RACCOLTE ARTISTICHE
RACCOLTE GRAFICHE E FOTOGRAFICHE
COMITATO DI REDAZIONE
Membri:
CLAUDIO SALSI: Direttore
LAURA BASSO: Conservatore delle Raccolte d’Arte Antica
ARNALDA DALLAJ: Conservatore del Gabinetto dei Disegni
RODOLFO MARTINI: Conservatore del Gabinetto Numismatico e Medagliere
GIOVANNA MORI: Conservatore del Gabinetto delle Stampe
CAROLINA ORSINI: Conservatore delle Raccolte Extraeuropee
SILVIA PAOLI: Conservatore delle Raccolte Fotografiche
FRANCESCA TASSO: Conservatore Responsabile delle Raccolte Artistiche
PAOLO BELLINI
GRAZIA BISCONTINI UGOLINI
ROSSANA BOSSAGLIA
GRAZIETTA BUTAZZI
ALBERTO MILANO
OLEG ZASTROW
Direttore Responsabile
CLAUDIO SALSI: Direttore del Settore Musei del Comune di Milano
In copertina:
Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati, Colloquio mistico di San Pietro con le sante
Agnese, Caterina e Cecilia (particolare), Opava (Repubblica Ceca), Museo della Slesia.
COMUNE DI MILANO
Raccolte d’Arte Antica
Raccolte d’Arte Applicata
Raccolte Extraeuropee
Museo degli Strumenti Musicali
Gabinetto Numismatico e Medagliere
Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli
Archivio Fotografico
Gabinetto dei Disegni
RASSEGNA DI STUDI E DI NOTIZIE
(Numero monografico)
Vol. XXXII - Anno XXXVI
CASTELLO SFORZESCO
SETTORE MUSEI
MILANO 2009
Rassegna di Studi e di Notizie
Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati
scultori e imprenditori del legno nella Lombardia del Rinascimento
a cura di Francesca Tasso
con la collaborazione di Fabio Frezzato e Luca Quartana
con ricerche e saggi di
CARLO CAIRATI, LARA CALDERARI
DANIELE CASSINELLI
ILARIA DE PALMA
FABIO FREZZATO
LUCIANO GRITTI
PAMELA HATCHFIELD
ANDREA MEREGALLI
MARIOLINA OLIVARI
JAROMÍR OLS̆OVSKÝ
PATRIZIO PEDRIOLI
DANIELE PESCARMONA
LUCA QUARTANA
MICHELLE SCALERA
MARIA PAOLA ZANOBONI
redazione Ilaria Bruno
Autorizzazione Tribunale di Milano n. 321 del 17-10-74
I Musei del Castello e la scultura lignea in Lombardia
Claudio Salsi
Direttore del Settore Musei
Saluto l’uscita di questa raccolta di studi come l’ultimo risultato di un coerente
programma di approfondimento della scultura lignea lombarda, sviluppatosi a
partire dagli studi condotti su questa specifica classe di materiali conservati al
Castello Sforzesco. Molti anni orsono chi scrive ha avuto il privilegio di avviare
recuperi, restauri e ricerche, pubblicate in “Rassegna di Studi e di Notizie”,
indirizzati a mettere nella giusta evidenza la pregevole sezione di sculture lignee
dei Musei del Castello, fino ad allora ingiustamente trascurata. Mi riferisco ad
un preciso piano di valorizzazione, culminato, almeno per quanto riguarda la
scultura lignea lombarda del XV secolo e di parte del XVI, in un primo clamoroso evento pubblico con la mostra Maestri della Scultura in legno nel Ducato
degli Sforza, organizzata sotto la sapiente guida di Giovanni Romano nel 2005.
Ma ripenso anche al convegno, tenutosi nello stesso anno, Opere insigni, e per
la divotione e per il lavoro. Tre sculture lignee del Maestro di Trognano al Castello Sforzesco, a cura di Marco Bascapè e Francesca Tasso. Non dimentico la
collaborazione del Castello alla mostra Scultura lignea. Legni sacri e preziosi in
Valtellina e Valchiavenna tra Gotico e Rinascimento promossa dal Museo valtellinese di storia ed arte (2005). A Francesca Tasso, prima nel suo ruolo di Conservatore delle Raccolte d’Arte Applicata e attualmente in quello di Responsabile delle Raccolte Artistiche del Castello, si deve riconoscere il merito di aver
costantemente coltivato l’interesse per questo tema e di averlo progressivamente approfondito fino alla scelta di costituire un qualificato gruppo di studio, che
ora ci consegna diverse novità su importanti aspetti della pratica dell’intaglio
ligneo in Lombardia nel Rinascimento e soprattutto sulla produzione dei Fratelli De Donati. Siamo certi che i loro apporti, contribuendo alla miglior conoscenza di quest’arte, ne favoriranno pure la tutela e la salvaguardia anche al di
fuori dei luoghi deputati alla conservazione dei beni culturali, come sono i
musei. Pensando alle deprecabili dispersioni del secolo appena trascorso nella
nostra città ci si deve dispiacere, ad esempio, per la totale scomparsa di una
“deposizione nel sepolcro scolpita nel legno”, secondo Luca Beltrami risalente
agli inizi del ‘500, che ancora alla fine del XIX secolo si trovava nella chiesa di
S. Maria Bianca della Misericordia in Casoretto, a quel tempo piccolo borgo
5
fuori di Porta Orientale. L’interesse per l’elaborato è accresciuto da una parziale descrizione (con precisa restituzione grafica di un dettaglio) che ne fece lo
stesso Beltrami: l’artista, volendo rappresentare nel fondo della composizione
una veduta delle mura di Gerusalemme, si ispirò al Castello di Milano e situò a
fianco di una torre rotonda a bugnato, ricordo delle torri rotonde di Francesco
Sforza, una torre più alta con vari sopralzi, di un forma che si accorda con quella della torre principale del Castello detta “del Filarete” (L. Beltrami, Il Castello di Milano, Milano 1894). Sappiamo trattarsi di una composizione complessa
con “statue grandi figuranti il Calvario e Santo Sepolcro” collocata in una cappella almeno fino al 1772, come risulta da un inventario redatto a quella data.
Impossibile eludere il facile riferimento all’immagine delle imponenti architetture fortificate che chiudono gli sfondi dei due rilievi della Passione da S. Maria
del Monte, oggi esposti al Castello, e non rammaricarsi, una volta di più, per la
perdita di una testimonianza, probabilmente non secondaria, delle relazioni artistiche tra i maestri dell’intaglio nel nostro territorio e della rete delle committenze illustri tra Quattrocento e Cinquecento. La chiesa di Casoretto, fino alla
fine del XV secolo, infatti, godette di privilegi, immunità e concessioni da parte
della corte sforzesca, confermati nel 1508 dal re di Francia, Luigi XII (cfr. E.
Cazzani, La parrocchia di Santa Maria Bianca della Misericordia in Milano,
Saronno 1977, p. 45).
6
INDICE
Claudio Salsi - I Musei del Castello e la scultura lignea in Lombardia ..…
Pag.
5
Francesca Tasso - Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati
scultori e imprenditori del legno nella Lombardia del Rinascimento …
»
11
Fabio Frezzato, Luciano Gritti, Luca Quartana - Giovanni Pietro e Giovanni
Ambrogio De Donati, Martino di Castello di Caspano - San Pietro lascia
i confratelli………………………………………………………………
»
17
Jaromír Ols̆ovský - Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati,
Martino di Castello di Caspano - The Mystical Conversation of St Peter
Martyr with three Saint Women (St Agnes, St Catherine of Alexandria
and St Lucia) - The Prayer of St Peter Martyr …………………………
»
21
Michelle Scalera - Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati,
Martino di Castello di Caspano - Martirio di San Pietro Martire .……
»
27
Fabio Frezzato, Luciano Gritti, Luca Quartana - Maestro di Trognano
(Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati?) - Natività (1490
circa) ……………………………………………………….……………
»
29
Fabio Frezzato, Luciano Gritti, Luca Quartana - Maestro di Trognano (Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati?) - Andata al Calvario Deposizione nel sepolcro .………………………………………………
»
33
Schede
7
Pamela Hatchfield – Workshop of Giacomo Del Maino (or Workshop
Brothers De Donati?) - Nativity, with the Journey of the Magi and
St. Jerome (1490 circa) …...…………………..…………………………
Pag.
41
Fabio Frezzato, Luca Quartana - Bottega di Giacomo Del Maino (o Bottega
Fratelli De Donati?) - Natività con Adorazione dei pastori e San
Gerolamo penitente .……………………………………………….……
»
51
Lara Calderari, Andrea Meregalli, Patrizio Pedrioli - Giovanni Pietro e
Giovanni Ambrogio De Donati, pittore lombardo (tavola dipinta centrale) e Maestro di San Rocco a Pallanza (tavole dipinte laterali) - Ancona
della Pietà (inizio del XVI secolo) …………..…………………………
»
55
Fabio Frezzato - Le policromie. Ricostruzione dei procedimenti esecutivi
dall’interpretazione dei dati delle indagini scientifiche ……..…………
»
71
Daniele Pescarmona - Annotazioni sulla tecnica esecutiva degli scultori
lombardi fra Quattro e Cinquecento ..……..……………………………
»
85
Mariolina Olivari - «Facta, picta, constructa et fabricata». Botteghe e scultura lignea …………………………..……..……………………………
»
97
Maria Paola Zanoboni - Il commercio del legname ……..…………………
»
105
Ilaria De Palma - Esempi di tutela della scultura lignea: la bottega dei
Gritti ………………………………..……..……………………………
»
123
Carlo Cairati, Daniele Cassinelli - Regesto dei documenti ..………………
»
133
Immagini
»
159
Saggi
Regesto
8
RASSEGNA DI STUDI E DI NOTIZIE
Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati
scultori e imprenditori del legno
nella Lombardia del Rinascimento
Francesca Tasso
Il volume che qui si presenta chiude una lunga stagione che ha visto lavorare le Raccolte d’Arte Applicata e altri istituti del Castello Sforzesco sul tema della scultura
lignea lombarda, stagione conclusa con l’esposizione Maestri della scultura in legno
nel Ducato degli Sforza, tenutasi nel 2005-2006. La mostra ha acceso discussioni e stimolato riflessioni; per il museo il coinvolgimento maggiore ha riguardato aspetti tecnico-esecutivi e di conservazione: la necessità di tutelare opere di una fragilità intrinseca, di ben valutare l’opportunità delle movimentazioni, anche in relazione ai delicati
cambiamenti microclimatici, ha comportato l’istituzione di un piccolo gruppo di restauratori che ha accompagnato lo staff del museo in tutte le fasi. La competenza e l’esperienza accumulate in particolare Luciano Gritti e Luca Quartana ne hanno fatto un punto di riferimento anche per colleghi di musei stranieri, con cui si sono stabilite collaborazioni durevoli.
In primo luogo questo volume si propone di documentare e condividere la messe estesissima di conoscenze sviluppate osservando sistematicamente e a lungo queste opere.
Il ricco apparato fotografico che correda il volume, solo una parte dell’ampia campagna
fotografica effettuata tra il 2005 e oggi, costituisce uno dei principali pregi di questa
pubblicazione.
Gli scritti si aprono con lo sguardo strettamente analitico con cui sono state redatte le
schede delle singole opere, in cui si esaminano le strutture, le carpenterie e la stesura
delle policromie; il saggio di Fabio Frezzato, cui spetta di aver tenuto la regia delle
indagini tecnico scientifiche e dei loro risultati, costituisce la sintesi che permette di
collegare i risultati tra di loro in una lettura unitaria. Ne emergono considerazioni importanti: ad esempio risulta che il Presepe di Trognano presenta stringenti affinità nella
costruzione della carpenteria e nella stesura pittorica, persino nelle anomalie, con le
quattro tavole provenienti dall’ancona di San Pietro Martire già nella chiesa di San Giovanni Pedemonte a Como, tanto da rendere assai plausibile l’attribuzione agli stessi
autori Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati (1). I due rilievi provenienti da
Santa Maria del Monte sopra Varese, assegnati dalla critica ormai da tempo allo stesso
11
Maestro di Trognano, presentano criteri costruttivi non dissimili, ma esibiscono uno
straordinario virtuosismo nella scelta e nella lavorazione del legno per costruire la carpenteria che non ha pari nelle altre due ancone, basate su moduli ridotti. Negli unici due
rilievi che è stato possibile esaminare la policromia risulta inoltre stesa secondo modalità profondamente diverse dai due esempi precedenti: sia la gessatura sia la stesura dei
vari strati di colore sono in linea con le modalità esecutive proprie dei pittori contemporanei e incidono profondamente anche nella percezione dell’intaglio del legno sottostante, laddove a Como e Trognano, come nota Frezzato, il completamento pittorico va
nella direzione di un’assimilazione dell’opera a un grande tabernacolo dorato (2).
L’esteso ricorso alla doratura nelle sue diverse forme e in particolare alla tecnica dello
sgraffito, che si osserva nei rilievi dei De Donati, è presente anche in opere di produzione certamente seriale, come le piccole ancone di devozione privata di cui qui si esaminano due celebri esemplari, assegnati dalla critica ora a Giacomo del Maino, ora ai fratelli De Donati. L’imbarazzo critico trova riscontro nell’analisi strutturale e del complemento pittorico: malgrado le evidenti affinità compositive con altri rilievi usciti dalla
bottega dei De Donati, come la lunetta con la Natività del Museo civico di Lodi
(FIG. 111) o l’anconetta di analogo soggetto conservata nei musei del Castello Sforzesco
(FIGG. 114-118), e malgrado l’uso estensivo dello sgraffito, non vengono invece utilizzati sistematicamente il bolo sopra la preparazione gessosa e la foglia d’oro. Una diversa concezione si registra anche nel modo di scolpire il legno: là dove i De Donati e
anche il maestro di Varese lavorano sempre intagliando il legno per piani paralleli destinati ad una visione esclusivamente frontale, come ha ben illustrato Daniele Pescarmona
sia in questa sede sia in un intervento del 2005 (3), senza staccare la figura dal piano di
fondo, il maestro attivo nelle due ancone ritaglia le figure, ne arrotonda le teste, dà loro
una consistenza volumetrica e tridimensionale che sembra più in linea con le opere attribuite a Giacomo del Maino.
L’analisi ravvicinata dei rilievi permette di confermare un’intuizione sviluppata e illustrata con dovizia di esempi anche documentari da Mariolina Olivari: i maestri di cui
stiamo parlando lavorano con ampio concorso di collaboratori, in botteghe strutturate
con diverse professionalità che si specializzano in una singola fase della lunga ed elaborata realizzazione. La ricchezza e complessità delle botteghe degli intagliatori è confermata dal saggio di Maria Paola Zanoboni, che indaga il mercato del legno nella Lombardia del Quattrocento, e soprattutto dal regesto dei documenti riguardanti i De Donati. L’ostinazione e la sistematicità del lavoro di Carlo Cairati e Daniele Cassinelli hanno
consentito di allineare numerosissimi documenti, che forniscono, nella loro consequenzialità, un gustoso spaccato su una famiglia di artisti tra Quattro e Cinquecento. La lettura sarà ricca di stimoli: dai tantissimi spunti traggo solo alcune considerazioni, a
cominciare dal fatto che finché Giovanni Ambrogio è in vita sembra evidente che a lui
spetti un ruolo più manageriale nell’organizzazione della vita della famiglia e della bot12
tega. Accanto a lui si muovono anche gli altri parenti più stretti, di cui ricordiamo in
particolare i fratelli Ludovico, pittore, e Francesco, tessitore. Spiccano poi i numerosissimi contratti di apprendistato che portano al fianco di Giovanni Pietro una continua
sequenza di giovani destinati ad apprendere il mestiere. Se Ambrogio emerge come un
organizzato imprenditore – e con questo ruolo sottoscrive probabilmente i contratti
anche per il fratello – Pietro risulta, almeno fino alla morte di Ambrogio, essenzialmente scultore. La complessa struttura delle botteghe potrebbe aiutare a sciogliere certi nodi
attributivi assai complessi. Per questo mi sento di avanzare l’ipotesi che anche i rilievi
con Storie della Passione provenienti da Varese possano essere ricondotti alla bottega
dei due fratelli, pensando ad un contesto generale più complesso di altri casi e alla presenza di un pittore più specializzato di quelli utilizzati abitualmente.
Il documento più interessante pubblicato nel regesto riguarda il contratto di apprendistato che lega Giovanni Pietro De Donati a Giacomo del Maino dal 1470 al 1478. Questo rapporto consegna a Giacomo un ruolo di primogenitura nell’evoluzione della scultura lombarda. Le date della collaborazione gettano nuova luce sul documento del 6
giugno 1478, quello in cui entrambi gli scultori risultano al lavoro sugli stalli della Basilica di Santa Maria del Monte sopra Varese: a quella data Pietro è ancora allievo di Giacomo, anche se destinato ad emanciparsi di lì a poco. Se vogliamo riconoscere nell’autore delle Storie della Passione Giovanni Pietro, dobbiamo pensare che la sua partecipazione all’impresa del grande altare della basilica debba collocarsi un po’ dopo quel
1478, in una fase in cui il giovane maestro, che si era probabilmente messo in luce
all’interno della bottega dell’illustre maestro, potesse essere chiamato per una commissione ducale. Una data intorno al 1480 o poco dopo, prima delle commissioni in San
Francesco a Pavia e a Treviglio, ha il pregio di ben allacciarsi ai documenti che attestano la presenza al Sacro Monte di Bernardino Butinone (1480 e 1488), ormai segnalato
da più parti come il possibile esecutore della policromia dei rilievi (4).
L’apprendistato di Pietro presso Giacomo può spiegare le strette affinità che talvolta si
registrano in opere uscite dalle loro botteghe, a cominciare dalla questione delle anconette con Natività di cui si trattava sopra. Il discrimine tra le due botteghe si misura tuttavia in una scelta stilistica e costruttiva peculiare dei De Donati, i quali sviluppano fin
dalle loro prime prove una costruzione prospettica delle scene che deriva dall’adesione
alla nuova cultura portata a Milano da Bramante a partire dal 1481. La predilezione per
la lavorazione su un rilievo molto basso, per piani paralleli, permette di impostare la
scultura in stretta analogia con un dipinto e di raggiungere esiti che risultano in definitiva lontani dal modus operandi di Giacomo.
Il saggio conclusivo di Ilaria De Palma ripercorre la storia dello studio della scultura
lignea lombarda dal punto di vista della storia della tutela e del restauro sul territorio e
costituisce un tributo al maestro da cui tutti noi abbiamo imparato ad osservare queste
opere, Eugenio Gritti.
13
Arrivati finalmente alla chiusura del volume, desidero ringraziare calorosamente tutti i
compagni di viaggio che in questi anni hanno avuto la pazienza e il costante entusiasmo di aderire al progetto, di seguirlo e di discutere con me gli sviluppi che la lunga
gestazione ha consentito. Il mio ringraziamento va a tutti gli autori, a Claudio Salsi per
aver promosso il lavoro e per non averlo lasciato esaurire, a Rachele Autieri per aver
messo in atto con ostinazione tutte le procedure che hanno consentito di realizzarlo e
alla giovane Ilaria Bruno per aver dedicato tanto tempo prezioso nell’uniformare gli
interventi e nel raccordare gli autori. Non avendolo potuto fare in altra sede, dedico
questo impegno a Giovanni Romano: lavorare con lui per la mostra sulla scultura lignea
lombarda del 2005 è stato un privilegio tra i più preziosi, il suo magistero resta per me
un modello a cui, seppur immeritatamente, sempre mi ispiro.
NOTE
(1)
L’analisi tecnica conferma un’intuizione critica già emersa nella letteratura più recente: G. AGOSTI,
J. STOPPA, in Mantegna 1431-1506 (Parigi, Musée du Louvre, 26 settembre 2008 - 5 gennaio 2009),
a cura DI G. AGOSTI, D. THIÉBAUT, assistiti da A. GALANSINO e J. STOPPA, Milano 2008 (edizione
italiana rivista e corretta con la collaborazione di A. CANOVA e A. MAZZOTTA), pp. 258-260;
A. UCCELLI, in Il portale di Santa Maria di Piazza a Casale Monferrato e la scultura del Rinascimento tra Piemonte e Lombardia (Casale Monferrato, 9 maggio - 28 giugno 2009), a cura di
G. AGOSTI, J. STOPPA e M. TANZI, Milano 2009, pp. 127-129; ma l’ipotesi era già in R. CASCIARO,
F. MORO, Proposte e aggiunte per Giovan Pietro, Giovanni Ambrogio e Ludovico De Donati, «Rassegna di Studi e di Notizie», 20 (1996), pp. 37-125, sebbene Casciaro l’abbia poi smentita nella
sua bibliografia successiva.
(2)
Le osservazioni tecniche sulla carpenteria dei rilievi che vengono da Santa Maria del Monte sopra
Varese confermano la necessità di un’ulteriore riflessione sulla conformazione del complesso altare, che doveva configurarsi come una commissione eccezionale per dimensioni e complessità strutturale: si cfr. D. PESCARMONA, La scultura lignea del Rinascimento fra Quattro e Cinquecento
(dicembre 1975), in La Storia di Varese, Storia dell’arte a Varese e nel suo territorio, vol. VIII,
progetto diretto e coordinato da M.L. GATTI PERER, in corso di stampa; ringrazio C. CAIRATI per
avermi prontamente messo a disposizione il suo intervento, dal titolo Maestri della scultura in
legno nei cantieri varesini tra Quattrocento e Cinquecento, tenuto in un recente convegno organizzato dal Comune di Varese sulla scultura lignea dell’area varesina, in cui ritorna sull’argomento.
(3)
D. PESCARMONA, Annotazioni di tecnica esecutiva, in Maestri della scultura in legno nel ducato
degli Sforza (Milano, Castello Sforzesco, 21 ottobre 2005 - 29 gennaio 2006), a cura di G. ROMANO, C. SALSI, Cinisello Balsamo 2005, pp. 231-241.
(4)
R. GANNA, La fabbrica sforzesca di S. Maria del Monte di Varese: revisione critica e fatti inediti,
in Opere insigni, e per la divotione e per il lavoro. Tre sculture lignee del Maestro di Trognano al
Castello Sforzesco, Atti della giornata di studio, Milano, Castello Sforzesco, 17 marzo 2005, a
cura di M. BASCAPÈ, F. TASSO, Cinisello Balsamo 2005, pp. 42-43; C. CAIRATI, cit. n. 2.
14
SCHEDE
Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati,
Martino di Castello di Caspano
San Pietro lascia i confratelli –
Rilievo dall’ancona di San Pietro Martire,
già Como, chiesa di San Giovanni Pedemonte (1497)
Legno intagliato, dipinto e dorato (86x50 cm) –
Berlino, Staatliche Museen, Skulpturensammlung und Museum für byzantinische
Kunst, inv. 246
Specie riconosciute: pioppo, tiglio (?)
Fabio Frezzato, Luciano Gritti, Luca Quartana
Notizie storiche e descrizione
Il rilievo appartiene all’insieme scultoreo, commissionato a Giovanni Ambrogio De Donati e a Martino di Castello di Caspano nel 1497 dai confratelli della Scuola di San Pietro
Martire nella chiesa di San Giovanni Maggiore a Como, imperniato sulla figura e su episodi della vita di San Pietro Martire.
Il gruppo era in origine composto da quattro rilievi con le storie del santo e da due figure
centrali rappresentanti a grandezza naturale la Vergine col Bambino e il santo inginocchiato di fronte a lei.
Nel rilievo dei musei berlinesi è rappresentato l’episodio in cui San Pietro si congeda dai
confratelli per incamminarsi dal convento di San Giovanni a Como verso Milano, lungo il
percorso che lo vedrà vittima dell’agguato in cui troverà la morte.
La composizione della scena è organizzata in profondità su quattro livelli principali, corrispondenti alle figure in primo e in secondo piano, alla struttura architettonica e al cielo
dipinto sulla tavola di fondo (FIG. 1).
In primo piano al centro stanno San Pietro, con la cappa scura sullo scapolare e la tonaca
bianca, e un confratello, senza la cappa, a creare un contrasto cromatico netto all’interno di
una scena che, per quanto delle quattro sia la più affollata di personaggi, risulta al contrario
la meno ricca sul piano cromatico. I due personaggi stanno in piedi uno di fronte all’altro,
di profilo, sul pavimento scorciato prospetticamente, tenendosi le mani in un gesto che
manifesta da un lato il tentativo del confratello di trattenere il santo e dall’altro, come vuole il racconto dei suoi ultimi giorni, la pacata ma ferma determinazione dello stesso a procedere nel suo intento, benché febbricitante e presago della possibile imboscata.
In secondo piano la scena è animata da quattro figure di frati: a sinistra se ne vedono due,
impegnati in una conversazione; al centro un altro guarda verso destra trattenendo la cap17
pa con una mano all’altezza della coscia e l’altra poggiata sul petto; infine, sulla destra, è
raffigurato il confratello Daniele, vestito di bianco con la cappa scura gettata su una spalla e la sacchetta contenente il breviario, in attesa di partire col santo.
Lo sfondo architettonico costituisce il terzo livello di profondità degli elementi della composizione. Si tratta certamente di una delle rarissime raffigurazioni di un elemento dell’alzato del convento di San Giovanni Pedemonte, di cui San Pietro era priore dal 1251, un
anno prima della morte. Potrebbe corrispondere al corpo absidale della chiesa del convento prima delle ricostruzioni cinque e seicentesche che si possono osservare in una veduta
di Como attribuita al pittore ticinese Gian Domenico Caresana (attivo all’inizio del XVII
secolo) e presente nelle Civiche Raccolte di Palazzo Volpi a Como. Nel rilievo berlinese
si vede al centro il corpo di fabbrica, a salienti, con la parte inferiore che presenta ai lati
due alte finestre con vetrate e al centro una nicchia parzialmente sporgente e sorretta da
mensole che ospita una statua di San Giovanni Battista. Lungo il saliente inferiore corre
un fregio dorato, che ritroviamo in forma meno elaborata anche in quello della parte superiore, quasi completamente occupata da un oculo con vetrata. La costruzione è prospetticamente disposta a mostrare parte del fianco sinistro ed è abbellita agli angoli degli spioventi da pinnacoli a pilastrino, alcuni dei quali mancano o sono stati spostati. A limitare lo
sguardo in profondità contribuiscono due elementi che si innestano sulle pareti laterali del
corpo principale: queste comprendono, a sinistra, parte di un ambiente porticato con tetto
a spiovente aggettante sopra un semiarco e un oculo inscritto in un fregio; a destra è invece visibile solo un semiarco contornato da una fascia decorativa.
L’ultimo elemento della composizione è semplicemente il cielo azzurro al di là della
costruzione, dipinto direttamente sulla tavola di fondo.
Tecnica costruttiva
Il legno del fondale, costituito da due tavole verticali giuntate (FIG. 2), approssimativamente di ugual misura, è quasi sicuramente pioppo, se si tiene in considerazione il fatto che tale
essenza è stata riconosciuta nelle tavole di fondo del Martirio di Pietro Martire del museo
di Sarasota grazie all’analisi morfoanatomica su sezione microstratigrafica sottile. Al supporto è applicato, mediante una chiodatura dal retro, l’insieme degli elementi in rilievo.
Ad un primo esame frontale sfuggono segni evidenti di giunture tra il piano prospettico
costituito dall’architettura e quello più avanzato, costituito dalle figure di san Pietro e dei
confratelli. Invece dalla visione laterale dell’opera, con particolare riferimento ai vertici
inferiori (FIGG. 4, 5), si evince chiaramente che i due piani prospettici sono stati realizzati in due blocchi autonomi scolpiti singolarmente e poi assemblati e rifiniti. La fase di stesura degli strati preparatori e della policromia è stata eseguita ad assemblaggi ultimati,
nascondendo le linee di giunzione e i punti di ancoraggio mediante chiodature.
I due blocchi figurativi sovrapposti sono stati assicurati al fondo con chiodi infissi dal
retro, di cui sono visibili le teste; i chiodi sono stati con tutta probabilità ribattuti sul fronte e coperti dallo strato preparatorio, ma non si possono escludere anche chiodature originarie dal fronte, spinte sotto livello e coperte poi dagli strati pittorici, delle quali però non
si notano tracce evidenti sulla superficie scolpita e dipinta.
Sugli elementi scolpiti le parti di materiale ligneo a vista permettono di ipotizzare che la
18
specie impiegata sia tiglio, vuoi per il tipo di traccia residuale dell’utensile utilizzato per
l’intaglio, vuoi per il tipo di fibra che si osserva ingrandendo le immagini acquisite al
videomicroscopio, e infine da quanto si può intuire osservando la definizione dei particolari dei diversi elementi (volti, mani ecc.). Tuttavia, non essendo stato possibile effettuare
analisi morfoanatomiche di caratterizzazione della specie legnosa, non si deve escludere
la possibilità che sia stata usata anche una delle numerose varietà di pioppo impiegate
anticamente dagli intagliatori. È invece possibile escludere qualsiasi altra specie legnosa
utilizzata in produzioni coeve, come ad esempio il noce.
Policromìa
Il rilievo di Berlino esibisce una decorazione pittorica in cui trova posto solo un numero
limitato di colori, come nella scena che raffigura il santo inginocchiato davanti al crocifisso
del museo di Opava. La posizione gerarchicamente preminente spetta invece, come in tutto
il ciclo, all’oro, il quale caratterizza soprattutto lo sfondo architettonico e il selciato in primo piano. È comunque determinante il ruolo giocato dal bianco e dal nero dell’abbigliamento domenicano che, considerate le numerose figure di frati, interessa circa la metà della
scena. Va però detto che l’artefice della policromìa non si è limitato a campire le superfici
dei panneggi con i due colori, affidando gli effetti chiaroscurali al solo gioco della luce
sugli intagli delle pieghe dei panneggi, ma ha ricoperto interamente gli abiti dei monaci con
una trama fittissima di puntini e trattini dorati (FIG. 3), ottenuti incidendo a graffito lo strato
pittorico, che assicurano in questo modo una vibratilità luminosa vivificante (FIG. 6). Inoltre, un esame ravvicinato permette di osservare come puntini e trattini siano utilizzati anche
per differenziare gli elementi degli abiti. Così, ad esempio, le cappe nere sono coperte da
una fitta rete di puntini, mentre sui cappucci brillano brevi e sottili trattini. Questa reinterpretazione dell’uniforme domenicana è comune a tutti gli altri rilievi, e rappresenta anche
un elemento di continuità con l’oro in foglia visibile nelle altre zone. A contrastare la pervasività dell’oro contribuisce, oltre al bianco e al nero, l’azzurro del cielo. Il colore blu ricopre
la superficie uniformemente, ma considerando che nella formella del Colloquio con le tre
Sante e in quella del Martirio la monotonia dell’azzurro è interrotta da nuvolette bianche, si
può ipotizzare che nel Congedo dai confratelli parte del cielo possa essere stata ridipinta.
Dall’opera sono stati prelevati cinque microcampioni che, analizzati in sezione microstratigrafica, hanno permesso di apprezzare la presenza degli strati originali (FIG. 8). Parziale
eccezione è rappresentata dal blu proveniente dal cielo subito sotto il semiarco sulla destra,
che sopra la lamina d’oro mostra una stesura verdastra di ridipintura in cui si sono trovati
alcuni granuli di cuproarseniti, classe di pigmenti conosciuti dagli ultimi decenni del
XVIII secolo. Al di sopra della preparazione gessosa, in tutti i campioni si osserva uno
strato arancio di bolo armeno, materiale tradizionalmente impiegato come fondo su cui
applicare lamine metalliche secondo la tecnica a guazzo. Tuttavia, solo in tre casi su cinque la lamina dorata è stata trovata sopra il bolo, mentre in due casi questo è ricoperto
direttamente da strati di colore. È quindi molto probabile che ogni elemento della formella, dal fondo alle figure in rilievo, sia stato trattato allo stesso modo, con il bolo a fare da
base sia per le dorature sia per le stesure pittoriche (FIG. 9).
La tavolozza utilizzata in origine dall’esecutore non è caratterizzata da grande varietà di
19
materie coloranti: ciò è principalmente dovuto, come si è detto, al tipo di figurazione.
Così per i bianchi domina il bianco di piombo (biacca), mentre il colore degli abiti neri è
composto da un nero di origine animale (1), ocra bruna e carbonato di calcio. Il fondo azzurro è ottenuto invece con stesure di azzurrite.
L’incarnato del volto del monaco sulla destra (FIG. 7) è costituito da una miscela a base di
biacca, pochissima ocra rossa e minio, stesa su uno strato di sola biacca. Sopra la foglia d’oro della cornice del semiarco di sinistra è stata riscontrata la presenza di giallo di piombo e
stagno di tipo I (senza silicio) mescolato con biacca. Dai risultati dell’analisi micro FTIR, si
può considerare molto plausibile la presenza di un medium lipoproteico (forse uovo) che, in
alcuni strati, si è parzialmente trasformato in ossalati. Oltre al pigmento cuproarsenicale
citato sopra, anche il bianco di zinco presente in superficie sopra lo strato di incarnato originale va messo in relazione a un intervento di ridipintura, mentre cera d’api e, in un punto,
tracce di adesivo polivinilico sono riferibili a trattamenti protettivi e conservativi moderni.
Interventi conservativi
Si può affermare che in origine la chiusura perimetrale della formella fosse diversa da
quella visibile oggi. La cornice attuale non è sicuramente quella che inquadrava il rilievo
e lo si deduce dal fatto che essa è troppo aderente alla figurazione, con particolare riferimento al culmine della struttura architettonica, che è stata addirittura intaccata per creare
la sede per la cima del pinnacolo laterale destro nella parte superiore dell’architettura.
Inoltre, a quest’ultima manca il coronamento finale; a ciò si aggiunga che nel cielo dipinto sullo sfondo sono ben visibili, a sinistra e a destra in alto, i segni evidenti, a livello cromatico, di un precedente inquadramento dell’intera figurazione in una struttura perimetrale comprendente un arco a tutto sesto, costituito da un elemento sicuramente a rilievo
andato perduto. Anche i due particolari laterali dell’architettura raffiguranti aperture di
archi e relative trabeazioni sono accostati alla cornice in modo innaturale e posticcio e
danno l’impressione di essere stati ridotti lateralmente.
L’osservazione del retro della formella conferma in parte le precedenti osservazioni
(FIG. 2). Alla base della formella e lungo i due lati verticali sono inchiodati listelli aggiunti, in legno di larice o abete, i quali fungono da supporto per la cornice, che solo parzialmente si sovrappone sul fronte al fondo dipinto della scena scolpita. Il lato superiore è
privo di listello di aggiunta e la cornice è inchiodata direttamente dal fronte alle due tavole che costituiscono il fondale dipinto. Infatti i chiodi visibili sul retro sono quelli adoperati per ancorare la scena a bassorilievo.
Sul retro è anche visibile uno schizzo a matita che sintetizza il profilo della parte superiore dell’architettura in corrispondenza della posizione frontale di quest’ultima. Tutti questi
dati consentono di ipotizzare che la formella sia stata rifilata su tre lati: quello superiore e
i due laterali, con conseguente riduzione del fondale dipinto.
NOTA
(1)
La natura animale del pigmento nero sembra confermata dalla presenza di fosforo, assente nelle aree
circostanti.
20
Giovanni Pietro and Giovanni Ambrogio de Donati,
Martino di Castello di Caspano
The Mystical Conversation of St Peter Martyr with three Saint
Women (St Agnes, St Catherine of Alexandria and St Lucia) –
Relief from the ancona of St Peter Martyr, originally Como,
church San Giovanni Pedemonte (1497)
Painted and gold-plated wood-engraving (92x69 cm) –
Opava, Silesian Museum, Inv. No. U 34 B
Woods species: poplar
The Prayer of St Peter Martyr –
Relief from the ancona of St Peter Martyr, originally Como,
church San Giovanni Pedemonte (1497)
Painted and gold-plated wood-engraving (90x62 cm)
Opava, Silesian Museum, Inv. No. U 35 B
Woods species: poplar
Jaromír Ols̆ovský
The works from a historical and structural point of view
The both Opava relief works (FIGG. 10, 16) were originally the parts of the ancona of St
Peter Martyr which was commissioned by the brothers of the School of St Peter Martyr
with the Church of S. Giovanni Maggiore in Como for the chapel consecrated to St Peter
in 1497. The execution of this altar was commissioned to brothers Giovanni Ambrogio
and Giovanni Pietro De Donati and to Martino di Castello di Caspano. Originally the altar
was composed of four reliefs based on the stories from St Peter Martyr’s life and of two
central sculptures with the life-size figures of Virgin Mary with the Child and of the Saint
kneeling in front of her. The central theme of the both Opava relief works is the Verona
Saint and his life episodes. The first Opava relief (FIG. 10) depicts the episode from the
life of Saint Peter Martyr according to a legend mentioned in Acta Sanctorum (Antverpie
1675) that describes St Peter Martyr’s mystical vision of Virgin Mary accompanied with
21
three saint women, namely St Agnes, St Catherine and St Cecile, and a mystical
conversation with these saints. The legend says that the entire scene took place in the
Saint’s cell in the monastery of Saint Giovanni in Como the prior of which he was.
According to G. Kaftal (Kaftal 1952, pl. 933; Kaftal 1978, pl. 1109) the first pictorial
representation of this St Peter Martyr’s legendary episode can be found in Quattrocento
painting on predella by the Siena painter Sano di Pietro at Pinacoteca Vaticana and in
Antonio Vivarini’s painting in Dahlem Museum, now Gemaeldegalerie, in Berlin. In
comparison with the composition by Sano di Pietro, showing the Virgin Mary and three
Saint woman figures, the image by Vivarini depicts three Saint woman figures only that
are, however, liven up with some additional figures of amazed witnesses to this miracle.
Facing the task to depict this miraculous scene from St Peter Martyr’s life the authors of
the Opava relief represented this scene in figural composition also reduced to the three
saints. In addition to that they replaced St Cecile by the figure of Saint Lucia, standing to
the left of the kneeling St Peter Martyr, as it is clear from her personal attribute, her eye
balls in a small dish that she is holding in her hand.
The whole scene of mystical vision is displayed inside the small St Peter’s monastery cell
with the dominant figure of St Peter Martyr, who is kneeling down before three full-sized
saint women that can be seen at the very right of the cell. In comparison with other relief
works from Bode Museum (Berlin) and John and Mable Ringling Art Museum (Sarasota,
U.S.A.) the composition of the relatively high relief is developed in a depth of four main
levels corresponding to the dominant figure of St Peter Martyr in the foreground, the
group of three saint women and another figure of a male witness looking through the door
on the very left wall of the cell, the architectural back of the cell with some dishes on the
shelf in the left corner and the painted blue sky that is visible on the very left and also
through the cell’s windows. All important lines of the central figural scene are based on
the principle of two triangles with the common base. The first line is formed by the
kneeling figure of Dominican saint in the foreground that is composed near to the central
axis of the whole panel, the figure of St Lucia and St Catherine of Alexandria. The second
one is formed by the arrangement of these three saint women with the figure of St Agnes
in the right corner of the cell. The common base of both triangles seen from the
spectator’s view is formed by the figure of St Lucia which is to the left of the kneeling
saint, and the figure of St Catherine of Alexandria standing at the right end of the panel
in front of St Peter Martyr and facing him. In that way both St Peter Martyr and St
Catherine of Alexandria are in the close eye contact.
The both most important figures of the whole figural scene, i.e. St Peter Martyr and St
Catherine of Alexandria, who are connected with the very close eye contact, can be seen
from the profile, whereas St Agnes is rendered en face and St Agnes in the corner of the cell
is captured in a three-quarter profile. Also the full-sized figure of the Dominican monk, who
witnesses the whole mystical scene, is sculpted in a three-quarter profile. St Peter Martyr is
wearing a dark Dominican cloak over his white scapular and a long white frock that is in
excellent chromatic contrast with the splendour of Saint women’s clothes. St Catherine of
Alexandria and St Agnes are wearing golden cloaks over their dark greenish-blue clothes.
22
The brilliant red-gilded reverse sides of the dark greenish-blue cloaks that can be partly seen
create a very impressive chromatic contrast to the figure of St Peter Martyr mantled to dark
Dominican cloak. The bordures of the figures’ garments bear damaged and only partly
readable inscriptions: e.g. “Credo in Deum” – his legendary words before his outrageous
death and legendary St Peter Martyr’s apostolic profession of faith that can be readable on
the bordure of his Dominican cloak and “Santa ...Sponsa...Regina”, the fragments of words
connected with the legendary life of St Catherine.
The inner space and architectural construction of the cell’s interior is formed with four
wooden boards of a trapezium shape representing side cell’s walls and floor and ceiling
that are fastened to the background panel in an obtuse angle in correspondence with the
perspective foreshortening. These side walls are opened by the door with the figure of
witness of martyr’s vision on the left and by the window of a rectangular shape with the
opened pair of shutters. There is another window on the back wall in front of a spectator’s
direct view with the view of the blue and clouded sky through the opened pair of shutters.
Also the motifs of the tiles covering the floor and coffered ceiling that are foreshortening
in depth are rendered in harmony with the laws of perspective.
The second Opava relief work representing the prayer of St Peter Martyr in his monastery
cell is structurally constructed in the same way as the previous relief of a mystical
conversation of this Dominican Saint with three Saint women (FIG. 16). There are four
wooden pieces boards of a trapezium shape that are fastened to the background panel in an
obtuse angle in order to form the inner space of the Saint’s cell. The setting of these boards
representing the both side walls and floor with ceiling of the monastery cell is in
accordance with the perspective foreshortening including the motifs of tiles covering the
floor and coffered ceiling. The left side wall and the wall in the background are opened by
the windows of a rectangular shape with pairs of shutters. The door opens the right side
wall of the cell. The relief displays St Peter Martyr kneeling down and praying in front of
his domestic altar that is positioned at the very left (the altar crucifix is missing). As in the
previous relief, St Peter Martyr is wearing a dark Dominican cloak over his white scapular
and a long white frock and is rendered in the profile. The gesture of his hands expresses
his deep devotion to the Lord. In the background of the cell is a rack with some dishes,
fastened to the wall at the right corner, and a small pulpit with the opened Bible (FIG. 19),
which is placed on the cell stall by the background wall. In comparison with the previous
relief of martyr’s mystical conversation with Saint women, the inner space of this relief is
developed in depth only at three main levels corresponding to the single figure of St Peter
Martyr praying in front of the altar in the foreground, the back wall of the cell with the
Bible on the pulpit in the middle, and the blue painted sky in the background that is visible
through the opened window in front of a spectator’s view.
Wood species, description of the structure and of the building methods
The morphoanatomic analysis has been carried out only in the case of the Sarasota relief
of St Peter´s Martyrdom. Therefore, as in the case of the Berlin relief St Peter leaves the
23
brothers we can assume the wood of the background panels of both Opava relief works
are poplar.
Considering the relief with Mystical Conversation of St Peter Martyr it is very likely that
figures of three Saint women, namely St Agnes, St Catherine and St Lucia, that form the
dominant part of the whole figural scene, were carved from a single block of wood and
then fixed to the background panel at the right place by means of riveting. Examining this
group of figures visually, no clear narrow spaces among each figure are noticeable in the
lower parts of their bodies. All the details are covered with the polychromy and gilded
layers. Therefore, the other possibility, i.e. that each figure of the three saint women was
carved separately, can not be entirely refuted. Nevertheless, it can be stated that the figure
of St Peter Martyr and of the witness looking through the door on the very left were
carved individually as it is evident from the clearly visible narrow spaces between them
and the background of the panel. The same observation is also valid for the second Opava
relief with the motif of the prayer of St Peter Martyr to the Lord with only one figure of
the kneeling St Peter Martyr. Firstly, the kneeling figure of St Peter Martyr praying in
front of the crucifix was carved and then it was fastened to the background of the panel.
Also the small architecural and interior details such as racks, dishes, pulpit or the base of
the altar with the crucifix were carved first and then they were fixed.
Since the morphoanatomic analysis of the Opava relief works has not been carried out, it
can be only supposed that the wood used for the relief elements is linden wood or one of
the many varieties of poplar wood that was also commonly used for the carvings at that
time. In addition, the using of linden or poplar wood that enabled craftsman to carve in a
very high detail is in good accordance with the detailed and precise carving of various
details of the both Opava relief works as figures’ faces, hands, curls of hair or beard.
The polychromy
The pictorial decoration plays a very important role in the case of the both Opava relief
works. As with other preserved relief panels from the ancona of St Peter Martyr, the role
of the gold is one of the great importance because it covers almost continuously the
surfaces of the both Opava relief panels. Varied ornamental gilding of the architectural
and the interior elements as pavement in the foreground, back and side walls or ceiling
as well as some details of the cell’s furnishing, such as the rack with the dishes on the
wall characterise the Saint’s cell. The gilded surface of the various architectural elements
makes them also very impressive and creates a brilliant contrast for the figures in the
foreground. In that way the black and the white of St Peter Martyr’s clothing with his
pale face with a little pink-flesh (FIG. 12) increase the very vibrant character of the
gilding that is also used for the figures’ details, such as the Saint’s hair and beard in the
both Opava relief works or the curls of Saint women’s hair in the case of The Mystical
Conversation of St Peter Martyr. In the latter one there are optically dominant a redgilded layers also used for the reverse side of the dark cloak of St Catherine of Alexandria
and for the clothes of St Lucia that can be seen by a spectator as well. The vivid and
24
bright atmosphere emanating from the both relief scenes, which unifies all parts and
individual elements in a pictorial manner, is also caused by a “sgraffito technique” –
consisting of scratching the polychrome layers to reveal the gold leaf beneath – applied
to the draperies of Saint Peter Martyr and also for the figures of three Saint women. The
differences among the pictorial effects of the displayed figures in the Opava relief works
also function to contrast their clothing. In The Mystical Conversation of St Peter Martyr
for instance, the draperies of the three Saint women’s dark greenish-blue cloaks and their
clothes are covered by close texture of golden stitches and hatches (FIG. 13), whereas the
black Dominican cloak of the Saint Martyr is dotted with gold specks and his hood is
scattered by short and thin hatches. The same motif, i.e. gold specks and short and thin
hatches, is again repeated in the case of the figure of the monk on the left, who witnesses
the mystical vision of St Peter Martyr. The using of the gold close hatching on the folds
of the women’s dark greenish-blue clothes creates a nearly chiaroscuro effects with the
very delightful play of light and dark tones. In comparison with other preserved relief
works, such as the relief in the Berlin Museum, the both Opava relief works display a
greater variety of used colours. Besides the above mentioned black, white and red-gold,
there is especially the dark greenish-blue colour used for the sky visible through the
windows of the Saint’s cell and also for the friezes with the gilded astragal ornaments
which decorate the Saint’s cell walls. The dark greenish-blue colour is also used for the
tiles that cover the Saint’s cell pavement. In the Mystical conversation of St Peter Martyr
there are the dark greenish-blue and squared tiles decorated with the gilded stars, the
same ornamental motif is repeated again in the cell’s coffered ceiling. In the case of the
second relief, the cell’s pavement is covered with the dark greenish-blue and rounded
tiles with the interlinked floral motifs in gold that occur again on the greenish-blue
coffers in the cell’s ceiling. There is also the motif of the dark greenish-blue rosettes,
consisting of interlinked leafs of acanthus, that are regularly scattered on the gilded
surfaces of the cell’s walls covered with the ornament of the rectangular and diagonal
interlaced strips on The Prayer of St Peter Martyr. In the case of the second relief work
the cell’s walls are covered only with the motif of the interlaced gilded circles.
The materials and the painting techniques
The both Opava relief works have been examined by the use of optical microscopy in
visible and ultra-violet light, scanning electron microscopy (ESEM) and FTIR
microscopy. The analytical research of the materials used by the painter who painted the
relief carvings and his modus operandi has been carried out on cross-sections of samples
taken from six points from one relief and five points from the other relief.
Each sample of the eleven samples shows the ground layers, composed by gypsum
(calcium sulphate dihydrate) and animal glue. In every case to this ground the layer of an
orange Armenian bole with the animal glue as a base for the gold leaf for the water gilding
was added (FIG. 15). In the case of the Mystical Conversation of St Peter Martyr only in
two samples of the six the gold leaf has not been found between the base layer and the
25
paint layer (FIG. 14). On the other hand, the gold leaf has been found also under the paint
layer of the Saint’s hood in the case of The Prayer of St Peter Martyr, so we can suppose
that the Armenian bole layer was used as the base for the both, gilded and painted layers,
and that other paint layers of figures’ garments are laid on the gold leaf. The use of the
pigments for the painted layers depends on the presented context: the pigment of the
azurite of fine particles with the blue greenish layer or the dark-greenish pigment with
little ochre for the clothes of the women Saints for instance; the flesh-pink of St Peter
Martyr’s neck is composed from the lead white with little amount of the dark green and
scarlet pigments and minium; the paint layers of the blue sky consist of the lead white with
pigment of azurite that is covered by the paint layer of azurite with the lead white. The
black colour of the Saint’s hood (The Prayer of St Peter Martyr) is composed of mixing
the animal black with the yellow ochre, calcium carbonate and little particles of soot. The
blue layer of the sky visible from the window is composed from azurite with the traces of
the ochre. The painted greenish blue layer of the rosettes decorating the back wall of The
Prayer of St Peter Martyr is based on the pigments of malachite. The traces of lipoproteic
binding medium (probably egg), partially converted in oxalates, have also been found in
the original paint layers. In some cases the presence of bee-wax used as protection has also
been confirmed. Some painting materials can not be attributed to the original paint
decoration as acetate of copper founded in the paint layer of green on the sleeve of the St
Catherine’s garment that can be ascribed to the later interventions. The same case is the
Prussian blue, pigment unknown before the beginning of the 18 th century, discovered in
the layers of blue sky in the opened window of The Prayer of St Peter Martyr.
Notes on possible past conservation or restoration interventions
The painted backgrounds of the both relief Opava panels with the architectural framing
of the panel creating the perspective illusion of the Saint’s cell are fastened to the
contemporary rear panel, composed of the two joined vertical planks of approximately
similar size that can be seen from the back. In the case of the Mystical Conversation of St
Peter Martyr relief this architectural framing is fortified by the four consoles of a
triangular shape to the rear panel, which were probably added later in order to improve
the joining of the panel to the present rear panel. In the bottom of the backside of The
Prayer of St Peter Martyr nails can be seen which were most likely used to reinforce the
whole structure later. The outer framings of the both Opava relief works are not certainly
original ones and they were added in modern times. To that time, also some restoration
interventions as the using the Prussian blue for the blue sky can be ascribed.
BIBLIOGRAPHY
G. KAFTAL, Iconography of the Saints in Tuscan Paintings, Firenze 1952.
G. KAFTAL, Iconography of the Saints in the Painting of North East Italy, Firenze 1978.
26
Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati,
Martino di Castello di Caspano
Martirio di San Pietro Martire –
Rilievo dall’ancona di San Pietro Martire, già Como,
chiesa di San Giovanni Pedemonte (1497)
Legno intagliato, dipinto e dorato (96x58 cm) –
Sarasota, John and Mable Ringling Art Museum, inv. SN 1227
Specie riconosciute: pioppo
Michelle Scalera
La chiesa di San Giovanni Maggiore (nota anche come San Giovanni in Pedemonte) a
Como nel 1497 commissionò allo scultore Giovanni Ambrogio De Donati e al pittore
Martino di Castello di Caspano l’esecuzione delle Storie di San Pietro Martire. Dopo lo
smontaggio dell’ancona, avvenuta in epoca imprecisata, il rilievo con il Martirio di San
Pietro Martire passò probabilmente alla collezione di Emile Gavet e poi alla Marble
House di Newport (Rhode Island). Il progetto e la decorazione della cosiddetta “Sala
gotica” di Marble House furono frutto della collaborazione fra Richard Morris Hunt e
Jules Allard, che si ispirarono all’appartamento parigino di Gavet, pubblicato nel Catalogue raisonné della sua collezione (1889). Nell’agosto 1892, quella che era la residenza di Alva Erskine Smith Vanderbilt veniva inaugurata con un Gala per celebrare l’evento. Il rilievo fu successivamente acquistato da John Ringling con la mediazione di
Lord Joseph Duveen nel 1928 dalla collezione di Alva Vanderbilt e fu lasciato al museo
nel 1936.
Le analisi ottiche e le indagini svolte sui frammenti di policromia prelevati dal rilievo
con la Morte di San Pietro Martire sono state effettuate con la stessa metodologia impiegata per i tre rilievi di Berlino e Opava. Per un’analisi complessiva, si rimanda più avanti, al saggio di Fabio Frezzato sulle policromie (PP. 74-77).
Il John and Mable Ringling Art Museum di Sarasota è l’unico ad aver effettuato l’analisi morfoanatomica su una sezione tangenziale e radiale del legno, analisi che ha dato
come risultato l’identificazione della specie lignaria come pioppo.
27
Maestro di Trognano
(Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati?)
Natività (1490 circa)
Legno intagliato, dipinto e dorato (166x120x14 cm) –
Milano, Castello Sforzesco, Civiche Raccolte d’Arte Applicata, inv. Sculture Lignee 272
in deposito dall’Azienda di Servizi alla Persona “Golgi-Redaelli”, Milano
Specie riconosciute: pioppo, tiglio, abete
Fabio Frezzato, Luciano Gritti, Luca Quartana
Notizie storiche e descrizione
Il rilievo, di cui non si hanno notizie antecedenti il 1732, proviene dall’oratorio di San
Giuseppe a Trognano, frazione di Bascapè (Pavia) (1). Rimase a Trognano sino all’inizio
del 1978, quando venne trasportato a Bergamo nella bottega di Eugenio Gritti per essere restaurato. L’intervento, finanziato dalla Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di
Milano, fu diretto da Sandra Maspero, che poco prima era riuscita a sventare un tentativo di vendita del pezzo. Terminato il restauro, il rilievo venne portato a Brera, dove la
ditta Siapa di Casalbeltrame (Vercelli) stava effettuando interventi di disinfestazione.
Un tagliandino posto sul retro della cassa indica che la Natività fu sottoposta a disinfestazione tra il 12 e il 20 agosto 1978. Per garantire una maggiore tutela, il rilievo venne
poi ricoverato presso la Pinacoteca Malaspina di Pavia, fino al 2004, quando l’Asp Golgi Redaelli, proprietaria dell’opera, decise di depositarlo presso le Raccolte d’Arte
Applicata del Castello Sforzesco di Milano. Prima di quest’ultima collocazione, la Natività venne trasportata nella bottega di Eugenio Gritti per una verifica delle condizioni di
conservazione e per un intervento di manutenzione ordinaria.
Per ciò che concerne la provenienza dell’opera, non avendo alcuna notizia documentaria, si possono solo formulare delle ipotesi. Il rilievo potrebbe essere un’opera autonoma, oppure parte di un’altra, più articolata, forse un’ancona. Ad una prima analisi si
osserva come i bordi della cassa in legno grezzo che contiene il rilievo siano poco compatibili con la preziosità del rilievo: per tali motivi si potrebbe supporre che tali bordi in
origine fossero coperti da cornici o ante.
Un buon esempio di opera autonoma inserita in una cassa piuttosto grezza è la Natività
di Bongiovanni de Lupi di Rivolta d’Adda, in cui lo spessore della cassa è nascosto da
una cornice intagliata e dorata, fissata con chiodi.
29
Il fatto che la Natività in origine facesse invece parte di un’opera complessa come un’ancona potrebbe essere supportato proprio dalla citata mancanza di una finitura sui bordi
della cassa: una volta inserita all’interno del complesso architettonico, questa sarebbe
stata nascosta dalle cornici dell’ancona. È il caso ad esempio delle formelle di Giovanni
Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati provenienti dall’ancona dell’Incoronata conservate nei Musei Civici di Lodi.
Dal punto di vista compositivo, nell’opera si possono individuare tre livelli prospettici
(FIG. 29). In primo piano si trova una scena divisa in tre parti. In quella centrale vi sono
nove figure: il Bambino con la Vergine e san Giuseppe, due pastori, una figura maschile inginocchiata e tre angeli oranti. Sulle schiene di questi ultimi, alcuni frammenti indicano che in origine essi erano dotati di ali. Nella parte destra è raffigurato un paesaggio
alpestre, mentre in quella sinistra, inserita tra due frammenti di architettura, si trova una
donna inginocchiata in atto di asciugare un panno sul fuoco. Sul bordo del panno si legge la scritta «MAR VR IA GRA TRI».
In secondo piano si trovano il tetto della capanna appoggiato a un’architettura e, a sinistra, un altro paesaggio alpestre con due pastori, un cane e un gregge di cinque pecore,
mentre il terzo piano è costituito dal fondo della cassa.
Tecnica costruttiva
Il presepe è composto da un fondo a cui è ancorato il rilievo, concluso perimetralmente da quattro tavole che costituiscono la cassa di contenimento del bassorilievo vero e
proprio. Il fondo è costituito da quattro tavole orizzontali di uguale lunghezza (cm
166) e spessore (cm 2,8) e diversa altezza (in realtà l’ultima sezione superiore è un
semplice listello incollato alla tavola sottostante) (FIG. 30). Le tre tavole restanti sono
giuntate tra loro con spine in legno inserite nei fili di spessore, come si può vedere nelle fessure rettilinee tra tavola e tavola, dovute a variazioni dimensionali per ritiro delle
medesime. A questo fondo sono inchiodate le assi costitutive della chiusura perimetrale: mentre nel lato superiore e nei due lati laterali la chiodatura fissa la testa delle tavole di fondo allo spessore delle tavole di bordo. Per quanto riguarda il lato inferiore, la
tavola di bordo è inchiodata al filo inferiore dell’ultima tavola di fondo.
Inoltre, la tavola di bordo, che si configura in definitiva come base d’appoggio del rilievo, è costituita da legno d’abete, a differenza di tutte le altre assi, sia di bordo sia di
fondo, che sono in legno di pioppo.
Si differenzia altresì dalle altre tavole per lo spessore, che varia da 2,5 a 3,2 cm.
Il rilievo è composto da quattro sezioni di massello in legno di tiglio disposte in verticale, giuntate con spine e incollate tra loro.
Come in altre formelle dei De Donati costituite da rilievi applicati ad assiti di fondo, l’assemblaggio è garantito da chiodi inseriti dal retro dell’opera e ribattuti sulla parte frontale
(FIGG. 29A, 30A). In seguito il rilievo viene preparato con il consueto strato di gesso e colle animali che nascondono la chiodatura. La sovrapposizione degli strati preparatori e dei
30
relativi film pittorici alle chiodature descritte è l’evidente conferma dell’originalità del
sistema di fissaggio del manufatto.
La profondità prospettica del rilievo è ottenuta, oltre che con l’escavazione del massello
di tiglio, anche con l’aggiunta di ulteriori volumi in aggetto per la realizzazione degli
elementi compositivi più prossimi all’osservatore. Sono riconoscibili come elementi
ricavati da piani applicati il secondo pilastro dal lato sinistro del rilievo, che si sovrappone alla giunzione tra due sezioni principali, le porzioni di prato in corrispondenza del
lato inferiore dell’opera e la massa costituita dalle rocce su cui poggia un fusto di albero in corrispondenza dell’estremità inferiore destra della composizione (FIG. 29).
Si nota la mancanza di alcuni elementi in aggetto: in corrispondenza della tavola basale
del rilievo mancano alcune porzioni di intaglio costituenti l’alzata del prato. Inoltre
sono visibili due tacche in cui s’insediavano in precedenza elementi metallici di sostegno o chiusura. Salendo sulla coscia della gamba sinistra genuflessa del pastore adorante al centro, è visibile la traccia della rottura di un elemento preesistente andato perduto.
Detto elemento poteva essere poggiato originariamente in prossimità del piede destro di
san Giuseppe. Avvalora questa ipotesi l’osservazione delle mani del santo, aggiunte
durante un restauro precedente: la loro posizione attuale è probabilmente diversa da
quella originale, in cui forse le mani erano connesse al pezzo ora mancante (FIG. 32).
Policromìa
In perfetta aderenza al canone rappresentativo dell’oggetto ligneo policromo trasfigurato in opera di oreficeria, il Presepe assume in sé, su scala ben più ampia, i caratteri che
contraddistinguono i rilievi del ciclo di San Pietro Martire per San Giovanni in Pedemonte. Se infatti si esclude l’azzurrite del blu del fondo, che occupa poco più di un
quarto della scena, e gli incarnati dei personaggi, l’oro è l’assoluto protagonista di ogni
altro elemento del Presepe. Nelle parti architettoniche, così come nell’altura dello sfondo e nel paesaggio a destra della capanna, la lamina aurea ricopre ogni elemento, conferendo ai volumi il carattere di blocchi metallici, con un effetto che contrasta del tutto
con quello di leggerezza e friabilità che quasi invita alla presa laddove, ad esempio, la
foglia d’oro asseconda l’intaglio del tetto di paglia della capanna. Anche in alcuni elementi dei panneggi l’oro è presente da solo; ma in moltissimi luoghi il metallo si sposa
coi colori in corrispondenza delle innumerevoli decorazioni a sgraffito (FIG. 31), utilizzate in primo luogo nella resa dei tessuti degli abiti, preziosi o rozzi che siano, ma anche
nella vegetazione, nelle capigliature, nel vello delle pecore e nel pelame di un cane
accucciato sull’altura a sinistra. Mancano i trattamenti a pastiglia, le punzonature e le
dorature a mordente, ma i motivi a sgraffito degli abiti più preziosi e del panno sorretto
dalla figura femminile sulla sinistra raggiungono livelli di preziosità paragonabili solo
alle parti più virtuosistiche delle formelle del ciclo comasco (FIGG. 33, 34).
La gamma cromatica, al di là dei toni dell’oro e del blu dello sfondo, non è apprezzabile
nella sua interezza e nel suo originale bilanciamento, a causa di numerose cadute di colo31
re che hanno interessato ad esempio l’abito di San Giuseppe e dell’angelo a sinistra. Tuttavia sembra prevalere il blu, presente nei panneggi della Vergine e di altre figure, seguito dal bianco, dai verdi e, in zone estremamente limitate, dal rosso di una lacca, identificata nel panno che fa da copricapo e da mantello del pastore in piedi a destra.
Interventi conservativi
Come già ricordato, il rilievo è stato restaurato nel 1978. All’epoca le condizioni di
conservazione erano precarie. Vi erano delle zone erose da vecchi attacchi di insetti
xilofagi e il massello a destra era staccato dal resto del rilievo.
Gesù Bambino era ridipinto con un colore violaceo; il fondo della cassa risultava ritinto
con una tempera azzurra su cui poi erano state incollate delle stelle di carta dorata. Uno
strato di vernice molto scuro alterava in modo radicale tutte le coloriture e la doratura.
Al centro, sopra la capanna, erano stati inseriti due piccoli angeli.
Durante l’intervento di restauro sono state eliminate le ridipinture e lo strato di vernice,
con il recupero della policromia originale, in ottime condizioni. Il fondo della cassa è
risultato di colore blu notte.
Si sono fermati alcuni sollevamenti e distacchi della preparazione a gesso e dello strato
pittorico. Le zone erose dal tarlo sono state consolidate ed è stato incollato il massello
di destra staccato. I due angeli, non originali, sono stati rimossi.
Ventisei anni dopo, nel 2004, l’opera è stata sottoposta a un intervento di manutenzione in occasione del suo trasferimento da Pavia a Milano. Le condizioni di conservazione erano buone. Unica eccezione era rappresentata da una fessurazione, tuttora esistente, aperta al centro del rilievo e che interessa direttamente la testa del Bambino. Nelle
fotografie del 1978 tale fenditura risulta più chiusa e circoscritta alla zona alta della
parte scolpita e non interessa la figura del Bambino. Le cause di questa contrazione e
ritiro della materia lignea sono probabilmente da imputare a un’esposizione dell’opera
a una o più variazioni termoigrometriche repentine.
NOTA
(1)
R. CASCIARO, in Maestri della Scultura in legno nel Ducato degli Sforza (Milano, Castello Sforzesco, 21 ottobre 2005-29 gennaio 2006), a cura di G. ROMANO, C. SALSI, Cinisello Balsamo 2005,
pp. 122-123; G. AGOSTI, J. STOPPA, in Mantegna 1431-1506 (Parigi, Musée du Louvre, 26 settembre 2008 - 5 gennaio 2009), a cura di G. AGOSTI, D. THIÉBAUT, assistiti da A. GALANSINO e J. STOPPA, Milano 2008 (edizione italiana rivista e corretta con la collaborazione di A CANOVA e A. MAZZOTTA), pp. 258-260; A. UCCELLI, in Il portale di Santa Maria di Piazza a Casale Monferrato e la
scultura del Rinascimento tra Piemonte e Lombardia (Casale Monferrato, 9 maggio - 28 giugno
2009), a cura di G. AGOSTI, J. STOPPA e M. TANZI, Milano 2009, pp. 127-129.
32
Maestro di Trognano
(Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati?)
Andata al Calvario –
Rilievo dall’altare maggiore, già Varese,
basilica di Santa Maria del Monte (1480-1488 circa)
Legno intagliato, dipinto e dorato (189x125 cm)
Milano, Castello Sforzesco, Civiche Raccolte d’Arte Applicata, inv. SL 77
in deposito dalla Pinacoteca di Brera
Deposizione nel sepolcro –
Rilievo dall’altare maggiore, già Varese,
basilica di Santa Maria del Monte (1480-1488 circa)
Legno intagliato, dipinto e dorato (189x125 cm)
Milano, Castello Sforzesco, Civiche Raccolte d’Arte Applicata, inv. SL 76
in deposito dalla Pinacoteca di Brera
Specie riconosciute: tiglio
Fabio Frezzato, Luciano Gritti, Luca Quartana
Notizie storiche e descrizione
I rilievi facevano parte, insieme ad altri due pannelli, della decorazione dell’altare maggiore della basilica di Santa Maria del Monte sopra Varese e, mentre la Flagellazione e
la Crocifissione si trovano ancora nel monastero delle Romite ambrosiane attiguo alla
basilica, l’Andata al Calvario e la Deposizione al sepolcro sono oggi conservati presso
le Civiche raccolte d’arti applicate al Castello Sforzesco di Milano, in deposito dalla
Pinacoteca di Brera.
L’altare, di cui i rilievi facevano parte, sembra rientrasse in un progetto di commissione
sforzesca che ebbe inizio a partire dal 1474, sotto il duca Galeazzo Maria.
Il gruppo fu smembrato dopo il 1660 quando al posto dell’altare ligneo ne fu montato
uno marmoreo tuttora in situ. Per una serie di donazioni e passaggi di proprietà i due
rilievi giunsero quindi nel 1922 alla Pinacoteca di Brera (1).
33
Il primo rilievo in esame rappresenta l’Andata di Cristo al Calvario (FIG. 35), episodio
biblico citato da tutti gli Evangelisti (Mt 27, 33; Mc 15, 22; Lc 23, 33; Gv 19, 17) che,
secondo la tradizione, si svolse sul Gòlgota, colle roccioso che si trovava appena fuori
dalle mura di Gerusalemme.
