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Gaudenzio Ferrari secondo Bernard e Mary Berenson, in "Arte Lombarda", luglio 2013

2013, Arte Lombarda

Gaudenzio Ferrari secondo Bernard e Mary Berenson ERICA BERNARDI Tra appunti e taccuini di viaggio Gaudenzio Ferrari tra Valsesia e Valtellina: note a caldo Bernard Berenson (1865-1959) e Mary Berenson (1864-1945) redassero le loro rinomate ‘liste’ di luoghi e di artisti con un’attenzione al dettaglio assoluta, notevole non solo per l’epoca in cui vennero compilate1 (fig.1, tav. 17). I viaggi compiuti per arrivare a tale risultato, cioè profilare la mappatura più capillare e completa mai tentata delle opere d’arte rinascimentali italiane, sono registrati dalla coppia su taccuini poi organizzati in due diversi schedari dove le informazioni sono suddivise e incrociate trasversalmente per luoghi e artisti in ordine alfabetico. Questi materiali, che si trovano nell’Archivio di Villa I Tatti a Settignano, rendono possibile ricostruire l’evoluzione del pensiero berensoniano, recuperare riflessioni e opinioni; grazie alla grafomania di Mary, che sembra da subito avere intuito la portata storica del lavoro intrapreso con Bernard, quasi nulla è andato perduto. Incrociando taccuini, «notes artists», «notes places» e i diari di Mary si riescono a ripercorrere i ragionamenti seguiti dalla coppia per costruire il corpus delle opere di ogni pittore del Rinascimento italiano preso in considerazione. La ricerca compiuta dai Berenson si declina in un unico respiro e le due voci non sono distinguibili: lei scrive, ma annota le riflessioni di entrambi. Lui è completamente preso dalle immagini che sembrano scorrergli sotto gli occhi come un archivio fotografico sempre pronto nella mente e lei, più pragmatica, meno romantica, scrive tutto, anche ciò che «non è buono» e che verrà spuntato nella fase successiva. Nonostante Gaudenzio Ferrari (1475/80-1546) non fosse uno dei suoi pittori preferiti, come è chiaro fin dalla prima volta in cui lo cita nel testo dei North Italian Painters of the Renaissance (1907), Berenson aveva promosso ricerche approfondite sull’artista piemontese. Non sono proprio lusinghiere le poche parole che lo studioso dedica a Gaudenzio, dato che il gusto di Berenson, in particolare in quegli anni, andava in tutt’altra direzione: Ringrazio Rossana Sacchi, con la quale è sempre bello ragionare di Gaudenzio, per l’aiuto fornitomi nella stesura dell’articolo. Un ringraziamento speciale va anche a Giovanni Agosti, Jacopo Stoppa, Alexandra Provo, Ilaria della Monica e Stefano Bruzzese. Abbreviazione AVIT: Archivio di Bernard Berenson, presso la Biblioteca Berenson, Villa I Tatti - The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies (courtesy of the President and Fellows of Harvard College). Come è noto Bernard Berenson ha pubblicato i suoi celebri volumi sui pittori del Rinascimento italiano con gli elenchi degli artisti suddivisi in ordine geografico e alfabetico, corredati per ogni pittore di una lista delle opere a lui attribuite. Per quanto riguarda l’Italia settentrionale, la prima edizione esce nel 1907 (B. BEREN1 110 Gaudenzio seems to have less than his fellows under the direct influence of Leonardo or his works. He was by temperament an energetic mountaineer, with a certain coarse strength and forcefulness. His earliest paintings, the Scenes from the Passion at Varallo, are provincial but pretty miniatures on a large scale. Prettiness gained on him at Milan, but never quite conquered a certain crude sense for reality, which, when it reasserted itself, permitted him to produce works with a curious breath of Rubens about them, like his frescoes at Vercelli2. I termini «energetic mountaineer», «provincial», riferiti alla parete con le scene della Passione in Santa Maria delle Grazie a Varallo (1513; fig. 2, tav. 18), e anche la parola «prettiness» usata con dispregio, non lasciano sospetti sul senso negativo da attribuire alla frase. È noto il rigore della ricerca condotta dallo studioso sul territorio italiano, ma stupisce comunque trovare nei «notes places» cinque schede su Morbegno in Valtellina, dove è perfino citata SON, North Italian Painters of the Renaissance, New York - London 1907), seguono la riedizione aggiornata delle liste, nel 1932 (B. BERENSON, Italian Pictures of the Renaissance: a List of the Principal Artists and their Works, with an Index of Places, Oxford 1932), la traduzione italiana del 1936 (B. BERENSON, Pitture italiane del Rinascimento. Catalogo dei principali artisti e delle loro opere con un indice dei luoghi, Milano 1936) e un’edizione aggiornata, postuma, nel 1968, curata dall’assistente di Berenson, Luisa Vertova (B. BERENSON, Italian Pictures of the Renaissance: a List of the Principal Artists and their Works, with an Index of Places, London 1968). 