BIBLIOTECA DELL’ «ARCHIVUM ROMANICUM»
Serie I: Storia, Letteratura, Paleografia
487
STUDI SECENTESCHI
R I V I S TA A N N UA L E
FONDATA DA
CARMINE JANNACO E UBERTO LIMENTANI
DIRETTA DA
DAVIDE CONRIERI
Vol. LIX - 2018
LEO S. OLSCHKI EDITORE
MMXVIII
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ISBN 978 88 222 6586 9
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BIBLIOTECA DELL’ «ARCHIVUM ROMANICUM»
Serie I: Storia, Letteratura, Paleografia
487
STUDI SECENTESCHI
R I V I S TA A N N UA L E
FONDATA DA
CARMINE JANNACO E UBERTO LIMENTANI
DIRETTA DA
DAVIDE CONRIERI
Vol. LIX - 2018
LEO S. OLSCHKI EDITORE
MMXVIII
STUDI SECENTESCHI
RIVISTA ANNUALE
fondata da
CARMINE JANNACO E UBERTO LIMENTANI
già diretta da
MARTINO CAPUCCI (1981-2013)
e ora diretta da
DAVIDE CONRIERI
Segretario di redazione
ANDREA LAZZARINI
Vol. LIX
SOMMARIO
Parte I
Critica Letteraria
Alessandro Metlica, Marino e le feste di corte (1608-1609). Caroselli e tornei tra Torino e Parigi. –
Luca Piantoni, Le Lettere amorose di Margherita Costa tra sperimentalismo e ‘divertissement’. –
Claudia Tarallo, Un malnoto capitolo del petrarchismo arcadico: il Saggio delle rime amorose di
Alessandro Marchetti.
Parte II
Vita e Cultura
Giovanni Bianchini, Emilio Vezzosi (1563-1637), filosofo, medico, insegnante, accademico, «devotissimo» alla famiglia Medici. – Jadwiga Miszalska, Le relazioni dei gesuiti sulle missioni all’Estremo
Oriente nella Polonia del primo quarto del XVII secolo. – Mattia Biffis, «Barberino gli volse donare un
quadro»: Francesco Barberini, Walter Leslie e una nuova traccia documentaria per il Bacco e Arianna
di Guido Reni. – Floriana Conte, Rendiconto su Tanzio da Varallo al Sud.
Parte III
Bibliografia e Documentazioni
Marco Albertoni, Vendetta e carriera: il nunzio Decio Francesco Vitelli e Ferrante Pallavicino. Ipotesi
e documenti provenienti dall’Archivio Segreto Vaticano. – Clizia Carminati – Davide Zambelli,
Lettere di Giovan Vincenzo Imperiale a Virgilio Malvezzi. – Alfonso Mirto, Lettere di Antonio Magliabechi a Michel Germain e a Jean Mabillon.
Schede secentesche (LXVII-LXVIII) [LXVII Anna Siekiera – Le vicende editoriali delle Osservationi intorno al parlare, e scriver toscano di Giovanbattista Strozzi il Giovane; LXVIII – Claudia
Tarallo, Seminario CISS 2018. Le accademie del Seicento: prospettive di ricerca]
Indice dei nomi e delle cose notevoli (a cura di Davide Conrieri e Andrea Lazzarini)
Si prega di inviare i manoscritti all’indirizzo mail della rivista:
studisecenteschi@gmail.com
I contributi dovranno pervenire entro il mese di febbraio
per poter essere pubblicati nel volume dell’anno successivo.
RENDICONTO SU TANZIO DA VARALLO AL SUD
1. Il contesto culturale e figurativo nel quale lavora Tanzio da Varallo
durante il lungo soggiorno nella capitale del Viceregno si staglia in piena
evidenza nella bella e recente mostra dedicata alla pittura a Napoli nel primo Seicento curata da Maria Cristina Terzaghi. Tra i molti meriti, l’esposizione ha anche quello di presentare i due dipinti di recente aggiunti al
catalogo dell’artista durante il soggiorno nel meridione d’Italia, insieme a
una parte delle tele già note riconducibili allo stesso soggiorno (tranne la
capitale Madonna di Costantinopoli, il cui prestito non è stato concesso ma
che è stata comunque resa fruibile nel percorso espositivo grazie a riprese
video proiettate senza interruzione). In occasione della precedente mostra
su Tanzio allestita a Milano nel 2000, la stessa Terzaghi aveva correttamente ricavato dalle attestazioni contenute nell’inventario delle chiese di Pescocostanzo redatto dal notaio Carallo (documento reso noto da Gaetano
Sabatini) e nell’atto di fondazione del convento di Gesù e Maria di Costantinopoli i seguenti dati: l’altare nella basilica di Santa Maria del Colle accanto
al quale, prima della più recente collocazione, si trovava la tela di Tanzio
era intitolato a Santa Maria di Costantinopoli e il convento francescano al
quale era destinata la tela era intitolato a Gesù e Maria di Costantinopoli.
Sulla base di tali informazioni la studiosa aveva ipotizzato che
la tela commissionata a Tanzio per la stessa [chiesa] doveva rappresentare l’immagine della Madonna di Costantinopoli. Essa era tra l’altro venerata nella collegiata
Intervento cofinanziato dal Fondo di Sviluppo e Coesione 2007-2013 – APQ Ricerca Regione Puglia «Programma regionale a sostegno della specializzazione intelligente e della sostenibilità sociale ed ambientale – FutureInResearch».
Ringrazio a vario titolo Massimiliano Caldera, Francesca Cappelletti, Marilyn Carbonell,
Eva Falaschi, Hannah Fullgraf, Giuseppe Gernone, Olivier Meslay, Amelia Nelson, Francesco
Sabatini, Maria Cristina Terzaghi, Richard P. Townsend, Paolo Vian; a Marco Tanzi devo una
lettura del testo definitivo. Naturalmente solo mia è la responsabilità di ogni affermazione e di
eventuali errori o omissioni.
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FLORIANA CONTE
di Pescocostanzo cui era dedicato l’altare che affiancava quello di Santa Caterina
dove sarà posta la tela del d’Enrico. L’antica effigie di Santa Maria di Costantinopoli [secondo la studiosa conservata a Pescocostanzo e alla quale Tanzio si sarebbe
ispirato] risulta a noi sconosciuta dal momento che Gian Tommaso Mansi ne fece
ridipingere l’immagine nel 1765;
e aggiunto
è facile comprendere che [l’effigie perduta] doveva ispirarsi con tutta probabilità
ad un modello bizantineggiante e costituire una fonte iconografica per la Madonna con il Bambino dipinta da Tanzio. […] Stabilito che la Madonna col Bambino
dipinta da Tanzio era effettivamente la “Santa Maria di Costantinopoli” venerata
e invocata dai pescolani, sembra credibile l’ipotesi del Romito di identificare l’angelo che spegne l’edificio in fiamme sullo sfondo con il protagonista del miracolo
dell’incendio che avrebbe minacciato lo stesso convento di Gesù e Maria, sedato
dalla grazia concessa dalla Madonna di Costantinopoli.1
Nel catalogo della mostra napoletana Terzaghi afferma:
L’interpretazione del dipinto in questa chiave iconografica [Madonna di Costantinopoli anziché Madonna dell’incendio sedato] (Terzaghi 2000, p. 237, nota
10) è stata ripresa e ampliata con nuovi argomenti da Conte 2012, pp. 22-57.2
In realtà nell’inventario di Carallo
a c. 45r, il postillatore Manso dichiara di avere commissionato al sacerdote “B. Domenico De Ciampiis […], celebre dilettante di pittura sin dalli anni 1762 e 1763”,
a Napoli, per l’altare della Madonna di Costantinopoli nella Collegiata, la copia
della pala con santa Maria di Costantinopoli e san Francesco, san Francesco di
Paola e il duca d’Avellino con l’immagine della città, perché si era logorato l’originale; la sostituzione viene effettuata nel 1765, la nuova tela è ancora sull’altare
D’Amata-Mancini (sopra una predella su tavola con un’Adorazione dei magi su
cui si legge lo stemma dei Mancini) bisognosa di una pulitura perché praticamente
illeggibile, soprattutto nella parte inferiore.3
1 Maria Cristina Terzaghi, Regesto, in Tanzio da Varallo: realismo, fervore e contemplazione
in un pittore del Seicento, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 13 aprile-16 luglio 2000),
a cura di Marco Bona Castellotti, Milano, Federico Motta Editore, 2000, pp. 232-240: in particolare 237, nota 10, e 238.
2 Maria Cristina Terzaghi, Ragioni di una mostra, in Tanzio da Varallo incontra Caravaggio:
pittura a Napoli nel primo Seicento, catalogo della mostra (Napoli, Gallerie d’Italia, Palazzo Zevallos-Stigliano, 24 ottobre 2014-11 gennaio 2015), a cura di Maria Cristina Terzaghi, Cinisello
Balsamo (MI), Silvana Editoriale, 2014, pp. 13-18: 17, nota 14.
