già da parecchi anni, nonostante le ripetute osservazioni fatte anche per la stampa, attende tuttavia di essere ristorata e rimessa sopra il suo altare»(1). Cosa che avverrà nel 1925, dopo il restauro a cura di Mauro Pellicioli. La statua della Madonna proveniva dalla più antica chiesa di San Giovanni Battista, iniziata nel 1517(2) e officiata come parrocchiale dal 1559. Nell’inventario «omnium supellettilium, iurium et redituum», redatto dal notaio Giuseppe Fontana il 13 luglio 1714 «occasione transportationis eorundem ab ecclesia veteri ad novam», pure dedicata a San Giovanni Battista, si legge al quarto punto: «Un altare con un tavolazzo con sopra otto statue di legno della Passione di Nostro Signore, e due tapeti, nel quale sotto la volta sta fissa una cassetta di ferro sopra dorato, dove si conserva una sacrosanta Spina di Nostro Signore Gesù Cristo»(3). Anche l’inventario redatto due anni prima, il 14 maggio 1712, per iniziativa dell’arciprete Raffaele Parravicini, elenca, nella cappella col deposito della Sacra Spina, «doppo l’altare, un tavolazzo con molte statue della Passione et due tapeti con le sue tovagliette e due statue d’angioli disusate»(4). Otto statue compongono tradizionalmente il Compianto su Cristo morto, e un Compianto è documentato nel vecchio San Giovanni dagli atti di tre precedenti visite 132 Fig. 3 - Morbegno, Collegiata di San giovanni Battista, giovanni angelo Del Maino, Ultima cena, cm 22 x 30 x 7 di profondità massima. 133 Fig. 4 - Morbegno, Collegiata di San giovanni Battista, giovanni angelo Del Maino, Madonna (figura dal Compianto rusca). Fig. 5 - Morbegno, Collegiata di San giovanni Battista, giovanni angelo Del Maino, Madonna (figura dal Compianto rusca). 134 135 pastorali. Negli atti di visita di Francesco Bonesana del 1706 si legge: «Tertia capella collateralis sub organo, ferreis septa cancellis sed angusta, iconem non habens sed eius loco Domini nostri Iesu Christi e cruce depositi aliorumque sanctorum effigies ligno incisas»(5). Nel 1674 gli atti di visita di Ambrogio Torriani riferiscono: «Alia capella sub fornice organorum, humilis, obscura, clatro ferreo alto tota septa, prima ad latus dexterum ingressus ecclesie, sub invocatione Sanctissimi Sepulcri, cum nulla icone praeter statuas sculptas depositionem Domini nostri Iesu Christi a cruce, ligneas, pictas et deuratas (sic)»(6). Traiano Spandrio, prevosto di Rho ma nativo di Morbegno, convisitatore del vescovo Feliciano Ninguarda, pure lui morbegnese, nel verbale di visita del 14 settembre 1589 elenca, fra gli altri arredi, «un sepulcro di Nostro Signore nel quale gli è le figure di rilievo della Depositione di Nostro Signore deargentato»(7). Nelle pagine della Descriptio Vallistellinae, pubblicate alla fine dell’Ottocento come ‘atti della visita pastorale’ del Ninguarda, non è citato il Compianto, ma si ricorda che la (prima) chiesa di San Giovanni Battista «fuit ante annos septuaginta a quodam pio sacerdote Ruschonorum familiae aedificari incoepta», e che lo stesso sacerdote, «vivis decedens, annuos redditus pro quotidiana missa celebranda, integrumque autem paramentum pro cantanda missa ac calices quosdam argenteos deauratos, atque pulchrum sculptum cenaculum dominicum cum diversis aliis ornatibus reliquit» (FIG. 3)(8). Il «pio sacerdote» Giovanni Maria Rusca, o Rusconi, come scoprì Battista Leoni, tra gli altri arredi lasciò alla chiesa «illud sepulcrum SS. quod effiguravit et effigurat ac facit mag(iste)r Angelus Papiensis, et est in domo ipsius testatoris, videlizet figure octo magne et quas figuras idem testator iussit et ordinavit et mandavit, ac iubet etc. inaurari, et dorari auro, ac depingi coloribus finis et opportunis, ac decenter circa eas figuras necessariis et opportunis ornari»(9). Il munifico sacerdote discendeva da una delle famiglie Rusca o Rusconi, appartenenti all’aristocrazia comasca, diffuse in diversi centri della Valtellina e che a Morbegno erano attive nella vita comunitaria a partire dalla fine del Trecento, risultando una delle parentele nobiliari con maggior numero di esponenti dalla seconda metà del Quattrocento ai primi del Cinquecento(10). Di lui si sa ben poco: figlio del «signor Tristante Rusca di Como abitante in Morbegno»(11), nel 1500(12) e nel 1508(13)è citato come beneficiale della vicina parrocchia di Talamona; muore nel 1518(14). Il 29 dicembre 1508, proprio in qualità di «rector dominae Sanctae Mariae de Tallamona», assieme a tre altri «missi, nuntii et procuratores et regulatores ecclesiae et pauperum» di Talamona, riceve 61 libre di terzuoli da utilizzare «in solvendo magistro Petro de Caxate aurifici […] habitatore Morbegnii pro faciendo fieri […] crucem unam argenteam supra doratam»(15). Lo stesso Petrus aurifex de Caxate e il sacerdote Stefano de Longis, «ambo habitatores Morbegnii», compaiono nel testamento del Rusca(16) come «speciales commissarios et exequtores» per quanto riguarda il completamento della chiesa di San Giovanni fino alla spesa di 800 lire imperiali (già nelle mani dell’aurifex), la dotazione dei numerosi e preziosi arredi (compreso il Compianto, che si trovava in casa del testatore, da «inaurari et dorari et depingi» a spese dei suoi eredi) e l’adempimento dei legati, da parte degli eredi, per la messa quotidiana e gli anniversarii. Il fatto che alla morte dei due esecutori sia previsto il subentro della comunità di Morbegno significa che la costruzione e la dotazione della nuova chiesa non era una questione privata di famiglia, ma godeva dell’appoggio dell’intera comunità, come prova la qualità dei testimoni presenti all’atto, appartenenti alle più prestigiose famiglie del paese: Castelli di San Nazzaro, Filipponi, Vicedomini, Ninguarda, oltre al chirurgo Giorgio, «filius suprascripti magistri Petri aurificis de Caxate». Pur tenendo conto dei cospicui lasciti del Rusca per il San Giovanni, la comunità (o comunque i suoi membri più autorevoli) in quegli stessi anni era impegnata nel completamento delle ricostruite chiese dell’Assunta e di Sant’Antonio, col convento dei Domenicani. La nuova chiesa di San Giovanni, come scriverà il Ninguarda, «Morbinii communitas multis expensis complevit, atque adhibitis organis pulcherrime ornavit»(17). Il prete Rusca dispone la sua sepoltura «in ecclesia Sancte Marie et sancti Laurentii de Morbegnio» (l’Assunta), confermando un legame di famiglia con la chiesa e la confraternita dei Battuti che la gestisce. La scelta stessa del prete Stefano Longhi come il primo dei due «speciales commissarios et exequtores» esprime – crediamo – non solo un rapporto di fiducia personale, ma anche la stima per un personaggio esperto in fatto di amministrazione di chiese e di committenza artistica. Il prete Stefano è documentato, infatti, almeno dal 1513 come indiscusso protagonista della vita religiosa, economica e artistica della chiesa dell’Assunta e della sua confraternita(18): celebra messe (esercitando in pratica per diversi periodi la funzione di cappellano), ottiene indulgenze e una particolare condizione di ‘indipendenza’ da parte dei papi Leone X e Adriano VI(19), si occupa dell’amministrazione attraverso prestiti e la compravendita di vino e granaglie, esamina e approva i bilanci. Tutto questo negli anni in cui all’Assunta operano Tommaso Rodari (1517), Gaudenzio Ferrari (1520-1521; 1524-1526), Fermo Stella (1522-1524) e in particolare, per quanto ci riguarda, Giovanni Angelo (1516-1519) e Tiburzio (1517) Del Maino(20). I rapporti con Gaudenzio possono essere confermati da un viaggio compiuto dal Longhi a Varallo nel 1521, oltre che dal prestito di 200 lire per il pagamento della pittura delle ante dell’ancona, e dai comuni rapporti di parentela con la nobile famiglia morbegnese dei Ninguarda(21). Figlio di mastro Cristoforo di Morbegno, di famiglia originaria di Ponte in Valtellina, beneficiale della cura di San Giacomo di Rasura in val Geròla negli anni Venti, risiedeva comunque a Morbegno, dove nel 1529 è eletto parroco («rettore e beneficiale della chiesa di San Martino»)(22) e dove morirà agli inizi di aprile del 1551(23). 