Al centro della scena è situata la figura di Cristo portacroce avvolto in una veste bianca,
elemento che lo esalta visivamente rispetto al resto dei partecipanti all’episodio, così
come la croce, che rappresenta il punto di focalizzazione della scena grazie a due diagonali che confluiscono sulla testa del Cristo.
Attorno alla figura del Cristo si dispiegano su diversi livelli alcuni personaggi che indossano vesti moderne, i cui colori vivaci e arricchiti con profusione d’oro contribuiscono
ad esaltare e isolare la bianca figura del Cristo.
Alle due donne sontuosamente abbigliate sulla sinistra che incedono con atteggiamento quasi indifferente al seguito del Cristo portacroce e alle quali si accompagna un
bambino che indica il Redentore, si contrappone la scena di destra, espressa in un linguaggio particolarmente drammatico. Qui appaiono infatti all’estremità del rilievo la
Vergine Maria, accompagnata da Maria di Cleofa e Maria di Magdala (Gv 19, 25), di
cui s’intravedono solo le teste e l’aureola, e San Giovanni. Questi, i cui gesti appaiono
concitati e pieni di disperazione, sono trattenuti nel loro avanzare verso il Cristo da un
soldato romano, il cui abbigliamento, ornato d’oro come quello dei personaggi del
gruppo di sinistra, si differenzia nettamente dalle vesti più sobrie e austere della Vergine e San Giovanni.
In secondo piano s’intravedono altre figure, tra cui quella di un ladrone, anch’esso
recante sulle spalle una croce con una corda legata al collo e l’uomo che, con la corda
tenuta in mano, sembra in atto di condurlo nel suo percorso verso il colle. Dietro questo
s’intravede una terza figura che regge la croce, posto su un piano ancora più arretrato
rispetto agli altri personaggi della scena.
A incorniciare l’episodio è presente una quinta rocciosa corrispondente al Gòlgota, aperta simmetricamente a “v” al centro del rilievo, in modo da lasciar in vista le mura della
città di Gerusalemme, raffigurata a guisa di castello trecentesco con tanto di merlature e
di torri.
Ai lati della composizione si ergono le due sommità del monte che chiudono il rilievo
come una sorta di cornice lasciando al centro, al di sopra della turrita città, uno spazio
vuoto e illimitato rappresentante il cielo.
Tutta la scena è comunque costruita sui primi due piani del rilievo in cui è raffigurata la
processione che si sposta da sinistra verso destra e in cui campeggia la figura di Cristo.
Il terzo livello scultoreo è dato, come detto, dalla quinta naturalistica del Gòlgota, mentre un’ulteriore superficie lignea compone le mura della città sullo sfondo.
La semplicità compositiva si sposa qui in maniera perfetta con le finezze formali e tecniche. La ricercatezza descrittiva ed espressiva mostra la piena conoscenza delle opere di
autori moderni quali il Mantegna, che vedremo essere riferimento principale per la com34
posizione dell’altro rilievo del Castello Sforzesco, mentre i colori brillanti arricchiti di
dettagli dorati e i panneggi robusti e squadrati ci riportano ad esiti tipicamente lombardi (2).
Il secondo rilievo in esame rappresenta la Deposizione di Cristo nel sepolcro (FIG. 42),
avvenuta per intercessione di Giuseppe d’Arimatea, membro del sinedrio di Gerusalemme che, non accettandone la condanna, dopo la crocifissione di Cristo ne chiese il corpo
esanime all’allora prefetto della Giudea Ponzio Pilato per poterlo seppellire (Mt 27, 5761; Mc 15, 42-47; Lc 23, 50-56; Gv 19, 38-42).
Giuseppe d’Arimatea è raffigurato mentre, aiutato da un altro discepolo di Gesù, Nicodemo, solleva con il lenzuolo il corpo senza vita del Maestro. Assistono nella loro disperazione la Vergine Maria, la Maddalena, San Giovanni e le tre Pie donne.
Il linguaggio drammatico espresso nell’episodio è particolarmente enfatizzato rispetto al
rilievo analizzato precedentemente, dove la tensione e la disperazione erano ostentati solo
nel gruppo di destra formato dalla Vergine e da San Giovanni. L’autore abbandona inoltre
qui la ricchezza decorativa che aveva sfoggiato nelle vesti dell’Andata al Calvario per
una maggior austerità, giocando soprattutto sulla brillantezza dei pigmenti, sui riflessi dati
dai profondi intagli dei panneggi e sui contrasti cromatici.
L’organizzazione spaziale è strutturata in modo non dissimile rispetto all’altro rilievo,
con il monte che si apre alle spalle del gruppo verso i lati della cornice, lasciando la
quinta centrale libera per la rappresentazione del Gòlgota, su cui si ergono le tre croci, e
della città di Gerusalemme ricca di torri e merlature.
La composizione è chiaramente tratta da un’incisione di Andrea Mantegna datata anteriormente al 1478 (3), da cui l’autore del rilievo riprende il gruppo di figure che attorniano il Cristo, eliminando la scena dello svenimento della Vergine, posta invece vicino al
figlio per chiare ragioni spaziali. La riproposizione della scena avviene in maniera quasi analitica: le posizioni, i volti, gli sguardi e i panneggi risultano infatti sovrapponibili
e viene ripresa anche l’iscrizione sulla pietra sepolcrale che recita «HUMANI GENERIS REDEMPTORI».
La semplificazione spaziale dell’incisione è invece abbandonata nella Deposizione di
Milano a favore di una descrizione ambientale, in cui non viene meno la ricerca prospettica ed architettonica, che traccia un continuum stilistico e visivo con l’Andata al
Calvario e la Crocifissione. Elemento unificante delle tavole dell’Andata al Calvario,
della Crocifissione e della Deposizione è senza dubbio la progettazione dello spazio e la
rappresentazione della scena naturalistica con le rocce formate da semplici e profonde
incisioni e dagli alberi conici e tondi dai lunghi steli dorati.
Tecnica costruttiva
Osservando il retro dei rilievi si nota che essi sono costituiti da due metà di larghezza
approssimativamente uguale, giuntate in corrispondenza della mezzeria di ciascun rilievo.
I due elementi sono costituiti da due tavole di tiglio (4) disposte con vena verticale.
35
L’osservazione delle nodosità di ciascuna delle due metà lascia intuire che le due opere
sono state realizzate utilizzando quattro sezioni longitudinali di un unico tronco. L’artefice del rilievo ha scelto accuratamente un tronco di diametro considerevole la cui sezione radiale gli consentiva di ottenere due metà che ha poi ulteriormente sezionato per la
lunghezza, ricavando da ciascuna delle due metà due tavole consecutive di spessore utile per produrre i rilievi. Le tavole ricavate da sezioni radiali sono di gran lunga più stabili di quelle ricavate dalle sezioni tangenziali, più esterne, che sono più soggette a
deformazione.
I due rilievi, inoltre, mostrano sui fianchi difetti simmetrici, che confermano che essi
provengono da tavole della stessa pianta.
Risulta anche evidente che le quattro tavole sono state giuntate a due a due tra loro lungo lo stesso spessore longitudinale, ottenendo l’accostamento speculare di due metà.
Un assemblaggio siffatto è assai stabile; la tecnica di sezione del tronco è dispendiosa
per quanto riguarda il legname di scarto (alburno e tavole tangenziali), ma produce assame meno soggetto a variazioni dimensionali.
Sono state le nodosità che caratterizzano le varie sezioni del legno costitutivo la causa
di movimenti di assestamento differenziati di diverse aree dei rilievi, che si sono manifestati nel momento in cui i rilievi sono stati rimossi dalla sede originale a cui erano
ancorati. Nell’Andata al Calvario si sono provocate forti fessurazioni che si ripercuotono anche sulla parte frontale interessata dalla policromia. Nel caso della Deposizione lo
smontaggio dal supporto originario ha causato le evidenti deformazioni in corrispondenza dei vertici superiori e ha determinato il distacco di due sezioni triangolari laterali
che originariamente nella pianta erano adiacenti.
Tali sezioni risultano essere oggi inchiodate al fianco laterale dell’opera con chiodi antichi, soluzione che lascia supporre che il manufatto abbia subito dei danneggiamenti già
molto prima del restauro consistente che ha messo in opera i vistosi elementi di rinforzo: lungo i fianchi infatti sono presenti fori, tracce dell’originario ancoraggio ad una
struttura di supporto e contenimento. Venendo a mancare detti ancoraggi si sono venute
a determinare sia la separazione delle due metà sia una deformazione per curvatura delle parti più sottili alle estremità superiori.
Policromia
L’impatto visivo che i rilievi di S. Maria del Monte sopra Varese offrono allo spettatore
deve moltissimo al partito pittorico che li contraddistingue e che li colloca in una dimensione diversa da quella in cui, ad esempio, si inseriscono i rilievi del ciclo di S. Pietro
Martire o le anconette con L’adorazione dei pastori. Se in quelli le modulazioni di colore erano limitate e certo condizionate dalla soverchiante presenza dell’oro, nelle Storie
della Passione il colore si manifesta in una varietà di modulazioni che si espande in tutte le direzioni, originata dal bianco luminoso della veste del Cristo. Gli elementi del
36
paesaggio, anche se in parte coperti da ridipinture, sono dipinti adottando un punto di
vista naturalistico, che in molte zone non richiede il contributo dell’oro. Gli abiti delle
donne sulla sinistra e la corazza del soldato che trattiene la Madonna mostrano cromìe
accese e variate, caratterizzate da campiture a fasce orizzontali separate da strisce di
colori trattati a sgraffito. La manica della donna che tiene per mano il bimbo è invece
scandita da riquadri rossi e gialli in sequenza alternata. Una tale ricchezza cromatica
sottolinea l’appartenenza dei personaggi al ‘mondo’, nell’accezione cristiana del termine, di cui gli abiti riccamente tessuti e decorati sono simboli, in contrasto non solo con
la purezza del bianco della veste del Cristo, ma anche con il sobrio monocromatismo
dei panneggi della Madonna e di San Giovanni (5). L’uso dell’oro è ripensato in funzione
pittorica e non, come nelle formelle per S. Giovanni in Pedemonte, per modificare la
sostanza del rilievo ligneo, quasi cercando l’illusione di un’opera di oreficeria. Nel paesaggio rimangono alberelli dorati, ma il terreno è quasi ovunque occupato da stesure
pittoriche e lo stesso si può dire delle parti architettoniche. L’oro trova invece la sua tradizionale collocazione nei panneggi delle figure e nei nimbi, come anche nelle capigliature. È in questi spazi che il pittore esibisce la sua maestria, giocando con tutte le tecniche che impiegano la foglia d’oro: lo sgraffito, il rilievo a pastiglia, le filettature sottili
applicate a mordente e le punzonature. In sintesi, la quantità d’oro è limitata drasticamente, ma i modi di lavorazione si moltiplicano. E degno di nota è l’uso del rilievo a
pastiglia, riservato unicamente alle figure sante, nelle bordure degli abiti e nei nimbi.
Unica eccezione è lo spallaccio borchiato della corazza del soldato che trattiene la
Madonna. Le bordure inferiori nelle vesti di Gesù e della Vergine sono interamente percorse da motivi decorativi a lettere che solo nella parte iniziale compongono parole, ad
esempio stabat mater per la Madonna, per continuare con lettere e simboli in funzione
esclusivamente decorativa.
Diversamente, le bordure degli abiti dei personaggi privi di connotati di santità, come le
donne sulla sinistra e il soldato davanti a Gesù, sono dorate e punzonate con motivi che
potrebbero dare indicazioni per l’attribuzione, se messi a confronto con quelli di opere
di mano certa.
La tavolozza usata dal pittore non è stata del tutto identificata dalle analisi, che sono
state limitate a sei punti selezionati per il prelievo. Tuttavia i pigmenti trovati rientrano
nella normale prassi pittorica dell’epoca: malachite nei verdi, che si mostrano in diverse
variazioni di tinta e luminosità, ottenute con aggiunte di biacca e di giallo di piombo e
stagno; nei blu azzurrite e indaco; ocre e lacche rosse per i rossi, ai quali si deve aggiungere con molta probabilità il vermiglione, benché il pigmento non sia stato strumentalmente rilevato nelle aree interessate dal prelievo dei sei microcampioni (6), che non hanno peraltro compreso la veste di S.Giovanni e gli abiti delle donne sulla sinistra
(FIGG. 39-41).
Messa a confronto con il rilievo dell’Andata al Calvario, la scena della Deposizione dà
spazio a un minor numero di personaggi, in tutto nove. Come conseguenza si osserva un
37
restringimento della gamma cromatica, a cui contribuisce anche l’assenza di figure contraddistinte da abbigliamenti ostentatamente sontuosi e legati alla dimensione più mondana, che nell’Andata al Calvario rivestivano le due donne sulla sinistra e il soldato
davanti al Cristo. A ciò si aggiunga sul piano strettamente materico la ‘semplificazione’
di alcuni panneggi, che in diversi punti sono stati ridipinti o hanno subito la perdita dei
motivi decorativi realizzati con foglia d’oro applicata a mordente, ad esempio il manto
della Vergine o la veste della pia donna davanti a San Giovanni. Per il resto valgono le
considerazioni fatte per il rilievo precedente riguardo alla varietà delle tinte e dei trattamenti a foglia d’oro. Si deve però considerare che il numero minore di figure, ma soprattutto sul piano compositivo la collocazione dell’episodio evangelico a un livello più basso rispetto all’Andata al Calvario, fanno sì che sia maggiore lo spazio e la varietà cromatica riservati al paesaggio e alle architetture dello sfondo. Diventa così più evidente il
doppio binario su cui viaggiano parallelamente due modalità pittoriche diverse, con le
alture più elevate e tutti gli alberi trattati a sgraffito, diversamente dalle rocce più in basso e dal colle in mezzo, che sono invece dipinti senza integrazioni di lamine auree (7).
Interventi conservativi
Oltre agli interventi di ridipintura di cui si è già trattato precedentemente, purtroppo
non risulta documentazione di un intervento, relativamente recente e assai invasivo,
evidente ad un’ispezione del retro dell’opera. Per ovviare alla separazione delle due
tavole costitutive sono stati messi in opera sistemi di fissaggio quali inserti a farfalla,
filettature rettilinee, e inserti a cuneo che, per modalità d’esecuzione, possono essere
ritenuti precedenti agli anni Settanta del Novecento. Per quanto concerne il primo rilievo in esame, l’Andata al Calvario (FIG. 36), si notano quattro inserti a farfalla di diverse dimensioni e disposti controvena rispetto al massello costitutivo del rilievo e, anche,
tre grossi cunei, anch’essi controvena rispetto all’andatura della venatura della tavola, a
chiusura della fessurazione centrale. Inoltre, per rinforzare un elemento architettonico
probabilmente pericolante, è stato applicato un listello in legno di faggio, chiodato con
chiodi recenti ed incollato con colla a caldo.
Nel caso del secondo rilievo raffigurante la Deposizione, ci si trova di fronte ad un
intervento invasivo ancora più consistente di quello appena descritto (FIG. 43). Come
già accennato, in seguito all’asportazione del rilievo da un supporto originario molte
parti non più incatenate da una struttura portante sono rimaste libere di seguire tensioni diverse, a seconda della diversa disposizione delle venature. Ciò ha determinato in
alcuni casi la separazione di porzioni delle parti esterne del rilievo. Come già detto,
viste le chiodature laterali di fissaggio, tali deformazioni sono iniziate in epoca antica.
Per questo motivo sono visibili stratificazioni di operazioni di fissaggio condotte in
epoche differenti, con particolare riferimento a due staffe metalliche utilizzate per fissare una scheggia deformata del bordo inferiore destro del rilievo e ai già descritti
38
inserti a farfalla e cunei grossolani di dimensioni variabili, utilizzati per unire le due
porzioni distaccate in corrispondenza dei bordi della parte superiore dell’opera, sia a
destra sia a sinistra.
Le croci e le architetture presenti nella parte superiore del rilievo sono tutte rinforzate
mediante l’applicazione di listelli, come già detto per l’Andata al Calvario.
In epoca recente, precisamente nel 2004, i due rilievi sono stati sottoposti ad un intervento di manutenzione e controllo da parte di Eugenio Gritti che, pur lasciando in opera
il restauro esistente per evitare ulteriori deformazioni e assestamenti, ha condotto degli
interventi conservativi sul manufatto. Operazione iniziale e decisamente importante dell’intervento di restauro è stata il fissaggio dei sollevamenti dello strato preparatorio e di
quello pittorico; sono stati fissati tutti i pezzi posticci pericolanti o parzialmente decoesi, quindi sono stati rimossi gli strati di polveri grasse.
Successivamente si è ritenuto necessario rimuovere anche lo strato di vernice steso nell’ultimo restauro, che nel tempo era virato ed era leggermente ingiallito.
Durante la pulitura sono stati rimossi i vecchi ritocchi, alterati e parzialmente debordanti sopra la policromia originale adiacente.
Si sono poi fissate le superfici pulite e sono state ritoccate alcune stuccature, insieme
alle lacune di policromia con velature in leggero sottotono. È stato infine steso un trattamento finale a base di cera d’api.
NOTE
(1)
R. GANNA, in Maestri della scultura in legno nel Ducato degli Sforza (Milano, Castello Sforzesco,
21 ottobre 2005-29 gennaio 2006), a cura di G. ROMANO, C. SALSI, Cinisello Balsamo 2005,
pp. 116-119; F. TASSO, in Tra Otto e Novecento, dalla chiesa al museo: la storia collezionistica dei
rilievi del Maestro di Trognano, in Opere insigni, e per la divotione e per il lavoro, tre sculture
lignee del Maestro di Trognano al Castello Sforzesco, Atti della giornata di studio, Milano, Castello Sforzesco, 17 marzo 2005, a cura di M. BASCAPÉ, F. TASSO, Cinisello Balsamo 2005, pp. 79-86;
C.T. GALLORI Una mostra d’arte lignea e qualche novità sui rilievi Stroganoff ,«Rassegna di Studi
e di Notizie», 31 (2007-2008), pp. 121-152.
(2)
Secondo Venturoli a dipingere parti del rilievo fu un artista lombardo di alta qualità vicino allo stile di Butinone e Bramantino (P. VENTUROLI, Studi sulla scultura lignea lombarda tra quattro e cinquecento, Torino 2005, p. 19).
(3)
L. ALDOVINI, in Maestri della scultura in legno, cit. n. 1, pp. 112-113; G. AGOSTI, J. STOPPA, in
Mantegna 1431-1506 (Parigi, Musée du Louvre, 26 settembre 2008 - 5 gennaio 2009), a cura di
G. AGOSTI, D. THIÉBAUT, assistiti da A. GALANSINO e J. STOPPA, Milano 2008 (edizione italiana
rivista e corretta con la collaborazione di A CANOVA e A. MAZZOTTA), pp. 258-260; A. UCCELLI, in
Il portale di Santa Maria di Piazza a Casale Monferrato e la scultura del Rinascimento tra Piemonte e Lombardia (Casale Monferrato, 9 maggio - 28 giugno 2009), a cura di G. AGOSTI, J. STOPPA e M. TANZI, Milano 2009, pp. 127-129.
39
(4)
Su una scheggia prelevata dal rilievo raffigurante la Deposizione al sepolcro è stata effettuata
un’analisi morfoanatomica dettagliata della specie legnosa su sezione lucida con taglio trasversale,
radiale e longitudinale.
(5)
Spunti interessanti sulla valenza negativa attribuita in Occidente ai tessuti a righe e a quadri a partire dal XIII secolo sono contenuti in M. PASTOUREAU, L’étoffe du Diable. Une histoire des rayures
et des tissus rayés, Parigi 1991.
(6)
Nel XV secolo, così come nei secoli precedenti e successivi, il vermiglione (solfuro di mercurio
HgS) è stato tradizionalmente usato nelle campiture di panneggi con tinta rossa a sfumatura aranciata, spesso mescolato con minio (tetrossido di piombo Pb3O4).
(7)
L’analisi di un frammento prelevato dalle rocce brune a sinistra dimostra come anche al di sotto
delle ridipinture non sia presente la foglia d’oro, ma due stesure pittoriche, di cui quella soprastante contiene fra l’altro giallo di piombo e stagno, pigmento non attribuibile a interventi moderni,
dato che non fu più usato dopo il XVII secolo e fu identificato da R. Jacobi, che successivamente
lo riprodusse in laboratorio, solo negli anni ’40 del XX secolo (R. JACOBI, Über den in der Malerei
verwendeten gelben Farbstoff der alten Meister, «Angewandte Chemie», 54 (1941), pp. 28-29).
40
Workshop of Giacomo Del Maino
(or Workshop Brothers De Donati?)
Nativity, with the Journey of the Magi and St. Jerome
(1490 circa)
Carved, painted and gilded wood (102x61x9.5 cm)
Museum of Fine Arts, Boston, inv. 46.1423
Gift of Mrs. John Tempelman Coolidge, 1946
Woods species: poplar
Pamela Hatchfield
Description
A depiction of the Nativity dominates the central rectangular area of this painted and
gilded relief (FIG. 49). Mary and Joseph kneel at the left, an angel holds up a cloth
behind the Child, and two shepherds approach in adoration from the right. In the upper
register, the three Magi travel on horseback, preceded by an attendant, who gazes
upward. At the right, a shepherd also gazes upward, his right hand on his head in apparent amazement. The scene in the lunette above depicts St. Jerome kneeling in prayer in
front of a skull (the crucifix is lost), his left hand on a book. A lion appears to his left, a
small, red-roofed building in the background. The sculpture has been attributed to the
workshop of Giacomo Del Maino(1). The relief is richly gilded and polychromed, with
elaborate sgraffito decoration throughout.
A coat-of-arms is painted on the reverse and has been identified as combining the viper,
associated with the Visconti family, and the wheel on a red field, associated with the Da
Rho family (FIG. 50). It is known that Paola Visconti (still living in 1558) married Carlo
Da Rho (d. 1553), but the exact year is not known. The relief may have been commissioned on the occasion of this marriage, or perhaps for the birth of a child. It is also
possible that the coat-of-arms was added at a later date than the carving of the relief, to
celebrate one of these events. Further archival research might help in more precisely
dating the relief (2).
A vine- or ribbon-like pattern is painted in red around the outside of the coat of arms. In
this and many other aspects, the appearance of this relief closely resembles one in a private collection in Milan, attributed to the workshop of Giacomo del Maino (3). The ribbon-like pattern seen on both of these reliefs, interestingly, may bear some resemblance
to traces of a pattern found on the back of a magnificent relief depicting the Massacre
41
of the Innocents, also in the collection of the MFA, Boston (42.563), by Giovanni Angelo del Maino, son of Giacomo(4).
Construction
The back panel spans the primary relief, the lunette, and supports framing elements at
the top and the bottom of the relief. It serves as the background for the carved portion of
both reliefs, appearing as the sky in the lunette, and in the primary relief, as the sky in
the upper register and the back wall of the interior space, where the ox and donkey peer
through an arch to view the Child. The entire central relief is carved from a single piece
of wood, with some minor additions. The foreground incorporates the cliff-like natural
surroundings, the interior space, the tree trunk supporting the roof, as well as the primary
figures of the Nativity scene. The head of a nail securing the foreground carving to the
flat panel background is visible in the X-radiograph in the cliff behind Joseph (FIG. 54).
Other nails serving this function appear in the background under the hem of Joseph’s
robe; between the feet of the rightmost shepherd (the heads of both of these partially visible in the front of the relief); and nails in the lowest register of rocky support, approximately 80 mm below each of these (these not visible on the finished surface).
In the upper register, the following elements all appear to be carved from the same single
piece of wood as the primary scene: natural elements such as the cliffs and trees, the
three Magi, one figure walking behind them, another riding in front, three sheep and the
large figure at the right with hand on his head all appear to be carved from the same single piece of wood as the primary scene.
Only one nail apparently secures the relief in this upper area, below the group of three
sheep on the right side (visible on the surface below the cliff on which the three sheep
graze, and in the X-radiograph). The animal placed in the cleft between the rocks below
the sheep appears to have been carved separately; perhaps this is secured with a small
tack, but no means of attachment is clearly visible. Two small creatures, a frog and
lizard, are carved in relief on the thatched roof over the heads of Mary and Joseph.
The head of the donkey terminates in a straight edge behind the figure of the Virgin,
and is secured separately to the wall behind, whereas the body of the ox originates at
the left edge of the arch. No mechanical means of attachment (such as a nail) is visible
in the X-radiograph, so it appears that these sections are glued to the background. Below
these animals is a wall in low relief that separates from the background but does not
appear to be integral with the carved figures. The wall is quite thin but bows outward
and has separated from the background (FIG. 55). It is secured to the background with a
nail visible at the center of the upper edge. Its plastic nature, thinness and its relative
transparency to X-radiographs lead to the conjecture that it could be made of a material
other than wood, perhaps carta pesta. However, it is not possible to see the substrate in
order to identify the material.
The figural area of the lunette depicting St. Jerome, like the main relief field, appears to
42
have been carved from a single piece of wood. It is secured by three primary nails, two
in the lower section of the cliff, visible from the front, and a third behind the head of St.
Jerome, are visible in the X-radiograph. The outer dimensions of the relief are: 102.9
(height) x 61(width) cm; however, the moldings comprising the widest points of the
relief are not original. Without the moldings, the outer edges of the pilasters, the relief
measures 52.5 cm in width. The thickness of the back panel is 1.4 cm. The total depth of
the relief is 9.5 cm (from outermost edge of back panel to outer edge of predella molding). The thickness of the back panel itself measures: 1.4 cm. In both instances, the depth
of the relief carving is 5.5 cm. The dimensions of the original pieces of wood used in the
figural areas prior to carving would have been not smaller than: 47.5 cm x 39.5 cm and
19.5 x 40.5 cm. The lunette is distinctly separated from the upper cornice, possibly due
to shrinkage of the wood over time, and the lunette is presently secured only to the backing board, not directly to the cornice. A series of vertical, tapered holes appear faintly in
the X-radiograph, possibly an indication that a row of nails originally protruded upward
into the lunette from the cornice below. A regular row of headless nails appears at the
bottom of the lunette; while it is possible that these were cut down in a later restoration,
it is perhaps more likely that the ends of headless nails were sunk into the top edge of
the cornice, the pointed ends inserted into the bottom of the lunette to secure it.
Framing elements
The primary scene is supported by a predella (height 12 cm). A void is visible inside the
predella, and the X-radiograph reveals debris collected in this void including lost fragments of polychromy. Small nails secure the moldings to the predella, with large vertical (possibly later) nails at the pilasters and at the center. The capitals are integral to the
elaborately carved pilasters rising from pedestals on either side of the figural relief. At
the bottom, these terminate at the predella, and at the top of the capitals. The function of
two separate pieces of wood attached with nails to the curved outer edge of the lunette is
unclear. It is possible that they served as supports for decorative volutes which were
often applied on the top edge, or on its sides resting on the cornice(5). There are also
joins between the parts of the entablature, between the cornice, Guilloche frieze and
between the architrave and the capitals. A piece of an iron nail protrudes from each border element, which might have secured coats-of-arms as seen, for example, on the closely related Adoration of the Shepherds from a private collection in Milan (6).
Discussion of X-radiography (FIGG. 54, 56, 57 X-radiograph image)
The X-radiograph reveals a variety of different types of hardware used to secure areas
of the relief. Some is clearly modern, in restored areas such as the left cornice; others
are hand made, with shaped, irregular heads; note one in particular with a distinctive
hexagonal head at the center below the Guilloche frieze. Also, in the foreground on
which the figures kneel, a distinctive diagonal pattern is visible, which gives texture
and dynamism to the surface on which the figures are placed. This is particularly visible
43
under the kneeling shepherd at the right of the Child. Also barely visible to the eye but
quite strikingly apparent in the X-radiograph, is a stippled effect in the carving of the
background area of the pilaster capitals.
Although no wood samples could be taken from the figural areas of the relief for identification, a sample from the underside of the arch at the upper right of the relief was submitted for identification and identified as Poplar (Populus sp.) (7). A pronounced wood
grain is visible running horizontally in the area of the predella. Vertical wood grain can
also be seen, almost certainly a feature related to the backingboard.
Damage and restoration visible in the X-radiograph
Pronounced damage from wood boring insects is visible throughout, especially at the
bottom edge of the predella, and the sides of the relief at the level of the entablature. A
crack runs down the backing board associated with a wide area of restoration. The top
molding of the arch of the lunette is damaged and secured with several large nails.
Restoration at the cornice is visible both from visual examination and confirmed by the
visualization of modern nails in the outer portions of the cornice, the upper molding
edges of the predella and the adjacent column bases.
Polychromy, materials and techniques
General discussion
The sculpture was examined using Wild M650 stereobinocular microscope; X radiography(8); FTIR Fourier Transform infrared microscopy(9); scanning electron microscopy
with energy dispersive spectrometry SEM/EDS)(10). Samples were taken and examined
under magnification using visible and ultraviolet light. Although the relief has been
subjected to several restoration campaigns, most of the polychromed decoration is original. The paint medium is identified as protinaceous, the ground layer is calcium sulfate. Water gilding is applied over an iron oxide red bole. Azurite and malachite are
present for blues and greens, and some iron oxide yellow (goethite) is present. In addition, an organic yellow colorant was present mixed with finely ground azurite to give
the blue-green color found in the clothing of the primary figures of the relief. Several
reds were used; one bright red present in horse trappings of the Three Magi on the front,
and the tongue of the serpent-like creature on the back, was identified by Raman
microspectroscopy as vermillion (mercuric sulfide). Red lead was identified on the back
in the ribbon-like pattern, and the transparent red glaze seen over gilding was identified
as an organic colorant, but could not be further characterized either by infrared or Raman
spectroscopy (11). Oxalate salts were identified in many areas. A distinctive continuous
but irregular diagonal zig-zag pattern is seen in the X-radiograph on both reliefs on the
upper surfaces of the rocks on which the primary figures, the Magi and animals are
placed. Much restoration obscures any sense of texture on the left side of the primary
scene, but some of this pattern remains visible on the right, as well as in the lunette.
Liberal and varied use is made of the sgraffito technique to embellish polychromed areas
44
(FIGG. 58-60); paint is applied over gilding and scratched through to reveal the gold
beneath. In some instances, the most delicate of tools was used to create texture, for
example in the bricks above the swaddling cloth upon which the Child rests. Elsewhere,
these incisions used to give the impression of leaves on trees, or of fur – as in the ox and
donkey, or the leggings of shepherds in the foreground. They are used to convey the richness of textiles throughout, particularly in geometric patterns on the borders of garments,
stars or circles in the garments worn by shepherds and the angel; or spirals to convey the
coiled wool of the sheep.
In addition to the use of opaque pigments, translucent green and red glazes over gold
are used to create a luminescent effect on garments and even on shoes.
Discussion of cross-sections
Seventeen pigment and cross-section samples were taken in order to identify grounds
and colorants. Fig. 51 identifies the locations of sampling sites on the front of the relief.
Sample A (FIGG. 61 A- C) examined under magnification shows a coarsely ground matrix
with particles of iron oxide, underneath a layer containing azurite. Under ultraviolet
light, no evidence of oil or resin medium is seen. The SEM image (seen at 150X magnification) shows three distinct layers, the lowermost (probably gypsum) high in calcium, silicon and potassium.
Sample F (FIGG. 62 A- C), the green from the robe of the shepherd at the proper right,
shows a particulate ground layer of calcium sulfate, a very compact layer of iron red
bole, a thin layer of lead white paint with particles of azurite in it, covered with a finely
ground layer of a mixture of azurite and an unidentified organic yellow pigment. The
milky white layer on the uppermost surface is a modern consolidant. Again, no fluorescence indicating the presence of oil or resin is visible when the cross-section is viewed
under ultraviolet light. However, oil was tentatively identified in some areas (for example, sample P, taken from the Child). Infrared analysis of this sample identified lead
white with an oil binder, and a gypsum ground containing a proteinaceous binder.
Numerous previous campaigns of restoration make certain identification of the presence
and origin of proteins and oils problematic.
Cross-sections taken from a very similar relief in a private collection(12) show animal
glue in gesso, bole and other areas of the samples, 5-10 um layer of gold, and a red
lake, probably applied with an oil medium. Other areas show azurite with a lipoprotein
medium, identified by UV fluorescence. In the similar relief from a private collection,
azurite was found with probably a lipoprotein medium; copper resinate with oleoresin,
verdigris in an oil medium, and gold applied with oil (13). Verdigris was not identified in
samples from the Boston relief.
Cross-section L (FIGG. 63 A- C) from the rock, shows a relatively coarse gypsum ground
layer, with a thick layer of very fine bole above, on top of which lies a layer of gilding.
A very thin but coarsely ground layer of bole lies on top of this, with a subsequent layer of gilding; these latter two appear to be later restoration. A modern consolidant
appears white under ultraviolet light in this crossection.
45
Pigment and ground identification
Sample, description
FTIR
SEM/EDS
Comments/Other analysis
Bright blue particles contain priA) Blue background, visually thick Blue upper layer: azurite
brown layer covered with bright Brown lower layer: protein, calcite, quartz; possibly marily copper, minor amounts of
Al, Si, Ca, K
gypsum
blue; cross-section
B) Bright red, from furthest left Lower white layer: gypsum, protein;
Magi
Red and brown layer: protein, kaolin type clay, and
polyvinyl acetate
C) Transparent red with green, front White layer: gypsum, protein
of Virgin’s dress; cross-section
Red bole: protein, calcite, long chain organic acid salt,
eg. calcium stearate
Upper brown layer: protein, silicates, gypsum
Lower white layer: Ca, S
Middle white layer: Ca, S
Red bole (Al, Si, Fe, Ca, K, S)
Gilding: Au
Upper layer: Ca, Si
46
D) Bright green from tree, proper Blue green layer: malachite; some polyvinyl acetate,
possibly protein. Yellow layer: protein, kaolin type
right side, over gilding
clay with goethite (yellow iron oxide)
E) Blue particle on Joseph’s robe
Blue layer: azurite, protein and polyvinyl acetate, possibly also protein. Yellow layer: protein and kaolin
type clay.
White bottom layer: Ca, S;
F) Green robe from proper left fig- White layer: gypsum and protein
White middle layer: Ca, S;
ure with staff; cross-section
Red: kaolin type clay and protein;
Blue green layer: azurite, protein and polyvinyl Red bole: Al, Si
Gilding: AU
acetate
White: Pb;
Bright blue: CU
Blue green: Cu, Pb, S.
G) Donkey, background
Lower white layer: gypsum, protein.
Brown layer: protein, calcite, gypsum, quartz, with
some siliceous material (probably dirt)
H) Blue from Virgin’s sleeve, inside Blue layer: azurite.
cuff (appears green)
Brown layer: protein, polyvinyl acetate, dirt
UV fluorescence: 2 white
ground layers plus thin layer at
bottom of ground
Sample,description
FTIR
I) Green glaze over gold on belt
Blue particles: azurite;
Clear medium: protein
Transparent red glaze over gilding which lies over
a red bole and white ground.
White ground layer: primarily gypsum and protein. Red bole: clay and protein. Red glaze:
stearate salt, calcite, protein and organic colorant.
Bright red paint covered with thin brownish surface. Red lies on a thin white layer over gilding
which itself is over a thick white layer. All layers
contain lead white, protein and an oil/waxy material. Brown surface layer contains gypsum.
Polyvinyl acetate identified throughout.
Two layers of gilding are present over thick, finely ground red layer (bole) and coarse white
ground. Very thin but coarser layer of bole under
top layer of gilding, apparently a later addition.
Blue pigment is identified as azurite
J) Red glaze, upper register of main
section; on furthest left figure
behind Magi, from his hip
K) Red from upper register main section, harness of headless animal
(camel?)
L) Layers of gold on rock; cross-section
47
M) Blue of St. Gerome’s book
N) Red from verso, ribbon-like pattern; visually, sample appears red
with brown surface layer
O) Red from verso, figure in serpent’s mouth: visually sample
appears red over thick white layer
P) White from Child; visually sample appears to have a dark layer
over thick white layer
Q) Gilding from cliff
SEM/EDS
Comments/Other analysis
Visually appears as blue and yellow particles in clear medium
Neither Raman nor FTIR could
identify the organic red colorant
The lowest coarse layer is gypsum
based on major presence of Ca and
S. Finely ground, thick red layer is
bole, based on major. Al, Si and
minor K, Fe. Gold is present, then s
white layer and finally a red layer.
Lower coarse ground layer contains Ca, S, indicating gypsum.
Red bole is identified by the presence of Al, Si, K, Fe
Red paint layer is identified as
vermillion by Raman
Under ultraviolet light, a modern
consolidant (probably polyvinyl
acetate) fluoresces white
Protein, calcite and gypsum
Red is identified as red lead by
Raman
White layer is primarily gypsum, oxalate salts and
calcite. Red contains protein and oxalate salt
Red is identified as vermillion
by Raman
Two white layers are separated by a thin brown
layer and possibly some gilding. Infrared identifies upper white layer as white lead with an oil
binder. Black brown over surface contains protein,
oxalate salt, calcite and possibly a carbohydrate
Lower coarse ground layer contains Ca, S, indicating gypsum.
Red bole is indicated by presence
of Al, Si, K, (major); Fe (minor)
Comparison with Adorazione dei pastori, Milan, private collection
In 2006, several samples from a very similar relief attributed to the workshop of Giacomo Del Maino(14) were analyzed by Dott. Fabio Frezzato of the Centro Ricerche sul
Dipinto, Divisione della C.S.G. Palladio, S.r.l.. This relief measures 101x52 cm; the
relief in the collection of the MFA, has similar dimensions (103x61 cm), although the
moldings comprising the widest points of the relief, as already mentioned, are not original. Without the moldings, the relief measures 52.5 cm in width from outer edge to
outer edge of the pilasters; the widest dimension of the lunette is 53.5 cm.
The backing board of the Boston relief rests on top of a bottom section which forms the
lower edge of the predella, whereas that of the private collection relief appears to extend
down to the ground, the moldings of the predella added around the sides.
Examination under ultraviolet and infrared light (15) and raking light was conducted of the
predella of the Boston relief to see whether any trace of inscription similar to the one in
Milan could be found, but none could be seen. The predella is quite abraded, but no sign
of underdrawing, incision or other preparations or remains of an inscription was detected.
Condition and previous treatment
The structure of the relief remains primarily intact, but numerous losses of projecting
elements has occurred, including: the right hand of the Child; both hands of the Madonna; all but one head of the animals being ridden by the Magi and attendants; both arms
of the attendant following the Magi; and St. Jerome’s crucifix.
Significant wood boring insect damage has undermined the structure, particularly at the
bottom edge, and the sides of the relief at and below the cornice. Moldings at the cornice and upper base were previously restored with fir, but no record of this treatment is
found. Prior restorations include partial regilding, particularly in the lower areas of the
primary relief, where cleaning and handling would have abraded it. Small squares of
gold leaf have been applied to protruding areas.
Major restoration appears to have taken place to restore damaged areas at the right and
left sides of the relief, particularly in the area of the cornice. Many surfaces show a
shiny synthetic resin which is found in numerous crossections, identified as polyvinyl
acetate. In 1992, structural stabilization of the left side was conducted where it was badly undermined by insect damage. An acrylic resin bulked with glass microspheres was
used to fill losses. At that time, dust was removed from the relief with a vacuum aspirator, and the surface cleaned with an aqueous enzymatic solution on cotton swabs. Flaking paint was set down with 2% gelatin solution a wetting agent had been added. Subsequent treatment was conducted in 2006, in preparation for the exhibition Donatello to
Giambologna: Italian Renaissance Sculpture at the Museum of Fine Arts, Boston (2007).
This treatment included cleaning with limited application of mild aqueous solutions on
cotton swabs, and consolidation with isinglass (sturgeon glue), 2.5%., applied warm
48
after application of ethanol by brush, to reduce surface tension. Consolidation of areas
severely undermined by the tunneling of wood boring insects, particularly the bottom
front edge, was conducted using a dilute solution of Rohn and Haas Acryloid ® resin B72 in organic solvents(16).
Acknowledgements
Profound thanks are due to Michele Derrick for her extensive work in preparing, analyzing and interpreting findings on pigment samples and cross-sections; Richard Newman for performing the X-radiography; Keith Lawrence for assistance with image
manipulation; Francesca Tasso and Sylvio Leydi for identification of the coat of arms;
Marietta Cambareri Gordon Hanlon, Andrew Haines, Cassius Clay and Matthew Siegal
at the MFA, Boston for thoughtful comments and review during the process of examination of this object, and for permission to publish.
NOTE
(1)
R. CASCIARO, La scultura lignea lombarda del Rinascimento, Milano 2000, pp. 277-278..
(2)
The identification was made by Dr. Silvio Leydi through personal communication with Dott.
Francesca Tasso (8 June, 2006).
(3)
CASCIARO, cit. n. 1, p. 276.
(4)
R. CASCIARO, Giovan Angelo Del Maino. La formazione e gli anni giovanili, «Nuovi Studi», 1
(1996), pp. 47-64, figures following.
(5)
See for example, a Florentine frame in the collection of the Metropolitan Museum of Art ca. 14801500, catalogue number 11 (1989.132) in: T.J. NEWBERY, G. BISACCA, L.B. KANTER, Italian Renaissance Frames, New York, 1990, published in conjunction with the exhibition Italian Renaissance
Frames held at the Metropolitan Museum of Art, New York, June 5-September 2, 1990, p. 43.
(6)
Illustrated in CASCIARO, cit. n. 1, p. 276.
(7)
Center for Wood Anatomy Research, United States Department of Agriculture, Forest Service, Forest
Products Laboratory, Madison, WI, USA, 24 August 2008.
(8)
X-radiography conducted by Richard Newman, Conservation Scientist at the Museum of Fine Arts,
Boston, using a Philips tube, a 1.5 second exposure at 35 KeV, 3 mA and a 1 second exposure at 80
KeV 5 mA.
(9)
FTIR conducted by Michele Derrick, the Schorr Family Associate Research Scientist, Museum of
Fine Arts, Boston, using Nicolet 510P FTIR spectrophotometer with NicPlan microscope and
Omnic 32 (version 6.0) software. Samples were pressed on a microdiamond cell and analyzed
with transmitted radiation over a range of 4000-700 cm1 at a resolution of 4 cm-1. MFA scientific
report.
49
(10)
SEM/EDS performed by Michele Derrick using JEOL JSM 6460LV scanning electron microscope
with INCA x-sight energy-dispersive X-ray spectrometry (EDS) and INCA platform software.
Samples were embedded in Buehler Epothin epoxy and analyzed in low vacuum chamber (35 Pascals) with electron beam energy of 20kV. Images were collected using JEOL backscattered electron imaging in shadow mode. Analysis was conducted at 20 KV with SEM chamber pressure at
35 Pascals. The resolution of the INCA Reflector is 133 eV at 5.9 KeV.
(11)
Raman microspectroscopy, was performed using a Bruker Senterra instrument with Opus 5.5 software. Powdered samples were placed on a glass slide and analyzed using 785 nm laser at a power
setting of 10 mW over a wavelength range of 65-1555 cm-1, and resolution of 3-5 cm-1. The spectrum was integrated for 60 seconds. A 50x objective was used for an analysis area of approximately 2 microns.
(12)
F. FREZZATO, Aspetti materici e tecnico-esecutivi in tre opere lignee policrome del Quattrocento
Lombardo, in La statua e la sua pelle: artifici tecnici nella scultura dipinta tra Rinascimento e
Barocco, a cura di R. CASCIARo, Galatina 2007, p. 50.
(13)
F. FREZZATO, ibidem, pp. 49-50.
(14)
Adorazione dei pastori 1490-1500; collezione privata, Milano.
(15)
Fuji S3Pro IRUV camera.
(16)
Rohm and Haas Acryloid ® B-72 (ethyl methacrylate/methylacrylate:) Rohm and Haas Corporate
Headquarters, 100 Independence Mall West, Philadelphia, Pa 19106, 877-288-5881.
50
Bottega di Giacomo Del Maino
(o Bottega dei Fratelli De Donati?)
Natività con Adorazione dei pastori e San Gerolamo penitente
Legno intagliato, dipinto e dorato (101x61x13 cm)
(Natività 46,2x38,1x5 cm; San Gerolamo penitente 18,5x38,5x5 cm) –
Milano, Collezione privata
Fabio Frezzato, Luca Quartana
L’oggetto sul piano storico, compositivo e strutturale
Il rilievo ora in collezione privata rappresenta una Natività con Adorazione dei pastori
ed è inserito in una cornice lignea completamente dorata, conclusa in alto da una lunetta in cui, sempre a rilievo, è raffigurato San Gerolamo nel deserto. Attribuita alla bottega di Giacomo del Maino(1) o alla mano dei fratelli Giovan Pietro e Giovanni Ambrogio
De Donati (2) l’ancona venne commissionata probabilmente da un privato per l’altarolo
di una cappella o di una camera personale.
La scena principale, che raffigura l’episodio narrato nel Vangelo di Luca (Lc 2, 8-20), è
suddivisa in due sequenze (FIG. 66): nella parte superiore, sopra l’idealizzato rilievo
roccioso, un pastore inginocchiato vicino ad un gruppo di pecore sta, molto probabilmente, ricevendo dall’angelo l’annuncio della nascita del Bambino mentre sotto abbiamo l’Adorazione dei pastori.
La composizione è strutturata in maniera semplice, con una lineare capanna impostata
con un tetto di paglia sorretto da un tronco verticale, sotto cui compaiono San Giuseppe
e la Madonna in preghiera davanti al Bambino, adagiato su un ampio lembo del manto
della Vergine, che è tenuto sollevato da un angelo. Sul lato destro invece campeggiano
due pastori, uno inginocchiato in adorazione e l’altro, più esterno, in piedi, appoggiato a
un bastone e caratterizzato da un notevole gozzo.
Nel livello prospettico inferiore è modellato lo sfondo della capanna a guisa di parete
rocciosa completamente dorata da cui fanno capolino, dietro la Vergine, le teste del bue
e dell’asino. L’ambientazione continua sopra il tetto dell’improvvisato ricovero, dove
appaiono un gruppo di tre pecore ed il pastore che si copre gli occhi con la mano, circondati da stilizzati alberi e rocce.
Struttura analoga è presente nella scena della cimasa, che circonda completamente la
figura di San Gerolamo penitente davanti al teschio, elemento che ricorre molto spesso
nell’iconografia tradizionale dei santo e simboleggia la penitenza cristiana. Sullo sfon51
do s’intravede una figura d’animale, probabilmente il leone, secondo la leggenda suo
fido compagno nel deserto, a cui aveva tolto una spina dalla zampa. In mano il santo
regge il volume della Vulgata, la traduzione della Bibbia dal greco in latino, attribuita
proprio al santo di Stridone.
Il retro dell’ancona è decorato con un grande stemma gentilizio il cui blasone appartiene probabilmente alla milanese famiglia Stampa (FIG. 67).
Sono state individuate ben sei opere di analogo soggetto attribuibili alla mano dei De
Donati, due delle quali, individuate da Andrea Di Lorenzo(3), sovrapponibili dal punto di
vista formale ed iconografico a questo rilievo. L’impaginazione di due anconette conservate al museo di Liberec in Repubblica Ceca e al Museum of Fine Arts di Boston
risulta infatti identica, sia per l’architettura in cui è inserita la scena, che per la presenza
della lunetta con il San Gerolamo, differenziandosi solamente in piccoli particolari nella parte superiore della scena principale.
Elemento comune di questi manufatti è il massiccio uso della lamina d’oro da cui è
ricoperta, oltre la cornice, tutta l’opera a rilievo. Dove è stesa invece una pellicola di
cromia diversa emergono delle finiture realizzate a sgraffito per lasciare trasparire l’oro, come ornamento o in modo da far risaltare certi dettagli descrittivi, come si può
vedere nelle decorazioni delle vesti o in particolari quali la pelliccia degli animali o la
chioma degli alberi. Usato sui panneggi e sulle superfici ondulate questo espediente
contribuisce a dar vita e vibrante luminosità all’intera scena.
Tecnica costruttiva
L’opera, che si presenta sotto forma di edicola, si compone di un fondo dipinto costituito da due tavole di pioppo, inchiodate a una cornice intagliata e dorata, caratterizzata da
una predella con iscrizione dipinta; due lesene con decorazione a candelabre sormontate da capitello, un architrave con decorazione a rilievo e a coronamento, in alto, da un
arco a tutto sesto. All’interno dell’edicola sono fissati i due rilievi: quello inferiore, raffigurante l’Adorazione dei pastori e quello superiore con San Gerolamo penitente.
I chiodi per il fissaggio del fondo dipinto alla cornice e dei rilievi al fondo sono applicati dal retro e, quasi certamente, ribattuti frontalmente per garantire l’adesione del
massello del rilievo al fondo.
La venatura del massello del rilievo e delle due tavole di fondo è disposta verticalmente.
Sia il rilievo inferiore sia quello superiore inserito nella lunetta sono ricavati da due blocchi distinti, mentre non sono stati evidenziati punti di giunzione ed elementi applicati.
In un primo momento si è pensato che il fondo e la cornice dell’edicola non fossero originali, ma frutto di una modifica successiva. I motivi principali che avevano indotto a
reputare tarda la sistemazione dell’opera erano due: in primo luogo le analisi sui pigmenti effettuate oltre un decennio orsono, con tecniche meno sofisticate e precise delle
attuali, avevano indicato come blu di Prussia la colorazione del fondo a cui sono applicati i rilievi, pigmento utilizzato dall’inizio del XVIII secolo. Inoltre, la decorazione del
retro del fondo non sembrava, rispetto al resto dell’opera, appartenere stilisticamente
52
alla stessa epoca. La recente ripetizione delle analisi stratigrafiche eseguite tramite
microspettrofotometria FTIR e microscopia elettronica a scansione (ESEM), ha consentito di individuare lo strato originale di azzurrite, riportando in un ambito coevo al rilievo la colorazione del fondale (FIG. 69). È poi visibile, in corrispondenza della parte
traforata del rilievo inferiore, ove sono ricavati i profili del bue e dell’asino, la traccia
sul fondo della presenza dell’orecchio del bue andata persa e originariamente coesa sia
alla testa dell’animale che al fondo mediante un unico strato preparatorio (FIG. 71).
È stato possibile confrontare tra l’altro i retri di altre ancone del tutto simili a quella in
oggetto, in cui compaiono decorazioni araldiche similari, come ad esempio l’opera conservata a Boston e citata precedentemente, e l’Adorazione del Bambino attribuita sempre
ai fratelli De Donati, delle Civiche Raccolte d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di
Milano (FIGG. 114, 115) (4). La presenza di queste decorazioni lascia ipotizzare che i fondi
siano contemporanei alle opere, in quanto prodotti appositamente nell’ambito di una committenza privata e in maniera quasi seriale con riferimento al soggetto, sia nel caso della
formella di Boston, sia per quella qui analizzata, anche riguardo alla fattura stilistica.
Policromia
La gamma cromatica, riapparsa in seguito al restauro del 1997, appare articolata su
alcuni colori di base, blu, rossi e verdi, che caratterizzano in special modo i panneggi
dei personaggi e, nel caso del blu, anche lo sfondo. A questi vanno aggiunti gli incarnati e i colori usati per rendere il pelame del bue e dell’asino o il vello delle pecore. I verdi sono presenti anche per riprodurre l’erba del terreno sia in primo piano, sia sui rilievi
a terrazza delle alture dietro la capanna, sia nel paesaggio della lunetta in alto. Inoltre,
la veste dell’angelo che regge il manto su cui è deposto il Bambino sembra caratterizzata da un tono di blu con sfumatura più violacea del blu del manto della Vergine e del
fondo. Come nei rilievi per S.Giovanni in Pedemonte l’oro è l’elemento cromatico principale, applicato sempre a guazzo e protagonista insieme agli altri colori delle numerose zone trattate a sgraffito, che nell’anconetta non raggiungono mai il livello di raffinatezza dei rilievi comaschi, indice di un’esecuzione affidata probabilmente alla bottega.
Le aree ricoperte dal colore sono in alcuni punti lacunose, fino a lasciare in evidenza il
supporto; in altre, meno profonde, la conseguenza è uno sbilanciamento verso l’oro, che
risulta ancora più dominante, specialmente nel panneggio del pastore col gozzo sulla
destra. La veste di San Giuseppe appare invece alterata nella tinta originaria e in alcuni
punti manca della pigmentazione sopra l’oro.
I materiali pittorici riscontrati nei quattro campioni analizzati evidenziano in sezione uno
strato di preparazione a gesso piuttosto disomogeneo nella granulometria, ricoperto in tre
casi su quattro da bolo. Le stesure pittoriche sono costituite da azzurrite, che solo nel cielo del fondo è applicata in due strati, il primo di azzurrite e biacca, ricoperto da un secondo strato di azzurrite caratterizzata da una macinazione più grossolana, utile ad esaltare
la saturazione della tinta (FIG. 69). Il verde del panneggio a sgraffito del pastore inginocchiato è costituito da più mani di verdigris (verderame) in olio, che raggiungono uno
53
spessore non trascurabile (compreso fra 100 e 300 m). I picchi di resine nello spettro
FTIR indicano che il pigmento può essere considerato resinato di rame, che al microscopio appare in parte imbrunito. Anche nell’unico campione di rosso, costituito da una stesura di lacca rossa applicata sopra l’oro, questa risulta in parte alterata e imbrunita.
Interventi conservativi
La formella è stata restaurata a cura di Luca Quartana nel 1997 (5). Il manufatto si presentava ricoperto completamente da una patina posticcia assai scura composta da oli,
poi rimossa fino a riportare alla luce la policromia sottostante, che conservava oltretutto
i pigmenti originali stesi sopra la foglia d’oro.
Durante la pulitura i sollevamenti della preparazione sono stati fissati per mezzo di colle cianoacriliche, mentre le parti erose sono state consolidate mediante infiltrazioni di
colle a base di resine alifatiche.
La superficie del manufatto è stata quindi protetta da uno strato di cera d’api diluita con
essenza di trementina.
Il retro presentava invece una preparazione gessosa, con precaria adesione al supporto,
che è stata consolidata, mentre sulle lacune pittoriche dello stemma sono state effettuate delle velature ad acquarello.
NOTE
(1)
R. CASCIARO, La scultura lignea lombarda del Rinascimento, Milano 2000, p. 276.
(2)
A. DI LORENZO, Tre schede per i fratelli De Donati, «Nuovi Studi», 4, II (1997),
pp. 99-102.
(3)
Ibid. Le altre formelle rappresentanti l’Adorazione dei pastori citate dallo studioso sono: la lunetta
dell’ancona dell’Incoronata di Lodi, il Presepe di Trognano, l’ancona del Victoria & Albert
Museum di Londra, il rilievo delle Civiche Raccolte d’Arte applicata del Castello Sforzesco di
Milano e quello del Detroit Institute of Arts.
(4)
Il blasone presente in quest’ultimo è stato identificato come stemma gentilizio composito con le
insegne delle famiglie Trivulzio e Grassi (C. SALSI, Sculture e bassorilievi lignei del rinascimento
lombardo al Castello Sforzesco. Le origini della collezione in Maestri della scultura lignea nel
Ducato degli Sforza (Milano, Castello Sforzesco, 21 ottobre 2005-29 gennaio 2006), a cura di
G. ROMANO, C. SALSI, Cinisello Balsamo 2005, p. 28.
(5)
Nell’ambito degli studi condotti in questa sede sulle tecniche della scultura lignea è stato deciso di
ripetere gli esami diagnostici degli strati pittorici sui campioni conservati presso lo studio di Luca
Quartana. L’evoluzione delle tecniche diagnostiche ha consentito di superare e precisare i risultati
ottenuti all’epoca del restauro. I dubbi riguardo all’originalità di alcune parti sono stati risolti consentendo di considerare come interamente originale l’impianto dell’opera, fatta eccezione per
inserti, riparazioni e rinforzi effettuati precedentemente al restauro del 1997.
54
Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati,
pittore lombardo (tavola dipinta centrale) e
Maestro di San Rocco a Pallanza (tavole dipinte laterali)
Ancona della Pietà (inizio del XVI secolo)
Legno intagliato, dipinto e dorato (275x171x125 cm) –
Orselina, Sacro monte, cortile del convento, cappella della Pietà
Lara Calderari, Andrea Meregalli, Patrizio Pedrioli
L’ancona è composta da sette parti principali: quattro scolpite (il gruppo centrale, i due
pilastri laterali e l’arco) e tre dipinte (la tavola centrale e le due a lato). Il gruppo scultoreo vede al centro, sul sarcofago, la figura del Cristo morto sorretto a destra da Giovanni evangelista e con la Vergine accasciata a sinistra; completano la scena cinque angeli
dolenti in secondo piano. Nella tavola centrale sono raffigurati Nicodemo, la Maddalena e Giuseppe d’Arimatea; nello sfondo, il profilo del Golgota con le tre croci e il Santo Sepolcro. Le tavole laterali raffigurano due Pie donne identificabili (stando alle scritte dorate nelle aureole in parte lacunose) a sinistra con Maria Salomè («Maria Solomeia
So[...] ») e a destra con Maria di Giacomo («Maria Jacobe Sor[...] »). Nei due pilastri
laterali si aprono tre piccole edicole sovrapposte contenenti altrettanti angeli dolenti
variamente atteggiati. L’arco è finemente decorato sia sui prospetti esterni (fronte e laterali) sia nell’intradosso, dove si trovano delle rosette lignee applicate.
L’aspetto attuale dell’opera è dato dal recente restauro che ha in gran parte mantenuto le
ridipinture eseguite a inizio Novecento (v. oltre “Il restauro Annoni (1913-1914), e altri
interventi minori” e “Il restauro del 2005”).
Gli artefici e le vicende
Non si conosce la data d’esecuzione dell’ancona che è stata riferita da Raffaele Casciaro, in occasione della mostra Maestri della scultura in legno nel ducato degli Sforza
tenutasi al Castello Sforzesco di Milano, per via stilistica alla fine del Quattrocento (1). In
passato l’opera era stata ancorata da Virgilio Gilardoni al 1487, anno di consacrazione
del sacello della Pietà che la ospitava sin dalle sue origini (2). L’attribuzione ai fratelli De
Donati è stata invece proposta da Janice Shell e da Paolo Venturoli nel 1987 e da allora
accolta unanimemente dalla critica(3). L’attribuzione delle tavole dipinte al Maestro di
San Rocco a Pallanza, pure avanzata in occasione della mostra milanese, spetta invece a
Maria Cristina Passoni(4). Tale ipotesi è tuttavia sostenibile solo per le due tavole latera55
li e non per quella centrale da riferire a un secondo pittore. Lo stile delle tavole suggerisce di posticipare la datazione dell’insieme all’inizio del Cinquecento (5).
Tenuto conto che al Maestro di San Rocco si possono riferire anche i piccoli tondi con
l’Annunciazione e le decorazioni sulle tavole laterali dell’arco, si può ragionevolmente
ipotizzare che all’artista spetti anche l’esecuzione della policromia delle parti scolpite,
secondo un modus operandi non estraneo alla bottega.
Mentre la cappella della Pietà è ricordata brevemente dal vescovo di Vercelli Francesco
Bonomi nel 1578 (6), che ne notò le piccole dimensioni e la grande devozione da parte
dei fedeli, la prima notizia documentaria dell’opera è piuttosto tarda e risale al 1625,
quando venne descritta dal canonico locarnese Giacomo Stoffio in questi termini:
«Nel claustro […] in mezzo al portico […] in una cappelletta […] si rappresenta la
depositione della Croce di Nostro Signore, chiamata della Santa Pietà, con tre o quattro
figurine di rilievo, che in maggior numero non capiva la strettezza del luogo, ma tanto
eccellenti, che nel mirarle resta l’occhio appagatissimo, e quello, che non si è potuto
rappresentare in statue si vede supplito in pittura, come sono le figure di Nicodemo,
Gioseffo, e alcuni angeli così perfettamente dipinti, che fanno invidia a quelle di rilievo,
e tutte si veggono piangenti […]»(7).
Intorno al 1736 l’ancona venne trasferita nella cappella fatta costruire nella prima metà
del Seicento dalla famiglia Von Roll pure situata nel cortile del convento; essa ospita
attualmente il gruppo con il Compianto sul Cristo morto attribuito al Maestro di Santa
Maria Maggiore e proveniente dalla chiesa di San Francesco a Locarno. Tale situazione
è documentata da una fotografia (FIG. 72) del tardo Ottocento, prima cioè dei lavori di
ristrutturazione del santuario e del convento risalenti agli anni 1890-92, lavori che coinvolsero anche la cappella Von Roll nel 1891. Nell’immagine sono ancora visibili i plinti forse originali alla base dei pilastri a sostegno dell’arco; è inoltre particolarmente evidente il cattivo e lacunoso stato di conservazione della tavola centrale.
Fu don Santo Monti, storico comasco, nel 1903 a ritrovare e in seguito a segnalare l’ancona smembrata in vari pezzi e suddivisa tra la chiesa dell’Annunciata, situata alle pendici del Sacro monte, e il solaio del convento (8). Dopo il restauro ad opera di Francesco
Annoni a Milano negli anni 1913-14, l’opera venne collocata all’interno del santuario
della Madonna del Sasso, nella seconda cappella a sinistra della navata (Fig. 73). Nel
1982 essa fu infine spostata nella sua sede attuale, probabile sua collocazione originaria,
nell’ambito dei lavori di restauro del convento e, parzialmente, della chiesa (9) (Fig. 74).
Un’opera complessa
Sin dalle origini le parti scolpite erano policrome e dorate. Oggi, tuttavia, la policromia
visibile è quella del restauro di Francesco Annoni; solo le dorature sono ancora in gran
parte quelle originali. I dati qui esposti sulla struttura scaturiscono dall’osservazione
diretta, mentre quelli sulle policromie e sulle dorature originali sono desunti da una
serie di indagini puntuali (stratigrafie e analisi dei materiali) su varie parti dell’opera,
che non consentono tuttavia una ricostruzione precisa del suo aspetto originale.
56
La struttura
Gruppo
Il gruppo è ricavato da blocchi di pioppo di dimensioni diverse, anche ridotte, resi solidali tramite chiodi e colla. Nella tavola di base (spessa circa cm 9, larga 123 e profonda
43) sono comprese anche le prime parti intagliate del gruppo vero e proprio. L’insieme
è trattenuto sul retro da due tavole di rinforzo (l’inferiore di cm 97x15, spessore 2.5; la
superiore di cm 96x25, spessore 2). Anche la parte alta del profilo superiore del sarcofago è intagliata direttamente nella tavola di base. La parte bassa e il profilo inferiore
sono costituiti da listelli profilati applicati tramite piccoli chiodi e colla. La tavola frontale del sarcofago è piallata e levigata, così da offrire un fondo idoneo alla lavorazione
pittorica a finto marmo. Le tavole sui fianchi evidenziano riseghe regolari dell’avanzamento della lama (sega idraulica?) e non sono né levigate né piallate. Tutto il materiale
ligneo non esposto alla vista è lavorato in modo sommario. L’abbozzo delle figure è
attuato con sgorbie a cucchiaio e il perfezionamento con sgorbie di varia forma e dimensione, raspe e lime. Le ali degli angeli presentano sul retro lavorazioni diverse, alcune
levigate, altre lavorate con la sgorbia.
Dimensioni (cm): altezza 134, larghezza 123.5, profondità 63.
Arco
La struttura rettangolare a cassone è realizzata con tavole di pioppo (spessore medio
cm 2.5), inchiodate sulle teste. La base, costituita dagli appoggi laterali all’arco, irrigidisce il cassone; la parte alta è libera. Sul profilo dell’arco sono inchiodate dodici tavolette più sottili (spessore medio cm 1.2) fissate e rinforzate sull’estradosso da una centina assiale. Sull’imbotte, listelli appena profilati coprono le giunte tra le tavolette e altri,
ortogonali, disegnano i cassettoni occupati da rosette applicate. Semplici bottoni ornano
l’incrocio dei listelli divisori. L’impianto decorativo è ricco e alterna parti intagliate e
dorate a parti dipinte. Sui lati sono ben visibili i segni della lavorazione con la sgorbia,
che testimonia una preparazione grossolana; i giunti tra le assi sono stati rinforzati da
strisce di garza prima della stesura della preparazione.
Dimensioni (cm): altezza 88, larghezza 171, profondità 66.
Pilastri
I pilastri sono ricavati da un travetto di legno di pioppo (circa cm 137x19.5x13 cm). Le
figurine e le edicole sono intagliate in un pezzo unico. Parti applicate sono invece il
profilo sagomato della base, i profili frontali e laterali delle edicole, le colonnine con le
basi e i capitelli. I giunti tra i pezzi che compongono il pavimento delle edicole sono
stati rinforzati da strisce di garza prima della stesura della preparazione.
Sinistro
Dimensioni (cm): altezza 162, larghezza 26.5, profondità 17.
Altezza singole parti (cm): tavola di base 7, prima edicola 40, seconda edicola 41, terza
edicola 44.3, capitello 25.7.
57
Destro
Dimensioni (cm): altezza 162.5, larghezza 26.5, profondità 17.
Altezza singole parti (cm): tavola di base 7, prima edicola 41.5, seconda edicola 41.2,
terza edicola 41.8, capitello 26.5.
Tavola centrale
Il supporto è composto da cinque tavole di pioppo poste in verticale rinforzate sul retro
da tre traverse non originali.
Dimensioni (cm): altezza 217, larghezza 128.5, spessore medio 2.2.
Larghezza tavole (da sinistra) cm: 31.5 - 21.2 - 25.0 - 18.7 - 31.2.
Tavole laterali
I supporti sono composti ciascuno da due tavole di pioppo poste in verticale e rinforzate sul retro da tre traverse non originali.
Sinistra (Maria Salomè)
Dimensioni (cm): altezza 158.5, larghezza 49.5, spessore medio 1.6.
Larghezza tavole (da sinistra) cm: 30.5 - 17.6.
Destra (Maria di Giacomo)
Dimensioni (cm): altezza 158, larghezza 49, spessore medio 1.8.
Larghezza tavole (da sinistra) cm: 16.8 - 31.5.
La policromia e la doratura originali
Gruppo
La preparazione è a base di gesso e colla stesa in più strati; le parti dorate sono preparate con una stesura di bolo. Dalle analisi emerge che sia i panneggi sia gli incarnati sono
stati eseguiti con tempera all’uovo in più strati, uno di preparazione e uno o due di finitura. I manti azzurri presentano una finitura composta da bianco di piombo e un pigmento blu a base di rame finemente macinato. I manti rossi hanno uno strato di fondo a base
di bianco di piombo e minio (parti più chiare) e una finitura con bianco di piombo e
cinabro (più intenso). Sulla manica verde dell’angelo a sinistra (non ridipinta) sono presenti decorazioni rosse. Il perizoma del Cristo presenta due strati di fondo, il primo con
bianco di piombo intonato con cinabro e minio e il secondo con bianco di piombo e
cinabro e una finitura con bianco di piombo; esso è completato con una decorazione a
righe azzurre. Le finte cornici che riquadrano gli specchi del sepolcro, parzialmente ridipinte, sono eseguite con uno strato unico a base di bianco di piombo, intonato con nero
di carbone, cinabro e ocra gialla. Gli incarnati sono costituiti da una base stesa in due
mani di bianco di piombo, minio e cinabro e una finitura a velatura di bianco di piombo
e cinabro. L’incarnato del Cristo presenta una base con bianco di piombo, minio e cinabro; è inoltre presente un altro strato preparatorio con bianco di piombo intonato con terra verde e una sottile velatura di bianco di piombo e cinabro. La decorazione a ricami
delle papaline degli angeli è eseguita con la tecnica della graffiatura su foglia d’oro.