3 Cfr. Floriana Conte, Tra Napoli e Milano. Viaggi di artisti nell’Italia del Seicento. I. Da
Tanzio da Varallo a Massimo Stanzione, Firenze, Edifir, 2012, e Tra Napoli e Milano. Viaggi di artisti
nell’Italia del Seicento. II. Salvator Rosa, Firenze, Edifir, 2014, II, pp. 22-57, 98, nota 7 (da cui traggo l’autocitazione), pp. 106-107, nota 22.
RENDICONTO SU TANZIO DA VARALLO AL SUD
165
Sulla base della documentazione esistente non si può appurare (ma non
si può neppure escludere) se Tanzio abbia dipinto la pala a Pescocostanzo.
È certo in ogni caso che si sia rifatto a una fonte iconografica mariana pescolana: i pittori autori delle effigi destinate all’attuale altare della Madonna
del Carmine e Tanzio stesso hanno avuto come modello comune la Madonna di Costantinopoli dell’omonima chiesa di Napoli e, per l’impianto
iconografico della pala, le incisioni circolanti nel Viceregno in gran copia.4
La pala di Pescocostanzo è napoletana per quanto riguarda i riferimenti
della struttura iconografica, dovuti al committente, forse meno per «impianto […] inconcepibile senza» la Madonna del Rosario di Caravaggio, dalla
quale Tanzio sarebbe stato «condizionato, anzi stravolto».5 La grande pala
del Merisi è «assente, peraltro giustificata», dalla mostra napoletana.6 La
riproduzione della Madonna del Rosario in catalogo è a p. 36, fig. 21, non
è a corredo dei due saggi della Terzaghi né della scheda della Circoncisione: una riproduzione fotografica della Madonna del Rosario accanto alle due
pale di Tanzio che da essa sarebbero state influenzate (oltre alla Madonna
4 Cfr. Maria Cristina Terzaghi, Tanzio, Caravaggio e compagni tra Roma e Napoli, in Tanzio
da Varallo incontra Caravaggio, cit., pp. 19-50: 21. Di «soggiorno abruzzese» parla tuttavia, nello
stesso catalogo, Michele Nicolaci, scheda 9. Antonio d’Enrico, detto Tanzio da Varallo. San Francesco in preghiera sulla Verna, pp. 119-121, figg. 9 e 9.1.
5 Terzaghi, Ragioni di una mostra, cit., p. 17, ritiene debitrice della pala oggi a Vienna anche la Circoncisione di Fara San Martino. La proposta di individuare un rapporto tra la Madonna
del Rosario e le pale mariane di Tanzio, su cui si basa molta parte dell’impianto della mostra
napoletana su Tanzio, si deve a Marco Rosci, Le icone mariane del Tanzio, in Tanzio da Varallo:
realismo, cit., pp. 41-44: 42; di parere contrario Marco Bona Castellotti, Introduzione alla mostra, ivi, pp. 10-15: 11. Nella ritrattistica, compresa quella presente nei volti della pala pescolana,
è certamente individuabile un influsso della grande ancona del Merisi: adesso Marco Tanzi,
Tanzio da Varallo: un ritratto napoletano, «Prospettiva», 157-158, gennaio-aprile 2015, pp. 162-175:
162, riscontra nel Ritratto di gentiluomo già a New York, Sotheby’s (restaurato a Londra, ora a
Milano nella collezione di Luigi Koelliker), da lui pubblicato ivi, p. 163 fig. 1, con attribuzione
a Tanzio e datazione non molto distante «dal crinale del primo decennio del Seicento», «una
temperie ancora acutamente caravaggesca – fatta di dimestichezza di prima mano con il Caravaggio napoletano della “Madonna del Rosario” di Vienna –». Non perspicua appare la più
recente assegnazione a Tanzio da parte di Viviana Farina, Due nuovi Tanzio da Varallo in Francia
e un disegno a Berlino, «Storia dell’arte», 142, 2015, n. s. n. 42, pp. 23-26, di due tondi dipinti a olio
su tavola con i santi Luca evangelista e Girolamo presso il Musée des Beaux-Arts di Orléans,
dove sono schedati come pertinenti ad «Anonimo del XVI secolo”, ma più volte tenuti in bilico
tra il generico ambito fiammingo e quello italiano» (p. 23) nella documentazione messa a disposizione della studiosa dal museo.
6 La presenza nel saggio di Terzaghi, Tanzio, Caravaggio e compagni, cit., a p. 33 fig. 18,
della riproduzione del David con la testa di Golia di Stanford attribuito a Francesco Glielmo
consente di precisare un’affermazione avanzata in forma ancora dubitativa in Conte, Tra Napoli e Milano, cit., II, p. 25: il «Francesco Oglielmo pittore» raffigurato nel disegno di collezione
privata riferibile ad ambito di Salvator Rosa può essere identificato con questo pittore, attivo
in Santa Maria la Nova a Napoli nel 1626 e morto prima del 1646, probabilmente nel 1644:
cfr. Giuseppe Porzio, L’Ecce Homo du musée Fabre de Montpellier. Une introduction à l’art de
Francesco Glielmo, «La revue des musées de France», LXI, 2011, 4, pp. 62-68, 110, 112: 65, 67-68
note 16, 18.
166
FLORIANA CONTE
di Costantinopoli, la Circoncisione di Fara San Martino) avrebbe consentito di
constatare, forse, che le opere di Tanzio hanno in comune con la fonte più
che altro le modalità ritrattistiche. Mettendo in serie le tre opere (figg. 1-3),
risulta che verosimilmente Tanzio si sarà ispirato al Caravaggio romano in
Sant’Agostino (cfr. oltre).
2. Nel 1633, quando per Tanzio la morte si approssima, l’antimichelangiolismo figurativo è quasi topico in sede teorica: Vincente Carducho
ne trae la cifra critica in grado di definire lo stile di Caravaggio, «AntiMichelangel» per eccellenza.7 Contemporaneamente Tanzio, chino non sulle
biografie di Michelangelo ma su stampe del Giudizio (o direttamente sui
suoi ricordi romani: le incisioni dei particolari con gli Angeli e i simboli della
Passione di Domenico Fiorentino e di Giorgio Ghisi, che potrebbero essergli
note, sono in controparte: cfr. figg. 4-5),8 modernizza il proprio stile con
una virata in senso michelangiolesco. Con essa molto hanno in comune
gli strepitosi Cristo e angeli, quasi danzanti, nell’Ascensione in Sant’Antonio abate a Milano, innestati sulla tradizione lombarda presente a Tanzio
in soluzioni come quelle praticate dai Campi in San Paolo Converso e dal
Cerano negli scorci potenti in Santa Maria presso San Celso (nella prima
e soprattutto nella seconda campata destra: figg. 6-10).9 Quest’episodio
estremo testimonia che l’etichetta di «caravaggesco», ormai spesso applica7 La definizione, polemica contro il superindividualismo rinascimentale, compare nell’Introduzione alla mostra, in Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi, catalogo della mostra (Milano,
Palazzo Reale, aprile-giugno 1951), a cura di Roberto Longhi, Firenze, Sansoni, 1951, pp. xviixxxi: xxii-xxiii, ora in Roberto Longhi, Studi caravaggeschi, I. 1943-1968, Firenze, Sansoni, 1999,
pp. 59-69: 63.
8 Cfr. Evelina Borea, Lo specchio dell’arte italiana. Stampe in cinque secoli, Pisa, Edizioni
della Normale, 2009, 5 voll., I, pp. 113-122 e II, figg. 17-21, 24-28, 30. Per tali questioni cfr. anche
Floriana Conte, Per la fortuna della Vita vasariana di Michelangelo tra Sei e Settecento, in La biografia d’artista tra arte e letteratura. Seminari di letteratura artistica, a cura di Monica Visioli, Pavia,
Edizioni Santa Caterina, 2014, pp. 170-206: 177-179, 203, nota 43.
9 Cfr. Marco Rosci, scheda 30. Angeli, Profeti, Sibille, Ignudi. Affreschi. Milano, Santa Maria
dei Miracoli presso S. Celso, in Mostra del Cerano, catalogo a cura di Marco Rosci, con introduzione
di Anna Maria Brizio (Novara, maggio-agosto 1964), Novara, Istituto Geografico De Agostini,
1964, pp. 50-52: 51, e, dello stesso Autore, Il Cerano, Milano, Electa, 2000, pp. 108-115: 114,
per l’individuazione delle citazioni dal Michelangelo romano (qui dalla volta della Sistina, in
Sant’Antonio da parte di Tanzio dal Giudizio) e della dipendenza del Tanzio di San Gaudenzio
a Novara dalla tecnica qui usata da Cerano e da alcune soluzione iconografiche e formali;
cfr., ancora dello stesso, Cerano e Procaccini a Santa Maria presso San Celso e a Santa Prassede,
in Il Seicento lombardo, Atti della giornata di studi (Varese, Musei di Varese, Villa Mirabello, 16
marzo 1996), a cura di Mina Gregori e Marco Rosci, Torino, Artema, 1996, pp. 43-49: 45. Per
l’Ascensione affrescata nel 1588 da Vincenzo Campi nella volta di San Paolo Converso si veda
Alessandro Morandotti, San Paolo Converso in Milano, Milano, Società Milanese per l’Arte,
s.d., p. 39, fig. 26.