136 137 Stefano Longhi è il nome che apre il più antico elenco dei Battuti di Morbegno (una trentina, appartenenti alle più ragguardevoli famiglie della comunità) compilato nel 1540, che comprende anche ser Francesco Rusca(24), uno dei tre eredi del prete Giovanni Maria. Su disposizione del prete Rusca, il Compianto, come si è visto, restò nella chiesa di San Giovanni, in una cappella dove venne successivamente collocata la reliquia della Santa Spina, pervenuta in dono alla comunità di Morbegno per volontà del concittadino vescovo Feliciano Ninguarda, e consegnata al parroco Ludovico Malaguzzini nel 1608(25). Come documenta il citato verbale del 13 luglio 1714, il Compianto di Giovanni Angelo fu trasportato nella nuova chiesa di San Giovanni, e da allora se ne perdono le tracce. Non è fuori luogo, comunque, ipotizzare che sia stato inizialmente collocato nella cappella definita oggi del Crocifisso o della Deposizione, di patronato della Magnifica Comunità di Morbegno, dove fu «accomodato» con quattro giornate di lavoro del muratore Battista Baroggio il «deposito della Santa Spina»(26). Ma nel giro di pochi anni, con l’entrata in carica del nuovo arciprete Gian Pietro Castelli Sannazzaro, fine intenditore d’arte e collezionista, si decise di dare alla preziosa reliquia una più onorifica collocazione. Venne quindi trasferita nel 1726 al centro del catino absidale, entro il reliquiario disegnato dallo stesso Pietro Ligari(27), che nei mesi precedenti aveva realizzato la decorazione a fresco. Intanto, la successiva data certa riguardante la cappella del Crocifisso è il 1736, quando il Ligari, dopo aver disegnato l’altare da eseguire in marmo, ne firma la pala con la Deposizione, che riprende lo stesso tema del Compianto. La differenza consiste nella centralità della figura del Cristo morto che, mentre viene deposto dalla croce da tre personaggi maschili, attira su di sé gli sguardi di san Giovanni e delle tre Marie, mentre la Vergine affranta, pur sostenuta dalle braccia di una pia donna che si perde nell’ombra, sembra isolata nel suo strazio. Si può quindi pensare che il Compianto ligneo cinquecentesco – e come oggetto di culto, e nella sua funzione didascalica – sia stato sostituito dalla tela ligariana, più conforme alla sensibilità artistica del tempo. Conservando la statua della Vergine e collocandola ai piedi di un crocefisso nella nicchia retrostante la nuova tela ligariana, si volle però offrire l’opportunità, nel tempo liturgico della Passione, di un culto più mirato verso l’Addolorata, che, tra l’altro, proprio in quegli anni trovava formale approvazione liturgica. Nel 1714, infatti, la Sacra Congregazione dei Riti approvò, per il venerdì dopo la Domenica di Passione, la messa e l’ufficio dei Sette Dolori, che saranno estesi a tutta la Chiesa latina da Benedetto XIII nel 1727. L’identificazione della scultura della Madonna ritrovata con un’opera dell’intagliatore pavese Giovanni Angelo Del Maino, suggerita da Marco Albertario, consente di chiudere il cerchio e di restituire un importante tassello al patrimonio artistico di Morbegno. Giulio Perotti Quando mi fu mostrata una fotografia della statua della Madonna (FIGG. 1, 4, 5) rinvenuta nella sacrestia della parrocchiale di Morbegno non ebbi dubbi a identificarla con un’opera di Giovanni Angelo Del Maino; il soggetto della scultura e il luogo del ritrovamento mi suggerirono immediatamente un collegamento con le iniziative di Giovanni Maria Rusca(28). Giulio Perotti – al quale si deve la nuova trascrizione integrale del testamento del 1518 che si presenta in appendice – ha ben chiarito nella prima parte di questo contributo il contesto nel quale si inquadra la figura del Rusca. La sua iniziativa va letta tra le varie espressioni di quel rinnovato dinamismo sociale e fervore religioso che caratterizza il primo quarto del Cinquecento in Valtellina e che trova espressione anche nella commissione di opere d’arte. Grazie a studi recenti conosciamo molto bene le dinamiche sottese alla fondazione del Santuario di Tirano(29), ma accanto a questo episodio di eccezionale rilievo se ne potrebbero citare altri sui quali ancora occorre far piena luce: penso ad esempio all’attività del sacerdote Giovanni Maria Parravicini, curato di Caspano, al quale sono probabilmente da ricondurre non soltanto le tre ancone intagliate dei fratelli De Donati nella chiesa di San Bartolomeo, ma anche una ricca donazione di paramenti sacri e arredi(30), oppure alla figura di Stefano Longhi, al quale la lettura di nuovi documenti condotta da Giulio Perotti va restituendo un ruolo centrale nelle vicende del sodalizio e del tempio dell’Assunta a Morbegno. Mi chiedo se sia solo una coincidenza che i lavori che trasformeranno l’oratorio dei Battuti in un santuario venerato in tutta la Valtellina prendano il via negli anni in cui è attestata la sua presenza (a partire dal 1513). Punto centrale di quel processo fu la scelta di un’immagine verso la quale orientare la devozione popolare, individuata in un dipinto quattrocentesco di gusto ancora tardogotico affrescato su una delle pareti laterali dell’antica chiesa che – se è giusta l’ipotesi formulata sulla base della lettura di alcune annotazioni nel Liber rationum ac fictorum – fu rimosso e trasportato nell’abside centrale per essere inquadrato dall’ancona eseguita tra il 1516 ed il 1519 da Giovanni Angelo affiancato – ed è una novità emersa negli studi recenti – dal fratello Tiburzio(31). Non fatico a immaginare che possa essere stato proprio il Longhi a orientare la scelta del Rusca verso l’intagliatore pavese, magari nel corso di una visita al cantiere dell’ancona, ma mi piacerebbe pensare che quest’ultimo, nel corso di una visita a Como, sia rimasto colpito dalle figure eseguite dai Del Maino per l’altare del Crocefisso in Duomo che già in quegli anni erano oggetto di grande venerazione(32). Credo infatti che la scelta di Giovanni Angelo Del Maino rappresenti non soltanto l’aggiornamento dei committenti – la confraternita dell’Assunta e il Rusca – sugli esiti più avanzati della scultura lombarda, ma anche il comune orientamento verso forme di devozione che richiedevano il massimo coinvolgimento emotivo. È importante in 138 139 Fig. 6 - Morbegno, Collegiata di San giovanni Battista, giovanni angelo Del Maino, Madonna (figura dal Compianto rusca), particolare. questo senso – anche per ribadire la centralità di quel cantiere nella cultura lombarda – la notizia del pellegrinaggio che Stefano Longhi fece nel 1521 a Varallo, dove Gaudenzio aveva da poco concluso i lavori alla cappella della Crocifissione(33). E per restare in tema di scultura dipinta, ci sarebbe molto da riflettere su quel passo del testamento in cui si prescrive che le sculture del Compianto «decenter ... ornari», quasi che la policromia fosse sentita come complemento essenziale per raggiungere la forza espressiva che rendeva le statue idonee alla devozione. Per la datazione della Madonna, l’atto del 1518 che dice il gruppo di otto figure compiuto ma non ancora dipinto rappresenta un importante termine antequem. Qualche considerazione in più si potrebbe ricavare dalla comparazione con altri casi analoghi: nel 1504 i fratelli Ambrogio e Giovanni Pietro De Donati avevano avuto poco più di due mesi (dal 9 settembre al 15 novembre) per intagliare un Compianto per San Francesco Grande a Milano, che infatti era stimato il 27 novembre dello stesso anno; nel 1529 erano stati concessi a Giovanni Angelo solo sei mesi per la consegna del gruppo destinato alla chiesa dell’Annunciata a Piacenza, composto da otto figure di circa 130-140 cm di altezza(34). Sulla base di questi dati, si può ragionevolmente pensare che l’opera sia stata avviata nel 1517, probabilmente in vista della costruzione e dell’arredo dell’oratorio di S. Giovanni Battista. La scultura è ricavata da un unico blocco di legno (il restauratore Aldo Broggi mi suggerisce che sia tiglio), del diametro di circa un metro, alto circa un metro e venti, scavato nella parte posteriore. Fu oggetto, in passato, di un maldestro intervento di aggiornamento, che comportò l’abrasione della preparazione a gesso e colla e della stesura pittorica originaria, che si immagina caratterizzata da effetti di particolare preziosità (le descrizioni delle visite pastorali citate da Perotti fanno riferimento a sculture dorate e dipinte). Successivamente ricevette, direttamente sul legno, un’avvilente stesura a tempera che almeno in parte giustifica il riferimento all’Ottocento con il quale la statua mi è stata presentata. Sotto questa rozza ridipintura si intuisce ancora la nobiltà delle forme concepita da Giovanni Angelo. La struttura del tronco è intaccata da pieghe profonde che ne annullano l’originaria volumetria (il margine estremo è segnato, come di consueto nello scultore, dalla tunica che dal ginocchio destro scivola perpendicolare al suolo, FIG. 6); tutta la superficie è poi animata da un sistema di pieghe principali e secondarie. Nulla è più lontano dalla ‘tronchicità’ evocata da Giovanni Testori a proposito della scultura lignea valsesiana: e si noti che questo termine potrebbe ancora essere applicato a certi esiti dei De Donati(35). Si osservano in questa immagine alcune novità nella concezione della scultura che probabilmente si riflettevano nella composizione del gruppo. La figura, concepita per ampi piani, si dilata nello spazio, un po’ come se fosse modellata, e non intagliata. A voler cercare un parallelo, si potrebbero chiamare in causa i Compianti model- 140 141 lati da Agostino de Fondulis (penso, ad esempio, a quello di Palazzo Pignano, legato a un documento del 1510), oppure l’attività del Maestro del Compianto del Carmine