58
Arco
La preparazione è a base di gesso e colla stesa in più mani; le parti dorate sono preparate con una stesura di bolo intonata con qualche granulo di cinabro. Il legante della pellicola pittorica è una tempera all’uovo. I fondi delle rosette nel sottarco e sul fregio sono
dipinti con bianco di piombo e azzurrite. Le decorazioni verdi sui lati sono eseguite con
malachite su preparazione nera a base di grafite. Le lumeggiature bianche delle decorazioni sono eseguite con bianco di piombo su una base rossa contenente cinabro e poco
bianco di piombo. Il vestito dell’angelo dipinto nel tondo è costituito da cinabro, minio
e bianco di piombo.
Pilastri
La preparazione è a base di gesso e colla stesa in più mani; le parti dorate sono preparate
con una stesura di bolo. Dalle analisi emerge che sia i panneggi sia gli incarnati sono
eseguiti con tempera all’uovo in più strati, uno di preparazione e uno o due di finitura. Il
manto dell’angelo in basso del pilastro destro è costituito da una base di bianco di piombo intonato con pigmento azzurro a base di rame e una finitura con verderame. Il cielo
delle edicole del pilastro sinistro è decorato con piccole stelle dorate su fondo azzurro.
Tavola centrale
La preparazione è a base di gesso e colla stesa in più mani; la pellicola pittorica è eseguita con tempera all’uovo in più strati. Le analisi effettuate hanno inoltre accertato sui
manti verdi la presenza di bianco di piombo e terra verde, sul cielo una preparazione
nera e una finitura con bianco di piombo e grossi granuli di azzurrite. La parte bassa
della tavola è stata lasciata grezza in quanto nascosta alla vista dello spettatore dal gruppo ligneo.
Tavole laterali
La preparazione è a base di gesso e colla stesa in due mani; la pellicola pittorica è eseguita
con tempera all’uovo in più strati. Le analisi effettuate sulla tavola sinistra hanno accertato
sul manto verde la presenza di uno strato di base composto da bianco di piombo, ocre rosse e nero carbone e una finitura con bianco di piombo e finissimi grani di un pigmento
blu-verde. Sulla tavola destra hanno messo in evidenza sul manto rosso violaceo la presenza di uno strato eseguito con due stesure contenente terre gialle, ocre rosse e nero carbone.
Il restauro Annoni (1913-1914) e altri interventi minori
Il principale intervento di restauro a cui l’ancona è stata sottoposta fu eseguito all’inizio
del Novecento, tra il 1913 e il 1914, da Francesco Annoni a Milano; l’intervento fece
seguito al ritrovamento dell’opera stessa da parte di Santo Monti nel 1903 (v. supra
“Gli artefici e le vicende”). Purtroppo non si dispone della relazione tecnica di restauro
e il preventivo, datato 5 settembre 1913, parla semplicemente di un intervento «consi59
stente nel rifare in tutte le parti detta ancona» per un costo di 800 lire. Le analisi e le
prove eseguite in occasione dell’ultimo restauro hanno comunque permesso di acquisire, come si dirà nel dettaglio, dati sicuri e significativi. Sulla base della documentazione
fotografica a disposizione si può osservare che l’ancona fu ricomposta dal restauratore
milanese diversamente da quando si trovava nella cappella Von Roll (FIG. 72); in particolare, l’architettura fu abbassata di circa 30 centimetri poiché nella ricostruzione non
furono riproposti i plinti a sostegno dei due pilastri laterali; il gruppo scultoreo centrale
andò così a nascondere parte della tavola di fondo (FIG. 73).
A questo primo intervento seguirono altri restauri di minore portata. Si ha infatti notizia
di limitati lavori sulla tavola laterale destra («consolidamento, appianamento, risarcimento, restauro pittorico, verniciatura matt») e sul gruppo scultoreo («rinsaldamento,
stuccatura e restauro pittorico») nel 1948 da parte del restauratore Tita Pozzi di Massagno. Nel 1960 il restauratore Bruno Abbiati di Ponte Tresa sostituì le traverse fisse sul
retro della tavola centrale con delle traverse mobili ed eseguì un appianamento della pellicola pittorica che presentava dei rigonfiamenti procedendo quindi con la stuccatura e il
ritocco integrativo mimetico delle lacune; questi ultimi interventi furono eseguiti anche
sulle tavole laterali che si presentavano comunque in migliore stato di conservazione.
Nel 1982, poco prima dello spostamento dell’ancona nella sua sede attuale, e in seguito
nel 1998, il restauratore Piero Pedroia di Minusio, intervenne nuovamente sull’opera con
una serie di operazioni conservative (pulitura, trattamento antitarlo e antifungo, fissaggio
delle parti sollevate) e integrative (stuccatura delle lacune e ritocco integrativo mimetico).
Gruppo
In corrispondenza del gruppo scultoreo Annoni ridipinse le vesti coprendo la policromia originale mentre sugli incarnati si sovrappose a una ridipintura precedente, probabilmente settecentesca. Le dorature furono ritoccate dal restauratore milanese con porporina e foglie d’oro. Il sepolcro fu invece meno coinvolto dalle ridipinture; furono
ripresi interamente i fianchi mentre sul fronte vennero eseguiti diversi piccoli ritocchi
e la stesura di uno strato di gommalacca. Sui lati del sepolcro i profili delle cornici
furono segati riducendoli leggermente mentre le cornici applicate furono sostituite. In
corrispondenza delle linee tra i giunti delle assi e dei blocchi di legno si notano numerosi interventi di stuccature e ritocchi quasi sicuramente effettuati in occasione dei vari
spostamenti dell’opera.
Arco
Sui lati Annoni sostituì il cornicione, che appare diverso da quello frontale per intaglio e
qualità della doratura e che non presenta continuità con la parte dipinta. Il cornicione
sostituito è stato successivamente tagliato in occasione della collocazione dell’ancona
nel Santuario (seconda cappella laterale a sinistra). Le dorature furono ritoccate più volte
con porporina e riprese con foglie d’oro. Annoni rimosse e riapplicò il profilo superiore
della cornice, come si deduce dall’utilizzo di chiodi moderni. I fondi del fregio e delle
rosette del sottarco furono ridipinti con blu di Prussia. Sul fronte, i piccoli tondi, le deco60
razioni e gli specchi delle lesene vennero parzialmente ridipinti. Anche sui lati si sono
riscontrate delle ridipinture limitatamente alla parte che rimase in vista dopo la collocazione dell’ancona nel Santuario.
Pilastri
L’elaborazione coloristica primitiva fu conservata in vista all’interno delle edicole,
mentre venne interamente ripresa da Annoni sulle vesti e sugli incarnati degli angeli.
Come per gli altri elementi anche le dorature furono ritoccate più volte con porporine e
riprese con foglie d’oro. Nelle teste dei capitelli venne inserita una tavola di rinforzo
con due spinotti per l’ancoraggio all’arco e nella base una tavola di rinforzo con infissi altri due spinotti per il posizionamento sulla base d’appoggio. Sul retro venne inoltre applicato un listello di legno utilizzato come spessore per l’appoggio delle tavole
laterali. Anche i capitelli del pilastro presentano alcune parti strutturali rifatte riconducibili all’intervento Annoni.
Tavola centrale
Le assi furono incollate tra di loro con caseina e rinforzate da tre traverse orizzontali
mobili (cm 7 di altezza, 121 di lunghezza e 1.8 di spessore medio) applicate con viti dal
restauratore Abbiati nel 1960 in sostituzione di quelle messe probabilmente da Annoni.
Una sconnessione (lunga 35 cm) situata tra la seconda e la terza tavola venne risanata
con dei cunei. Furono inoltre applicati due tasselli di legno negli angoli della parte bassa, a destra di forma trapezoidale (altezza cm 27, larghezza 14 e spessore 2.2) e a sinistra di forma rettangolare (altezza cm 21, larghezza 14 e spessore 2.2); un terzo listello
di forma trapezoidale (altezza cm 84, larghezza 3.5, spessore 2.2) venne applicato sul
margine sinistro in alto.
Sul lato dipinto Annoni eseguì inoltre numerose stuccature, maggiormente concentrate
nella parte superiore sinistra in corrispondenza delle lacune visibili nella fotografia della fine dell’Ottocento (FIG. 72). Vistose ridipinture andarono poi a ricoprire quasi interamente la pellicola originale; alla figura di sinistra (Nicodemo) furono addirittura rifatti i simboli della Passione sostituendo la lancia al martello e la corona di spine alle tenaglie. La superficie venne trattata con gommalacca e con vernice naturale. Numerosi
buchi di tarlo vennero infine chiusi con la cera.
Tavole laterali
Le assi furono incollate tra di loro con caseina e fermate con viti nella parte superiore a
un telaio di legno applicato presumibilmente da Annoni. Si notano anche alcuni segni
lasciati da tasselli di legno (rimossi in occasione dell’applicazione del telaio) incollati al
supporto probabilmente per sostenere delle precedenti traverse. Sul retro della tavola
sinistra (Maria Salomé) due fenditure furono risanate con dei cunei mentre sul margine
in alto a sinistra venne applicato un tassello di legno di forma trapezoidale (altezza
cm 18.2, larghezza 2.5 e spessore 1.6). Numerose ridipinture non documentate vennero
inoltre effettuate sui manti.
61
Il restauro del 2005
Malgrado gli interventi di manutenzione eseguiti negli ultimi decenni, l’ancona presentava evidenti segni di degrado soprattutto in corrispondenza dei pilastri laterali di sostegno e delle tavole dipinte, con diffusi sollevamenti e cadute delle dorature e della pellicola pittorica. Tali inconvenienti, a cui si aggiungevano la presenza del tarlo e la diffusa
sporcizia, rendevano indispensabile un nuovo restauro che è stato eseguito a partire dalla primavera del 2005. L’obiettivo iniziale era duplice: fermare il degrado in atto attraverso i necessari interventi di carattere conservativo e verificare la possibilità di migliorare la fruizione dell’opera con l’eventuale eliminazione delle ridipinture e delle false
dorature e la correzione dell’altezza della composizione. Gli accertamenti e le analisi
preliminari hanno tuttavia indotto ad accantonare ben presto l’ipotesi di un recupero
generalizzato delle policromie originali. La ridipintura d’inizio Novecento, che ha modificato notevolmente i toni originali e parzialmente i colori stessi, era stata infatti eseguita con lo stesso legante della policromia originale, cioè con una tempera all’uovo. La
sua rimozione, a prescindere dall’incognita della reale estensione della policromia originale superstite, risultava quindi oltremodo problematica se non impossibile sia per via
chimica sia per via meccanica, tanto più che sugli incarnati emergevano finiture originali sottili e discontinue difficilmente recuperabili.
Il restauro ha pertanto preso pertanto come riferimento di base la situazione acquisita
con l’intervento eseguito da Annoni all’inizio del Novecento. Importanti miglioramenti
sono comunque stati apportati in corrispondenza di taluni fondi dell’arco e delle edicole, sul sepolcro e sulle dorature, eliminando diversi rifacimenti precedenti e reintegrando quanto necessario.
Un recupero soddisfacente è per contro stato possibile sulle tre tavole, in particolare su
quella di fondo rimuovendo, tra l’altro, le vernici e le ridipinture precedenti che presentavano vistosi sollevamenti e in parte si erano sovrapposte all’originale.
Grazie ai riscontri raccolti nel corso del lavoro è stato inoltre possibile riportare l’ancona
alle sue probabili corrette proporzioni, in particolare ripristinando la presunta altezza originale dei pilastri e portando in avanti il gruppo principale. Eliminando i listelli di legno
applicati da Annoni sulle scanalature poste sul retro dei pilastri si è infatti potuto osservare, oltre alla modalità con la quale le tavole laterali furono in origine inchiodate ai pilastri,
la loro giusta posizione, confermata dal fatto che i buchi dei chiodi presenti sui profili delle tavole laterali e sulle scanalature dei pilastri coincidono perfettamente. Nella disposizione ereditata da Annoni le tavole si trovavano, per contro, spostate verso l’esterno per
l’evidente scopo di inserire il gruppo scultoreo all’interno della struttura. Con la nuova
sistemazione anche alcune parti della tavola centrale prima nascoste dal gruppo hanno
così potuto essere recuperate alla vista; lo stesso per il sarcofago dipinto anche sui fianchi.
Per il ripristino delle proporzioni sono stati inseriti due nuovi plinti di legno con colore e
venature neutre (FIG. 75). Considerato che l’ancona era in origine molto probabilmente
posta su un altare, si può quindi comprendere la ragione per la quale la tavola centrale non
fosse stata dipinta nella parte bassa perché comunque nascosta dal gruppo centrale.
62
L’attuale ricomposizione dell’opera è quindi suffragata – come detto – da riscontri
oggettivi anche se può non convincere totalmente, specie per la posizione del gruppo
principale in rapporto alla struttura retrostante. Occorre tuttavia considerare che il punto
di osservazione dell’ancona da parte dello spettatore doveva in origine essere frontale e
che comunque non ci sono giunte tutte le parti che la componevano. Da qui le difficoltà
nella ricostruzione del suo presunto aspetto originale.
Gruppo
STATO DI CONSERVAZIONE PRIMA DEL RESTAURO
Presenza di depositi superficiali di polvere, sporcizia e materiali incoerenti; diversi sollevamenti con piccole cadute della preparazione e della pellicola pittorica (diffusi su tutta
la superficie); sollevamenti con cadute in corrispondenza delle linee tra i giunti delle assi
o dei pezzi di legno; numerosi piccoli buchi dovuti agli insetti xilofagi (FIGG. 76, 77).
INTERVENTO EFFETTUATO
1 Pulitura della struttura lignea con spazzole morbide e aspirapolvere.
2. Preconsolidamento della preparazione, della pellicola pittorica e della doratura con
colla di pesce (storione) e conservante New Des al 2% (prodotto a base di sali d’ammonio quaternari).
3. Trattamento antitarlo per impregnamento con Permetar in benzina leggera.
4. Pulitura della pellicola pittorica con rimozione dei depositi superficiali con acqua e
sapone neutro. Pulitura delle dorature con rimozione dei depositi superficiali e delle
integrazioni novecentesche eseguite in similoro o bronzina con acetone (FIG. 78).
5. Consolidamento della preparazione, della pellicola pittorica e della doratura con colla di pesce e conservante New Des al 2%.
6. Pulitura e trattamento antiruggine dei chiodi visibili.
7. Stuccatura delle lacune con gesso di Bologna e colla di pesce; nei giunti tra le assi o
nei pezzi di legno è stato aggiunto allo stucco il 5% di resina metacrilica (Primal
AC33) per aumentarne l’elasticità.
8. Integrazione pittorica delle lacune con acquarelli:
– sulle sculture policrome, in corrispondenza della ridipintura Annoni, sono state
trattate a mimetico;
– sul sarcofago, con la policromia originale, a rigatino;
– sulle dorature originali a selezione oro.
9. Verniciatura finale stesa a pennello con miscela di vernice mat (a base di cera) e
dammar (resina naturale) diluite in benzina leggera (FIGG. 79-81).
Arco
STATO DI CONSERVAZIONE PRIMA DEL RESTAURO
Presenza di depositi superficiali di polvere, sporcizia e materiale incoerente, piccoli sollevamenti con caduta della preparazione e della pellicola pittorica (maggiormente concentrati sul fronte); sollevamenti e piccole cadute e parziale distacco della garza sui lati
63
(in corrispondenza delle linee tra i giunti delle assi); sulle decorazioni crettatura molto
fine della preparazione e della pellicola pittorica; numerosi piccoli buchi dovuti agli
insetti xilofagi (FIGG. 97, 98).
INTERVENTO EFFETTUATO
1. Pulitura della struttura lignea con spazzole morbide e aspirapolvere.
2. Preconsolidamento della preparazione, della pellicola pittorica e della doratura con
colla di pesce e conservante New Des al 2%.
3. Trattamento antitarlo per impregnamento con Permetar in benzina leggera.
4 Pulitura della pellicola pittorica:
– rimozione della vernice di restauro ossidata, dei ritocchi e delle ridipinture con
metiletilchetone;
– rimozione dei resti di colle e sporcizia superficiale con soluzione tampone (pH
8.5) (FIG. 99 A).
Doratura: rimozione dei depositi superficiali e delle integrazioni novecentesche eseguite in similoro o bronzina con acetone.
Sono stati utilizzati come supportanti Klucel G (idrossipropilcellulosa) ed emulsione
cerosa.
5. Consolidamento della preparazione, della pellicola pittorica e della doratura con colla di pesce e conservante New Des al 2%.
6. Incollaggio delle garze staccate in corrispondenza dei giunti delle tavole con resina
acrilica (Acrylkleber HV 498 - 20 X).
7. Pulitura e trattamento antiruggine dei chiodi visibili.
8. Stuccatura delle lacune con gesso di Bologna e colla di pesce (FIG. 99 A); nei giunti
tra le assi o nei pezzi di legno è stato aggiunto allo stucco il 5% di resina metacrilica
(Primal AC33) per aumentarne l’elasticità.
9. Integrazione pittorica delle lacune con acquarelli:
– sulla policromia eseguita a rigatino (FIG. 99 B);
– sulle dorature originali a selezione oro.
10.Verniciatura finale stesa a pennello con miscela di vernice mat (a base di cera) e
dammar (resina naturale) diluite in benzina leggera (FIGG. 100-103).
Pilastri
STATO DI CONSERVAZIONE PRIMA DEL RESTAURO
Presenza di depositi superficiali di polvere, sporcizia e materiale incoerente; alcune fessure dovute al movimento naturale del legno; diversi sollevamenti con caduta della preparazione e della pellicola pittorica o della doratura; una crettatura molto fine interessava la
preparazione e la doratura; numerosi piccoli buchi dovuti agli insetti xilofagi (FIG. 104).
INTERVENTO EFFETTUATO
1. Pulitura della struttura lignea con spazzole morbide e aspirapolvere.
2. Preconsolidamento della preparazione, della pellicola pittorica e della doratura con
colla di pesce e conservante New Des al 2%.
64
3. Trattamento antitarlo per impregnamento con Permetar in benzina leggera.
4. Pulitura della pellicola pittorica con rimozione dei depositi superficiali con acqua e
sapone neutro.
Doratura: rimozione dei depositi superficiali e delle integrazioni novecentesche eseguite in similoro o bronzina con acetone.
5. Consolidamento della preparazione, della pellicola pittorica e della doratura con colla di pesce e conservante New Des al 2%.
6. Stuccatura delle lacune con gesso di Bologna e colla di pesce; nei giunti tra le assi o
nei pezzi di legno è stato aggiunto allo stucco il 5% di resina metacrilica (Primal
AC33) per aumentarne l’elasticità.
7. Integrazione pittorica delle lacune con acquarelli:
– sulle sculture policrome, in corrispondenza della ridipintura Annoni, sono state
trattate a mimetico;
– sui fondi, con la policromia originale, a rigatino;
– sulle dorature originali a selezione oro.
8. Verniciatura finale stesa a pennello con miscela di vernice mat (a base di cera) e
dammar (resina naturale) diluite in benzina leggera (FIGG. 105-107).
Tavola centrale
STATO DI CONSERVAZIONE PRIMA DEL RESTAURO
Nel supporto è stata constatata la cattiva funzionalità delle traverse con ancoraggi che
avevano ormai perso la loro mobilità. Anche l’inserimento dei cunei fu eseguito in modo
estremamente invasivo con eccessiva asportazione di materia originale e senza ricercare
un allineamento dei margini dei medesimi. Gli inserti si erano deformati e rischiavano
di condizionare il supporto originale. Sul legno si notavano anche numerosi piccoli
buchi dovuti agli insetti xilofagi. Sulla pellicola pittorica vi erano depositi superficiali
di polvere, sporcizia e materiale incoerente; diversi erano poi i sollevamenti e le cadute
che interessavano anche la preparazione (in particolare in corrispondenza delle stuccature) (FIGG. 82, 83).
INTERVENTO EFFETTUATO
1. Preconsolidamento della preparazione e della pellicola pittorica con colla di pesce e
conservante New Des al 2%.
2. Pulitura del retro con asportazione dei resti di colla utilizzata nei precedenti interventi.
3. Trattamento antitarlo per impregnamento con Permetar in benzina leggera.
4. Supporto ligneo. L’inserto in basso a destra di forma trapezoidale è stato rimosso e
sostituito con una tassellatura eseguita con piccoli elementi di pioppo posti a doppio
strato sfalsato in modo da creare un miglior ancoraggio con gli elementi originali,
frazionando le forze e quindi i movimenti delle parti applicate. I nuovi elementi sono
stati incollati con colla vinilica (Bindan RS). Sono inoltre stati rimossi i vecchi cunei
e la materia lignea è stata ricostruita con una tassellatura delle parti erose eseguita
65
5.
6.
7.
8.
9.
con piccoli elementi di pioppo vecchio fermati al supporto, ove possibile, con collante vinilico (Bindan RS) e nelle zone particolarmente erose con resina epossidica
(AW 106+HV 953 e SV 427+HV 427). Dopo il risanamento le singole tavole sono
state munite di un sistema di controllo delle deformazioni in sostituzione di quello
presente, troppo rigido e poco efficace. Sono state applicate traverse in rovere aventi una curvatura regolare rispondente alla freccia di deformazione del supporto. Esse
sono state ancorate attraverso un sistema elastico registrabile che si avvale dell’azione costante di molle coniche. Il meccanismo è quasi totalmente compreso nello spessore della traversa per il tramite di un appoggio circolare in noce incollato al supporto con una miscela di resina epossidica (AW 106+HV 953 e SV 427+HV 427 in rapporto di 2:1). La funzione di questo elemento è quella di trattenere una vite inox in
modo che essa possa oscillare in senso trasversale alla fibratura e quindi di ottenere
un valido punto di presa sul supporto senza operare forature su di esso. La dislocazione degli agganci non è geometrica, ma segue la scansione del tavolato privilegiando il centro e la prossimità ai bordi di ciascuna asse in modo da controllare i
punti di maggior sollecitazione all’imbarcamento (il centro) e alla dilatazione (i bordi). L’ancoraggio è completato nella traversa da un cappellotto filettato che registra
una molla a spirale conica poggiante su di essa. Il criterio è quello di controllare le
deformazioni del tavolato in occasione di variazioni microclimatiche e di offrire un
valido richiamo al supporto proporzionale al suo fabbisogno. In questa logica svolge
un ruolo fondamentale lo spessore della traversa, eseguita in modo da costituire un
rinforzo con un buon grado di elasticità, così da entrare in azione e distribuire le singole e locali deformazioni sulla larghezza del supporto (FIG. 87).
Pulitura della pellicola pittorica:
– rimozione della vernice di restauro ossidata, dei ritocchi e delle ridipinture con
metiletilchetone;
– rimozione dei resti di colle e sporcizia superficiale con soluzione tampone (pH 8.5).
Sono stati utilizzati come supportanti Klucel G (idrossipropilcellulosa) ed emulsione
cerosa. Il livello di pulitura è stato verificato con analisi chimiche effettuate sulla stessa campitura dopo la rimozione della vernice superficiale e la pulitura. Queste certificano la presenza di residui di un film brunastro (vernice o colle alterate) confermando
che non si è arrivati a contatto con la pellicola pittorica originale (FIGG. 84, 85 A, B).
Consolidamento della preparazione e della pellicola pittorica con colla di pesce e
conservante New Des al 2%.
Stuccatura delle lacune con gesso di Bologna e colla di pesce; nei giunti è stato addizionato allo stucco il 5% di resina metacrilica (Primal AC33) per aumentarne l’elasticità. Nelle parti basse, nascoste dal gruppo, il gesso è stato colorato per facilitare
le operazioni di integrazione pittorica.
Integrazione della pellicola pittorica con acquarelli eseguita a rigatino; nelle parti
basse nascoste dal gruppo si è adottato il sottotono.
Verniciatura finale stesa a pennello con miscela di vernice mat (a base di cera) e
dammar (resina naturale) diluite in benzina leggera (FIGG. 86, 87).
66
Tavole laterali
STATO DI CONSERVAZIONE PRIMA DEL RESTAURO
Nel supporto è stata constatata la cattiva funzionalità del telaio di legno e la pericolosità
degli ancoraggi composti da viti che non permettevano un corretto controllo. Le assi
più larghe si presentavano leggermente imbarcate. Sul fronte non vi erano particolari
movimenti o scalini tra una tavola e l’altra. L’applicazione di cunei sulla tavola sinistra
era stata eseguita in modo estremamente invasivo con eccessiva asportazione di materia
originale e senza ricercare un allineamento dei margini degli stessi; in queste zone la
materia appariva erosa e indebolita. Nella tavola destra in basso, dove la materia era
indebolita, si notava una fenditura verticale non lineare (seguiva cioè le venature del
legno) di circa 70 cm. La pellicola pittorica presentava un protettivo alterato su tutta la
superficie; una crettatura molto fine interessava la preparazione e la pellicola pittorica;
depositi superficiali di polvere, sporcizia e materiale incoerente; alcuni sollevamenti
della preparazione e della pellicola pittorica con alcune cadute, concentrati sui manti
verdi; numerosi piccoli buchi dovuti agli insetti xilofagi (FIGG. 88-91).
INTERVENTO EFFETTUATO
1. Preconsolidamento della preparazione e della pellicola pittorica con colla di pesce e
conservante New Des al 2%.
2. Pulitura del retro con asportazione dei resti di colla utilizzata nei precedenti interventi.
3. Trattamento antitarlo per impregnamento con Permetar in benzina leggera.
4. Supporto ligneo. Prima di iniziare il risanamento delle varie fenditure sono stati
rimossi i vecchi cunei ed è stato eseguito un consolidamento con Paraloid B72 a
pennello allo scopo di rendere la materia meccanicamente idonea per ricevere l’aggancio dei nuovi inserti. La materia lignea è stata quindi ricostruita in corrispondenza delle parti erose con tasselli di pioppo vecchio fermati al supporto, ove possibile,
con collante vinilico (Bindan RS) e nelle zone particolarmente erose con resina epossidica (AW 106+HV 953 e SV 427+HV 427). Per l’applicazione delle nuove traverse si è proceduto come nella tavola centrale (v. supra) (FIGG. 94, 96).
5. Pulitura della pellicola pittorica:
– rimozione della vernice di restauro alterata e dei ritocchi e ridipinture con metiletilchetone;
– rimozione dei resti di colle e sporcizia superficiale con soluzione tampone (pH 8.5)
(FIG. 92 A, B).
Sono stati utilizzati come supportanti Klucel G (idrossipropilcellulosa) ed emulsione
cerosa.
6. Consolidamento della preparazione e della pellicola pittorica con colla di pesce e
conservante New Des al 2%.
7. Stuccatura delle lacune con gesso di Bologna e colla di pesce; nei giunti è stato addizionato allo stucco il 5% di resina metacrilica (Primal AC33) per aumentarne l’elasticità.
67
8. Integrazione della pellicola pittorica con acquarelli eseguita a rigatino.
9. Verniciatura finale stesa a pennello con miscela di vernice mat (a base di cera) e
dammar (resina naturale) diluite in benzina leggera (FIGG. 93-96).
L’opera è proprietà dello Stato del Cantone Ticino.
Il restauro è stato eseguito nel corso del 2005 sotto la vigilanza dell’Ufficio dei Beni
Culturali del Cantone Ticino (Dipartimento del Territorio) in collaborazione con la
Commissione cantonale dei Beni Culturali.
I documenti sul restauro si conservano nell’archivio dell’Ufficio dei Beni Culturali a
Bellinzona.
Finanziamento: Repubblica e Stato del Cantone Ticino, Confederazione elvetica (Ufficio federale della Cultura)
Analisi chimiche: Arcangelo Moles, Lucca.
Consulenza per il risanamento delle tavole dipinte: Ciro Castelli e Andrea Santacesario, Firenze.
Restauro: Andrea Meregalli della ditta A. T. R., Arte e Tecnica del Restauro, Canobbio.
Testo: Patrizio Pedrioli, caposervizio monumenti, e Lara Calderari, ricercatrice, Ufficio
dei Beni Culturali del Cantone Ticino, Bellinzona; Andrea Meregalli, restauratore,
Canobbio.
NOTE
(1)
R. CASCIARO, in Maestri della scultura in legno nel ducato degli Sforza (Milano, Castello Sforzesco, 21 ottobre 2005 - 29 gennaio 2006, a cura di G. ROMANO, C. SALSI, Cinisello Balsamo 2005,
pp. 124-127 (con bibliografia precedente).
(2)
V. GILARDONI, Locarno e il suo circolo (Locarno, Solduno, Muralto e Orselina), Basilea 1972,
p. 471.
(3)
J. SHELL, P. VENTUROLI, De Donati, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXIII, 1987, pp. 650656, in part. p. 652.
(4)
M.C. PASSONI, in Maestri della scultura in legno, cit. n. 1, p. 144.
(5)
Beni culturali. Cento anni di attività (1909-2009). Monumenti, restauro e valorizzazione. Un esempio: l’ancona della Pietà di Orselina, a cura di P. PEDRIOLI, Bellinzona 2009, p. 5.
(6)
V. GILARDONI, s.v. Locarno, «Ticinensia», IV, 1973, p. 353.
(7)
G. STOFFIO, Descrittione (…) d. S. M. del Sasso (…) hora ristampata con l’aggionta di nuovi accrescimenti (…) del P. Michele Leoni (…), ed. cons. Milano 1677, pp. 30-31.
(8)
S. MONTI, L’Esposizione d’arte sacra in Bellinzona (settembre 1903), «Bollettino Storico della
Svizzera Italiana», XXVI, 1904, 1-5, pp. 1-24, in part. pp. 20-21.
(9)
P. PEDRIOLI, Restauri nel Ticino. Notiziario 2005, «Bollettino Storico della Svizzera Italiana»,
CIX, 2006, II, pp. 345-358.
68
SAGGI
Le policromie
Ricostruzione dei procedimenti esecutivi
dall’interpretazione dei dati delle indagini scientifiche
Fabio Frezzato
N
ell’intrigante e per certi aspetti aggrovigliata serie di questioni che da decenni
permea la ricerca storica intorno agli oggetti lignei policromi prodotti fra il
XV e il XVI secolo in area lombarda va certamente compresa l’identificazione
del cosiddetto Maestro di Trognano.
I risultati prodotti dagli studi sono stati esposti nel 2005 in una giornata di studi dedicata
proprio all’enigmatica figura dell’artefice del celebre Presepe, poco tempo prima della
mostra milanese Maestri della scultura in legno nel Ducato degli Sforza(1).
Le ipotesi rimangono molteplici: vi è chi ritiene di poter identificare l’artista con Bartolomeo da Como (2); altri con i fratelli Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati; altri ancora pensano a un maestro di bottega non assimilabile a costoro, né tantomeno a quelli i cui nomi compaiono nell’elenco della corporazione. Al corpus del Maestro di Trognano sono stati inoltre assegnati i rilievi con le Storie della Passione di
Santa Maria del Monte sopra Varese, per la decorazione pittorica dei quali si fa anche
il nome di Bernardino Butinone, in base a due documenti che ne attestano la presenza
presso il cantiere varesino nel 1488(3).
Ma i problemi non si fermano all’identificazione del Maestro di Trognano, perché molte sono anche le lacune sul terreno della ricerca documentaria circa la paternità di molte
opere ancora esistenti e l’epoca della loro realizzazione. Solo per fare un esempio, due
anconette raffiguranti l’Adorazione dei Pastori, che mostrano un impianto compositivo
e strutturale molto simile, la prima custodita presso il Museum of Fine Arts di Boston e
l’altra appartenente a una collezione privata, sono state variamente attribuite, in particolare la seconda, a Giacomo Del Maino e ai De Donati(4).
Va detto che in merito alla scultura lignea del periodo considerato, le ricerche di tipo
storico e stilistico non hanno quasi mai potuto avvalersi dell’aiuto che l’indagine scientifica e tecnico-artistica può spesso fornire e si deve riconoscere alla mostra milanese
del 2005 il merito di aver fornito lo stimolo iniziale per approfondire dall’interno la
conoscenza delle policromie di diverse opere, con risultati che, se anche non possiedo71
no il valore di un documento scritto, vanno senz’altro proposti all’attenzione della
comunità storico-scientifica. L’esecuzione delle policromie e i relativi autori costituiscono un problema aperto: in che rapporto fossero i pittori con gli intagliatori, se interni alla bottega o esterni, non è questione semplice(5) e va tenuta in considerazione ogni
volta che in questo scritto si evidenzieranno coincidenze tecnico-esecutive in opere
assegnate su base stilistica ad autori diversi. Potrebbe infatti nascere la tentazione di
considerare frutto di una stessa bottega o di uno stesso intagliatore due oggetti le cui
policromie presentano forti analogie esecutive, ma la valutazione di un intaglio dovrebbe, se possibile, essere in un primo tempo separata dall’apparenza della pittura. Ciò
non giustifica però l’assunzione di un atteggiamento pilatesco: se come si vedrà più
avanti, alcuni modi di eseguire le decorazioni pittoriche in opere attribuite a maestri
diversi sono strettamente connessi, è obbligatorio chiedersi se gli artefici sono realmente diversi o se le differenze fanno parte del divenire artistico di un autore legato a un
lungo percorso esistenziale. Se d’altra parte per certa pittura avessimo la stessa lacunosa documentazione e la stessa relativa penuria di oggetti, non sarebbe certamente immediato assegnare alla stessa mano l’Incoronazione di spine di Tiziano nelle due versioni
del Louvre e dell’Alte Pinakothek di München.
Il punto di partenza del percorso che è descritto in queste pagine è rappresentato dalle
analisi scientifiche eseguite su alcuni campioni prelevati da uno dei rilievi dell’ancona
con le Storie di San Pietro Martire, che si trovava un tempo nel convento domenicano
di San Giovanni in Pedemonte a Como. Si tratta della formella, attualmente custodita al
Bode Museum di Berlino, che raffigura San Pietro Martire mentre saluta i confratelli
prima di avviarsi verso Milano, lungo la strada che sarà teatro del suo martirio. Si può
dire che l’importanza della ricerca non sta tanto nei risultati in sé, ma in quanto questi
sono esemplificativi della prassi esecutiva della bottega dei De Donati, ai quali la realizzazione delle Storie di San Pietro martire è attribuita con certezza, come attestano
due documenti del 1497 e del 1501(6). Si è nell’occasione potuto ricorrere a metodologie
avanzate di indagine, secondo un protocollo che è stato seguito anche per una buona
parte dei campioni prelevati da altre opere (7) in momenti successivi. Dalla correlazione
dei dati acquisiti con diverse metodologie sono derivate per il rilievo berlinese molte
informazioni sui pigmenti, sulle classi di leganti, sulle modalità esecutive e sui successivi interventi di restauro. Ciò ha incoraggiato a continuare la campagna analitica, che è
stata estesa alle altre tre formelle del ciclo, grazie alla disponibilità e alla collaborazione
dei musei di Opava e Sarasota, presso cui le opere sono custodite, che hanno concesso
la possibilità di prelevare diversi campioni dalle opere. Si è in questo modo notevolmente ampliato l’orizzonte della conoscenza delle raffinate modalità esecutive della
bottega milanese, che unita alla lettura ravvicinata delle eccezionali capacità virtuosistiche, così manifeste nel ciclo di Como sul piano della manipolazione della foglia d’oro e
della tecnica dello sgraffito, hanno richiamato alla mente il grado di qualità che caratterizza il Presepe di Trognano.
72
Da qui si è giunti all’idea di analizzare campioni del Presepe per mettere a confronto
materiali e tecniche dei De Donati e del Maestro di Trognano. Successivamente, nella
primavera del 2008, le indagini scientifiche hanno interessato i due rilievi con l’Andata
al Calvario e la Deposizione dall’altare di S.Maria del Monte sopra Varese, attribuiti allo
stesso maestro e attualmente presenti nelle raccolte del Castello Sforzesco di Milano.
Nel frattempo altre analisi sono state eseguite su campioni dell’Adorazione dei pastori
in collezione privata(8) e della Deposizione attribuita a Giacomo Del Maino custodita
presso le raccolte civiche milanesi (9).
Metodologie d’indagine in buona parte simili sono state applicate dal laboratorio scientifico del Museum of Fine Arts di Boston sull’Adorazione dei pastori e, tramite un protocollo diverso, da Arcangelo Moles sulla Pietà di Orselina attribuita ai De Donati (10).
Inoltre è stato pubblicato uno studio sulla Predica di San Pietro Martire, rilievo attribuito ai De Donati e conservato nel Museo per le Arti Figurative ‘Bogdan e Varvara
Khanenko’ di Kiev. Il saggio contiene anche una descrizione dei pigmenti e dei materiali degli strati preparatorii individuati per via spettrometrica e al microscopio ottico su
campioni in sezione (11).
Se l’obiettivo principale di questo contributo è costituito dal tentativo di fornire sulle
tecniche pittoriche informazioni provenienti dal côté scientifico della ricerca, da utilizzare per eventuali raffronti in chiave storico-artistica degli oggetti presi in esame, è
altresì necessario cercare, fra le diverse possibilità, un criterio che faccia da generatore
di una sequenza, che si spera logica, nella trattazione delle opere. Si è così scelto di
cominciare dalle formelle del ciclo comasco di S.Giovanni in Pedemonte, per le quali
l’attribuzione è certa. Ai risultati delle indagini condotte sui quattro rilievi sarà dato un
valore ‘canonico’ per quanto riguarda l’attività della bottega De Donati nei cinque-dieci
anni a cavallo fra il XV e il XVI secolo. Si deve però considerare che l’attività di Giovan Pietro De Donati, forse la figura guida della bottega sul piano tecnico, copre un
periodo lunghissimo, compreso fra il 1470, quando entra a bottega da Giacomo Del
Maino, fino a circa il 1525, quando per l’ultima volta accetta di insegnare a un giovane
l’arte dell’intaglio (12). Sono cinquantacinque anni di carriera, di cui tutto sommato ci
rimane un numero non enorme di manufatti, e nel corso della quale il talento artistico di
Giovan Pietro e degli altri fratelli intagliatori si sarà nutrito del modus operandi di Giacomo, per raggiungere nel tempo, sul piano pittorico, esiti sublimi di preziosità decorativa, secondo una visione che mette al centro tutto ciò che può dare risalto ai valori dell’intaglio, trasformandolo in oggetto prezioso, al punto da poter rivaleggiare con un’opera di oreficeria, ma sostanzialmente meno incline a concedere alla pittura di ‘tener lo
campo’. Un esempio che invece contraddice una tale visione si trova nei rilievi di Santa
Maria del Monte sopra Varese, dove il pittore agisce sugli elementi lignei in maniera
opposta e cercando, mediante l’uso di una tavolozza ricchissima e di aggiunte di motivi
decorati a ‘pastiglia’, di invertire il rapporto fra intaglio e pittura, affidando maggiormente a questa il compito di colpire lo spettatore.
73
Ritornando a questo punto alla sequenza proposta, dopo le Storie di San Pietro Martire
della smembrata ancona, saranno esposti nell’ordine i risultati relativi alle opere che
evidenziano le maggiori affinità esecutive col ciclo comasco, per allontanarsi progressivamente e giungere alla conclusione del percorso con la descrizione dei dati relativi alle
due opere pittoricamente più autonome, l’Andata al Calvario e la Deposizione dell’altare di Santa Maria sopra Varese.
I rilievi dell’ancona di San Pietro Martire
Da un esame ravvicinato della policromia dei rilievi emerge un livello qualitativo elevatissimo, che si esprime attraverso una padronanza magistrale delle tecniche di doratura, usate sia per la valorizzazione degli spazi prospetticamente definiti, sia per
ampliare la gamma delle possibilità offerte dal rapporto oro-colori nelle aree trattate a
‘sgraffito’, che non sono limitate all’imitazione di tessuti operati, ma si estendono agli
abiti dei monaci, agli sfondi prospettici, agli elementi vegetali, parietali o di diverso
tipo, come le imposte delle finestrelle nei rilievi di Opava, in cui lo sgraffito è l’artificio usato per delineare le sottilissime venature del legno (FIGG. 3, 6, 13, 17, 18, 24,
25). La gamma dei colori usati non è molto estesa; solo dove altri personaggi si aggiungono ai monaci si riscontra ovviamente un ampliamento, come negli abiti delle figure
femminili e del sicario; mancano invece campiture rosse e arancio, ad esclusione delle
pennellate relative alle sanguinazioni sul capo e sul collo del santo nella formella del
Martirio.
Gli strati preparatorii
La necessità di contenere l’invasività dei microprelievi non ha consentito di raggiungere in tutti i campioni i livelli più profondi degli strati di preparazione. Tuttavia, dalle
molte immagini ottenute al microscopio elettronico a scansione, sembra abbastanza
chiaro che gli ingessatori abbiano operato la tradizionale bipartizione delle fasi gessose, secondo quanto si trova descritto nella trattatistica (13). Si è potuto infatti osservare
in molti casi la presenza di un primo livello di preparazione a gesso di granulometria e
gradi di idratazione variabili, simile al cosiddetto ‘gesso grosso’, contenente anche
impurezze silicatiche e carbonatiche. Più sottili gli strati superiori, con gesso un poco
più fine e abbastanza omogeneo, tale da rientrare nella categoria del ‘gesso sottile’ (14)
(FIG. 14). In molti casi l’analisi micro FTIR ha permesso di riconoscere anche il legante proteico.
Sopra la preparazione gessosa, in venti campioni su ventuno, si trovano sottili strati di
bolo armeno (FIGG. 9, 15, 20, 21, 27, 28), argilla ferrosa ricca di alluminio, che possiede caratteri di adesività e plasticità, determinanti nella doratura a guazzo, sia per fissare la lamina dorata, sia per il successivo trattamento di brunitura. Il colore arancio o
rosso arancio del bolo permette inoltre alla superficie dorata e polita di assumere quel74
la tonalità calda, perfettamente funzionale alla valorizzazione materica e simbologica
della superficie.
È interessante notare che in cinque campioni dove si osserva lo strato di bolo non è
visibile al di sopra alcuna lamina metallica (FIGG. 9, 28), in particolare nei tre campioni
di incarnato (15). Ciò significa che dopo la gessatura tutte le superfici sono state ricoperte
con bolo e poi ricoperte con foglia d’oro, assente solo sotto le stesure degli incarnati. Il
dato è molto importante perché la stessa tecnica caratterizza il Presepe di Trognano.
L’unico campione che non evidenzia né bolo né oro corrisponde a un’area limitata del
cielo nella formella del Martirio, probabilmente interessata da un rifacimento.
Le stesure pittoriche e le parti dorate
La gamma cromatica non estesa è all’origine dell’impiego di un limitato numero di pigmenti, che rientrano tutti nell’elenco di quelli utilizzati più comunemente in epoca
medievale e rinascimentale.
Pigmenti rossi e arancio
L’assenza di campiture rosse e arancio non impedisce che pigmenti caratterizzati da tali
tinte, come ocre, vermiglione e minio, siano presenti, ad esempio nelle miscele di incarnati (FIG. 9).
Gialli
La sovrabbondanza di superfici dorate ha in diversi casi diminuito la necessità di ricorrere a pigmenti gialli. Nell’unico campione in cui il colore è presente, prelevato al confine fra i capelli e il manto di S.Caterina nel Colloquio mistico, il pigmento trovato è
ocra gialla. Vi è però evidenza di altri gialli, considerando che nel rilievo di Berlino si è
trovato, in un punto dell’architettura, giallo di piombo e stagno di tipo I (senza silicio).
Bruni
Nei campioni di stesure brune, dall’incarnato del sicario nel Martirio e dall’imposta
della finestra nel rilievo con San Pietro in ascolto del Crocifisso, i pigmenti riscontrati
sono ocre brune di varia tonalità (FIG. 28).
Verdi
Sono stati identificati tre tipi di pigmenti verdi: la malachite, per l’elemento floreale
sullo sfondo dorato del rilievo San Pietro in ascolto del Crocifisso; il pigmento appare
qui macinato grossolanamente per conservare la saturazione della tinta (FIG. 21). In altri
campioni, dalla manica verde di una santa nel Colloquio mistico e dalla foglia dorata di
un albero nel Martirio, dove il pittore cercava effetti di trasparenza, si è trovato verdigris, che nella manica potrebbe corrispondere a resinato di rame(16). In un campione di
incarnato del Colloquio sono stati inoltre riconosciuti granuli di terra verde.
75
Blu
Il colore azzurro, analizzato in otto campioni, di cui sette riferibili alla fase originaria (17),
è sempre azzurrite (18), sia nella sua versione merceologicamente più pregiata, sia in una
varietà più corrente, con sfumatura verdastra e contaminata da impurezze silicatiche. In
tre casi l’azzurrite migliore, a cristalli macinati grossolanamente, è applicata sopra uno
strato costituito dal pigmento più scadente e macinato più finemente. In due casi l’azzurrite pregiata ricopre uno strato di azzurrite mescolata con biacca (FIG. 15). Solo nel
Martirio, l’azzurrite del gonnellino del sicario, della migliore qualità, è stesa in un unico strato, piuttosto spesso (~ 100 m), mentre in un campione di cielo della formella di
Berlino lo strato azzurro in sezione appare disgregato, per cui si osservano solo granuli
di azzurrite sparsi.
Bianchi e neri
Sia negli incarnati, sia come schiarente, il pigmento bianco è generalmente bianco di
piombo (biacca). Solo in un campione dal rilievo con San Pietro in ascolto del Crocifisso si è trovato carbonato di calcio in una stesura pittorica grigia. Sotto questa è presente
una stesura nera in cui il pigmento, a particelle molto fini, sembra essere nerofumo; si
tratta di un caso isolato, dato che in quasi tutti gli altri campioni i neri sono comunque
pigmenti di natura carboniosa, costituiti però da particelle più grossolane. Nella scena
dell’Addio ai confratelli un campione dall’abito del santo sembra contenere nero d’ossa, data la presenza di fosforo (19) proprio nelle particelle nere (FIG. 8).
Lamine metalliche
La foglia d’oro ricopre a vista gran parte delle raffigurazioni, sia come semplice superficie riflettente o solcata da linee sottili (FIG. 11), sia impreziosita da minutissime granulazioni (FIG. 17) o rilucente in forma di lettere, motivi geometrici e ricami che emergono nelle numerose aree trattate a sgraffito (FIGG. 11, 13). Tuttavia, in diversi casi la si
ritrova anche in zone di non immediata evidenza: ad esempio nei cieli visibili al di là
delle finestrelle nel Colloquio mistico e nell’Ascolto del Crocifisso (FIG. 15), così come
nelle imposte delle stesse finestre (FIG. 18) e nei tronchi degli alberi del Martirio, dove
sono tracciati sottilissimi motivi a sgraffito tesi a riprodurre le venature del legno o i
segni sulle cortecce (FIG. 25).
I leganti
L’analisi delle classi di leganti è stata condotta utilizzando la microspettrofotometria
FTIR direttamente sui singoli strati delle sezioni microstratigrafiche. Gli spettri acquisiti hanno evidenziato la presenza, nella maggior parte dei casi, di assorbimenti riconducibili a esteri di acidi grassi e composti proteici, da cui è possibile ipotizzare che sia
stato usato come legante un legante lipoproteico, ad esempio l’uovo, da solo o in misce76
la con altri leganti lipidici o proteici. In alcune stesure di biacca o nei verdi applicati a
velature trasparenti si è invece riscontrato in prevalenza il contributo spettrale degli
esteri, indicativo della presenza di oli. È però necessario tenere in considerazione il
fatto che in alcuni casi si è trovato fosforo nella miscela lipoproteica, un dato che sembra indicativo della presenza di adesivi caseinici, forse usati in interventi conservativi
successivi e che hanno impregnato in alcuni punti gli strati sottostanti. I gruppi proteici di questi composti potrebbero interferire con quelli del legante originale e falsare
l’interpretazione degli spettri. Si consideri inoltre che i leganti risultano quantitativamente impoveriti, essendo in parte trasformati in ossalati, secondo un processo degradativo molto frequente.
Presepe di Trognano
Proprio l’opera eponima del misterioso maestro di Trognano è quella che presenta più
similarità coi raffinati rilievi del ciclo di San Pietro Martire per quanto riguarda l’applicazione degli strati pittorici.
L’analisi di sei campioni ha infatti rivelato, dove si è scesi più in profondità, una preparazione a gesso a due fasi e la presenza di bolo in quattro campioni su sei (20). Inoltre, la
lamina d’oro ricopre ovunque il bolo (FIG. 34), con l’eccezione delle stesure di incarnato. L’impianto cromatico è giocato principalmente sull’oro e secondariamente sugli
azzurri. Non resta perciò molto spazio per il dispiegamento di una tavolozza di grande
ricchezza, simile a quella dei rilievi di Santa Maria del Monte sopra Varese. Rispetto
alle formelle di San Pietro Martire, le differenze nella gamma dei pigmenti sembrano
limitate alla presenza nel Presepe di una lacca rossa sulla mantellina, trattata a sgraffito,
di uno dei pastori (FIG. 34). È invece molto interessante il raffronto fra gli azzurri. Anche
qui è sempre l’azzurrite a dominare, sia per i panneggi più ricchi, come il manto della
Vergine, dove ci si potrebbe forse aspettare il blu oltremare, sia nel cielo dello sfondo.
Ma come nel ciclo comasco le qualità di azzurrite sono due, la meno pregiata delle quali stesa a mo’ di fondo e ricoperta da un secondo strato del pigmento migliore, macinato
grossolanamente e di tinta azzurra intensa (FIG. 33).
La ricerca dei leganti è stata ostacolata in alcuni casi dalla presenza di etilacrilato/metilmetacrilato (Paraloid B72) usato nel corso di un recente restauro. Tuttavia l’analisi
micro FTIR ha consentito di rilevare assorbimenti riconducibili a composti lipidici e
proteici di un probabile legante lipoproteico negli strati di azzurrite e di malachite, mentre nell’incarnato della mano della Madonna prevalgono i picchi riferibili a un legante
oleoso. La lacca rossa sulla mantellina del pastore è stata applicata con un legante proteico, ma alcuni caratteri spettrali inducono a ipotizzare la presenza di oli, rivelata
soprattutto dall’intensa fluorescenza gialla in luce UV che caratterizza il sottile strato
che separa la lacca dalla lamina d’oro.
77
La predica di San Pietro Martire
Il rilievo custodito nel Museo ‘Bogdan e Varvara Khanenko’ di Kiev, presenta dal punto di vista tecnico molte delle caratteristiche evidenziate nelle formelle del ciclo comasco di San Pietro Martire.
Le indagini di tipo scientifico, pubblicate in Rassegna di Studi e di Notizie 2007-2008,
sono state limitate ai pigmenti, individuati, secondo quanto è scritto nell’articolo, “con
il metodo dell’analisi dello spettro di emissione e con lo studio della stratigrafia…nella
luce riflessa e luminescenza visibile, eccitata dai raggi ultravioletti”. I risultati rappresentano una conferma di quanto già visto, a cui va aggiunta la presenza di una lacca
rossa. Accompagna i dati materici un’interessante disamina della tecnica esecutiva da
cui, nonostante qualche problema nella traduzione della terminologia tecnico-artistica,
si ricava che anche nel rilievo di Kiev, sopra la preparazione a gesso e colla è presente
bolo rosso su tutta la superficie, ricoperta da foglia d’oro ad eccezione degli incarnati.
L’Adorazione dei pastori in collezione prevata
Le indagini rieseguite nel 2006 su vecchie sezioni stratigrafiche analizzate dieci anni
prima (21) sono state già in parte pubblicate da chi scrive (22).
Dai quattro campioni analizzati, non giungono informazioni particolari sui pigmenti
riscontrati – azzurrite, lacca rossa, resinato di rame – ma vale la pena di segnalare un’importante differenza rispetto a quanto visto in precedenza: la preparazione mostra un’unica fase di gessatura, sotto cui si osserva, in un campione, solo una mano di colla. Il
gesso è inoltre ovunque caratterizzato da una granulometria disomogenea, più simile
alla forma del gesso grosso. Si potrebbe aggiungere che l’azzurrite del cielo dello sfondo, pur essendo data in due mani di qualità diversa come nei rilievi di San Pietro Martire, non mostra al di sotto lo strato di bolo armeno (FIG. 69); tuttavia l’osservazione di
alcune foto ravvicinate del fondo blu sembra evidenziare piccole lacune attraverso le
quali traspare un colore rosso arancio, facilmente riconducibile al bolo.
L’Adorazione dei pastori
del Museum of Fine Arts di Boston
La ricerca svolta dal MFA di Boston sull’anconetta della Natività ha permesso di raccogliere informazioni ad ampio spettro su ben diciannove campioni prelevati dal fronte e dal retro, senza contare le analisi radiografiche. Si rimanda perciò al saggio di
Pamela Hatchfield per la descrizione dettagliata dei campioni. Sembra comunque utile
al confronto con le opere precedenti soffermarsi su alcuni aspetti comuni, come la presenza di azzurrite ovunque, sia nei blu, sia in alcune miscele di verdi e il legante oleoso utilizzato nell’incarnato, ricco di biacca, del Bambino Gesù. Quest’ultimo dato, for78
nito con qualche cautela in quanto isolato rispetto al resto delle analisi, coincide invece con quanto rilevato dall’analisi micro FTIR eseguita su diversi strati ricchi di biacca negli altri rilievi. Differenze sono invece percepibili negli strati di preparazione, nei
quali il gesso sembra, dalle immagini al SEM, meno omogeneo verso la superficie,
rispetto ai rilievi comaschi, ma di granulometria meno irregolare che nella formella di
collezione privata.
Altare della Pietà
del santuario della Madonna del Sasso di Orselina
Il gruppo di Orselina, attribuito ai fratelli De Donati e per la pittura delle tavole a due
maestri, di cui uno è il Maestro di San Rocco a Pallanza, presenta nell’esecuzione alcune peculiarità rispetto al ciclo di San Pietro Martire, che probabilmente risentono da un
lato della differente natura degli elementi dipinti, sculture o tavole piane anziché rilievi;
d’altra parte, però, si deve tenere conto del fatto che gli autori della policromia possono
con buona probabilità non essere gli stessi.
Dai diversi elementi che compongono l’ancona sono stati prelevati microcampioni che
sono stati analizzati da Arcangelo Moles in microscopia ottica e in spettrofotometria
FTIR. Gli strati preparatorii sono ovunque costituiti da strati di gesso e colla.
I pigmenti individuati non presentano differenze significative rispetto a quelli individuati nel ciclo di San Giovanni in Pedemonte, se non considerando che un maggior spazio spetta ai rossi – vermiglione, minio e ocre rosse – presenti in alcuni panneggi. Ciò
che invece è davvero quasi ovunque nettamente diverso è il modo di applicare le stesure cromatiche. Se infatti nel ciclo di San Pietro Martire tutta la superficie dei rilievi era
trattata a bolo, anche là dove l’oro, come negli incarnati, non era previsto, nel caso di
Orselina il bolo è presente in genere solo sotto le dorature, ad eccezione del blu di fondo del sottarco, dove ritroviamo il bolo sotto uno strato azzurro chiaro di biacca e azzurrite, ricoperto a sua volta da una stesura di azzurrite in granuli grossolani al di sopra.
Per il resto si osserva una varietà di imprimiture colorate e di strati di fondo non assimilabili al ciclo comasco, ad esempio gli strati neri a base di grafite su cui sono applicate
le stesure di azzurrite o di malachite.
Riguardo ai leganti usati, i risultati delle indagini spettrofotometriche e delle analisi
istochimiche sulle sezioni vengono ricondotte alla presenza di un medium a base di
uovo.
Andata al Calvario e Deposizione
L’osservazione ravvicinata dei due rilievi attribuiti al Maestro di Trognano, e i risultati
delle analisi eseguite su dieci campioni dagli stessi, assicurano uno dei confronti più stimolanti con le policromie dei rilievi comaschi di San Pietro Martire.
79
Come già si è scritto nella scheda dell’Andata al Calvario e nel preambolo alla descrizione delle tecniche pittoriche in questa sezione, le differenze col ciclo comasco sono rimarchevoli. Gli strati preparatorii che si osservano nelle sezioni mostrano perlopiù uno strato
di gesso sottile, solo in un caso preceduto da uno strato di gesso più grosso (FIG. 39) e in
un altro caso solo da uno strato di colla (23). Rispetto ai rilievi comaschi qui il gesso sottile
è di granulometria ancora più fine e omogenea, del tipo che si ritrova spesso nella pittura
italiana su tavola del XIV e del XV secolo. Ciò che però si nota di più è l’assenza del
bolo armeno sopra il gesso nelle aree destinate alle campiture di colore (FIGG. 40, 41, 47,
48), laddove nelle Storie di San Pietro Martire, nel Presepe di Trognano e nei rilievi con
L’adorazione dei pastori il bolo è steso ovunque e non solo sotto l’oro.
La scelta di un numero limitato di campioni ha necessariamente ristretto il campo d’indagine; non sono stati infatti prelevati, in questa fase, campioni da aree a sgraffito e con
dorature, in cui il bolo è evidentemente presente.
Più che per il numero di pigmenti, la tavolozza ha un rilievo ben maggiore rispetto alle
altre opere per la ricerca di variazioni tonali continue, ottenute miscelando in proporzioni diverse gli stessi pigmenti. Così è per i verdi, che vanno dal tono assai chiaro
dell’abito del ladrone dietro il Cristo al tono molto scuro della veste della Maddalena:
il primo è stato ottenuto mescolando alla biacca poca malachite e giallo di piombo e
stagno; il secondo è invece frutto della sovrapposizione di malachite pura sopra uno
strato di malachite e biacca (FIG. 48). L’azzurrite, che in tutti gli altri rilievi e gruppi
esaminati è l’unico pigmento blu, qui è in competizione con l’indaco, riscontrato insieme alla biacca nello strato di fondo sotto la stesura di splendida azzurrite che caratterizza il manto della Madonna nella Deposizione (FIG. 47). Il giallo di piombo e stagno
è largamente usato sia nei gialli, sia, come si è visto sopra, nelle miscele dei verdi (24).
La ricchezza cromatica è comunque tale che una campagna di indagini più approfondita sarebbe auspicabile.
Non mancano le ridipinture, ma nei campioni presi in esame sembrano caratterizzate da
spessori sottili, sufficienti tuttavia a ottundere lo squillo dei colori originari e in un caso
a trasformare la cromìa originaria verde malachite, mediante una stesura contenente
pigmenti arancio di cadmio, forse pensata per scaldare il tono freddo della malachite
sottostante.
Come si è detto nella scheda relativa alle opere, qui l’oro è stato usato meno invasivamente; tuttavia sul piano tecnico l’artefice non si è limitato alla doratura con granulazioni e sgraffito, ma ha aggiunto in molti casi rilievi a ‘pastiglia’, filettature di oro applicate a mordente e punzonature di vario tipo (FIGG. 38, 46).
La presenza di resine acriliche, cere e caseinati ha reso difficile la ricerca dei leganti, che
tuttavia possono essere classificati nella categoria dei medium proteici o lipoproteici, in
base ai dati microspettrofotometrici dei punti in cui l’influenza di sostanze estranee è
risultata meno invadente. Oli sono stati trovati sempre verso la superficie e vanno assegnati agli strati di ridipintura, mentre a segnare un’ulteriore differenza rispetto alle opere
80
precedentemente descritte, sia nell’unico campione di incarnato, sia nel campione preso
dalla veste bianca del Cristo, in cui lo strato originario era di biacca (FIG. 41) il legante
riscontrato è di natura proteica e non oleosa.
Conclusioni
A chiusura della rassegna si può provare a riassumere quanto emerso dalle indagini
tenendo in considerazione gli aspetti stilistici che le opere esibiscono.
Ciò che le Storie di San Pietro Martire per S.Giovanni in Pedemonte raccontano a livello tecnico-esecutivo è indicativo di un punto di vista artistico che mette la decorazione
pittorica al servizio dell’intaglio, per fornire un contributo fondamentale alla trasformazione di un manufatto ligneo policromo in oggetto prezioso, comparabile coi prodotti
dell’oreficeria. Non si spiegherebbe altrimenti facilmente come un impianto figurativo
naturalistico e prospettico, fortemente razionalizzato, possa fare a meno della varietà
cromatica per lasciare spazio alla presenza preponderante dell’oro, anche volendo supervalutare la valenza simbologica del prezioso metallo. Da una simile concezione nascono gli impressionanti virtuosismi tecnici eseguiti con la foglia d’oro sui rilievi comaschi, nella Predica di San Pietro Martire del museo di Kiev e in altri oggetti attribuiti
alla bottega De Donati, ma anche nel Presepe di Trognano. Oltreché nei tessuti pregiati,
l’oro traluce anche dagli abiti dei monaci (FIGG. 3, 6), dalle capigliature (FIGG. 7, 12),
dagli alberi (FIG. 24), ricopre i monti, ogni elemento delle architetture, le pareti e le basi
pavimentali. Per ottenere questo era necessario preparare tutto lo spazio in funzione
della doratura, con il bolo steso ovunque, senza neppure risparmiare le aree dove l’oro
non va applicato, come gli incarnati. Gli autori di una simile maniera decorativa, dei
veri e propri “pittauratòri”, sembrano ben inseriti nella visione generale, alla base della
quale nella bottega De Donati dovevano stare Giovan Pietro e Giovanni Ambrogio, che
nei documenti relativi alle commesse e ai contratti di apprendistato di nuovi allievi sono
sempre i più citati. L’oggettiva vicinanza di tecnica esecutiva e di materiali fra le opere
citate, per quanto notevole, non può però e non deve essere considerata come un criterio
sufficiente, per quanto non trascurabile, ad assegnare automaticamente ai De Donati un
oggetto su cui si è molto dibattuto, come il Presepe di Trognano, ma viene qui messa in
evidenza a vantaggio di chi vorrà utilizzarla come integrazione delle ricerche stilistiche.
Scendendo un gradino nell’ordine proposto si giunge alle anconette di Boston e della
collezione privata Bagatti Valsecchi, attribuite alle botteghe di Giacomo Del Maino o
dei De Donati, tutti personaggi che comunque per lungo tempo hanno condiviso parte
del cammino artistico. I due oggetti evidenziano tangenze significative con la metodologia operativa descritta per i rilievi di Como, di Kiev e del Presepe, mentre dalle analisi di due incarnati, nei residui di policromia della Deposizione del Castello Sforzesco,
attribuita a Giacomo Del Maino, non si vede il bolo sopra il gesso, ma terra verde mescolata a biacca, che ricalca l’uso più antico del sottomodellato verde applicato prima delle
81
stesure di incarnati (25). Non ha però senso avventurarsi in ipotesi attributive legate a dati
scientifici peraltro parziali, poiché più ipotesi si possono avanzare per spiegare queste
differenze: la Deposizione può essere stata concepita secondo esigenze diverse della
committenza riguardo alla policromia, oppure può appartenere semplicemente a una
fase creativa cronologicamente differente, o si può ritenere che il pittore fosse altra persona rispetto a quelli delle anconette, entrambe le quali in ogni caso rientrano nella
dimensione del blocco dorato e dipinto degli altri rilievi, seppure a un livello inferiore
di raffinatezza esecutiva, legata a un momento del percorso evolutivo o, come già scritto in altre occasioni, a una produzione seriale (26) e all’operato di esecutori non identificabili con i personaggi di maggiore spicco all’interno delle botteghe.
Un discorso particolare merita la Pietà di Orselina: qui la complessità e le dimensioni
dell’opera non sono riconducibili a un unico schema; le sculture richiedono un trattamento pittorico diverso, le campiture di colore non sono funzionali al blocco dorato, ma
riacquistano la loro autonomia. Lo stesso dicasi per le tavole delle pareti, dipinte da un
maestro specializzato, probabilmente esterno alla bottega. Solo nel sottarco, dove si
alternano gli elementi dorati all’azzurro del fondo, si ritrova il bolo applicato estensivamente su tutta la superficie, a fare da strato preparatorio alla stesura di azzurrite.
Non si ritornerà a questo punto sulla distanza, palese sul piano della policromia, che
corre tra i rilievi comaschi, con i loro simili, e i rilievi di Varese.
Conviene tuttavia riflettere sulla personalità del pittore che è stato in grado di operare
un riassetto gerarchico, riconquistando alla pura decorazione pittorica un ruolo alla pari,
se non addirittura superiore a quello dell’intaglio. Solo un personaggio di spiccata personalità poteva venire incontro alle esigenze dei committenti, affermando nella collaborazione con gli esecutori dei rilievi una visione che per certi versi si opponeva alla loro.
L’ipotesi che questo personaggio sia identificabile con Bernardino Butinone non è assurda, anche se va maneggiata con cautela ed eventualmente arricchita da altri riscontri
sugli stessi rilievi e da confronti con i dati provenienti da opere conosciute del maestro.
In ogni caso ciò che i rilievi mostrano a una visione ravvicinata e nei campioni al microscopio, vale a dire l’accuratezza degli strati di preparazione, la manipolazione disinvolta dei materiali coloranti nella ricerca di un’infinità di sfumature, offuscate in parte dalle ridipinture, e la raffinatezza esibita nella realizzazione di decorazioni dorate a sgraffito e a rilievo, sono senza dubbio collegabili all’arte di un maestro di primo piano.
NOTE
(1)
Della giornata di studi svoltasi il 17 marzo 2005 sono stati pubblicati gli Atti, raccolti nel volume
curato da M. BASCAPÈ e F. TASSO, Opere insigni, e per la divotione e per il lavoro, Milano 2005.
La mostra Maestri della scultura in legno nel Ducato degli Sforza si è tenuta nelle sale viscontee
del Castello Sforzesco dal 21 ottobre 2005 al 26 febbraio 2006.
82
(2)
M.T. BINAGHI OLIVARI, in Il tesoro dei poveri. Il patrimonio artistico delle Istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza (ex ECA) di Milano, Cinisello Balsamo 2001, pp. 425-427.
(3)
Sulle ipotesi riguardanti l’identità del maestro di Trognano è ritornato riassuntivamente R. CASCIARO
nel catalogo della mostra Maestri della scultura in legno nel Ducato degli Sforza (Milano, Castello
Sforzesco, 21 ottobre 2005-29 gennaio 2006), Cinisello Balsamo 2005, pp. 122-123; G. AGOSTI,
J. STOPPA, in Mantegna 1431-1506 (Parigi, Musée du Louvre, 26 settembre 2008 - 5 gennaio 2009),
a cura di G. AGOSTI, D. THIÉBAUT, assistiti da A. GALANSINO e J. STOPPA, Milano 2008 (edizione
italiana rivista e corretta con la collaborazione di A CANOVA e A. MAZZOTTA), pp. 258-260;
A. UCCELLI, in Il portale di Santa Maria di Piazza a Casale Monferrato e la scultura del Rinascimento tra Piemonte e Lombardia (Casale Monferrato, 9 maggio - 28 giugno 2009), a cura di
G. AGOSTI, J. STOPPA, M. TANZI, Milano 2009, pp. 127-129. I documenti che vedono Butinone a
Santa Maria del Monte sono stati pubblicati da S. COLOMBO in Sculture dei Sacri Monti sopra Varese, Gavirate 2002, p. 100. R. GANNA attribuisce a Butinone la decorazione pittorica di tutti i rilievi
con le Storie della Passione (R. GANNA, La fabbrica sforzesca di S. Maria del Monte di Varese: revisione critica e fatti inediti, in Opere insigni cit., n. 1, p. 43).