RENDICONTO SU TANZIO DA VARALLO AL SUD
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ta a Tanzio 10 (che massicciamente al rientro in patria si fa influenzare dai
classici del Cinquecento, dai contemporanei e dai precedenti lombardi), va
sempre recuperata tenendo presente l’articolazione delle argomentazioni
di Longhi e di Testori, che tra Caravaggio e Tanzio individuano più complessive contiguità di clima e di contesto culturale che un’affinità di stile
rigidamente considerata. «Nell’ambiente dei caravaggeschi nulla si vede di
simile a quel che accade nel Tanzio; […] ché nel valsesiano l’indipendenza
dal grande modello sembra farsi tanto più evidente, quanto più se ne dimostra profonda una certa identità di dramma esistenziale».11
La complessa posizione di Longhi si evince da alcune affermazioni che,
per quanto pubblicate postume, erano in parte già note a illustri contemporanei: dopo la pala di Pescocostanzo, Tanzio «dimostrerà di sentirsi compagno […] del Rubens milanese, Giulio Cesare Procaccini, in quel suo capolavoro maturo che [è] il S. Sebastiano della collezione Chiesa a Milano, e
ch’io ritengo il massimo risultato e più fecondo dei vari accostamenti che
avvenivano in Italia tra lo stile “caravaggesco” e quello barocco».12 Il 4 agosto
10 Cito le sistematizzazioni più recenti: Anna Maria Bava, La fortuna del caravaggismo alla
corte sabauda e nel territorio piemontese, in I caravaggeschi. Percorsi e protagonisti, 2 voll., Ideazione
e direzione scientifica: Claudio Strinati e Alessandro Zuccari. A cura di Alessandro Zuccari,
Milano, Skira, 2010, I, pp. 126-139: 136, afferma che la «sua personale traduzione del linguaggio
caravaggesco, che va progressivamente attenuandosi a contatto con la cultura lombarda contemporanea e con l’acquisizione di una sempre maggiore eleganza disegnativa, è ben leggibile
nella sua attività» dal Sacro Monte alla cappella dell’Angelo custode in San Gaudenzio a Novara; Andrea Spiriti, Temi e problemi caravaggeschi in area lombarda, nella pubblicazione di Skira
appena citata, I, pp. 140-153: 147, a proposito degli affreschi milanesi di Santa Maria della Pace
precisa: «Eppure il fatto che per la prosecuzione dell’opera si chiamassero Chignoli e Volpino
sottintende anche che la cultura ceraniana non fosse, dalla sensibilità coeva, ritenuta del tutto
aliena dalla componente caravaggesca del Tanzio». Filippo Maria Ferro, Tanzio da Varallo (Antonio d’Enrico) (Varallo 1575-1633 circa), ancora nella medesima pubblicazione, II, pp. 697-709:
697-698, 706, articola con correttezza i debiti di Tanzio: riprendendo un’osservazione di Richard P. Towsend (scheda 29. San Giovanni Battista nel deserto, in Tanzio da Varallo: realismo, cit.,
pp. 129-132: 129), ribadisce il nesso Raffaello-Caravaggio-Tanzio; rilegge l’incontro romano
con Caravaggio alla luce della conoscenza che Tanzio ha degli «incunaboli lombardi del Merisi,
il Moretto e il Savoldo, e per esperienza diretta quelli milanesi: i Campi, Antonio e Vincenzo,
il Peterzano, Ambrogio Figino e Giovanni da Monte»; in Moroni e Savoldo individua «antecedenti comuni» anche per l’abilità ritrattistica di Tanzio. Terzaghi, Tanzio, Caravaggio e compagni,
cit., pp. 28, 47, nota 79, ritiene che «le registrazioni tanziesche del Caravaggio romano non si
spingono oltre la Cappella Cerasi». Acutamente Giovanni Romano, D’Enrico, Antonio, detto Tanzio da Varallo, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol.
38, 1990, pp. 779-783: 781, mette in evidenza «la costante propensione per certo esibizionismo
muscolare, anche in anni ormai caravaggeschi».
11 Giovanni Testori, Tanzio da Varallo, catalogo della mostra, Torino 1959-1960, Torino,
F.lli Pozzo-Salvati-Gros-Monti & C. Poligrafiche Riunite, 1959, pp. 16, 20, ripreso di recente da
Ferro, Tanzio da Varallo (Antonio d’Enrico), cit., II, p. 700. Cfr. anche nota 35.
12 Roberto Longhi, Giunte e varianti ai due Gentileschi [1920-1921], in Id., Il palazzo non
finito. Saggi inediti 1920-1926, a cura di Francesco Frangi e Cristina Montagnani, con prefazione
di Cesare Garboli e un saggio di Mina Gregori, Milano, Electa, 1996, pp. 168-229: 181.
168
FLORIANA CONTE
1965, in una lettera indirizzata a Gianfranco Contini, Longhi afferma di non
condividere l’attribuzione a Tanzio del Carlo Borromeo comunica gli appestati
di Domodossola (fig. 11) suggerita da Testori, «tanto più che il quadro di Pescocostanzo, per il quale mi pare che il Bologna abbia trovato una documentazione sul ’15, esclude che il quadro di Domo possa presentarsi a quel modo
[…] dopo il ’10».13 Longhi aveva sempre avuto idee nette su Tanzio; risale
al 1920-1921 un suo celebre apprezzamento, sul quale avremo occasione di
tornare: «Parli di Antonio, quel di Varallo? Di lui non conosco che il quadro
che fa per l’Abbruzzo; la Madonna è troppo greca; ma vi sono buoni pezzi;
mi ricordo di un ginocchio e di una grande viola che suona quell’angelo; e si
vede che è parziale del Caravaggio».14 L’attribuzione della pala a Tanzio e la
datazione vicina a quella indicata dallo stesso Longhi successivamente, nel
1943, su sole basi induttive, risalgono a qualche anno prima; in particolare,
si rilegga il passo scritto nel 1917 in cui Longhi colloca ancora la pala di Pescocostanzo attorno al 1616, in prossimità della morte di Orazio Borgianni:
passeremo a ricordare che sebbene il Borgianni, l’artista più geniale di getto della
schiera caravaggesca, muoja nel 1616, noi sentiamo questi anni seguenti pieni di
sue opere non mai dipinte, e queste probabilmente immortali; […] Ribera negli
stessi anni si estasia sul Manfredi più che su ogni altro, e in lui quasi si trasforma; e
probabilmente in quei giorni fa il suo eletto noviziato in Roma quel mirabile Antonio Tanzio venuto dal Monte Rosa a studiare Caravaggio e C[ompagn]i, come
dimostra l’opera ch’io riconobbi di lui, giovane, a Pescocostanzo.15
Longhi attende quasi trent’anni per divulgare a stampa l’attribuzione della pala di Pescocostanzo e la sua datazione; nel 1943 egli (a ragione) anticipa
di un paio d’anni la cronologia che aveva ipotizzato in precedenza: «È indiscutibilmente del Tanzio un bellissimo quadro d’altare nella Collegiata di Pescocostanzo in Abruzzo, riferito di solito al 1617 ma probabilmente più antico
di tutti gli affreschi di Varallo che cominciano all’incirca verso il 16».16 Questa
segnalazione a stampa di Longhi pare indipendente rispetto alla postilla (evi13 Trascritta da Roberto Contini, scheda 6. San Carlo comunica gli appestati, in Tanzio da
Varallo: realismo, cit., pp. 80-84: 81. A proposito dello stralcio di lettera riportato a testo va precisato che la «documentazione sul ’15» a cui allude Longhi verosimilmente rimonta a Francesco
Sabatini, La regione degli Altopiani Maggiori d’Abruzzo. Storia di Roccaraso e Pescocostanzo, Genova,
Sigla Effe, 1960, p. 204, nota 151, sulla scorta di una precedente segnalazione di Gaetano Sabatini, Ottavio Colecchi. Filosofo e matematico [1928], ristampato in Id., Scritti editi e inediti, 3 voll.,
a cura di Enzo Mattiocco, profilo bio-bibliografico di Bruno Sulli, L’Aquila, Edizione Libreria
Colacchi, 1995, II, pp. 17-94: 85, nota 199 (cfr. inoltre Conte, Tra Napoli e Milano, cit., I, capitolo
I e in particolare pp. 102-105, note 15-17).