2 BERENSON, 1907, p. 120. Il testo viene commentato da Anna Maria Brizio che sottolinea l’accostamento di Gaudenzio a Rubens come un segnale dell’incapacità di Berenson nel comprendere il pittore nella sua totalità, artistica e storica: A. M. BRIZIO, Studi su Gaudenzio Ferrari, in «L’arte», 29 (1926), p. 118. Il riferimento a Rubens era già stato proposto da Burckhardt: J. BURCKHARDT, Il Cicerone: guida al godimento delle opere d’arte in Italia, Firenze 1952, p. 952 (prima edizione Basilea 1855); S. BERTELLI, La riscoperta del Sacro Monte di Varallo tra Ottocento e Novecento: il ruolo della fotografia, in «Sacri Monti», 2 (2010), p. 25. Gaudenzio Ferrari secondo Bernard e Mary Berenson la Nascita della Vergine di Gaudenzio Ferrari conservata presso il santuario dell’Assunta: «Hang up in L [left] wall near door Birth of Virgin Gaudenzio. Very much effaced probably once a standard»3. La tela vantava una sfortuna critica notevole, quasi quanto quella del proprio autore, e per essere pubblicata con la giusta attribuzione – ad opera dello stesso Berenson – dovrà attendere vent’anni esatti dal giorno in cui lo studioso la vide dal vero4. L’aveva ricordata per la prima volta Santo Monti nell’edizione (1892-1894) della cinquecentesca visita pastorale di Feliciano Ninguarda, attribuendola al Luini, per farla scomparire poi nella sua Storia ed Arte nella Provincia ed Antica Diocesi di Como del 19025. Anche Ethel Halsey – autrice di una monografia su Gaudenzio uscita nella collana inglese «Great Masters in Painting and Sculpture» che aveva visitato la Valtellina prima del 1904, anno di pubblicazione del volume a Londra – non segnala la Natività della Vergine e nemmeno l’ancona dei Del Maino cui la tela aveva fatto da anta di chiusura6. Forse non visita la chiesa, ignorando i nuovi documenti sui pagamenti dell’altare ligneo scoperti dal morbegnese Damiani pochi anni prima7. Il viaggio valtellinese della Halsey non credo vada messo in discussione data la quantità di dettagli sullo stato di conservazione dei dipinti che descrive, segnali di una ispezione autoptica: un affresco strappato a Premona, i lacerti individuati a L’appunto, scritto su un foglio con intestazione «Morbegno» conservato nei «Notes Places» presso AVIT, è stato segnalato da Patrizio Aiello a Giovanni Romano: G. ROMANO, in Il Rinascimento nelle terre ticinesi. Da Bramantino a Bernardino Luini, catalogo della mostra, a cura di G. Agosti, J. Stoppa e M. Tanzi, Milano 2010, pp. 196-200, nr. 47; G. ROMANO, in La Natività della Vergine di Gaudenzio a Morbegno, catalogo della mostra, a cura di G. Agosti, J. Stoppa e M. Tanzi, Milano 2011, pp. 13-17. 4 È pubblicata per la prima volta come opera di Gaudenzio in B. BERENSON, Italian Pictures of the Renaissance. A List of the Principal Artists and their Works with an Index of Places. Central and North Italian Schools, Oxford 1932, p. 191; su Gaudenzio in Valtellina: R. SACCHI, Gaudenzio Ferrari a Milano, i committenti, la bottega, le opere, in «Storia dell’arte», 67 (1989), pp. 201218; E. BERNARDI, Echi di Gaudenzio Ferrari in Valtellina, tesi di laurea, Università degli Studi di Milano, Facoltà di Lettere e Filosofia, a. a. 2006-2007, rel. G. Agosti; E. BERNARDI, Note su Gaudenzio Ferrari tra la Valsesia e la Valtellina, in «De Valle Sicida», XXI (2010), pp. 17-38; G. AGOSTI - J. STOPPA - M. TANZI, Il frutteto di Rancate, in La Natività della Vergine..., 2011, pp. 5-12; M. ROMERI, Itinerari gaudenziani in Valtellina, in La Natività della Vergine..., 2011, pp. 20-22. 5 S. MONTI, Atti della Visita Pastorale Diocesana di F. Ninguarda vescovo di Como (1589-1593), I, Como 1892-1894, p. 268, nota 1; S. MONTI, Storia ed Arte della Provincia ed Antica Diocesi di Como, Como 1902. 6 E. HALSEY, Gaudenzio Ferrari, London 1904. Qualche informazione in più sulla Halsey e sul motivo che la spinse a scrivere una monografia su Gaudenzio Ferrari si può dedurre dall’intelligente recensione di H. COOK, Gaudenzio Ferrari. By Ethel Halsey, in «The Burlington Magazine», IV (1904/12), pp. 291-292. Nella recensione si fa riferimento al fatto che la studiosa con la sua monografia ha corretto molti errori e imprecisioni contenuti nella voce riservata all’artista da M. BRYAN, in Dictionary of Painters and Engravers, biographical and critical, London 1886, p. 489, uno dei primi segnali di interessamento della critica inglese ottocentesca nei confronti di Gaudenzio. La recensione al volume spiega anche la necessità di una monografia su un pittore della levatura di Gaudenzio Ferrari: «Now that the general public is getting off the beaten track and penetrates to Varallo, Novara, Vercelli and other Piedmontese and Valsesian resorts, such a guide-book as this (map and all) will be of great value, whilst for the armchair critic the admirable reproduction of Gaudenzio’s works ought to stimulate the desire for study at first hand. […] 3 1. Bernard e Mary Berenson in viaggio nei primi anni del Novecento. Traona nella chiesa di Sant’Alessandro e la lunetta sul portale della chiesa di Sant’Antonio di mano di Gaudenzio8. Questo fa di lei una delle prime studiose ad avere affrontato l’attività valtellinese del pittore valsesiano con visite in loco9. Miss Halsey has rightly seen that her function is to rouse in her readers appreciation for an artist whom few know well, and many not at all, and she has certainly suceed». 