(4)
Sul problema attributivo, con particolare riferimento a questa anconetta, si veda R. CASCIARO, La
scultura lignea lombarda del Rinascimento, Milano 2000, pp. 276-278.
(5)
Si veda il contributo di D. PESCARMONA, Annotazioni di tecnica esecutiva, nel catalogo della mostra
Maestri della scultura in legno cit. n. 3, pp. 237-239.
(6)
Si vedano nel regesto i documenti del 29 maggio 1497 e del 13 luglio 1501.
(7)
Le indagini sono state condotte dal Centro Ricerche sul Dipinto della CSG Palladio di Vicenza, su
microcampioni prelevati a bisturi dall’opera e inglobati in resina poliestere. I minuscoli blocchetti
di resina trasparente, una volta solidificati, sono stati tagliati e lucidati in superficie in modo da
mostrare i campioni in sezione microstratigrafica che permette di osservare al microscopio la
sequenza delle stesure sopra il supporto, dagli strati di preparazione fino agli ultimi interventi di
verniciatura, ridipintura o restauro. Le sezioni sono state analizzate strato per strato mediante l’utilizzo di diverse tipologie strumentali: microscopia ottica in luce visibile e ultravioletta, microscopia elettronica a scansione (di tipo ESEM) con microsonda EDX e microspettrofotometria FTIR in
modalità micro ATR con cristalli in silicio e in diamante.
(8)
I risultati sono stati in parte pubblicati da F. FREZZATO nel contributo Aspetti materici e tecnico-esecutivi in tre opere lignee policrome del Quattrocento lombardo, in La statua e la sua pelle. Artifici
tecnici nella scultura dipinta tra Rinascimento e Barocco, Galatina 2008, pp. 49-50.
(9)
Sulla Deposizione sono state eseguite da CSG Palladio (Vicenza) solo due analisi stratigrafiche su
incarnati senza ricerca spettrofotometrica FTIR delle classi di leganti. Sopra la preparazione a gesso si osserva in entrambi i campioni una sottile stesura di biacca e poca terra verde, ricoperte da
stesure di incarnato con biacca, mescolata in un caso con vermiglione e nel secondo caso con ocre
gialle e arancio.
(10)
Oltre al microscopio ottico, al microscopio elettronico a scansione (SEM/EDX) e alla microspettrofotometria FTIR, il laboratorio scientifico del MFA di Boston ha fatto ricorso in alcuni casi alla
spettroscopia Raman, molto utile nella determinazione dei pigmenti. Sul gruppo della Pietà di
Orselina, Arcangelo Moles ha invece utilizzato la microscopia ottica in luce visibile e UV applicata a sezioni microstratigrafiche, accompagnata da test istochimici per la ricerca delle classi di
leganti e, sui campioni tal quali, la spettrofotometria FTIR.
(11)
E. ZHIVKOVA, V. TZITOVIC̆, Il rilievo ligneo La predica di San Pietro Martire (?) di Giovanni Ambro83
gio e Giovanni Pietro De Donati del Museo per le Arti Figurative “Bogdan e Varvara Khanenko”
di Kiev, «Rassegna di Studi e di Notizie», 31 (2007-2008), pp. 249-277.
(12)
Si vedano nel regesto i documenti del 26 luglio 1470, del 13 febbraio 1525 e del 27 febbraio 1526.
Dopo quella data i documenti non fanno più riferimento all’attività artistica di Giovan Pietro, che
nel 1531 risulta morto, circa sedici anni dopo Giovanni Ambrogio.
(13)
Ne parla approfonditamente nel suo trattato Cennino Cennini ai capp. CXV-CXIX (C. CENNINI, Il
Libro dell’Arte, ed. curata da F. FREZZATO, Vicenza 2003).
(14)
Le due varietà sono descritte, ad esempio, nel trattato scritto da Cennino Cennini alla fine del Trecento, in cui l’autore parla delle modalità per dipingere su tavola (ibid., capp. CXV-CXVII). Il
gesso grosso è in genere costituito da gesso anidro (anidrite), gesso emiidrato e gesso biidrato, con
particelle di dimensioni e forma differenti, mentre il gesso sottile contiene prevalentemente gesso
biidrato, che al microscopio elettronico a scansione si mostra in fini cristalli aciculari.
(15)
Manca la lamina aurea anche in un campione da un punto del cielo in prossimità dell’architettura
del rilievo berlinese e in un campione proveniente dal manto azzurro a evidenza ricamato in oro
nel Colloquio mistico con le tre Sante. Qui in origine il bolo prevedeva la lamina, che però proprio
nel punto di prelievo è assente.
(16)
È stata recentemente messa in discussione la reale esistenza di resinato di rame nei casi di velature
trasparenti verdi a base di pigmenti di rame in olio (si veda il volume di M. VAN EIKEMA HOMMES,
Changing Pictures. Discoloration in 15th to 17th Century Oil Paintings, Londra 2004). Tuttavia
sembra opportuno sul piano analitico tenere conto della presenza o meno di marker di resine naturali negli spettri FTIR o GC-MS eseguiti su simili strati.
(17)
L’ottavo campione, prelevato dal cielo del rilievo di Berlino contiene sì azzurrite, che però non è
riconducibile alla fase originaria, in quanto si trova sopra uno strato verdastro, in cui è presente un
cuproarsenito verde, pigmento sconosciuto fino agli ultimi decenni del XVIII secolo.
(18)
Non si sono trovati altri tipi di blu, come il blu oltremare ricavato dal lapislazuli o l’indaco.
(19)
Il fosforo nei pigmenti carboniosi neri è un importante indicatore dell’origine animale, essendo
residuo del fosfato di calcio costitutivo dei tessuti ossei.
(20)
Dei due campioni dove manca il bolo, il primo appartiene a una zona di rifacimento, mentre il
secondo, un microframmento di cielo subito sopra l’elemento architettonico dorato ‘alla Prevedari’, proviene da un punto in sottosquadro rispetto all’architettura, che potrebbe non essere stato
raggiunto dalla pennellata di bolo certamente stesa sotto l’oro adiacente.
(21)
Alcuni aspetti problematici hanno portato nel 2006 a nuove analisi con metodologie più recenti.
(22)
Si veda la nota 8.
(23)
La presenza in un solo caso di gesso più grosso è comunque indicativa di una prassi d’ingessatura
in due fasi e forse potrebbe essere estesa agli altri campioni, per i quali probabilmente il campionamento, necessariamente non troppo profondo, non consente di scendere oltre lo strato di gesso
più fine. Sembra invece da attribuire al punto di prelievo, abbastanza nascosto in una piega del
manto della Vergine nella Deposizione, la presenza di colla subito sotto il gesso sottile. Ne è prova
lo spessore, altrettanto esiguo del gesso sottile, sotto la prima stesura pittorica.
(24)
Si tratta di una varietà di giallorino con poco silicio, assimilabile al cosiddetto giallorino di tipo I,
usato a partire dal terzo o quarto decennio del Quattrocento e preferito alla versione con silicio
(giallorino di tipo II) usata fino ad allora, ma non scomparsa del tutto nell’uso fino al XVII secolo.
(25)
Si veda la nota 10.
(26)
Si veda la scheda di CASCIARO in Maestri della scultura in legno, cit. n. 3, p. 122.
84
Annotazioni sulla tecnica esecutiva
degli scultori lombardi
fra Quattro e Cinquecento
Daniele Pescarmona
R
iprendo il discorso già avviato nell’occorrenza della fortunata mostra milanese
Maestri della scultura in legno nel ducato degli Sforza (2005) (1).
Si è da allora accertato, come risultato di maggior significato (confermando
l’intuizione avanzata da Vittorio Pini, e appoggiandosi alle preziose documentate ricerche di Rossana Sacchi), che i nomi di Andrea da Saronno e di Andrea da Milano, o da
Corbetta, corrispondono a due distinte figure storiche. L’intera produzione di Andrea da
Milano, morto nel 1537, si inserisce quindi all’interno del medesimo arco cronologico
che vede in concorrente attività anche quella di Giovanni Angelo Del Maino. È pertanto
altresì evidente che devono considerarsi contemporanee, antecedenti per il tempo di una
sola generazione, le botteghe di Giacomo Del Maino e dei fratelli De Donati. Le loro
differenti tecniche di lavorazione sono alla fine lecitamente confrontabili, e da questa
constatazione si possono dedurre importanti riflessioni (2).
Andrea da Milano, occorre rilevare, è stato un assai qualificato componente di un’ampia famiglia di intagliatori e scultori in legno, diramata e operosa per decenni, dalla
quale, per giovanile esperienza di collaborazione, può aver acquisito la propria prassi
esecutiva (la supposizione dovrebbe però presto essere verificata). Fra le sue opere più
note sono quelle conservate nel santuario della Beata Vergine dei Miracoli di Saronno.
Le statue destinate all’arredo delle cappelle del Sepolcro e del Cenacolo e la Vergine
assunta dell’arco trionfale furono realizzate, sempre attenendosi ai modelli approvati
dai committenti (ma da chi approntati?), con legni che i fabbricieri per contratto si impegnarono a consegnare allo scultore (3).
Le figure di Saronno non sono integralmente contenute all’interno del volume cilindrico dei tronchi d’albero utilizzati. Lo scultore ha avuto esigenza, per completarle, di
aggregare singole parti. Non si tratta dei soliti arti sporgenti, che nella statuaria lignea
sono comunque quasi d’obbligo, nel repertorio delle grandi dimensioni. Sono parti, in
Andrea da Milano, che ampliano il volume, che aprono teatralmente la gestualità e
movimentano il ricadere del panneggio (4).
Ma anche nella maniera di inserire arti che si irradiano dal tronco costituente il suppor85
to della figura rappresentata si riscontrano esiti differenti. Sembra pianificata, a confronto (allo stato attuale della documentazione di restauro acquisita in Soprintendenza),
la costante ricerca di Giovanni Angelo Del Maino di comprendere, con coscienza di
artista preoccupato anche del valore intrinseco della materia offerta al committente, le
proprie statue entro un capace e ben stagionato fusto arboreo scrupolosamente prescelto. Le braccia che per necessità si devono applicare si inseriscono tuttavia con naturalezza nello schema compositivo dei gesti, e la mano si snoda dal polso senza sforzo.
Molto più semplice, al contrario, è innestare nel blocco squadrato della figura, con un
non flessibile incastro a spina, rigide avambraccia e mani inarticolate. L’effetto che ne
consegue è senza dubbio sgraziato, o arcaicizzante, per usare un eufemismo. Nella
mostra di Milano, a occhi aperti, si notava nella Maddalena del Compianto della chiesa
parrocchiale di Sant’Imerio di Ripalta Vecchia. Non sfuggono a tale espediente riduttivo, in modo meno vistoso, i fratelli De Donati, oberati come sempre da molte incombenze e pressati dall’urgenza della fretta, nel Compianto della chiesa arcipretale di San
Bartolomeo di Caspano, nel comune di Civo, ad esempio (5).
A proposito dei De Donati, nel gruppo detto della Pietra dell’Unzione, ora depositato
presso la Pinacoteca di Varallo Sesia, la Vergine che sviene sarebbe sostenuta, secondo
la proposta di Paolo Venturoli, dalle due donne che la stringono fra le braccia. In questo
caso sarebbero scolpite anche parti delle braccia non visibili ad una visione frontale. In
raffigurazioni analoghe, ma studiate per non essere viste sul verso, Andrea da Milano, si
è già indicato, opera invece al risparmio, privilegiando illusivamente un esclusivo
momento di sintesi pittorica (6).
Altrettanto interessante è segnalare come in alcune Deposizioni nel sepolcro o Compianti, dovendosi relazionare figure partecipi della comune azione di sostenere il Cristo
morto, lo scultore decida di intagliare le mani di chi sorregge il peso nel tronco che forma il Cristo stesso o di unire ad esse lembi del sudario. Rimando ai gruppi di Giovanni
Zebellana e di Andrea da Milano conservati, rispettivamente, nelle chiese di Santa
Toscana di Verona e di San Francesco di Saronno (7).
Così come avviene per la commissione di pitture di soggetto religioso, soprattutto nell’ambito tradizionale di locali confraternite, è tuttavia frequente il ricorso ad ammirati
modelli di prestigioso e accreditato successo devozionale. Significativo è l’incarico affidato in data 10 gennaio 1485 dagli scolari del Santo Sepolcro di Gallarate a Giacomo
Del Maino di eseguire, destinato alla chiesa di Santa Marta, un Compianto simile a quello già esistente nella chiesa di San Francesco di Locarno, trasferito nel 1878 in una cappella del complesso monumentale del santuario della Madonna del Sasso di Orselina,
attribuito al Maestro di Santa Maria Maggiore, identificabile con Domenico Merzagora.
Lo scultore milanese avrebbe dovuto scolpire «ipsas figuras et imagines bonas pulcras
et naturales ac meliores predictis figuris predicti sepulcri loci de Locarno, et etiam
maioris devotionis et pietatis et in diversis actibus». Con una seconda convenzione il
sottoscrittore dell’accordo assumeva, un mese dopo, la collaborazione di Ambrogio da
86
Angera, al quale, fra l’altro, si obbligava di «ostendere arte sua sepulcri et aliorum laboreriorum circa predicta»(8).
L’esperienza del Maestro di Santa Maria Maggiore era quindi ormai giudicata inadeguata di fronte alla nuova sensibilità religiosa e all’accresciuto bisogno di coinvolgimento emotivo. L’arte di intagliare e comporre Compianti, inoltre, si riteneva, poteva
essere oggetto di insegnamento, avvalendosi di appropriati espedienti, fra cui quelli
sopra riconosciuti. E se erano pretese figuras et imagines naturali e di maggiore devozione, era inteso che la naturalezza e la devozione avrebbero potuto essere conseguite
modis et formis di scultura e non solo di rifinitura pittorica(9).
Non è improponibile, in mancanza di gruppi statuari di identico soggetto di Giacomo
Del Maino, un confronto fra le prove del maestro vigezzino e dei De Donati e, di questi,
fra la Pietra dell’Unzione di Varallo e il Compianto di Civo. Si avverte la tendenza, che
ancor più sarà continuata da altri autori in gruppi successivi, di atteggiare i componenti
della sacra rappresentazione in atti condivisi e mirati sguardi, iniziando, in primis, dal
gruppo della Vergine sorretta dalle pie donne o reggente, a sua volta, il corpo del Cristo
morto (evoluzione di cui è partecipe lo stesso Maestro di Santa Maria Maggiore, se si
tiene anche conto delle statue del Museo Civico d’Arte Antica di Torino). Per coincidenza di date, sarà stato certamente allora di ineludibile lezione il Sepolcro in terracotta del
sacello di San Satiro di Milano, avvantaggiato dall’impiego di una incisione del Mantegna, che Agostino de’ Fondulis si era vincolato a finire con atto dell’11 marzo 1483 (10).
Dalla correlazione fra le figure, che attua il concetto di compositio raccomandata in pittura dall’Alberti, esemplarmente applicato, a parere di Michael Baxandall, nelle incisioni di Andrea Mantegna, discendono innovative modalità di staccare nel legno e connettere le separate parti anatomiche delle forme statuarie(11).
La diffusione del commercio e dell’apprezzamento critico delle stampe ottenute dalle
invenzioni, oltre che di Mantegna, di Raffaello, di Baccio Bandinelli, di Schongauer, di
Dürer e di altri pittori d’oltralpe, ha segnato, ad ampio raggio, uno dei ricorrenti momenti di rinnovamento del repertorio iconografico dell’arte di soggetto devozionale. Si
incontrano o più o meno importanti trasposizioni di schemi grafici in realizzazioni statuarie (basti ricordare la Maddalena che sorregge Maria del Compianto della confraternita di San Dionigi di Vigevano e l’altare della Pietà del santuario della Madonna del
Sasso di Orselina, di Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati, sempre a proposito delle due celebri incisioni raffiguranti il Seppellimento di Cristo del Mantegna, la
seconda delle quali altrettanto adoperata dall’ancora inattribuito gruppo in terracotta
della chiesa parrocchiale di Medole). Ma non mancano, e sono più numerose, le utilizzazioni di stampe nell’esecuzione dei rilievi narrativi (12).
L’accennata conquista dello spazio, per statue non più costrette nello spazio ristretto di
casse lignee, può essere messa in relazione con l’esigenza di confrontarsi con schemi
pittorici e tradurre bozzetti tridimensionali plastici (13).
Uno degli immediati problemi presenti allo scultore che si proponga di intagliare nel
87
legno una scena complessa è quello di adeguare la suddivisione del supporto, se frazionato in molteplici parti, allo schema complessivo del disegno. Un altro, al primo tuttavia connesso, è scegliere la profondità di campo in cui collocare lo svolgimento della
storia da rappresentare. La realizzazione di figure ed elementi scenici ad altorilievo, o
resi a tutto tondo, permette di nascondere i margini di congiunzione lineare delle tavole
lavorate, unificando la veduta. Si vede bene nel Presepe del Maestro di Trognano, depositato presso le Civiche Raccolte d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano: a
sinistra interviene il frammentario pilastro che sta alle spalle della Madonna (sul quale
ora manca anche un qualche cosa di imprecisabile), al centro il braccio sinistro del
pastore inginocchiato. In basso alcuni tasselli sigillano, come una cornice, il lato inferiore. Posteriormente sono disposte, in senso trasversale, assi che funzionano da piano
di fondo e garantiscono nel medesimo tempo la stabilità dell’assieme della struttura.
Che la testa del Bambino, trattata a bassorilievo, sia tagliata nel mezzo, non infastidisce
lo scultore, che, confidando nella propria esperienza e abilità tecnica, non si preoccupa
di un’eventuale fastidiosa apertura della cesura, non coperta da rinforzi di tela sotto la
preparazione a gesso (FIGG. 110, 110 A) (14).
Sul fondamento di questo sistema compositivo si semplificano o si sperimentano diverse alternative, adattate a specifiche necessità d’espressione.
Elementare è la struttura di connessione delle grandi tavole raffiguranti quattro episodi
della Passione di Cristo, ognuna delle quali costituita da due assi affiancate che impreziosivano l’altare del santuario di Santa Maria del Monte di Varese. La loro particolarità
deriva dal fatto che sono realizzate a bassorilievo (ad eccezione del Cristo e dei ladroni
protagonisti del riquadro della Crocifissione), con un procedimento d’intaglio che per la
prima volta propone sperimentalmente nella scultura lignea in Lombardia una maniera
divulgata nel marmo dagli scultori Giovanni Antonio Amadeo e Antonio Cazzaniga,
discendente dagli esempi della lezione donatelliana, che nel ridotto spessore della lastra,
scavando nel fondo, presenta e a volte parzialmente sovrappone gli appiattiti elementi
del racconto su pochi piani frontali (15).
Dalla scelta innovativa di riprodurre le figure in superficie, che identica si riconosce nel
Presepe di Trognano, e dal procedimento di assemblaggio descritto a proposito dello
stesso Presepe muove la costruzione del ‘metodo’ fatto proprio dai fratelli De Donati
nelle loro innumerevoli ancone e anconette, lavorate su commissione e per il mercato.
La riduzione dei piani di appoggio è talvolta compensata, ad esempio nella Pietà di
Orselina e nella Resurrezione di Lazzaro di Caspano di Civo, dall’inserimento di notevoli fondali dipinti. Il progetto grafico della storia (così è anche nelle Storie di Gioacchino ed Anna dell’ancona di Ponte in Valtellina, di Giacomo Del Maino) è suddiviso in
sezioni verticali, tagliando indifferentemente le figure nel mezzo, per essere scolpito in
singole, sottili e bene stagionate tavole, prelevate dai capaci depositi del magazzino. In
primo piano, poste davanti alla scena, con quinte prospettiche disposte sul palco in diagonale e aperte sulla profondità in ombra dello spazio retrostante, possono essere mon88
tate altre figure staccate dal fondo, intagliate autonomamente come forme appiattite
(FIGG. 114-118) (16).
Rimanda a concezioni compositive affatto differenti la tecnica esecutiva dei rilievi di
Giovanni Angelo Del Maino, o anche del fratello Tiburzio. La tavole adoperate sono
scolpite nella profondità del supporto, pur senza escludere l’occasionale addizione sul
piano frontale di forme scolpite quasi a tutto tondo. Le storie sono affollate da un maggior numero di protagonisti e di comparse di scena, conseguentemente riprodotti in una
scala dimensionale ridotta, dalle superfici non più appiattite ma dai volumi arrotondati.
Le figure, non più tagliate lungo la linea di congiunzione dei masselli, ritagliano agevolmente il proprio profilo dal retrostante margine del supporto, salvaguardando così, con i
piedi ancorati al piano di appoggio inclinato della scatola prospettica, la loro totale integrità fisica. (Si sviluppa una progressiva tendenza ad allinearle su due livelli sovrapposti,
si veda la Strage degli Innocenti del Museum of Fine Arts di Boston). Esito unico, finora
incomparabile nel catalogo dei nostri scultori, è la pala d’altare già nella chiesa dei canonici regolari lateranensi di Piacenza, ora conservata presso il Victoria and Albert Museum
di Londra. L’impegnativa e affollata composizione della Crocifissione, nella quale sono
assemblate varie azioni narrative trattate singolarmente, richiama, senza mediazioni, gli
affini prodotti riscontrabili nei retabli delle botteghe fiamminghe (FIGG. 113, 113 A) (17).
Il presente scritto e la bibliografia relativa sono datati al 3 dicembre 2007. Ringrazio
sentitamente Enrica Fiandra per il lontano coinvolgente interesse, che ha cercato di trasmettere, per lo studio dei modi di costruzione dei monumenti e dei manufatti.
P.S. Al momento della correzione delle bozze si fa in tempo di ricordare che è in restauro,
presso il laboratorio Parma Pirovano di Milano, il Crocifisso (dalla testa lavorata a parte e mobile) della chiesa di Santa Maria del Carrobiolo di Monza, documentato a Battista
da Corbetta. La tecnica costruttiva dell’opera bene corrisponde, per quanto è dato ora di
osservare, a quella solitamente riscontrata nella produzione di Andrea da Milano.
NOTE
(1)
D. PESCARMONA, Annotazioni di tecnica esecutiva, in Maestri della scultura in legno nel Ducato
degli Sforza (Milano, Castello Sforzesco, 21 ottobre 2005-29 gennaio 2006), a cura di G. ROMANO,
C. SALSI, Cinisello Balsamo 2005, pp. 231-241.
Per indicazioni bibliografiche sulle opere citate nel testo rinvio, oltre che al catalogo sopra menzionato, al volume di R. CASCIARO, La scultura lignea lombarda del Rinascimento, Milano 2000.
La difficoltà di condurre lo studio che ho iniziato consiste nella non sempre adeguata pertinente
documentazione disponibile. L’osservazione autoptica trova ostacoli insormontabili davanti allo
strato di gessatura e di policromia sovrapposto alle opere. Il risultato del confronto fra le varie
tecniche, condotto per campioni disponibili, è pertanto da considerarsi provvisorio. In ogni caso,
non interessa tanto la constatazione del singolo espediente quanto invece la possibilità di un’e89
ventuale soluzione diversa. Come ho notato, in riferimento con le preziose rilevazioni rese note
da Elisabetta Arrighetti Tomasoni, già si può delimitare ad est un significativo confine di operatività con l’area geografica bresciana, la quale, a mio avviso, è piuttosto confrontabile con la prassi toscana ricostruita da Peter Stiberc. Si vedano: E. ARRIGHETTI TOMASONI, Stefano Lamberti e
Maffeo Olivieri: questioni di stile e di tecnica. Indagine sulle tecniche esecutive, in La scultura
lignea nell’arco alpino. Storia, stili e tecniche. 1450-1550, a cura di G. PERUSINI, Udine 1999, pp.
77-88; P. STIBERC, Polychrome Holzskulpturen der Florentiner Renaissance. Beobachtungen zur
bildhauerischen Technik, «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», XXX, 2-3,
1989, pp. 205-228. Aggiungo, perché da me non citati nel contributo del 2005: M.D. MAZZONI,
La tecnica esecutiva e l’intervento di restauro, in Il Crocifisso di Badia a Passignano. Tecnica,
conservazione e considerazioni critiche, a cura di L. SPERANZA, Firenze 2004, pp. 33-45; P. STIBERC, La scultura lignea policroma del Rinascimento fiorentino. Osservazioni sulla tecnica scultorea, «OPD Restauro. Rivista dell’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze», 17 (2005), pp. 304-316.
Per ulteriori considerazioni sulla particolare tecnica di lavorazione toscana rinvio alle mie Annotazioni di tecnica esecutiva, cit. n. 1, p. 240, n. 6. Peter Tangeberg ha evidenziato, per altro riferimento culturale, l’impiego di tavole di quercia, provenienti presumibilmente dall’esportazione dalla regione baltico-polacca, da parte di botteghe di Bruxelles e di Anversa, ma anche della Germania settentrionale, per la realizzazione di altari e di singole figure. P. TANGEBERG, Norddeutscher
Export von Holzskulpturen und Altarschreinen nach Schweden im Mittelalter. Bestimmung von
Herkunftsort und Entstehungdatum anhand technologischer Untersuchungen, in Sculptures médiévales allemands. Conservation et restauration, a cura di S. GUILLOT DE SUDUIRAUT, Paris 1993, pp.
233-254; ID., Beobachtungen zu spätmittelalterlichen Holztechniken, in Unter der Lupe. Neue Forschungen zu Skulptur und Malerei des Hoch- und Spätmittelalters. Festschrift für Hans Westhoff
zum 60. Geburtstag, a cura di A. MORAHT-FROMM, G. WEILANDT, Ulm 2000, pp. 204-206.
(2)
Per la separazione delle personalità storiche di Andrea da Saronno e di Andrea da Corbetta o da
Milano si vedano V. PINI, Sopra la scultura lignea del Cenacolo cinquecentesco a Saronno: il
cosiddetto “Andrea da Milano” è Andrea da Corbetta?, «Raccolta Vinciana», 19 (2005), pp. 125141; e R. SACCHI, Il disegno incompiuto. La politica artistica di Francesco II Sforza e di Massimiliano Stampa, Milano 2005, I, pp. 141-146.
Accenni documentari e critici relativi alla necessità di tale distinzione, o più o meno espliciti, si
possono già cogliere nel catalogo della mostra citata alla nota 1.
Segnalo inoltre sull’argomento il mio contributo La scultura lignea del Rinascimento fra Quattro e
Cinquecento (dicembre 1975), in La Storia di Varese v. VIII, Storia dell’arte a Varese e nel suo
territorio, progetto diretto e coordinato da M.L. GATTI PERER (consegnato nel dicembre 2005, in
corso di stampa).
(3)
L’utilizzazione di modelli e la consegna del legname da parte dei fabbricieri del santuario della
Beata Vergine dei Miracoli di Saronno sono documentate dai contratti pubblicati da A. SALA, Siste
viator. Dagli archivi la storia del Santuario 1400-1600, («I Quaderni del Santuario», a cura dell’Archivio Storico del Santuario della Beata Vergine dei Miracoli di Saronno, 6), Saronno 1995,
pp. 71, 79, 99; P. C. MARANI, A. SALA, C. CIPRANDI, La cappella del Cenacolo. Storia e restauri
(«I Quaderni del Santuario», a cura dell’Archivio Storico del Santuario della Beata Vergine dei
Miracoli di Saronno, 9), Saronno 1996, pp. 20-22; A. SALA, La storia della Cappella del Sepolcro,
in P.C. MARANI, A. SALA, C. CIPRANDI, La cappella del Sepolcro. Storia e restauri («I Quaderni
del Santuario», a cura dell’Archivio Storico del Santuario della Beata Vergine dei Miracoli di
Saronno, 16), Saronno 2003, pp. 21-22.
90
(4)
Il restauro realizzato da Carola Ciprandi fra il 1994 e il 2002, con la direzione dei lavori di Pietro
Marani, ha consentito di approfondire la conoscenza della tecnica esecutiva delle statue, illustrata
da accurati rilievi grafici. C. CIPRANDI, Il restauro delle sculture di Andrea da Milano dipinte da
Alberto da Lodi, in Il Santuario della Beata Vergine dei Miracoli di Saronno, a cura di M.L. GATTI
PERER, Milano 1996, pp. 189-192; C. CIPRANDI, Relazione di restauro delle sculture, in La cappella
del Cenacolo. Storia e restauri, cit. n. 3, pp. 57-67; EAD., Relazione del restauro delle sculture, in
La cappella del Sepolcro. Storia e restauri, cit. n. 3, pp. 57-67.
(5)
È senza difficoltà evidente la differenza che si coglie fra i sistemi di costruzione delle figure di
Giovanni Angelo Del Maino e di Andrea da Milano. Le statue del primo mostrano un rigoroso rapporto di reciproco condizionamento fra la dimensione del supporto disponibile e l’invenzione studiata. Quelle di Andrea, invece, sia perché l’autore deve tradurre modelli plastici di aperta gestualità pittorica, sia perché forse dispone di legno non accuratamente selezionato, sono ottenute inchiodando ad un principale tronco d’albero, internamente svuotato, com’è d’uso, altre parti dalle dimensioni irregolari, messe assieme, sembra con fretta, per completare forme altrimenti incomplete. Le
linee di congiunzione sono coperte da pezze di tela di camottatura.
Non si tratta di statue che possiamo definire conseguite con l’ordinato assemblaggio di vari masselli. Secondo questo metodo compositivo è costruito il San Maurizio (un particolare ed insolito
soggetto, un gruppo equestre che misura in altezza 125 cm), di collezione privata, già discusso in
relazione con la scenografia del Calvario posta sul fondo della cappella saronnese del Sepolcro.
Similmente sono realizzati il San Bernardino della chiesa dei Disciplini di Clusone (Bergamo) e la
Madonna col Bambino dell’ancona della Madonna di Loreto della chiesa di San Giacomo di Ossuccio (Como). (Sul fondo dell’ancona, ascrivibile ad un maestro di area culturale prealpina e orientale della Lombardia, verso l’area del confine veneto, sono conservate apprezzabili tracce di decorazione di Pressbrokat). P.C. MARANI, Il Sepolcro di Andrea da Milano nel santuario di Saronno:
restauro e ricomposizione, in Itinerari d’arte in Lombardia dal XIII al XX secolo. Scritti offerti a
Maria Teresa Olivari, a cura di M. CERIANA, F. MAZZOCCA, Milano 1998, pp. 163-164; L. SPERANZA, R. C. DE FELICE, San Bernardino, XV secolo, Clusone (Bergamo), chiesa dei Disciplini, «OPD
Restauro. Rivista dell’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze», 16 (2004),
pp. 232-236; D. PESCARMONA, C. CIPRANDI, L’ancona della Madonna di Loreto della Chiesa di
San Giacomo di Spurano, «La Valle Intelvi», 11, 2007, pp. 117-127.
Si può pertanto ipotizzare provvisoriamente che la «commetitura dei pezzi» sia stata impiegata
soprattutto nei casi in cui si dovessero approntare sculture di dimensioni non eccessivamente grandi, non scavate nel verso.
(6)
P. VENTUROLI, Studi sulla scultura lignea lombarda tra Quattro e Cinquecento, Torino 2005, p. 51.
(7)
Per le sculture di Giovanni Zebellana si veda F. PIETROPOLI, in Mantegna e le Arti a Verona 14501500 (Verona, Palazzo della Gran Guardia, 16 settembre 2006-28 gennaio 2007), a cura di S.
MARINELLI, P. MARINI, Venezia 2006, pp. 415-417.
Se il collegamento delle mani scolpite in un unico tronco è scelto per meglio collegare il rapporto
gestuale di due figure di grandi dimensioni, nelle opere minori e nei rilievi (in questi casi si lavora
il legno quando è posizionato su un piano di appoggio) lo stesso trattamento permette di utilizzare
più agevolmente (e più scontatamente) piccoli masselli distinti. S. GUILLOT DE SUDUIRAUT, J. LEVY,
Autour d’une Descente de croix acquise par le musée du Louvre. Etude stylistique et technique
d’éléments dispersés d’un retable de la Passion brabançon des années 1470-1490, in La sculpture
en Occident. Etudes offertes à Jean-René Gaborit, a cura di G. BRESC-BAUTIER, F. BARON, P.-Y. LE
POGAM, Dijon 2007, p. 94.
91
(8)
P. TORNO, Documenti inediti per Giacomo Del Maino e la scultura lignea in provincia di Varese, in
Giovanni Antonio Amadeo. Scultura e architettura del suo tempo, a cura di J. SHELL, L. CASTELFRANCHI, Milano 1993, pp. 439-449. Non passino inosservate, nel contratto di commissione, le clausole che vincolano l’esecutore alla posa in opera del gruppo statuario (“Postiquam fuerit depictum”) e a un anno di ‘garanzia’, con possibilità di riparazioni o eventuale sostituzione di parti deteriorate. Un anno di garanzia è richiesto altrettanto ai fratelli De Donati dopo la consegna, dopo
diciotto mesi di lavorazione, del coro della chiesa di San Francesco di Pavia. R. MAIOCCHI, Codice
diplomatico artistico di Pavia dall’anno 1330 all’anno 1550, I, Pavia 1937, pp. 288-289. Il saldo
del pagamento dell’ancona della chiesa di San Francesco di Voghera, commissionata a Baldino da
Surso il 10 settembre 1476, avrebbe dovuto essere corrisposto sette mesi dopo la collocazione sull’altare maggiore. Di certo sarà stata realizzata con legno selezionato meglio di quello utilizzato per
diversi Crocifissi, anche di bottega, che presentano gravi fenditure. M.G. ALBERTINI OTTOLENGHI,
Note per Bernardo da Venezia scultore, in Florilegium. Scritti di storia dell’arte in onore di Carlo
Bertelli, Milano 1995, p. 77.
Non è concordata la data di consegna del Compianto di Gallarate. Se non casualmente Giacomo Del
Maino, risiedendo in loco, si impegna ad ospitare in casa per un anno Ambrogio da Angera, assunto
come collaboratore, i tempi di lavorazione si avvicinano a quelli impiegati da Andrea da Milano per
le raffigurazioni di Saronno. SALA, Siste viator, cit. n. 3, pp. 71-72, 78-81.
Di fronte al «facere et fabricare» e ai tempi certamente non pressanti accettati da Giacomo Del
Maino, e da Andrea da Milano, affatto differenti sono le condizioni sottoscritte dai De Donati per
collocare nella chiesa di San Francesco di Milano il Sepolcro di Cristo commissionato dagli impazienti eredi di Paolo Scaccabarozzi, nel contratto del 9 settembre 1504: «primo quod dicti fratres
de Donatis et uterque eorum teneatur et obligati sint facere seu fieri facere hinc ad dies XV mensis
novembris proxime futuros figuras octo lignaminis ..., cum hoc tamen quod omnibus (quindecim)
diebus singulis proxime futuris ex ipsis figuris tenantur et debeant dare ipsis de Scachabarotiis seu
pictori ad quem ipsi de Scachabarotiis dixerint dari debere pro eis ornandis, figuras duas fornitas
...». J. SHELL, Pittori in bottega. Milano nel Rinascimento, Torino 1995, pp. 258-259.
Anche Giacomo Del Maino si obbligò «a fare o a far fare» il coro dei conversi della Certosa di
Pavia. MAIOCCHI, Codice diplomatico, cit. n. 8, II, Pavia 1949, pp. 159-160.
Proficuo è il confronto con la documentazione relativa alle commissioni di Agostino de’ Fondulis.
Nel contratto dell’11 marzo 1484, dove sono oggetto di accordo anche altri lavori pertinenti alla
decorazione della chiesa di San Satiro di Milano, si conviene che lo scultore di Padova «teneatur et
obligatus sit finire seu finire facere sepulchrum existens in dicta ecclesia sancti Sattiri et loci respectu ac quod completet circha eius exercitium». Questo primo lotto di interventi, già parzialmente iniziato, avrebbe dovuto essere ultimato entro il primo maggio. Nel contratto del 5 aprile 1502 il maestro di Crema, detto padovano, si impegna «facere seu fieri facere», entro l’estate, dieci statue di
Apostoli in terracotta da collocare nel tiburio della chiesa di Santa Maria presso San Celso di Milano. L’urgenza delle commissioni ha reso necessario, e forse abituale, la pratica del “subappalto”.
Che così fosse, bene attesta – per contrario – l’atto notarile del 27 novembre 1510, con cui il de’
Fondulis accetta di realizzare per l’oratorio di Santa Maddalena di Crema otto statue di un Sepolcro
in terracotta («ad similitudinem sepulchri Domini nostri in civitate Jerusalem”) «infra octo menses
factis et in opere omnibus laboribus et impensis ipsius magistri Augustini, non tantum coloratum
nec pictum sed aptatum pingi et convenienter ornari ...». S. BANDERA, Agostino de’ Fondulis e la
riscoperta della terracotta nel Rinascimento lombardo, Bergamo 1997, pp. 193-194, 199.
(9)
La richiesta di sculture che presentino accentuate esteriori connotazioni di naturalezza, al fine di
accrescere la devozione e la pietà popolare, è ricorrente nello stesso tempo anche in altri contesti
locali, al di fuori dell’ambito culturale della spiritualità degli ordini religiosi, soprattutto francesca92
na. Significativa, ad esempio, è la pretesa del consiglio comunale di Sanseverino, in data 1490,
«super ordine dando circa magisterium et fabricam unius pulcherrime et devotissime immaginis
devotissimi martiris Sancti Sebastiani: quem abiliter et maiori cum devotione portari possit in
processionem per terram Sancti Severini quod nunc sit». F. COLTRINARI, Appendice documentaria,
in Rinascimento scolpito. Maestri del legno tra Marche e Umbria (Camerino, 5 maggio-5 novembre 2006), a cura di R. CASCIARo, Cinisello Balsamo 2006, p. 266.
(10)
Per il Compianto sul Cristo morto di San Satiro si vedano: S. BISTOLETTI BANDERA, Il gruppo del
“Sepolcro” di Agostino de’ Fondulis, in Il sacello di San Satiro. Storia, ritrovamenti, restauri, a cura
di S. BISTOLETTI BANDERA, Cinisello Balsamo 1990, pp. 49-57; C. PARNIGONI, P. BOLOGNESI, Il restauro delle statue di Agostino de’ Fondulis, ibid., pp. 67-73; A. GALLONE Le sculture policrome di Agostino de’ Fondulis: studio analitico del colore e della terracotta, ibid., pp. 77-78; BANDERA, Agostino
de’ Fondulis, cit. n. 8, pp. 49-63; G. AGOSTI, Su Mantegna I, Milano 2005, p. 378.
(11)
M. BAXANDALL, Giotto e gli umanisti: gli umanisti osservatori della pittura in Italia e la scoperta
della composizione pittorica 1350-1450, Milano 1994 (ed. or. Oxford 1971).
(12)
Per le sculture di Vigevano si vedano: P. I. GALLERANI, Un Bussolo d’oro e un Mantegna di legno.
Due schede sulla scultura lombarda del Rinascimento, «Rassegna di Studi e di Notizie», 26 (2002)
pp. 224-232; M. OLIVARI, La Deposizione nel sepolcro di San Dionigi a Vigevano. Note dopo il
restauro, «Bollettino Pavese di Storia Patria», 2007, pp. 235-251.
Per le sculture di Orselina: P. PEDRIOLI, Restauri nel Ticino: notiziario 2005. Nota introduttiva,
«Bollettino Storico della Svizzera Italiana», 2 (2006), pp. 345-358.
Per le sculture di Medole: G. ALGERI, Note attorno ad un gruppo in terracotta: il Compianto sul
Cristo morto, in Sulle tracce di Mantegna. Zebellana, Giolfino e gli altri. Sculture lignee tra Lombardia e Veneto 1450-1540 (Castel Goffredo, 20 marzo-21 giugno 2004), a cura di G. FUSARI e
M. ROSSI, Castel Goffredo 2004, pp. 57-61; AGOSTI, Su Mantegna I, cit. n. 10, pp. 378-379.
Per le stampe di Mantegna: ibid., pp. 378-379; L. ALDOVINI, in Maestri della scultura in legno, cit.
n. 1, pp. 112-113; G. MARINI, in Mantegna e le arti a Verona 1450-1500, cit. n. 7, pp. 228-229,
234-238.
(13)
Escluderei che senza la conoscenza di un’invenzione quale è quella leonardesca della mano sinistra della Vergine delle Rocce potrebbero essere stati pensati il braccio destro della Madonna del
Compianto di San Paolo di Gambolò o quello disteso perpendicolarmente rispetto alla longitudinalità del corpo del Cristo del gruppo di San Vittore di Meda. Si vedano inoltre la zenaliana Deposizione della chiesa di San Giovanni Evangelista di Brescia e quella documentata da Giulio Romano
nel disegno già in collezione Ellesmere in relazione con la pala della chiesa di San Domenico di
Mantova. Per l’illustrazione del disegno si veda Catalogue of the Ellesmere Collection: drawings
by Giulio Romano and other sixteenth century masters, collected by Sir Thomas Lawrence,
Sotheby’s and Co., Londra 1972, lotto 57.
(14)
Per il Presepe già conservato nell’oratorio di San Giuseppe di Trognano si vedano gli interventi di
vari autori raccolti in Opere insigni e per la devotione e per il lavoro. Tre sculture lignee del Maestro di Trognano al Castello Sforzesco, a cura di M. BASCAPÈ, F. TASSO, Cinisello Balsamo 2005.
Pubblicato a parte è il contributo di G. B. SANNAZZARO, Il presepe di Trognano. Nota di studio sull’architettura, «Rassegna di Studi e di Notizie», 29 (2005), pp. 109-118.
Interessanti sono stati i riscontri effettuati a seguito del sopralluogo compiuto nella Pinacoteca del
Castello Sforzesco dove il rilievo è attualmente esposto, con Francesca Tasso e Jonathan Santamaria Bouquet. L’esame ravvicinato dell’opera ha preso avvio dalla constatazione, evidenziata da
Jonathan Santamaria Bouquet, che sulla gamba sinistra del pastore inginocchiato a destra dell’angelo che solleva la coperta sulla quale è adagiato il Bambino compare una lacuna non casuale del93
la decorazione pittorica, come se derivasse dalla caduta di un oggetto (un canestro, un bastone?)
sorretto da san Giuseppe. Le stesse mani di san Giuseppe, articolate eccezionalmente nello spazio,
mi sembrano un intervento non originale di integrazione, dal momento che sono, senza confronto,
sostenute da pezzi di legno inchiodati sul fondo. Altrettanto esito di restauro è il posizionamento
del massello di prato sul lato destro dello zoccolo su cui poggia l’intera scena. Mancano inoltre un
alberello (?) che cresceva sugli arbusti sviluppatisi sul pilastro spezzato di sinistra, due imprecisabili elementi scolpiti a sinistra e sopra il pilastro di destra e le ali che tutti gli angeli possedevano.
Si vedano anche, come significativi esempi di ripartizione di gruppi figurati nelle limitate dimensioni dell’altorilievo, il Compianto sul Cristo morto dei fratelli De Donati recentemente presentato
all’Asta Finarte di Milano del 5-6 giugno 2007 e la Pietà di Giovanni Angelo (e Tiburzio?) Del
Maino appartenente alle Civiche Raccolte d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano. L’altorilievo dei De Donati è illustrato, con scheda di J. Stoppa, nel catalogo Arredi, dipinti e oggetti
d’arte da una dimora lecchese, da un’importante collezione privata e altre provenienze (Asta
Finarte, n. 1380, Milano 5-6 giugno 2007), lotto 317, pp. 124-125. Utili sono i confronti con la
tecnica esecutiva sia della Pietà dell’Abbazia di Carrara Santo Stefano, terracotta policroma attribuita ad Andrea Briosco, sia della Pietà della chiesa parrocchiale cattolica di Tosters, presso
Feldkirch, in Vorarlberg, gruppo ligneo della bottega di Michel Erhart. Si vedano, G. ERICANI,
G. PASSARELLA, in Restituzioni ’94. Opere restaurate (Vicenza, Palazzo Leoni Montanari, 17 settembre-31 ottobre 1994), a cura di F. RIGON, Cittadella 1994, pp. 47-49, e E. POPP, Die Skulpturen
Michel Erharts und seines Kreises. Tecnologische Beobachtungen in Michel Erhart & Jörg Syrling
d. Ä. Spätgotik in Ulm (Ulm, 8 settembre-17 novembre 2002), a cura del Museo di Ulm,
B. REINHARDT, S. ROLLER, Stuttgart 2002, pp. 216, 218, 340-342. Diverso è invece il procedimento di comporre il rilievo adottato da Stefano Lamberti nella Pietà dell’altare della Scola della chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta di Condino, in provincia di Trento. Rinvio al relativo grafico elaborato da ARRIGHETTI TOMASONI, Stefano Lamberti e Maffeo Olivieri, cit. n. 1, p. 78.
(15)
Un progetto di ricostruzione dell’altare di Santa Maria del Monte di Varese differente rispetto a
quello finora accreditato è stato proposto da chi scrive in La scultura lignea del Rinascimento fra
Quattro e Cinquecento, in La Storia di Varese, cit. n. 2 (in corso di pubblicazione).
L’impossibilità di prendere diretta visione del rilievo raffigurante la Crocifissione, come ho già
avuto occasione di scrivere, ostacola un parere attendibile in merito alla coerenza di autografia
del Cristo crocifisso a confronto con lo stesso soggetto trattato negli altri tre riquadri. Sembra
proprio evidente che i due ladroni siano stati inseriti nella composizione incongruamente, ad intaglio del fondo ormai eseguito. In ogni caso, il disegno anatomico delle loro braccia scorciate
risulta affatto grossolano.
(16)
Le sempre più numerose anconette ascrivibili alla bottega dei De Donati inducono a supporre che
la stessa bottega avesse attivato una redditizia produzione di manufatti già finiti per il mercato.
Non sembra tuttavia che si sia mai perfezionata in Lombardia, nei diversi generi della produzione
artistica, un’organizzazione seriale del lavoro così evoluta come si riscontra in Toscana, dove però
si commercializzavano opere riproducibili in copie. R. COMANDUCCI, Produzione seriale e mercato
dell’arte a Firenze tra Quattro e Cinquecento, in The Art Market in Italy (15th - 17th Centuries), a
cura di M. FANTONI, L.C. MATTHEW, S.F. MATTHEWS-GRIECO, Ferrara 2003, pp. 105-113; S. KUBERSKY-PIREDDA, Immagini devozionali nel Rinascimento fiorentino: produzione, commercio, prezzi,
ibid., pp. 115-125. L’approfondimento della ricerca si rende nondimeno indispensabile, verificando se e come ci si attenesse alla vincolante interpretazione dei regolamenti corporativi. P. VENTUROLI, Gli statuti della Scuola di san Giuseppe di Milano (1459), in Scultori e intagliatori del legno
in Lombardia nel Rinascimento, a cura di D. PESCARMONA, Milano 2002, pp. 11-17.
La produzione di ancone lignee, organizzata con criteri di larga diffusione artigianale, si è svilup94
pata significativamente per iniziativa di varie botteghe operose nelle Fiandre e nei Paesi Bassi.
Nel racconto delle storie è stata privilegiata la tecnica dell’alto rilievo, delle figure a tutto tondo.
I gruppi narrativi sono stati così scomposti in sottogruppi, scolpiti isolatamente in masselli distinti. Si tratta di un procedimento tecnico scelto per ottenere figure distaccate dal fondo e rese con
finezza e virtuosa miniaturizzazione dei particolari, riscontrabile pertanto anche nella lavorazione
in altri materiali (ad esempio, nel sontuoso retablo di alabastro delle Sette gioie della Vergine realizzato nella chiesa del Monastero Reale di Brou, a Bourg en Bresse). Si vedano Antwerpse retabels 15de-16de eeuw (Katedraal Antwerpen, 1993), a cura di H. NIEUWDORP, Antwerpen 1993;
F.L. JACOBS, Early Netherlandish Carved Altarpieces, 1380-1550. Medieval Tastes and Mass
Marketing, Cambridge 1998.
Per quanto riguarda le storie narrative dell’ancona dell’Immacolata della chiesa di San Maurizio di
Ponte in Valtellina, di Giacomo Del Maino, alcune sono realizzate affiancando due tavolette, per
ottenere la misura di base del quadrato dell’assieme voluto. L’ancona, escludendo la predella e le
tre lunette, è costruita su tale modulo dimensionale. Non sembra quindi che abbia costituito un
rilevante problema la ricerca del supporto ligneo adeguato.
Ritornando alla discussione relativa alla tecnica di costruzione dei rilievi dei De Donati, si sono
presi in considerazione, in occasione del presente studio, quelli numerosi del Museo Civico di
Lodi (FIGG. 111-111A, 112-112A). Il Presepe si attiene, ad evidenza, all’invenzione iconografica
già trattata dal Maestro di Trognano. Sembra incongrua (giustificata soltanto da pretesto di pertinente citazione) la presenza della colonna, non si capisce bene in quale maniera originariamente
spezzata. Dietro la stessa colonna, lavorata come parte lignea staccata, si apprezza il panneggio del
mantello di san Giuseppe. Intagliato è anche il fuoco acceso nel camino collocato a destra della
Natività di Maria, coperto e nascosto dall’applicazione della figura di Gioacchino. Un chiodo è
visibile sotto i piedi, a destra, dei pastori che pascolano le pecore. Il loro impiego è consuetudine
per l’assemblaggio dei vari masselli. I rilievi sono realizzati traducendo con meccanica fedeltà
disegni sovrapposti su tre o quattro pannelli lignei accostati in senso longitudinale. L’impiego di
disegni è determinante per l’organizzazione della bottega dei De Donati: chi intaglia il legno non
si prende alcuna responsabilità di adattare il disegno alla limitatezza eventuale del supporto. È
impressionante vedere come risultino tagliati, nella scena della Natività, il sottile profilo del volto
ed i piedi di Maria e il piccolo frammento inferiore della veste dell’ancella che porta il vassoio
della colazione. Se la realizzazione del Presepe non regge il confronto con il lavoro del Maestro di
Trognano, mi sento però in dovere di concludere escludendo che la qualità dei rilievi lodigiani sia
mediamente più bassa di altre opere documentate, e di esecuzione più corsiva. La sgargiante policromia non deve pregiudicare il riconoscimento della specifica bontà della scultura. Le storie sono
narrate con complessità di invenzione, le varie figure sono sempre variamente atteggiate e l’intaglio dei particolari è reso con scrupolosa finezza (anche le orecchie del bue e dell’asino del Presepe, se si riescono a guardare con attenzione).
(17)
La struttura architettonica delle ancone di Morbegno e di Ardenno è stata rilevata e studiata da
Giorgio Rolando Perino. Si vedano a proposito i suoi contributi: Verifica pratica dell’uso dei rapporti proporzionali di due ancone di Giovan Angelo Del Maino, in Scultori e intagliatori, cit.
n. 16, pp. 172-181; e Due ancone lignee di Giovanni Angelo Del Maino: tra prassi e progetto, in
L’arte del legno in Italia. Esperienze e indagini a confronto, a cura di G. B. FIDANZA, Perugia
2005, pp. 273-282.
Un’altrettanto attenta documentazione grafica non è disponibile per l’ancona di Como. Di essa
non ha potuto avvalersi il precedente studio di M. L. CASATI, La struttura architettonica dell’ancona di S. Abbondio nel Duomo di Como, in Le arti nella diocesi di Como durante i vescovi Trivulzio, a cura di M. L. CASATI, D. PESCARMONA, Como 2008, pp. 101-117.
95
«Facta, picta, constructa et fabricata»
Botteghe e scultura lignea
Mariolina Olivari
È
nostra inveterata abitudine attribuire ogni manufatto ligneo al nome di un singolo scultore o di una bottega dimenticando quanto i documenti ci vengono a
rivelare senza incertezze: e cioè che gli autori in gioco nella quasi totalità dei
casi vanno da un minimo di due (uno scultore e un pittore) a un massimo di quattro o
più (nell’ordine di intervento un progettista – solitamente un «inzeniero» –, uno o più
scultori, un gessatore/doratore, un pittore). Di queste figure la più ignorata è la prima,
una figura il cui peso finora si è teso a dimenticare o perlomeno a sottovalutare, forse
anche per le condizioni di frammentarietà in cui ci sono giunte gran parte delle opere
conosciute. In realtà i documenti dimostrano che a monte di un grande altare, di un
coro ligneo, o di qualsiasi altra commissione che usciva dalla produzione seriale, esisteva la presenza di un progettista che solo saltuariamente coincideva con lo scultore o
il capobottega.
È poi fondamentale ricordare che era consuetudine che in molti casi si consorziassero
più intagliatori o più botteghe, ciò che spesso rende labili, quando non indecifrabili, le
possibili linee attributive.
Il problema della scultura lignea, quindi, andrebbe affrontato, almeno talvolta, con linee
valutative diverse da quelle consuete. Si dovrebbero separare, innanzitutto, le commissioni seriali, più semplici, da quelle che nascevano già con intenti prestigiosi.
La produzione seriale fu abbondantissima e riguardò tutta una serie di arredi usuali o
addirittura indispensabili nella pratica liturgica e in quella devozionale, sia pubblica
che privata. Oggetti come i presepi o i Crocifissi, che non potevano mancare nemmeno
nella più umile delle chiese, venivano prodotti in gran quantità, e con poche varianti
tra un esemplare e l’altro. Nelle ricostruzioni fino ad oggi possibili l’esempio migliore
è dato dalla bottega di Urbanino e Baldino da Surso, cui si possono attribuire con certezza fino a questo momento almeno quattordici Crocifissi, tutti mutuati dagli stessi
prototipi (1). Visto l’ampio arco geografico di diffusione delle sculture dei da Surso la
ripetizione di stilemi riconoscibili doveva essere, di fatto, quasi una sorta di garanzia
dell’autografia del pezzo.
97
Anche manufatti di maggior rilievo come i compianti (2), avevano dei moduli, che, pur
nelle infinite e suggestive varianti messe in atto ogni volta, non richiedevano una progettazione particolare. Per aiutare lo scultore a impostare e rinnovare le composizioni se
mai aiutò, da un certo punto in poi, la circolazione delle stampe, delle placchette metalliche, la conoscenza – quasi sempre indiretta – di frammenti antichi. Negli ultimi anni è
stata ben indagata la fortuna dei fogli incisi con le raffigurazioni della Deposizione di
Mantegna, utilizzate nella pratica della scultura lignea in tutte le versioni ideate dal
maestro padovano. Ma l’uso di un repertorio di modelli, non solo italiani e non solo
cartacei, va dato per scontato e sappiamo che costituiva anzi ambito patrimonio delle
botteghe, esattamente come in pittura.
Nei casi più semplici, dunque, la bottega era perfettamente in grado di agire in proprio,
e di utilizzare modelli codificati anche personali, lo studio dei quali passava attraverso
disegni e bozzetti parziali in gesso e in terracotta. Una preziosa testimonianza ci viene
dal testamento degli scultori bresciani Stefano Lamberti (3), morto nel 1538, e Maffeo
Olivieri (4), morto nel 1544. Nell’inventario dei beni ritrovati nella bottega del primo,
che par di vedere, oltre alla sculture in legno non finite, sono elencati numerosi pezzi in
«giesio», teste, tondi, busti, figure, «omnia afixa parieti seu muro camere», che dovevano essere parti delle ancone monumentali da lui eseguite. Evidentemente il passaggio
avveniva tramite modelli plastici, attraverso i quali l’artista studiava l’effetto generale
dell’opera o di singole parti specifiche. Nella bottega del secondo furono trovate invece
numerose incisioni.
Gli autori, si è detto, erano generalmente soltanto due, non calcolando l’abituale intervento degli aiuti: un intagliatore preparava la scultura e un pittore pensava alla policromia. L’opera dei collaboratori non solo era intesa a coadiuvare lo scultore nella sgrossatura della statua o quella del pittore tramite la macinazione e la preparazione dei colori,
ma si frapponeva fra le due fasi principali con l’esecuzione della gessatura, un’operazione che già richiedeva una manodopera di tipo specialistico (5). Se l’oggetto prevedeva
l’applicazione di foglia d’oro interveniva un gessatore-doratore, una figura che si configurava come autonoma (6). L’aspirazione di tutti, ovviamente, era di poter concludere tutte le fasi operative all’interno della propria bottega. Questo garantiva risparmio nei costi,
con un più alto margine di guadagno, possibilità di garantire tempi più brevi nelle consegne, perfino maggiore tutela per l’oggetto, che non doveva essere spostato nemmeno
per brevi percorsi. Per questo le botteghe a conduzione familiare cercavano di specializzare i componenti della famiglia in ciascuna delle diverse attività previste e di avere al
proprio interno l’ intagliatore (anzi, possibilmente più intagliatori), il gessatore-doratore,
il pittore. Sono esemplari, in proposito, i casi di botteghe come quelle dei De Donati in
Lombardia o dei Giovenone in Piemonte, dove ogni fratello, o ogni figlio, aveva un proprio specifico ruolo tecnico, nel quale divenivano specialisti. Poteva succedere che il
gessatore-doratore e soprattutto il pittore, cioè coloro che avevano in mano la professionalità più finita e più alta, avessero collaborazioni o commissioni anche al di fuori della
98
bottega di famiglia (7) e divenissero anche professionisti con una statura del tutto autonoma. Gessare e poi costruire una buona policromia sul legno, infatti, sapendo stendere,
stratificare, punzonare, graffiare l’oro, sovrapporre e lavorare le lacche e i colori era un
lavoro estremamente raffinato, vicino a quello degli orefici e dei miniatori. Per contro
non era affatto detto che chi intagliava si avvalesse sempre dell’opera del pittore ‘di
famiglia’. Se questo succedeva, non era per propria volontà, ma per gli esigenti dettati
della committenza. Molte delle opere dei De Donati sono state policromate non da Alvise, il fratello pittore, ma da artisti diversi, di calibro ben maggiore, come Gaudenzio Ferrari, a conferma che la volontà e le possibilità economiche del committente dettavano
comunque legge e andavano ben oltre le eventuali opportunità offerte della bottega.
Le botteghe con più collaboratori erano quindi in grado di fornire oggetti finiti, ma
poche erano quelle che potevano garantire una qualità elevata in tutti i settori. I prodotti seriali erano di solito coperti da una policromia semplice, a tinte unite o con motivi decorativi lineari, quali righe o piccole geometrie, nelle parti che lo prevedevano
tradizionalmente. Esistevano casi in cui questi campi colorati con motivi sempre uguali, o comunque scelti in un repertorio che era convenzionalmente ristretto, finivano per
essere un vero e proprio tratto distintivo del personaggio: sono esemplari i casi del
perizoma di Cristo, solitamente rigato, o, nei compianti, la veste di Giuseppe d’Arimatea, il ricco seguace che aveva messo a disposizione il proprio sepolcro per il corpo di
Gesù. La sua agiatezza veniva distinta dalla povertà degli altri personaggi tramite panni dalla policromia un poco più elaborata o con qualche finitura dorata. Anche nei prodotti seriali era frequentissima comunque la doratura parziale, ma se i mezzi del committente lo permettevano la doratura poteva diventare addirittura totale, anche se il
manufatto non era di lignaggio particolarmente alto.
Quando però il committente chiedeva un prodotto qualitativamente importante, raramente una bottega poteva provvedere al proprio interno. La policromia, come è noto,
veniva quindi affidata ad un artista esterno alla bottega, il cui prestigio a volte addirittura cancellava l’opera degli intagliatori, tanto da poter firmare l’opera come sua.
Benché sia ovvio che gli scultori disegnassero e progettassero, la norma sembra essere
che fino ai primi decenni del Cinquecento solo strutture semplici o di medio livello sono
frutto autonomo della progettualità degli intagliatori. È provata un’alta capacità progettuale solo nel caso della generazione che opera già in apertura del secolo, Giovan Angelo del
Maino, Stefano Lamberti, Maffeo Olivieri, che costituiscono una punta avanzata nel panorama generale. Credo sia da valutare con attenzione che Stefano nei documenti definisca
suo padre, Pietro da Caravaggio, uno «statuario», mentre a partire dal 1527 definisce se
stesso non più (o non solo) intagliatore, ma «ingegnerio» (8), delineando così una diversa e
più evoluta sfera professionale.
Oltre ai singoli oggetti, anche un altare non particolarmente impegnativo, una ancona
che ripeteva schemi tradizionali, o alla quale per contratto si chiedeva addirittura di clonare modelli famosi, non avevano evidentemente bisogno di essere ripensati.
99
Quando invece il livello qualitativo delle fabbriche o del singolo progetto era molto
alto, interveniva a monte l’opera di un progettista. Nel 1473 il Consiglio del Comune di
Salò affida a Bartolomeo di Isola Dovarese l’incarico per l’importante cornice del futuro polittico per l’altar maggiore del Duomo cittadino. Il maestro cremonese la deve però
realizzare secondo un disegnamentum che gli viene dato dagli eletti (9). Giacomo del
Maino nel 1486 correda il contratto per una piccola ancona a tre scomparti da farsi a
Gravedona con un disegno di sua mano (10), ma, nonostante vanti anche una attività come
architetto, quando gli viene commissionata l’ancona dell’Immacolata Concezione di
san Francesco Grande a Milano, cioè la cornice per la Vergine delle Rocce di Leonardo,
nel contratto viene detto chiaramente che dovrà eseguirla su «designa» di altri, che gli
saranno forniti dal Priore e dagli scolari della Confraternita (11). La stessa cosa succede
quando nel 1525 la confraternita dell’Immacolata Concezione vigevanese commissiona
all’intagliatore Giovan Pietro Corbetta di completare, con un «ornamento» e un ciborio (12), il proprio altare nella chiesa di San Francesco (a Vigevano, ovviamente), dove dal
1502 riluceva l’ancona dei De Donati. Il Corbetta, in questo caso, doveva seguire il progetto fatto dall’«ingegnere» Bernardino da Milano.
Le opere ottenute da un progettista importante finivano spesso per costituire dei veri e
propri progetti pilota, destinati ad assurgere al rango di modelli, poi ripetuti o copiati in
infinite varianti.
Il fatto che nei contratti molte volte venga chiesto agli intagliatori di “copiare” un coro
o una ancona precedenti, va spiegato proprio alla luce di una progettazione illustre del
modello che si intendeva imitare. A quel punto il capobottega interpellato doveva limitarsi a rielaborare e a riadattare quest’ultimo, comportandosi di fatto a sua volta come
un «inzeniero», ma privato fondamentalmente della prova qualificante della ‘invenzione’, riservata agli architetti cui veniva riconosciuto un livello professionale più alto.
Collaborazioni fra le diverse professionalità che fossero risultate particolarmente felici
potevano ripetersi nel tempo o diventare addirittura abituali. Non a caso spesso troviamo i fratelli De Donati al lavoro come intagliatori in fabbriche di Bramante architetto.
La presenza di un progettista a monte dell’iter giustifica una anomalia altrimenti difficilmente spiegabile: il fatto che a volte le grandi cornici venissero eseguite prima delle
pale o delle statue che dovevano contenere. Torno di nuovo agli esempi dell’altar maggiore del Duomo di Salò e a quello dell’ancona della Vergine delle rocce in San Francesco Grande a Milano. Nel primo caso a cornice finita e montata si tentò di commissionare a vari pittori le tavole che dovevano andare dentro gli scomparti vuoti. Solo nel
1500 si decise infine per una ancona scolpita e Pietro Bussolo fu chiamato a riempire
con le sue figure di robusto impianto naturalistico il trinato verticalismo della cornice
tardogotica di Bartolomeo, ormai pronta da un quarto di secolo (13), nel secondo caso
Leonardo e i fratelli De Predis furono chiamati nel 1483 a dorare, dipingere e “riempire” con tre dipinti l’ancona già preparata da Giacomo del Maino fra il 1480 e il 1482 su
disegno altrui.
100
Perciò, oltre a studiare l’architettura delle singole ancone, andrebbero valutate anche le
relazioni con lo spazio architettonico dove le opere erano collocate originariamente, per
capire se i progetti erano in qualche tipo di rapporto con l’architettura circostante o
nascevano del tutto slegati da quest’ultima come una architettura nella architettura.
Spesso i termini di consegna dettati dai committenti sono brevi o addirittura brevissimi.
Il rischio di scadimento del manufatto era dunque alto, poiché è logico che l’intagliatore a questo punto doveva avvalersi di aiuti per rispettare le scadenze ed evitare penalità.
Il regolamento della Scuola di San Giuseppe, cioè la scuola che raccoglieva i magistri a
lignamine milanesi, dettando le norme che devono disciplinare le collaborazioni, di fatto finisce per costituire una garanzia di qualità del manufatto, poiché limita drasticamente il numero degli aiuti che potevano lavorare a fianco del maestro titolare. Ogni
maestro non poteva avere più di due collaboratori. Da qui la necessità di consorziarsi
tra più maestri, divenuta una prassi comune in tutte le grandi fabbriche. Solo in questo
modo, infatti, si poteva mettere insieme una forza lavoro capace di far fronte a cantieri
molto impegnativi o a lavori da consegnare nei tempi ridotti imposti dalle richieste della committenza.
Ma quanto erano ‘nomadi’, i magistri a lignamine? La mobilità delle botteghe era fondamentale. Una parte del lavoro, o forse meglio, alcune tipologie di lavori, comportavano obbligatoriamente il trasferimento dei maestri sui cantieri per periodi più o meno
lunghi. È questo ovviamente il caso dei cori lignei, che potevano essere in parte intagliati e preparati in bottega, ma venivano poi finiti, costruiti, adattati – e a volte policromati (14) – sul posto, ma anche quello di alcune ancone costituite da un cospicuo numero
di pannelli a rilievo e di statue a tutto tondo. Il fatto che spesso ci si trovi davanti a
documenti che provano l’assunzione di aiuti nei luoghi dove queste grandi ancone furono costruite induce a credere che nel caso di commissioni di questa entità problemi tecnici di vario tipo, come la vicinanza della materia prima e, soprattutto, le difficoltà di
trasporto dei pezzi finiti rendessero conveniente lavorare fin dall’inizio in prossimità
della sede finale cui le opere erano destinate. Che Giacomo del Maino avesse assunto
un aiutante in Valtellina o Ambrogio De Donati un collaboratore a Vigevano testimonia
che i soggiorni fuori dalla bottega vanno calcolati come una estensione cronologicamente molto importante del lavoro.