14 Longhi, Giunte e varianti ai due Gentileschi, cit., pp. 157, 178.
15 Le citazioni vengono da Roberto Longhi, Carlo Saraceni [1917], in Id., Il palazzo non
finito, cit., pp. 93-168: 123-124.
16 Roberto Longhi, Ultimi studi sul Caravaggio e la sua cerchia [1943], in Id., Studi caravaggeschi. I. 1943-1968, cit., pp. 1-54: 25.
RENDICONTO SU TANZIO DA VARALLO AL SUD
169
denziata da Gaetano Sabatini già nel 1928) giustapposta da Giovan Tommaso
Manso all’inventario redatto dal notaio Carallo (Vat. Lat. 11373 , c. 45). Su
base documentaria Sabatini poteva così indicare per primo l’attribuzione a
Tanzio e la datazione del dipinto (le pubblicazioni di Gaetano e Francesco
Sabatini del 1928 e del 1960, si ripete, sembrano sconosciute a Longhi).17
Nella postilla un discendente del committente secentesco attesta, un
secolo e mezzo dopo i fatti:
Il suddetto quadro […] fu fatto a spese del barone Tommaso D’Amata nell’anno 1614 dal celebre pittore Antonio d’Herrico tedesco con buon pagamento, siccome alla ricevuta in fascicolo. Il detto barone [Tommaso D’Amata] voleva collocare detto quadro nel capo altare del nostro monastero di Gesù e Maria, ma poi
lo pose nel suddetto altare di Santa Caterina; fu pagato ducati 85 detto quadro.18
Il documento è stato trascritto integralmente per la prima volta da
Francesco Sabatini nel 1960; lo stesso ha ricostruito la storia della ricezione
presso gli storici dell’arte di questo e di altri materiali relativi alla pala di
Pescocostanzo, in una nota alla raccolta degli scritti del padre Gaetano.19
Riprendendo un’opinione di Franco Battistella,20 Ferdinando Bologna precisa che Longhi aveva attribuito la pala a Tanzio forse già prima del 1917 e
comunque al più tardi entro il 1920-1921 (cfr. supra),21 probabilmente sulla
scorta della conoscenza visiva della pala riprodotta, senza attribuzione, nel
1912 da Emidio Agostinoni, dove la fotografia è rifilata in basso, nascondendo la parte più rovinata dell’opera.22
17 Sabatini, Ottavio Colecchi. Filosofo e matematico, cit., p. 85. Longhi non pare essere a conoscenza della pubblicazione di Sabatini neppure nell’articolo del 1943 (cfr. note 13 e 16), né
sembra che abbia mai consultato direttamente il manoscritto contenente l’informazione sull’attribuzione, il costo e la datazione del dipinto. Controlli sullo schedone del Vat. Lat. 11373 effettuati su mia richiesta dal Direttore del Dipartimento dei Manoscritti, Paolo Vian, non hanno
prodotto risultati decisivi; le informazioni contenute nello schedone vanno ritenute incomplete.
18 Sabatini, La regione degli Altopiani Maggiori d’Abruzzo, cit., p. 204, nota 151. Erroneamente Roberto Contini, Sospetti di Tanzio tra Roma e Ciociaria, in Operosa Parva per Gianni Antonini.
Studi raccolti da Domenico De Robertis e Franco Gavazzeni, Verona, Edizioni Valdonega, 1996,
pp. 197-208: 197, data «1696» la testimonianza del postillatore, identificandolo con lo stesso
notaio Carallo.
19 Cfr. Sabatini, Scritti editi e inediti, cit., III, pp. 417-418, con precisazioni ulteriori in Francesco Sabatini, Un altro documento sulla tela di Pescocostanzo, in Tanzio da Varallo in Abruzzo: le
tele di Colledimezzo, Fara San Martino, Pescocostanzo. Associazione Culturale Altipiani Maggiori
d’Abruzzo, Sambuceto (CH), 2000, p. 16.
20 Franco Battistella, Un altro dipinto del Tanzio in terra d’Abruzzo, «Rivista abruzzese.
Rassegna trimestrale di cultura», XLVIII, 3, 1995, pp. 157-180: 157.
21 Ferdinando Bologna, Tanzio a Roma, sugli Altipiani maggiori d’Abruzzo e a Napoli, in
Tanzio da Varallo in Abruzzo, cit., pp. 6-19: 19, nota 28, testo della conferenza tenuta a Pescocostanzo il 12 agosto 1998 (pubblicato in versione ridotta in catalogo della mostra Tanzio da
Varallo: realismo, cit., pp. 33-40).
22 Emidio Agostinoni, Altipiani d’Abruzzo, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche,
170
FLORIANA CONTE
3. Secondo la trafila tracciata da Giovanni Testori e accolta dagli studiosi successivi, «l’onda Procaccini-Morazzone-Cerano batte sui bordi della
tela di Pescocostanzo e la inumidisce per intero».23
Effettivamente, negli anni della Madonna di Costantinopoli, Tanzio comincia a essere in debito di stile con i maestri lombardi 24 e con alcuni classici del Cinquecento romano; come si è detto prima, anche se quasi certamente dipinta a Napoli, la pala prende dalla cultura figurativa della capitale
regnicola soprattutto lo spunto iconografico e la struttura sintattica desunti
dalle incisioni circolanti nel Viceregno che il barone D’Amata potrebbe avere indicato a Tanzio come riferimento.25
In occasione della mostra napoletana, Maria Cristina Terzaghi ha individuato nella pala di Domodossola (fig. 11), di poco successiva alla pala di
Pescocostanzo e dipinta ormai al Nord, testimonianza della lettura attenta
del Trittico di San Michele di Bramantino (fig. 12, fino al 25 luglio 1788 in San
Michele dei Disciplini a Milano): il cadavere dell’appestato riverso accanto
al basamento di marmo sul quale poggiano Carlo e il suo seguito echeggia
quello di Ario in prospettiva davanti al basamento di marmo sul quale è seduta la Madonna col Bambino tra i santi Ambrogio e Michele arcangelo.26 A
questo accostamento, di indubbia e suggestiva pertinenza, può aggiungersi
forse un altro: durante gli anni precedenti al suo rientro definitivo in patria
Tanzio potrebbe essere stato influenzato soprattutto da un altro testo lom1912, p. 111. L’ipotesi si deve a Francesco Frangi, Itinerario di Tanzio da Varallo, in Percorsi
caravaggeschi tra Roma e Piemonte, a cura di Giovanni Romano, Torino, Cassa di Risparmio di
Torino, 1999, pp. 114-160: 116, poi ripreso da Conte, Tra Napoli e Milano, cit., I, p. 103, nota 15.
23 Cfr. Testori, Tanzio da Varallo, cit., p. 19, su cui richiamano l’attenzione Frangi, Itinerario di Tanzio da Varallo, cit., p. 123, nota 36, e Conte, Tra Napoli e Milano, cit., I, pp. 49-54, 116,
nota 64, con rinvio alle affinità con la Madonna di San Celso della Galleria Sabauda, precedente
al 1610, per la quale si veda Marco Tanzi, Una proposta per Cerano scultore [1995], ora ristampato
con aggiornamenti in La Zenobia di don Álvaro e altri studi sul Seicento tra la Bassa padana e l’Europa, Milano, Officina Libraria, 2015, p. 58 e nota 6.
24 Cfr. sull’argomento le sollecitazioni di Romano, D’Enrico, Antonio, cit. p. 782, e Francesco Frangi, Un caravaggesco tra i “pestanti”: Tanzio e la pittura milanese di primo Seicento, in Tanzio
da Varallo: realismo, cit., pp. 60-69: 62: quest’ultimo mette in evidenza l’affinità tra «le accese
attitudini espressive divulgate dai santi che popolano le infinite pale del grande Cerano […],
dei quali ricalcano anche il reclinarsi patetico del volto, in segno di estatica venerazione» e le
attitudini emergenti dalle pale di Tanzio coeve o successive a quella di Domodossola.
25 Su questi temi, con diverso orientamento (a favore rispettivamente del contesto napoletano e del contesto romano) si esprimono Frangi, Itinerario di Tanzio da Varallo, cit., pp. 116117, e Bologna, Tanzio a Roma, cit., p. 53; riassume la questione Terzaghi, Tanzio, Caravaggio
e compagni, cit., p. 20.
26 Sull’opera cfr. Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, Scheda 11. Bartolomeo Suardi, detto il
Bramantino. Madonna con il Bambino tra i Santi Ambrogio e Michele arcangelo (trittico di San Michele), in Bramantino a Milano (Milano, Castello Sforzesco – Cortile della Rocchetta, Sala del
Tesoro – Sala della Balla, 16 maggio – 25 settembre 2012), a cura di Giovanni Agosti, Jacopo
Stoppa e Marco Tanzi, Milano, Officina Libraria, 2012, pp. 164-177.