7 G. F. DAMIANI, Documenti intorno ad un’ancona di Gaudenzio Ferrari a Morbegno durante gli anni 1520-1526, in «Archivio storico dell’arte», II (1896), pp. 306313. I documenti attestano i pagamenti fatti a Gaudenzio Ferrari e all’aiuto Fermo Stella tra il 1520 e il 1526 dalla confraternita dell’Assunta; la loro pubblicazione mette fine all’errata convinzione che Gaudenzio in quegli anni fosse a Roma come aiuto di Raffaello nelle stanze vaticane. 8 HALSEY, 1904, pp. 14-15, 114-115. Nel catalogo delle opere di Gaudenzio Ferrari, posto in fondo al volume della studiosa inglese, riguardo la località di Premona, oggi non identificabile, si specifica che si trova sopra Talamona. L’affresco citato rappresenta una Madonna con Bambino, San Rocco e Sant’Antonio Abate, che credo si possa riconoscere in un dipinto con lo stesso soggetto, strappato nel 1966, e registrato dal Togni nel 1974 a Talamona in casa Simonetta come «ambito di Gaudenzio Ferrari»: R. TOGNI, La pittura a fresco in Valtellina nei secoli XIV-XV-XVI, Sondrio 1974, pp. 122-123, fig. 48a; BERNARDI, 2006-2007, pp. 54, 145-146, fig. 23. Purtroppo del dipinto oggi si sono perse le tracce; le informazioni successive alla pubblicazione del Togni che sono riuscita a reperire suggeriscono uno spostamento dell’affresco strappato a Trevisio da parte di don Mario Simonetta che lo aveva ricevuto in eredità. 9 Tra le citazioni delle opere valtellinesi di Gaudenzio antecedenti alla Halsey troviamo la lunetta della chiesa di Sant’Antonio a Morbegno in G. BORDIGA, Notizie intorno alle opere di Gaudenzio Ferrari pittore e plasticatore, Milano 1821, p. 46, e in G. BORDIGA, Le opere del pittore e plasticatore Gaudenzio Ferrari disegnate e incise da Silvestro Pianazzi, Milano 1835, p. 177; quest’ultimo testo esce a fascicoli fino al 1847, quando la pubblicazione si interrompe a pochi numeri dalla fine per la morte di Silvestro Pianazzi; il Bordiga era però morto poco dopo l’inizio del progetto nel 1837, facendo in tempo a commentare solo le prime quattro tavole; non si conosce purtroppo chi sia l’autore delle seguenti. Pianazzi aveva chiesto ad Abbondio Perpenti di completare il commento, ma lo studioso aveva rifiutato (BERNARDI, 2006-2007, pp. 18-28). Cita sia la lunetta sia gli affreschi di Traona il valtellinese Abbondio Perpenti, che trae l’informazione dal Trattato del Lomazzo (G. P. LOMAZZO, Trattato dell’arte de la pittura, scoltura et architettura, Milano 1584, ed. a cura di R. Ciardi, Firenze 1973-1974, II, pp. 176, 460-467): A. PERPENTI, Elogio di Gaudenzio Ferrari pittore e plasticatore, Milano 1843, pp. 30-31. 111 Arte Lombarda | ERICA BERNARDI Il primo a riconoscere la tela della Natività della Vergine come opera del Ferrari è, l’ho accennato, proprio Bernard Berenson. Nel 1912 compie un viaggio in Valtellina con Cherry Lancelot, un giovane educato a Oxford che in quel periodo era suo assistente; sugli appunti presi quel giorno troviamo scritto: «Morbegno (Valtellina) (June 18, 1912 Morning w. [with] Cherry)»10. Subito dopo, sullo stesso foglio: «S. Lorenzo. High Altar. In a elaborating carved frame, supposed to have been designed by Gaudenzio, an antique Madonna enthroned (1450) […] Very interesting as an insieme». Berenson crede dunque che l’ancona lignea di Tiburzio e Giovan Angelo Del Maino, decorata da Gaudenzio e dall’aiuto Fermo Stella (1490/1500 circa-1562 circa), sia stata in realtà realizzata su disegno del Ferrari. Si tratta di un errore, ma non senza un fondo di verità, essendo gli scambi tra le due botteghe all’epoca molto intensi e precedenti l’altare di Morbegno11. Sul quarto foglio relativo alla località valtellinese compare un ultimo e veloce appunto sulla lunetta in Sant’Antonio: «Morbegno 4 S. Antonio (now caserma) Over door fresco in lunette Nativity w. [with] angels holding child + making music Gaudenzio»12. Anche se, come abbiamo detto, il Ferrari non era uno dei pittori preferiti di Berenson, l’attenzione riservata dallo studioso a una zona normalmente negletta come la Valtellina, considerata dagli storici dell’arte come una località che ospitava la produzione marginale del pittore valsesiano, mi ha spinta a lanciare una sonda un po’ più a fondo nell’Archivio di Villa I Tatti, con l’aiuto e la generosità di Ilaria Della Monica. Da carte rinvenute nell’archivio Berenson risulta anche una precocissima visita di Bernard a Varallo Sesia compiuta insieme alla non ancora moglie Mary, allora Costelloe, nel 1892. A quei tempi i due si frequentavano da pochissimo, il primo marito di Mary non era ancora morto e il progetto di comprare casa a Firenze