di Brescia, che Giovanni Romano ha proposto di estendere anche al campo dell’intaglio(36). La maggior nobiltà della plastica trova più di una conferma, tra Quattro e Cinquecento, non solo nel dibattito critico ma anche nelle preferenze dei committenti, e ancora e soprattutto nella pratica degli scultori (una conferma si ha proprio nel passaggio di Gaudenzio Ferrari dalle sculture intagliate a quelle modellate)(37). Ora, mi sembra che la Madonna ritrovata sia un’ulteriore conferma del fatto che la tenace fedeltà al legno inteso come materiale altrettanto nobile – quella che tempo fa definii la ‘sfida’ di Giovanni Angelo – avvenne in stretto dialogo con i coevi esiti della scultura in terracotta. La figura della Vergine che scivola indietro, avvitandosi su se stessa, mentre il velo scopre i lunghi capelli sciolti sulle spalle, rappresenta il primo tentativo di concepire la scultura come una successione di piani concatenati che, nel loro articolarsi, danno vita a un’azione, anticipando soluzioni che credevamo impostate solo a partire dall’altare di Tirano. Ho già avuto modo di sottolineare come questi aspetti derivano da una meditata comprensione delle riflessioni di Leonardo sulla scultura(38). Certo, una miglior comprensione della statua si ricava nel momento in cui la si pensi inserita nell’ambito di un gruppo, magari aiutandosi con gli esempi di Cuzzago o di Gambolò. La sequenza delle fotografie non professionali che illustra queste pagine la riproduce pochi giorni dopo la scoperta su di un tavolato, davanti a un telo rosso che sembra evocare gli apparati effimeri allestiti per le sacre rappresentazioni, nelle quali alla Madre di Dio spettava la parte più toccante. Scrivendo della Crocifissione di Como, ho parlato di «messa in scena» proprio per sottolineare il carattere profondamente teatrale della rappresentazione(39), accentuato dalla mimica esasperata che nasce da una attenta riflessione sui ‘moti dell’animo’ per approdare ad un realismo – ben evidente, ad esempio nel languore del volto affilato (FIG. 7) – perseguito come elemento essenziale alla narrazione e di conseguenza alla fruizione del gruppo. Fig. 7 - Morbegno, Collegiata di San giovanni Battista, giovanni angelo Del Maino, Madonna (figura dal Compianto rusca). 142 3. Nel suo testamento del 21 gennaio 1518 Giovanni Maria Rusca lasciava alla chiesa di San Giovanni, da lui fondata l’anno precedente, «illud sepulchrum [...] quod effiguravit, ac effigurat, ac facit magister Angelus Papiensis, et est in domo ipsius testatoris, videlizet octo figure magne et quas figuras idem testator iussit et ordinavit et mandavit, ac iubet etc. inaurari, et dorari auro, ac depingi coloribus finis et opportunis, ac decenter circa eas figuras necessariis et opportunis ornari». Battista Leoni, al quale si deve la prima segnalazione dell’atto, riconobbe nel «magister Angelus Papiensis» Giovanni Angelo Del Maino, e identificò il Com- 143 Fig. 8 - Collezione privata, giovanni angelo Del Maino, Madonna (figura da un Compianto). 144 pianto citato dalle fonti con quello di S. Bartolomeo a Caspano di Civo, ora riconosciuto opera della bottega dei De Donati intorno al 1508(40). Successivamente Paolo Venturoli spostò l’attenzione sul Compianto conservato in S. Marta a Bellano, proponendone una provenienza valtellinese. Tuttavia il gruppo di Bellano è già documentato nell’oratorio dei Disciplini di Bellano nel 1569 e fu probabilmente commissionato dagli stessi ai Del Maino, certamente ad una data più precoce rispetto al Compianto Rusca(41). Il problema sembrò trovare una soluzione nel 1994, quando apparvero sul mercato antiquario cinque sculture di altissima qualità provenienti da un Compianto smembrato in antico: la Madonna, Giuseppe d’Arimatea, Giovanni evangelista e Maria Maddalena (FIGG. 8-11), tutte successivamente approdate in collezioni private, e Nicodemo (FIG. 12), che fu acquistato in quella occasione dal Comune di Milano per le Civiche Raccolte d’Arte Applicata del Castello Sforzesco(42). Fu Raffaele Casciaro, nel 1996, il primo a pubblicare le sculture – che già potevano vantare un riferimento a Giovanni Angelo Del Maino suggerito indipendentemente da Giovanni Romano, Paolo Venturoli, Massimo Ferretti e da Federico Zeri (quest’ultimo per la Maddalena) – identificandole con il Compianto ricordato nel testamento Rusca, sia per lo stretto rapporto stilistico che lo studioso vedeva con le opere dell’intagliatore condotte in quel periodo, sia per il suggestivo legame tra le cinque sculture – tutte in legno a vista – e il documento che parlava di figure da dipingere (in realtà le quattro sculture che ho potuto esaminare dal vero conservano tracce evidenti di pittura)(43). Tuttavia va ricordato che fin dal 1995 Paolo Venturoli nella breve relazione che accompagnava il decreto di vincolo del San Giovanni e della Madonna era giunto alla conclusione che le cinque statue potessero essere identificate con il perduto gruppo di Morbegno(44). La proposta fu accolta senza riserve. Anche a me l’idea apparve in prima battuta assolutamente plausibile, tanto che la accolsi e ne diedi conto in una breve scheda pubblicata nel gennaio 2005; tuttavia, approfondendo in occasione di una conferenza tenuta a Sondrio nel marzo dello stesso anno le componenti stilistiche delle sculture – in particolare le citazioni da Leonardo, la ricerca di un’inedita monumentalità sollecitata da riflessioni sulla coeva scultura lombarda e da una attenta riflessione sullo squadro dei volumi di matrice bramantinesca – l’ipotesi mi parve sempre meno sostenibile, tanto che a pochi mesi di distanza mi trovai a mutare radicalmente opinione e nell’ambito di una serie di assestamenti cronologici nel catalogo di Giovanni Angelo ho proposto una datazione più avanzata – anche se generica – al terzo decennio del Cinquecento(45). In questa direzione spingevano una serie di raffronti che val la pena, brevemente, di riprendere, proprio partendo dalla scultura ritrovata. La Madonna di Morbegno (FIGG. 1, 4, 5), ancorata alle date 1517-1518, rappresenta 145 Fig. 9 - Collezione privata, giovanni angelo Del Maino, San Giovanni (figura da un Compianto). 146 Fig. 10 - Collezione privata, giovanni angelo Del Maino, San Giovanni (figura da un Compianto). 147 Fig. 11 - Collezione privata, giovanni angelo Del Maino, Giuseppe d’Arimatea (figura da un Compianto). Fig. 12 - Milano, Castello Sforzesco, raccolte d’arte applicata, giovanni angelo Del Maino, Nicodemo (figura da un Compianto). 148 149 Fig. 13 - tirano, Santuario della Beata vergine, giovanni angelo Del Maino, Madonna Assunta. Fig. 14 - londra, national gallery, leonardo da vinci, Vergine delle Rocce, particolare. 150 151 Fig. 15 - Collezione privata, giovanni angelo Del Maino, San Giovanni (figura da un Compianto), particolare. 152 Fig. 16 - Windsor Castle, royal library, leonardo da vinci, Studio di apostolo per il Cenacolo, 12552. 153 inv. rl Fig. 17 - Windsor Castle, royal library, leonardo da vinci, Studio di apostolo per il Cenacolo, 12550. inv. rl. Fig. 18 - Collezione privata, giovanni angelo Del Maino, Giuseppe d’Arimatea (figura da un Compianto), particolare. 154 155 Fig. 19 - Milano, Castello Sforzesco, raccolte d’arte applicata, giovanni angelo Del Maino, Nicodemo (figura da un Compianto), particolare. Fig. 20 - Milano, Castello Sforzesco, raccolte d’arte applicata, giovanni angelo Del Maino, Nicodemo (figura da un Compianto), particolare. 156 157 uno snodo importante per la ricostruzione dell’attività di Giovanni Angelo e si inserisce in modo coerente nel percorso che dal Presepe per la confraternita di San Giuseppe a Treviglio (ora conservato in S. Martino; dopo il 1513), attraverso l’altare del Crocifisso nel Duomo di Como (concluso, come si è detto, nel 1515) e l’Ancona di Morbegno (del 1516-1519) conduce alla Madonna del Santuario di Tirano (1519-1521). Per tutto il secondo decennio Giovanni Angelo aveva sperimentato vari modi di intendere e tradurre i precetti leonardeschi, sforzandosi di rendere il legno materia duttile, di piegarlo a esprimere in modo organico i movimenti del corpo e i più sottili ‘moti’ dell’animo, e intanto procedeva nella ricerca di una forma plasticamente compiuta e percepibile da più punti di vista: un obiettivo che ora sappiamo già compiutamente raggiunto all’altezza della statua dal Compianto Rusca. Con la Madonna di Tirano si apre invece una nuova fase, nella quale il confronto con Leonardo sembra sostanziarsi di citazioni dirette: a titolo di esempio si potrebbero citare le profonde affinità tra il volto della scultura e certi esiti della pittura leonardesca (FIGG. 13-14), oggetto, per tutto il terzo decennio, di approfondite riflessioni da parte degli artisti milanesi. Credo che in questo contesto si inquadrino agevolmente le statue in esame: ripropongo in questa sede il confronto tra i volti del San Giovanni evangelista e del