RENDICONTO SU TANZIO DA VARALLO AL SUD
171
bardo contemporaneo, prodotto e collocato a Roma, elaborato dall’artista
celeberrimo già evocato in relazione a Tanzio all’inizio di questo saggio.
La struttura iconografica e sintattica della pala di Domodossola riecheggia
la Madonna di Loreto di Caravaggio (fig. 13), visibile dal 1606 nella chiesa di
Sant’Agostino a Roma, la cui fama è moltiplicata anche dalla stampa ricavata in controparte, a metà degli anni Venti, da una copia della pala da Lucas
Vorsterman (che già ne aveva tratto una anche dalla originale Madonna del
Rosario), caratterizzata da due figure inginocchiate in preghiera in maniera simile.27 Nell’archetipo di Caravaggio sono fondamentali la prospettiva
dello scalone sul quale si affaccia Maria con Gesù in collo e il rapporto tra
il gruppo divino e il pellegrino,28 rielaborato nell’appestato comunicato da
Carlo, attorcigliato su sé stesso in una torsione influenzata dalla straordinaria fortuna secentesca della Trasfigurazione, da molti copiata, incisa da Cornelis Cort nel 1573 e visibile fino al 1797 sull’altare maggiore di San Pietro
in Montorio (fig. 14).29 Questo non è l’unico rinvio a Raffaello né l’unico
27 Cfr. Francesca Cappelletti, Caravaggio. Un ritratto somigliante, Milano, Electa, 2010,
p. 122, e Borea, Lo specchio dell’arte italiana, cit., I, pp. 262, 271; II, cap. XXIII, figg. 4, 8. Gli
astanti in posizione simile sono, in verità, anche nella Madonna del Rosario, ma il rapporto iconografico ed emotivo tra le figure della pala di Sant’Agostino e quella di Domodossola mi pare
ancora più calzante.
28 Si tratta di una delle figure del Caravaggio romano più citate nella storia dell’arte italiana
anche in date tarde, a dispetto di chi, ignorando la sistematizzazione della fortuna di Caravaggio
da parte di Longhi nel 1951 (cfr. n. 7), afferma isolatamente il contrario. Mi riferisco in particolare a Caterina Volpi, Salvator Rosa (1615-1673): pittore famoso, Roma, Bozzi, 2014, pp. 125,
nota 329, 454, che ritiene «incomprensibile parlare a questa altezza cronologica [il 1639-1641] di
influenza del Caravaggio derivando palesemente il dipinto [il Figliol prodigo del Museo Ermitage]
dalla pittura dei bamboccianti e dalle stampe di Albrecht Dürer» (attivo un secolo prima di Caravaggio); ribadisce come «francamente impossibile» l’influenza della pala su un quadro realizzato
intorno al 1639 come il Figliol prodigo di Salvator Rosa, salvo affermare (p. 388), senza soluzione
di continuità, a proposito di una bambocciata che ella data al medesimo periodo: «È anche assai
probabile che Rosa proceda in questi anni a ritroso andando a studiare le prime fonti di quello
stile naturalistico e umile, ovvero che osservi con attenzione le opere pubbliche di Caravaggio»;
contraddittoriamente, a proposito della milanese Madonna del suffragio (p. 368), realizzata dal
Rosa diversi decenni dopo il Figliol prodigo, Volpi ammette l’influenza delle Sette opere di misericordia (aggiungendo di suo quella del Riposo dalla fuga in Egitto), senza menzionare la fonte bibliografica alla quale attinge per alcune sue affermazioni (Floriana Conte, Precisazioni su Salvator
Rosa a Milano [e una data per Francesco Cairo], «Arte lombarda», n.s. 161-162, 2011, pp. 88-107);
forse spericolato il confronto (p. 195) tra la Medusa dello stesso Caravaggio e il Prometeo di Rosa,
oggi presso la Galleria nazionale di Arte antica in Palazzo Corsini a Roma. Nel libro vengono
spesso travisati cronologia e attribuzioni delle tesi esposte. Un solo esempio. Nella vicenda delle
due pale di Rosa per Fabriano si afferma: «La storia della prima committenza pubblica religiosa
del Rosa è stata ricostruita sulla base degli scarsi documenti rimastici da Xavier Salomon […] poi
ripreso dalla Conte»; ma la cronologia va invertita (lo spiego in Conte, Tra Napoli e Milano, II,
cit., pp. 45-61, 84-93). Sull’influenza del Caravaggio romano, piuttosto che di quello napoletano,
sul Tanzio entro il 1614, cfr. ancora Bologna, Tanzio a Roma, cit., p. 37; sull’influenza della Madonna di Loreto cfr. anche Rosci, Le icone mariane del Tanzio, cit., p. 42.
29 Conte, Tra Napoli e Milano, II, cit., pp. 194-197, 233, nota 35: «La sintesi più recente è di
T. Henry e P. Joannides, Raphael and his Workshop between 1513 and 1525 ‘per la mano di maestro
172
FLORIANA CONTE
richiamo a un’opera presente in Sant’Agostino a Roma, in questa fase della
carriera di Tanzio. Nella pala di Pescocostanzo è anche il ginocchio nudo
del profeta Isaia di Raffaello in fase michelangiolesca a dare forma all’angelo che suona la viola accompagnando l’apparizione della Madonna di Costantinopoli (figg. 15-16).30 Nel 1610 Tommaso Rappo «musico» afferma di
aver «dato lettione de sonare» a Tanzio, conosciuto a Napoli circa nove anni
prima.31 Ne possiamo concludere che Tanzio trasferisca sulla tela una modalità di suonare lo strumento che conosce direttamente, installandola sul
modulo iconografico raffaellesco: «il liuto è senza bordone e questo dato
ne conferma la datazione ai primi del secolo; in particolare, il suonatore di
viola da gamba tiene l’archetto con presa “alla tedesca” (con il dorso in giù),
com’era in uso per tutto il Seicento anche in Italia».32
Il nesso Bramantino-Tanzio istituito dalla Terzaghi evoca altre possibili
verifiche. Nel catalogo della stessa mostra, Giuseppe Porzio riscontra nella
Circoncisione di Fara San Martino «una patetica affettuosità in asseverazione
stilistica, specie nel bambino che rammenta addirittura l’Ortolano o il più
antico Bramantino». Nella quadratura prospettica attraverso cui i santi di
Verbania Pallanza appaiono «aggettanti e dirompenti», Silvia Colombo legge un «sapore quasi neobramantiniano».33 È possibile avanzare altre ipotesi
Rafaello e Joanne Francesco e Giulio sui discepoli’. VIII. The Transfiguration, e Tom Henry – Paul
Joannides, The Transfiguration, in Late Raphael, catalogue of the exhibition (Madrid, Museo
Nacional del Prado, 12 June – 16 September 2012), curators: Tom Henry-Paul Joannides, Madrid, Museo Nacional del Prado, 2012, pp. 17-85: 57-62, 160-177. Sull’«esibito impiego di modi
leonardeschi che caratterizza la parte bassa della Trasfigurazione, un aspetto còlto mi sembra
per la prima volta da Julius Vogel in un articolo del 1920 e più di recente indagato da Kathleen
Weil-Garris», rinvio, anche per la bibliografia e le numerose e puntuali altre osservazioni sulla
storia della pala, a Barbara Agosti, Sulla fortuna critica della “Trasfigurazione” di Raffaello, «Annali di critica d’arte», IV, 2008, pp. 459-487: 490 e nota 16. Sull’incisione di Cornelis Cort del 1573,
cfr. Borea, Lo specchio dell’arte italiana, cit., I, p. 173; II, cap. XV, fig. 54.
30 L’attenzione di Tanzio per il ginocchio ostentato nella posizione dell’angelo musicante
di Pesco è rilevata da Bologna, Tanzio a Roma, cit., p. 36, in relazione al Giovanni Battista di
Tulsa, The Philbrook Museum of Art (su cui cfr. n. 63), e al disegno con lo studio di gamba per
un angelo con cartiglio presso la Pinacoteca di Varallo.
31 Giuseppe Porzio, Tanzio da Varallo e la sua cerchia. Documenti per gli anni meridionali, in
Tanzio da Varallo incontra Caravaggio, cit., p. 56 (con bibliografia precedente). Sull’influenza che
l’amicizia con il musico napoletano ha senz’altro avuto sulla raffigurazione degli angeli musicanti della Madonna di Costantinopoli cfr. anche, nel medesimo volume, Filippo Maria Ferro,
Tanzio e la scena del naturalismo abruzzese, ivi, pp. 61-71: 67.
32 Conte, Tra Napoli e Milano, I, cit., p. 119, nota 79.
33 Giuseppe Porzio, scheda 7. Antonio d’Enrico, detto Tanzio da Varallo. Circoncisione di Gesù
con i santi Carlo Borromeo e Francesco d’Assisi, in Tanzio da Varallo incontra Caravaggio, cit., pp. 112115: 112; Silvia Colombo, scheda 10. San Giovanni Evangelista e santa Caterina d’Alessandria.