lontano; all’epoca avevano rispettivamente ventisette e ventotto anni, e lei registrava tutto sul suo diario, giorno per giorno. Era stato un anno di viaggi; trascorsi i primi mesi del 1892 a Firenze, a metà aprile erano partiti e, prima di approdare a Varallo, avevano visitato Viareggio, Lucca, Pisa, Volterra, San Gimignano, Poggibonsi, Bologna, Modena, Cremona, Brescia, Bergamo, Milano, Parigi, Londra, Friday Hill, Rouen, Parigi di nuovo, Torino e Novara. Erano anni di studi appassionati e di amore incontenibile tra i due. Lei sul suo diario a data 17 settembre 1892 scrive della gita valsesiana ricordando la partenza alle otto e mezzo del mattino da Torino; prima una fermata a Novara a vedere il polittico di Gaudenzio nella chiesa di San Gaudenzio e il Duomo dove vedono anche il Lanino, poi la ripartenza alla volta di Varallo dove arrivano alle 4 di pomeriggio. Il pernottamento è presso l’albergo Croce Bianca, che oggi non esiste più13. Il giorno successivo, il 18 settembre, i due visitano la chiesa francescana di Santa Maria delle Grazie, erroneamente chiamata San Francesco da Mary, che poi si corregge. Subito dopo una passeggiata verso la montagna che sta alle spalle della chiesa fermandosi a fare un bagno nelle irresistibili lame del fiume Mastallone: «a delicious swim in a deep green pool, a sunbath in a secluded beach», cosa non da tutti nel mese di settembre (la temperatura dell’acqua doveva essere proibitiva). Tra i taccuini di viaggio a Villa I Tatti ci sono anche altri otto fogli sciolti, tutti dedicati a Varallo, con la descrizione dei monumenti. Negli appunti presi durante la visita sono analizzate una per una le scene della Passione di Cristo affrescate in Santa Maria delle Grazie; seguono il polittico di San Gaudenzio della collegiata, la chiesa di San Marco e il Sacro Monte. Mancano la pinacoteca, aperta ufficialmente nel 1885, e la Madonna di Loreto a Roccapietra. Riporto per intero la trascrizione degli appunti scritti da Mary durante la visita del 1892: La frase è scritta da Mary Berenson sul foglio di appunti con intestazione «Morbegno» conservato nei «Notes Places», AVIT; su Cherry Lancelot: E. SAMUELS, Bernard Berenson, The Making of a Legend, Cambridge - London 1987, p. 131. 11 P. VENTUROLI, Il restauro dell’ancona dell’Assunta a Morbegno, in Studi sulla scultura lignea lombarda tra Quattro e Cinquecento, Torino 2005, pp. 11-12; BERNARDI, 2006-2007, pp. 89-93; M. ALBERTARIO, Giovanni Angelo del Maino e Gaudenzio Ferrari, alle soglie della maniera moderna, in «Sacri Monti», I (2007), pp. 339-364; BERNARDI, 2010, pp. 18-20. 12 Sulla lunetta: BERNARDI, 2006-2007, pp. 100-103; BERNARDI, 2010, p. 21. 13 L’Albergo Croce Bianca compare ancora nella seconda edizione delle guide rosse del Touring Club del 1916: Piemonte, Lombardia e Canton Ticino, I, Milano 1916, p. 461. 14 Il Sodoma viene citato più volte nel testo; Berenson aveva fresco il ricordo degli affreschi di Monte Oliveto dove era stato nel 1891 e dove si era convertito al cattolicesimo, ricevendo il sacramento del battesimo: E. SAMUELS, Bernard Berenson. The Making of a Connoisseur, Cambridge - London 1979, p. 128. 15 Interessante che Berenson noti le flessioni qualitative dell’affresco, che denotano la presenza di aiuti. 16 Difficile capire che dipinto avesse in mente Berenson in questo caso; il riferimento a Tiziano 1545 non credo sia a un dipinto preciso, ma piuttosto indica la maturità del pittore e sottolinea la modernità del paesaggio gaudenziano. 10 112 1892 Varallo. Gaudenzio Ferrari Sta. Maria delle Grazie Screen 20 scenes from the life of Xt [Christ] about a large Crucifixion. At fresco. Well preserved. Above, in pediment, a medallion of God the father uphold by two putti wh. suggest Pinturicchio. Cornice well painted. [«Signed 1513» in seguito cancellato]. 1* Annunciation – pleasant Tuscan architecture or rather Bramantinesque, fervid angel, sweet Madonna. 2* Nativity. St Joseph’s attitude distinctly Peruginesque. Ruined arch of pinkish stone very well painted. Child here in 3 Sodomesque14. 3. Adoration. Rather feeble in drawing15. 4* Flight. White mule crossing stream. Draperies too bunchy. 5* Baptism. St. John very Peruginesque. Landscape extraordinarily modern, indeed like Titian 154516. 6* Raising of Lazarus. Here Xt’s attitude is exactly the same as Gaudenzio Ferrari secondo Bernard e Mary Berenson Caroto’s in Archibp’s Pal. Verona17. 7* Entry into Jerusalem. Young man spreading carpets. Rather violent movement Pordenonesque18. 8. Last supper. As usual with Gaudenzio they sit around a square table. But the composition is confused. The upper part is half effaced19. 9. Washing of feet. Architecture exquisite. 10. Agony in Garden. 11. *The Betrayal. Night scene, with darkness washing out nearly all colour. 12* Xt before Pilate. 13* Ecce Homo. Figure of Pilate very dignified. In the relief over the door, the Laocoon. The finest in composition. Original. 