A questo proposito va considerato anche che doratura e policromia dei grandi complessi
venivano eseguite a montaggio finito nella sede definitiva. Dai libri mastri del cantiere
sforzesco di Sant’Ambrogio a Vigevano si evince con chiarezza che esisteva un doratore a servizio della fabbrica (Giuseppe da Vercelli, cioè Giuseppe Giovenone), il quale
lavorava direttamente nella cattedrale su cornici, ancone e sculture che arrivavano dalle
botteghe prive di finitura. Non so se questo avvenisse anche per permettere alle fabbricerie di esercitare un maggior controllo sull’uso del prezioso metallo. Indipendentemente da qualunque fosse lo spessore della lamina che i battiloro quattro e cinquecenteschi
riuscivano ad ottenere (15), i dati dimostrano che sulle sculture lignee lombarde la media
101
dello spessore della lamina usata va (ora, cioè dopo secoli di consumo, abrasioni e puliture) dai due ai cinque micron. I costi erano talmente alti che spesso le confraternite e le
fabbricerie si trovavano nella necessità di vendere parte dei loro beni per far fronte alle
forniture di oro necessarie per una ancona. Terreni e case venivano alienati per procurarsi l’oro necessario. Casse di contenimento, ante di chiusura in tela o ancora in legno che
completavano i manufatti non erano solo una necessità strutturale o liturgica, ma veri e
propri scrigni in cui tali tesori andavano protetti (16). A ben guardare si vede, anzi, che la
presenza di questi completamenti era costante nei casi di ancone nelle quali la doratura
era, ed è ancor oggi, particolarmente importante per estensione e per ricchezza.
La questione delle casse merita qualche riflessione. La loro funzione, infatti, aveva
molteplici e diverse valenze. La più ovvia è naturalmente, come si è detto, quella conservativa. Ma esiste, alle spalle, anche una filosofia precisa, legata all’uso dell’oro e al
ruolo collettivo o privato dei manufatti. Le ancone lignee, specie se dorate, hanno una
presenza scenografica altissima. Nel caso di altari maggiori, centri evidenti della comunità di tutti i fedeli, l’ostensione dell’oro era il segno forte di una antica valenza simbolica: il suo potere riflettente, nell’ombra dello spazio architettonico, diveniva infatti
manifestazione ed essenza stessa della luce divina. Se ne privilegiava dunque la vista
ed era raro che fossero presenti ante di chiusura. L’oro doveva anzi esaltare la presenza scenica dell’altare (17) e a sua volta venire esaltato dalla centralità e dalle dimensioni
di quest’ultimo.
Nel caso di proprietà di confraternite o di famiglie che detenevano il giuspatronato di
cappelle e altari secondari, invece, contava non poco anche il valore sociale dell’ostentazione del potere economico sotteso alla ricchezza dell’opera. La presenza delle ante
o di qualche tipo di copertura diveniva quindi fondamentale elemento per permettere o
negare la visione del loro tesoro. Veniva dunque deciso quando aprire o quando chiudere le ante tenendo conto prima di tutto dei tempi obbligati della liturgia, ma, anche,
della solennità delle funzioni, dell’importanza dei fedeli presenti, del peso dell’occasione. Lo spettacolo costituito dalle ancone intagliate, colorate, dorate, a volte altissime, comunque imponenti, veniva regolato anche in funzione di un attento e sottile gioco politico.
NOTE
(1)
Ai tredici contati da Venturoli (P. VENTUROLI, Studi sulla scultura lignea lombarda tra quattro e
cinquecento, Torino 2005, pp. 88-89) che coprono un arco che comprende Liguria, Piemonte,
Lombardia e Veneto, va aggiunto quello segnalatomi gentilmente da Paola Strada a Casteggio, in
provincia di Pavia, praticamente gemello di quello di San Lorenzo a Mortara. Se ne è già data
notizia nella scheda dell’esemplare di San Pietro a Vigevano contenuta in Sculture lignee a Vigevano e in Lomellina, a cura di L. GIORDANO, Vigevano 2007, pp. 197-199.
102
(2)
Non è stato forse acquisito in modo sufficientemente chiaro che le commissioni dei compianti sono
legate, nella quasi totalità dei casi, alle confraternite penitenziali dei laici, e in special modo alle
varie ramificazioni e tipologie dei Disciplini, che avevano, nella Settimana Santa, il clou della loro
professione. Il fatto che il Cristo deposto venisse portato in processione non è una peculiarità che
riguarda qualche scultura isolata, ma la norma più diffusa in casi consimili. Anche la rarità di preziosismi nelle policromie sui compianti e la preferenza accordata a intonazioni severe e a campi
cromatici uniti, è da mettere in relazione alla misura penitenziale della committenza. Solo in epoca
relativamente tarda si trovano splendide eccezioni, che si spiegano, oltre che con un cambiamento
di costume, anche con la ricchezza, il potere e il ruolo sociale raggiunto da alcune confraternite.
(3)
Il documento è stato pubblicato da C. BOSELLI, Regesto artistico dei notai roganti in Brescia dall’anno 1500 all’anno 1560, suppl. ai «Commentari dell’Ateneo Bresciano», 1976, II,
pp. 65-67.
(4)
Ibid., II, pp. 74-75, n. 68.
(5)
La gessatura poteva essere stesa in più mani, per lo più due. In questi casi le analisi fatte negli ultimi anni provano che lo strato inferiore era a granulometria più grossa mentre quello superiore
risulta più fine. La prima stesura, la cosiddetta ‘gessatura grossa’, doveva quindi soprattutto saturare le porosità e le eventuali disuguaglianze del legno, la seconda, la ‘gessatura fine’, era invece una
superficie levigatissima, sulla quale il pittore poteva lavorare con il colore come su una tavola.
(6)
La cornice dell’affresco dell’Incoronata di Lodi (ora ai Musei Civici del Castello Sforzesco di
Milano) scolpita da Giovan Pietro e Giovan Ambrogio De Donati nel 1494, e dipinta da Alvise, fu
gessata e dorata da Antonio Raimondi nel 1498.
(7)
Esemplare il caso di Giuseppe da Vercelli, cioè Giuseppe Giovenone, gessatore e doratore, fratello
del pittore Gerolamo e dell’intagliatore e corniciaio Giovan Pietro, che ebbe collaborazioni continuate nel tempo con artisti come Gaudenzio Ferrari e poi Bernardino Lanino.
(8)
BOSELLI, Regesto artistico cit. n. 3, I, pp. 179-183.
(9)
M.IBSEN, Il Duomo di Salò, Gussago 1999, pp. 75-83.
(10)
Il contratto, corredato dal disegno dell’ancona (perduta) e sottoscritto da Giacomo Del Maino e
dal committente Bartolomeo Sforza è conservato presso l’Archivio di Stato di Milano (Archivio
di Stato di Milano, Fondo Notarile, notaio Luchino de Aplano, filza 2873, 23 novembre 1486) ed
è stato più volte pubblicato, in primis da M. OLIVARI, in Zenale e Leonardo (Milano, Museo Poldi Pezzoli, 4 dicembre 1982-28 febbraio 1983), a cura di M. NATALE con A. MOTTOLA MOLFINO,
M. DALAI EMILIANI, Milano 1982, pp. 118-120.
(11)
P. VENTUROLI, L’ancona dell’Immacolata Concezione in San Francesco Grande a Milano, in Studi, cit. n. 1, pp. 62-69.
(12)
L’iniziativa nasceva come ex-voto dei confratelli scampati alla peste dell’anno precedente, che
aveva falcidiato la popolazione della città.
(13)
La doratura e la policromia furono poi eseguite da Vincenzo da Brescia, identificabile forse con
Vincenzo Foppa. Per la travagliata vicenda dell’altare di Salò rimando comunque a IBSEN, Il Duomo cit. n. 9, pp. 72-83. Lo stesso iter, cioè la preparazione preliminare dei legni e posteriormente
l’esecuzione del dipinto fu seguito qualche anno dopo per l’ancona della Natività di Zenone Veronese. Zenone lavorò alla tela tra il 1518 e il 1520. La cornice-ambone, splendida, dovrebbe far
parte delle strutture lignee per le quali vennero pagati «maestro Pietro intaiador» e «maestro Anto103
nio da Zara» negli anni che vanno dal 1513 al 1517. Il doratore, Martino Martinazzoli, risulta
pagato nel 1519. La policromia fu eseguita dallo stesso Zenone, cui venivano man mano affidati
anche i fogli d’oro necessari, che arrivarono al numero di 2350. Per i documenti relativi si veda M.
AMATURO, I. MARELLI, L. VENTURA, Zenone Veronese, Brescia 1994, pp. 77-79 e IBSEN, Il Duomo
cit. n. 9, p. 89, n. 131.
(14)
È questo il caso del coro di San Francesco a Pavia, commissionato nel gennaio del 1484 a Giovan
Pietro e a Giovan Ambrogio De Donati, nel cui contratto era specificato che doveva essere fatto a
immagine di quello di Sant’Ambrogio a Milano. Le recentissime indagini effettuate dall’ENEA
(P. Moioli e C. Seccaroni, che qui ringrazio per la sempre amichevole e generosa disponibilità) sui
frammenti di colore dei quattro stalli conservati nel Museo Civico di Pavia (che li ha acquistati nel
1978), dimostrano che i fondi erano colorati in cinabro o in lapislazzuli (o indaco), steso su un sottile strato di biacca, il cui compito doveva essere principalmente quello di turapori. Gli stalli dovevano dunque essere montati alternativamente rossi e blu, con un effetto arcaicizzante che sottolineava quello delle raffigurazioni botaniche che già Donata Vicini aveva messo in relazione con
vari Tacuina Sanitatis medioevali (D. VICINI, in La pinacoteca Malaspina, Pavia 1981, pp. 183184). Gli intagli a rilievo, invece, erano lasciati a legno, come dimostrano le attente rifiniture di
dettagli come il pelo degli animali o la definizione del terreno, nei cui microscopici solchi non esiste traccia di pigmento. L’uso di fondi colorati con il motivo centrale lasciato con il legno a vista
imparenta metodologicamente e visivamente gli stalli con soffitti a cassettoni lignei dipinti e perfino con fregi affrescati diffusi in area lombarda e lombardo-veneta fino ai primi anni del cinquecento, nei quali i disegni a grisaglia si stagliano sul fondo rosso o blu.
(15)
Rimando, per un’apertura del problema, a M. OLIVARI, Tutela e scultura lignea in Lomellina, in
Sculture lignee a Vigevano cit. n. 1, p. 144, n. 24. Sui battiloro milanesi si veda M.P. ZANOBONI,
Artigiani, imprenditori, mercanti. Organizzazione del lavoro e conflitti sociali nella Milano Sforzesca, Firenze 1996, pp. 130-145.
(16)
È interessante notare che casse e ante vengono quasi sempre commissionate solo in un secondo
momento, solitamente negli anni immediatamente successivi a quelli dell’installazione.
(17)
Anche le dimensioni e la tipologia costruttiva degli altari maggiori scoraggiavano, o perlomeno
rendevano più difficile, l’installazione delle ante.
104
Il commercio del legname
Maria Paola Zanoboni
I
l legname
Già nella prima metà del secolo XV, preoccupazione costante dei duchi di Milano era
stata quella di fissare i prezzi del legname(1), la cui penuria, lamentata in continuazione
dai cittadini(2), aveva portato a vertiginosi aumenti di prezzo (3). Nella seconda parte del
secolo la richiesta di questo materiale sia come combustibile che per l’edilizia, dovette
farsi ancora più cospicua in seguito all’aumento della domanda, dovuto soprattutto al
fervore edilizio che la corte rinascimentale degli Sforza promuoveva. I maggiori acquirenti erano infatti quei mercanti di laterizi, come i de Venzago e i de Cixate, che avevano ottenuto l’appalto per la fornitura del materiale necessario alla costruzione del Castello Sforzesco, dell’Ospedale Maggiore, dell’Incoronata e di Santa Maria delle Grazie.
Negli anni 1450-1476, corrispondenti alla prima fase della costruzione di questi edifici,
le richieste si concentrarono soprattutto sulla legna da ardere necessaria per il funzionamento delle numerose fornaci che costellavano le rive del Naviglio Grande, che proveniva prevalentemente dai boschi situati lungo il Ticino ed il Naviglio, ed era venduta “a
misura” (4) o a peso. La legna da ardere era commerciata a fascine o a centinaia di fascine del peso di 18 libbre grosse ciascuna (5).
Come combustibile i documenti (6) menzionano fascine di rovere, ontano (onitia) e pioppo (pobia, pobieta) (7); come legname da costruzione il larice e la picea (8), sulle cui virtù si
soffermano anche Leon Battista Alberti (9) ed il Filarete (10). Ontano e rovere, invece, nei
medesimi trattati, vengono considerati in primo luogo materiali da costruzione, entrambi
adattissimi per pali e strutture di sostegno, l’uno nell’acqua, l’altro nel terreno (11).
La legna da ardere viene indicata nei documenti notarili (12) come gatina, oppure come
fassina, od anche come fassina reperata. Gatine (13) e fascine (14) potevano comunque essere verdi o secche (15); le fascine avevano sempre un prezzo corrispondente circa al doppio
rispetto a quello delle gatine; il motivo non è chiaro: poteva trattarsi forse di una diversa
105
qualità di legna, oppure dell’utilizzazione di unità di misura differenti (16); anche il prezzo
del trasporto per le gatine corrispondeva sempre alla metà (17) di quello delle fassine reperate. Quest’ultimo termine di solito accompagna il sostantivo fassina (18), quando è da
solo lo sottintende (19). Ne chiariscono in qualche modo il significato due decreti dell’Ufficio di Provvisione (20) in cui si menzionano «fassine ruporis siche religate ponderis
librarum XVIII, et reparate, videlicet ad curias suas» (cioè dei mercanti): il vocabolo
potrebbe allora indicare quelle fascine che erano state per un certo tempo immagazzinate nei depositi dei mercanti.
Quanto al termine redondonus o redondinus (21), di solito accompagnato dal genitivo
pezii (=di picea), o laricis, e utilizzato per il legname da costruzione, dovrebbe indicare
le «misure di legna tonda» (22) adatte a fare travi, pali ed opere di sostegno in genere,
come suggeriscono l’Alberti ed il Filarete (23), e contrapposte alle assides.
Il termine cantilium, infine, sempre riferito al legname da costruzione, allude, almeno
secondo la definizione del Cherubini (24), a qualcosa di simile al redondinus.
I prezzi
Se i documenti pubblici elencano sempre (25) i prezzi di ciascun tipo di legname includendovi anche il trasporto, dagli atti notarili è possibile invece spesso desumere i costi
del solo trasporto o del solo materiale. Su queste due componenti, la cui somma doveva
risultare inferiore od uguale alle mete imposte dall’Ufficio di Provvisione, è possibile
fare alcune considerazioni.
In primo luogo parrebbe di poter affermare che il prezzo della legna senza quello del
trasporto risultava inversamente proporzionale alla distanza del bosco da Milano: più il
bosco era lontano, meno costoso era il legname. Per le gatine, per le quali più numerosi
degli altri sono i documenti, il prezzo minimo di s. 7 è stato riscontrato a Riale e Torrazza, e di s. 8 a Castel Novate (26), mentre quello massimo di s. 20-22 il centenario per le
gatine che si trovavano già in città, nei depositi dei mercanti Michele de Ferrariis e
Santino de Moronis (27). Tale prezzo era giustificato ovviamente dal fatto che il trasporto
via terra fino al Ticino e per via fluviale attraverso il Ticino e il Naviglio Grande era già
avvenuto, oltre alle varie operazioni di carico e scarico della merce. Chi acquistava il
legname in città, dunque, insieme al vantaggio di averlo subito a disposizione, non
doveva sostenere tali spese, né i rischi connessi a queste operazioni (28), e nemmeno i
costi di magazzinaggio che pure sembrerebbero notevoli: l’affitto annuo di uno spazio
per il deposito della legna (curia a lignis) a porta Ticinese presso la Darsena o la conca
di Viarenna, infatti, superava spesso le 10 od anche le 20 lire annue (29).
Per tutti questi motivi il prezzo del legname acquistato in città era più elevato di quello
risultante dalla somma del costo della merce più quello del trasporto (30). Quanto a quest’ultimo, la sua incidenza aumentava col crescere della distanza, e contemporaneamente col crescere del valore della merce: il prezzo del trasporto da un medesimo luogo della legna reperata corrispondeva sempre al doppio di quello delle gatine (31), ed era anco106
ra superiore per altri tipi di legname, o per i manufatti già pronti per essere utilizzati
(travi ed assi di larice, cantilia, redondoni) (32).
L’organizzazione commerciale
La fornitura dei materiali da costruzione destinati alle grandi opere pubbliche cittadine
(in primo luogo il castello e l’Ospedale Maggiore) era demandata ad un’organizzazione
verticistica di mercanti che aveva il suo fulcro nell’appaltatore il quale, dopo aver ottenuto l’incarico in esclusiva dalla camera ducale, entrava in società con numerosi altri
imprenditori specializzati in grado di controllare tutto il processo produttivo, dalla
gestione della fornace (tramite salariati o mediante la commissione del lavoro ad artigiani autonomi) al trasporto dei laterizi in città (33).
Gli impianti erano infatti ubicati lontano dai centri abitati, ed in prossimità di importanti vie fluviali: quelli per la calce (34), che necessitava di un tipo di terra particolare, reperibile in Lombardia prevalentemente nella zona del Lago Maggiore e lungo il corso del
fiume Adda (35), erano disseminati lungo le rive del Lago Maggiore, a Pallanza, Angera
ed Arona, mentre le fornaci per la cottura dei mattoni si trovavano lungo il Naviglio
Grande (soprattutto nei pressi di Cusago (36), Vermezzo ed Abbiategrasso), e a Vigevano (37) lungo il corso del Ticino, in prossimità dei boschi dai quali proveniva in buona
parte la legna da ardere, che la produzione edilizia avviatasi nella seconda metà del
secolo XV divorava in quantitativi enormi.
Proprio per garantire un adeguato rifornimento di combustibile, l’accordo del 1464 tra la
camera ducale e l’appaltatore che aveva ottenuto l’esclusiva per la fornitura dei mattoni
per il castello prevedeva che per i quattro milioni di laterizi ad esso destinati venissero
utilizzate dodici delle fornaci situate lungo il Naviglio Grande (38), e ancora negli impianti
lungo il Naviglio Grande, in particolare nel territorio di Abbiategrasso e di Vermezzo (39),
in prossimità dei boschi della Valle del Ticino, facevano cuocere il materiale da costruzione i principali mercanti del settore, i de Cixate e i de Venzago. Le due famiglie mercantili di solito prendevano in affitto fornaci in cui facevano lavorare propri salariati fornendo loro gli utensili e la legna necessaria (40) che si procuravano acquistandola da un
commerciante di legname specializzato (41), oppure prendendo in affitto un bosco nei pressi della fornace (42), oppure ancora partecipando come soci di capitale a patti per lo sfruttamento dei boschi (43), Si accordavano quindi con i navaroli per il trasporto fino alle soste
cittadine di loro proprietà (44).
Della fornitura soprattutto della legna da ardere (45) necessaria a far funzionare le fornaci
dell’Ospedale Maggiore (46) si occupò in modo particolare Stefano de Cixate, richiedendone l’approvvigionamento a Gregorio Squassi (47) che avrebbe provveduto a far tagliare
un bosco di sua proprietà e a farne trasportare il legname fino alla sosta “Hospitalli
Magni”, a porta Romana, parrocchia S.Nazaro in Brolo (48).
Il commercio del legname veniva dunque effettuato dai mercanti di laterizi coordinatori
107
di tutto il processo produttivo, oppure da mercanti specializzati che agivano individualmente o con un socio che forniva il capitale (49), prendendo in affitto un bosco o acquistando la legna in piedi occupandosi poi di farla tagliare (50) e trasportare via terra (51) fino
al più vicino corso d’acqua e poi per via fluviale. I fratelli Domenico e Pietro Marinoni,
ad esempio, stipularono fra loro una società per il commercio della legna da ardere che
Domenico aveva acquistato in piedi «in buschis lavandarie comunitate de Induno et
Galbenti (?)» (52); Pietro avrebbe tenuto i conti della società e apportato un capitale di £.
400; Domenico, oltre alla legna, avrebbe fornito un capitale di £. 200 e il cortile per lo
scarico della merce in città. Il bosco sarebbe stato tagliato e il legname trasportato via
terra fino al Naviglio, a spese dei soci (53), i quali si accordarono poi con due navaroli per
il trasporto fluviale fino a Milano (54). La legna da ardere veniva poi rivenduta dai due
mercanti alle fornaci cittadine (55).
Se lo schema era generalmente questo (56), nulla impediva che il mercante acquistasse
anche legname già tagliato. Lo stesso Pietro Marinoni comprò, ad esempio, 200 centenari di mensure e remondate roporis del monastero di Morimondo dal navarolo Giovanni de Vedano (57) che si sarebbe occupato egli stesso del taglio, del carico e del trasporto.
L’acquisto del legname poteva avvenire anche molto tempo prima del taglio, o comunque con la possibilità di effettuare tale operazione progressivamente, in un periodo molto lungo: Ambrogio Marinoni, fratello di Pietro, comprò dal prevosto della chiesa di
S.Giorgio di Cuggiono tutto il legname “a terra supra” che fosse cresciuto nei boschi
della valle del Ticino nei cinque anni successivi (58); il taglio sarebbe avvenuto di volta in
volta, a seconda della necessità.
I navaroli
Il trasporto di legname e laterizi dal luogo di produzione a quello di utilizzazione o di
smercio veniva effettuato dai così detti “navaroli” che lavoravano su commissione dei
mercanti, coadiuvati da dipendenti, con barconi di loro proprietà, a remi o trainati da
cavalli.
Il fatto che un buon numero di questi trasportatori fosse in grado di impegnare somme
notevoli per l’acquisto dei barconi ne lascia intuire un’ottima condizione economica
derivante dalla possibilità di ottenere guadagni elevati con il commercio per via fluviale; molti di loro avevano anzi raggiunto lo status di mercanti, commerciando anche in
proprio.
Una ulteriore conferma dell’ottima situazione raggiunta da molti di coloro che effettuavano il trasporto di legname e laterizi per via fluviale è costituita da un documento
riguardante l’accordo, in forma privata, tra venti navaroli della parrocchia di San Lorenzo Maggiore a porta Ticinese, che si impegnarono a non trasportare legname e laterizi
per alcun mercante a prezzi inferiori a quelli da loro stabiliti con l’accordo in questione (59), e a non lavorare per alcun mercante che avesse debiti con uno qualsiasi di loro (60).
Patti di questo genere che contrappongono al ceto mercantile determinati gruppi di lavo108
ratori ricorrono, nei documenti notarili milanesi della seconda metà del ‘400, per quegli
artigiani che, per la disponibilità di capitali, l’esiguità numerica, o il notevole grado di
specializzazione, erano dotati di una forza contrattuale sufficiente ad imporre le proprie
condizioni ai mercanti (61). È probabile dunque che molti dei navaroli di porta Ticinese
avessero raggiunto uno status sociale elevato, e cercassero perciò di consolidare la propria posizione sia nei confronti dei mercanti di legname tradizionali, sia nei confronti di
quelli di laterizi. A conferma di ciò si può citare il caso di Passolo Beolco, navarolo di
porta Ticinese aderente al patto del 1453, che già nel 1452 aveva ottenuto dalla duchessa Bianca Maria Visconti la facoltà di vendere fino a 2000 centenari di legname al prezzo che gli fosse convenuto, e direttamente al compratore (62). Qualche anno dopo Passolo
risulta vendere ed acquistare legname (63) insieme al figlio Donato, il quale esercitò poi
esclusivamente l’attività di mercante (64).
Nella maggior parte dei casi non sembra però che le tariffe per il trasporto imposte con
l’accordo del 1453 siano state poi effettivamente praticate neppure dai navaroli di porta
Ticinese che vi avevano aderito. I compensi previsti dal tariffario risultano infatti di
solito superiori a quelli pattuiti dalle medesime persone nei rogiti per la fornitura di
legname (65). In un solo contratto (66), stipulato da due navaroli aderenti all’accordo del
1453 meno di due mesi dopo l’accordo stesso, la retribuzione corrisponde esattamente a
quanto previsto dal tariffario. Nel 1458 i medesimi navaroli ottennero invece condizioni
meno favorevoli (67).
Gli scaricatori/mediatori
Se dunque il trasporto delle merci veniva effettuato dai navaroli e dai loro dipendenti
per conto del mercante, il carico e lo scarico dei barconi era invece in genere di competenza del mercante stesso (68) che a tal fine doveva probabilmente assumere, forse con
accordi orali, lavoranti a giornata che trovava nel luogo in cui caricava il materiale e in
città. A questa categoria di scaricatori, le cui tracce sono pressoché inesistenti nella
documentazione d’archivio, fa riferimento esplicito un unico atto notarile. Si tratta della
costituzione di una società tra sette individui (69) che si impegnarono per due anni a «solicitare cum eorum personis, omnibus diebus et horis debitis et consuetis, ad exonerandum et ad marosandum ligna», dividendo guadagni e perdite. I soci avrebbero nominato uno di loro prior con la facoltà di impartire ordini agli altri per un mese. In caso di
infermità superiore ad una settimana, il socio ammalato non avrebbe partecipato alla
divisione dei guadagni. Ciascuno degli aderenti all’accordo, infine, era tenuto a presentarsi davanti al priore, presso il ponte di porta Ticinese o quello di Viarenna, «salvo
caso fortuito aut iusto impedimento». Chi non si fosse presentato non avrebbe percepito
alcun guadagno per quel giorno.
Il documento sembrerebbe dunque suggerire un primo tentativo di organizzazione (70) di
un gruppo di lavoratori a giornata che sostavano ordinariamente nei due punti principali del Naviglio Grande in città (il ponte di porta Ticinese e la conca di Viarenna), aspet109
tando di essere ingaggiati da qualche mercante per lo scarico di una navis e probabilmente anche per fare da mediatori tra il mercante stesso ed eventuali acquirenti, per lo
smercio almeno di una piccola parte del legname (71). Nel 1477 una società formata in
parte dalle medesime persone (72), designate questa volta soltanto come mediatori, ottenne il riconoscimento ducale. Già nel 1469, però, in seguito all’aumento dei prezzi della
legna da ardere, era stato severamente vietato effettuare mediazioni per quella che giungeva a Milano per via fluviale (73).
Nel 1488, in seguito all’aggravarsi della situazione, il Vicario di Provvisione proibì a
chiunque di fare da mediatore, per qualsiasi tipo di legna da ardere, decretando la nomina di otto probi viri ai quali era demandato il compito di misurare la merce e di scaricarla dai carri e dai barconi, e che avrebbero avuto una retribuzione di 3 denari il centinaio di fascine (74). Questi probi viri («numeratores lignorum») dovevano giurare solennemente che non avrebbero svolto mediazioni (75).
Le soste
Tutti i principali edifici pubblici cittadini in costruzione disponevano di una loro ‘sosta’
lungo il naviglio od uno dei fossati interni, dove venivano scaricati e custoditi il materiale edilizio, il legname e tutto quanto necessitava al cantiere.
Disponevano di una sosta il castello (76) e l’Ospedale Maggiore (77) per la cui costruzione
erano state allestite anche tre fornaci in loco (78), mentre i principali mercanti di legname
e laterizi, e in primo luogo le famiglie de Venzago e de Cixate, gestivano numerose soste
cittadine di loro proprietà (79).
I documenti sembrerebbero fare una distinzione tra le soste vere e proprie e gli spazi
per il deposito della legna (le curie a lignis, dette però talora soltanto «soste» (80)) anch’esse situate accanto al naviglio o ad un corso d’acqua, ma probabilmente destinate allo
scopo specifico di immagazzinare e soprattutto di custodire il legname, fatto, quest’ultimo, di non poca importanza in anni in cui la domanda di questo materiale era fortissima, sia per l’edilizia, sia per il riscaldamento domestico e per le fornaci, che in un
momento di intenso fervore edilizio come il secondo quattrocento ne divoravano quantitativi enormi (81), A differenza delle normali ‘soste’, le «curie a lignis» sembrerebbero
dunque più estese (82), e dotate talora di strutture (cassine) (83) in cui mettere sotto chiave il
materiale, o comunque ubicate in posizioni particolarmente protette in quanto circondate da «curie» o soste di altri mercanti, o confinanti con le mura cittadine, e naturalmente con l’acqua del Naviglio o della Darsena (84). In questi spazi poteva svolgersi anche la
vendita diretta del legname o dei laterizi (85).
Talora gli spazi destinati allo scarico e al commercio della legna potevano essere utilizzati anche per altre attività richiedenti l’utilizzazione di combustibile. Di questo genere la
sosta situata nel 1477 sul fossato di porta Vercellina, nella quale il proprietario svolgeva
anche il commercio del legname, destinandone parte alle esigenze della tintoria gestita dal
suo socio (86). Era consentito stendere nella sosta le pezze di fustagno tinte ad asciugare (87).
110
L’autorizzazione a realizzare soste lungo i corsi d’acqua era di competenza ducale (88),
sia perché il duca era proprietario degli spazi che davano sui fossati (89), sia perché spesso queste strutture confinavano con le mura cittadine che potevano essere danneggiate
da eventuali lavori per consentire l’accesso (90). Nonostante ciò, l’apertura di pusterle
nella cinta muraria per le necessità delle soste, divenne pratica comune e sempre più
diffusa negli ultimi decenni del Quattrocento, tanto da provocarne un progressivo logorio e da accelerarne il degrado (91).
La politica ducale
I problemi che interessavano il commercio del legname nella seconda metà del Quattrocento, e l’atteggiamento dell’autorità pubblica a tale proposito sono ben documentati da
un registro inedito dell’Ufficio di Provvisione (92) che sembra far riferimento in modo particolare, se non esclusivamente, alla legna da ardere. Ne emerge, soprattutto per gli anni
successivi al 1458, il quadro di una grave carenza di questo combustibile (93), insieme ad
una parziale consapevolezza delle cause che l’avevano provocata (la riduzione a campi
di molti boschi) (94), e soprattutto delle conseguenze che da essa erano già derivate: aumento eccessivo dei prezzi, frodi, difficoltà per i «pauperes homines» di procurarsi il combustibile con cui riscaldarsi durante l’inverno (95). Quest’ultimo elemento sembra anzi ricorrere in modo quasi ossessivo, forse per il timore che potesse provocare malcontento e
sommosse: come conseguenza della penuria di legna da ardere, infatti, non viene mai
lamentata una difficoltà di approvvigionamento delle fornaci, che pure dovevano essere
responsabili in buona parte della situazione, e richiedere un quantitativo di combustibile
sicuramente superiore a quello consumato dai «pauperes homines» di Milano. L’approvvigionamento delle fornaci e la produzione dei laterizi spettavano infatti ai mercanti, sui
quali ricadevano le sanzioni nel caso in cui non avessero ottemperato agli obblighi previsti dal contratto di appalto stipulato col duca (96). All’Ufficio di Provvisione importava soltanto che a Milano ci fosse legna da ardere a sufficienza e ad un prezzo equo.
I provvedimenti presi dall’autorità pubblica per cercare di ovviare a questo stato di cose
si possono ricondurre a tre linee fondamentali tutte miranti ad evitare una ulteriore lievitazione dei prezzi: 1) i reiterati tentativi di accordo con i mercanti; 2) il divieto assoluto a
chiunque di effettuare mediazioni; 3) la proibizione di rivendere la legna giunta a Milano
per via fluviale e di scaricare prima della vendita quella trasportata in città via terra.
Per quanto concerne il primo punto, i rapporti dell’Ufficio di Provvisione coi mercanti
appaiono volti, da un lato ad evitare le frodi, dall’altro ad imporre un calmiere ai prezzi,
infine a garantire la costante presenza in città di un quantitativo di legna da ardere sufficiente alle esigenze della popolazione. A questo proposito in particolare va ricordata la
norma, più volte ribadita, che imponeva ai mercanti di avere sempre nei propri depositi
una scorta di fascine secche da vendere presumibilmente al minuto (97). A scongiurare frodi erano tese invece la prescrizione di non vendere a numero la legna che andava venduta
111
‘a misura’ (98), quella secondo la quale le fascine secche avrebbero dovuto pesare 18 libbre (99), quella infine che vietava ai mercanti di mescolare legna di diverso tipo (100). Per
quanto riguarda poi la regolamentazione dei prezzi, oltre ai generici calmieri che imponevano tariffe determinate per ogni tipo e quantitativo di legna venduta (101), peraltro con
scarsi risultati (102), veniva stabilita anche la possibilità per i mercanti di vendere le fascine
di rovere al minuto «in eorum curiis» ad un prezzo (d. 9/11 ciascuna) leggermente superiore a quello di vendita all’ingrosso (103). Era inoltre prevista sempre la consegna a casa
del compratore (104), almeno per quantitativi superiori alle 4 fascine (105), se ciò non fosse
avvenuto, il prezzo avrebbe dovuto essere diminuito di s. 8 il centinaio di fascine (106). Particolarmente interessante appare poi la rigorosa regolamentazione della vendita al minuto, perchè, enumerando le diverse componenti sociali dalle quali era effettuata (mercanti,
ma anche revenditores e posterii), ed il modo in cui avveniva (107), offre uno spaccato vivace della vita quotidiana nella Milano quattrocentesca. La vendita delle singole fascine
poteva essere effettuata, come accennato, dai mercanti «in eorum curiis» (108), oppure, allo
stesso prezzo (d. 9/11 per fascina), agli «zoreti sive portatores euntes per civitatem» (109),
che avrebbero provveduto a smerciare la legna di casa in casa; oppure ancora ai posterii
che rivendevano al minuto la legna da ardere in luoghi fissi (110). Questi ultimi, a loro volta, potevano rivenderla con un guadagno di non più di 2 denari per fascina (111).
Veniva infine concesso ai mercanti che avevano le curie in città di vendere al minuto le
fascine di quercia ad un denaro in più rispetto a coloro che avevano il deposito fuori città (112).
Ancora a proposito dei rapporti tra l’Ufficio di Provvisione ed i mercanti, bisogna sottolineare la volontà dell’autorità pubblica di dichiarare in continuazione il consenso della
controparte ai provvedimenti presi. Così, i calmieri del 1458 e del 1464 (113) furono imposti, affermavano il Vicario e i Dodici, «habito prius multotiens coloquio cum mayori et
saviori parte ipsorum mercatorum concurentium amicabiliter et concorditer» (114), e
«auditis prius etiam per eos ipsos mercatores et eorum motivis et omnibus hiis que
super hoc dicere voluerunt» (115). Ugualmente nel 1476 e nel 1489 (116), poiché i mercanti
si lamentavano di non riuscire a rispettare le mete decretate dall’Ufficio di Provvisione
e di non poter vendere senza frodi (117), fu dapprima concesso loro l’aumento dei prezzi
di vendita dei «redondini ruporis» (s. 52 il centenario), e dei «redondini onizie» (s. 48 il
centenario) (118), in un secondo momento vennero esortati a mettere per iscritto le loro
richieste (119). Esse giunsero quasi immediatamente (120), ed il Vicario e i Dodici le esaudirono in buona parte. Stabilirono cioè che i forestieri, se non fossero riusciti a vendere la
legna prima di scaricarla, dovessero sottostare alle norme alle quali erano soggetti i
mercanti milanesi, sia che la vendessero al minuto, sia che la vendessero all’ingrosso (121); concessero un leggero aumento per le fascine di quercia e di ontano (122); permisero di tenere mescolati nei depositi dei mercanti i redondini di minor misura (123); ridussero da 3 ad 1 lira a fascina la multa per chi avesse frodato sul peso (124).
Infine, all’inizio del 1490 (125), data la penuria di fascine secche, fu concesso ai mercanti
di legare insieme le fascine secche e quelle verdi.
112
Al proposito di evitare un aumento dei prezzi va ricondotto anche il divieto di effettuare mediazioni, a cui si è già accennato (126). Allo stesso scopo era volta la proibizione ai
mercanti ed ai rivenditori di acquistare per rivendere la legna da ardere giunta a Milano
per via fluviale (127), ed in seguito quella portata a Milano dai mercanti forestieri in genere, «tam cum navibus quam cum plaustris» (128).
Connesso ai precedenti e con lo stesso fine era anche il terzo tipo di provvedimento
ripetuto più volte dall’autorità pubblica: si trattava del divieto di scaricare prima di
averla venduta la legna da ardere trasportata a Milano «super plaustris aut equis» (129). Il
motivo, come è detto esplicitamente in un documento del 1492 (130), era quello di evitare
le incette, aventi come conseguenza un aggravio della penuria di legna da ardere, ed
ulteriori aumenti di prezzo. Molti infatti avevano l’abitudine di scaricarla ed accumularla nelle loro ‘poste’, vendendola poi «eo pretio che li pare, cossa che cade in grave
metura de li poveri homini de questa cita» (131). Dal 1493 il provvedimento fu esteso
anche alla legna detta ‘forestiera’ che arrivava in città per via fluviale, con l’obbligo di
notifica all’Ufficio di Provvisione nel caso in cui, trascorsi tre giorni, non fosse stato
possibile venderla senza scaricarla; il Vicario avrebbe quindi stabilito le modalità ed i
prezzi di vendita (132).
In questo caso l’Ufficio di Provvisione si dimostrava preoccupato anche «de variis et
diversis maliciis, fraudibus et inconvenientiis que in dies comittuntur in modis et formis
vendendi eiuscemodi ligna, aliqua vice breviori longitudine, aliqua subtiliori debito et
solito ac ordinato per publica ebdita modo, aliqua leviori pondere, aliqua sine pondere,
et dulcia pro fortiis sive fortibus, et aliis diversis modis» (133). Per scongiurare il più possibile tali frodi, veniva anche prescritto ai forasterii di disporre la legna sulle navi in
gruppi di uguale grandezza e lunghezza, in modo che gli acquirenti potessero rendersi
ben conto di ciò che compravano (134).
NOTE
(1)
Sul commercio del legname: PH. BRAUNSTEIN, De la montagne à Venise: les réseaux du bois au
XVe siècle, «Mélanges de l’école francaise de Rome», 100 (1988), pp. 761-798; E. ROVEDA, I
boschi nella pianura lombarda del ‘400, «Studi Storici», 30 (1989), pp. 1013-1030; PH. BRAUNSTEIN, Il cantiere del Duomo di Milano alla fine del XIV secolo: lo spazio, gli uomini e l’opera, in
Ars et ratio. Dalla torre di Babele al ponte di Rialto, Sellerio 1990, pp. 147-164; S. DELLA TORRE,
I. GIUSTINA, Documenti notarili per la storia del cantiere seicentesco, in La Ca’ Granda di Milano. L’intervento conservativo sul cortile richiniano, Milano 1993, pp. 109-125; P. BOUCHERON, Le
pouvoir de bâtir: urbanisme et politique edilitaire à Milan, XIV-XV siècles, Rome, Ecole Française de Rome, 1998, passim. Più numerosi si sono rivelati invece i lavori su tali temi riferiti ad altre
zone italiane ed europee. Per il legname si vedano in particolare gli atti del Convegno dell’Istituto
Datini tenutosi nel 1995 (L’uomo e la foresta (secc. XIII/ XVIII), a cura di S. CAVACIOCCHI, Firenze 1996), i numeri 49 (1982) e 86/87 (1994) della rivista «Quaderni Storici» e M. AGNOLETTI,
113
E. TOGNOTTI, A. ZANZI SULLI, Appunti per una storia del trasporto del legname in Val di Fiemme,
«Quaderni Storici», 62 (1986), pp. 491-504; K. OCCHI, Boschi e mercanti. Traffici di legname tra
la contea di Tirolo e la Repubblica di Venezia (secoli XVI-XVII), Bologna 2006. Sul legno in genere: Civiltà del legno. Per una storia del legno come materia per costruire dall’antichità ad oggi, a
cura di P. GALLETTI, Bologna 2004. Sul bosco e sul legname in genere: G. CHERUBINI, Il bosco in
Italia tra il XIII ed il XVI secolo, in ID., Il lavoro, la taverna, la strada. Scorci di Medioevo, Napoli 1997, pp. 95-114.
(2)
I Registri dell’Ufficio di Provvisione e dell’Ufficio dei sindaci sotto la dominazione viscontea, a
cura di C. SANTORO, Milano 1929, 16/128, 1433 nov. 30.
(3)
Ibid., 15/31, 1407 nov. 22; 16/86, 1423 febb. 27; 16/128, 1433 nov. 30.
(4)
Archivio di Stato di Milano (ASMi), Notarile, G. Bonderio e T. Cesati, passim. A tale proposito
gli statuti di Milano del 1396 affermavano: «ligna de mensura sint et esse debeant brachiorum II
et spane in longitudine ad minus ad brachium de lignamine....; item quod mensura lignorum levata sit brachiorum II in longitudine, tam de ante quam de retro”: Archivio Storico Civico (ASC),
Statuta Mediolani 1396, Antonius Suardus 1480, f. 170 r.).
(5)
1 libbra grossa = kg.0,7625; 1 fascina= 18 libbre grosse= kg.13,72 (L. CHIAPPA MAURI, Le merci
di Lombardia. Le produzioni agricole e agroalimentari, in Commercio in Lombardia, a cura di G.
TABORELLI, Milano 1986, I, p. 142); 1 centenario o fasso milanese = kg.76,25 (ROVEDA, I boschi,
cit. n. 1, p. 1026). Nei documenti riguardanti il legname si parla però di centinaia di fascine, cioè
di gruppi di 100 fascine del peso di 18 libbre grosse ciascuna se secche e 22 libbre grosse ciascuna se verdi (ASC, Dicasteri, cart. 219, passim e CHIAPPA MAURI, Le merci di Lombardia, cit., p.
142) Un centenario dovrebbe perciò corrispondere in questo caso a q. 13,72 (nel caso delle fascine di 18 libbre) o a q. 16,77.
(6)
Questi tipi di legname sono menzionati sia nei documenti notarili, sia nelle delibere dell’Ufficio di
Provvisione (ASC, Dicasteri, cart. 219).
(7)
dal milanese oniscia (F. CHERUBINI, Vocabolario milanese-italiano, Milano 1839
[rist. anast. Milano 1968]); pioppo=pobbia (ibid.)
(8)
In latino medioevale pizium o pezium (ASMi, Notarile, passim).
(9)
L.B. ALBERTI, L’Architettura, trad. di G. Orlandi, Milano, 1989, p. 64 ss.
(10)
A. AVERLINO detto il FILARETE, Trattato di architettura, testo a c. di A.M. FINOLI, intr. e note a
cura di L. GRASSI, Milano 1972, p. 79: «ecci ancora un’altra spezie di legname il quale si chiama
pesce, e pure fa ancora lui licore il quale si chiama trementina. Questo non è così forte legname,
ma pure se n’adopera assai a fare asse e tavole e molti altri lavori». In base a queste caratteristiche, potrebbe trattarsi del peccio o abete rosso, oppure del pino selvatico che da Plinio e da Virgilio era appunto designato col termine picea (F. CALONGHI, Dizionario della lingua latina, Torino
1951; L. FENAROLI, Guida agli alberi d’Italia, Firenze 1989).
(11)
ALBERTI, L’Architettura, cit. n. 9, pp. 64-65; AVERLINO, Trattato, cit. n. 10, pp. 78-79.
(12)
Si tratta sia dei rogiti notarili, sia delle delibere dell’Ufficio di Provvisione (ASC, Dicasteri, cart.
219).
(13)
Nei rogiti notarili sono designate talora come «gatine a focho».
(14)
Le fascine potevano essere di rovere, ontano o pioppo (I registri dell’Ufficio di Provvisione, cit. n.
2; ASC, Dicasteri, cart. 219, passim).
(15)
Ibid., 16/190, 1447 dic.12.
(16)
Le fascine dovevano infatti pesare, secondo alcune prescrizioni dell’Ufficio di Provvisione, 18
114
libbre grosse, cioé kg.13,72, ciascuna (ASC, Dicasteri, cart. 219, passim); un’altra delibera parla
invece di gatine secche del peso di 6 libbre per fascina (I registri dell’Ufficio di Provvisione, cit.
n. 2, 16/190, 1447 di c. 12).
(17)
ASMi, Notarile, cart. 963, 1452 febb. 5; cart. 964, 1453 magg. 3; cart. 971, 1463 apr. 23; cart.
971, 1464 mar. 22; cart. 973, 1467 febb. 7; cart. 1478, 1471 dic. 13. Si veda inoltre il tariffario dei
navaroli riportato in appendice (ASMi, Notarile, cart. 963, 1453 febb. 12).
(18)
ASMi, Notarile, G. Bonderio e T. Cesati, passim; ASC, Dicasteri, cart. 219, passim.
(1)9
Il termine gatine da solo è utilizzato soprattutto nei rogiti notarili.
(20)
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1458 magg. 10 e 1458 magg. 18.
(21)
Redondonus o redondinus: ASMi, Notarile, cart. 1472, 1462 apr. 9, 1462 ag. 16; cart. 1473, 1464
nov. 12, 1466 genn. 11, 1466 giu. 4, 1467 magg. 9; cart. 1477, 1470 sett. 12, 1471 genn. 2; cart.
1478, 1471 dic. 13, 1472 giu. 28.
(22)
CHIAPPA MAURI, Le merci di Lombardia, cit. n. 5, pp. 140-144. Il Cherubini definisce il termine
redondin come “rondello”.
(23)
ALBERTI, L’Architettura, cit. n. 9, pp. 64-65; AVERLINO, Trattato, cit. n. 10, pp. 78-79.
(24)
Cantilium potrebbe derivare dal milanese cantir, cioé “legno lungo, tondo, diritto, per ponti da
fabbriche (CHERUBINI, Vocabolario, cit. n. 7).
(25)
I registri dell’Ufficio di Provvisione, cit. n. 2; ASC, Dicasteri, cart. 219, passim.
(26)
ASMi, Notarile, cart. 965, 1454 genn. 19 (Riale e Torrazza); cart. 1473, 1464 febb. 27 (Castel
Novate).
(27)
ASMi, Notarile, cart. 1473, 1463 giu. 17; cart. 1478, 1471 ott. 18.
(28)
Nei contratti per la locazione di navi si vietava talora di portarle nel Ticino, e si prevedeva che, in
caso di naufragio, le spese fossero a carico del locatario.
(29)
ASMi, Notarile, cart. 1473, 1463 genn. 21: Michele de Cixate prende in affitto una “curia a lignis”
e 2 “cassi domus” sulla Darsena a £. 14 annue; 1463 genn.11: Stefano de Cixate prende in locazione una “curia magna” larga 30 braccia, sulla Conca di Viarenna, a £. 22 s. 5 annui; 1464 magg.
23: locazione di una curia con cassina sulla Darsena a £. 5 per 6 mesi; cart. 1474, 1466 mar. 3,
locazione di una curia nello stesso luogo «quanta et quanto est sufficiens pro ponendo meddas
duas lignorum», a £. 9 annue; cart. 1475, 1467 febb. 4: locazione di una curia a porta Romana
(p.R.) parrocchia, S. Nazaro in Brolo a s. 12 per ogni “sgiapata lignorum” scaricata; cart. 1476,
1468 apr. 26: Ambrogino de Ferariis q. Giovanni prende in affitto una curia a porta Ticinese (p.T.)
parrocchia S. Lorenzo Maggiore intus per £. 32 annue; cart. 1479, 1472 nov. 16: locazione di una
curia sulla Darsena a £. 14 annue.
(30)
ASMi, Notarile, cart. 1473, 1463 giu. 17, 1466 giu. 4; cart. 1477, 1470 magg. 21; cart. 1478, 1471
ott. 18.
(31)
Risulta dal tariffario dei navaroli (ASMi, Notarile, cart. 963, 1453 febb. 12), ma anche da tutti i
pacta per il trasporto di legname reperiti nei rogiti notarili (ASMi, Notarile, G. Bonderio e T.
Cesati, passim).
(32)
ASMi, Notarile, cart. 1479, 1474 apr. 9.
(33)
Per l’organizzazione produttiva del settore si rimanda a: M.P. ZANOBONI, Il commercio del legname e dei laterizi lungo il Naviglio Grande nella seconda metà del ‘400, «Nuova Rivista Storica»,
LXXX, 1996, pp. 87-118, e in EAD., Produzioni, commerci, lavoro femminile nella Milano del XV
secolo, Milano 1997.
115
(34)
Sulla produzione di calce : L. FIENI, Le calci Lombarde. Produzione e mercati dal 1641 al 1805,
Firenze 2000.
(35)
AVERLINO cit. n. 10, p. 65. Per la costruzione di S.Maria delle Grazie, ad esempio, veniva utilizzata calce proveniente dalla Val Travaglia, nei pressi del Lago Maggiore (ASMi, Notarile, cart.
1477, 1468 genn. 26).
(36)
Sulla fornace di Cusago: BOUCHERON, Pouvoir de bâtir, cit. n. 1, pp. 482-483.
(37)
A Vigevano ben 1500 persone lavoravano nelle fornaci nel 1463 e la loro attività era ricercata e
tenuta in grande considerazione in tutta Italia, fino al Regno di Napoli, e persino nel sud della
Francia (BOUCHERON, Pouvoir de bâtir, cit. n. 1, pp. 487-488). Si veda anche: P. MAINONI,
“Viglaebium opibus primum”. Uno sviluppo economico nel Quattrocento lombardo, in Metamorfosi di un borgo. Vigevano in età visconteo-sforzesca, a cura di G. CHITTOLINI, Milano 1992,
pp. 193-266.
(38)
ASMi, Notarile, cart. 1473, 1464 genn. 5. Il documento è stato trascritto per intero in ZANOBONI,
Il commercio del legname e dei laterizi, cit. n. 33, pp. 77-78, 113-115.
(39)
Fornaci in cui si svolgeva la produzione dei de Venzago: Fagnano, pieve di Rosate (ASMi, Notarile, cart. 1470, 1454 magg. 20); Vermezzo, pieve di Rosate (cart. 965, 1455 febb. 25; cart. 1470,
1455 febb. 3, 1455 giu. 28, 1459 dic. 31); Abbiategrasso (cart. 1470, 1455 febb. 8). Fornaci in cui
si svolgeva la produzione dei de Cixate: Abbiategrasso (cart. 964, 1452 apr. 14; cart. 1470, 1456
apr. 1, 1458 febb. 8; cart. 1471, 1459 febb. 10, 1459 febb. 20); Robecco, (cart. 1471, 1459 magg.
4); Magenta (cart. 1471, 1479 magg. 26); Ronchetto Inferiore (cart. 962, 1450 apr. 17); Lonate
(cart. 1470, 1454 giu. 15).
(40)
ASMi, Notarile, cart. 962, 1450 apr. 17; cart. 963, 1451 apr. 23; cart. 966, 1455 febb. 25; cart.
1470, 1455 febb. 3; 1456 apr. 1; cart. 1471, 1459 genn. 20, 1459 apr. 14; 1459 magg. 4, 1459 dic.
31, 1461 genn. 28.
(41)
ASMi, Notarile, cart. 964, 1452 febb. 5; cart. 965, 1453 magg. 30, 1454 magg. 16; cart. 966, 1457
giu. 25; cart. 969, 1461 apr. 27, 1461 magg. 23; cart. 973, 1466 giu. 25; cart. 974, 1467 ott. 23;
cart. 976, 1471 genn. 5; cart. 1470, 1455 dic. 18; cart. 1471, 1460 genn. 7, 1460 genn. 31; 1461
mar. 15, 1461 mar. 23, 1461 mar. 18, 1461 apr. 10; cart. 1472, 1462 ag. 16; cart. 1473, 1462 sett.
10, 1462 dic. 23, 1463 genn. 22, 1463 magg. 5, 1463 ag. 30, 1463 nov. 11, 1464 febb. 27, 1465
nov. 16; cart. 1475, 1467 febb. 18, 1467 magg. 9, 1467 magg. 27, 1468 nov. 18, 1469 giu. 19;
cart. 1477, 1470 sett. 12 e passim.
(42)
Giovanni de Cixate f. Simone, ad esempio, prese in affitto dall’abate di S. Celso una fornace a
Ronchetto Inferiore (ASMi, Notarile, cart. 962, 1450 apr. 17), e contemporaneamente (ibid.) un
bosco di 125 pertiche situato accanto alla fornace. Sempre nello stesso giorno (ibid.) si accordò
con Antonio de Ruschonibus e Ambrogio de Lambro perché andassero a lavorare, l’estate successiva, come salariati, nella fornace da lui presa in locazione. Un anno dopo Antonio de Ruschonibus promise al de Cixate che avrebbe lavorato, con le stesse modalità, ma con salario inferiore (s.
30 d. 6 anziché s. 34 il migliaio di mattoni), nella fornace di Mirasole (cart. 963, 1451 apr. 23). In
entrambi i casi Antonio risulta indebitato con Giovanni.
(43)
Una società di questo tipo fu stipulata ad esempio tra Michele de Cixate q. Simone, il mercante di
legname Donato de Bebulcho, Maffeo de Magistris q. Giacomo ed il tintore Zanino de Henrigonibus, per lo sfruttamento di un bosco sito a Borgomanero. I quattro, che avevano preso in precedenza accordi orali con gli agentes del comune di Borgomanero, stabilirono che Zanino avrebbe
provveduto al taglio ed al trasporto, mentre gli altri tre soci avrebbero versato un anticipo per le
prime spese (cart. 1472, 1462 ott. 2).
116
(44)
ASMi, Notarile, cart. 963, 1452 febb. 5; cart. 964, 1453 apr. 6, 1453 magg. 3; cart. 971, 1463 apr.
23; cart. 971, 1464 mar. 22; cart. 973, 1467 febb. 7; cart. 1478, 1471 dic. 13.
(45)
La legna da ardere viene di solito designata come gatina (ASMi, Notarile, G. Bonderio e T. Cesati, passim). Si veda il paragrafo relativo al legname.
(46)
Per la costruzione dell’Ospedale Maggiore furono allestite tre fornaci sul luogo (S. RIGHINI PONTICELLI, A. DI SILVESTRO, L’Ospedale Maggiore dalla seconda metà del ‘400 all’inizio del ‘600, in
La Ca’ Granda di Milano, cit. n. 1), ma molto più numerose erano quelle che operavano fuori
città, come si è accennato, soprattutto lungo il Naviglio Grande. Le fornaci di Vermezzo, Albairate e Fallavecchia rifornivano il cantiere dell’Ospedale ancora nel Seicento, come è stato rilevato
attraverso l’analisi del «mastro Carcano» (DELLA TORRE, GIUSTINA, Documenti notarili, cit. n. 1,
pp. 109-125).
(47)
ASMi, Notarile, cart. 1472, 1461 mar. 15: Gregorio de Squassis q. Giovanni si impegna a consegnare a Stefano, «super rippam et seu sostam Hospitalli Magni Mediolani, et ad dictum Hospitallem, centenaria milletregentumtriginta gatinarum» a s. 18 il centenarium, da scaricare a spese di
Gregorio; 1461 mar. 23.
(48)
Ibid.
(49)
E. Roveda ricorda ad esempio, una società stipulata nel 1492 tra Giacomo de Campo e Giovanni
Pozzobonelli per lo sfruttamento del bosco di Villoreggio appartenente al conte Francesco Torelli:
il legname era stato acquistato per £. 3200 dal Pozzobonelli che aveva poi assunto come socio il
de Campo. Quest’ultimo era partecipe per un terzo dei guadagni, e avrebbe dovuto provvedere a
far tagliare, carreggiare e vendere il legname (ROVEDA, I boschi, cit. n.1).
(50)
Roncare = tagliare (ibid.).
(51)
ASMi, Notarile, cart. 1474, 1464 ott. 19: i mercante Donato de Bebulcho ed il suo socio si impegnano a pagare “carizatores qui carezabunt et carezium”.
(52)
ASMi, Notarile, cart. 964, 1453 febb. 8.
(53)
Ibid. Sui metodi di trasporto del legname via terra: AGNOLETTI, TOGNOTTI, ZANZI SULLI, Appunti
per una storia, cit. n. 1.
(54)
ASMi, Notarile, cart. 964, 1453 apr. 6, 1453 magg. 3; cart. 968, 1458 nov. 27: Pietro de Marinonis richiede il trasporto a Giovanni de Aliate e Antonio de Banfis con 2 naves; nel 1460 (cart. 968,
1460 genn. 19) Domenico cedette al fratello la restante legna del “bosco della lavandaia” a lui
spettante. Nel 1463 troviamo Pietro de Marinonis ed il fratello Ambrogio ancora impegnati nel
commercio del legname (cart. 971, 1463 mar. 15, 1463 apr. 23, 1463 apr. 30), Domenico risulta
invece «incantator datii cathene seu reperationis Navigii» (cart. 970, 1461 nov. 27).
(55)
ASMi, Notarile, cart. 973, 1466 febb. 18; cart. 974, 1467 ott. 23: si tratta della fornace di S. Cristoforo.
(56)
ASMi, Notarile, cart. 1475, 1466 ag. 23; 1466 nov. 7; cart. 975, 1469 mar. 13.
(57)
Giovanni de Vedano f. Guidolo, abitante a Cuggiono, bosco «de la Braida» a Galliate (ASMi,
Notarile, cart. 968, 1458 ott. 7). Ugualmente, come già accennato, Ambrogio de Marinonis, fratello di Pietro, acquistò legname già tagliato da Giovanni de Mandello q. Francesco, impegnandosi a
farlo trasportare (cart. 1474, 1465 ott. 12).
(58)
ASMi, Notarile, cart. 971, 1463 dic. 9.
(59)
ASMi, Notarile, cart. 963, 1453 febb. 12 (il documento è stato trascritto in appendice): «primo
quod nullus navarolus ex predictis non possit nec debeat conducere aliqua ligna pro minori pretio
infrascripto», pena la multa di £. 10 per ogni viaggio.
117
(60)
Ibid.: «Item pacto quod, si aliquis predictorum navarolorum habere deberet et seu contingeret aliquam quantitatem denariorum ab aliquo merchatore, quod aliter nec alii possint nec debeant ire
ad laborandum cum dicto merchatore debitore si notificatum fuerit ante quam ei satisfactum fuerit
de dicta sua mercede et credito, sub predicta pena...».
(61)
Si trattava in particolare dei tessitori di lana, dei follatori di berretti, dei traversatori e dei filatori di
seta. A tale proposito si rimanda a M.P. ZANOBONI, Artigiani, imprenditori, mercanti. Organizzazione del lavoro e conflitti sociali nella Milano sforzesca (1450-1476), Firenze 1996.
(62)
I registri delle lettere ducali del periodo sforzesco, a cura di C. SANTORO, 1/132, 1452 nov. 23.
(63)
ASMi, Notarile, cart. 966, 1455 magg. 13: Passolo de Bebulcho vende al mercante Giacomo de
Campo 500 centenari di gatine; cart. 1470, 1455 giu. 11: acquista legna a s. 43 il centenario; cart.
967, 1457 febb. 18: nomina un procuratore per la vendita del legname che si trovava nella grangia
di Morimondo; cart. 967, 1457 magg. 7: acquista 200 centenari di fassine e reperate e 300 centenari di gatine in meda a Corsico, oltre a 100 centenari di regondini e 100 di fassine già in navi,
pagando subito £. 400; cart. 1470, 1455 giu. 11: acquista legname; cart. 966, 1455 magg. 13: vende legname; cart. 1471, 1459 genn. 20: vende legna per £. 150.
(64)
Donato de Bebulcho f. Passolo, nel 1459 acquistò legname dall’abbazia di Morimondo (E. ROVEDA, I boschi nella pianura lombarda del ‘400, «Studi Storici», 30, 1989, pp. 1013-1030); il 2 ottobre 1462 costituì una società col tintore Zanino de Henrigonibus q. Merzino, col mercante di laterizi Michele de Cixate f. Simone e con Maffeo de Magistris q. Giacomo per lo sfruttamento di un
bosco a Borgomanero (ASMi, Notarile, cart. 1472): i soci, che avevano acquistato insieme il
bosco dal comune di Borgomanero, si impegnarono a fornire degli anticipi a Zanino che avrebbe
provveduto a far tagliare il bosco e far trasportare il legname; guadagni e perdite sarebbero stati
divisi in parti uguali tra i quattro soci. Il 15 marzo 1463 (cart.971) prese in affitto dal mercante
Pietro de Marinonis q.Nicola una curia presso S. Lorenzo ed una sosta sita «in fosso civitatis
Mediolani iuxta dictam curiam», confinante con la sosta dei de Venzago e con quella di Cristoforo
de Molteno; il 19 ottobre 1464 (cart. 1474), insieme al ‘navarolo’ Giovan Pietro de Manzolis q.
Lorenzo (di cui si dirà più oltre), Donato si impegnò a consegnare a Giovanni de Comitibus e a
Martino de Lissis tutte le fascine tagliate nel bosco di Rovagnasco a £. 40 grosse il centenario:
Donato e G.Pietro avrebbero provveduto al taglio e a far carezare il legname.
(65)
ASMi, Notarile, cart. 971, 1463 apr. 23: navarolo = G. Pietro de Manzolis, tariffa per il trasporto
fino a Milano dal tratto compreso fra il ponte di Padregnano e Cuggiono: s. 7 le reperate e s. 3 e
mezzo le gatine, anziché s. 9 e s. 4 e mezzo previsti dal tariffario; cart. 1474, 1465 sett. 17: navarolo Ambrogio de Udrugio, fratello del navarolo Ardighino aderente al tariffario, tratto BoffaloraMilano, per le gatine s. 3 o s. 3 d. 6 (a seconda che fossero scaricate «in burgis Mediolani» o «in
fossato Mediolani»), invece dei s. 4 previsti dal tariffario.
(66)
ASMi, Notarile, cart. 964, 1453 magg. 3: i navaroli erano Antonio de Banfis e Giovanni de Aliate,
entrambi aderenti all’accordo del 12 febbraio 1453.
(67)
ASMi, Notarile, cart. 968, 1468 nov. 27: da Turbigo a Milano: s. 8 il centenario le reperate e s. 4
le gatine, invece di s. 10 e s. 5; per il tratto compreso tra Boffalora e Robecco, fino a Milano: s. 6
le reperate e s. 3 le gatine, invece di s. 8 e s. 4.
(68)
ASMi, Notarile, G. Bonderio e T. Cesati, passim; il carico dei laterizi o del legname sui barconi
era di solito di competenza di chi produceva il materiale edilizio e di chi organizzava il taglio del
bosco, come dimostra l’obbligo, che ricorre in tutti i documenti, di consegnare tali merci «onerate
in navi» (o «in navi») presso il luogo di produzione. Ugualmente lo scarico dei barconi spettava ai
mercanti che avevano commissionato la fornitura: ciò è detto molto chiaramente in un rogito per il
118
trasporto di legname da Oleggio a Milano: il navarolo non era tenuto allo scarico del barcone,
onere di cui si incaricava il mercante, impegnandosi ad assoverlo nel minor tempo possibile (cart.
1479, 1474 apr. 9).
(69)
ASMi, Notarile, cart. 975, 1468 ag. 1: si trattava di: Donato de Breno f. Zino, G. Antonio de
Peraxosiis q. Nicola, Donato de Putheo q. Arasmino, Martino de Turbaxio q. Pietro, Taddeo Gariboldus q. Giorgio, Leonardo de Baldironibus q. Riccardo, Cristoforo de Banfis q. Giovanni.
(70)
Per altri tentativi di questo genere: ZANOBONI, Artigiani, cit. n. 61; EAD., I Salariati nel medioevo,
“Guadagnando bene e lealmente il proprio compenso fino al calar del sole”, con introduzione di
F. Franceschi e M.S. Mazzi, Ferrara 2009 (Collana “L’altra storia/Medioevo – manuali” diretta da
Maria Serena Mazzi: www.nuovecarte.net).
(71)
Si trattava probabilmente della vendita al minuto a privati cittadini, in quanto lo smercio di grandi quantitativi di legname per le fornaci o per uso edilizio sembrerebbe avvenire di solito con
accordi che precedevano il taglio del bosco, data la necessità di trasportare il legname direttamente nel luogo in cui veniva utilizzato. Nulla impedisce comunque che i primi abboccamenti tra i
mercanti di legname, quelli di laterizi, i gestori di fornaci, e forse anche i proprietari dei boschi,
fossero mediati in questi luoghi, da queste stesse persone.
(72)
I registri delle Lettere Ducali, cit. n. 62, 4/11, 1477 giu. 30: si trattava di G. Antonio de Perazosiis,
Nicolò de Palantia, Cristoforo de Banfis, Cristoforo de Romanono, Bartolino de Canobio, Donato
de Porcis (o de Putheo?), Riccardino Baldirono, G. Antonio Baroldo, Negro de la Mota.
(73)
ASC, Dicasteri, cart.219, v. I, 1469 dic. 4.
(74)
ASC, Dicasteri, cart. 219, vol. I, 1488 giu. 28: «et quod nemini liceat ligna ab igne alicuius generis marossare, sub pena ducatorum decem pro qualibet vice».
(75)
ASC, Dicasteri, cart. 219, vol. I, 1490 genn. 28: assoluzione di Cristoforo Lanzonus, «numerator
lignorum», scoperto a fare da mediatore. A tale proposito si veda anche oltre.
(76)
ASMi, Notarile, cart. 1473, 1464 genn. 5: accordo tra Rodolfo de Rusperego ed il «commissario
sopra li laborerii ducali» Bartolomeo da Cremona, per la fornitura dei laterizi necessari al castello.
La consegna dei laterizi sarebbe avvenuta di mese in mese, a partire dal 1 maggio 1464 per un
anno, presso il «pallo de la sosta del castello de Mediolano, o vero altrove…». Il documento è stato trascritto per intero in ZANOBONI, Il commercio del legname e dei laterizi cit. n. 33, pp. 113-115.
(77)
ASMi, Notarile, cart. 1472, 1461 mar. 15 e 1461 mar. 23: Gregorio de Squassis q. Giovanni si
impegna a consegnare a Stefano de Cixate q. Giovanni, «super rippam et seu sostam Hospitalli
Magni Mediolani, et ad dictum Hospitallem, centenaria milletregentumtriginta gatinarum» a s.
18 il centenarium, da scaricare a spese di Gregorio che avrebbe provveduto a far tagliare un
bosco di sua proprietà; la sosta si trovava a porta Romana, parrocchia S.Nazaro in Brolo.
(78)
RIGHINI PONTICELLI, DI SILVESTRO, L’Ospedale Maggiore, cit. n. 46. Molto più numerose erano
però le fornaci che operavano fuori città, come si è accennato, soprattutto lungo il Naviglio Grande. Quelle di Vermezzo, Albairate e Fallavecchia rifornivano il cantiere dell’Ospedale ancora nel
‘600, come è stato rilevato attraverso l’analisi del «mastro Carcano» (DELLA TORRE, GIUSTINA,
Documenti notarili per la storia del cantiere seicentesco, ibid., pp. 109-125).
(79)
Soste dei de Venzago e de Cixate : ASMi, Notarile, cart. 963, 1452 febb. 5; cart. 964, 1453 apr. 6,
1453 magg. 3; cart. 971, 1463 apr. 23; cart. 971, 1464 mar. 22; cart. 973, 1467 febb. 7; cart. 1478,
1471 dic. 13.
(80)
ASMi, Notarile, cart. 973, 1467 giugno 9:spazio per lo scarico del materiale («curia seu sosta»).
(81)
Sull’aumento dei prezzi del legname in quest’epoca ZANOBONI, Il commercio del legname, cit.
n. 33.