San Teodoro e santa Apollonia, in Tanzio da Varallo: realismo, cit., p. 92. Porzio, scheda 7. Antonio
d’Enrico, detto Tanzio da Varallo. Circoncisione di Gesù, cit., riconduce l’attribuzione antica della
Circoncisione ad Antonio Solario detto lo Zingaro, cassata da Bologna a favore di Tanzio, al
fatto che anche lo Zingaro, come Tanzio, fosse «altro artista itinerante ed estraneo al tessuto
RENDICONTO SU TANZIO DA VARALLO AL SUD
173
nella stessa direzione, tenendo anche conto dell’arcaismo spesso riscontrabile in Tanzio.34 L’ipotesi che egli filtri la lezione del Cristo trasognato del
Noli me tangere di Bramantino già in Santa Maria del Giardino a Milano è
più che ragionevole (fig. 17). La chiesa avrà attratto i giovani artisti vicini
ai Francescani: Santa Maria del Giardino, dipendente dai Francescani osservanti di Sant’Angelo vecchio (insediati all’esterno delle mura), fu distrutta
per l’erezione delle mura spagnole alla metà del Cinquecento, poi ricostruita nell’attuale posizione e consacrata nel 1555. Qui Caravaggio e Tanzio
vedono il Martirio di santa Caterina di Gaudenzio Ferrari (trasportato dalla
cappella Gallarati del vecchio edificio, e i nuovi laterali di Antonio Campi
sui quali torneremo), che probabilmente aveva studiato a sua volta sul testo
di Bramantino.35
La mostra Bramantino a Milano ha restituito al Noli me tangere lo statuto
di vero e proprio capolavoro; Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa hanno sottolineato che
basta fissare lo sguardo sul volto di Gesù, dalla bocca chiusa e dall’espressione
quasi trasognata, e si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un archetipo della
tradizione figurativa lombarda, in grado di interferire persino, un secolo dopo,
sull’elaborazione del mondo espressivo del Cerano. E, nell’immediato, sugli avvii
di Gerolamo Romanino e di Altobello Melone.36
Lo sguardo e la posa del san Bernardino di Tanzio sono declinati dalla
più pura e alta tradizione della committenza francescana a Milano: il san
Francesco della pala di Pescocostanzo socchiude sommessamente le labfigurativo locale, il cui nome, perciò, appare più comprensibile di quanto non lo ritenesse lo
stesso Bologna». In realtà lo Zingaro non era affatto estraneo al tessuto figurativo e culturale
locale (cfr. Conte, Tra Napoli e Milano, I, cit., pp. 70-72, 125-126 note 121, 123, 125, 356, 373, in
relazione a questa ed altre vicende della sua fortuna critica; cfr. anche Tra Napoli e Milano, II,
cit., pp. 455, 457).
34 Cfr. Bona Castellotti, Introduzione alla mostra, in Tanzio da Varallo: realismo, cit., pp. 1015: 10.
35 Per la cronologia cfr. Rossana Sacchi, Gaudenzio Ferrari a Milano: i committenti, la bottega, le opere, «Storia dell’arte», 67, 1989, pp. 201-218: 204 n. 9, 206-208 (ora nel vol. Gaudenzio a
Milano, Milano, Officina, Libraria, 2015, pp. 26-52). Dello «spirito neogaudenziano, o per meglio dire morazzoniano» riscontrabile in Tanzio proprio all’altezza della pala di Pescocostanzo
parla Frangi, Itinerario di Tanzio da Varallo, cit., p. 122. Di «esperienza del caravaggismo […]
rivisitata alla luce della tradizione di Gaudenzio» parla Filippo Maria Ferro, Tanzio in mostra
a Napoli e a Torino, «Paragone/Arte», n.s. XLVI, 49 (539), gennaio 1995, pp. 68-73: 70, 73, nota
27, a proposito delle tele di Pallanza (cfr. nota 33), realizzate a partire dalla fine del 1616 e già
degne di menzione documentaria nel gennaio 1618: cfr. Colombo, scheda 10. San Giovanni
Evangelista, cit.
36 Per le notizie sull’opera, la sua collocazione e la citazione a testo cfr. Giovanni Agosti
e Jacopo Stoppa, scheda 5. Bartolomeo Suardi, detto il Bramantino. Noli me tangere, in Bramantino
a Milano, cit., pp. 124-131: 124, 130.
174
FLORIANA CONTE
bra un po’ come il Cristo di Santa Maria del Giardino e come il soldato
sorpreso dall’angelo nel Martirio di santa Caterina di Gaudenzio (fig. 18).
Nella pala del Ferrari l’angelo scende dal cielo avvitandosi su sé stesso:
se ne ricorda l’angelo pompiere di Pescocostanzo (fig. 23). Non ostacola
quest’ipotesi il fatto che l’affresco di Bramantino smetta di essere visibile
all’inizio del Seicento, poiché il pilastro su cui si trovava viene ricoperto
da assi di legname, a sua volta intonacato. L’idea potrebbe essere passata a
Tanzio attraverso Gaudenzio, attivo a Varallo prima che il giovane valsesiano scenda al Sud.
Il ritratto di Pompa De Matteis D’Amata e la vocazione al ritratto naturalistico e senza sconti 37 sembrerebbero debitori (come accade anche a Cerano e a Camillo e Giulio Cesare Procaccini) del «l’incrocio dei Campi sulla
cultura milanese» (19-21).38 Il debito con Antonio Campi non è episodico.
37 Cfr. Terzaghi, Tanzio, Caravaggio e compagni, cit., pp. 39-40, e Porzio, Tanzio da Varallo
e la sua cerchia. Documenti per gli anni meridionali, in Tanzio da Varallo incontra Caravaggio, cit.,
pp. 51-59: 53 docc. 5a-5b, che giustamente sottolineano l’esistenza di pagamenti napoletani a
Tanzio nel 1610 per l’esecuzione di ritratti.
38 Sul debito di Tanzio nei confronti di Antonio Campi durante il soggiorno meridionale
si è espresso Ferdinando Bologna (cfr. nota 39), ripreso da Ferro, Tanzio e la scena del naturalismo abruzzese, cit., p. 61, e Porzio, scheda 6. Antonio d’Enrico, detto Tanzio da Varallo. Martirio
di san Lorenzo, in Tanzio da Varallo incontra Caravaggio, cit., pp. 110-111: 110. Cfr. la scheda 38.
Martirio di s. Caterina di Marco Valsecchi in Il Cerano, in Il Seicento lombardo (1973), catalogo
della mostra (Milano, Palazzo Reale e Pinacoteca Ambrosiana, giugno-ottobre 1973), Milano,
Electa, 1991, 3 voll., II. Dipinti e sculture, pp. 23-36: 28 (da cui cito a testo). Il Martirio di Antonio
Campi soffre di una certa sfortuna critica, a partire dalla mancata analisi di Roberto Longhi,
Quesiti caravaggeschi. II. I precedenti (1929), in “Me pinxit” e Quesiti caravaggeschi, Firenze, Sansoni, 1968, pp. 97-143: 127; in essa viene solo accertato il referto cronologico sul Martirio («Ma
l’annunzio più stupefacente alle prossime soluzioni caravaggesche, da parte di Antonio Campi,
penso che rimarrà sempre il telone della Santa Caterina in carcere, nella prima cappella a destra
in Sant’Angelo di Milano; un’opera del 1583, perché compagna di altra che reca appunto questa
data»). Cfr. Giuseppe Cirillo – Giovanni Godi, Contributi ad Antonio Campi, Cremona, Libreria
del Convegno, 1982 [= «Annali della Biblioteca Statale e Libreria Civica di Cremona», XXVI/2
(1975)], p. 39, anche in un contesto nel quale si sarebbe potuta dedicare attenzione a entrambe
le tele (come la mostra cremonese dei Campi del 1985), si assegna una scheda apposita alla
sola Visita a santa Caterina in carcere (del 1584: in realtà, come mi fa notare Marco Tanzi [del
quale si veda I Campi, Milano, 5 continents, 2004, p. 196], è datato 1583 il solo Martirio): cfr.
Giulio Bora, scheda 1.19. Antonio Campi, e, dello stesso, scheda 1.19.11. L’imperatrice Faustina,
accompagnata dal generale Porfirio, visita Santa Caterina in carcere, in I Campi. Cultura artistica cremonese del Cinquecento, catalogo della mostra (Cremona, Santa Maria della Pietà, Museo civico,
27 aprile-1 settembre 1985) a cura di Mina Gregori, Milano, Electa, 1985, pp. 181-196: 184, 196,
secondo il quale «nel Martirio, l’eccessivo affollamento rende godibile l’opera solo per i singoli
brani». In verità la tela non appare più affollata della Crocifissione del Louvre, dipinta quattordici
anni prima (schedata da Sylvie Béguin nello stesso catalogo alle pp. 187-189, scheda 1.19.3.