14 Xt at the Column. L. Executioner’s type suggest Marco d’Oggiono at his worst, but an expression so exaggerated as to suggest German rather then Italian art. 15. Pilate washing his hands. Youth in sage-green + white, spirit of Giorgione, Lotto, Timoteo. 16. Xt bearing the Cross. Bunchy drapery. Not a successful composition. 17. Xt adoring the cross. The most Pordenonesque scene of all, with the horses facing front + the romantic costumes. A child here is scarcely to be distinguished from the large Sodoma at Turin20. Picturesque woman. 18. Large Crucifixion. This too very Pordenonesque, but without the immense strength wh. justifies Pordenone. Composition dreadfully overcrowded. 2 women with children to R. as lovely + fine as the Sodomas in the Farnesina. The worst defect of the picture is the high relief of the armour21. 19. Pietà. Richer in drapery than in feeling? 20. Xt. in Limbo. Splendid night scene, treated like the Sodoma in the Siena Gallery22. 21. Resurrection. Very inadequate. often of the most exquisite gradation. But want of tone makes everything look cold + flat. At the best, such art as this is rather gaudy, and only on a level with Pinturicchio in his last picture in the Borrommeo [sic]23. They produce no decorative effect, anymore than a lot of Xmas cards pasted together wd. [would] do. Below, two medallions; busts of St. Francis and Bernardino, + at the spring of arches, below the medallions small Xt in tomb + Veronica. at side 1513 GAUDENTIUS FERRARIUS VALLIS SICCIDE PINXIT This date, 1513 is undoubtedly about the date of the 4 early pictures in the Turin Gallery24. HOC OPUS IMPENSIS POPULI VARALLI AD XI GLORIAM Chapel L [left]. Much ruined Xt among the Doctors R. wall. Still charming. L. wall Sposalizio in wh. the Joseph is certainly a remembrance of the Raphael in Perugino’s triptych of the Nat. Gal. – once in the Certosa25. Ceiling small grisaille tondi – charming + nice groteschi. In embrasure of arches, both R. + L. Busts of Saints. Pretty much ruined. San Gaudenzio [now crossed out]. La Collegiata High Altar. Ancona in 6 panels. 1. St. Mark (?) a young man sitting with pointed beard reading. 2. Dead Xt upheld by John + Mary. 3. St. John the Baptist kneeling with lamb in his arms. 4. St. Peter, with immensely long keys, + small, gentle face. 5. Marriage of St. Catherine. The Saint in profile suggesting Solario. Madonna sweet. 6. A Bishop. In all these compositions Gaudenzio shows the most extraordinary skill of hand, but the skill of a fine penman rather than a fine painter. It is this, perhaps, which gave him the tendency to point his features, to make his hand[s] + feet unnaturally long, + to exaggerate the draperies, for it is doubtless this same cause that gives exactly those characteristics to Liberale’s miniatures. His feeling, moreover, is curiously on a level with Liberale’s in the same miniatures. He is pleasant enough in quiet scenes, + he even is successful in dignified ones, but utterly wanting when passion or high flight of imagination is in demand: - His paint is put on in a very liquid form, + the colouring by itself is remarkably fine, the flesh tint being The frescoes in San Marco are not by Gaudenzio. Those in the outside are much earlier. Those inside are by a feeble imitator. There is nothing left (if ever there was anything original) of Gaudenzio on the Sacro Monte.denz io on the Sacro Monte.» La tela di Caroto con la Resurrezione di Lazzaro, firmata e datata 1531, è conservata ancora oggi a Verona presso il palazzo arcivescovile: M. T. FIORIO, Giovan Francesco Caroto, Verona 1971, p. 97; F. DORELLO, Giovan Francesco Caroto: un artista veronese in Piemonte, in «Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti», 49 (2000), pp. 125-139. In questo caso il riferimento non è stilistico, ma iconografico. 18 Il rimando al Pordenone in relazione a Gaudenzio torna più volte nel testo ed è molto interessante, tutt’altro che ovvio a quelle date. 19 Interessante la notazione sullo stato conservativo dell’opera; la lacuna è visibile ancora oggi. 20 Il dipinto del Sodoma cui fa riferimento Berenson è la Madonna col Bambino tra san Girolamo, santa Caterina d’Alessandria, san Giovanni Evangelista e santa Lucia della Galleria Sabauda di Torino, nel quale il Bambino ha una somiglianza con quelli rappresentati a Varallo: R. BARTALINI, Le occasioni del Sodoma. Dalla Milano di Leonardo alla Roma di Raffaello, Roma 1996, p. 118, nota 5, fig. 158. Sembra che Berenson sia infastidito dalla tridimensionalità della parete; credo non gli piaccia il tentativo di illusione, il farsi reale della pittura. 22 Sodoma, Discesa al Limbo, Pinacoteca Nazionale di Siena: C. BRANDI, La Regia Pinacoteca di Siena, Roma 1933, p. 45. 23 P. ZAMBRANO, in Capolavori da scoprire: la collezione Borromeo, catalogo della mostra, a cura di M. Natale, Milano 2006, pp. 154-161, nr. 13. 