Giuseppe d’Arimatea con due dei disegni preparatori per il Cenacolo (FIGG. 1518). Persino dietro il nobile profilo del Nicodemo si può intuire il referente leonardesco, anche se non suffragato da puntuali riscontri (FIGG. 19-20). É superfluo ripetere quanto questo rinnovato interesse per Leonardo sia un fatto condiviso nella cultura figurativa lombarda di quegli anni, forse in seguito al ritorno di Francesco Melzi dalla Francia con i cartoni e i disegni del maestro(46). E per restare nel campo della scultura lignea, si potrà e si dovrà ripensare la coeva attività di Andrea da Corbetta, che culmina con la citazione dal Cenacolo nel gruppo intagliato per il Santuario di Saronno(47). Anche l’aggiornamento sulle novità della cultura centro-italiana che caratterizza alcuni maestri dopo la giovanile infatuazione per le grottesche (si pensi, per restare nell’ambito pavese, alla svolta nel percorso del Maestro delle Storie di sant’Agnese) trova un corrispettivo nell’attività di Giovanni Angelo Del Maino. Quale punto di partenza si potrebbe assumere la citazione dalla Poesia sulla volta della Stanza della Segnatura recentemente rintracciata nell’ancona di Morbegno, mediata da una incisione di Marcantonio Raimondi(48). Ma queste testimonianze si infittiscono a partire sullo scorcio del terzo decennio: Raffaello, certo, ma anche la sua scuola, e poi il rinnovato rapporto con l’antico attraverso l’intelligente citazione del Laocoonte(49). Il confronto con la grande maniera centro-italiana modificherà profondamente la concezione del rilievo narrativo, 158 Fig. 21 - Piacenza, chiesa di Sant’anna, giovanni angelo Del Maino, San Rocco, particolare. 159 Fig. 23 - roma, Musei vaticani, Laocoonte, particolare. Fig. 22 - Bologna, chiesa di San giovanni in Monte, giovanni angelo Del Maino, Cristo alla colonna, particolare. 160 161 come si può riscontrare nelle Storie di san Lorenzo per l’ancona di Ardenno. Il problema riguarda, in questo caso, la derivazione della figura di Giuseppe d’Arimatea da quella di Platone nella Scuola di Atene, che apre però il problema della possibile fonte della citazione, dal momento che la prima traduzione a stampa, il foglio di Giorgio Ghisi, fu pubblicata solo nel 1550 ad Anversa presso l’editore Cock(50). Mi chiedo se si debba postulare un secondo viaggio nella capitale, ma anche se davvero la Stanza della Segnatura potesse essere ancora, tra secondo e terzo decennio, un modello attuale. In alternativa, occorrerà considerare un modello grafico non individuato che sarà magari da cercare tra i disegni di qualche maestro che a Roma c’era tornato(51). Verso una datazione non precoce del gruppo orientano del resto anche i confronti che si possono proporre con altre opere dello stesso autore. Ad esempio, credo che il volto di Giovanni una volta dipinto non sarebbe apparso troppo diverso da quello che appare nel Compianto di Cuzzago (FIGG. 24-27)(52). Per quanto riguarda lo straordinario panneggio di questa figura, vorrei far notare quanto sia fuorviante ogni lettura che tenda a sottolinearne la regolarità e la compostezza, per lo più legate a una visione laterale, mentre la visione frontale mette in luce caratteristiche ben diverse. L’autonomia riconosciuta al rovello dei panni, con pieghe che sembrano richiamare le ‘fioriture’ della scultura tedesca, si ritrova nel già citato San Rocco piacentino, per il quale si è suggerita una datazione tra il 1524 ed il 1534, e ancora in un vigoroso Sant’Antonio abate conservato a Castel San Giovanni (FIG. 28) che mi è stato generosamente segnalato da Carlo Cairati già con un corretto riferimento a Giovanni Angelo Del Maino(53). Certo la continuità di rapporti tra Pavia e il territorio piacentino suggerisce una certa prudenza nella datazione, ma mi chiedo se quest’ultima scultura non rappresenti una tra le opere prodotte quando i due fratelli, dopo il 1527, lasciarono Pavia per rifugiarsi a Piacenza dove soggiornarono abbastanza a lungo da ottenere, nel 1529, la cittadinanza piacentina. Nel tracciare un profilo biografico e stilistico di Giovanni Angelo ho suggerito di identificare, nella seconda metà del terzo decennio, l’insorgere di una ‘crisi’ che appare ben esemplificata dall’Altare della Passione già in San Agostino a Piacenza (ora a Londra, Victoria and Albert Museum). Ora, mi pare che di questa crisi anche il gruppo in esame dia conto proprio nella pluralità dei punti di riferimento (i modelli di Leonardo, il classicismo di Bambaia e di Raffaello, ma anche la forza d’urto della scultura tedesca e il suo sottile rovello formale) che solo grazie all’attento controllo dell’autore riescono a convivere in un gruppo che appare – di tutti quelli noti – il più discontinuo oltre che frammentario. E se non si vorrà legare troppo la ‘crisi’ a fatti biografici (la battaglia di Pavia, 1525; il drammatico sacco che la ridusse a una rovina, 1527 e la conseguente fuga dei due fratelli), credo si possa mantenere la datazione nel terzo decennio del Cinquecento, in attesa che ulteriori elementi possano portare a definire una cronologia più accurata(54). Marco A lbertario 162 163 * Riprendiamo in questa sede, con gli opportuni approfondimenti, La Madonna del Compianto di Morbegno, apparso in «Le Vie del Bene», Morbegno, 2007, n. 10, pp. 9-15. Il presente testo è stato licenziato nel maggio 2009. Fig. 24 - Collezione privata, giovanni angelo Del Maino, San Giovanni (figura da un Compianto), particolare. Fig. 25 - Cuzzago, chiesa di San Martino, giovanni angelo Del Maino, San Giovanni (figura da un Compianto), particolare prima del restauro. 164 165 Fig. 26 - Collezione privata, giovanni angelo Del Maino, San Giovanni (figura da un Compianto), particolare. Fig. 27 - Cuzzago, chiesa di San Martino, giovanni angelo Del Maino, San Giovanni (figura da un Compianto), particolare prima del restauro. 166 167 Fig. 29 - Piacenza, chiesa di Sant’Eufemia, giovanni angelo Del Maino, Dolente (figura da un Compianto?). Fig. 28 - Castel San giovanni, chiesa di San giovanni, giovanni angelo Del Maino, Sant’Antonio abate. 168 169 condotta sull’originale del testamento e riportata in appendice, presenta delle varianti, comunque non particolarmente significative, rispetto alla lettura del Leoni sulla copia di C. G. Fontana. NOTE (1) G. GAVAZZENI, G. F. DAMIANI, Per la storia e per l’arte della Valtellina, III, Morbegno e dintorni, «La Valtellina», 18 agosto 1900, ripubblicato per la sola parte riguardante Morbegno in «Le Vie del Bene», 6 (1984), pp. 7-11; 9 (1984) pp. 7-10, a cura di G. Perotti, ora in Scritti d’arte su Morbegno e la Valtellina. Antologia da «Le vie del bene» 1926-2001, a cura di G. Perotti, Morbegno, 2004, pp. 11-19 (p. 14). (2) C.G. FONTANA, Selva o sia raccolta istorica d’avvenimenti seguiti nella Valtellina e contadi vicini - 1749, a cura di B. Leoni, Sondrio, 1985, pp. 99-100, n. 138. (3) Archivio di Stato di Sondrio (ASSo), Notarile, Giuseppe Fontana, vol. 6666, c. 143. Cfr. G. PEROTTI, San Giovanni 1714: inventario dei beni, «Le Vie del Bene», 2 (1987), pp. 79, 3(1987), pp. 7-8, 5 (1987), pp. 11-12, ripubblicato in Scritti d’arte, cit. n.1, pp. 306310; ID., Nel ‘vecchio’ San Giovanni otto sculture di Giovan Angelo del Maino. Il Compianto di Morbegno, «Le Vie del Bene», 8 (1998), pp. 9-12, ripubblicato in Scritti d’arte, cit. n. 1, pp. 219-221. (4) (5) ASSo, Fondo Biblioteca, D-I-3-1, c. 460v. Negli stessi inventari del 1714 e del 1712 è compreso «un crocefisso grande con zandalina rossa attorno» (ASSo, Notarile, Giuseppe Fontana, vol. 6666, c. 143) «sopra l’architrave dell’altare maggiore» (ASSo, Fondo Biblioteca, vol. D-I-3-1, c. 458r), già segnalato nel 1677 ( «Un crocifisso grande di legno sopra l’altare maggiore con la sua tende sopra di zendale rosso et pizzo d’oro dalle parti», ASSo, Notarile, Giacinto Fontana, vol. 5890, c. 183) e compreso nell’inventario dei beni custoditi nella sacrestia della chiesa di San Giovanni Battista, redatto il 1 gennaio 1547 «Crux una lignea cum ymagine Christi crucifixi relevati», ASSo, Notarile, Giovan Pietro Schenardi, vol. 1025, c.277r.). Non è pertanto da escludere che anche il crocifisso provenga dal vecchio San Giovanni. Archivio Storico della Diocesi di Como (ASDC), Visite pastorali, Bonesana, cart. XCII, fasc. 1, c. 16. (6) ASDC, Visite pastorali, Torriani, cart. LVIII, fasc. 2. (7) ASDC, Visite pastorali, Ninguarda, cart. XII, fasc. 1, c. 136; G. PEROTTI, Morbegno negli atti inediti della Visita Ninguarda (1589), «Le Vie del Bene», 10 (1995), pp. 7-13, ripubblicato in Scritti d’arte, cit. n. 1, pp. 20-24. (8) Atti della visita pastorale diocesana di F. Feliciano Ninguarda vescovo di Como (15891593) ordinati e annotati dal sac. dott. Santo Monti e pubblicati per cura della Società Storica Comense negli anni 1892-1898, ristampa corredata dell’indice pubblicato per cura della Società Storica Comense nell’anno 1903, I-II, Como 