Crocifissione con scene della Passione). Ventotto anni prima Gian Alberto Dell’Acqua, La pittura
a Milano dalla metà del XVI secolo al 1630, in Storia di Milano, Milano, Fondazione Treccani degli
Alfieri per la Storia di Milano, 1953-1996, X. L’età della riforma cattolica (1559-1630), 1957, pp. 673721: 714-715, aveva pubblicato entrambe le tele, affiancate, in bianco e nero, pur leggendo il
Martirio con sbrigatività limitativa: «Nel Martirio della santa, stipato di fatti e di cose come un
capitolo del Trattato del Lomazzo (il quale, per altro, non dimostrò alcuna simpatia per il gusto
RENDICONTO SU TANZIO DA VARALLO AL SUD
175
Si tenga conto dell’affinità tra il fanciullo che fugge spaventato nel Martirio
di santa Caterina del Campi e quello atteggiato allo stesso modo nel Martirio
di san Matteo di Caravaggio (che della fonte mantiene la stessa collocazione
spaziale nella scena di martirio e la veste bianca tenuta corta sul gomito
destro). Se il rapporto regge, non è necessario chiamare in causa il secondo
come fonte per la posizione della parte superiore del corpo del santo nel
Martirio di san Lorenzo di Tanzio, nella parte inferiore influenzato, secondo
Ferdinando Bologna, dalla Resurrezione dello stesso Campi in Santa Maria
naturalistico di Antonio), occorre estrarre quasi a fatica i passi più significativi per la nuova
poetica del cremonese: ad esempio, il manigoldo in atto di preparare la santa per l’imminente
decollazione, di una verità che spicca a contrasto col convenzionale cavaliere di quinta». Maurizio Marini, “Cremona fedelissima” tra Milano, Venezia e Ferrara: dai fratelli Campi al Caravaggio, in
Il Cinquecento lombardo. Da Leonardo a Caravaggio, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale,
4 ottobre 2000-25 febbraio 2001), a cura di Flavio Caroli, Milano, Skira, 2000, pp. 538-549: 542,
548 e nota 18, afferma: «il naturalismo cremonese dei Campi assume in Caravaggio valenze
intensamente elegiache, anche se, fino da ora, vi si profilano quei contenuti drammatici che,
dal 1600, con il Martirio di san Matteo (…) evolvono le narrazioni visive in tragedie in atto secondo la personale accezione della verosimiglianza aristotelico-tizianesca»; tra i due laterali in
Sant’Angelo evoca la sola Visita a santa Caterina come «diretto precedente del luminismo della
maturità del Caravaggio». Mauro Pavesi, Un dipinto di Antonio Campi alla Pinacoteca Vaticana,
«Arte lombarda», n.s. 161/162, 2011, pp. 40-48: 46-47, fa riferimento alla Santa Caterina visitata
in carcere come alla «più nota delle tele campesche in Sant’Angelo» (p. 47), con particolare riferimento a Notizie istoriche de’ pittori, scultori ed architetti cremonesi. Opera postuma di Giambattista
Zaist, pittore ed architetto cremonese, data in luce da Anton Maria Panni. Al merito impareggiabile de’
nobili signori prefetti al Governo della Città di Cremona, tomo I, in Cremona, nella Stamperia di
Pietro Ricchini, 1774, p. 163, per «la nota sulla loro ammirazione da parte del governatore spagnolo di Milano»: «Nella chiesa di Sant’Angelo, all’altare di S. Cattarina, son del nostro Antonio
i due quadri laterali a olio ch’ei fece qui in Cremona per commessione della contessa D. Porzia
Landi Galarata a vago ornamento di tal sua capella, i quali, sendo stati veduti da D. Carlo d’Aragona, Duca di Terra Nuova, Governatore dello Stato di Milano, allorchè l’anno 1584, portatosi
a visitare la nostra Città e Fortezza, degnossi di onorar in persona la casa d’abitazione dell’esimio Professore, sommamente a lui piacquero, insiem con altri picciol quadri di suo lavoro allo
stesso dimostrati, l’un de’ quali, offerito da Antonio in dono al rispettabilissimo Signore, fu in
singolar modo accetto al medesimo e perciò ricevuto con espressioni piene della più obbligante
amorevolezza». Sulla fama immediata delle tele, garantita dall’ammirazione da parte del Governatore e dalla preparazione di una replica di esse per Filippo II, attira l’attenzione Giulio
Bora, scheda Antonio Campi. Santa Caterina visitata nel carcere dall’imperatrice Faustina, in Pittura
a Milano. Rinascimento e Manierismo, a cura di Mina Gregori, Milano, Cariplo, 1998, pp. 279-280:
279, rinviando alla polemica ricezione da parte dell’ormai cieco Lomazzo nelle Rime (1587,
p. 123, sonetto Contro un pittor moderno: L’opre di quello che con gl’occhi gonfi / per poter
meglio ancor fuggir la zara / del lume retto, co’l foco le schiara / lodin coloro, che qual lui son
sgonfi. / Di queste ne son molte ne i trionfi / del Vasaro; e tal è quella sua chiara / Passion di
Caterina, e ne prepara / un’altra tale al Re, perché più gonfi. / Ma da lor son le natomie sbandite, / o c’habbino il ver lume, o pur di foco: / e l’inventioni ritrovate a grillo. / Benché son vagamente colorite, / come convien a chi nel arte è fioco. / Ma i scudi suoi lo tengono tranquillo),
in cui egli «certamente aveva accolto le reazioni dei suoi informatori e degli artisti milanesi». La
fonte figurativa può avere influito sull’attenzione di Caravaggio, che nel 1584 aveva 13 anni; il 6
aprile viene firmato il suo apprendistato da Simone Peterzano, l’8 e il 9 novembre la Landi paga
le tele al Campi (Sacchi, Gaudenzio Ferrari a Milano, cit., p. 207, nota 23, ristampato in Gaudenzio
a Milano, cit., pp. 35-36, nota 23).
176
FLORIANA CONTE
presso San Celso: il piccolo e controverso rame si configurerebbe dunque
come un esempio delle salde memorie milanesi di Tanzio (fig. 25).39
Il blu-azzurro della Costantinopoli in fiamme (riutilizzato da Tanzio
nella scena di fondo della pala di Domodossola, con Carlo Borromeo che
arriva tra gli appestati), al centro del quale è immerso l’angelo pompiere,
ha un precedente nella pittura lombarda di due generazioni precedenti (da
Bramantino in poi), spesso impegnata a decorare chiese francescane. L’atmosfera profusa da Moretto nell’Elia confortato dall’angelo nel Duomo vecchio di Brescia potrebbe esser presa in considerazione come una delle memorie figurative di Tanzio in questa fase; in particolare desta attenzione il
fatto che anche l’angelo pompiere vola in un paesaggio notturno (figg. 2325), debitore peraltro dell’«interest [di Tanzio] in Adam Elsheimer and his
circle, which dated from before his Roman period, […] very apparent in the
nocturnal landscape of the Virgin of Constantinople».40Analoghi precedenti
39 All’Antonio Campi della Resurrezione in Santa Maria dei Miracoli presso San Celso fa
riferimento Bologna, Tanzio a Roma, cit., p. 34, in relazione al Martirio di san Lorenzo attribuito a Tanzio, aggiungendo che il santo «per la struttura della gamba sinistra, e per il modo
in cui questa si spinge avanti in piena luce, introduce direttamente agli angeli suonatori di
Pescocostanzo».
40 Cfr. Pier Virgilio Begni Redona, scheda 39-44, in Alessandro Bonvicino il Moretto, catalogo della mostra (Brescia, Monastero di S. Giulia, 18 giugno-20 novembre 1988), Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1988, pp. 103-107, e Francesca Cappelletti nella recensione a Conte, Tra
Napoli e Milano, cit., I e II, «The Burlington Magazine», 1368, CLIX, May 2017, pp. 398-399: 398,
che attira anche, nella stessa sede e per la prima volta, l’attenzione sul «distant nocturnal landscape, shot through with bluish tones» della Madonna di Costantinopoli. Meno attenta a quanto
pur esplicitamente dichiarato in entrambi i volumi appare la recensione (comunque benevola)
di Stéphane Loire (che ringrazio sentitamente per l’attenzione al mio lavoro) nella «Revue
de l’art», 196, 2017, p. 80. In primo luogo, la contestata «cohérence de la réunion des études
figurant dans le premier volume» è intrinsecamente impropria per due ragioni, una oggettiva
e l’altra di metodo. Nel libro non si riuniscono studi già pubblicati, come è spiegato nel vol. I
a p. 13: «In due articoli precedenti ho annunciato gli intenti e presentato i primi risultati delle
ricerche riguardanti i capitoli I e II. Il presente volume rielabora e organizza in forma nuova
l’intera materia, adattando anche la forma espositiva alla mole assai accresciuta dei materiali»;
la coerenza interna tra i saggi che si succedono appare forse più evidente a un lettore italiano,
abituato all’organizzazione della materia attraverso la «geografia e storia» di Carlo Dionisotti
(vol. I, p. 8) e alla lettura critica dei dati attraverso i nodi ricucibili dai rapporti dei diversi rami
di una stessa famiglia (vedi il ruolo dei rami pescolani e napoletani della famiglia Manso, ad
esempio, dal I al III capitolo). Loire ritiene che «le premier volume ne répond que de manière
assez large» al proposito dichiarato di «scrivere un libro su Salvator Rosa lavorando in particolare sulla sua fortuna storica, come pittore e come poeta» (vol. I, p. 7), mentre «le second n’a
pas d’avantage celle de fournir une monographie sur le peintre, un projet qui était en revanche
celui du livre publié la même année par Caterina Volpi […] et que celui-ci complète fort bien».