24 Il riferimento è ai quattro pannelli del polittico di Sant’Anna di Gaudenzio conservati alla Galleria Sabauda di Torino: Gioacchino cacciato dal Tempio, Madonna col Bambino, sant’Anna e i confratelli donatori, Incontro fra Gioachino ed Anna alla porta aurea e l’Eterno in gloria: M. CALDERA, in Fermo Stella e Sperindio Cagnoli seguaci di Gaudenzio Ferrari. Una bottega d’arte nel Cinquecento padano, catalogo della mostra, a cura di G. Romano, Cinisello Balsamo 2006, pp. 76-77, nr. 1. 25 S. BUGANZA, Pietro Perugino, Filippino Lippi, Mariotto Albertinelli alla Certosa: i nuovi gusti della committenza sforzesca, in Certosa di Pavia, Parma 2006, pp. 101, 108, note 135, 136. 17 About 1520, judging from the date of those in San Francesco [Santa Maria delle Grazie] 1513. 21 113 Arte Lombarda | ERICA BERNARDI 2. Gaudenzio Ferrari, Storie della Passione di Cristo (1513). Varallo Sesia, chiesa di Santa Maria delle Grazie. Una volta letti gli appunti, diventa chiaro che la definizione di Gaudenzio pubblicata nel testo dei North Italian Painters del 1907 è già un’evoluzione della visione del 1892 alla luce delle opere di Gaudenzio viste a Milano e a Vercelli; i rimandi a Pinturicchio, Sodoma e Pordenone scompaiono nel testo pubblicato, rimane invece il riferimento alle ‘miniature in larga scala’ che troviamo anche nel brano del 1892. Nelle poche righe a introduzione del pittore nelle liste Berenson cita Spanzotti come maestro di Gaudenzio, l’influenza del Bramantino e di Perugino, che resistono nell’evoluzione del pensiero berensoniano, e alla fine suggerisce persino una leggera affinità con Correggio26. Si tratta di una grande evoluzione critica dell’idea che Berenson ha di Gaudenzio. Nel 1892 leggiamo – anche a causa della forma letteraria più istintiva e veloce dell’appunto – riferimenti che sembrano uscire dalla memoria senza freno, a volte con violenza, ma mai completamente sbagliati: la posizione di Cristo nella Discesa al Limbo può richiamare alla memoria un quadro di Sodoma, e il dito alzato nella Resurrezione di Lazzaro un dipinto di Caroto di venti anni successivo27. Una sorta di magma critico, dal quale nasce dopo anni di ricognizioni sul territorio la definizione pubblicata nel 190728. Una comprensione più profonda, ma non ancora del tutto centrata, in continua evoluzione del substrato artistico su cui poggia l’arte del Ferrari: la precisa definizione di riferimenti sicuri mostra l’avvenuta assimilazione della cultura artistica lombarda; assimilazione pronta a evolvere ancora nel 1912 quando, come abbiamo detto, Berenson è in Valtellina ad affrontare una nuova fase della produzione gaudenziana. Il testo del 1892 è significativo per almeno due ragioni: la prima è la data in cui viene redatto, davvero precoce, e la seconda è la struttura che svela il modo di procedere da connoisseur di Berenson. La curiosità dello studioso nel voler visitare Varallo a quella data deve essere stata stimolata da Walter Pater (18391894), autore di un interessante profilo del pittore piemontese uscito nel 189029. Le riflessioni di Bernard hanno molti punti di BERENSON, 1907, p. 228. DORELLO, 2000, pp. 125-139. 28 BERENSON, 1907, p. 120. W. H. PATER, Art Notes in North Italy, in «New Review», XI (1890); ripubblicato in W. H. PATER, Miscellaneous Studies: A series of Essays, London 1910, pp. 94-96. 26 27 114 29 Gaudenzio Ferrari secondo Bernard e Mary Berenson Una visione grottesca dell’opera di Gaudenzio a Varallo, che viene riproposta negli appunti di Berenson, anche se edulcorata e più moderna; il particolare relativo alle aree realizzate a rilievo nella parete delle Grazie viene citato anche dalla giovane coppia come esempio particolarmente sgradevole dell’opera, così come il «temperamento montanaro» che produce immagini «grottesche». In seguito nel suo testo Pater sottolinea il contrasto tra le opere di Gaudenzio viste in Valsesia e quelle che senza dubbio preferisce in città, a Vercelli e a Novara, ma non riesce a farne una sintesi, a capire perché il modo di dipingere dell’artista cambi così tanto33. Negli stessi anni Berenson è molto vicino all’approccio di Giovanni Morelli (1816-1891) nella ricerca storico artistica; si basa sui confronti, sull’osservazione di particolari anatomici muovendosi nel nome della vera ossessione: l’attribuzione. Di quel periodo è anche la frequentazione con Gustavo Frizzoni (18401919), allievo di Morelli, che ha sicuramente un ruolo importante per il Berenson connoisseur34; ed è proprio nel rapporto con i due studiosi, che credo vada cercata la seconda scintilla che fa scaturire in Bernard il desiderio di visitare Varallo. La corrispon- denza tra Berenson e Frizzoni è attestata dal 1890 al 1916, ma il rapporto tra di loro si era fatto particolarmente intenso nell’ultimo decennio dell’Ottocento, per poi lentamente spegnersi35. Proprio l’anno prima della visita varallina di Berenson, Frizzoni aveva pubblicato un articolo sull’arte in Valsesia che non deve essere sfuggito allo studioso lituano36. La