119
(82)
(83)
(84)
(85)
(86)
(87)
(88)
(89)
(90)
(91)
(92)
(93)
(94)
ASMi, Notarile, cart. 1473, 1463 gennaio 11: curia magna larga 30 braccia, presso la conca di
Viarenna; cart. 1474, 1466 marzo 3: curia sufficiente a due cataste di legna; ASMi, Notarile, cart.
973, 1467 giugno 9.
ASMi, Notarile, cart. 1473, 1463 gennaio 21, 1464 maggio 23; cart. 973, 1467 giugno 9; cart.
1479, 1472 novembre 16.
ASMi, Rogiti Camerali, cart. 370, 1455 gennaio 8; Notarile, cart. 1473, 1463 gennaio 21; cart.
973, 1467 giugno 9; cart. 1476, 1468 aprile 26.
ASMi, Rogiti Camerali, cart. 370, 1455 gennaio 8.
ASMi, Notarile, cart. 1482, 1477 agosto 11: società tra Zanino de Henrigonibus q. Marzino, da
una parte e Antonio de Leucho q. Giovanni e Giorgio de Castoldis q. Guido, dall’altra, «pro arte
tingendi fustaneos in collore baretini et nigri». L’attività sarebbe stata esercitata «in sosta in et
sub cassina dicte soste dicti Zanini … que cassina de presenti fit et hedificatur».
ASMi, Notarile, cart. 1482, 1477 agosto 11: i soci d’opera Antonio e Giorgio avrebbero potuto
«ire ad accipiendum aquam in fosso Mediolani, et quod habeant in dicta sosta seu eius pertinentiis ius et modum extendendi petias et tenendi de lignis pro usu dicte artis et compagnie».
ASMi, Rogiti Camerali, cart. 370, 1455 gennaio 8; Notarile, cart. 1480, 1474 agosto 19; BOUCHERON, Pouvoir de bâtir, cit. n. 1, p. 532; ID., Milano e i suoi sobborghi: identità urbana e pratiche
socio-economiche ai confini di uno spazio incerto (1400 ca-1550 ca), «Società e storia», XXIX,
2006, n.112, aprile-giugno, pp. 235-254, in particolare alle pp. 248-249.
ASMi, Rogiti camerali, cart. 370, 1455 genn. 8; Notarile, cart.1480, 1474 agosto 19: il duca dona
ai fratelli Zanino ed Andrea de Henrigonibus, tintori e commercianti di legna, il diritto di fare una
sosta «in fosso civitatis Mediolani… in quodam spatio terre existens inter sostam Francisci de
Pandulfis et torratiam Sancti Michaelis iuxta plateam monasterii abbatie Sancti Ambrosii, sostam
unam ordine et forma quibus quamplures alie in dicto fosso constructe et edificate sunt»; dona
loro inoltre lo «spatium terre in eo fosso esistente» su cui realizzare la sosta. Per altri esempi:
BOUCHERON, Pouvoir de bâtir cit. n. 1, p. 532-533; ID., Milano e i suoi sobborghi cit. n. 88,
pp. 248-249.
ASMi, Rogiti camerali, cart. 370, 1455 genn. 8: Francesco Sforza aveva concesso ad Antonio de
Mozate la facoltà di costruire una sosta presso porta Orientale «ubi alias fuerat molandinum», che
si estenda fino alla seconda torretta della mura cittadine verso porta Tosa, per scaricare «lateres,
cuppi et legname, ibidem tenendi more mercantili», e con la facoltà di costruire «portam seu
pusterlam in muro predicte civitatis prout habent alie soste», purché non vengano danneggiate le
mura della città. Ora i maestri delle entrate straordinarie investono in perpetuo Antonio de Mozate
f. Parolo, porta Orientale (p.O.), parrocchia S. Babila, di detta pusterla e sosta da lui costruite,
«seu toto terreno» da porta Orientale alla seconda torretta di porta Tosa, «item de iure conducendi
et conduci faciendi et possendi tenere et vendere ligna cuiuscumque maneriey, lateres, cupos et
medonzinos» e qualunque altra cosa necessaria a detto esercizio. La sosta confina col «terragium
civitatis Mediolani», la sosta di Marco da Parma, l’acqua del fossato cittadino, il fortilizio di porta Orientale. Il canone di affitto ammonta a £. 8 annue.
BOUCHERON, Pouvoir de bâtir, cit. n. 1, pp. 533-534.
ASC, Dicasteri, cart. 219.
Anche i Maestri delle Entrate, nel 1469, lamentavano una grave penuria di legname per gli abitanti del milanese, attribuendola all’esportazione attraverso il Po verso Mantova (ROVEDA, I boschi,
cit. n. 1).
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1469 dic. 4: «penuria ob buschorum depopulationem»; 1476 apr. 30:
«quod ligna et buschi aliquantulum rarefacta sunt... et quod mercatores predicti nequeunt cum
120
(95)
(96)
(97)
(98)
(99)
(100)
(101)
(102)
(103)
(104)
(105)
(106)
(107)
(108)
(109)
(110)
(111)
lucro honesto ea vendere et dare secundum formam provisionis”; 1489 dic. 2: “quod nemora multa sunt sive in pratis, sive in agris reducta, ex quo maxime rarefacta sunt»; 1490 genn. 25 e 26:
«attento quod fassine siche reperiuntur in parva quantitate...».
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1459 magg. 10; 1464 giu. 7: «intellectis lamentationibus et querellis
coram eis (i Dodici di Provvisione) factis et que cottidie fiunt per cives Mediolani de mercatoribus
habentibus ligna ad vendendum in civitate, suburbiis et Corporibus Sanctis Mediolani, ipsa vendere volentibus multo maiori et excessivo pretio quam conveniat et quam vendita fuit temporibus
retroactis, et a seculo non auditis..., in grande dampnum et preiuicium hominum Mediolani, et spetialiter pauperum personarum...»; 1473 magg. 26: «animadvertentes ligna in presente vendita fuisse multo maiori pretio solito, nemoraque a certis annis citra multum reffecta esse...»; 1493 dic. 3:
«conquerentibus multis et multis, ac quemadmodo personis infinitis, de caritudine nedum lignorum
a focho que in civitate hac, ac suburbiis et Corporibus Sanctis venduntur...»; 1492 ott. 18: «pare
pero che alcuni temerarii, et posponuto ogni reverentia et timore delli ordini, conducano a Mediolano legni de ogni factione, et quele descarecheno ad sua posta et vendeno eo pretio che li pare, cossa che cade in grave iactura de li poveri homini de questa cita». Le frodi sono invece elencate minuziosamente in un altro decreto dell’Ufficio di Provvisione (ASC, Dicasteri, cart. 219, 1493 dic. 3),
come si vedrà più oltre.
Si veda il contratto di appalto stipulato col duca da Rodolfo de Rusperego.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1458 magg. 18; 1459 magg. 10; 1464 giu. 7.
Ibid. e ASC, Dicasteri, cart. 219, 1473 magg. 26. Gli Statuti di Milano del 1396 stabilivano, a proposito della ligna de mensura che: «ligna de mensura sint et esse debeant brachiorum II et spane
in longitudine ad minus ad brachium de lignamine...; item quod mensura lignorum levata sit brachiorum II in longitudine, tam de ante, quam de retro» (Statuta Mediolani, 1396, Mediolani, apud
Paulum Suardum, 1480, f. 170 r.).
Ibid.
Era vietato, ad esempio, mescolare legna di rovere con legna di ontano (ASC, Dicasteri, cart. 219,
1464 giu. 7).
ASC, Dicasteri, cart. 219, passim e I Registri dell’Ufficio di Provvisione, cit. n. 2, passim.
Il prezzo della legna continuò infatti a salire vertiginosamente: basti l’esempio delle «fassine
quercoris seu ruporis reperate» che costavano, compresa la consegna, £. 3 s. 16 il centenario nel
1455 (ASC, Dicasteri, cart. 219, 1455 magg. 28), £. 4 s. 8 nel 1464 (ibid., 1464 giu. 7),
£. 5 nel 1469 (ibid., 1469 dic. 4).
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1464 giu. 7, 1469 dic. 4, 1473 magg. 26.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1451 magg. 17, 1453 ag. 3, 1453 sett. 25, 1454 giu. 17, 1454 sett. 19,
1458 magg. 18, 1459 magg. 10, 1464 giu. 7, 1469 dic. 4, 1473 magg. 26.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1473 magg. 26.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1464 giu. 7, 1473 magg. 26.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1464 giu. 7: si parla ad es. degli «zoreti sive portatores euntes per civitatem».
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1464 giu. 7, 1469 dic. 4, 1473 magg. 26.
Ibid.
Ibid.
Ibid.: la formula non é propriamente questa, ma vengono fissate tariffe ben precise; la differenza
tra il prezzo di vendita da parte del mercante e quello da parte del posterius é comunque, in tutti e
tre i casi, di d. 2.
121
(112)
(113)
(114)
(115)
(116)
(117)
(118)
(119)
(120)
(121)
(122)
(123)
(124)
(125)
(126)
(127)
(128)
(129)
(130)
(131)
(132)
(133)
(134)
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1473 magg. 26.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1458 magg. 18, 1464 giu. 7.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1458 magg. 18.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1464 giu. 7.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1476 apr. 30, 1489 nov. 25.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1476 apr. 30: «quod ligna et buschi aliquantulum rarefacta sunt... et
quod mercatores predicti nequeunt cum lucro honesto ea vendere et dare secundum formam provisionis»; 1489 nov. 25: «ventilatis et discusis quam pluribus super requisitione facta per mercatores lignorum conquerentes eos non posse stare provisioni lignorum que in presenti viget».
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1476 apr. 30.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1489 nov. 25.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1489 dic. 2: i mercanti chiesero di essere trattati nello stesso modo dei
forestieri; di poter vendere le fascine di legna di vario tipo a d. 13, e quelle di rovere a d. 14 ciascuna; di poter tenere nei loro depositi contemporaneamente «redondini mercanteschi» e «non
merchanteschi», «forti» e «dolci»; l’annullamento degli ordini emanati nell’ultimo mese relativi
all’aumento della multa per le frodi sul peso.
Ibid. Va sottolineato però che il legname portato dai mercanti forestieri prima di essere scaricato
non sottostava alle norme né alle mete imposte dall’Ufficio di Provvisione (ASC, Dicasteri, cart.
219, 1488 giu. 28); vi sottostava invece una volta scaricato (ibid.).
Ibid.: fascine di quercia: d. 13; fascine di ontano e di legni dolci: d. 11; gli stessi tipi di fascine
potevano essere vendute ad un denaro in più dai mercanti che avevano la curia «intra foveam civitatis Mediolani».
Ibid.
Ibid.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1490 genn. 26.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1488 giu. 28; si veda inoltre il paragrafo relativo agli scaricatori.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1469 dic. 4.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1488 giu. 28: «nec valeant ipsi revenditores se excusare quod emerint
pro usu suo».
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1469 dic. 4: «quod non sit aliqua persona conducens et que in futurum
conducet ligna super plaustris aut equis ad hanc civitatem Mediolani et suburbia que audeat nec
presumat ea ligna ex et de ipsis plaustris et equis... exonerare nec exonerari facere, nixi prius venditis ipsis lignis et ad domos personarum illarum quibus vendiderunt dictam lignam conduxerint»;
1489 dic. 2; 1492 ott. 18.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1492 ott. 18, 1493 nov. 16.
Ibid.
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1493 dic. 3: «Providerunt, statuerunt et ordinaverunt quod quicumque
conducentes seu conduci fatientes ligna que foresteria appellantur, in navibus sive naviculis, et
que dicuntur posse vendi sine forma alicuiuis provisionis, sed solum ad libitum vendentium et
ementium, amodo in antea talia ligna vendidisse antequam ea ex navibus ipsis extrahantur et
reponantur».
ASC, Dicasteri, cart. 219, 1493 dic. 3.
Ibid.
122
Esempi di tutela della scultura lignea:
la bottega dei Gritti
Ilaria De Palma
B
enché in Lombardia episodi significativi di conservazione della scultura lignea
si siano verificati fin dalla fine del XIX secolo, alcuni studiosi sono concordi
nell’individuare proprio negli anni Settanta del Novecento l’inizio di un lavoro
sistematico di tutela (1), a conferma di come la fortuna critica di una certa tipologia di
opere vada di pari passo con gli interventi di conservazione condotti su di esse(2).
Una trattazione sulla scultura lignea non può quindi prescindere dal progredire degli studi su quest’ultima. In Lombardia vi furono tre momenti importanti per la fortuna critica
della scultura lignea: il primo fu la mostra inaugurata il 3 aprile 1976 alla Pinacoteca di
Brera che ospitò due opere appena restaurate, il Crocifisso della chiesa parrocchiale di
Santa Maria Maggiore di Sondalo (Sondrio) e il San Grato dell’Oratorio di Vendrogno
(Como). Il secondo momento fu la mostra “Restaurati da voi” allestita al Museo Poldi
Pezzoli (25 giugno-10 settembre 1981), in cui si presentò il restauro di diverse sculture
tra cui il rilievo raffigurante il Matrimonio della Vergine di Giovanni Angelo Del Maino(3). Da questi due episodi presero avvio diversi studi sulla scultura lignea lombarda poiché, forse per la prima volta, veniva considerata per la sua qualità. L’evento del 1976,
inoltre, fu importantissimo anche per la storia della tutela: nei cinque fogli ciclostilati
costituenti il catalogo, prima del testo storico-artistico, Maria Teresa Binaghi Olivari e
Paolo Venturoli collocarono la relazione dell’intervento di restauro(4).
Vi è, a parer mio, un altro momento importante: nel 1981 a Bergamo si tenne una mostra
intitolata “Per una politica dei Beni Culturali: restauri 1961-1981”. Il relativo catalogo(5)
diede il via ad una serie di pubblicazioni aventi per oggetto le attività di tutela promosse dalla Provincia di Bergamo(6). In esso vennero presentati numerosi restauri di sculture lignee tra cui lo splendido Presepe di Giovanni Angelo Del Maino, conservato nella
Basilica di San Martino a Treviglio.
In tutte e tre le esposizioni venne coinvolta la bottega che già da oltre quindici anni
lavorava sotto la direzione della Soprintendenza nel restauro di manufatti lignei: i Gritti
di Bergamo.
La bottega dei Gritti nacque all’inizio del Novecento ad opera di Lorenzo Gritti. Da
quattro generazioni essa vede impiegati membri della famiglia che, nel tempo, ne hanno
123
modificato l’attività trasformando una bottega artigianale in cui venivano prodotti manufatti lignei di alto livello qualitativo in un laboratorio di restauro di consolidata e affermata esperienza.
Tale passaggio avvenne nel 1958 quando il figlio di Lorenzo, lo scultore Angelo Gritti,
coadiuvato dal proprio figlio Eugenio, accettò di effettuare una serie di restauri promossi dall’amministrazione provinciale di Bergamo e diretti dalla Soprintendenza alle Gallerie di Milano. Negli anni Sessanta la Soprintendenza contattò Angelo Gritti proprio in
considerazione del fatto che il restauro delle sculture lignee costituiva un terreno ancora
inesplorato e privo di teorie di riferimento. La disponibilità di Angelo e del figlio Eugenio a mettere a disposizione le loro conoscenze tecniche e ad essere guidati in scelte,
che, fino a qualche anno prima, competevano solo all’artista-artigiano, fu il fattore che
permise alla bottega di fare il suo ingresso nel campo della conservazione. Angelo si era
già occupato di restauro anche prima del 1958, interpellato dalla famiglia di doratori
Dossena(7) che in occasione della sistemazione di statue, altari, arredi liturgici, spesso gli
avevano affidato i lavori più propriamente di “falegnameria”. Essendo Angelo uno degli
scultori di arte sacra più stimati della zona, godeva della piena fiducia dei parroci. Di
questi restauri, volti principalmente a ripristinare la funzione d’uso dei manufatti, non
rimane documentazione; consistettero per lo più in sistemazioni delle carpenterie e in
rifacimenti di parti mancanti dorate e dipinte dai Dossena.
Dal 1958 alla metà degli anni Settanta la Provincia di Bergamo – caso unico in Italia –
finanziò (o co-finanziò) l’80% dei lavori eseguiti dai Gritti e diretti dalla Soprintendenza milanese(8), i cui funzionari Franco Mazzini, Angela Ottino Della Chiesa, Stella Matalon e Rosalba Tardito permisero quel felice incontro tra chi possedeva le competenze
tecniche per intervenire su un’opera lignea e chi le conoscenze teoriche per effettuare
un restauro rispettoso dell’opera d’arte e della sua storia. Nei primi quindici anni i Gritti si occuparono di differenti tipologie di manufatti lignei, dai cori agli altari, dalle sculture lignee policrome ai mobili da sacrestia. Le diverse problematiche che ogni opera
portava con sé misero restauratori e studiosi di fronte a scelte che, oltre a creare un
bagaglio di esperienze da cui attingere per la costituzione di una metodologia di intervento, contribuirono ad aprire la strada ai fortunati restauri degli anni Settanta che videro come protagonista, insieme ai Gritti, la nuova generazione di ispettori: Sandra Maspero, Paolo Venturoli (9) e Maria Teresa Binaghi Olivari.
Come si è visto, in quel periodo in Lombardia i restauri di scultura lignea finanziati
dallo Stato furono molto frequenti. Parallelamente essa fu oggetto di studi sistematici i
cui esiti sfociarono, all’inizio del decennio successivo, nel momento più importante di
conoscenza critica: la mostra “Zenale e Leonardo” allestita al Museo Poldi Pezzoli (10).
Appare evidente, quindi, l’importanza che ha avuto la bottega dei Gritti negli anni cruciali degli studi sulla scultura lignea lombarda: i preziosi dati tecnici che gli storici
acquisivano da Eugenio durante i lavori contribuirono ad alimentare l’interesse verso
questa tipologia di opere(11).
La bottega, ad oggi, conta più di cinquecento interventi su manufatti situati soprattutto
in Lombardia e Piemonte e con datazioni che vanno dal XII al XX secolo. L’attività di
124
Eugenio Gritti, dal 1988 affiancato stabilmente dal figlio Luciano, è di grande interesse
perché permette di ricavare utili informazioni sul modo di restaurare il legno negli ultimi cinquant’anni in Lombardia, dal momento che gli studi, fino ad ora, si sono rivolti
soprattutto all’ambito toscano(12).
Gli interventi sulle sculture lignee spesso si presentano complessi poiché, in virtù dei
materiali costitutivi di queste ultime, durante il restauro devono essere affrontate le problematiche caratteristiche della pittura su tavola e quelle della scultura in generale.
Più che altri manufatti artistici, inoltre, le sculture policrome furono soggette a periodiche manutenzioni, consistenti talvolta in veri e propri rifacimenti – spesso di livello
mediocre e in grado di svilire l’opera – non solo del colore ma anche della plastica, per
il fatto di essere oggetti di devozione continua. La stessa bottega dei Gritti, prima di iniziare a lavorare sotto la direzione scientifica della Soprintendenza di Milano, fu interpellata in più occasioni dai parroci per la “sistemazione” delle statue affinché fosse
ripristinata la loro funzione liturgica.
Andrea Fedeli, in un excursus sul restauro della scultura lignea dal 1970 ad oggi, fa
coincidere la fine di questo modus operandi con l’avvento della Carta del Restauro
1972 (13). Eugenio Gritti ricorda invece come durante i primi interventi diretti da Mazzini e dalla Ottino Della Chiesa, all’inizio degli anni Sessanta, il dibattito sul metodo più
corretto per intervenire sulle opere nel rispetto della loro storia fosse già in corso: la
norma prevedeva la rimozione di tutti i restauri che non fossero coevi all’opera, in nome
della ricerca dell’aspetto originale. Le integrazioni plastiche, frutto di interventi precedenti, venivano sistematicamente eliminate e sostituite solo nel caso in cui avessero
avuto un’importante funzione statica. Questa tendenza progressivamente si ammorbidì:
integrazioni plastiche divennero sempre più frequenti purché riconoscibili, allo scopo di
restituire l’“unità potenziale dell’opera”. Un altro aspetto affrontato nel dibattito degli
anni Sessanta fu la problematica relativa alla pellicola pittorica e in particolar modo la
presenza di ridipinture. Tale questione, ancora oggi, rende l’intervento più difficile ma
estremamente affascinante per restauratori e storici dell’arte, i quali individuano nella
pulitura una delle fasi fondamentali del restauro.
Proprio in occasione di un’importantissima pulitura eseguita da Eugenio Gritti nel 1978,
Venturoli parlò di un “restauro rivelatore” che permise di scoprire la bellezza della Natività attribuita al Maestro di Trognano (ora depositata dall’Azienda di Servizi alla Persona “Golgi-Redaelli” di Milano presso le Raccolte d’Arte Applicata del Castello Sforzesco della stessa città). L’intervento(14) sull’opera, eccezionalmente mai ridipinta, fu l’occasione per osservare la raffinatissima tecnica dell’oro graffito su un rilievo ligneo; si
trattò di un caso fortunato in cui la presenza di policromie originali pressoché intatte
permise agli storici di studiare le tecniche pittoriche antiche.
Nella maggior parte dei casi, invece, i funzionari di Soprintendenza e Eugenio Gritti si
trovarono di fronte a sculture ridipine più volte: in quelle circostanze uno dei nodi da sciogliere fu la scelta di asportare le varie sovrammissioni, costituenti parte della storia dell’opera, in nome della ricerca della policromia originale. Quasi sempre si cercò di far riaffio125
rare il colore originario, salvo i casi in cui questo fosse risultato scarso. Difficilmente i
direttori dei lavori rischiarono di ritrovarsi un’opera pressoché completamente priva di
policromia, partendo dal presupposto che le sculture lignee nacquero per essere dipinte:
talvolta furono mantenute ridipinture antiche storicamente significative piuttosto che recuperare frammenti lacunosi di policromia originale. Cito ad esempio il restauro del Compianto su Cristo morto della bottega di Andrea Fantoni, sito nella chiesa dei Disciplini a
Rovetta (Bergamo). I lavori, eseguiti da Eugenio Gritti, iniziarono nel 1983 sotto la direzione di Paolo Venturoli e finirono nel 1988 con Mariolina Olivari; dopo aver constatato
la lacunosità della policromia originale mediante tasselli di pulitura, entrambi i funzionari
decisero di fermarsi alla ridipintura ottocentesca.
Se la ricerca della policromia antica rappresenta una costante, l’approccio verso le lacune pittoriche è uno degli aspetti che maggiormente sono cambiati nel tempo, determinando una modificazione nei metodi di integrazione delle stesse. Inizialmente la preparazione a gesso, lasciata a vista dalle cadute di colore, era trattata in leggero sottotono:
lacune troppo “vistose” rispetto al resto della policromia venivano attenuate per smorzare il contrasto spesso troppo evidente tra policromia e preparazione a gesso; le integrazioni, perfettamente riconoscibili ad una certa distanza, contribuivano alla ricostituzione dell’ “unità” dell’opera, rimanendo ben distinte dalla pittura antica. La tendenza
attuale è invece di integrare le lacune pittoriche con stesure che si avvicinino maggiormente per tonalità alla policromia originale; tali interventi sono riconoscibili da un
occhio attento posto ad una distanza ravvicinata.
Si confrontino, ad esempio, il San Giovanni (FIG. 108) appartenente al gruppo della Pietra
dell’Unzione della Pinacoteca civica di Varallo, restaurato tra il 1990 e il 1991 (15) da Eugenio Gritti sotto la direzione di Paola Astrua, e il San Giovanni (FIG. 109) di un Compianto
su Cristo morto conservata nella Diocesi di Novara, opera di Giovanni Angelo Del Maino
restaurata nel 2005 da Gritti sotto la direzione di Marina Dell’Omo. Nel primo, le lacune
pittoriche sono state ritoccate con velature a vernice di colore terra d’ombra naturale; nel
secondo con velature a vernice di tonalità vicina a quella della policromia originale.
Progressivamente l’attenzione verso il ritocco pittorico delle sculture lignee è aumentata,
tanto che l’intervento sulla policromia di queste ultime è stato inserito nel più ampio dibattito del restauro della pittura in generale. Viste e considerate le differenze tra scultura
lignea dipinta e pittura su tavola, è lecito pensare di utilizzare tecniche caratteristiche del
ritocco di opere bidimensionali – quali il rigatino, la selezione o astrazione cromatica, il
puntinato, ecc. – su pitture nate e pensate per essere stese su un supporto a tre dimensioni?
La questione è molto complessa e merita una trattazione più approfondita. Per comprenderne le diverse sfaccettature vorrei solo citare un recente intervento di Rita Chiara
de Felice e di Laura Speranza, responsabile del settore Scultura Lignea presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Quest’ultima lega in modo organico il problema del
ritocco pittorico a quello dell’integrazione plastica (16). Le sue riflessioni sono nate in
occasione dell’intervento su una scultura lombarda: il San Bernardino proveniente dalla
chiesa dei Disciplini di Clusone (Bergamo). Ultimata la pulitura si sono dovute integrare le cadute di colore e, contemporaneamente, mimetizzare le integrazioni plastiche rea126
lizzate con tassellature lignee. Dopo aver stuccato tutte le lacune con gesso e colla di
coniglio, nelle zone in cui la mancanza si limitava alla preparazione e al colore è stata
effettuata una velatura col metodo della selezione cromatica; mentre in quelle in cui la
lacuna interessava anche il modellato, il ritocco è stato eseguito a puntinato per una
migliore individuazione delle aree in cui il supporto non è originale (17).
La storia della bottega Gritti e la ricostruzione della sua attività nel campo del restauro sono state oggetto della mia tesi di specializzazione dal titolo La bottega bergamasca
dei Gritti: Lorenzo, Angelo, Eugenio e Luciano, discussa nel maggio 2008 presso la
Scuola di Specializzazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (relatore: Mariolina Olivari; correlatore: Maria Grazia Albertini Ottolenghi).
Il presente testo e la bibliografia relativa sono datati al dicembre 2008.
NOTE
(1)
(2)
Si vedano a questo proposito: S. SICOLI, Per una storia della tutela in Valtellina e Valchiavenna tra
Otto e Novecento: la conservazione delle sculture lignee, in Recuperi e restituzioni. Tesori nascosti
dal territorio (Sondrio, Museo Valtellinese di Storia e Arte – Galleria Credito Valtellinese, 22 settembre-25 novembre 2006), Sondrio 2006, pp. 27-51, e M. OLIVARI, Tutela e scultura lignea in Lomellina, in Sculture lignee a Vigevano e in Lomellina, Vigevano 2007, pp. 132-144. La Sicoli si è rivolta
agli interventi di tutela in Valtellina tra XIX e XX secolo, mentre la Olivari si è occupata della tutela
moderna in Lomellina mostrando in particolare come, a partire dagli anni Settanta, l’attenzione degli
storici dell’arte e del Ministero si sia rivolta soprattutto alle opere lignee quattro-cinquecentesche per
diversi motivi, non ultimo il fatto che intorno ad esse iniziava a ruotare un forte interesse antiquariale.
Nel suo studio sulla scultura lignea toscana medievale Alessandra Frosini ha affrontato la questione
della fortuna critica del restauro del legno partendo dal presupposto che, essendo la pratica del restauro strettamente legata al pensiero estetico dell’epoca, il disinteresse dal punto di vista artistico e critico che per lungo tempo ha subito la statuaria lignea ha portato, come conseguenza, la sua dimenticanza nel campo della tutela (A. FROSINI, Scultura lignea dipinta nella Toscana medievale, San Casciano
Val di Pesa 2005, p. 45). In questa sede, seguendo le indicazioni della Frosini, vorrei brevemente
ripercorrere le principali trattazioni sul restauro per mostrare l’assenza di indicazioni inerenti gli
interventi sulla scultura lignea. Tale assenza costituì uno dei motivi per cui la Soprintendenza di Brera negli anni Cinquanta si affidò a una bottega di artigiani e scultori del legno per il restauro delle
sculture lignee dipinte.
Per tutta la seconda metà dell’Ottocento i manuali di restauro si rivolsero soprattutto alle opere pittoriche; i pochi accenni alla scultura riguardavano quella antica in marmo o in pietra, non in legno poiché quest’ultimo veniva considerato solamente come il materiale di supporto delle tavole dipinte (si
vedano ad esempio: U. FORNI, Manuale del pittore restauratore, Firenze 1866; G. SECCO SUARDO,
Manuale ragionato per la parte meccanica dell’arte del ristauratore dei dipinti, Milano 1866. Il primo è rivolto principalmente alle opere pittoriche. Il secondo dimostra un approccio più scientifico e
meno artigianale verso il restauro, ma prende in esame solo dipinti su tavola, su tela e su muro). Negli
anni 1879-1882, l’opera di C. Conti Del restauro in generale e dei restauratori (C. CONTI, Del restauro in generale e dei restauratori. Il manoscritto 280 della Biblioteca degli Uffizi, ed. cons. a cura di
A. TORRESI, Ferrara 1996) diede indubbiamente maggiore spazio alla scultura rispetto alle trattazioni
127
(3)
precedenti, benché quella in legno non venisse neanche presa in considerazione. Dopo Conti, la prima
trattazione organica in materia di restauro fu la Teoria del restauro di Cesare Brandi (C. BRANDI, Teoria del restauro, Torino 1963). Brandi non parlò esplicitamente di scultura lignea ma fornì un approccio metodologico codificato nella successiva Carta del Restauro del 1972 (Carta del Restauro 1972
(circolare del Ministero della Pubblica Istruzione n. 117 del 6 aprile 1972), in C. BRANDI, Teoria del
restauro, Torino 1977, pp. 131-154), in cui tra le Previdenze da tenere presenti nell’esecuzione di
restauri ad opere di scultura venne menzionata chiaramente la scultura lignea: «Qualora si tratti di
sculture in legno, e questo sia in stato fatiscente, l’uso di fissativi dovrà essere subordinato alla conservazione dell’aspetto originario della materia lignea. Se il legno sia infestato da tarli, termiti ecc.,
occorrerà sottoporlo all’azione dei gas idonei, ma quanto più possibile si deve evitare l’imbibizione
con liquidi che, anche in assenza di parti dipinte, potrebbero alterare l’aspetto del legno» (p. 150). Ci
si soffermò quindi soprattutto sulla struttura del legno e lo stesso accadde nella successiva Carta 1987
della conservazione e del restauro degli oggetti d’arte e di cultura (in G. PERUSINI, Il restauro dei
dipinti e delle sculture lignee: storia, teorie e tecniche, Udine 1989, pp. 51-62) che rinnovò, integrò e
sostituì la precedente. Anche in questo documento i riferimenti diretti alle sculture lignee furono piuttosto scarsi; inoltre il legno fu considerato solamente come materiale costitutivo della scultura, senza
essere messo in relazione alla policromia di quest’ultima: l’unico caso di legno dipinto considerato
rimase quello della pittura su tavola (in realtà l’articolo 7 della Carta 1987 – molto simile all’articolo
7 della Carta 1972 – affrontando il problema delle puliture che «non devono giungere mai alla sostanza pigmentale del colore», parla di pitture e sculture policrome, senza specificarne il materiale). Benché spesso si sia sottolineata l’affinità delle materie costitutive tra la scultura lignea policroma e
dipinti su tavola, la componente lignea del modellato plastico delle prime «è elemento creativo primario e non solo base» (M.D. MAZZONI, R. PASSERI, G. RASARIO, M. VENTURI, Sculture lignee policrome: modelli operativi di restauro (parte I), in La scultura lignea policroma. Ricerche e modelli operativi di restauro, a cura di L. SPERANZA, Firenze 2007, pp. 45-56, in particolare p. 46, già pubblicato in
«OPD Restauro», 5, 1993, pp. 108-116) e pertanto non può essere considerato un semplice supporto.
Inoltre, passando dalla fase teorica a quella pratica, ecco che proprio in sede di restauro caratteristiche
morfologiche quali la terza dimensione delle sculture lignee rendono estremamente difficili alcune
fondamentali operazioni come il consolidamento, la pulitura, la stuccatura e il ritocco pittorico (L. SPERANZA, Metodologie di intervento nel restauro della scultura lignea: l’esperienza dell’Opificio delle
Pietre Dure, in L’arte del legno in Italia. Esperienze e indagini a confronto, a cura di G.B. FIDANZA,
Perugia 2005, pp. 309-318). Nell’opera di Umberto Baldini Teoria del restauro e unità metodologica
(1978) si fece finalmente preciso riferimento al restauro della scultura lignea ed in particolar modo
alla necessità di coprire il legno riportato a vista dalle cadute della policromia attraverso una nuova
imprimitura: «Si pensi ad esempio alla errata oltre che pessima ma dilagante consuetudine di sfruttare
il fondo del legno nelle sculture policrome laddove il colore se ne è andato via; si giunge persino a
distruggere qualsiasi resto di imprimitura ancora esistente per scoprire il legno che viene poi ‘sensibilizzato’ con le parti originali cromatiche ancora in situ mediante un ‘caldo’ uso della cera o con altri
mezzi capaci di modificare lo stato naturale di solito disuguale del legno [...] sì che si finisce col dare
a questo, con atto assolutamente arbitrario e falsificante, un valore espressivo che mai, nel caso specifico, ha o deve avere; e si giunge, laddove la cromia originale non è che poca cosa, anche a dare valore preminente a tutta una superficie plastica che nacque come base e non già come conclusione dell’espressione» (U. BALDINI, Teoria del restauro e unità di metodologia, Firenze 1978, I, pp. 47-48). Dello stesso avviso Alessandro Conti che nel suo Manuale affrontò il problema della pulitura delle sculture lignee dipinte reputando l’eliminazione della policromia una soluzione che «ruderizza l’oggetto»
(A. CONTI, Manuale di restauro, Torino 1996, p. 212, ed. cons. a cura di M. ROMITI CONTI).
L’importanza dei due momenti venne sottolineata da Giovanni Romano nella presentazione del catalogo della mostra Maestri della scultura in legno nel Ducato degli Sforza (Milano, Castello Sforzesco
21 ottobre 2005-29 gennaio 2006), a cura di G. ROMANO, C. SALSI, Cinisello Balsamo 2005, p. 17.
128
(4)
(5)
(6)
(7)
(8)
(9)
(10)
Dopo la mostra di Brera il Crocifisso di Sondalo fu esposto a villa Quadrio a Sondrio, in occasione
della Mostra del restauro di opere artistiche valtellinesi. Il catalogo, inizialmente edito sotto forma di
quaderno a tiratura limitata a cura degli Assessorati alla Cultura del Comune e della Provincia di Sondrio, nel 1976 fu pubblicato da Venturoli sul Bollettino della Società Storica Valtellinese per garantirne una maggiore diffusione (cfr. P. VENTUROLI, Restauri in Valtellina 1975-1976, «Bollettino della
Società Storica Valtellinese», XXIX, 1976, pp. 79-122. La relazione scritta da Eugenio Gritti è alle
pp. 82-83).
Per una politica dei Beni Culturali: restauri 1961-1981 (Bergamo, Palazzo della Ragione,
8 novembre-13 dicembre 1981), Gorle 1981.
Per il finanziamento degli interventi la Provincia di Bergamo aveva istituito una Commissione Provinciale per i Restauri delle Opere composta da un ispettore ai monumenti, un rappresentante della
Curia di Bergamo, l’assessore alla cultura della Provincia ed alcuni esperti. Dal 1960 alla commissione venne aggiunto stabilmente un rappresentate della Soprintendenza ai Beni Artistici di Milano.
Il doratore Giovanni Dossena aveva bottega all’interno del cortile della chiesa parrocchiale di Sant’Alessandro. Egli si occupava della stesura della preparazione a gesso e della doratura, mentre suo figlio
Giuseppe (Bepi) eseguiva le decorazioni sull’oro.
Inizialmente la bottega venne interpellata dalla Soprintendenza di Milano soprattutto per i restauri di
opere situate nel territorio di Bergamo. È a partire dagli anni Settanta che i Gritti iniziarono a lavorare anche per la Valtellina. Nel 1972 l’ispettore Germano Mulazzani diresse i Gritti nel restauro del
monumentale altare settecentesco della chiesa parrocchiale di Mantello (Sondrio).
Per il fortunato incontro tra Gritti e Venturoli si veda P. VENTUROLI, Scultura lignea lombarda: studi e
restauri (1974-1982), in L’arte del legno, cit. n. 2, pp. 265-272 (ripubblicato in P. VENTUROLI, Studi
sulla scultura lignea lombarda tra Quattro e Cinquecento, Torino 2005, pp. 99-104). La mostra di
Brera non fu la prima occasione in cui Venturoli e Gritti lavorarono insieme. Essi si conobbero nel
1974, durante il conferimento dei lavori di restauro sull’Ancona della Natività della chiesa di San
Giorgio a Grosio (Sondrio). Venturoli, succeduto in quell’anno a Mulazzani nell’incarico di funzionario della Soprintendenza preposto alla tutela della Valtellina, non conosceva Gritti. La fama del restauratore era però nota grazie ai lavori svolti da Eugenio in precedenza, tra i quali vorrei ricordare quello
del 1967 sull’ancona della parrocchiale di Monte di Nese (Bergamo), diretto da Angela Ottino Della
Chiesa: un intervento particolarmente significativo perché, per la prima volta, i Gritti smontarono interamente un’ancona. Eugenio Gritti e Paolo Venturoli discussero dell’intervento sull’ancona di Grosio
sfogliando l’Inventario degli Oggetti d’arte d’Italia. IX. Provincia di Sondrio curato da Maria Gnoli
Lenzi (Roma 1938). Poco dopo la presentazione del preventivo l’incarico venne affidato a Gritti e
Venturoli si trovò a dirigere, per la prima volta, un restauro su sculture lignee policrome. Durante un
sopralluogo Eugenio osservò che la cassa contenente l’ancona poteva essere smontata: la separazione
tra parti architettoniche e parti scultoree permise di studiare l’opera da un punto di vista nuovo, tanto
che Venturoli, ad oggi, considera quel restauro come il momento di inizio dello studio delle architetture delle pale d’altare lombarde. Tale studio proseguì durante i successivi restauri di ancone lignee valtellinesi. Nel 1981 Venturoli, inoltre, divenne per un breve periodo funzionario della zona di Bergamo
e poté seguire lo smontaggio della cornice del polittico di Treviglio autorizzato l’anno precedente da
Rosalba Tardito per facilitarne il restauro. Tali lavori gli diedero l’opportunità di effettuare una serie di
importanti considerazioni sul rapporto tra architettura della cornice e architettura del dipinto anche
grazie al rilievo in scala 1:1 realizzato da Giorgio Rolando Perino (P. VENTUROLI, L’architettura delle
pale d’altare, in Zenale e Leonardo. Tradizione e rinnovamento della pittura lombarda, (Milano,
Museo Poldi Pezzoli, 4 dicembre 1982-28 febbraio 1983), Milano 1982, p. 70 e pp. 258-260).
Zenale e Leonardo, cit. n. 9. Per la fortuna critica della scultura lignea lombarda si vedano in particolare: P. VENTUROLI, Gli studi sulla scultura lignea lombarda tra Quattro e Cinquecento: un bilancio
2000, in A. GUGLIELMETTI, Scultura lignea nella Diocesi di Novara tra ‘400 e ‘500. Proposta per un
129
(11)
(12)
(13)
(14)
(15)
(16)
(18)
catalogo, Borgomanero 2000, pp. 9-14 (ripubblicato in VENTUROLI, Studi sulla scultura, cit. n. 9,
pp. 80-83); R. CASCIARO, La scultura lignea lombarda del Rinascimento, Milano 2000; Maestri della
scultura, cit. n. 1; VENTUROLI, Studi sulla scultura, cit. n. 9 e le relative bibliografie.
Vorrei solo citare alcuni episodi ricordati da Venturoli avvenuti in seguito ai restauri eseguiti dalla
bottega Gritti. Nel 1977 Ilaria Toesca suggerì di inviare alcuni campioni del legno prelevati dal Crocifisso di Sondalo all’Istituto del Legno di Firenze per l’analisi della specie legnosa. Si decise allora di
effettuare le stesse analisi anche sull’ancona di Grosio. Furono momenti fondamentali per la nascita
di un ‘modello metodologico’ nella tutela di Stato della scultura lignea. Ciò che Venturoli fece in quegli anni divenne prassi per i successivi restauri di manufatti lignei policromi in cui, allo studio storico-artistico, vennero affiancati quello delle tecniche costruttive, gli esiti delle indagini scientifiche
(analisi delle specie legnose, sezioni stratigrafiche del colore, analisi dei pigmenti e dei leganti) ed
un’attenta documentazione fotografica. Il metodo con cui fu condotto nel 1979 il restauro dell’Ancona di Morbegno (restauratori: Eugenio Gritti e Paola Zanolini; direttore dei lavori: Paolo Venturoli)
rappresentò il punto di arrivo delle conoscenze ottenute dai restauri precedenti (VENTUROLI, Scultura
lignea lombarda, cit. n. 9, pp. 265-272).
Tra le diverse pubblicazioni si segnalano: PERUSINI, Il restauro dei dipinti, cit. n. 2; La scultura lignea
nell’arco alpino. Storia, Stili e Tecniche, a cura di G. PERUSINI, Udine 1999; L’arte del legno, cit. n. 2;
FROSINI, Scultura lignea, cit. n. 2; La scultura lignea. Tecniche esecutive, conservazione e restauro, a
cura di A.M. SPIAZZI, L. Majoli, Cinisello Balsamo 2007; La scultura lignea policroma, cit. n. 2.
A. FEDELI, Il restauro fra scienza e tradizione, l’evoluzione del gusto dal 1970 ad oggi, in L’arte del
legno, cit. n. 2, pp. 327-334.
Nonostante l’assenza di ridipinture si trattò di un restauro non facile per la conformazione dell’opera
e per la raffinatezza e delicatezza della tecnica pittorica utilizzata (vedi scheda di Fabio Frezzato,
Luciano Gritti e Luca Quartana nel testo).
Nel 2005, sotto la direzione di Massimiliano Caldera, la bottega Gritti ha effettuato un intervento
manutentivo sulla Pietra dell’Unzione durante il quale è stato possibile verificare le buone condizioni
dell’opera.
Il problema delle integrazioni plastiche è piuttosto articolato: come si è detto, fino a quando la
Soprintendenza di Milano non iniziò a seguire i lavori di restauro la bottega Gritti fu spesso chiamata a risistemare, talvolta anche tramite completamenti del modellato, sculture per la maggior parte
conservate nelle chiese bergamasche. A partire dalla fine degli anni Cinquanta con l’ispettore di
Soprintendenza Franco Mazzini, i Gritti iniziarono ad effettuare restauri di tipo archeologico. Ciò
accadde ad esempio per il già citato restauro della Pietra dell’Unzione, quando con il legno vennero
completate solamente alcune piccole parti (dita delle mani e dei piedi, pieghe dei manti) utili per una
lettura più corretta dell’opera e per la sua stabilità. Da qualche anno invece alla bottega Gritti sempre più spesso è stato richiesto di integrare zone di modellato, più o meno grandi. È significativa, ad
esempio, l’estesa integrazione effettuata alla base dell’Ecce Homo (Cerano, Chiesa dell’Annunciata)
attribuito a Cerano: lo spicchio mancante è stato integrato con araldite mista a pezzi di legno. Sull’integrazione plastica è stata poi stesa una velatura a vernice dello stesso colore del resto della base
(restauro eseguito dai Gritti nel 2007 sotto la direzione di Marina Dell’Omo). Questo tipo di intervento è perfettamente in linea con quanto avviene presso l’Opificio delle Pietre Dure: la tendenza
all’integrazione delle lacune plastiche è quasi diventata una prassi nei casi in cui l’elemento mancante sia di tipo seriale, o consista in una «perdita di raccordi o di sostegni statici di ridotta incidenza» (L. SPERANZA, Metodologie e problematiche nel restauro della scultura lignea, in La scultura
lignea. Tecniche esecutive..., cit. n. 12, p. 18).
R.C. DE FELICE, L. SPERANZA, San Bernardino, in La scultura lignea policroma, cit. n. 2, pp. 187-193,
già pubblicato in «OPD Restauro», 16, 2004, pp. 232-236; ma si vedano anche SPERANZA, Metodologie di intervento, cit. n. 2, pp. 314-315; ID., Metodologie e problematiche, cit. n. 16, pp. 17-18.
130
REGESTO
Regesto dei documenti
a cura di Carlo Cairati e Daniele Cassinelli
ASMi, Not., F. Pagani, 2967
SIRONI
1467 ottobre 26
Liberatio fatta da maestro Giovanni de Donati di Rosate,
detto Secursi fu Stefanino, e da sua figlia Confortina, p.
di S. Carpoforo intus, a favore di Francesco di Treviglio.
Testi: Maurizio Marliani fu maestro Giovanni, Maffiolo
Marliani di Martino, Giovanni de Gariboldis fu [...]
ASMi, Not., G. Scazzosi, 538
SIRONI
1478 giugno 6
Protestatio del miracolo dell’unghia ricresciuta presso il
Santuario di Santa Maria del Monte a Varese a Caterina
da Pallanza resa dai maestri Giacomo del Maino, Bartolomeo da Como e G.P. de Donati.
Protestatio di alcuni miracoli di Caterina da Pallanza
resa da Giacomo del Maino, Bartolomeo da Como, G.P.
de Donati, Bernardino Maggi, Ambrogio d’Angera e Bernardino Porri, in cui si afferma che detti maestri stanno
lavorando agli stalli del coro della Basilica già da tre
mesi.
ASMi, Not., P. Piantanida, 1060
GANNA 1996, pp. 65 e 70; VIOTTO 1996, p. 41
1468 febbraio 9
Confessio rilasciata da Francesco de Padule fu Giovanni
a Confortina de Donati fu Giovanni e moglie legittima del
detto Francesco, in relazione alla dote della donna.
Testi: Antonio Borsani fu Domenico, Paolo Suardi fu
Zanino e Marco de Ysachis di Giovanni
ASMi, Not., G. Scazzosi, 538
1480 marzo 21
Maestro Giacomo de Merate fu Francesco, p. S. Martino
in Compedo, affitta una camera a G.P. e Giovanni Ambrogio [d’ora in poi G.A.] de Donati, p. S. Maria Beltrade,
nello stesso sedime in cui risiedono Matteo de Fedeli,
maestro Lorenzo d’Angera, maestro Boniforte Solari,
Gerolamo Castelfranchi.
Testi: Matteo de Fedeli fu Antonio, Donato de Trizio fu
Martino, Bartolomeo da Como fu Antonio
ASMi, Not., P. Sansoni, 618
LONGONI 1998, p. 103
1468 settembre 9
Recognitio livellaria fatta da Caterina Suardi di Bergamo, vedova di Giovanni de Donati detto Secursi, nei confronti dei fratelli Francesco e Galeazzo Medici fu Giacomo di un sedime giacente in borgo di Rosate.
ASMi, Not., G. Scazzosi, 539 [atto mancante]
1470 luglio 26
Patti d’apprendistato durevoli per otto anni stipulati tra
maestro Giacomo del Maino e Caterina Suardi di Bergamo, vedova di Giovanni de Donati, e suo figlio Giovan
Pietro [d’ora in poi G.P.] de Donati, affinchè questi impari l’arte dell’intaglio.
Come fideiussore è presente Paolo Suardi, fratello di
Caterina. Testi: Francesco de Padule fu Giovanni Savius,
Giacomo de Horabonis fu Beltramolo, calzolaio, Cristoforo Ferrari “barbitonsor” fu Giovanni
ASMi, Not., G. Scazzosi, 539
SIRONI
1484 gennaio 24
Contratto per il coro per la chiesa di S. Francesco a
Pavia.
ASPavia, Not., M. Marchino, 1478-89
MAIOCCHI 1937, pp. 288-289, n. 1224
1484 gennaio 26
G.P. e G.A. de Donati presentano a frate Francesco della
Somaglia, agente dei frati del monastero di S. Francesco
di Pavia, il fideiussore Paolo Suardi e confermano i patti
stipulati in precedenza.
Testi: Gaspare de Formagallo fu Antonio di Casago pieve
di Missaglia, Giovanni Andrea de Suardi di Bergamo,
Donato de Vincemala fu Donato
ASMi, Not., A. Capitani, 1947
SIRONI
1477 febbraio 26
Procura ad causas fatta da Caterina Suardi e dai figli
Giovanni Antonio e Francesco in favore di Giuliano de
li[...], Genasio de Comite, Benedetto [?] de Medici, Bartolomeo de Pegis, Antonio de Sachis, Ambrogio Cattaneo
e Tommaso de Barlassina.
Testi: Stefano Marliani, Giovan Pietro de Orsoris di Giovanni, Giovanni de Coliobus fu Agostino
133
1484 agosto 4
Pagamento per il coro di S. Francesco a Pavia a G.P. de
Donati.
ASPavia, Not., M. Marchino, 1478-89
MAIOCCHI 1937, p. 294, n. 1246
1487 marzo 15
Patti tra G.P. e G.A. de Donati, p. S. Paolo in Compedo, e
Giovanni Castiglioni fu Antonio di Masnago, affinché i
maestri milanesi insegnino a Giovanni “ad exercendum
de arte sua videlicet arte lignarium ad intaliandi prout
ipsi fratris de Donatis exercentur temporibus”. Come
fideiussore viene convocato Battista Castiglioni fu Antonio di Masnago.
Testi: Antonio de Garbagnate di Guisniero, Giovan Pietro
de Rancate di Cristoforo, Francesco de Comite fu Andrea.
ASMi, Not., D. Scaravaggi, cart 4298
1484 agosto 23
G.P. e G.A. de Donati e Giovanni Giacomo de Cazzaniga
fu Lazzarino e Bernardo de Cazzaniga fu Guglielmo stipulano patti di apprendistato affinché il detto Giovan Giacomo sia tenuto a stare con i de Donati per quattro anni
“ad adiscendum et laborandum in ea arte intaliandi figura set alia in lignamine”.
Testi: Alvise Brambilla fu Giovanni, D. Scaravaggi di
Giovanni, Francesco Bonfigli di Antonio
ASMi, Not., P. Sansoni, 620
SIRONI
1487 ottobre 11
Patti tra G.P., G.A. de Donati e Giovan Angelo de la Curte, affinchè quest’ultimo sia istruito “ad laborandum et
exercendum de arte lignarium et intagliando”.
Come fideiussore si presenta Matteo de Habiate fu maestro Giovanni; testi: Melchion de Gradi, Giovanni de
Menolo e Giovanni Ambrogio Villa
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4298
1484 dicembre 18-22
Francesco de Donati intagliatore figura come testimone
in atti relativi ad un affitto nel convento di S. Francesco a
Pavia. Pagamento a G.P. de Donati per il coro per la chiesa di S. Francesco a Pavia; un nuovo pagamento avviene
al 22 dicembre.
ASPavia, Not., M. Marchino, 1478-89
MAIOCCHI 1937, p. 297, nn. 1253-1254
1488 ottobre 16
Confessio rilasciata da G.P. e G.A. de Donati a frate Cristoforo da Laurentino, prevosto della chiesa dei SS. Filippo e Giacomo dell’ordine degli umiliati di Monza per l’esecuzione di un’ancona oggi perduta.
Testi: Michele de Saronno fu Gemolo, Bartolomeo de
Brunelis di Minetus, entrambi di Monza e Cristoforo de
Magnardis di maestro Giovanni.
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4298
SHELL, VENTUROLI 1987, p. 652
1485 giugno 13
Patti tra G.A. de Donati, Bernardino Butinone e Bernardo Zenale per la realizzazione della cornice del polittico
di Treviglio.
ASMi, Rub. Not., S. Fagnani, 2052 [atto mancante]
SHELL IN ZENALE E LEONARDO 1982, p. 272, n. 5
1489 febbraio 3
Patti stipulati tra Giovanni Antonio de Donati e Antonio
de Cersanis di Monza, in vece di Bartolomeo suo figlio,
affinchè quest’ultimo impari l’arte di far calzature e di
tessere.
Patti stipulati tra Giovanni Antonio de Donati e Bertola e
Rainaldo de Bonfantis fu Antonio di Campsirago, rispettivamente di 16 e 15 anni e abitanti a Mondovì, pieve di
Brivio, affinchè i due giovani imparino l’arte di tessere.
Teste: Andrea de Gabusiis fu Nicola
ASMi, Not., P. Pecchi, 2818
SIRONI
1485 settembre 2
G. A. de Donati è attivo come intagliatore in casa Trivulzio.
ASMi, Archivio Trivulzio, Registri, cart. I, Libro Mastro
1485, f. 87 r e f. 135 v.
ROBERTSON 2002, p. 70, n. 16
1486 gennaio 9
G.A. de Donati confessa di aver ricevuto 100 lire imperiali
da Pietro e Paolo fratelli de Camnago fu Onrighino a nome
della sorella Lucrezia, moglie del detto G.A. Essendo morta
Lucrezia senza figli, i de Camnago confessano di aver ricevuto dal de Donati alcuni beni, pur rimanendo debitore nei
loro confronti di 35 lire imperiali.
Testi: Giovanni Antonio Cairati fu Gerolamo, Giovan Battista e Giovanni Evangelista fratelli de Rubeis fu Paolo
ASMi, Not., S. Fagnani, 2312
SIRONI
1489 febbraio 19
Procura speciale rilasciata da Bartolomeo Pozzobonelli a
G.A. de Donati, affinché lo scultore riscuota il credito che
Bartolomeo detiene nei confronti dei fratelli de Brunelis
[rogito del 3 maggio 1452, not. F. Zerbi].
Testi: Antonio de Malviganiis fu Cristoforo, Giovanni
Maria de Lanzapanighis fu Cristoforo, Pietro de Barengo
fu Andrea.
Venditio e obbligatio fatte da Vergelio Pozzobonnelli fu
Francesco a G.A. de Donati di un sedime sito a Borgomanero. La transazione è eseguita con il beneficio della patente ducale datata 2 febbraio 1489, con cui si concedeva a
Vergelio e al fratello Giovan Stefano di alienare il detto
possedimento di Borgomanero per saldare il resto della
dote della sorella Margherita, moglie di G.A. de Donati.
Testi: Gerolamo Solari fu Guiniforte, Andrea Moriggia fu
Antonio Cristoforo de Abiate di Giovanni.
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4298
1487 gennaio 24
Giovanni Antonio de Donati di Giovanni e Pietro Paolo de
Putheo fu Antonio stipulano patti di apprendistato, affinché quest’ultimo sia tenuto a lavorare con Giovanni Antonio nella sua bottega impegnato “in arte tessutorum”.
Testi: Giacomo de Lanteriis di Antonio detto Fra, Olivino
[?] Solari di Dionigi e Antonio de Phiis [?] di Guglielmo
ASMi, Not., B. Pecchi, 1562
SIRONI
134
1491 marzo 18
Procura speciale e liberatio rilasciate da Ludovico de
Donati a G.A. suo fratello.
Testi: Melchiorre Grandi, Giovan Pietro de Bergamo e
Anzinolo de Capitaneis fu Giovanni
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4299
1489 febbraio 27
Investitura fatta da G.P. de Donati in Evangelista de Curte fu Donato di un’abitazione che confina con proprietà
di: maestro Giovanni de Galinis, di Matteo de Fedeli, con
la chiesa di S. Martino, e con “Comin de Verta”.
Testi: Gerolamo Solari, Francesco de Custoldis fu Giovanni, Vespasiano da Velate fu Battista.
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4298
1491 marzo 26
Obbligatio rilasciata da Ludovico de Donati a Francesco
de Donati suo fratello.
Testi: Melchiorre Grandi, Bernardo de Martinis fu Cristoforo di Balbiano, pieve di S. Giuliano e Andrea Crivelli.
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4299
1489 marzo 11
Venditio fatta da Vergelio Pozzobonelli a nome di Giovan
Stefano suo fratello a G.A. de Donati per saldare il resto
della dote della sorella Margherita.
In casa di Giovanni Castiglioni fu Enrico i testi: Gaspare
de Monza fu Giovanni Antonio, Giovanni Enrico Castiglioni del detto Giovanni.
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4298
1491 aprile 23
Testamento del pittore Giosuè Oldoni di Boniforte, in procinto di lasciare Vercelli, con cui istituisce eredi universali i suoi fratelli Eleazaro e Ismaele e cessione da parte di
Giosuè ad Eleazaro di un immobile. Gli atti sono redatti
a Vercelli e maestro Ludovico de Donati, detto nel primo
documento pittore di Milano e nel secondo pittore di Vercelli, è presente in qualità di teste.
ASCVercelli, Not., G. da Lonate, L-6, F. 2, c. 474 e, stesso notaio, not. 17, cc. 96r e 96v.
BENTIVOGLIO RAVASIO 2006, p. 108
1489 maggio 11
Confessio rilasciata da Matteo Bonfigli fu Antonio a G.P.
de Donati per aver ricevuto in deposito per conto di Guido de Lucis de Pergamascha 20 braccia di fustagno nero
raso.
Testi: Ambrogio de Platis fu Giacomo di Pavia, Giovanni
de Masnago fu Antonio e Cristoforo de Habiate fu maestro Giovanni.
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4298
SHELL, VENTUROLI 1987, p. 653
1491 luglio 21
Patti tra G.A. de Donati, a suo nome e in vece del fratello
G.P., e Ambrogio de Platis fu Giacomo, affinché detto
Ambrogio sia tenuto a lavorare per due anni con i detti
fratelli de Donati.
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4299
TERRAROLI 2006, p. 124
1490 agosto 23
Investitura fatta da Ludovico de Donati in Galeazzo de
Lanzapanighis di immobili confinanti con maestro Giovanni de Galinis e con gli eredi di Guiniforte Solari.
Testi: Benedetto Scaravaggi, Battista de Lelma e Giovanni Maria de Saronno
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4299
1491 agosto 13
Patti tra G.A. de Donati a suo nome e in vece di G.P. e
Lazzaro e Giovan Angelo padre e figlio de Cislago, affinché Giovan Angelo sia tenuto a stare e abitare con i detti
fratelli de Donati per otto anni “ad laborandum die noctuque” nell’arte dell’intaglio.
Testi: Andrea Crivelli, Domenico de Ponte fu maestro Pietro, Vincenzo Pusterla fu Iorius
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4299
1490 ottobre 7
Investitura fatta da G.P. de Donati in maestro Lazzaro
Moriggia di una “apoteca” ubicata in un sedime giacente in p. S. Martino in Compedo, che confina da una parte
con la strada, dall’altra con Matteo de Fedeli e dall’altra
ancora con “illis de Solario”.
Testi: Francesco de Bregnano di Antonio, Bernardo de
Crixano [?] fu maestro Antonio e Tommaso de Conaziis
fu maestro Viniano.
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4299
1491 agosto 27
Patti tra Francesco de Donati, p. Santo Stefano in Brolio
intus, e Luchino de Cixate fu Tommaso, affinché Luchino
abiti con Francesco per 15 mesi “ad laborandum de exersitio tessendi et fatiendi tessuta a velutata”.
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4299
SHELL, VENTUROLI 1987, p. 651
1491 gennaio 4
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Bernardo Zenale e Bernardino Butinone per aver ricevuto dai pittori il
saldo finale per la cornice del polittico di Treviglio.
ASMi, Not., M. Agrati, 3326
SHELL 1995, p. 274, n. 124
1491 dicembre 12
Confessio rilasciata da Giovan Angelo de Brebbia fu
Lorenzo a G.A. e G.P. de Donati per la completa soluzione dell’affitto di alcuni beni giacenti in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: D. Scaravaggi di Giovanni, Giovan Pietro de Merate fu Lancellotto, Francesco Bossi fu Dionigi
ASMi, Not., M. Agrati, 3327
1491 marzo7
G.A. de Donati riceve un acconto dalla Fabbrica del Duomo di Milano per l’esecuzione dell’organo nuovo della
cattedrale.
AFD, giornale di cassa 1491, n. 842, f. 19v
ANNALI 1880, v. III, p. 68
135
1492 febbraio 10
Venditio fatta da prete Enrico de Terzago a G.A. de Donati
ASMi, Rub. Not., D. Scaravaggi, 4374 [atto illeggibile]
1493 giugno 10
Investitura fatta da G.P. e G.A. de Donati in maestro Beltramino Rasini de Gallarate fu Cristoforo di alcuni immobili presso la propria bottega, imponendo alcuni oneri e
vietando l’installazione in loco di telai.
Testi: maestro Pietro de Ello fu Antonio, Ambrogio da
Como de Lurago fu Agostino, Ambrogio de Platis fu Giacomo
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4300.
1492 aprile 4
Investitura fatta da Eusebio Crivelli fu Stefano a G.P. e
G.A. de Donati di due botteghe confinanti con le proprietà
di Benedetto Lombardi, Francesco Boltraffio, Giovanni
da Rancate, Giorgio Grazzi, Giovan Angelo e Francesco
de Brebbia
Testi: Benedetto Lombardi, Giorgio Grassi fu Ambrogio,
Andrea de Arigonibus fu Marchino
ASMi, Not., M. Agrati, 3327
1494 aprile 9
Liberatio rilasciata da maestro Antonio de Casorate, frate del terzo ordine nonché maestro “a lignamine” [di
costui si possono ricostruire le vicende biografiche dalle
carte del notaio A. Mantegazza, cartt. 4035-4036], in
favore di G.A. de Donati e Ambrogio de Platis realitiva a
debiti assunti da questi ultimi.
Testi: Gerolamo de Bernadegio fu Giovanni Battista, Marco Frisani fu Alvise, Donato de Duorano [?] di Branda
ASMi, Not., A. Mantegazza, 4036, atto 1428
1492 maggio 2
Vendita fatta da Eusebio Crivelli fu Stefano a G.P. e G.A.
de Donati delle botteghe menzionate nell’investitura del 4
aprile 1492. Obbligatio rilasciata a favore di Eusebio Crivelli da G.P. e G.A. de Donati
Testi: Benedetto Lombardi fu Giovanni, Andrea de Rigonibus fu Marchino, Giovanni Andrea Crivelli fu Lorenzo
ASMi, Not., M. Agrati, 3327
1494 luglio 15
Ludovico de Donati, p. S. Martino in Compedo, accetta
come apprendista Bartolomeo Barondi, figlio del defunto
pittore Lorenzo e nipote di Stefano.
ASMi, Not., M. Agrati, 3228
SHELL 1995, p. 221, n. 30
1492 luglio 10
Procura speciale irrevocabile rilasciata da G.A. de Donati nei confronti di Pietro de Brescia fu Belolo, affinché
costui riscuota dagli eredi di Bellino di Piacenza e dalla
vedova 80 lire imperiali.
Testi: Andrea Moriggia fu Antonio, Lazzaro suo fratello,
Lorenzo Lombardi fu Giovanni
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4299
1494 settembre 2
Liberatio vicissim fatta tra G.A. de Donati e Francesco
suo fratello in merito alla divisione dei beni derivanti dall’eredità paterna fatta tra tutti i fratelli de Donati.
Testi: maestro Cressinus de Ciseranis di Giacomo, Giovanni Ambrogio de Magistris, Gerolamo Delfinone.
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4300 [atto parzialmente illeggibile]
1492 agosto 1
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Giacomino de
Magnano fu Domenico detto Albano di Rosate.
Investitura fatta da G.A. de Donati in Giacomino de
Magnano di alcune vigne in Rosate.
Testi: G.P. de Donati, Giovanni Maria di Saronno e Giuseppe Spanzotti fu Cristoforo, abitante a [...], episcopato di
Lodi.
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4299
1494 settembre 23
Ludovico de Donati percepisce dal canonico Giovanni
Felice Ranzo un pagamento per l’ancona oggi perduta
destinata alla cappella di S. Michele in S. Maria Maggiore a Vercelli, che stava eseguendo in collaborazione con
Eleazaro Oldoni.
ASCVercelli, Not., A. de Canibus, not. 4, cc. 118 r-v.
BENTIVOGLIO RAVASIO 2006, p. 109
1492 dicembre 6
Investitura fatta da G.A. de Donati a suo nome e in vece
di G.P. in Andrea de Scherpalupis di Giovan Pietro di
alcuni locali presso la bottega dei due fratelli.
Testi: maestro Guglielmo Visconti fu Ambrogio, Melchion Gradi fu Pietro Paolo, Gregorio Centurioni
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4299
1494 ottobre 14
Confessio rilasciata da maestro Lazzaro Palazzi fu Antonio a Ludovico de Donati relativa all’affitto di alcuni beni
immobili.
Testi: Venturino Brambilla, Alvise Brivio fu Cristoforo,
Gerolamo di Appiano di Guglielmolo
ASMi, Not., M. Agrati, 3328
1493 aprile 19
Confessio rilasciata da G.A. de Donati in favore di
Andrea de Scherpalupis.
Testi: Giorgio Centurioni, Benedetto Lombardi e Andrea
Crivelli
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4300
1494 ottobre 24
Confessio rilasciata dai maestri G.A. e G.P. de Donati a
maestro Beltramino Rasini per la soluzione di un affitto.
Testi: maestro Guglielmo Visconti fu Ambrogio, maestro
Giacomo de Merate fu Francesco e maestro Pietro Bevilacqua fu Giovanni
ASMi, Not., G. Centurioni, 5226
Si ringrazia per la segnalazione Davide Mirabile
1493 giugno 7
Cambio fatto tra Eusebio Crivelli e G.P. de Donati. Obbligo fatto da G.P. a G.A. de Donati. Investitura livellaria
fatta da Eusebio Crivelli a G. A e G.P. de Donati.
ASMi, Not., M. Agrati, 3328 [atti mancanti]
136
1494 ottobre 25
Confessio rilasciata da G.A. de Donati al dominus Vincenzo de Habiate fu Andriolo per l’affitto di alcuni immobili.
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4300 [atto parzialmente illeggibile]
1495 settembre 18
Confessio rilasciata da Francesco Crivelli procuratore
del padre Eusebio a G.A. e G.P. de Donati per il saldo
dell’affitto degli immobili in p. S. Paolo Compedo.
Testi: Gregorio Centurioni, Giovanni Ambrogio de Magistris e Martino de Palude fu Maffiolo
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4301
1494 ottobre 29
Confessio rilasciata da Battista de Fossato fu Francesco
ai maestri G.A. e G.P. de Donati per l’affitto delle botteghe in S. Martino in Compedo, il quale affitto era soluto
in precedenza a Eusebio Crivelli, come si evince da investitura di Melchiorre Gradi del 4 aprile 1492 [atti mancanti]
Testi: Giovanni de Vercelli fu Antonio, Cesare Porro fu
Cristoforo, dominus Andrea Porro fu Antonio di Lentate,
pieve di Seveso
ASMi, Not., B. Lombardi, 3117
1495 ottobre 3
Denuntia fatta da Ludovico de Donati contro Alberto Sansoni fu Protasio, affinché costui gli permetta di occupare
i beni a lui locati in p. Santo Stefano ad Nuxigiam.
Testi: Donato de Colliate fu Martino, Leonardo de La
Strata fu Luchino, Marco Antonio de Melingeriis di Giovanni
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4301
1495 ottobre 23
Procura speciale rilasciata da Eliazar de Oldonibus a
maestro Ludovico de Donati affinché il de Donati riscuota l’affitto relativo a un sedime che Eliazar ha affittato a
Francesco Oldoni fu maestro Arasino.