1903, rist. anast., Como 1992, I, p. 261; nuova edizione con testo italiano a cura di L. Varischetti e N. Cecini, Sondrio 1963, p. 38. Sulla chiesa cinquecentesca di San Giovanni: T. SALICE, Nel Cinquecento: come sorse il primo S. Giovanni?, «Le Vie del Bene», 1 (1982), p. 13, ripubblicato in Scritti d’arte, cit. n. 1, p. 213; G. PEROTTI, 1517-1714: il ‘vecchio’ San Giovanni, «Le Vie del Bene», 8 (1998), pp. 6-8, 9 (1998), pp. 7-11, ripubblicato in Scritti d’arte, cit. n. 1, pp. 214-218. Esiste tutt’oggi fra gli arredi della chiesa una piccola scultura lignea (circa cm 23 x 30 x 7 profondità massima) dell’Ultima Cena, che veniva esposta sull’altar maggiore nelle solennità (FIG. 2). (9) B. LEONI, L’ancona lignea del secolo XVI nella Chiesa prepositurale di Ardenno, in Addua. Studi in onore di Renzo Sertoli Salis, Sondrio, 1981, p. 162. La nostra trascrizione, 170 170 (10) M. DELLA MISERICORDIA, Divenire comunità. Comuni rurali, poteri locali, identità sociali e territoriali in Valtellina e nella montagna lombarda nel tardo medioevo, Milano, 2006, pp. 369, 396; Stemmi della «Rezia Minore». Gli armoriali conservati nella Biblioteca Civica «Pio Rajna» di Sondrio, a cura di F. Palazzi Trivelli, M. Praolini Corazza, N. Orsini De Marzo, Sondrio, 1996, pp. 185-186. Non trovo conferma della notizia riportata da G. R. ORSINI, Storia di Morbegno, Sondrio, 1959, p. 144 e p. 173, secondo cui ai Rusconi di Morbegno e di Caspano nel 1489 «fu assegnata la cappella della B. Vergine Assunta e di tutti i SS. Apostoli» nella chiesa di Sant’Antonio di Morbegno. (11) Dal suo testamento, rogato il 16 maggio 1455, si viene a sapere che Tristante aveva più di una figlia e due altri figli, Cristoforo e Giovanni Andrea, ma «detti tre figli eredi instituiti come sopra sono poi mancati senza lasciare figli» (FONTANA, Selva, cit. n. 2, p. 96). L’estinzione di tutte le famiglie Rusca a Morbegno avverrà nel 1676 con l’arciprete Carlo, che impiegherà il suo patrimonio per fondare e dotare il monastero claustrale femminile della Presentazione: G. PEROTTI, Il monastero claustrale femminile della Presentazione in Morbegno, «Archivio Storico della Diocesi di Como», 5 (1991), pp. 125-150; E. GUSMEROLI, Il monastero della Presentazione. Donne, vergini, monache nella Valtellina del SeiSettecento, Morbegno, 2003. (12) SALICE, Come sorse, cit. n. 8: «rettore e curato della chiesa di Santa Maria di Talamona ma abitava nella propria casa in Morbegno». È possibile che il Rusca amministrasse la parrocchia di Talamona attraverso delegati: d’altronde il suo nome non compare negli elenchi finora noti dei parroci di Talamona, e nel suo stesso testamento l’unico legame con quella località è la provenienza delle domestiche (vedi appendice). (13) ORSINI. Storia, cit. n. 10, p. 173. (14) FONTANA, Selva, cit. n. 2, p. 96. (15) ASSo, Notarile, Donato Camozzi, vol. 574, c. 401v. Questa notizia potrebbe aprire nuove ipotesi di ricerca sulla «croce processionale in rame argentato e parzialmente dorato» (M. GNOLI LENZI, Inventario degli oggetti d’arte d’Italia, IX, Provincia di Sondrio, Roma, 1938, pp. 290-291), attualmente di proprietà della Parrocchia di Talamona, anche se tradizionalmente si dice proveniente dalla chiesa domenicana di Sant’Antonio di Morbegno. Citata in C. BASSI, Croci artistiche in Valtellina, «Rivista archeologica della Provincia e antica Diocesi di Como», (67-68-69, 1913), p. 144 («bellissima e da poco restaurata»), è stata studiata da Paolo Venturoli che, a seguito di un restauro a metà degli scorsi anni Settanta, l’ha attribuita da ultimo a Francesco Ser Gregorio da Gravedona, che l’avrebbe eseguita fra il 1513 e il 1520 (P. VENTUROLI, Croci astili valtellinesi, «Bollettino della Società Storica Valtellinese», 29 (1976), pp. 84-89; ID., Oreficeria tra Quattro e Cinquecento nella provincia e antica diocesi di Como, in Le arti nella diocesi di Como durante i vescovi Trivulzio, Atti del convegno, Como 26-27 settembre 1996, Como, 1998, pp. 147-156, in particolare p. 159. «Una croce d’argento bellissima de precio de scudi 200» è segnalata nella chiesa parrocchiale di Talamona dagli atti inediti della visita Ninguarda del 1589 (ASDC, Visite pastorali, Ninguarda, cart. XII, fasc. 1, c. 138). (16) Vedi appendice. (17) Atti della visita, cit. n. 8, p. 262. 171 171 (18) Rimando per tutto questo a G. PEROTTI, I documenti in «Tota enitet auro». L’ancona dell’Assunta nel santuario di Morbegno, Morbegno, 2007, pp. 19-31. (19) Archivio Storico della Confraternita dell’Assunta di Morbegno, [ASCAM], Istituzioni civili, busta 10, fasc. 16, p. 75. (20) é probabile anche la presenza di Giovanni Ambrogio Ghezzi (de Gezis) nel 1515 e di Bernardino De Donati nel 1520 (PEROTTI, I documenti, cit. n. 18, pp. 20-21; 23-24). (21) Gaudenzio Ferrari sposa in seconde nozze Maria Foppa di Morbegno, vedova di Giovanni Antonio Olmo, figlio di una Ninguarda (R. SACCHI, Ferrari, Gaudenzio, in Dizionario Biografico degli Italiani, XLVI, Roma, 1996, pp. 573-581; il de Longis era zio di Pietro Antonio Ninguarda (ASCAM, Pergamene, n. 21 del 26 agosto 1538). (31) (32) (22) C.G. FONTANA, Breve relazione della chiesa e comunità di Morbegno nella Valtellina, Como, 1748, rist. anast., Cassano Murge, 1993, p. 10. (23) ASCAM, Libri mastri, 1 (antica segnatura n. 320), Liber rationum ac fictorum ecclesie Sancte Marie Gratiarum de Sancto Laurentio de Morbegno, cc. 37-38. (24) ASCAM, Libri mastri, 2 (antica segnatura n. 321), Liber credentiarum, c. 86v. Francesco Rusca, filius quondam domini Pauli, compare più volte nella contabilità della Confraternita, almeno fino 1541, a partire dal 1519, quando è fra i deputati per l’approvazione della contabilità tenuta da Alessio Schenardi, assieme a Stefano de Longis (ASCAM, Libri mastri, 1, c. 7v; ibi 2, c. 49v.). Anche il magister Petrus aurifex è citato nella contabilità della Confraternita: nel 1510 circa, consegna al tesoriere lire 10:7 (ASCAM, Libri mastri, 2, c. 88v). (25) Più copie del verbale della donazione, datata 6 luglio 1608, si trovano nell’Archivio Parrocchiale di Morbegno: trascrizione in Feliciano Ninguarda riformatore cattolico, a cura di G. Perotti e S. Xeres, Sondrio, 1999, pp. 255-257. Si veda inoltre: R. RAPELLA, La Santa Spina, «Le Vie del Bene», 5 (1968), pp. 6-9, ripubblicato in R. RAPELLA, Rinaldo Rapella racconta Morbegno negli articoli su «Le Vie del Bene», Bormio, 2003, pp. 327329. (34) (26) G. PEROTTI, 1714: benedizione e officiatura del nuovo San Giovanni, «Le Vie del Bene», 2 (1980), pp. 7-10; 3 (1980), pp. 7-9 (n. 2 p. 9), ora in Scritti d’arte, cit. n.1, pp. 228-232 (p. 230). (35) (27) Per un’aggiornata visione d’insieme sull’attività di Pietro Ligari nel San Giovanni di Morbegno: G. PEROTTI, Pietro Ligari e la collegiata di Morbegno, in Pietro Ligari o la professione dell’artista, a cura di L. Giordano, Sondrio, 1998, pp. 118-133; G. ANGELINI, Morbegno, la collegiata di San Giovanni Battista, in I Ligari, pittori del Settecento lombardo, a cura di S. Coppa e E. Bianchi, Milano, 2008, pp. 236-239. (36) (28) Per completezza d’informazione, desidero ricordare che fu sottoposta alla mia attenzione da Giulio Perotti, che ne aveva intuito il valore, accompagnata dal giudizio formulato da chi l’aveva trovata che si trattasse di «opera dell’Ottocento». Del ritrovamento Giulio Perotti ed io abbiamo dato notizia nel già citato contributo, La Madonna del Compianto di Morbegno, apparso su «Le vie del bene», 10 (2007), grazie alla cortese ospitalità offertaci da don Andrea Salandi, che ringrazio. (29) (30) Sul santuario di Tirano: Ubi steterunt pedes Mariae. L’apparizione mariana e il santuario di Tirano 1504-2004, a cura di S. Xeres, Sondrio, 2005. Non mi pare che siano mai stati approfonditi gli spunti offerti da P. VENTUROLI in Zenale e 172 172 (33) (37) (38) (39) (40) Leonardo. Tradizione e rinnovamento nella pittura lombarda, catalogo della mostra (Milano, Museo Poldi Pezzoli, 4 dicembre-29 febbraio 1982), Milano, 1983, pp. 105-112, scheda 32 (in particolare p. 111). Su questi problemi mi sia consentito rimandare ai contributi raccolti in «Tota enitet auro», cit. n. 18. In quell’occasione, l’affresco fu ripreso da Giovanni Ambrogio Ghezzi. Come mi fa notare Giovanni Romano, l’intervento di ridipintura si estese al tappeto sul quale poggia il trono della Vergine, difficilmente ipotizzabile alla data 1444. L’ipotesi del trasferimento dell’affresco sulla base dell’interpretazione del documento è stata accolta da S. FACCHINETTI, Fermo Stella, Bergamo, 2008, p. 19. D. PESCARMONA, Le esperienze comensi di Giovanni Angelo del Maino, in Le arti nella diocesi di Como durante i vescovi Trivulzio, Atti del convegno (Como, 26-27 settembre 1996), a cura di M.L. Casati, Como, 1998, pp. 85-99 (in particolare pp. 88-89). Alla cappella della Crocifissione a Varallo sono dedicati i contributi raccolti in Gaudenzio Ferrari e la Crocifissione del Sacro