pubblicazione è il risultato di almeno due ricognizioni fatte in Valsesia con Morelli nel 1870 e nel 187637. La tecnica di osservazione della parete gaudenziana rivela il modo di procedere del connoisseur: Berenson cerca nella memoria immagini simili, senza pensare a un ordine logico o cronologico di filiazione tra l’una e l’altra; l’operazione avviene come se lo studioso si trovasse nella sua fototeca a lavorare sui confronti prima di iniziare altri tipi di ragionamento. È così che accosta Gaudenzio a Pinturicchio per il modo di dipingere i putti, a Bramantino per le architetture, a Perugino per la figura di san Giuseppe e per il polittico già alla Certosa di Pavia, a Sodoma per il modo in cui sono dipinti i bambini; è così che per i paesaggi si scomoda il Tiziano del 1545, mentre nella forza e violenza di alcune scene vede il Pordenone. Poi è la volta di Marco d’Oggiono, delle influenze d’oltralpe nel Cristo alla colonna, di Giorgione, Lotto e Timoteo Viti per il giovane in calzamaglia nella scena con Pilato che si lava le mani, delle miniature di Liberale da Verona: da un gesto della Resurrezione di Lazzaro risale alla memoria di Berenson un dipinto di Caroto, il profilo di un santo rimanda a Solario. Manca solo Leonardo, una presenza forse data per scontata perché lo troviamo citato per primo nell’introduzione alle liste del 1907, oppure frutto anch’esso dell’evoluzione del pensiero berensoniano38. Interessante anche l’osservazione sull’incapacità di Gaudenzio di dipingere scene che necessitino un volo di immaginazione, come ad esempio la Resurrezione; Berenson e Mary trovano che il pittore sia più convincente nelle rappresentazioni di vita quotidiana, per le quali la critica successiva l’ha sempre celebrato. C’è poi la descrizione del polittico di San Gaudenzio nella collegiata, con tanto di schemino disegnato da Mary con i pannelli numerati da uno a sei. Segue la visita alla chiesa di San Marco dove Berenson riconosce che gli affreschi esterni, non ancora Berenson scrive: «e io chi avevo? Solo Pater. Non avevo letto altro in fatto di critica d’arte e il Norton, del quale ascoltavo le lezioni, non vedeva nell’arte che il lato storico e illustrativo» (B. BERENSON, Tramonto e crepuscolo, ultimi diari 1947-1958, Milano 1966, p. 20). 31 La rappresentazione a opera di veri attori della Passione di Cristo ad Oberammergau, nell’alta Baviera, è una delle più antiche e famose a livello internazionale. Nasce come voto fatto dagli abitanti nel 1634 per essere stati salvati dalla peste. 32 PATER, 1910, p. 94. 33 PATER, 1910, pp. 95-96: «The contrast is a vigorous one when, in the space of a few hours, the traveller finds himself at Vercelli, half-stifled in its thick pressing crop of pumpkins and mulberry trees. […] Here [Novara], again, the art of Gaudenzio Ferrari reigns. […] The “Marriage of St. Catherine”, with its refined richness of colour, like a bank of real flower blooming there, and like nothing else around in the vast duomo. […] The solemn mountains, under the closer shadow of which his genious put on a northern hue, are far away, telling at Novara only as the grandly theatrical background to an entirely lowland life. And here, as at Vercelli so at Novara, Ferrari is not less graciously Italian than Luini himself». Da notare che anche Pater come Berenson non fa menzione della pinacoteca di Varallo e della Madonna di Loreto a Roccapietra. 34 B. BERENSON, Rudiments of Connoisseurship, New York 1952; S. J. FREEDBERG, Some Thoughts on Berenson, Connoisseurship, and the History of Art, in «I Tatti Studies», 3 (1989), pp. 11-26. 35 Il rapporto tra Frizzoni e Berenson è stato recentemente approfondito da P. AIELLO, Gustavo Frizzoni e Bernard Berenson, in «Concorso», V (2011), pp. 7-21. 36 G. FRIZZONI, L’arte in Val Sesia, in «Archivio Storico dell’Arte», V (1891), pp. 313-326; C. LACCHIA, Gustavo Frizzoni (1840-1919) e la ricognizione del patrimonio artistico vercellese nel secondo Ottocento, in «Bollettino storico vercellese», 32 (2003), pp. 29-98. 37 G. AGOSTI, Testori a Varallo, in Testori a Varallo, catalogo della mostra, a cura di D. Dall’Ombra, Cinisello Balsamo 2005, pp. 141-142. 38 BERENSON, 1907, p. 120. contatto con il testo di Pater che in gioventù aveva considerato un vero maestro, come egli stesso ricorda negli ultimi diari, con il quale però aveva anche un rapporto contraddittorio di attrazione e repulsione30. Pater di Gaudenzio scrive: Ferrari, coming from the neighbourhood of Varallo, after work at Vercelli and Novara, returns thither to labour, as both sculptor and painter, in the “stations” of the Sacro Monte, at a form of religious art which would seem to have some natural kinship with the temper of a mountain people. It is as if the living actors in the “Passion Play” of Oberammergau had been transformed into almost illusive groups in painted terra-cotta31. […] Even in his great, many-storied fresco in the Franciscan Church at Varallo there are traces of a somewhat barbaric hankering after solid form; the armour of the Roman soldiers, for example, is raised and gilt. It is as if this serious soul, going back to his mountain home, had lapsed again into mountain «grotesque», with touches also, in truth, of a peculiarity northern poetry – a mystic poetry32. 