Testi: maestro Antonio de Brippio fu Martino, G.A. de
Donati e Gregorio Centurioni.
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4301
1494 dicembre 12
Confessio rilasciata da Francesco Crivelli, procuratore
di Eusebio suo padre, a G.A. e G.P. de Donati per la soluzione del fitto dei beni locati ai De Donati nella p. di S.
Martino in Compedo, come si evince da investitura di
Andrea Crivelli [atti mancanti].
Testi: Gaspare de Maneris fu Beltramolo, Benedetto Lombardi, Andrea Crivelli
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4300
1495 novembre 19
Ludovico de Donati compare come teste di un accordo
stipulato a Vercelli tra il nobile Tommaso da Lodi e la
nipote Margherita.
ASCVercelli, Not., G. da Lonate, not. 17, cc. 65r-v.
BENTIVOGLIO RAVASIO 2006, p. 109
1495 marzo 4
Patti tra G.P. e G.A. de Donati e Giovanni Ambrogio de
Platis
ASMi, Rub. Not., D. Scaravaggi, 4375 [atto mancante]
1495 aprile 28
“Confessio sive augmento dotis facta per Aloisium de
Donatis domine Bianchine de Lonate uxori sue”
ASMi, Rub. Not., D. Scaravaggi, 4375 [atto mancante]
1495 novembre 24
Confessio rilasciata da G.P. e G.A. de Donati a maestro
Beltramino Rasini per la completa soluzione dell’affitto
dei beni giacenti in p. di S. Paolo in Compedo.
Testi: Marco Antonio de Malingeriis di Giovanni, maestro Marco Lombardi fu Giovanni, Ambrogio de Platis fu
Giacomo.
ASMi, Not., G. Centurioni, 5226
Si ringrazia per la segnalazione Davide Mirabile
1495 aprile 29
Venditio fatta da Eusebio Crivelli a G.P. e G.A. de Donati dei beni già concessi in affitto in Milano.
Testi: Andrea Crivelli, Petrino de Sanionibus fu Giacomino di Abbiategrasso, Giovanni Ambrogio de Magistris fu
Ambrogio
ASMi, Not., B. Lombardi, 3117
1496 febbraio 17
G.A. de Donati riceve il saldo per il polittico destinato
all’altare della Vergine in S. Matteo a Morbegno.
ASSondrio, Not., G. M. Olmi, 531
VIRGILIO 2007, pp. 72-73
1495 maggio 15
Venditio fatta da Battista de Fossato a G.A. e G.P. de
Donati.
Testi: Gregorio Centurioni, Nicola Moriggia fu Paolo, e
Giovan Ambrogio Centurioni fu Giovan Pietro
ASMi, Not., B. Lombardi, 3117
1495 agosto 25
Liberatio fatta da Francesco de Donati a G.P. de Donati.
Testi: Giovan Ambrogio de Magistris, Andrea de Perego,
fu maestro Giacomo, maestro Pietro de Rabiis fu Galdino
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4300
1496 aprile 7
Venditio fatta da Battista de Fossato a G.A. e G.P. de
Donati di un fitto livellario di immobili nella p. di S. Paolo in Compedo.
Testi: Giovan Pietro de Casate fu Luchino, maestro
Guglielmo Visconti fu Ambrogio e Gabriele Bevilacqua
di maestro Pietro
ASMi, Not., B. Lombardi, 3117
1495 settembre 2
Confessio rilasciata da maestro Francesco de Donati a
maestro Maffiolo de Bizzozzero
ASMi, Rub. Not., G. Centurioni, 1523 [atto mancante]
1496 dicembre 1
Confessio rilasciata da G.P. e G.A. de Donati a maestro
Beltramino Rasini relativi alla completa soluzione dell’affitto di alcuni beni immobili giacenti in p. S. Paolo in
137
Compedo dei quali Beltramino è stato investito dai due
fratelli de Donati [rogito di D. Scaravaggi del 10 giugno
1493]. Sono compresi nel pagamento 3 lire imperiali e 15
soldi “pro pelizola una data per dictum magistrum Beltrminum dictis fratribus”.
Testi: Balsarius de Rapitis fu Antonio, Giacomo de Lomeno fu Ruggero, Baldassarre de Cusano fu Protasio
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3254
1497 novembre 14
G.P. e G.A. de Donati e Isaia de Ixate di Francesco fanno
alcuni patti affinché Giovan Battista de Ixate impari l’arte dell’intaglio.
Testi: Bernardo della Strada fu Giovanni, Davide de Rapitiis fu Cristoforo, Benedetto de Medici di Novate
ASMi, Not., M. Agrati, 3330
SIRONI
1496 dicembre 2
Confessio rilasciata da Alessandro Carcano fu Giacomo
a G.A. de Donati a suo nome e in vece del fratello G.P.
relativi all’affitto di alcuni beni immobili giacenti in p. S.
Paolo in Compedo.
Testi: Irachinus de Tadonibus fu Gabriele, Giacomo Carcano fu Giovanni Antonio, Leonardo de La Strata
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4301
1498 febbraio 21
Liberatio vicissim fatta tra G.A. de Donati e Giovan Stefano Pozzobonnelli
Testi: Ambrogio de Platis, Martino de Palude fu Maffiolo,
Giorgio Visconti di Giacomo
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4301
1498 marzo 1
Venditio fatta da Battista de Fossato a G.A. e G.P. de
Donati con confessione seguente per beni nella p. di S.
Paolo in Compedo.
Testi: maestro Marco Lombardi fu Giovanni, maestro Baldassarre de Rapitis fu Antonio e Giovan Pietro de Casate
di Pagano
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3255
1496 dicembre 16
Liberatio fatta da Eusebio Crivelli nei confronti di G.P. e
G.A. de Donati in particolare di un fermaglio depositato
dallo stesso Eusebio presso i due maestri.
Testi: maestro Pietro Bevilacqua fu Giovanni, Cristoforo
de Trivilio de Gerardus di Giovanni, Ambrogio de Platis
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4301
1498 aprile 20
Giovanni Giacomo da Conigo si trasferisce dalla bottega
di Ludovico de Donati a quella di Ambrogio Bevilacqua.
ASMi, Not., P. Sansoni, 674
SHELL 1995 pp. 228-229, n. 42.
1497 marzo 10
Patti tra i maestri G.P. e G.A. de Donati e Ambrogio de
Platis affinché costui si impegni a lavorare con detti fratelli de Donati per due anni.
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4301
TERRAROLI 2006, p. 124-125
1498 maggio 12
G.A. de Donati a suo nome e in vece di G.P. investe Vincenzo de Abbiate fu Andreotto di una bottega.
Testi: Bernardino de Camporgnago fu Giovanni, Giovanni de Leporibus fu Masetus, Cristoforo de Carnago fu
Giovanni
ASMi, Not., B. Albignani, 3482
SIRONI
1497 maggio 29
Obbligatio, condemnatio e securitas tra G.A. de Donati,
maestro Martino di Castello di Caspano e gli scolari di
S. Pietro Martire a Como per l’esecuzione dell’ancona di
San Pietro Martire in San Giovanni Pedemonte.
ASComo, Not., L. Lambertenghi, 1497
BATTAGLIA 1996, p. 226
1498 giugno 23
Patti tra G.A. de Donati, a suo nome e in vece di G.P., e
Ambrogio de Platis.
Da questa data non compare più il nome di Ambrogio de
Platis, collaboratore dei de Donati da almeno dieci anni.
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3255
TERRAROLI 2006, pp. 125-126
1497 agosto 25
Ludovico de Donati accetta a bottega Giovan Giacomo
da Conigo, che reciderà in contratto l’anno seguente.
ASMi, Not., P. Sansoni, 624
SHELL 1995, p. 228, n. 41
1497 settembre 27
Confessio rilasciata da Francesco de Donati a maestro
Maffiolo de Bizozzero relativa alla completa soluzione del
fitto di un sedime sito in p. S. Babila intus, nel quale il
detto maestro Maffiolo abita.
Testi: Francesco de Homate fu Bartolomeo, maestro Giovanni de Legnano fu Minonus [?], maestro Ambrogio de
[...] fu Giovanni
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3254
1498 luglio 16
Patti stipulati tra G.P. e G.A. de Donati e maestro Bernardino de Ghislantis e Battista suo figlio, affinché il giovane Battista sia tenuto a stare e abitare con detti maestri
per imparare l’arte dell’intaglio.
Testi: Baldassarre de Rapitis fu Antonio, Benedetto de
Pazolo fu maestro Bono, maestro Angelo de Meda fu
Antonio
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3255
1497 novembre 4
Confessio rilasciata da G.P. e G.A. de Donati a Beltramino Rasini concernente la completa soluzione del fitto di
alcuni beni immobili.
Testi: Simone de Soris fu Filippo, Francesco Binasco fu
Alberto, maestro Giovanni Antonio de Mercato fu Franco
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3254
1498 settembre 13
Ludovico de Donati riceve un pagamento per non precisati lavori in San Giovanni in Pedemonte a Como.
ASComo, Not., L. Lambertenghi, 137
BATTAGLIA 1996, p. 219
138
1498 novembre 12
Confessio rilasciata da G.P. e G.A. de Donati a Beltramino Rasini relativa alla soluzione del fitto di alcuni beni
immobili in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: Giovanni de Merate di Giacomo, Giovanni Antonio
de Donadeis fu Cristoforo, maestro Matteo de Fedeli fu
Antonio
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3255
1500 febbraio 29
Procura speciale rilasciata da Francesco de Donati a
favore di G.A. de Donati, suo fratello, e maestro Angelo
de Leuco, suo suocero, affinché riscuotano quanto dovuto
presso tutti i suoi debitori e in particolare da maestro
Maffiolo de Bizzozzero.
Testi: Beltramino Rasini, Giuseppe de Roziis fu Gerolamo, maestro Giovanni Ambrogio Ferrari di Protasio
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3256
1498 novembre 23
Bernardino Lanzani e Jacopino de Motti periziano l’ancona per l’Incoronata di Lodi, scolpita dai de Donati e
dorata da Antonio Raimondi.
BCLaudense, ms. di P. C. Cernuscolo, Relazione... c. 8r.
VENTUROLI IN ZENALE E LEONARDO 1982, pp. 106-107
1500 giugno 16
Confessio rilasciata da Paolo de Buconis a G.A. de Donati
Testi: Bernardo Trivulzio fu Pietro, Giovanni Ambrogio
de Micheriis di Antonio, Giovanni de Trevolo [?] fu Bartolomeo
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3256
1499 agosto 20
Ludovico de Donati accetta a bottega Giovan Pietro di
Locarno, che si impegna a seguirlo anche nelle imprese
al di fuori del Ducato di Milano e sarà denunciato per
aver mancato agli impegni l’anno successivo.
ASMi, Not., M. Agrati, 3331
SHELL, VENTUROLI 1987, p. 657
1500 agosto 4
L’ancona scolpita dai de Donati viene messa in opera sull’altare maggiore dell’Incoronata di Lodi. L’altare sarà
benedetto il 28 maggio 1501.
BCLaudense, ms. di P. C. Cernuscolo, Relazione... c. 8r.
VENTUROLI IN ZENALE E LEONARDO 1982, pp. 106-107
1499 settembre 13
Confessio rilasciata da Francesco de Donati a maestro
Maffiolo de Bizzozzero relativi alla completa soluzione
del fitto di due anni del sedime in cui abita lo stesso Maffiolo, in p. S. Babila intus, “quod ipse Maffiolus faciebat
magistro Angelino de Leuco”.
Testi: Giovan Stefano Marliani fu Leonardo, Paolino de
Piro fu Giorgio, Francesco Binasco fu Bartolomeo
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3256
1500 ottobre 23
Damiano Corio accusa ricevuta di pagamento d’affitto di
una proprietà da parte di Ludovico de Donati: il pagamento comprende due “capse” dipinte dall’artista.
ASMi, Not., M. Agrati, 3331
SHELL 1995, p. 242, n. 72.
1500 dicembre 16
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Beltramino Rasini relativa all’affitto di alcuni immobili siti in p. S. Paolo
in Compedo.
Testi: maestro Matteo de Burris fu Giovanni, Simone de
Daltris fu Bernardo e maestro Guglielmo Visconti fu
Ambrogio
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4302
1499 novembre 12
Confessio rilasciata da G.P. e G.A. de Donati a maestro
Beltramino Rasini.
Testi: Giovanni de Merate fu Giacomo, Pietro de Rizolis
fu Antonio, Antonio Sormani fu maestro Giovanni
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3256
1499 dicembre 5
Recognitio fatta per Bernardo de Galinis versus prete
Paolo de Marinonibus canonico et versus maestro Francesco de Donati. Francesco de Donati affitta un immobile
a Maffiolo di Bizzozzero.
ASMi, Not., G.A. de Magistris 3256
1501 febbraio 10
La scuola dei Disciplini di S. Marta a Como ingaggia G.P.
e G.A. de Donati per realizzare un’ancona destinata
all’altare maggiore della chiesa.
BATTAGLIA 1996, p. 227 [atto mancante]
1500 gennaio 24
Paolo de Buconis fu medico Andrea vende a G.A. de
Donati il fitto livellario che il defunto Benedetto Lombardi versava al detto Paolo, che al momento è tenuta a versare Caterina de Missaglia, vedova del detto Bartolomeo
e tutrice del minore Giovanbattista, ed erede di Benedetto, relative a beni immobili in p. S. Paolo in Compedo.
Confessio rilasciata da Paolo de Buconis a G.A., stipulante a nome degli eredi di Benedetto Lombardi. Obbligazione rilasciata da G.A. de Donati a Paolo de Buconis
Testi: Gabriele de Odonibus fu Giovanni di Pavia, Andrea
e Giovanni Antonio de Magistris di maestro Pietro e G.P.
de Donati
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3256
1501 marzo 7
Ludovico de Donati lamenta che il garzone di bottega
Giovan Pietro da Locarno non ha rispettato i termini del
contratto stipulato nell’agosto 1499.
ASMi, Not., M. Agrati, 3331
SHELL 1995, pp. 227-228, n. 40
1501 luglio 6
Procura ad causas rilasciata da G.A. de Donati a favore
di M. Scaravaggi, Felice de Rondis, Bernardo Albignani,
Enrico de La Strata e G.P. de Donati.
Testi: Alessandro Albignani, Andrea Crivelli fu Lorenzo,
maestro Guglielmo Visconti fu Ambrogio
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4303
139
1501 luglio 13
Pagamento da parte di Francesco Antonio Pellegrini a
nome degli scolari di S. Pietro Martire a Como a favore
di G.A. de Donati quale anticipo per l’esecuzione dell’ancona di S. Giovanni in Pedemonte.
ASComo, Not., C. Corticella, 68
BATTAGLIA 1996, p. 227
1502 novembre 15
Venditio fatta da Filippo de Bernadegio fu Pietro a G.P.
de Donati di alcuni beni immobili nella p. S. Paolo in
Compedo
Testi: Matteo de Castoldis fu Giovanni, Bartolomeo Foppa fu Antonio di Bernadegio, pieve di Vimercate, Bartolomeo de Verona fu Giovanni di Savignano, pieve di Gorgonzola
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4303
1502 gennaio 11
Confessio rilasciata da G.P. e G.A. de Donati a Beltramino Rasini relativi all’affitto di beni immobili.
Testi: Ambrogio de Besana fu Cristoforo, Giovan Cresino
de Septara di Raynerius, Gaspare de Barziziis fu Gerardo
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3258
1503 gennaio 18
Patti stipulati tra G.P. e G.A. de Donati e maestro Cresino de Ciseranis e Giovanni Antonio suo figlio per insegnare a quest’ultimo l’arte dell’intaglio.
Testi: maestro Beltramino de Donadeis, maestro Ambrogio Ferrari fu Protasio, maestro Andrea Moriggia fu Antonio
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3259
1502 marzo 18
Venditio fatta da G.P. de Donati a G.A. di una parte degli
immobili in S. Martino in Compedo.
Testi: maestro Giovanni de Merate fu Giacomo, Paolo de
Cuticis di Giacomo, Beltramino de Donadeis fu maestro
Cristoforo
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3258
1503 febbraio 3
Confessio rilasciata a G.A. de Donati da domina Zaccarina Porro, che agisce qui con il consenso di suo fratello
Venturino Porro fu Antonio.
Testi: Beltramino de Donadeis, Bernardo de Fossato fu
Francesco, Cristoforo de Longono fu Ambrogio
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4304
1502 agosto 12
Venditio fatta da domina Caterina de Missalia fu Donato
e vedova di Benedetto Lombardi a nome del minore Giovanni Battista suo figlio a G.A. de Donati di un sedime
giacente in p. S. Paolo in Compedo costituito da due botteghe, tenute a livello per conto della detta curatrice in
parte da Filippo de Bernadegio ed in parte da G.A. e G.P.
de Donati [rogito di G.A. de Magistris del 24 gennaio
1500 e dal rogito di F. de Regnis, 8 agosto 1500]. La vendita avviene grazie alla patente ducale rilasciata per saldare la dote promessa a Giovani Giacomo de Brescia fu
Pietro, marito di Angelina Lombardi, figlia di Caterina e
sorella di Giovanni Battista.
Segue l’investitura fatta da G.A. de Donati in domina Zaccharia Porro fu Antonio e vedova di Giovanni Antonio de
Mengoxiis di Piacenza per l’affitto dei beni appena menzionati ed il deposito della stessa a favore di G.A. de
Donati
Testi: Giuliano de Longono fu Antonio, Francesco de
Farixeis, maestro Stefano di Melegnano, Stefano Crivelli
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4303
1503 agosto 19
Investitura fatta da G.P. de Donati in maestro Bartolomeo
de Varese fu maestro Romerio di beni immobili in p. S.
Paolo in Compedo, “et tenentur” per maestro Cristoforo
Briosco, con il patto speciale che la fornace che il conduttore intende costruire nel luogo dietro la bottega dovrà
essere completata entro la festa di S. Michele del 1504.
Testi: Alessandro Albignani fu Bernardo, Giovanni Battista de Ghislantis fu maestro Bernardo, maestro Pietro de
Galinis fu Gaspare
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4304
1503 settembre 13
Investitura fatta da G.A. de Donati in maestro Giovani de
Cataneis fu Vasinus di beni in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: maestro Guglielmo Visconti, maestro Giovanni da
Velate fu Zemino, maestro Michele de Stupanis del maestro Lanzino
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3259
1502 agosto 27
Investitura fatta da G.A. de Donati in Giovan Pietro de
Gradi fu Arico di beni nella p. di S. Martino in Compedo,
con il patto speciale che la moglie di Giovanni dovrà
istruire Lucia, figlia del locatore, nell’arte che la donna
eserce.
Testi: maestro Pietro de Galinis fu Gaspare, Giovanni
Maria de Beaquis fu Lazzaro, maestro Pietro de Magistris
fu Andrea
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3259
1503 settembre 28
Investitura fatta da G.P. de Donati in Gaspare di Modena
fu Andrea di immobili ubicati in p. S. Paolo in Compedo
Testi: maestro Pietro Oggioni fu maestro Bernardo, Vincenzo Regni fu Ambrogio, Galeazzo de Borziis fu Baldassarre
ASMi, Not., Giovanni Ambrogio Casteni, 5923
1503 settembre 30
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Beltramino Rasini.
Testi: Giovanni Agostino de Albiate fu Tommaso, Giovanni Antonio de Novate fu Giacomo, Battista de Pietrasanta di Lorenzo
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4304
1502 settembre 24
Cambio e permutatio eseguito tra G.P. e G.A. de Donati
di beni immobili in p. di S. Martino in Compedo.
Testi: Enrico de Lastrata fu Luchino, maestro Benedetto
de Fossato fu Francesco, Gabriele de Piro, fu maestro
Giorgio
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4303
140
1503 ottobre 2
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Franceschina de
Maineris de Gazanino fu Nicola, moglie di Vincenzo de
Abbiate, relativa alla soluzione dell’affitto di beni immobili giacenti in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: maestro Zanus de Bochadolis de Lodi fu Bassiano,
Giovanni Antonio de Fedeli fu Matteo, Ambrogio de
Merate fu Giacomo. Si rileva come dallo spoglio dei
documenti del notaio G.A. de Magistris sia possibile ipotizzare un legame societario tra il de Bochadolis e Giovanni Antonio de Fedeli.
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3259
1504 agosto 22
Investitura fatta da G.A. de Donati in Andrea de Paliariis
di Francesco avente la facoltà di agire in proprio grazie
a una patente regia del luglio 1502 “de tante parte canepe que respicit versus curiam infrascripti sediminis”,
capace di contenere almeno 3 plaustri di vino.
Testi: Filippo de Capitaneis fu Cristoforo Elia, Ambrogio
de Vesino fu Fermo, Donato Lampugnani fu Filippo
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3260
1504 settembre 9
Gli eredi di Paolo Scaccabarozzi incaricano G.A. e G.P.
de Donati di scolpire un Compianto, composto di otto
figure a grandezza naturale e con la doratura del Raimondi, per la chiesa di San Francesco grande a Milano.
ASMi, notarile, not. F. Bianchi di Velate, 5827
SHELL 1995, pp. 258-259, n. 100
Investitura fatta da G.P. de Donati in Giovan Battista de
Amiconibus, figlio emancipato di Luchino, di una camera
già condotta dalla defunta Zaccarina Porro in p. S. Paolo
in Compedo.
Testi: Berduxius [?] de Petregalis fu Dionigi, Enrico Fontana del magnifico Francesco, Ruggero de Albiate fu Tommaso
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4304
1503 dicembre 9
Protestatio caducitatis dall’investitura livellaria stipulata
fatta da maestro Francesco de Donati contro Bernardo de
Galinis.
Testi: Bernardo e Alessandro, padre e figlio Albignani e
Federico da Vimercate
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4304
1504 maggio 24
Confessio relativa all’affitto di certi beni immobili rilasciata da G.A. de Donati a maestro Giovanni de Cataneis
[rogito dello stesso notaio, 13 settembre 1503]. In questa
confessione sono comprese “serraturis et ferramentis
datis et factis per dictum magistrum Iohannem”.
Testi: Giovanni Antonio e Francesco de Fedeli fu Matteo,
Paolo Tadoni
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3260
1504 novembre 27 - dicembre 23
Giovanni Antonio Amadeo e Lorenzo da Mortara sono
incaricati di periziare il Compianto Scaccabarozzi. Consegnano la perizia il 28 novembre. Il giorno 1 dicembre
Raimondi si impegna ad effettuare la doratura, periziata
il 17 dicembre. Le sculture sono in opera entro il 23
dicembre.
ASMi, Not., F. Bianchi di Velate, cartt. 5827-5828
SHELL 1995, pp. 259-261, nn. 101-102-104
1504 luglio 16
Investitura fatta da G.P. de Donati in Giovanni de Herba
fu maestro Beltrame di beni immobili ubicati in p. S. Paolo in Compedo
Testi: Giorgio de Varese fu Giulio, Galeazzo de Pasqualibus fu Castellino, Battista Sormani
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4304
1505 aprile 30
Francesco Osnago da Melegnano commissiona un’ancona a Bergognone, il quale dovrà anche dipingere la cornice intagliata dai de Donati per la chiesa di S. Giovanni
Battista in Melegnano. G.P. e G.A. de Donati compaiono
tra i testimoni.
ASMi, Not., G. E. Rossi, 4803
SHELL 1983, pp. 101-103
1504 luglio 20
Investitura fatta da G.A. de Donati in Filippo Sormani fu
Donato di beni immobili in p. S. Paolo in Compedo
Testi: maestro Marco Burri fu Giovanni, Bernardo Albignani fu Pietro, Francesco de Sant’Agostino di Giovanni
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4304
Renuntiatio investiture fatta da G.A. de Donati e da maestro Giovanni de Cataneis come da atto del 13 settembre
1503.
Testi: dominus Ruggero Marliani fu Melchiorre, Domenico de Garbagnate fu Antonio, Lazzaro de Mediolano fu
Gabriele
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3260
1505 maggio 18
G.A. de Donati riceve da Giovanni Domenico de la Geixa
il pagamento per l’ancona eseguita per l’altare del Corpo di Cristo nel Duomo di Vigevano.
ASCVigevano, Ospedale civile, 14/d, Liber Thesaurii della scuola del SS. Sacramento, 1500-1543, foglio libero
inserito a c. 369, altri pagamenti in c. CLXIIIv.
TONANI 2003, p. 82; SACCHI 2005, p. 218
1504 agosto 9
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a G.P. suo fratello
[rogito 24 settembre 1502].
Confessio rilasciata da Zaccarina Porro a G.A. de Donati.
Testi: Beltramino de Donadeis, Zanino de Laude de
Bochadolis fu Bassiano, Giovanni Antonio de Bexana fu
Stefano
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4304
1505 luglio 30
Investitura fatta da G.A. de Donati in Aloisio de Vesino fu
Firmino di alcune stanze, tra cui un solaio “per lignis
tenendi”, in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: maestro Zanino de Bochadolis fu Bassiano e maestro Antonio de Limiate fu Giovanni, Bernardino de Crispis de Busto fu Bono
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3261
141
1505 agosto 6
G.A. de Donati [che compare anche quale testimone
all’atto precedente che concerne l’investitura fatta da
Battista de Anono a Giovanni Maria Bevilacqua fu maestro Lazzaro] investe maestro Guglilemo Visconti fu
Ambrogio di beni ubicati in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: Battista de Corbetta, maestro Benedetto de Brambilla fu maestro Gasparino, maestro Bono de Parazzollo
fu Bartolomeo
ASMi, Not., M. Agrati, 3335
SIRONI
ta da Bergognone e raffigurante il Battesimo di Cristo, si
conserva a Melegnano ed è datata febbraio 1506.
ASMi, Not., G. E. Rossi, 4803
SHELL 1983, p. 103
1506 giugno 27
Confessio rilasciata da maestro Giovanni de Ferrariis fu
Benedetto a maestro Francesco de Donati.
Testi: Federico de Vicconleatus [?], Baldassarre Albignani e Alessandro suo figlio
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4306
1506 agosto 13
Investitura fatta da Francesco de Donati in maestro Giovanni de Ferrariis di una “apotecha a tinctoria” e altri
immbobili vicino a dove risiede Puginus (?) de Orta, in p.
S. Babila intus.
Testi: Alvise de Madiis fu Gabriele, Gabriele de Pristino
fu Giovan Filippo, Alessandro Albignani
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4306
1505 agosto 8
Investitura di beni in S. Paolo in Compedo fatta da G.P.
de Donati in Bartolomeo de Intropis fu Paolino.
Testi: Giovanni de Peretis fu Beltramino, Alessandro Albignani e Battista Lombardi
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4305 [atto parzialmente illeggibile]
1505 agosto 13
Investitura fatta da G.A. de Donati in Giovanni Maria de
Malvolta fu Galvagno di alcuni immobili in p. S. Paolo in
Compedo poi condotti a livello da Andrea de [...]
Testi: maestro Ambrogio de Vesino fu Firmino, Francesco
de Buscho fu Antonio, Ambrogio de Merate fu Giacomo
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3261
1506 agosto 20
Investitura fatta da Francesco de Donati e Margherita de
Leuco fu Angelo, coniugi, in Nicola Visconti di Matino di
immobili in p. S. Babila intus.
Testi: Giuseppe de Ziletis fu Antonio, Bernardino de
Donati di Giovanni Antonio, Ambrogio Castiglioni fu
Bartolomeo
ASMi, Not., F. Pusterla, 6313
1505 agosto 14
Revocatio investiture fatta da G.A. de Donati e da Cristoforo Briosco fu Paolo relativa ad alcuni beni immobili
in p. S. Paolo in Compedo [rogito di F. Pusterla, 26 luglio
1503, atto mancante].
Investitura fatta da G.A. de Donati in Paolo Antonio Suardi e Galdino Marliani fu Beltrame degli immobili sopraddetti.
Testi: Giovanni Antonio de Fedeli, Aloisio de Stazana detto de Beluscho fu Giorgio, maestro Zanino de Bochadolis
fu Bassiano
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3261
1506 settembre 10
Investitura fatta da G.P. de Donati in maestro Bernardino
Bossi fu maestro Cristoforo di immobili in p. S. Paolo in
Compedo.
Testi: maestro Bartolomeo de Intropis fu Porinus, Cristoforo de Briosco fu Antonio, maestro Zanino de Bochadolis fu Bassiano
ASMi, Not., F. Pusterla, 6313
1506 ottobre 21
Ludovico de Donati, che risiede in p. S. Donnino a Como,
e Battista da Lainate di maestro Antonio, entrambi pittori, sono incaricati dalla scuola dei Disciplini di S. Marta
a Como di eseguire le ante dipinte per l’altare realizzato
da G.P. e G.A. de Donati.
ASComo, Not., B. Zobio, 182
BATTAGLIA 1996, pp. 228-229
1505 novembre 14
G.A. de Donati compare come teste in un atto rogato nel
capitolo di S. Giovanni in Pedemonte a Como.
ASComo, Not., F. M. Malacrida, 168-169
BATTAGLIA 1996, p. 213
1505 novembre 24
Confessio rilasciata da Alvise de Marinonibus a nome
dagli eredi di prete Paolo de Marinonibus “olim” arciprete della chiesa di S. Fedele di Incasate, diocesi milanese, a maestro Francesco de Donati relativa all’affitto di
immobili siti in p. S. Babila [rogito di G. Lazzaroni, notaio
della curia arcivescovile].
Testi: Alessandro Albignani, Leonardo de Sirturi fu Antonio, Battista de Cazolis di Maffeo
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4305
1507
Ludovico de Donati firma il polittico con l’Adorazione
del Bambino e Santi per la chiesa dei SS. Agata e Martino a Moltrasio (Como).
DI LORENZO IN PITTURA A COMO... 1994, p. 281
1507 gennaio 20
Patti tra G.A. de Donati e maestro Bernardino e Agostino
padre e figlio da Giussano per l’insegnamento dell’arte
dell’intaglio a quest’ultimo.
Testi: Andrea de Giochis di Giovan Pietro, Gerolamo di
Giacomo, Giovan Pietro de Birago fu Lorenzo
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3263
MOTTA 1905, p. 484
1506 febbraio 3
G.A. e G.P. de Donati completano il polittico di Melegnano, andato in parte disperso, la cui pala centrale, esegui-
142
1507 aprile 7
Investitura fatta da G.A. de Donati in maestro Gabriele
de Vesino fu Fermo e Gabriele de Piro fu Giorgio con successiva confessione per un mulino a seta e altri immobili
siti in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: maestro Domenico de Bechariis di Antonio, Marino Angelo de Castrofranco fu Gerolamo, maestro Bernardino de Curtis di Giovanni
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3263
1507 ottobre 5
Confessio rilasciata da Francesco de Donati a maestro Pietro de Rabiis fu Galdino, presente a nome di Ambrogio de
[...] relativi a parte dell’affitto di alcuni beni ubicati in p.
S. Babila, tenuti a livello dal detto Pietro per conto di Giovanni Ambrogio de [manca], i quali beni “conduxerat a
Nicolao Visconti qui similiter conduxerat dicta bona a dicto magistro Francisco” [locazioni rogate da Melchiorre
Gradi].
Testi: Giovanni Luca Raimondi fu Gabriele, Alessandro
Albignani e Princivalle de Locarno
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4307 [atto parzialmente illeggibile].
1507 aprile 12
G.A. e G.P. stipulano il contratto per realizzare l’ancona
dell’altare maggiore della chiesa di San Lorenzo a Lugano.
ASMi, Not., S. M. Castagna, 6264
GATTI 1977, pp. 162-164.
1507 ottobre 7
Confessio rilasciata da Francesco de Donati a Giovanni
de Ferrari fu Benedetto, relativa all’affitto di immobili,
dei quali il detto maestro Giovanni è stato investito [atto
del 13 agosto 1506]
Testi: Princivalle de Locarno, Alessandro Albignani, Francesco de Sant’Agostino
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4307
1507 maggio 11
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Paolo Antonio
Suardi fu Franco e Galdino Marliani fu Bartolomeo relativi alla soluzione dell’affitto di immobili in p. S. Paolo in
Compedo.
Testi: maestro Zanino de Bochadolis, Giovanni Ambrogio
de Grassi di Alvise, Bernardino de Curtis di Giovanni
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7188
1508 gennaio 3
Investitura di immobili in p. S. Paolo in Compedo fatta da
G.A. de Donati in Paolo Antonio Suardi e Galdino Marliani.
Testi: Giovanni Antonio de Fedeli, Bartolomeo de Marono [?] fu Abelus, maestro Guglielmo Visconti
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3264
1507 maggio 14
Venditio fatta da Giovanni Alberto Sansoni fu Protasio a
G.A. de Donati di terreni agricoli in territorio di Sidriano, pieve di Corbetta. Una porzione di tale appezzamento
è tenuto a livello da Leonardo de Predis come si evince
da investitura dello stesso notaio del 15 novembre 1505.
Come fideiussore si presenta lo stesso Leonardo de Predis fu Evangelista. La vendita è fatta alla presenza della
moglie di Sansoni, Lucia de Corradis fu Giorgio, cui
appartengono i detti beni, a lei giunti tramite la dote, e
che li vende con il consenso di Antonio de Corradis fu
Giorgio, suo agnato.
Recognitio fatta da G.A. de Donati nei confronti di Leonardo de Predis; obbligatio rilasciata da G.A. de Donati
in favore di Alberto Sansoni.
Testi: Marino Angelo de Castrofranco, Stefano Marliani
fu Baldassarre, Francesco de Brena de Cumis fu maestro
Pietro. L’atto fu cancellato il 7 settembre 1507 “de mandato creditoris presentis debiti”, presenti Mario Sansoni
di Bernardo, Giovan Francesco Lombardi di Marco.
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3263
1508 gennaio 5
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a domino Leonardo de Predis relativa al fitto della vigna in territorio di
Sidriano [atto del 14 maggio 1507].
Testi: Zanino de Bochadolis, Giovan Giacomo de Cardano fu Giuliano, Cristoforo de Cavaleriis fu Dionisio di
Cornaredo
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3264
1508 gennaio 18
Liberatio rilasciata da G.A. de Donati nei confronti di Paolo Antonio Suardi e Galdino Marliani in merito a tutto
quello che l’artista può esigere dai due “occasione incendii”.
Testi: maestro Ambrogio Ferrari fu Protasio, maestro
Zanino de Bochadolis, Andrea de Vimercate fu Gemolo
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3264
1507 giugno 12
Giovan Pietro “de Leporibus” e suo figlio [...], si impegnano a saldare il debito contratto con maestro Francesco de Donati “occaxione pretii unius telarii a tesutis”.
Testi: Giovan Angelo de Platis di Clemente, Francesco
Albignani, Princivalle de Locarno fu Cristoforo
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4306 [atto parzialmente illeggibile]
1508 gennaio 29
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Paolo Antonio
Suardi e Galdino Marliani.
ASMi, Rub. Not., G.A. de Magistris, 2883 [atto mancante]
1507 agosto 5
Investitura fatta da G.A. de Donati in Pietro de Fructerolis de Laude fu Antonio.
Testi: Pietro de Agliate fu Stefano, Alessandro Albignani,
Alvise de Missaglia fu Donato
ASMi, Not., D. Scaravaggi, 4307 [atto parzialmente illeggibile]
1508 febbraio 25
Investitura fatta da G.A. de Donati in Galdino Marliani
di immobili ubicati in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: Gaspare de Comite fu Pietro, Giacomo de Ghilis fu
Cristoforo, Gaspare de Merate di Gabriele
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3264
143
1508 maggio 4
Patti stipulati tra G.A. de Donati e maestro Giuseppe de
Basti fu Nicolino di Vigevano e Giovan Pietro suo figlio
per l’apprendistato di quest’ultimo.
Testi: Gabriele de Regnis fu Antonio di Vigevano, Paolo
Antonio Suardi e Stefano de Puteo fu Eustachio
MOTTA 1905, p. 484.
Confessio fatta a G.A. de Donati da Paolo Antonio Suardi.
Testi: maestro Guglielmo Visconti, Stefano de Puteo, e
Giovanni Maria Bevilacqua
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3264
1508 novembre 18
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Leonardo de
Predis.
ASMi, Rub. Not., G.A. de Magistris, 2883 [atto mancante]
1509 maggio 16
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Gabriele de Piro
relativa all’affitto di immobili in p. S. Paolo in Compedo
[stesso notaio, 7 aprile 1507].
Testi: Ambrogio de Radicibus fu Giacomo, Lazzaro de
Radicibus fu Giacomo, Ambrogio de Magantiis del maestro Domenico
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3265
1508 maggio 18
Confessio rilasciata da prete Giovan Angelo de Gallarate
a maestro Francesco de Donati.
ASMi, Rub. Not., D. Scaravaggi, 4375 [atto non consultabile]
1509 agosto 4
Investitura fatta da G.A. de Donati in Giovanni Maria
Porro di Giovanni Aloisio.
Testi: Francesco de Rapitiis, Stefano de Puteo e Martino
de Sant’Ambrogio fu Beltramolo, abitante in cassina de
Sant’Agostino, pieve di Desio
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3265
1508 giugno 2
Patti stipulati tra G.A. de Donati e i fabbricieri della chiesa di S. Giovanni Battista di Monza.
ASMi, Rub. Not., D. Scaravaggi, 4375; Not., 4307 [atto
non consultabile]
SHELL, VENTUROLI 1987, p. 654
1509 agosto 27
Obbligatio rilasciata da G.P. de Donati a maestro Blasio
de Blanchis de Alexandria fu Colombino.
Testi: maestro Francesco Binasco fu Bartolomeo, Gaspare de Galinis di maestro Pietro, maestro Giovanni de
Inziago fu Pietro [Atto cancellato il 12 marzo 1510 in
quanto il debito è stato estinto]
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3265
1508 giugno 20
Investitura fatta da G.P. de Donati in maestro Domenico
de Radicibus.
ASMi, Rub. Not., D. Scaravaggi, 4375; Not., 4307 [atto
non consultabile]
1508 luglio 27
G.P. e G.A. de Donati vengono denunciati per non aver
concluso entro i termini prestabiliti l’ancona di San
Lorenzo a Lugano.
ASMi, Not., S. M. Castagna, 6265
GATTI 1977, pp. 164-165
1509 agosto 28
Investitura di immobili in p. S. Paolo in Compedo fatta da
G.P. de Donati in Giovanni Antonio de Calvis fu Agostino.
Testi: maestro Antonio de Limiate fu Giovanni, Ottaviano
de Costis di maestro Antonio, Paolo Antonio Suardi
ASMi, Not., Marino Angelo Castelfrianchi, 7188
1508 agosto
Ludovico de Donati firma la Resurrezione di Lazzaro di
Caspano di Civo, eseguita in collaborazione con i fratelli
G.A. e G.P.
CASCIARO IN LEGNI SACRI... 2005, pp. 90-91, n. 12
1510
Ludovico de Donati firma la Madonna con il Bambino e
quattro angeli del Musée des beaux arts di Lione.
NATALE IN MUSÉE D’ART 1979, pp. 38-41
1508 agosto 8
Investitura fatta da G.A. de Donati in maestro Giovanni
de Canepatiis de Robio tonsore fu Antonio di una camera
il cui fitto è tenuto nominalmente da maestro Guglielmo
Visconti tonsore.
Testi: Giovanni Maria Bevilacqua, Stefano della Porta di
Antonio, abitante a Ridobio [?] e Filippo Castiglioni di
Franchino
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3264
1510 marzo 12
G.A. de Donati si impegna ad andare a Lugano entro il 1
aprile per montare l’ancona di S. Lorenzo.
ASMi, Not., S. M. Castagna, 6266
GATTI 1977, p. 168
1510 maggio 10
Giovan Pietro da Corte, priore della scuola di San Luca,
esige che certi membri della scuola, tra cui Bernardino
de Donati, versino le quote e le multe per l’iscrizione alla
scuola.
ASMi, Not., A. Carcani, 5674
SHELL 1995, pp. 211-212, n. 15
1508 agosto 18-19
Cristoforo Solari e Ambrogio di Angera stilano una dettagliata perizia per l’ancona di Lugano.
ASMi, Not., S. M. Castagna, 6265
GATTI 1977, pp. 165-166
1510 maggio 18
I pittori citati nel documento del 10 maggio si rifiutano di
pagare le quote della Scuola di S. Luca, perchè il priore è
stato eletto ingiustamente.
ASMi, Not., B. Carnago, 5674
SHELL 1995, p. 212, n. 16
1508 novembre 3
Ludovico de Donati compare come teste a Como, dove
risiede in p. S. Donnino.
ASComo, Not., C. Corticella, 212
BATTAGLIA 1996, p. 219
144
1510 luglio 19
I de Donati ricevono l’ultimo pagamento per l’ancona di
S. Lorenzo a Lugano.
ASMi, Not., S. M. Castagna, 6265
GATTI 1977, p. 168
1511 luglio 8
Venditio fatta da Giovanni Antonio de Capris fu Paxinus
a G.A. de Donati di diversi appezzamenti di terra in territorio di “Campo Richo”, pieve di Gorgonzola, e investitura fatta da G.A. de Donati in Giovanni Antonio de
Capris.
Testi: Ambrogio detto Fra de Sesto fu Giovanni, Giovanni Antonio de Fedeli e Gerolamo de Feroldis de Merate di
Gabriele
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3267
1510 agosto 7
Investitura di immobili in p. S. Babila fatta da maestro
Francesco de Donati in Ambrogio de Mozate fu Pietro.
Testi: Francesco dell’Acqua fu Bartolomeo, Benedetto de
Castoldis de Busto fu Aloisio, maestro Giovanni de Gaudio [?] fu Bertino
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3266
1511 agosto 5
Protestatio rilasciata da G.P. de Donati in favore del
dominus Giovanni de Ranchate.
Testi: maestro Evangelista de Carelis de Trivilio fu Giacomo, Gerolamo de Merate di Gabriele e Giovanni Antonio de Puteo di Bertola
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3267
1510 ottobre 23
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Paolo Antonio
Suardi e Galdino Marliani.
Testi: maestro Andrea Ferrari fu Carlo, prete Giovanni
Antonio Visconti di maestro Guglielmo e maestro Francesco Brambilla fu Maffiolo
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7188
1511 agosto 11
Investitura fatta da G.P. de Donati in maestro Domenico
de Bechariis di Antonio di immobili in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: Marino Angelo de Castrofranco fu Gerolamo, Bernardino de Somma fu Andrea, e suo figlio Andrea
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3267
1510 ottobre 31
Confessio rilasciata da prete Giovanni Angelo de Gallarate di Giovanni a Francesco de Donati relative all’affitto di alcuni immobili siti in p. S. Babila intus, di cui è stata fatta una “recognitio”.
Testi: Silvestro de Pasqualibus fu Vincenzo, dominus Giovanni de Molla fu Lorenzo, Bernardino de Casorate di
Giovanni Ambrogio
ASMi, Not., G. G. Grassi, 7611
Si ringrazia per la segnalazione Davide Mirabile
1511 agosto 20
Investitura fatta da G.P. de Donati in maestro Bernardo
de Calvis fu Giacomo di immobili in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: maestro Lazzaro Negri fu Lombardo, prete Stefano
de Bonbernardis fu Giorgio, prete Gaudenzio de Camera
fu Cristoforo
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3267
Confessio rilasciata da Antonio Puricelli de Samarugo fu
Pietro a G.A. de Donati solvente a nome di Gerolamo de
Manturinis Bireterius e obbligatio rilasciata dal de Donati a favore del Puricelli.
Testi: Francesco de Raynoldis fu Giovan Pietro, Benedetto Castiglioni fu Tomaso, Francesco Bernardino de Putheo
di Pietro
ASMi, Not., Nicolò Bigli, 5062
SIRONI
1510 novembre 26
Patti stipulati tra G.P. de Donati e maestro Giovanni Antonio de Donadeis e Cristoforo suo nipote e domina Giovannina de Concesia.
ASMi, Rub. Not., G.A. de Magistris, 2883 [atto mancante]
1511 marzo 8
Contratto con Leonardo da Alemania per l’organo di S.
Faustino a Brescia, in cui G.P. de Donati compare come
fideiussore.
ASMi, Not., A. Albignani, 6502
SHELL, VENTUROLI 1987, p. 654
1511 settembre 1
Venditio fatta da Pietro de Galinis a G.A. de Donati di
una vigna in Gorgonzola e investitura di De Donati in de
Galinis dei beni appena acquistati.
Testi: Giovanni Battista Sansoni fu Protasio, Giovanni
Andrea de Magistris fu Pietro, Bernardino de Giussano fu
Lanfranco
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3267
1511 aprile 28
I maestri Giovan Pietro e Ambrogio de Ghixulfis fu Melchiorre, si accordano per nominare maestro Andrea Fusina architetto e G.A. de Donati come arbitri di tutte le controversie sorte tra le due parti “causa et occaxione laboreriorum marmoris et lapidibus”.
Testi: Giovanni Antonio de Fedeli, Marino Angelo de
Castrofranco fu Enrico e Gerolamo de Vimercate di Battista
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3266
SIRONI
1511 settembre 13
Investitura fatta da G.P. de Donati in Bernardino de Quadrelis de Cassano fu Pietro Paolo di immobili in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: Giovan Giacomo della Chiesa fu Giovanni, Andrea
Monti fu Carlo e maestro Giovanni Antonio Visconti fu
Andrea
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3267
1511 maggio 13 e 22
Un gruppo di pittori, tra cui Bernardino de Donati, protesta contro le molestie operate da funzionari della Scuola
di San Luca contro Bernardo Zenale e i suoi compagni.
ASMi, Not., O. Carminate, 6374
SHELL 1995, pp. 213-217, n. 17
145
1511 settembre 17
G.P. de Donati è coinvolto nella commissione dell’organo
della chiesa di S. Faustino a Brescia.
ASMi, Not., A. Albignani, 6502
SHELL, VENTUROLI 1987, p. 654
1512 giugno 16
Venditio fatta da maestro Pietro de Galinis a G.A. de
Donati e investitura fatta da G.A. de Donati al suddetto
maestro.
ASMi, Rub. Not., G.A. de Magistris, 2883 [atto mancante]
1511 ottobre 13
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Paolo Antonio
Suardi per l’affitto degli immobili siti in p. S. Paolo in
Compedo.
Testi: Gaspare Ferrari fu Giovanni, Gerolamo de Somma
di Bernardino, maestro Andrea de Ziliolis fu Giovanni
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7188
1512 luglio 26
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a maestro Bernardo Calvi “ciroycus” fu Giacomo.
Testi: Ruggero Marliani fu Melchiorre, Marino Angelo
Castrofranco fu Gerolamo, maestro Andrea de Ziliolis
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3267
1512 agosto 20
Investitura fatta da G.P. de Donati in Giovan Angelo di
Bologna fu Filippo di immobili ubicati in p. S. Paolo in
Compedo.
Testi: maestro Giovan Pietro de Landriano fu Giorgio,
Guglielmo Visconti, maestro Giovanni Maria de Monti fu
Carlo
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3267
1511 ottobre 20
Investitura fatta da G.A. de Donati in maestro Gabriele
Piro di una camera che era condotta a livello da Gerolamo Martinengo in p. S. Paolo in Compedo e successiva
confessio.
Testi: Marino Angelo de Castrofranco fu Gerolamo, Giovan Donato de Monti fu Antonio, Giovanni Antonio de
Daverio di Sebastiano
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3267
1512 ottobre 11
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Galdino Marliani.
Testi: Giovanni dell’Acqua di Agostino, Francesco de
Riboldis de Besana fu Gasparino e Guglielmo Visconti
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7188
1511 ottobre 23
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a maestro Bernardino Calvi relativi alla completa soluzione di metà del fitto relativo ad immobili siti in p. S. Paolo in Compedo
[rogito di G.A. de Magistris, 20 agosto 1511]
Testi: maestro Ambrogio Ferrari fu Protasio, Gerolamo de
Somma di Bernardino, Giovanni Antonio de Fedeli
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3267
1512 novembre 18
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a maestro Pietro
de Galinis per l’affitto di beni immobili siti in territorio
di Gorgonzola.
Testi: Paolo de Fortuna fu Giovan Battista, maestro Stefano de Rapitiis fu Bassiano
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3268
1512
Ludovico De Donati firma la Madonna con il Bambino e
i SS. Benigno e Defendente, destinata alla chiesa di S.
Benigno a Monastero di Berbenno, oggi al Museo Valtellinese di storia e arte di Sondrio.
ROVETTA IN PITTURA IN ALTO LARIO... 1995, p. 236
1512 dicembre 10
Obbligatio rilasciata da Francesco de Riboldis de Bexana fu Gaspare a G.A. de Donati.
Testi: Paolo Antonio Suardi, Gerolamo de Feroldis de
Merate di Gabriele, maestro Marco de Burris fu Giovanni
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3268
1512 febbraio 10
Obbligatio rilasciata da Bernardino de Quadrelis de Cassano e G.P. de Donati al dominus Federico de Caymis.
ASMi, Rub. Not., G.A. de Magistris, 2883 [atto mancante]
1513 febbraio 9
Patti di apprendistato stipulati tra G.A. de Donati e
Gaspare Bossi fu Cristoforo, procuratore di Francesco de
Alpheis di Varese, affinchè Zebedeo, figlio di quest’ultimo, impari l’arte “intaliandi lignamina”.
Testi: Gabriele della Croce fu Beltrame, Bernardo Albignani fu Pietro, Battista de Novara di Francesco
ASMi, Not., A. Albignani, 6503
SIRONI
1512 febbraio 12
Confessio rilasciata da maestro Antonio de Purixelis de
Somarate a G.A. de Donati
Testi: Pietro de Brebbia fu Zanotus, Paolo de Capitaneis
de Hoe di Francesco, Gerolamo de Feroldis de Merate di
Gabriele
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3267
1513 febbraio 15
G.A. de Donati e Benedetto Ferrari fu maestro Antonio e
Matteo suo figlio stipulano patti affinché detto Giovan
Matteo impari l’arte dell’intaglio.
Fideiussore è dominus Galeazzo Caimi fu Francesco;
Testi: Gerolamo de Comite di Giovan Lorenzo, Enrico de
la Strata fu Luchino, Gerolamo Scaravaggi fu Donato
ASMi, Not., A. Albignani, 6503
1512 maggio 10
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Paolo Antonio
Suardi per l’affitto degli immobili in S. Paolo in Compedo
[rogito G.A. de Magistris, 14 agosto 1505].
Testi: Antonio de Cielo fu Giacomo, Gerolamo de Somma di Bernardino, Giovanni Antonio de Puteo
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3267
146
1513 luglio 3
Ludovico de Donati, come membro della scuola di S. Giovanni Battista in Atrio a Como, ratifica l’elezione dei procuratori.
ASComo, Not., F. M. Malacrida, 170/171
BATTAGLIA 1996, p. 219
1513 novembre 3
Denuncia fatta da G.A. de Donati contro Leonardo de Predis affinché quest’ultimo lasci liberi i terreni in territorio
di Sidriano da cui è decaduto dall’investitura livellaria
Testi: Enrico Figino fu Antonio, Bartolomeo Bossi fu Battista, Andrea de Pansichis di Pietro
ASMi, Not., A. Albignani, 6504
SIRONI
1513 luglio 28
Investitura fatta da G.A. de Donati a Polidoro de Spatis
fu Pietro di una bottega che al presente è tenuta a livello
da maestro Guglielmo.
Testi: maestro Marco de Burris fu Giovanni, maestro Enrico de Barelis fu Cristoforo, abitante a Ripalta, Giovanni
Antonio de Fedeli.
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3268
1513 novembre 17
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a Bernardino de
Quadrelis de Cassano.
Testi: Giovan Angelo di Bologna fu Filippo, Giovan Pietro Mangoni di Berto
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3269
1513 agosto 12
Investitura fatta da G.A. de Donati a Paolo Antonio Suardi e Galdino Marliani.
Testi: maestro Giovan Pietro Landriani fu Giorgio, maestro Francesco de Lenis di Casalpusterlengo e Gerolamo
Boltraffio di Bono
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7188
1514
G.P. de Donati torna a Lodi per stimare opere eseguite da
Daniele Gambarino nella libreria dell’Incoronata.
BCLaudense, ms. di P. C. Cernuscolo, Relazione..., f. 8r.
FORATTI 1916, p. 164
1514 gennaio 30
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Gabriele de Piro
per l’affitto di immobili siti in p. di S. Paolo in Compedo
[rogito G.A. de Magistris, 20 ottobre 1511] e successiva
investitura.
Confessio rilasciata da G.A. de Donati al dominus Giovanni Antonio de Capris.
Testi: Giovanni Antonio de Fedeli, maestro Gerolamo de
Cantù, di maestro Pietro, maestro Andrea de Ziliolis fu
Giovanni
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3269
1513 settembre 9
Patti di apprendistato stipulati tra Francesco de Donati e
prete Discretus de Rova e suo nipote Bartolino de Rova
di Raffaele, fratello del detto presbitero abitante a Treviglio per imparare l’arte “intaliandi figuras lignaminis”.
Testi: Giovanni Antonio de Ciseranis di maestro Cressino, Carlo de Conchono fu Giovanni, Giovanni Ambrogio
de Bebulcho fu Giovanni Antonio
ASMi, Not., F. Carotta, 4284
SIRONI
1514 aprile 19
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Alvise de Visino
ASMi, Rub. Not., M. A. Castelfranchi, 1342 [atto mancante]
1513 settembre 30
Investitura fatta da G.P. de Donati in Gerolamo de Ciseris fu Gabriele di immobili in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: Battista de Fabris fu Giovan Martino, maestro Francesco de Abdua di Chenellini, Alvise Longono fu Ambrogio
ASMi, Not., F. Liscati, 4969
SIRONI
1514 maggio 8
Rinuncia di investitura stipulata tra G.A. de Donati e Polidoro de Spatiis. Investitura fatta da G.A. de Donati in Giovanni Maria Porro.
ASMi,. Rub. Not., M. A. Castelfranchi, 1342 [atto mancante]
1513 settembre 26
Protestatio caducitatis fatta da G.A. de Donati contro
Leonardo de Predis
Testi: Bernardo Albignani fu Pietro, Pietro de Rabiis fu
Galdino, Andrea de Pansichis di Pietro,
G.A. de Donati nomina come suoi procuratori M. Scaravaggi, Bernardo Albignani, Felice de Nova, Princivalle
de Locarno, Martino de Novate, Pietro Pagani, Andrea
de Pansichis e Battista de Cataneis.
Testi: Pietro de Rabiis, Enrico de la Strata fu Luchino,
Giovanni Ambrogio de Bozolis de Casorate di Francesco
ASMi, Not., A. Albignani, 6504
SIRONI
1514 maggio 11
Contratto di G.P. e G.A. de Donati con il monastero benedettino di S. Maria degli Angeli di Vogogna per eseguire
una Madonna che adora il Bambino.
ASMi, Not., A. Albignani, 6505
GUGLIELMETTI 2000, pp. 45, 104
1514 luglio 10
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Galdino Marliani
ASMi, Rub. Not., M. A. Castelfranchi, 1342 [atto mancante]
1513 ottobre 29
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a maestro Pietro
de Galinis per l’affitto dei beni immobili a Gorgonzola
Testi: Giovanni de Rapitiis fu Erarius, maestro Giovan
Pietro de Landriano fu Giorgio, Giovanni Antonio de
Seregno fu Giacomo di Garbagnate.
ASMi, Not., G.A. de Magistris, 3269
1514 ottobre 18
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Paolo Antonio
de Suardi
ASMi, Rub. Not., M. A. Castelfranchi, 1342 [atto mancante]
147
1514 dicembre 20
Contratto tra G.A. de Donati e i magistrati ducali delle
entrate per realizzare un’ancona raffigurante la Madonna in collaborazione con Costantino da Vaprio.
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7190
SHELL 1995, p. 252, n. 90
Atto rogato nella camera cubicolaria dove giace infermo
G.A. de Donati; sono presenti come testi: Enrico de la
Strata fu Luchino, dominus Filippo de Busero, Pietro,
Giovanni Angelo de Mozzate fu Pietro, maestro Simone
de Dateris fu Bernardo e maestro Ambrogio Busti
ASMi, Not., M. Scaravaggi, 5533
SIRONI
1515
Bernardino de Donati e Ambrogio de Gezis vengono
ingaggiati per eseguire le storie di S. Caterina in S. Antonio a Morbegno, Sondrio.
BIANCHI IN PITTURA IN ALTO LARIO 1995, pp. 240-241
1516 aprile 8
Confessio rilasciata da Margherita Pozzobonnelli e dal
figlio Francesco de Donati fu G.A. a Giovanni Maria Porro.
Testi: Alessandro de Vaprio, maestro Andrea Ziliolis fu
Giovanni e maestro Giovanni Andrea de Magistris fu maestro Pietro
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7189
SIRONI
1515 aprile 11
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a maestro Giovanni Maria Porro fu Giovan Alvise. Sono comprese nel presente pagamento le vesti e le altre manifatture realizzate
da maestro Giovanni Maria per G.A. e la sua famiglia.
Testi: maestro Giacomo Filippo de Borsano fu Bartolomeo, maestro Giovanni Angelo de Mozate fu Giovan Pietro, maestro Alessandro de Vaprio fu Raffaele
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a maestro Giacomo Filippo Borsani.
Testi: maestro Giovanni Maria Porro, maestro Giovanni
Angelo de Mozate e maestro Alessandro de Vaprio
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, Cart 7189
1516 aprile 29
Confessio rilasciata da maestro Francesco de Donati fu
G.A. a Giovan Pietro e Giovanni Ambrogio de Casate fu
Francesco, per la dote della moglie Lucrezia de Casate.
Testi: Vitaliano de Lomazzo fu Galeotto, Alvise de Bregno fu Cristoforo, Bertola Bianchi fu Marcolo
ASMi, Not., M. Scaravaggi, 5533
SIRONI
1515 maggio 5
G.A. de Donati nomina suoi procuratori dominus A. Albignani, Francesco de Donati, Pietro Pagani, Andrea de
Pansichis e Giacomo Battista de Cortina.
Testi: Gerolamo de Cantù di maestro Pietro, Francesco de
Lenis fu Guglielmo, Giovanni Maria Porro
ASMi, Not., Mauro Medici, 8366
SIRONI
1516 maggio 31
Francesco de Donati fu G.A. è nominato tutore dei fratelli minori Nicola, di anni 14, e Pietro Paolo, di anni 12.
Procura ad causas fatta da Francesco, Nicola e Pietro
Paolo de Donati in A. Albignani, Mauro Novate, Pietro
Pagani, Matteo de Toschanis e Paolo Brivio
Testi: Filippo de Casate fu Pietro, Giovan Battista de Curtina [?] di Francesco, prete Costantino Bossi fu Bartolomeo
ASMi, Not., A. Pansecchi, 8553
SIRONI
1515 maggio 8
Confessio rilasciata da G.A. de Donati a Paolo Antonio
Suardi.
Testi: Giovanni Maria Porro, Francesco de Leni, Giovan
Francesco de Cabiate fu Bernardo
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, Cart 7189
1516 luglio 12
Confessio rilasciata da Francesco de Donati a Paolo
Antonio Suardi e Galdino Marliani.
Testi: maestro Ambrogio Ferrari fu Protasio, Giovanni
Antonio Giussano fu Filippo, Dionigi de Tesseris fu Antonio
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7189
1515 maggio 15
Appellatio di G.A. de Donati contro Leonardo de Predis.
ASMi, Not., A. Albignani, 6506
SIRONI
1515 ottobre 2
Testamento di G.A. de Donati, con cui istituisce eredi universali la moglie, Margherita Pozzobonelli, e i figli Francesco, Nicola e Pietro Paolo, con legati a favore dei poveri di Cristo e dei suoi fretelli G.P., Giovanni Antonio e
Ludovico de Donati. I suoi eredi sono tenuti a corrispondere a suor Teodora, sua figlia, monaca nel monastero di
Sant’Agnese di Milano, un vitalizio. Inoltre gli stessi
dovranno adoperarsi per far realizzare nello scurolo della
chiesa di S. Paolo in Compedo “in ornamentis gloriosissime Virginis Marie tot et tanta laboreria intaglii que sunt
valute et comunis extimationis librarum vigentiquinque
imperialium”. Esecutori testamentari sono nominati G.P.
de Donati e Matteo Lampugnani, rispettivamente fratello
e cognato del testatore.
1516 settembre 30
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a nome degli eredi
di suo fratello G.A. a Giovanni Maria Porro.
Testi: Filippo di Brescia fu Pietro, Martino de Valtellina
fu Giovanni, Filippo de Custoldibus de Borsano fu Bertola
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7189
SIRONI
1516 ottobre 14 e novembre 20
Pagamento a Francesco da Niguarda per dorare due
angeli scolpiti da G.P. de Donati per l’ornamento del
Sacro Chiodo nel Duomo di Milano.
AFD, Giornale di cassa, n. 385, f. 58v e 69r.
ANNALI 1880, vol. III, p. 184
148
1516 ottobre 20
Prete Pietro Antonio Curtoni ingaggia Bernardino Luini,
Francesco de Donati e Alessandrio da Vaprio per realizzare un’ancona nella chiesa di San Vincenzo a Gravedona.
ASMi, Not., G.A. Taegi, 5339
SHELL 1995, pp. 276-277, n. 128
1517 luglio 31
Investitura fatta da G.P. de Donati, procuratore dei nipoti
e della cognata, in Filippo de Canzio fu Bernardino di
immobili in p. S. Paolo in Compedo, adiacenti all’abitazione di Giovanni Maria Porro, sarto.
Testi: Maestro Ambrogio Ferrari fu Protasio, Giacomino
de Zassino fu Ambrogio, Donato de Caponago fu Giovanni Ambrogio
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, cart 7190
1516 ottobre 25
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a nome del nipote
e della cognata a maestro Pietro de Galinis
Testi: Giacomo de Bonfiliis, Giovanni Antonio Giussano
fu Filippo, Pietro de Raude fu Guglielmo
ASMi, Not., M. Agrati, 3342
SIRONI
1517 agosto 6
Rinuncia all’investitura da parte di Gabriele de Piro e
Filippo de Custoldibus per gli immobili in S. Paolo in
Compedo appartenuti al fu G.A. de Donati e investitura
da parte di G.P. de Donati, a nome dei nipoti e della
cognata, in maestro Gugliemo de Polvariis fu Maffeo.
Testi: maestro Giovanni de Anono fu Melchiorre, Giovanni Maria Porro, Pietro Crippa fu Albertino
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7190
1516 ottobre 29
Confessio rilasciata da maestro Francesco de Leni a G.P.
de Donati solvente a nome di Giovannina de Ralaquis fu
Giovan Pietro, moglie di Francesco.
Testi: Filippo di Brescia, Giovan Angelo di Mozzate fu
Giovan Pietro e Giovan Pietro Mangoni di Domenico
ASMi, Not., A. Corradi, 7969
1517 agosto 17
Investitura fatta da G.P. de Donati, a nome dei nipoti e
della cognata, in Paolo Antonio Suardi
Testi: maestro Ambrogio Ferrari fu Protasio, Giovan Battista Sansoni fu Protasio, maestro Giovanni Andrea de
Magistris fu maestro Pietro
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7190
1517 gennaio 23
Bernardino de Donati compare come teste in un atto rogato in casa del pittore comasco Giovan Battista Volpi.
ASComo, Not.. F. M. Volpi, 199
MASCETTI 1993, p. 89
1517 settembre 1
Investitura fatta da Francesco de Donati a nome suo e in
vece dei fratelli e della madre in Gerolamo de Augustonibus di Giovan Angelo.
Testi: Giovan Cristoforo Marliani di Giovan Galeazzo,
Giovanni Antonio de Gnaschis di Gasparino, Ambrogio
Ferrari
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7190
1517 aprile 17
Confessio rilasciata da G.P. de Donati, a nome della
cognata e dei nipoti, a Giovanni Maria Porro.
Testi: Giovan Pietro Mangoni fu maestro, maestro Pietro
Brambilla fu Zanoto, Matteo Ferrari fu Benedetto
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, cart 7190
1517 maggio 2
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a Giovan Angelo
de Mozzate relativa all’affitto della casa sita in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: Giovan Pietro Mangoni, Giorgio de Albanexiis detto Tamagnino di Pietro, maestro Francesco de Leni
ASMi, Not., A. Corradi, 7969
1517 settembre 3
Confessio con assignatio rilasciata da G.P. de Donati a
nome dei nipoti e della cognata a Filippo de Custoldibus.
Testi: Giovanni Antonio de Anono fu Melchiorre, Giovanni Andrea de Magistris, Ottaviano de Magistris fu Giovanni Ambrogio
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7190
157 maggio 7
Confessio rilasciata da G.P. de Donati, a nome della
cognata e dei nipoti, a Paolo Antonio Suardi.
Testi: Giovanni Maria Porro, Giovan Battista de Boronibus detto de Grimoldis fu Ambrogio, Francesco de Leni
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, cart 7190
1517 settembre 29
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a suo nome e in
vece della cognata e dei nipoti a Giovanni Maria Porro.
Testi: Pietro Paolo de Augustonibus de Robino, maestro
Archolinus di Settala di maestro Giacomo, e maestro
Ambrogio Busti fu Antonio
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7190
1517 maggio 23
Francesco de Donati accusa ricevuta per una cornice di
un dipinto di Costantino da Vaprio il giovane inviatagli
da Agostino Garzini. Il lavoro fu iniziato nel dicembre
1514 da G.A. de Donati per i magistrati delle entrate che
non lo pagarono.
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7190
SHELL 1995, p. 252, n. 90
1517 ottobre 17
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a nome della
cognata e dei nipoti a Pietro de Galinis.
Testi: Ambrogio Ferrari, Ottaviano de Costis di Antonio,
Battista Trivulzio fu Bartolomeo
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7190
1517 novembre 17
Ludovico de Donati partecipa con Sigismondo de Magistris di maestro Andrea ad un’assemblea di cittadini a
Como per stabilire l’alloggiamento di truppe in città.
ASComo, Not., A. Rocchi, 248
BATTAGLIA 1996, pp. 219
1517 giugno 27
Obbligo rilasciato da G.P. de Donati in favore del Monastero de senodochio.
Testi: Martino de Quadris di Biagio, Andrea di Colnago di
Battistino, entrambi di Aicurzio, Pietro Brambilla fu Zanoto
ASMi, Not., A. Corradi, 7969
149
1517 novembre 25
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a nome della
cognata e dei nipoti a Paolo Antonio Suardi.
Testi: Paolo de Capitani de Hoe, Giovanni Ambrogio suo
figlio, maestro Bernardo de Pazeda fu Antonio
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7190
1519 marzo 17
Ludovico de Donati compare come teste a Como in un
atto che riguarda l’orefice Francesco Mesenzana.
ASComo, Not., F. M. Malacrida, 171/172
BATTAGLIA 1996, p. 219
1519 aprile 30
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a nome dei nipoti
e della cognata a Giovanni Maria Porro e a maestro
Guglielmo de Polvariis.