Monte di Varallo, a cura di E. De Filippis, Torino, 2006, e le osservazioni di Edoardo VILLATA anticipate in Carlo e Federico. La luce dei Borromeo nella Milano spagnola, (Milano, Museo Diocesano, 5 novembre 2005 -7 maggio 2006), a cura di P. Biscottini, pp. 236-237 n. 1, e riprese in Capolavori da scoprire. La collezione Borromeo, catalogo della mostra (Milano, Museo Poldi Pezzoli, 23 novembre 1006-9 aprile 2007), a cura di M. Natale e con la collaborazione di A. Di Lorenzo, Milano, 2006, pp. 208-213, scheda 23, ora ampiamente argomentate in Gaudenzio Ferrari: un polittico in discussione e un crocevia nel Cinquecento italiano, «Paragone», 78 LIX (2008), pp. 31-56. I documenti sui De Donati si possono leggere in J. SHELL, Pittori in bottega. Milano nel Rinascimento, Torino, 1995, pp. 258-261, nn. 100-105; quello sui Del Maino in P. VENTUROLI, Giovanni Angelo Del Maino a Piacenza e a Bologna (e alcune ipotesi sul fratello Tiburzio) in La Madonna per San Sisto di Raffaello e la cultura piacentina della prima metà del Cinquecento, Atti del convegno (Piacenza, 10 dicembre 1983), a cura di P. Ceschi Lavagetto, Parma, 1985, pp. 133-148, p. 145. G. TESTORI, Le fibre lignee della “parlata” valsesiana, in Artisti del legno. La scultura lignea in Valsesia dal XV al XVIII secolo, a cura di G. Testori, S. Stefani Perrone, Borgosesia, 1985, pp. 11-18. Il problema dei rapporti tra scultura in legno e scultura in terracotta, cui fa cenno G. ROMANO, Presentazione in Maestri della scultura in legno nel ducato degli Sforza, (Milano, Castello Sforzesco, 21 ottobre 2005 - 26 febbraio 2006), a cura di G. Romano, C. Salsi, Milano, 2005, si segue attraverso la scelta delle tavole che illustrano il saggio, commentate per esteso in G. ROMANO, Per Gaudenzio al Sacro Monte, in Gaudenzio Ferrari, cit. n. 33, pp. 15-20 (in particolare pp. 16-17). Sulle ragioni del passaggio di Gaudenzio alla plastica mi sembrano importanti le considerazioni di E. VILLATA, Gaudenzio Ferrari e la Spogliazione delle vesti al Sacro Monte di Varallo, «Arte Lombarda», 145 (2005), pp.76-92 (in particolare p. 86). Per un profilo di Giovanni Angelo Del Maino mi sia consentito far riferimento a quanto scritto in Intorno a Giovanni Angelo Del Maino, in Maestri della scultura, cit. n. 36, pp. 202-205. M. ALBERTARIO in Maestri della scultura, cit. n. 36, pp. 190-191, scheda III.10. B. LEONI, L’ancona lignea del secolo XVI nella chiesa di San Lorenzo ad Ardenno, in 173 173 La proposta di datazione è stata accolta tra l’altro da F. TASSO, G. CAVAGNA DI GUALDANA, in Il mobile italiano nelle collezioni del Castello Sforzesco a Milano, Milano 2006, p. 39, scheda 5. Si veda poi M. ALBERTARIO, Giovanni Angelo Del Maino e Gaudenzio Ferrari, alle soglie della maniera moderna, «Sacri monti. Rivista di arte, conservazione, paesaggio e spiritualità dei Sacri Monti piemontesi e lombardi», 1 (2007), pp. 339-364 (in particolare pp. 356-357). Debbo però far ammenda della proposta di riconoscere un frammento del Compianto Rusca – che immaginavo di piccole dimensioni in quanto collocato in una nicchia sopra un altare dell’oratorio – in una bella figura di Dolente di collezione privata milanese pubblicata da R. CASCIARO in Maestri della scultura, cit. n. 36, pp. 206-207, scheda III.16: cfr. Spunti per una lettura dell’ancona, in «Tota enitet auro», cit. n. 18, pp. 74-75. Vorrei far notare tra l’altro che la scultura non è compatibile con le dimensioni della Madonna ritrovata. Addua. Studi in onore di Renzo Sertoli Salis, Sondrio, 1981, pp. 147-162. Sul Compianto di Caspano di Civo cfr. R. CASCIARO in Legni sacri e preziosi. Scultura lignea in Valtellina e Valchiavenna tra Gotico e Rinascimento (Sondrio, Museo Valtellinese di storia e arte, 28 gennaio-2 aprile 2005), Milano, 2005, pp. 92-93, scheda 13. (41) P. VENTUROLI, Un gruppo ligneo ridato alla luce, «Insieme cultura», 3 (1983), pp. 14-18; ID., Del Maino, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 38, Roma, 1990, pp. 103-111 (si possono ora leggere in P. VENTUROLI, Studi sulla scultura lignea lombarda tra Quattro e Cinquecento, Torino, 2005, pp. 28, 54-61, in particolare p. 59). L’ipotesi di Venturoli era stata già messa in dubbio da O. ZASTROW, La chiesa dei Santi Giorgio Nazaro e Celso a Bellano, Lecco, 1993, p. 318, e ancora da S. COPPA, Introduzione, in Guide del territorio di Lecco. Lario Orientale, Albese con Cassano, 1993, p. 23; O. ZASTROW, Legni e argenti gotici nella provincia di Lecco, Lecco, 1994, pp. 234-236. (42) Nella ricostruzione delle vicende storiche del gruppo non sono riuscito ad andare oltre il vecchio positivo fotografico rinvenuto da Paolo Venturoli presso l’archivio della Soprintendenza che mostra le cinque statue radunate, probabilmente in occasione di una esposizione di antiquariato. Secondo quanto mi ha comunicato Raffaele Casciaro, la dispersione dovrebbe risalire agli anni Novanta del secolo scorso, dopo un passaggio presso un antiquario di Bassano del Grappa. Nicodemo è stato acquistato dal Comune di Milano e destinato alle Civiche Raccolte d’Arte Applicata nel 1994. Mi sembra sia sfuggita, invece, la segnalazione di M. FERRETTI, Un nuovo momento bolognese di Jacopo dalla Quercia, «Arte a Bologna. Bollettino dei Musei Civici d’arte antica», 5 (1999), pp. 8-57 (la segnalazione a p. 53, n. 70), che ricordava di aver visto una riproduzione fotografica di una statua di Cristo compatibile con le figure in esame. Infine, non credo che si possa escludere la pertinenza della cosiddetta ‘Zingara’ solo perché non compare nel documento fotografico (come sostiene R. CASCIARO, La scultura lignea lombarda del Rinascimento, Milano, 2000, pp. 190-193): la scultura potrebbe aver preso altre vie già in precedenza. Tuttavia, non avendo avuto l’occasione di vederla personalmente e non conoscendone le dimensioni, ritengo opportuno sospendere il giudizio. (43) R. CASCIARO, Giovan Angelo Del Maino. I. La formazione e gli anni giovanili, «Nuovi Studi», I, 1, (1996), pp. 47-64, in particolare pp. 59-60; successivamente si vedano ID., Ospiti 4. Giovan Angelo del Maino, San Giovanni Evangelista, (Bologna, Museo Davia Bargellini, 8 febbraio-4 maggio 1997), Bologna, 1997, pp. 9-19, con un improprio confronto con il gruppo di Albate; ID., La scultura lignea lombarda, cit. n. 42, pp. 151-187 e 335-337 nn. 129 a-e; ID., La scultura lignea del Quattrocento e della prima metà del Cinquecento, in Civiltà artistica in Valtellina e Valchiavenna, Il Medioevo e il primo Cinquecento, a cura di S. Coppa, Bergamo, 2000, p. 218. (44) P. VENTUROLI, La “Madonna svenuta” e il “San Giovanni Evangelista” di Giovanni Angelo Del Maino, 15 dicembre 1995. La relazione, fin qui rimasta inedita, si può leggere ora in VENTUROLI, Studi sulla acultura lignea, cit. n. 41, p. 70. (45) M. ALBERTARIO, in Legni sacri e preziosi, cit. n. 40, pp. 150-151, scheda 38; in quella sede mi fu possibile esaminare, oltre al Nicodemo delle Civiche Raccolte milanesi, anche la Madonna. Successivamente, il gruppo è stato riunito (con l’eccezione della Maddalena, non concessa in prestito) nell’allestimento di grande suggestione curato dall’architetto Andrea Perin, nella mostra dedicata alla scultura lignea nel 2005. Per ragioni di tempo, solo in parte le osservazioni raccolte in quell’occasione furono raccolte nella scheda di catalogo curata da chi scrive: Maestri della scultura, cit. n. 36, pp. 202-205, scheda III.15. 174 174 (46) Si veda ad esempio il profilo della pittura milanese tracciato da F. FRANGI, Una traccia per la storia della pittura a Milano dal 1499 al 1535, in Pittura a Milano. Rinascimento e Manierismo, Milano, 1998, pp. 23-36. (47) Sulla necessità di rivedere il percorso di Andrea da Corbetta alla luce delle nuove acquisizioni documentarie cfr. ora P. VENTUROLI, L’ancona della chiesa della Madonna dei sette dolori a Vigevano, in Sculture lignee a Vigevano e in Lomellina, a cura di L. Giordano, Vigevano, 2007, pp. 32-51. (48) Per le derivazioni dalle stampe è utile il contributo di S. BIANCHI, Appunti relativi ad alcune fonti a stampa delle principali realizzazioni dell’arte della scultura lignea in Lombardia tra Quattro e Cinquecento, «Rassegna di studi e di notizie», XXVII (2003), pp. 123174. (49) Benché già segnalate (cfr. ad esempio quanto ho scritto in Maestri della scultura in legno, cit. n. 36, in particolare p. 169, e ancora in «Sacri Monti», cit. n. 45) non mi pare che le citazioni dal Laocoonte nel volto del San Rocco di Piacenza (che si inquadra tra il 1524 e il 1534, FIG. 21) e nel Cristo alla colonna di Bologna (per il quale disponiamo di una data, 1533, FIGG. 22-23), significative per la fedeltà e la qualità della citazione, siano state registrate in Laocoonte in Lombardia. 