30 115 Arte Lombarda | ERICA BERNARDI 116 strappati, sono cronologicamente più antichi rispetto al periodo gaudenziano e quelli interni sono giustamente indicati come opera di qualche seguace39. Della visita a San Marco, nel diario Mary ricorda solo che aveva perso i suoi «opera glasses», fondamentali per un attento osservatore, e che quindi era tornata presso la chiesa a cercarli40. Infine rimane il Sacro Monte. Negli appunti riportati c’è una frase piuttosto misteriosa che trova chiarezza in ciò che scrive Mary nel suo diario: «Then walked up the Sacro Monte, were disgusted with the tawdry images + enchanted with the view»41. Se quindi la parete gaudenziana di Santa Maria delle Grazie poteva avere qualche tipo di presa sui Berenson, il Sacro Monte risulta loro addirittura indigesto. In un approccio tipico degli anglosassoni che visitano il complesso devozionale nell’Ottocento, Bernard e Mary rimangono letteralmente disgustati dalle immagini ‘pacchiane’ delle cappelle. Prima di loro molti visitatori avevano espresso la stessa disapprovazione; su tutti il celebre direttore della National Gallery di Londra, Charles Lock Eastlake (1793-1865), in visita nel 1861: «The Sacro Monte is an absurd exhibition of painted and clothed statue in the style of Madame Tussaud (but very inferior) except that the subjects are sacred»42. Berenson, a sua volta, è disturbato dal Sacro Monte al punto da avanzare l’ipotesi che nulla vi sia rimasto di Gaudenzio; lo choc definitivo è determinato probabilmente dalla visione rav- vicinata delle statue, che al tempo non erano credute del Ferrari43. Lo stesso era accaduto a Sir Austen Henry Layard (18181894), politico britannico e conoscitore d’arte che aveva visitato il Sacro Monte nel 1856, e che nel 1887 scrive: «sebbene le Cappelle sulla salita del Sacro Monte siano oggetto di meraviglia e di ammirazione per gli innumerevoli pellegrini che frequentano questo sacro luogo, tuttavia il cattivo gusto degli indumenti e del colorito le fa in sommo grado ripugnanti ad un occhio educato all’arte»44. Finita le breve pausa valsesiana, la coppia si rimette in viaggio per nuovi lidi: Bergamo, Genova, Venezia, Ravenna, Forlì, Rimini, Pesaro, Urbino, Ancona, Macerata, Fabriano, Città di Castello, Arezzo, Cortona, Perugia, Todi, Assisi, Foligno, Spoleto, Terni, Viterbo, Orvieto e il 21 novembre finalmente fa ritorno a Firenze45. Mary e Bernard viaggiano tantissimo insieme spingendosi persino in Medio Oriente, fino al momento in cui lei non si ammala e non può più accompagnare il marito, ma questo molti anni dopo la visita valsesiana. Finché è al suo fianco tutto è registrato nei diari che ci restituiscono quei giorni per intero: immagini, emozioni, sensazioni e la passione di due personaggi che, seguendo la spinta positivista dell’epoca, hanno contribuito a cambiare l’approccio alla ricerca storico artistica rendendola più scientifica e moderna. 39 P. ANGELERI, La chiesa di San Marco a Varallo, in «De Valle Sicida», XXI (2010), pp. 77-96. 40 Diari, 18 settembre 1892, in AVIT. 41 Dai diari di Mary, 18 settembre 1892, in AVIT. 42 La citazione è tratta da uno dei taccuini di Eastlake conservati presso l’archivio della National Gallery di Londra: AGOSTI, 2005, p. 141; ed è riportata anche in un articolo che spiega bene la questione del gusto dei visitatori del Sacro Monte nell’Ottocento: BERTELLI, 2010, pp. 21-25. 43 Il concetto di Gaudenzio Ferrari scultore fatica ad affermarsi, almeno fino all’articolo di Testori degli anni cinquanta che mette fine alla querelle: G. TESTORI, Promemoria gaudenziano, in «Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti», VIII-XI (1954-1957), pp. 110-111. 44 La frase di Layard si trova in F. KUGLER, Handbook of Painting. The Italian Schools, a cura di A. H. Layard, London 1887; è riportata anche da S. BUTLER, Ex Voto. Studio artistico sulle opere d’arte del Sacro Monte di Varallo e di Crea, Novara 1894, pp. 4-5. Butler è il primo anglosassone a mostrare apprezzamento per il Sacro Monte. L’arte di Gaudenzio genererà ancora una certa perplessità nei decenni successivi. Persino Adolfo Venturi, nel 1935, parla di «arte popolaresca» scrivendo del Sacro Monte, termine stigmatizzato da Giovanni Testori: G. TESTORI, Gaudenzio e il Sacro Monte, in Gaudenzio Ferrari, catalogo della mostra, a cura di G. Testori, Milano 1956, p. 30. 45 Come mi fa notare Rossana Sacchi, Berenson potrebbe voler ripassare da Bergamo una seconda volta durante questo tour per rivedere il Lotto alla luce di Gaudenzio. Referenze fotografiche 1: Archivio di Villa I Tatti, Firenze; 2: Comune di Varallo.