Testi: Giovan Pietro Mangone fu Domenico, Giovan Pietro de Carpanis fu Marco di Erba, Maffeo de Munti di
maestro Pietro
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7192
SIRONI
1517 novembre 27
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a nome dei nipoti
e della cognata a Pietro de Galinis
Testi: Francesco de Rapitiis fu Michele, maestro Agostino
de Quagis de Inziago fu Firmiano, maestro Bernardo de
Pazeda
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7190
1518 aprile 9
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a nome della
cognata e dei nipoti a Paolo Antonio Suardi
Testi: Giovan Pietro de Lonate fu Lazzaro, Alessandro
Rusconi di Como fu Ambrogio, maestro Giovanni Andrea
de Magistris.
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7190
1519 maggio 16
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a nome dei nipoti
e della cognata a Palamide de Moresinis detto Visconti
Testi: maestro Giovanni Maria Porro, Zanino de Bochadolis e Matteo Ferrari
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7192
1519 settembre 27
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a nome dei nipoti
e della cognata a Palamide de Moresinis
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, cart 7192
Testi: maestro Giovanni Andrea de Magistris, Bernardino
Bianchi di Bertola, Giovanni Maria Porro
SIRONI
1518 settembre 2
Investitura fatta da G.P. de Donati a nome dei nipoti e
della cognata in Palamite Visconti fu Innocenzo di una
bottega e altri immobili in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: maestro Francesco Biffi fu Defendente, Giovanni
Andrea de Magistris, maestro Francesco de Lenis di
Casalpusterlengo
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7191
1520 marzo 6
Vendita fatta da G.P. de Donati a Pietro de Benadegio di
immobili in p. di S. Paolo in Compedo e investitura fatta
Pietro de Benadegio in G.P. de Donati
Testi: Ambrogio de Monte fu Urbano, Giovanni Alvise
Pirovano fu Francesco, Michele de Rastellis fu Antonio,
Zambello de Balluno fu Tognino di Aicurzio.
ASMi, Not., A. Corradi, 7969
1518 settembre 27
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a nome dei nipoti
e della cognata a Giovanni Maria Porro
Testi: maestro Protasio di Garbagnate fu Giovanni, Matteo Ferrari, e Giovanni Maria de Pegiis fu Giovanni Antonio
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, cart 7191
1520 aprile 11
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a nome dei nipoti
e della cognata a Giovanni Maria Porro e confessio rilasciata da G.P. de Donati a nome dei nipoti e della cognata a Guglielmo de Polvariis.
Testi: Giovanni Maria Porro, Alessandro de Trombetis fu
Giovan Pietro, dominus Andrea de Robino di Giovanni
Angelo
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7192
SIRONI
1518 ottobre 2
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a nome dei nipoti
e della cognata a Paolo Antonio Suardi
Testi: Bernardino de Riveria, Giovanni Andrea de Magistris, Giovanni de Silvanis fu Gaspare
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, cart 7191
1519 febbraio 18
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a Estore de Comite per il pagamento della cassa dell’organo del monastero di S. Margherita di Milano.
Testi: Battista de Crepiano di [...], Rocco Riva fu Pietro
Antonio, Stefano Maria de Castanis fu Bartolomeo
ASMi, Not., C. Riva, 5759
SIRONI
Lo strumento musicale fu realizzato da Gian Gacomo Antegnati di Brescia (docc. 26 maggio 1518 e 23 marzo 1519,
ASMi, Not., G.A. Formenti, 7118, 7120, registrati nel fondo Sironi) su modello su quello di S. Dionigi, opera di Giovan Simone Nava, organista (ASMi, Rub. Not., G.A. de
Magistris, 2883, atti del 2 e del 4 agosto 1508, atti mancanti).
1520 aprile 18
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a nome dei nipoti
e della cognata a Filippo de Canzio
Testi: Giovanni Maria Porro, Guglielmo de Polvariis fu
Maffeo, Giovan Pietro de Magonibus fu Domenico
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7192
1520 aprile 18
Vendita fatta da Pietro Paolo de Donati alla madre. Investitura fatta da Margherita Pozzobonnelli a suo figlio
Nicola de Donati.
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7192.
150
1520 aprile 26
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a nome dei nipoti
e della cognata a maestro Antonio de Ello.
Testi: Filippo de Canzio fu Bernardino, Alvise Buzzi fu
Eusebio, Giovanni Antonio de Tenchis fu Giovanni
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7192
SIRONI
1522 maggio 17
Confessio rilasciata da Nicola de Donati a Giovanni
Antonio de Capris fu Pasino e obbligatio rilasciata a favore di Margherita Pozzobonnelli da Giovanni Antonio de
Capris.
Testi: Bernardino de Donati, Antonio Porro fu Pietro e
Gabriele de Intropis alemanno fu Gabriele
ASMi, Not., B. Villani, 9372
SIRONI
1520 settembre 27
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a Giovan Angelo
de Mozzate
Testi: Giovanni Antonio Visconti fu Guglielmo, Pietro de
Brollio fu Giovanni, Paolo de Robinis di Giovan Angelo
ASMi, Not., A. Corradi, 7969
1522 settembre 3
Investitura fatta da G.P. de Donati in prete Pietro de Longis fu Antonio di Varese, canonico di S. Vittore, di beni
siti in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: Giovanni Maria Porro, Andrea de Ziliolis fu Giovanni, Francesco Suardi di maestro Giacomo
ASMi, Not., A. Corradi, 7969
1520 settembre 29
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a nome dei nipoti
e della cognata a maestro Giovanni Maria Porro
Testi: maestro Stefano de Dimesis fu Martino, Simone de
Dateris fu Bernardo, Giuliano de Daverio fu Giovanni
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7193
SIRONI
1522 ottobre 2
Procura rilasciata da Nicola a G.P. de Donati.
Testi: Pietro de Brollio fu Giovanni, Pietro de Bernadegio
fu Michele e Francesco Suardi
ASMi, Not., A. Corradi, 7969
1520 ottobre 1
Confessio rilasciata da G.P. de Donati a nome dei nipoti
a Filippo de Canzio
Testi: maestro Berto de Masate fu Giovanni, Domenico
de Rachis di Balzarono di Premenugo, Giovanni di Trezzo fu Pietro
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7193
SIRONI
1522 ottobre 10
Investitura fatta da G.P. de Donati in Giovan Andrea Sormani
Testi: Giovanni Antonio de Putheo, Guglielmo de Polvariis, Francesco Suardi.
ASMi, Not., A. Corradi, 7969
1522 ottobre 11
Confessio rilasciata da Pietro de Bernadegio a G.P. de
Donati
Testi: Francesco Airoldi fu Lorenzo di Robiate, Francesco
de Vixino fu Pietro, maestro Badino Bianchi di Bertola
ASMi, Not., A. Corradi, 7969
1521 aprile 17
Confessio rilasciata da Pietro de Bernadegio a G.P. de
Donati e confessio rilasciata da G.P. de Donati a maestro
Pietro de Brolio
Testi: Ambrogio de Monte fu Urbano, Alvise de Hornumbellis di Michele, Alessandro Fagnani di Andrea
ASMi, Not., A. Corradi, 7969
1522 ottobre 17
Investitura fatta da Nicola de Donati in Zanino de Bochadolis
Testi: Pietro de Brollio, Pietro de Bernadegio e Agostino
de Donati
ASMi, Not., A. Corradi, 7969
1521 giugno 10
Andrea Guasco di Morbegno incarica Bernardino de
Donati e Vincenzo de Barberis di affrescare una cappella
in S. Antonio a Morbegno, secondo il progetto iconografico di padre Geronimo da Caspano.
ASSondrio, Not., G. N. Filipponi di Morbegno, 583
LEONI 1985, p. 138; SHELL 1995, p. 279, n. 131
1522 ottobre 23
Vendita fatta da Margherita Pozzobonnelli e Francesco
de Donati suo figlio a Michele de Busto di Ambrogio stipulante a nome di Giovanni Maria de Vimercate fu Bertola di beni in p. S. Paolo in Compedo confinanti tra l’altro con i locali affittati a maestro Antonio de Inzago pittore.
Testi: Ambrogio de Ello di maestro Antonio, Giovanni
Maria Porro e Guglielmo de Polvariis fu Maffeo
ASMi, Not., A. Albignani, 6515
SIRONI
A questa vendita ne seguono altre in un breve lasso di tempo.
1521 agosto 13
Investitura fatta da G.P. de Donati in Bendetto Ferrari
Testi: Priziano Foppa fu Giuliano, Pietro de Crippa fu Bertino e Sigismondo Riboldi di Besana fu Giacomo
ASMi, Not., A. Corradi, 7969
1521 ottobre 14
Venditio, obbligatio e confessio tra maestro Francesco de
Donati e Filippo de Coyris fu Filippo per beni in Carpianello, pieve di S. Giuliano.
Testi: Giovanni Ambrogio Centurioni fu Giovan Pietro,
Dionigi Landriani fu Gabriele, Alvise de Toschanis fu
Andrea
ASMi, Not., A. Albignani, 6514
SIRONI
1522 ottobre 30
Confessio rilasciata da Pietro Paolo de Donati a suo zio
G.P. de Donati per aver assolto ai legati del defunto
151
Busti fu maestro Bernardino, maestro Michele di Rosate
di Bernardino, Giovanni de Villanova fu Eusebio, Bernardino de Donati
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7194
G.A., tra cui figura la cifra di 6 lire imperiali e 5 soldi
dati a G.P. o come quarta parte delle 25 lire imperiali
destinate alla realizzazione di un’ancona o maestà per
l’altare maggiore dello scurolo della chiesa di S. Paolo
in Compedo.
Testi: Giovanni Maria Porro, Zanino de Bochadolis e Giuglielmo de Polvaris
ASMi, Not., A. Corradi, 7969
1523 febbraio 26
Liberatio fatta da maestro Giovanni Antonio di Sacconago a Vincenzo de Barberis assente e sostituito da Bernardino de Donati di Giovanni Antonio.
Testi: maestro Ambrogio Ferrari fu Protasio, maestro Cristoforo de Mayochis fu Ambrogio, Tommaso de Vico fu
Giacomo
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7194
GATTI 1987, pp. 121-122
1522 novembre 8
Confessio e liberatio fatte da Margherita Pozzobonnelli a
suo cognato G.P. de Donati e procura rilasciata da Nicola e Pietro Paolo de Donati.
Testi: Giovanni Maria Porro, Zanino de Bochadolis e
Guglielmo de Polvaris
ASMi, Not., A. Corradi, 7969
1523 marzo 2
Venditio fatta da Pietro Paolo de Donati a Bernardino de
Donati
Testi: maestro Giovanni Andrea de Magistris, Vincenzo
de Barberis, Bernardino de Mantello di Giovanni Antonio
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7194
GATTI 1987, pp. 121-122
1523 febbraio 9
Testamento di Margherita Pozzobonelli di Francesco e
vedova di G.A. de Donati con legati a suor Teodora de
Donati, sua figlia monaca in S. Agnese di Milano e alle
tre figlie di G.P. de Donati monache (donna Alessandra
in monastero di S. Redegonda, suor Perpetua in monastero di senodochio, suor Paola Eustachia in monastero di
sant’Agnese) e a Elena sua cognata. Lega inoltre a Giulia e Caterina sorelle de Donati, figlie del defunto maestro Francesco e di Margherita de Leuco 25 lire imperiali per ciascuna. Lascia alla scuola di S. Maria istituita
nello scurolo della chiesa di S. Paolo in Compedo 25 lire
imperiali. Lega a G.P. de Donati suo cognato i suoi anelli d’oro, il suo saio, il suo mantello di lana e tutte le altre
sue vesti che dovranno essere distribuite alle persone che
lui riterrà bisognose. Nomina come suoi eredi universali
Francesco, Nicola e Pietro Paolo de Donati suoi figli.
Atto rogato nella camera cubicolaria della testatrice, sono
presenti come testi: Pietro de Brolio, Pietro de Bernadegio, Giovanni Maria Porro e Gerolamo Corradi di Biagio,
abitante ad Aicurzio
ASMi, Not., A. Corradi, 7970
1523 maggio 8
Vendita fatta da Francesco de Donati a Giovanni Antonio
de Capris e obbligatio rilasciata da Giovanni Antonio de
Capris a favore di Francesco de Donati, il quale impiegherà il denaro per assolvere ad un legato istituito dalla
defunta Margherita Pozzobonelli a favore di suor Alessandra e suor Paola Elisabetta, sorelle de Donati.
Testi: Bernardo Rigamonti fu Mageto, Andrea de Inzago
fu Abbondio, Giacomo de Orta fu Antonio
ASMi, Not., G. S. Oldeni, 4621
SIRONI
1523 giugno 5
Investitura fatta da Francesco de Donati in maestro Giovanni de Alzate fu Giovanni di beni in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: Pietro Angelo de Poronibus fu Filippo, Ambrogio
de Masosoro de Brambilla fu Pietro e Francesco de Garbagnate Martino
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7194
1523 febbraio 13
Confessio rilasciata da Margherita Pozzobonelli, con il
consenso di Giovan Stefano fu Francesco suo fratello a
Giovanni Antonio de Capris.
Testi: Guglielmo de Polvariis, Francesco Suardi, Gerolamo Corradi
ASMi, Not., A. Corradi, 7970
1523 luglio 9
Confessio rilasciata da Pietro Paolo de Donati a Bernardino de Donati
Testi: Francesco Arioldi di Robiate fu Lorenzo, Giovan
Pietro de Rastellis fu Pietro di Aicurzio, Lazzaro de Pastarinis fu Pietro Giacomo
ASMi, Not., A. Corradi, 7970
1523 febbraio 24
Rinuncia a un’investitura stipulata tra maestro Giovanni
Antonio di Sacconago detto Moschinus fu Giovan Pietro
e maestro Vincenzo de Barberis di Brescia fu Antonio a
nome di sua moglie Elena de Gradi.
Testi: Bernardino de Donati di Giovanni Antonio, Stefano
de Capitani de Hoe di Battista, Bernardino de Albertis fu
Giorgio
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7194
GATTI 1987, pp. 121-122
1523 luglio 11
Investitura fatta da Francesco de Donati in maestro
Cipriano Foppa fu Giuliano e Cristoforo de Inisela fu
Filippo di immobili al momento occupati da Antonio de
Melzo legnamaro.
Testi: Giovanni Maria Porro, Ambrogio Ferrari e Francesco de Busco fu Antonio
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7194
1523 dicembre 14
Promissio fatta da maestro Matteo de Casate a Francesco de Donati
1523 febbraio 25
Testamento di Bartolomea Cagnola
Testi: maestro Stefano de Dimesis fu Martino; Alvise
152
ASMi, Rub. Not., M. A. Castelfranchi, 1342 [atto non
consultabile]
SIRONI
1525 luglio 11
Recognitio livellaria fatta da Gervaso de Bernadegio di
Pavia nei confronti di G.P. de Donati
Testi: Pietro de Brolio fu Giovanni, Martino Corradi di
Biagio di Aicurzio, Filippo Maria de Abdua fu Ambrogio
di Olginate
ASMi, Not., A. Corradi, 7970
1524
Fra i reddituari del comune di Milano sono ricordati G.P.
de Donati e nipoti intagliatori.
FORCELLA 1895, pp. 25-26.
1525 luglio 19
Dote di Elena de Aresio, moglie di Bernardino de Donati,
per cui i fratelli Vincenzo e Giovan Enrico de Aresio fu
Andrea, hanno ottenuto il beneficio da Francesco II Sforza di alienare alcuni beni affittati ai maestri Francesco e
Gerolamo Corte, affinchè la sorella potesse sposare il
fedelissimo servitore ducale Bernardino de Donati
Testi: Andrea de Colnago fu Battistino di Aicurzio, Giovan Giacomo de Cormano fu Paolo, Benedetto de Ghaffuris fu Ambrogio
ASMi, Not., A. Corradi, 7970
1524 gennaio 15
Confessio rilasciata da Pietro de Bernadegio a G.P. de
Donati e confessio rilasciata da G.P. de Donati a maestro
Pietro de Brolio.
Testi: Matteo Casati fu Gottardo, Vincenzo de Barberis,
Martino Corradi fu Biagio di Aicurzio
ASMi, Not., A. Corradi, 7970
1524 aprile 12
Ludovico de Donati riconosce di avere un debito verso
Gian Antonio Rusca, canonico di San Fedele a Como.
ASComo, Not., B. Orchi, 167
MASCETTI 1993, p. 91
1525 agosto 23
Procura speciale rilasciata da G.P. de Donati a Bernardino suo figlio.
Testi: Giuseppe de Bosisio di Pietro, Giovanni Antonio
de Bosisio fu Pietro, maestro Biagio Bianchi fu Colombino
ASMi, Not., A. Corradi, 7970
1524 maggio 24
Confessio rilasciata da Pietro de Bernadegio a G.P. de
Donati.
Testi: Guglilemo de Polvariis, Francesco Suardi, Nicola
de Ugano fu Giovan Pietro
ASMi, Not., A. Corradi, 7970
1525 agosto 26
Patti stipulati tra Agostino de Donati di G.P. e maestro
Giovan Pietro de Bosisio e suo figlio Giovan Stefano per
apprendere l’arte “faciendi schuffiotos seu merzari”.
Testi: maestro Francesco di Garbagnate fu Pietro, Giovanni Maria Porro, maestro Giovanni de Alzate fu Giovanni
ASMi, Not., A. Corradi, 7970
1524 giugno 13
Facoltà concessa ai fratelli de Donati di alienare l’eredità paterna nonostante il fedecommesso contenuto nel
testamento di G.A.
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7195 [atto non consultabile]
SIRONI
1524 settembre 28
Investitura fatta da Bernardino de Donati e Boninforte
Solari in Andrea de Reynis.
ASMi, Rub. Not., M. A. Castelfranchi, 1342 [atto non
consultabile]
1525 agosto 31
Investitura fatta da G.P. de Donati al pittore Giovan Pietro Volpi fu maestro Cristoforo di una bottega e altri
immobili in p. Paolo in Compedo.
Testi: Francesco Biffi, Antonio de Cornello fu Bernardo
di Trezzo, Magino Valagussa fu Micheti di Aicurzio
ASMi, Not., A. Corradi, 7970
1525 febbraio 13
Patti di apprendistato stipulati tra G.P. de Donati e Francesco e Gerolamo padre e figlio de Palavesino per l’insegnamento a quest’ultimo dell’arte dell’intaglio.
Testi: Giovan Giacomo Retondi di Saronno fu Luca, Cristoforo de Gallarate fu Biagio, Giovan Pietro de Melzo fu
maestro Domenico
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7195
SIRONI
1525 settembre 13
Divisione fatta tra Francesco e Nicola de Donati essendo
defunta la madre Margherita Pozzobonelli e il fratello
Pietro Paolo de Donati.
Testi: G.P. de Donati, Rocco Visconti fu Maffeo, Giovanni Andrea de Magistris
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7196
SIRONI
1525 maggio 8
Obbligo rilasciato da maestro Francesco de Donati a
favore di maestro Giovanni de Alzate e investitura fatta
da maestro Francesco de Donati in maestro Giovanni de
Alzate di beni in p. S. Paolo in Compedo.
Atto rogato nelle stanze della Veneranda Fabbrica del
Duomo. Testi: Giacomo de Ponte fu Giacomo, Giovanni
Alvise Pirovano fu Francesco, Giovanni Angelo de Isachis fu Antonio
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7195
1525 settembre 25
Confessio rilasciata da Francesco de Donati a maestro
Giovanni de Alzate fu Giovanni
Testi: Francesco Eusebio Luini, Gerolamo Pelizonus fu
Giovanni Antonio, Ottorolus de Dinitis fu Ambrogio
Confessio rilasciata da prete Andrea del Torgio fu Gabriele, tutore di Gabriele di Garbagnate, ad Agostino de
Donati
Testi: prete Francesco Perego fu Antonio, maestro Giaco-
153
mo Bonfigli fu Ambrogio, maestro Ambrogio de Ello di
maestro Antonio
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7196
nio de Massis fu Giovanni Ambrogio, Bernardino Ghiringhelli fu Nicola
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7196
1525 ottobre 4
Confessio rilasciata dai fratelli de Bernadegio a G.P. de
Donati
Testi: Sigismondo di Besana fu Giacomo, maestro Bernardino de Petrinis fu Giovanni, Giovanni de Moschitis
di Busto fu Ambrogio
ASMi, Not., A. Corradi, 7970
1526 aprile 20
Patti stipulati tra Agostino de Donati e Giovan Giacomo
Marliani fu Giovanni Antonio e Giovan Pietro de Pecoris
fu Giacomino di Inzago e Bartolomeo da Monza fu Giovanni di Inzago, affinchè quest’ultimo imparari l’ “arte
merzari”.
Testi: Bernardino di Gessate fu Beltramino di Gorgonzola, Andrea de Cignardis fu Bernardo, Agostino de Mirabiliis detto de Tortia fu Giovan Pietro
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7196
1525 dicembre 1
Investitura fatta da Nicola de Donati a G.P. de Donati in
cui si chiede, tra le diverse clausole, a G.P. di saldare
alcuni debiti assunti da Nicola nei confronti del magnifico Marco Antonio Cagnola, degli scolari della scuola di
S. Rocco in S. Tecla (tanto quanto dovuto dagli eredi di
Ottaviano de Donaria Paterius), di Giovan Giacomo
marescalco de Biandrate.
Testi: Alessandro de Canazotis fu Bernardino, Francesco
de Monza fu Vanoto, dominus Giovani Ambrogio de
Ayroldis de Robiate di Ayroldino di Robiate
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7196
SIRONI
1526 maggio 4
Confessio rilasciata dal Giovan Angelo Nava, tutore di
Franceschina de Canibus di Santino, a G.P. de Donati.
Testi: Francesco Fumagalli fu maestro Filippo, Giovanni
Andrea de Magistris, Andrea Ferrari
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7196
1526 maggio 23
Confessio rilasciata da prete Andrea del Torgio, tutore di
Gabriele di Garbagnate, ad Agostino de Donati.
Testi: prete Francesco de Longis de Leuco fu Giorgio,
Francesco de Silva fu Leonardo, Battista de Restis fu
Francesco
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7196
1525 dicembre 16
Recognitio livellaria tra i fratelli Francesco e Gerolamo
da Corte, per Vincenzo e Giovanni Enrico de Arixio, e
Bernardino de Donati.
Testi: Francesco di Monza fu Vanoto, Giovanni Ambrogio de Ello di maestro Antonio, maestro Giovanni de
Alzate fu maestro Giovanni
ASMi, Not., A. Corradi, 7970
1526 luglio 9
Obbligatio rilasciata da G.P. de Donati in favore di Agostino Mirabilis de Tortis relativa al prezzo di alcuni gioelli [atto cancellato il 14 settembre 1526].
Testi: maestro Domenico de Balestreriis fu Antonio, maestro Giovanni Galli di Petrolo, Antonio de Ello. L’artista
è anche testimone all’atto successivo nelle filze del notaio.
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7196
1525 dicembre 28
Investitura fatta da G.P. de Donati in maestro Alessandro
de Maneris
ASMi, Rub. Not., A. Corradi, 1745 [atto mancante]
1526 settembre 20
Obbligatio rilasciata da G.P. e Bernardino de Donati in
favore di maestro Gerolamo della Porta fu Bartolomeo
Testi: maestro Giovan Pietro de Magonis di Melzo, maestro Gervaso Fontana fu Antonio, maestro Ambrogio de
Molgula fu Alberto
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7196
SHELL, VENTUROLI 1987, p. 655
1526 gennaio 11
Patti, convenzioni e obbligatio tra maestro Ludovico di
Ruzzano di Melzo e Francesco de Donati affichè il primo
lavori nella bottega del de Donati per realizzare: “soltulares zibras pantofolas colletos borzachinos stivalos”.
Testi: Giovanni Andrea de Magistris, Ambrogio Ferrari,
Antonino de Ello
ASMi, Not., Marino Angelo Casteflranchi, 7196
SHELL, VENTUROLI 1987, p. 651
1526 dicembre 4
Confessio rilasciata da Francesco de Donati a maestro
Giovanni de Alzate
Testi: maestro Battista Tanzi fu Beltrame, maestro Alberto de Masate fu Giovanni, Giovanni Maria Porro
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7196
1526 febbraio 13
Vendita fatta da Nicola de Donati a G.P. de Donati.
Testi: Francesco da Monza, Giacomo Casati fu Martino,
Giovanni Antonio de Donadeis fu Riccardo
ASMi, Not., A. Corradi, 7970
1527 aprile 20
Confessio rilasciata da Giovan Angelo Nava a Bernardino de Donati solvente a nome del padre G.P.
Testi: Ludovico de Oldrenghis fu Santino, Gabriele de
Caronno fu Antonio, maestro Giorgio de Giochis fu
Guglielmo
Confessio rilasciata dal nobile Giovanni de Lamadura di
1526 febbraio 27
Rinuncia a patti di apprendistato stipulata tra G.P. de
Donati e Francesco Pallavicino fu Giovanni Antonio a
suo nome e del figlio Gerolamo.
Testi: Battista de Brignano fu Bernardino, maestro Anto-
154
Vendita fatta da G.P. de Donati a Matteo Legnani fu Gottardo suo cognato; investitura e confessio tra Legnani e
G.P. de Donati; procura rilasciata a Legnani da G.P.
Testi: maestro Giorgio de Giochis, Dionigi de Misano fu
Guglielmo, Francesco di Cislago fu Marioli
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7197
SHELL, VENTUROLI 1987, p. 655
Michele a Bernardino de Donati solvente a nome del
padre G.P.
Testi: Bartolomeo Figino fu Giovan Francesco, Gregorio
de Fara fu Bernardino, Bartolomeo Suardi fu Alberto
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7197
1527 maggio 6
Confessio rilasciata da maestro Gerolamo della Porta a
Bernardino de Donati solvente a nome del padre
Testi: Giovan Pietro de Meltiis fu Domenico, Gerolamo
Barbavara fu Giovan Pietro, Giovanni Angelo da Corbetta fu Pietro Martire
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7197
1528 maggio 3
Testamento di G.P. de Donati
ASMi, Rub. Not., M. A. Castelfranchi, 1342 [atto mancante]
SHELL, VENTUROLI 1987, p. 655
1528 maggio 15
Testamento di Matteo Legnani, in cui si nomina erede universale Giovan Luca de Donati di G.P., con l’usufrutto per
Franceschina de Donati, moglie del testatore. Vi sono legati a favore di Bartolomeo e Donato Legnani suoi fratelli,
della fabbrica del Duomo, della scuola di S. Giuseppe in
Contrada de undegardis, oltre ad un vitalizio per Battista
Legnani suo figlio. Legnani desidera essere sepolto nello
scurolo della chiesa di S. Paolo in Compedo.
Testi: Giovanni de Alzate, Bernardo de Olinis di Ponte fu
maestro Bernardo, Nicola de Olinis fu Domenico, Giorgio de Giochis, Dionigi di Misano
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7197
1527 maggio 10
Investitura fatta da G.P. de Donati in Priziano Foppa e
Giovanni de Zipinetis fu Giuliano e Giovanni de Cepinetis fu Antonio di immobili in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: Bertola della Cascina fu Zanollo, Andrea della
Cascina suo figlio, Francesco Biffi
ASMi, Not., A. Corradi, 7970
1527 maggio 23
Datum insolutum fatto a G.P. de Donati da Nicola suo
nipote
Testi: maestro Biagio Banchi Colombino, Palamide de
Carpanis fu Melchiorre, Giovanni Andrea de Magistris.
ASMi, Not., A. Corradi, 7971
1528 giugno 27
Confessio rilasciata dal procuratore di G.P. de Donati ad
Andrea de Corradis
ASMi, Rub. Not., M. A. Castelfranchi, 1342 [atto mancante]
1527 giugno 3
Datum insolutum fatto da Francesco de Donati a suo fratello Nicola e investitura fatta da Nicola de Donati a suo
fratello Francesco
Testi: maestro Giovanni de Alzate, Giovanni Ambrogio
de Ello, Bernardino de Donati
ASMi, Not., A. Corradi, 7971
1528 luglio 27
Vendita fatta da Francesco Riva fu Pietro di Castelleto,
pieve di Agliate, a Giovan Luca de Donati di beni a Monte, pieve di Agliate.
Testi: Antonio e Francesco Vigano fu Bernardo di Corazana, pieve di Agliate, Martino di Carugo fu Michele
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7197
1527 luglio 6
Vendita fatta da Nicola de Donati e da sua moglie Gerolamina de Berinzago ad Agostino Mirabiledetto de Tortis
fu Giovan Pietro di beni in p. S. Paolo in Compedo.
Testi: Giovanni Andrea de Magistris, Rocco Visconti fu
Maffeo, Ludovico de Oldrenghis fu Santino
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7197
1528 agosto 31
Investitura fatta da Lucrezia Casati fu Francesco, vedova
di Francesco de Donati, in maestro Francesco de Belayratis fu Giacomino di Novara
Testi: Ambrogio de Ello, maestro Giovanni Galli di Petrolo, Giovanni Maria Porro
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7197
1527 agosto 8
Investitura fatta da Francesco de Donati a maestro Antonio e ad Ambrogio de Ello
Testi: Giovanni Maria Porro, Giovanni de Alzate, Michele Busti fu Alvise
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7197
1528 settembre 3
Confessio rilasciata da Lucrezia Casati, tutrice di Giovanni Ambrogio e Giovan Paolo de Donati suoi figli, a Giorgio Pisono fu Andrea, solvente per Giovanni de Alzate.
Testi: Giovanni Andrea de Magistris, Giovanni Maria Porro, Risiano Foppa fu Giovan Pietro
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7197
1527 settembre 14
Investitura e confessio fatta da Francesco de Donati in
Giovanni de Alzate.
Testi: Giovan Pietro de Casate, maestro Giovanni de Zipinetis di Cairate, Bernardino Bascapè fu [...]
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7197
1529 marzo 20
Bernardino de Donati e Vincenzo de Barberis figurano in
vari atti notarili di Talamona, Sondrio, a partire dal 1525
e a questa data acquistano una casa in località Pervium
di Talamona.
1528 gennaio 14
Emancipatio concessa da G.P. de Donati al figlio Giovanni Luca in cui si ricordano anche gli altri figli: Agostino
e Bernardino.
155
ASSondrio, Not., D. Camozzi di Talamona, vol. 578 e G.
Battista Camozzi di Talamona, 821
LEONI 1985, pp. 142-143
de del fu Bernardino de Donati, suo fratello, a Battista de
Malingeriis di Melzo.
Testi: Ambrogio de Opreno fu Andrea, Rocco Visconti,
Fabio Pagani di maestro Gerolamo
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7200
1529 settembre 2
Investitura fatta da Giovanni Andrea de Gradi in Giovan
Luca de Donati.
Testi: Sigismondo Visconti fu Giovanni Antonio, Leonardo de Ranetis fu Pietro, maestro Bernardino Bascapè fu
Giovanni
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7198
1532 gennaio 5
Giovan Angelo de Donati, anche a nome di Vincenzo de
Barberis riceve il saldo per la perduta ancona realizzata
da suo padre Bernardino e dal de Barberis per S. Agostino in Campo Taranto a Talamona.
ASSondrio, Not., G. B. Camozzi di Talamona, 824
LEONI 1985, pp. 149-150
1529 settembre 6
G.P. de Donati è vivo quando Gerolamo della Porta fu
Bartolomeo, incaricato dal magistrato straordinario dello Stato di Milano descrive la sua casa per confiscarla.
ASMi, Not., B. Fossano, 6384
SHELL, VENTUROLI 1987, p. 655; BENTIVOGLIO RAVASIO
2006, p. 112
1532 aprile 10
Confessio rilasciata da Giovan Angelo de Donati a Battista de Malingeriis.
Testi: Ambrogio de Opreno fu Andrea, maestro Giuliano
de Giramis fu Lorenzo, Rocco Visconti.
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7200
1530 luglio 23
Investitura fatta da Giovan Luca de Donati di G.P. in Battista de Bernadegio.
Testi: Giovanni Ambrogio de Pelaratis fu Baldassarre,
Francesco Luini fu Eusebio, Stefano Bondioli fu Callisto
di Daresano, episcopato di Lodi
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7198
1532 maggio 4
Giacoma detta Bianchina de Bernadegio, attraverso una
serie di successioni, diviene proprietaria di immobili di
cui il 6 marzo 1520 era stata investito da suo padre G.P.
de Donati, deceduto a Casale Monferrato.
Testi: maestro Ambrogio Ferrari fu Protasio, Giovanni
Galli, maestro Cristoforo de Orate fu Giovan Pietro
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7200
SIRONI
1530 ottobre 30
Bernardino de Donati compila il proprio testamento.
ASSondrio, Not., P. Ambria [atto mancante]
LEONI 1985, pp. 142-143
1534 luglio 14
La confraternita dei SS. Eligio e Bobone di Casale Monferrato delibera di affidare a Pietro di Francesco Spanzotti o a Gaudenzio Ferrari o a Ottaviano Cane o a Agostino de Donati la predella e la cornice dell’ancona della
confraternita.
ROMANO 1970, p. 52
1531 gennaio 30
Giovan Angelo de Donati fu Bernardino e Vincenzo de
Barberis nominano alcuni cittadini di Talamona propri
procuratori.
ASSondrio, Not., D. Camozzi di Talamona, 578 e G. Battista Camozzi di Talamona, 821
LEONI 1985, pp. 142-143
1534 luglio 20
Il pittore Sigismondo de Magistris rileva l’abitazione
appartenente ai canonici di San Fedele a Como in cui
risiedeva Ludovico de Donati, defunto da almeno due
anni.
ASComo, Not., F. M. Volpi, 205 bis
MASCETTI 1993, p. 91
1531 gennaio 27
G.P. de Donati risulta defunto.
ASMi, not. A. Aghina, 9350
SHELL, VENTUROLI 1987, p. 655
1531 marzo 1
Vincenzo de Barberis e Giovan Angelo de Donati fu Bernardino affittano un immobile a Talamona. Gli eredi di
Bernardino amministreranno i beni di Talamona almeno
fino al 1544.
ASSondrio, Not., G. B. Camozzi di Talamona, 824
LEONI 1985, p. 143
1538 giugno 4
Testamento di Giovanni Angelo de Donati fu Giovanni
Antonio con legati a Margherita e Isabella, sue figlie, e a
Lucia Sormani, sua moglie. Nomina eredi universali Giovanni Ambrogio e Melchiorre, figli suoi e della prima
moglie Ambrogina del Maino, nonché Giovanni Antonio e
Giovan Francesco e il figlio nascituro dell’attuale moglie
Lucia se maschio.
Testi: Filippo de Giussano fu Alvise, Gabriele de Brena
fu Cipriano, Giovanni de Rixiis fu Giorgio, Giovanni
Antonio Crivelli fu Giorgio, maestro Giovanni Antonio
de Calegariis di Bergamo fu Domenico
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7206
SIRONI
1531 luglio 3
Confessio rilasciata da Giovan Luca de Donati fu G.P., p.
di S. Bartolomeo foris, a maestro Pietro de Trezzo.
Testi: Agostino di Sant’Agostino fu Giovanni, Pietro Bossi fu Alvise, Rocco Visconti
ASMi, Not., M. A. Castelfranchi, 7199
1531 settembre 4
Confessio rilasciata da Giovan Angelo de Donati fu Giovanni Antonio, p. S. Stefano in Bregondia, fratello ed ere-
156
Si ringraziano Maria Cristina Brunati, Anna Brunetti, Davide Dozio, Paolo Plebani, Giulia Todeschini
Abbreviazioni degli archivi menzionati:
AFD: Archivio della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano
ASComo: Archivio di Stato di Como
ASCVercelli: Archivio Storico Comunale di Vercelli
ASCVigevano: Archivio Storico Comunale di Vigevano
ASMi: Archivio di Stato di Milano
ASPavia: Archivio di Stato di Pavia
ASSondrio: Archivio di Stato di Sondrio
BCLaudense: Biblioteca Comunale di Lodi
Bibliografia:
La voce Sironi in bibliografia indica che la notizia è riportata negli appunti di Grazioso Sironi conservati sotto forma
di schedario presso l’Archivio di Stato di Milano.
ANNALI 1880
Annali della fabbrica del Duomo di Milano dall’origine fino al presente pubblicati a cura della sua amministrazione, Milano 1880, vol. III.
FORCELLA 1895
V. Forcella, Notizie storiche degli intarsiatori e scultori di legno che lavorarono
nelle chiese di Milano dal 1141 al 1765, Milano 1895.
MOTTA 1905
E. Motta, Intagliatori a Milano, «Archivio storico lombardo», XXXII, 2 (1905),
pp. 483-484.
FORATTI 1916
A. Foratti, L’ancona di legno nell’incoronata nel museo di Lodi, «Archivio storico per la città e i comuni del Circondario e della Diocesi di Lodi», 4, dicembre
1916, pp. 163-172.
MAIOCCHI 1937
R. Maiocchi, Codice diplomatico artistico di Pavia dall’anno 1330 all’anno 1550,
Pavia 1937.
ROMANO 1970
G. Romano, Casalesi del Cinquecento: l’avvento del manierismo in una città
padana, Torino 1970.
GATTI 1977
S. Gatti, Una sconosciuta opera di Gian Pietro e Ambrogio Donati; l’ancona
lignea già in San Lorenzo a Lugano, «Archivio Storico Ticinese», XVIII (1977),
pp. 153-168.
MUSÉE D’ART 1979
Musée d’art et d’historie. Peintures italiennes du XIV au XVIII siècle, Genève,
1979.
ZENALE E LEONARDO 1982
Zenale e Leonardo: tradizione e rinnovamento della pittura lombarda, catalogo
della mostra (Milano, Museo Poldi Pezzoli, 4 dicembre 1982-28 febbraio 1983),
Milano 1982.
SHELL, VENTUROLI 1987
J. Shell, P. Venturoli, ad vocem De Donati, in Dizionario biografico degli italiani, XXXIII, Roma 1987, pp. 650-656.
SHELL 1983
J. Shell, Two documents for Bergognone’s Melegnano altarpiece, «Arte lombarda», 64 (1983), pp. 99-103.
LEONI 1985
B. Leoni, L’ancona lignea nella chiesa di S. Vittore a Caiolo e il suo autore, «Bollettino della società storica valtellinese», 38 (1985), pp. 135-147.
MASCETTI 1993
M. Mascetti, Pittori lariani noti ed ignoti in atti notarili tra Quattro e Cinquecento, «Communitas ‘93. Annali del centro studi storici della val Menaggio 19891993», Menaggio 1993, pp. 65-92.
PITTURA A COMO... 1994
Pittura a Como e nel Canton Ticino dal Mille al Settecento, a cura di Mina Gregori, Milano 1994.
157
PITTURA IN ALTO LARIO... 1995
Pittura in Alto Lario e in Valtellina dall’Alto Medioevo al Settecento, a cura di
Mina Gregori, Milano 1995.
SHELL 1995
J. Shell, Pittori in bottega. Milano nel Rinascimento, Torino 1995.
BATTAGLIA 1996
A. Battaglia, Nuove acquisizioni sulla scultura lignea comasca: due documenti
per l’attività dei fratelli de Donati, in Cesare Cesariano e il classicismo di primo
Cinquecento, atti del seminario di studi (Varenna, 7-9 ottobre 1994) a cura di M.
L. Gatti Perer e A. Rovetta, Milano 1996, pp. 209-242.
GANNA 1996
R. Ganna, Giacomo del Maino, Giovanni Pietro de Donati e altri artisti a Santa
Maria del Monte sopra Varese, «Arte Lombarda», 117, 1996, pp. 64-71.
VIOTTO 1996
P. Viotto, Miracolati da Caterina da Pallanza. Nuovi documenti per la storia di
Santa Maria del Monte, «Tracce», n.s., XVI, 2 (1996), pp. 37-54.
LONGONI 1998
V. Longoni, Umanesimo e Rinascimento in Brianza: studi sul patrimonio culturale, Milano 1998.
GUGLIELMETTI 2000
A. Guglielmetti, Scultura lignea nella diocesi di Novara fra Quattro e Cinquecento, Borgomanero 2000.
ROBERTSON 2002
C. Robertson, Bramante and Gian Giacomo Trivulzio, in Bramante milanese e l’architettura del Rinascimento Lombardo, atti del seminario di studi (Vicenza 1996) a
cura di C. L. Frommel, L. Giordano, R. Schofield, Venezia 2002, pp. 67-81.
SACCHI 2005
R. Sacchi, Il disegno incompiuto: la politica artistica di Francesco II Sforza e di
Massimiliano Stampa, Milano 2005.
TONANI 2005
L. TONANI, Prima segnalazione per l’ancona del Santissimo Sacramento di
Ambrogio de Donati, «Artes», 11 (2005), p. 82.
TERRAROLI 2006
V. Terraroli, “...cum faciolis suis intaliatis et archetis subtus fatiolas...”: aggiunte
documentarie per la storia della scultura lignea rinascimentale a Milano, in Arte
e storia di Lombardia: scritti in memoria di Grazioso Sironi, Roma 2006, pp.
115-128.
BENTIVOGLIO RAVASIO 2006
B. Bentivoglio Ravasio, Note in margine di una mostra. L’Adorazione del Bambino della Pinacoteca Malaspina di Pavia e qualche appunto su Ludovico de
Donati, «Rassegna di Studi e di Notizie», 30 (2006), pp. 93-118.
VIRGILIO 2007
G. Virgilio, Aggiornamenti sull’attività di Giovanni Ambrogio De Donati in Valtellina, «Arte lombarda», 149 (2007), pp. 72-74.
158
IMMAGINI
Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati, San Pietro Martire lascia i confratelli, Berlin, Staatliche
Museen, Skupturensammlung und Museum fur byzantinische Kunst.
FIG. 1 - Vista frontale. Foto Staatliche Museen zu Berlin (J.P. Anders 1996).
161
2
4
3
5
FIG. 2 -Vista del retro. Foto Luca Quartana – Restauro opere lignee.
FIG. 3 - Particolare della cappa del monaco di sinistra che evidenzia la lavorazione a sgraffito con trattini e punti.
Foto Luca Quartana – Restauro opere lignee.
FIG. 4 - Particolare della parte inferiore sinistra che permette di osservare gli elementi strutturali del rilievo. Foto
Fabio Frezzato.
FIG. 5 - Particolare della parte inferiore destra che permette di osservare gli elementi strutturali del rilievo. Foto
Fabio Frezzato.
162
6
7
FIG. 6 - Particolare della spalla del monaco di fronte a San Pietro Martire che evidenzia il trattamento a sgraffito.
Foto Luca Quartana – Restauro opere lignee.
FIG. 7 - Particolare del viso del monaco di destra. Foto Luca Quartana – Restauro opere lignee.
163
8
9
FIG. 8 - Sezione stratigrafica al microscopio ottico (240x) in cui si può osservare lo strato di bolo ricoperto
dall’oro e al di sopra le stesure pittoriche degli abiti bianco e nero dei due monaci. Foto CSG Palladio – Vicenza.
FIG. 9 - Nella sezione stratigrafica proveniente da un incarnato (240x) si può notare come la stesura pittorica sia
applicata direttamente sullo strato di bolo. Foto CSG Palladio – Vicenza.
164
Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati, Colloquio mistico di San Pietro con le sante Agnese, Caterina
e Cecilia, Opava (Repubblica Ceca), Museo della Slesia.
FIG. 10 - Vista frontale. Foto Museo della Slesia.
165
11
13
12
FIG. 11 - Particolare della parte inferiore sinistra dello
stipite e della cappa del santo. Foto Luca Quartana –
Restauro opere lignee.
FIG. 12 - Particolare del volto del santo. Foto Luca
Quartana – Restauro opere lignee.
FIG. 13 - Particolare del manto di sant’Agnese. Foto
Luca Quartana – Restauro opere lignee.
166
14
15
FIG. 14 - Sezione microstratigrafica al microscopio elettronico a scansione (ESEM) di un campione prelevato dal
manto di santa Lucia, che permette di osservare il doppio strato di preparazione gessosa, lo strato di bolo e le due
stesure di azzurrite di qualità differente. Foto CSG Palladio – Vicenza.
FIG. 15 - Sezione microstratigrafica al microscopio ottico (240x) di un campione blu prelevato dal cielo della
finestra con l’azzurrite sopra uno strato di azzurrite mescolata con biacca. Foto CSG Palladio – Vicenza.
167
Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati, San Pietro in preghiera di fronte al crocifisso, Opava (Repubblica Ceca), Museo della Slesia.
FIG. 16 - Vista frontale. Foto Museo della Slesia.
168
17
19
18
FIG. 17 - Particolare della lavorazione a sgraffito del panno che ricopre l’inginocchiatoio e della granulazione della foglia d’oro sulla parete. Foto Luca Quartana – Restauro opere lignee.
FIG. 18 - Particolare dell’imposta sinistra della finestrella che mette in evidenza le venature del legno eseguito a
sgraffito. Foto Luca Quartana – Restauro opere lignee.
FIG. 19 - Particolare del breviario sullo sfondo. Foto Luca Quartana – Restauro opere lignee.
169
20
21
FIG. 20 - Sezione microstratigrafica al microscopio ottico (480x) di un campione prelevato dall’imposta. Lo sgraffito è stato realizzato selezionando in ogni punto l’asportazione di due possibili livelli di colore, il marrone della
seconda stesura o il beige della prima. Foto CSG Palladio – Vicenza.
FIG. 21 - Sezione microstratigrafica al microscopio ottico (480x) di un campione prelevato da un elemento vegetale verde scuro ottenuto a sgraffito sulla parete di fondo. Foto CSG Palladio – Vicenza.
170
Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati, Il martirio di San Pietro Martire, Sarasota (Florida, USA),
John and Mable Ringling Museum.
FIG. 22 - Vista frontale. Foto Bequest of John Ringling, Collection of the John and Mable Ringling Museum of Art,
the State Art Museum of Florida.
171
23
25
24
26
FIG. 23 - Vista del retro. Foto Luca Quartana – Restauro opere lignee.
FIG. 24 - Particolare del fogliame degli alberi. Foto Luca Quartana – Restauro opere lignee.
FIG. 25 - Particolare dell’intaglio e della decorazione a sgraffito sulla corteccia di un albero. Foto Luca Quartana –
Restauro opere lignee.
FIG. 26 - Particolare del verde fra i tronchi degli alberi. Foto Luca Quartana – Restauro opere lignee
172
27
28
FIG. 27 - In alto: sezione microstratigrafica al microscopio ottico (240x) di un campione proveniente dalla corteccia che mette in evidenza l’avvallamento provocato dal passaggio dello strumento usato per eseguire lo sgraffito.
In basso: la stessa sezione al microscopio elettronico a scansione (ESEM). Foto CSG Palladio – Vicenza.
FIG. 28 - Sezione microstratigrafica al microscopio ottico (240x) di un campione proveniente dall’incarnato del
sicario. Foto CSG Palladio – Vicenza.
173
29
29 A
Maestro di Trognano (Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati?), Natività, Milano, Castello Sforzesco,
Civiche Raccolte d’Arte Applicata, in deposito dall’ASP “Golgi Redaelli”, Milano.
FIG. 29 - Vista frontale. Foto su concessione dell’Azienda di Servizi alla Persona “Golgi Redaelli”.
FIG. 29a - Proiezione frontale della posizione dei chiodi inseriti dal retro e ribattuti.
174
30
30 A
FIG. 30 - Vista del retro. Foto Luca Quartana – Restauro opere lignee.
FIG. 30a - Rilievo della composizione del retro con mappa delle chiodature.
175
31
32
FIG. 31 - Particolare della mantellina del pastore che evidenzia il trattamento a sgraffito della lacca rossa. Foto
Luca Quartana – Restauro opere lignee.
FIG. 32 - Particolare delle gambe e delle braccia del pastore in cui sono evidenti i segni della perdita di un elemento figurativo preesistente. È anche evidente il punto di inserzione delle mani di San Giuseppe, frutto di rifacimento. Foto Luca Quartana – Restauro opere lignee.
176
33
34
FIG. 33 - Sezione microstratigrafica al microscopio elettronico a scansione (ESEM) che permette di osservare il
doppio strato di preparazione gessosa. Foto CSG Palladio – Vicenza.
FIG. 34 - Sezione microstratigrafica al microscopio ottico (240x) del campione con la lacca rossa proveniente dalla mantellina di un pastore. Foto CSG Palladio – Vicenza.
177
Maestro di Trognano (Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati?), Andata al Calvario, Milano, Castello
Sforzesco, Civiche Raccolte d’Arte Applicata, in deposito dalla Pinacoteca di Brera.
FIG. 35 - Vista frontale. Foto Saporetti Immagini d’Arte, Milano.
178
36
38
37
FIG. 36 - Vista del retro. Foto Luca Quartana –
Restauro opere lignee.
FIG. 37 - Particolare del fianco destro. Foto Luca
Quartana – Restauro opere lignee.
FIG. 38 - Particolare che mette in evidenza i trattamenti di punzonatura, rilievo a pastiglia e sgraffito.
Foto Francesca Tasso.
179
39
40
41
FIG. 39 - Sezione microstratigrafica al microscopio elettronico a scansione (ESEM) che permette di osservare il
doppio strato di preparazione gessosa. Foto CSG Palladio – Vicenza.
FIG. 40 - Sezione microstratigrafica al microscopio ottico (240x) di un campione prelevato dalla veste rossa della
pia donna sulla destra. Lo strato di lacca rossa e biacca è applicato direttamente sulla preparazione. Foto CSG Palladio – Vicenza.
FIG. 41 - Sezione microstratigrafica al microscopio ottico (240x) di un campione prelevato dalla veste bianca di
Gesù. La stesura più antica è costituita da biacca, stesa direttamente sulla preparazione. Foto CSG Palladio –
Vicenza.
180
Maestro di Trognano (Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati?), Deposizione nel Sepolcro, Milano,
Castello Sforzesco, Civiche Raccolte d’Arte Applicata, in deposito dalla Pinacoteca di Brera.
FIG. 42 - Vista frontale. Foto Saporetti Immagini d’Arte, Milano.
181
FIG. 43 - Vista del retro. Foto Luca Quartana – Restauro opere lignee.
FIG. 44 - Particolare del fianco sinistro. Foto Luca
Quartana – Restauro opere lignee.
FIG. 45 - Particolare del fianco destro. Foto Luca
Quartana – Restauro opere lignee.
43
44
45
182
FIG. 46 - Particolare del volto di una pia donna con i rilievi a pastiglia del nimbo e della bordura del manto. Foto
Saporetti Immagini d’Arte, Milano.
183
47
48
FIG. 47 - Sezione microstratigrafica al microscopio ottico (240x) di un campione prelevato dal manto blu della
Vergine caratterizzato da una stesura di fondo a indaco e biacca, ricoperta da una stesura di azzurrite. Foto CSG
Palladio – Vicenza.
FIG. 48 - Sezione microstratigrafica al microscopio ottico (240x) di un campione prelevato dall’abito verde della
Maddalena caratterizzato da una stesura di fondo a malachite, giallorino e biacca, ricoperta da una stesura di
malachite. Foto CSG Palladio – Vicenza.
184
Bottega di Giacomo Del Maino (attribuito a), Natività con il viaggio dei Magi e san Gerolamo, Museum of Fine
Arts, Boston.
FIG. 49 - Vista frontale. Photograph © 2009 Museum of Fine Arts, Boston.
185
FIG. 50 - Vista del retro, con gli stemmi delle famiglie Visconti e Da Rho. Photograph © 2009 Museum of Fine
Arts, Boston
186
52
53
51
FIG. 51 - Natività con l’indicazione dei punti di prelievo. Photograph © 2009 Museum of Fine Arts, Boston.
FIG. 52 - Particolare del fianco superiore sinistro, che mostra i dettagli costruttivi; l’ampia formella orizzontale è
di restauro. Photograph © 2009 Museum of Fine Arts, Boston.
FIG. 53 - Particolare del fianco della parte inferiore sinistra, che mostra i dettagli costruttivi; l’ampia formella
orizzontale è di restauro. Photograph © 2009 Museum of Fine Arts, Boston.
187
FIG. 54 - Composizione di radiografie a raggi X; le linee rosse mostrano le singole sezioni della radiografia.
Photograph © 2009 Museum of Fine Arts, Boston.
188
55
57
56
FIG. 55 - Particolare centrale della Natività, che mostra gli animali, l’angelo e una sezione del muro assicurati con
un chiodino. Photograph © 2009 Museum of Fine Arts, Boston.
FIG. 56 - Particolare della radiografia ai raggi X che mostra elementi in metallo antichi e moderni. Photograph ©
2009 Museum of Fine Arts, Boston.
FIG. 57 - Particolare della radiografia ai raggi X che mostra il motivo a zig zag dello sfondo. Photograph © 2009
Museum of Fine Arts, Boston.
189
58
60
59
FIGG. 58-60 - Particolari della decorazione a sgraffito. Photograph © 2009 Museum of Fine Arts, Boston.
190
FIG. 61 A-C - Campione A, sezione
microstratigrafica dal colore blu del
fondo, registro superiore
A. fotografata in luce riflessa (200x)
mostra uno strato con azzurrite
sopra un altro strato con ossidi di
ferro macinati grossolanamente
B. fotografata in luce ultravioletta
(200x) non evidenza fluorescenze riconducibili a oli o resine.
C. nell’immagine SEM a 150x, nella parte superiore sinistra i granuli che appaiono luminosi sono
di azzurrite.
Photograph © 2009 Museum of Fine
Arts, Boston.
61 A
61 B
61 C
191
FIG. 62 A-C - Campione F, sezione
microstratigrafica dall’abito verde
della figura a sinistra
A. fotografata in luce riflessa
(200x) mostra, dal basso verso
l’alto: preparazione bianca di
gesso (calcio solfato), bolo rosso, lamina d’oro, bianco di
piombo con azzurrite, azzurrite
finemente macinata con giallo
non identificato
B. fotografata in luce ultravioletta
(200x) non mostra nessuna
fluorescenza evidente, ad eccezione dello strato superiore, che
indica la presenza di un consolidante moderno (polivinilacetato). La FTIR indica la presenza di un legante proteico e non
di oli
C. nell’immagine SEM (300x)
uno strato di oro è visibile
sopra uno strato scuro di bolo.
Sopra lo strato di oro si vede
uno strato di bianco di piombo
con azzurrite, che si trova subito sotto lo strato superficiale
blu/giallo.
Photograph © 2009 Museum of
Fine Arts, Boston.
62 A
62 B
62 C
192
FIG. 63 A-C - Campione L, sezione
microstratigrafica dalla doratura sulla rocca
A. fotografata in luce riflessa (200x)
esibisce lo strato bianco di gesso,
il bolo rosso e due strati di doratura separati da uno strato scuro
molto sottile
B. fotografata in luce ultravioletta
(200x) evidenzia la fluorescenza
di un moderno consolidante
C. l’immagine SEM (200x) mostra
lo strato inferiore di gesso a grana grossolana, il bolo di fine granulometria, con due strati di
doratura al di sopra, separati da
uno strato addizionale molto sottile, ma di granulometria grossolana (successivo).
Photograph © 2009 Museum of Fine
Arts, Boston.
63 A
63 B
63 C
193
64 A
64 B
64 C
FIG. 64 - Campione L, sezione microstratigrafica dalla doratura sulla rocca
A. immagine SEM (200x) con evidenziate le aree a cui si riferiscono i grafici sottostanti
B. grafico che evidenzia la spessa preparazione di gesso
C. grafico che evidenzia lo spesso strato di bolo.
194
65 A
65 B
65 C
FIG. 65 - Campione L, sezione microstratigrafica dalla doratura sulla rocca
A. immagine SEM degli strati di oro (1500x)
B. grafico dell’analisi della lamina d’oro, che risulta identica in entrambi gli strati
C. grafico del sottile strato di bolo sopra lo strato di doratura originale.
195
Bottega di Giacomo Del Maino (oppure Bottega dei Fratelli De Donati?), Natività con Adorazione dei Magi e san
Gerolamo, Milano, collezione privata.
FIG. 66 - Vista frontale. Foto Luca Quartana – Restauro opere lignee.
196
67
69
68
FIG. 67 - Vista del retro. Foto Luca Quartana – Restauro opere lignee.
FIG. 68 - L’anconetta dopo alcuni saggi di pulitura durante il restauro. Foto Luca Quartana – Restauro opere lignee.
FIG. 69 - Sezione microstratigrafica al microscopio ottico (240x) del campione dal fondo blu col doppio strato di
azzurrite, più chiaro sotto. Foto CSG Palladio – Vicenza.
197
70
71
FIG. 70 - Particolare del Bambino deposto sul
manto della Vergine. Foto Luca Quartana –
Restauro opere lignee.
FIG. 71 - Nel particolare si osserva, sul fondo
blu in corrispondenza del corno del bue, andato perduto, la traccia ovale della preparazione
a gesso del rilievo, che dimostra la contemporaneità di esecuzione del rilievo e del fondo.
Foto Luca Quartana – Restauro opere lignee.
198
72
74
73
Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati,
Ancona della Pietà, Orselina (Locarno), Sacro Monte
FIG. 72 - L’ancona della Pietà nella cappella Von Roll
nel cortile del convento della Madonna del Sasso in
una fotografia del tardo Ottocento (ante 1891). Foto
Ufficio dei Beni Culturali (UBC) Bellinzona.
FIG. 73 - L’ancona della Pietà nella seconda cappella
a sinistra del santuario della Madonna del Sasso in una
fotografia della prima metà del Novecento (post
1922), dopo l’intervento di Francesco Annoni (19131914). La lunetta sovrastante e il paliotto (opere di
Bernardino De Conti) non appartengono all’ancona.
Foto UBC, Bellinzona.
FIG. 74 - L’ancona della Pietà nell’omonima cappella
nel cortile del convento, prima dell’ultimo restauro
(2005). Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini,
Bellinzona).
199
FIG. 75 - L’ancona della Pietà ricomposta dopo il restauro in occasione della esposizione Beni Culturali. Cento
anni di attività (1909-2009) a Palazzo Franscini, Bellinzona (2009-2010). Foto UBC, Bellinzona.
200
77
76
78
FIG. 76 - Vista frontale. Prima del restauro (2005). Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
FIG. 77 - Vista del retro. Prima del restauro (2005). Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
FIG. 78 - Dettaglio della pulitura dell’oro in corrispondenza dei capelli di un angelo. Durante il restauro (2005).
Foto UBC, Bellinzona (Andrea Meregalli, Canobbio).
201
79
81
80
FIG. 79 - Vista frontale. Dopo il restauro (2006). Foto
UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
FIG. 80 - Fianco sinistro. Dopo il restauro (2006). Foto
UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
FIG. 81 - Vista del retro. Dopo il restauro (2006). Foto
UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
202
82
83
84
FIG. 82 - Pittore lombardo, Nicodemo, Maddalena e Giuseppe d’Arimatea, tavola centrale, vista frontale. Prima
del restauro (2005). Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
FIG. 83 - Pittore lombardo, Nicodemo, Maddalena e Giuseppe d’Arimatea, tavola centrale, retro. Prima del restauro (2005). Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
FIG. 84 - Pittore lombardo, Nicodemo, Maddalena e Giuseppe d’Arimatea, tavola centrale, vista frontale, dettaglio
delle prove di rimozione della vernice di restauro ossidata (area grande) e di pulitura dei resti di colle e di sporcizia superficiale (area piccola). Durante il restauro (2005). Foto UBC, Bellinzona (Arcangelo Moles, Lucca).
203
85 A
85 B
FIG. 85 A - Pittore lombardo, Nicodemo, Maddalena e Giuseppe d’Arimatea, tavola centrale, vista frontale, stratigrafia in corrispondenza della prova di rimozione della vernice di restauro ossidata (V. FIG. 84). Dall’alto si riconoscono 1. film brunastro corrispondente alla vernice alterata 2. strato di terra verde e bianco di piombo 3. preparazione di gesso e colla 4. legno. Durante il restauro (2005). Foto UBC, Bellinzona (Arcangelo Moles, Lucca).
FIG. 85 B - Pittore lombardo, Nicodemo, Maddalena e Giuseppe d’Arimatea, tavola centrale, fronte, stratigrafia in
corrispondenza della prova di pulitura dei resti di colle e di sporcizia superficiale (V. FIG. 84). Dall’alto si riconoscono 1. residuo del film brunastro corrispondente alla vernice alterata 2. strato di terra verde e bianco di piombo 3. preparazione di gesso e colla 4. legno. Durante il restauro (2005). Foto UBC, Bellinzona (Arcangelo Moles, Lucca).
204
86
88
87
89
FIG. 86 - Pittore lombardo, Nicodemo,
Maddalena e Giuseppe d’Arimatea, tavola
centrale, vista frontale. Dopo il restauro
(2006). Foto UBC, Bellinzona (Roberto
Pellegrini, Bellinzona).
FIG. 87 - Pittore lombardo, Nicodemo,
Maddalena e Giuseppe d’Arimatea, tavola
centrale, retro. Dopo il restauro (2006).
Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini,
Bellinzona).
FIG. 88 - Maestro di San Rocco a Pallanza,
Maria Salomé, tavola laterale sinistra,
fronte. Prima del restauro (2005). Foto
UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
FIG. 89 - Maestro di San Rocco a Pallanza,
Maria Salomé, tavola laterale sinistra, retro.
Prima del restauro (2005). Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
205
FIG. 90 - Maestro di San Rocco a Pallanza,
Maria di Giacomo, tavola laterale destra,
fronte. Prima del restauro (2005). Foto
UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
FIG. 91 - Maestro di San Rocco a Pallanza, Maria di Giacomo, tavola laterale
destra, retro. Prima del restauro (2005).
Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini,
Bellinzona).
FIG. 92 A - Maestro di San Rocco a Pallanza, Maria Salomé, tavola laterale sinistra,
fronte, dettaglio della pulitura. Durante il
restauro (2005). Foto UBC, Bellinzona
(Andrea Meregalli, Canobbio).
90
92 A
91
206
FIG. 92 B - Maestro di San Rocco a Pallanza, Maria
di Giacomo, tavola laterale destra, fronte, dettaglio
della pulitura. Durante il restauro (2005). Foto UBC,
Bellinzona (Andrea Meregalli, Canobbio).
FIG. 93 - Maestro di San Rocco a Pallanza, Maria
Salomé, tavola laterale sinistra, vista frontale. Dopo
il restauro (2006). Foto UBC, Bellinzona (Roberto
Pellegrini, Bellinzona).
FIG. 94 - Maestro di San Rocco a Pallanza, Maria
Salomé, tavola laterale sinistra, retro. Dopo il restauro (2006). Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini,
Bellinzona).
FIG. 95 - Maestro di San Rocco a Pallanza, Maria di
Giacomo, tavola laterale destra, vista frontale. Dopo
il restauro (2006). Foto UBC, Bellinzona (Roberto
Pellegrini, Bellinzona).
FIG. 96 - Maestro di San Rocco a Pallanza, Maria di
Giacomo, tavola laterale destra, retro. Dopo il restauro (2006). Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini,
Bellinzona).
92 B
93
94
95
207
96
97
98
FIG. 97 - Arco, vista frontale. Prima del restauro (2005). Foto UBC,
Bellinzona (Roberto Pellegrini,
Bellinzona).
FIG. 98 - Arco, fianco laterale sinistro. Prima del restauro (2005).
Foto UBC, Bellinzona (Roberto
Pellegrini, Bellinzona).
208
99 A
99 B
FIG. 99 A - Maestro di San Rocco a Pallanza, Arcangelo Gabriele, arco, fronte, dopo la pulitura e la stuccatura.
Durante il restauro (2005). Foto UBC, Bellinzona (Andrea Meregalli, Canobbio).
FIG. 99 B - Maestro di San Rocco a Pallanza, Arcangelo Gabriele, arco, fronte. Dopo il restauro (2006). Foto
UBC, Bellinzona (Andrea Meregalli, Canobbio).
209
100
101
FIG. 100 - Arco, fronte. Dopo il restauro (2006). Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
FIG. 101 - Arco, fianco laterale sinistro. Dopo il restauro (2006). Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
210
102
103
FIG. 102 - Arco, retro. Dopo il restauro (2006). Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
FIG. 103 - Arco, estradosso. Dopo il restauro (2006). Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
211
104
107
105
106
FIG. 104 - Pilastro laterale sinistro, fronte. Prima del restauro (2005). Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
FIG. 105 - Pilastro laterale sinistro, fronte. Dopo il restauro (2006). Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
FIG. 106 - Pilastro laterale sinistro, fianco. Dopo il restauro (2006). Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
FIG. 107 - Pilastro laterale sinistro, retro. Dopo il restauro (2006). Foto UBC, Bellinzona (Roberto Pellegrini, Bellinzona).
212
FIG. 108 - Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati, particolare di san Giovanni, da un Compianto, Varallo Sesia (VC), Pinacoteca. Foto Eugenio Gritti. Bergamo.
213
Fig. 109 - Giovanni Angelo del Maino, particolare di san Giovanni, da un Compianto, Diocesi di Novara. Foto
Luciano Gritti, Bergamo.
214
110
110 A
FIGG. 110-110 A - Maestro di Trognano (Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati?), Natività, Milano,
Castello Sforzesco, Civiche Raccolte d’Arte Applicata, in deposito dall’ASP “Golgi Redaelli”, Milano. Foto su
concessione dell’Azienda di Servizi alla Persona “Golgi Redaelli”. Le linee verticali identificano le diverse tavole con cui è stata costituita la composizione; in verde e azzurro sono identificate le parti aggiunte sul davanti.
Schema elaborato e realizzato da Jonathan Santa Maria.
215
111
111 A
FIGG. 111-111 A - Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati, Natività, Lodi, Museo civico. Foto Museo
civico di Lodi. Nell’immagine sottostante le linee colorate identificano le diverse tavole con cui è stata costituita
la composizione.
Schema elaborato e realizzato da Jonathan Santa Maria.
216
112
112 A
FIG. 112-112 A - Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati, Natività della Vergine, Lodi, Museo civico.
Foto Museo civico di Lodi.
I colori identificano i diversi masselli con cui è stata costituita la composizione.
Schema elaborato e realizzato da Jonathan Santa Maria.
217
113
113 A
FIGG. 113-113 A - Giovanni Angelo Del Maino, Natività, London, Victoria&Albert Museum, predella della pala
d’altare con la Crocifissione proveniente da Piacenza.
I colori identificano le diverse parti con cui è stata costituita la composizione.
Schema elaborato e realizzato da Jonathan Santa Maria.
218
Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati, Natività, Milano, Castello Sforzesco, Civiche Raccolte d’Arte
Applicata.
FIG. 114 - Vista frontale. Foto Saporetti Immagini d’Arte, Milano.
219
115
117
116
FIG. 115 - Vista del retro, con gli stemmi delle famiglie Trivulzio e Grassi. Foto Saporetti Immagini d’Arte, Milano.
FIG. 116 - Particolare del fianco sinistro. Foto Saporetti Immagini d’Arte, Milano.
FIG. 117 - Fianco sinistro superiore, con particolare dell’innesto della volta dell’architettura nella struttura portante. Foto
Saporetti Immagini d’Arte, Milano.
220
FIG. 118 - Vista dal fianco sinistro, con lo scorcio prospettico archtiettonico. Foto Saporetti Immagini d’Arte,
Milano.
221
Finito di stampare nel mese di Febbraio 2010
presso le Arti Grafiche Torri Srl Cologno Monzese (Mi)