500 anni dopo la sua scoperta, a cura di G. Sena Chiesa con E. Gagetti, Milano, 2007. (50) M. ALBERTARIO, Giovanni A ngelo, Del Maino, cit. n. 45. Per le derivazioni dalla Stanza della Segnatura cfr. Raphael invenit. Stampe da Raffaello nelle collezioni dell’Istituto Nazionale per la Grafica, catalogo di G. Bernini Pezzini, S. Massari, S. Prosperi Valenti Rodinò, Roma, 1985, p. 38 n. IV.1. (51) Su questo problema si vedano le riflessioni di S. BUGANZA, Per il Maestro delle storie di Sant’Agnese: una nuova pala e un possibile nome, «Nuovi studi», 8.2003 (2004), 10, pp. 61-83, C. QUATTRINI, Tangenze centroitaliane nella pittura del ducato di Milano al tempo di Bernardino Ferrari, «Viglevanum», 16 (2006), pp. 34-57; VILLATA, Gaudenzio Ferrari, cit. n. 33. (52) A. GUGLIELMETTI, in Maestri della scultura, cit. n. 36, pp. 198-201 scheda III.14. Questo gruppo di grande complessità è purtroppo privo di appigli cronologici certi; mi pare tuttavia condivisibile l’ipotesi di una datazione nel terzo decennio. (53) La statua è pubblicata, senza indicazione di autore, in M. GIACOBONI, La parrocchia di Castel San Giovanni. Note storiche, Piacenza, 1987, p. 108. Ringrazio ancora Carlo Cairati per la segnalazione. 175 175 (54) Qualche ulteriore chiarimento sull’attività piacentina potrebbe venire dalla Dolente conservata nella chiesa di Sant’Eufemia, di un classicismo spinto ma totalmente ridipinta e quasi ingiudicabile (FIG. 29); è segnalata da R. CASCIARO, La scultura lignea lombarda, cit. n. 42, p. 195 come San Giovanni. Testamento del prete Giovanni Maria Rusconi. Morbegno 21 gennaio 1518. Trascrizione a cura di Giulio Perotti. ASSo, Notarile, Giacomo Brocchi, vol. 492, cc. 359r – 362r [c. 359r] Millesimo quingentesimo decimo octavo indictione sexta die iovis vigesimo primo mensis ianuarii. Cum mors et vita hominis in manu omnipotentis Dei sint etc. et melius est sub spe moriendi vivere quam sub spe vivendi ad subitaneam mortem pervenire, igitur reverendissimus dominus presbiter Johannes Maria filius quondam et heres in solidum domini Tristanti de Ruschonibus de Morbegnio Vallistelline etc., sanus mente, loquela et intellectu, licet corpore sit infirmus, timensque illum mortis eventum etc., nolens intestatus decedere etc. sed potius mala sint extincta, per hoc suum presens testamentum nuncupativum quod sine scriptis appellatur condidit in hunc modum et per hec verba ut infra, videlicet In primis namque idem d. testator se et animam suam omnipotenti Deo et beatissime Virgini Marie eius genetrici ac sancto Johanni Baptiste commisit etc. Item ellegit et ellegit sibi sepulturam in ecclesia Sancte Marie et Sancti Laurentii de Morbegnio. Item idem dominus testator cassavit, inritavit, revocavit et annullavit ac cassat etc. omnia et singula testamenta omnesque codicillos et ultimas voluntates hinc restro per eundem testatorem facta etc., iubens etc. ea etc. esse nulla etc. etiam si in eo vel eis essent aliqua derogatoria de quibus opporteret ibi fieri spetialem mentionem quorum non meminisset, et hoc suum presens testamentum ceteris prevalere. Item idem prefatus dominus testator statuit, voluit, iussit et ordinavit ac statuit etc. quod per infrascriptos eius heredes post eius testatoris decessum reddantur et restituantur omnia quaecumque male ablata etc., si que etc. extorta etc. indebite etc. contra Deum etc. et hec omnibus et singulis personis etc. quibus reddi etc. teneantur de iure divino, pro quibus adimplendis omnia sua bona obnoxia et obligata relinquit michi notario infrascripto uti publice persone stipulanti etc., nomine et vice omnium personarum quarum interest etc. Item idem dominus presbiter Johannes Maria testator ut supra iussit, statuit, voluit, ordinavit et mandavit ut iubet etc. fondari fieri et hedificari ecclexiam unam seu oratorium sub nomine et vocabulo beatissime domine sancte Marie Virginis et sancti Johannis Baptiste subtus terram Morbegnii in una petia terre ortive ipsius testatoris ubi dicitur in pratis [c. 359v] de canipa, cui coheret a 176 176 177 177 mane prefati domini testatoris, a sero heredum (?) ser Gabrielis de Forbechenis et a nullahora prefati testatoris, et hoc de et ex bonis ipsius domini testatoris in hoc seculo relinquendis, usque ad summam librarum octocentum imperialium, ultra quantitatem lignaminis, plodarum, feramentorum que sunt in domo ipsius testatoris per ipsum testatorem preparata et destinata ad fabricationem dicte ecclesie seu oratorii et que sic preparata vult, mandat et iubet ad dictam fabricationem exponi et converti debere, cui ecclesie seu oratorio hedificando et fundando ac fabricando ut supra dedit et concessit ac iure legati reliquit et relinquit infrascripta bona intalia que sunt ista, videlicet in primis tabernacula tria magna argenti aureata, item calices duo magni cum suis patenis duabus magnis argenti aureati, item palyum unum de brochato auro cum sua coperta, item frontale unum effiguratum, item frontale unum de brochato auro cum celata una argenti, item frontale unum cremexilii cum roxetis quinque, item frontale unum de brochato auro laboratum veluti bruno cum celata auri, item frontale unum damaschi turchini cum smaltis quinque et croxetis quatuor argenti et corallorum fulsitorum argenti, item palium unum veluti cremexilii, item puyale unum cremexilii cum capino suo ac seralia una argenti et lapide uno rubro intus et cum dalmaticis duobus cremexilii cum stola una cremexilii, item puyale unum de brochato auro cum capino suo et cum seralya magna argenti in qua sunt plures figure depincte et super qua est etiam insignia Ruschonorum, item dalmatici duo de brochato auro cum stola una et manipulis duobus similiter de brochato auro, item pianteta [sic!] una de brochato auro cum stola una et manipulo uno similiter de brochato auro, item ameta tria similiter de brochato auro item ameta duo zetonii rubry cum modico argenti, item ameta tria zetonii seu sete brune ex quibus est unum fulcitum argenti, item amedum unum cremexilii frusti cum croxetis tribus, item ameta duo frusti sine drapo tele, item cordona octo, item camexa octo subtilia et grossa, item tovalia una laborata pallis coloris, item tovalia una olzelata, item illud sepulcrum suprascriptum (?) quod effiguravit et effigiavit ac fecit magister Angelus Papiensis, et est in domo ipsius testatoris, videlicet figure octo magne, et quas [c. 360r] figuras idem testator iussit et ordinavit et mandavit ac iubet etc. inaurari et dorari auro ac depingi coloribus finis et opportunis ac decenter circha eas figuras necessariis et opportunis ornari expensis infrascriptorum heredum suorum universalium et super suprascripta ecclesia seu suprascripto oratorio sit fienda et fiendo, necnon super suprascriptis sepulcro seu figuris sic ornandis ut supra et suprascriptis omnibus et singulis fiendis et adimplendis necnon super custodia suprascriptorum iocalium et ornamentorum de quibus supra prefatus dominus testator voluit, iussit et ordinavit et constituit etc. venerabilem dominum presbiterum Stafanum de Longis filium quondam magistri Christofori et magistrum Petrum aurificem de Caxate filium quondam domini Antoni, ambo habitatores Morbegnii, speciales commissarios et exequtores ibidem presentes et acceptantes onus dictam ecclesiam seu oratorium faciendi Fabricare et hedificare et reliqua facere in omnibus per omnia prout supra prefatus testator voluit et iussit et ordinavit, confitentes et protestantes ibidem in presentia mei et testium et notariorum infrascriptorum se recepisse et habuisse a prefato domino Johanne Maria testatore dictas libras octocentum imperiales in bonis denariis numeratis pro dicta fabrica perficienda ecclesie seu oratorii fiende seu fiendi, que libre DCCC imperiales sunt penes ipsum magistrum Petrum ut ibidem dictus magister Petrus asserit et confitetur, at hoc donec suprascripti dominus presbiter Stefanus et magister Petrus vixerint, post vero eorum mortem deputavit et substituit ad suprascripta omnia et singula communitatem Morbegnii seu agentes per eam. Item prefatus dominus presbiter Johannes Maria testator statuit, voluit, iussit et ordinavit ac statuit etc. quod infrascripti Franciscus, Vincentius et Petrus, eius heredes universales ut infra et eorum filii et heredes teneantur et debeant ac astricti et obligati sint facere celebrare missam unam in ipsa ecclesia seu oratorio ut supra nominato et fienda seu fiendo sub vocabulo predicte sancte Marie et sancti Johannis Baptiste, et hoc singulis diebus tam feriatis quam non feriatis et usque in perpetuum ipse presbiter teneatur cantare vesperas omni anno in festis sancte Marie et sancti Johannis Baptiste et in qua dicti heredes teneantur facere fieri seu celebrare anniversarium unum cum missis sex et cum duobus officis mortuorum omni anno perpetuo ut supra in festo decolationis sancti Johannis Baptiste et casu quo contingit ipsum festum esse in die dominico, quod debeant facere ipsum anniversarium in die antecedenti aut in die sequenti, et quod suprascripti dominus presbiter Stefanus et magister Petrus aurifex possint taxare mercede ipsius presbiteri in celebrandis ipsis missis prout supra, [360v] et quod communitas Morbegnii seu eius sindici et agentes pro ea communitate qui pro temporibus erunt usque in perpetuum et cum eis prefatus dominus presbiter Stefanus et magister Petrus possint et valleant cogere et compellere ipsos heredes ad facendum [segno indecifrabile] celebrare ipsam missam singulo die et ipsum anniversarium ipsarum sex missas in dicta decolatione sancti Johannis Baptiste ut supra, faciendo et constituendo idem dominus presbiter Johannes Maria testator ut supra ipsam communitatem Morbegnii et seu sindicos ipsius communitatis, qui pro temporibus erunt usque in perpetuum ut supra, actores et exequutores ac commissarios ad faciendum fieri et adimplere predictam missam et predictum anniversarium ut supra, et ex nunc prout et tunc idem suprascriptus testa- 178 179 tor eisdem domino Presbitero Stefano et magistro Petro et eidem communitati seu eius sindicis qui pro temporibus erunt omnimodam potestatem et facultatem attribuit, dedit et concessit ac dat etc. et pro quibus adimplendis omnia sua bona obnoxia et obligata relinquit mihi notario infrascripto ut publice persone stipulanti etc. nominibus etc. quorum interest etc. Item statuit, legavit etc. Luzie filie quondam ser Nicolai de Ruschonibus de Morbegnio libras XXV imperiales, que faciunt libras quinquaginta tertiolorum, sibi dandas etc. per infrascriptos eius heredes post eius testatoris decessum semel tantum, in remedio anime sue, pro quibus adimplendis etc. Item legavit etc. Marie filie quondam Antonii de Ruschonibus suprascriptis libras XXV imperiales, que faciunt libras quinquaginta tertiolorum, sibi dandas etc. ut supra semel tantum, pro quibus adimplendis etc. in remedio anime sue. Item statuit et legavit etc. domino Johanni Antonio de Ruschonibus suprascriptis libras decem imperiales, quae faciunt libras XX tertiolorum, semel tantum sibi dandas etc. per suprascriptos et infrascriptos heredes, pro quibus adimplendis etc. Item statuit et legavit etc. magistris Laurentio et Johanni fratribus filiis quondam ser Abondii de Mosino de Sondrio libras viginti imperiales, quae faciunt libras quadraginta tertiolorum, et utrique eorum pro medietate, sibi dandas etc. per infrascriptos eius heredes post eius testatoris decessum, semel tantum, in remedio anime sue, pro quibus adimplendis etc. [c. 361r] Item statuit, legavit, ordinavit et assignavit ac statuit etc. Theodore filie quondam *** de Ferariis et Paxine filie quondam Viviani de Petreto de Tedoldis de Tallamona, ancillis ipsius testatoris, et utrique earum pro medietate, infrascripta bona mobilia et immobilia inferius declarata, et his pro earum et utriusque earum victu et vestitu, et usquequaque vixerint unitim et non ultra, primo caminatam unam cum saleta una prope, que sunt in domo et intra portam ipsius testatoris, videlicet versus meridiem partem domus habitationis ipsius testatoris, cum solariis duobus supra copertis plodarum et cum andedo eundi etc., videlicet ad ipsam caminatam et saletam per portam domus habitationis ipsius testatoris et ad dicta solaria per schalam unam lapideam que est prope stratam communem. Item vigniola tria seu petie tres terre vineate iacentes subtus terram Morbegni ubi dicitur in pratis de canipa, prope suprascriptam ecclesiam sic fiendam, videlicet a quodam muro supra [seguono parole cassate] ; item quartaria viginti bladi misture sicalis et milii ficti quod fit etc. per Stefanum dictum Bonum (?), filium Simonis de Verfo (?), habitatorem ultra pontem Morbegnii; item quartaria quatuor [seguono parole cassate] castanearum pistarum ficti quod fit. etc. per Bonetum de Brochis de Rasura; item condia quatuor cum dimidio vini seu musti ficti quod fit etc. per Jacobinum dictum Barsium filium quondam [***] de Campiano, communis et montis Morbegnii;[c. 361v] item lectum unum plumme cum suis fulcimentis; item bona seu utensilia masarie, videlicet calderinum unum, catena, brendenale, lebetes et alia utensilia secundum earum statum et condicionem, similiter pro earum usu tantum prout supra. In reliquis sutem suis bonis et rebus mobilibus et imobilibus, se seque moventibus, iuribus, actionibus et nominibus debitorum et creditorum presentibus et futuris prefatus dominus testator ut supra instituit sibi heredes universales quos ore suo proprio nominando ac nominavit et nominat Franciscum filium quondam domini Pauli, Vincentium filium quondam ser Nicolai et Petrum filium quondam Gabrielis, omnes tres de Ruschonibus, habitatores Morbegnii et quemlibet eorum equali portione, et si aliquis eorum decederet absque filiis et filiabus legitimis et naturalibus, tunc et eo casu [cancellatura] eosdem sibi ad invicem substituit pupillariter, vulgariter et per fidey commissum, ita quos superstes seu superstites succedant premorienti seu premorientibus cum oneribus omnibus et singulis de quibus supra. Hanc itaque prefatus dominus testator asseruit et asserit velle esse suam ultimam voluntatem et suum ultimum testamentum, quam et quod valere et tenere voluit et iussit iure testamenti nuncupativi, et si iure testamenti nuncupativi non valeret, vult, iubet et ordinat quod valeat et teneatur iure codicillorum, et si iure codicillorum non valeret, vult etc. quod valeat iure donationis causa mortis et iure fideicomissi et cuiuslibet alterius sue bone et ultime voluntatis, quibus melius et vallidius [c. 362r] valere et tenere poterit et potest. Et de predictis rogatus sum ego Jacobus de Brochis notarius infrascriptus ut publicum conficiam instrumentum unum et plura et de capitulo in capitulum si opus fuerit in laudem non mutata substantia. Actum Morbegnii in sala seu camera cubiculari prefati d. testatoris, unde plura interfuerunt ibi testes ad hec vocati et rogati, dominus Matheus filius quondam domini Baraini de Castello Sancti Nazarii, dominus Johannes Antonius filius quondam domini Johannis de Filiponibus, dominus Johannes Jacobus filius quondam Johannis de Vicedominis, ser Franciscus filius quondam ser Simonis de Vicedominis suprascriptis, ser Johannes filius quondam ser Gasparis de Ninguarda, dominus Magister Georgius ceroicus filius suprascripti magistri Petri aurificis de Caxate et Gaudentius filius domini Johannis de Castro Sancti Nazarii et pro notariis Bernardinus filius Stefani quondam magistri Viviani de Spandris, Martinus et Tomas fratres filii mei notarii infrascripti, omnes testes et notarii habitatores Morbegnii ac omnes noti et idonei. 180 181 Proposta di attribuzione e modelli iconografici per alcuni sedili intarsiati nelle Raccolte del Castello Sforzesco Andrea Bardelli A proposito dei celeberrimi sedili intarsiati esposti nel Museo dei Mobili presso il Castello Sforzesco ci si propone di puntualizzarne la provenienza geografica, di assegnarli a un preciso ambito di bottega e di indagare l’origine sia del modello sia dei soggetti che vi compaiono intarsiati. Si tratta di tre sedili, due sedie e un seggiolone (INVV. n. 231 e n. 788), riportati in tutti i principali testi dedicati al mobile italiano e considerati emblematici dell’arte del legno in Lombardia, sebbene con identificazione cronologica non univoca (FIGG. 1-3)(1). Le due sedie sono in noce e presentano uno schienale con montanti rigidi a sezione rettangolare, leggermente inclinati, culminanti con un ricciolo intagliato. Le gambe sono anch’esse rigide e squadrate; le posteriori, proseguimento dei montanti dello schienale, sono raccordate tra loro e a quelle anteriori da semplici traverse lisce. I montanti dello schienale e le gambe anteriori sono collegate da cartelle mistilinee, intagliate a riccioli. La seduta è di forma rettangolare. La fronte dei montanti dello schienale e le gambe anteriori sono decorate da un motivo floreale intarsiato: sui montanti l’intarsio è in noce su fondo in acero, sulle gambe il rapporto cromatico si inverte. Al centro delle tre cartelle intagliate si trovano formelle rettangolari intarsiate con diverse forme di volatili variamente collocate. Sulla cartella superiore compare anche un piccolo stemma intarsiato di forma circolare. Il seggiolone presenta la stessa impostazione formale, ma vi compaiono due braccioli rigidi, retti da un sostegno tornito e intagliato, raccordati ai montanti da piccole mensole intagliate, al centro delle quali compare un motivo gemmiforme. Nelle formelle che decorano questo sedile compaiono soggetti legati alla caccia e altri animali. Assegnate correttamente da Colle a bottega bergamasca del XVII secolo(2), si tratta ora di collocarle nell’ambito di una produzione che vanta numerosi esempi. é stato, infatti, possibile identificare una ‘famiglia’ di mobili, che si caratterizza per la presenza di figure intarsiate di animali, alla quale appartengono anche alcuni cas182 183 Finito di stampare nel mese di Settembre 2010 presso le Arti Grafiche Torri srl - Cologno Monzese (Mi) 320