In realtà, l’intento era di tracciare «un profilo di Rosa a partire dalla fortuna storica e critica a
lui procurata dalle sue opere» (vol. II, p. 9), nella convinzione che «non si potrà parlare di “monografia” […] fino a quando un’opera di tale aspirazione si limiterà a considerare i soli dipinti
(magari per fini commerciali) o le sole incisioni o i soli disegni o le sole poesie» (vol. II, p. 11).
Rosa esercitava quattro diverse tecniche, tre delle quali (pittura, poesia, incisione) a esplicito
scopo di affermazione professionale; pertanto il libro di Volpi (cfr. qui la n. 28) non può essere
RENDICONTO SU TANZIO DA VARALLO AL SUD
177
si potrebbero invocare per il ginocchio dell’angelo suonatore di viola, che
impressiona tanto il giovane Longhi. La particolare ostensione dell’articolazione deve forse qualcosa al San Matteo del «michelangiolista milanese»
Ambrogio Figino in San Raffaele a Milano (fig. 26), già individuato dallo
stesso Longhi tra i precedenti figurativi di Caravaggio.41 Del resto, proprio
in un altro quadro d’altare milanese di Figino, La Madonna del serpe (ora
nel transetto sinistro della basilica di San Nazaro maggiore), Marco Tanzi
ha individuato una «più concreta disposizione michelangiolesca nel segno
dell’Isaia di Raffaello in Sant’Agostino a Roma», che ha radici in certe soluzioni di Giulio Campi (fig. 27).42
A quel ginocchio pescolano Longhi presta tanta attenzione forse anche
sulla scorta della lettura di un passo di Jonathan Richardson, considerato
«tra gli inglesi più brillanti» nell’occasione in cui stila la propria classifica
europea nelle Proposte per una critica d’arte.43 Secondo Richardson, il committente dell’Isaia ( Johannes Goritz, non menzionato da Richardson) 44
avrebbe giudicato eccessivo il compenso chiesto da Raffaello per il lavoro
svolto e soltanto dopo il ricorso a Michelangelo, che invece lo aveva giudicato adeguato, la disputa si sarebbe chiusa a favore dell’artista:
Le tableaux paroît etre excellent et bien exécuté, le coloris hardi et le contour
grande et noble: en un mot, son mérite ne dement en rien l’estime que l’on en
fait. Le genou surtout est si bien exécuté, qu’il semble justifier l’eloge qu’en a
fait Michel-Ange. […] Quand la pièce [Isaia] fuit achevée, Raphael en demanda
à ce bon homme [il committente] plus qu’il ne s’étoit atendu de donner; ce qui
causa quelque dispute entre eux. Pour terminer le diférend, le rusé devot proposa
de s’en tenir à la decision qu’en donneroit Michel-Ange. Raphael y consentit et
Michel-Ange, après voir regardé le tableau quelque tems avec admiration, loin de
mépriser la pièce, comme cette honnête homme l’avoir espéré, dit que le genou
seul valoit l’argent; de sorte que Raphael reçut ce qu’il demandoit.45
considerato, a mio parere, la monografia completa che ancora manca su Rosa. In conclusione,
ciò che Loire lamenta nei miei volumi (talvolta «structure un peu confuse» e «information surabondante») risponde (per come ho potuto) all’istanza metodologica, da decenni praticata in
Italia, di lavorare, contemporaneamente e con rigore, su opere e fonti di diversa natura.
41 Cfr. Longhi, Quesiti caravaggeschi. II. I precedenti, cit., pp. 133-134, tav. 191.
42 Cfr. Marco Tanzi, Il crepuscolo degli eccentrici a Cremona, «Prospettiva», 134/135, 2009,
pp. 25-51: 42, 50, nota 60.
43 Roberto Longhi, Proposte per una critica d’arte, «Paragone/Arte», I, 1, 1950, pp. 4-19: 12.
44 Cfr. Pierluigi De Vecchi, Raffaello: catalogo completo dei dipinti, Firenze, Giunti Martello, 1981, pp. 248-249, num. 61.
45 Jonathan Richardson, Traité de la peinture et de la sculpture par Mrs. Richardson, père
et fils; divisé en trois tomes, Amsterdam, chez Herman Uytwerf, 1728, vol. 3, pp. 154-155. Cfr.
Istoria della vita e delle opere di Raffaello Sanzio, da Urbino del signor QUATREMÈRE DE QUINCY. Voltata
in italiano, corretta, illustrata ed ampliata per cura di Francesco Longhena, in Milano, per Francesco Sonzogno, 1829, pp. 57-58, nota 3**, in cui si individua come fonte dell’aneddoto quello
178
FLORIANA CONTE
4. È verosimile che Tanzio abbia rimeditato su Sant’Agostino durante il
soggiorno napoletano, spostandosi temporaneamente da Napoli a Roma,
dove aveva già abitato all’inizio del trasferimento al Sud. Il nesso appare
ancora più suggestivo se si pensa che l’Isaia sormontava il gruppo di Andrea Sansovino con Sant’Anna, la Vergine e il Bambino e che solo nel 1760
quest’ultimo è stato separato dall’affresco (per poi essere ricomposto, anche se privo dell’altare andato perduto, nel 1998, come attestato dalla lapide
posta sotto la Sant’Anna). L’intero complesso pittorico e scultoreo, con il
profeta dal ginocchio memorabile che sormonta il gruppo divino, era dunque visibile nella sua interezza ai tempi in cui Tanzio elaborò, a Napoli, la
soluzione iconografica per l’ordine superiore della pala di Pescocostanzo,
rileggendo sulla base delle impressioni romane le incisioni con il miracolo
della Madonna di Costantinopoli, che dovette tenere presenti per la sintassi
e per l’iconografia complessive della pala.46 Forse in futuro andranno considerate a fondo le riflessioni di Mina Gregori del 1998, a proposito della
lettura della pittura di Moretto (prima chiamato in causa tra i precedenti
della pala di Pescocostanzo):
riportato in Le bellezze della città di Firenze dove a pieno di pittura, di scultura, di sacri templi, di
palazzi i più notabili artifizi e più preziosi si contengono. Scritte già da M. Francesco Bocchi ed
ora da M. Giovanni Cinelli ampliate ed accresciute, in Firenze, Per Gio. Gugliantini, 1677,
pp. 277-278, sui Profeti e le Sibille di Santa Maria della Pace: «Avea dipinta Raffaello da Urbino
a nome di Agostino Chigi in santa Maria della Pace, chiesa di Roma, alcuni profeti e sibille con
certi angeli; perché ricevuti perciò CCCCC scudi a buon conto, un giorno per dolce modo al
cassiere di Agostino domandò il resto de’ danari, che per lo suo lavoro giudicava che gli fosse
dovuto. Per questo rimase ammirato il cassiere et avvisando, che da vantaggio con sì gran
somma fosse pagata ogni fatica, non fece motto alle parole, quando soggiunse Raffaello: “Fate,
che da chi è intendente, sia stimato il lavoro e conoscerete poi, se a ragione io domando”. Ora,
perché sapeva questo ministro, come era il Buonorroto intendentissimo e che era agevol cosa,
che per lo stimolo d’onore punto dall’invidia scemasse il pregio della pittura, più di una volta
lo richiese, onde si degnasse di venire in sul luogo e di stimare le figure di Raffaello. Alla fine
venne il Buonarroto nella chiesa della Pace, guidato dal cassiere e, fermatosi a veder l’opera,
per grande spazio non proferì già mai parola; ma affissata la vista nella pittura, la quale è maravigliosa e stupenda, stava contemplando il sommo artifizio attentamente quando, instigato dal
cassiere, disse (accennando col dito ad una Sibilla): “Quella testa vale cento scudi”. “E l’altre?”
poi disse il cassiere “Le altre non vagliono meno”, soggiunse il Buonarroto. Sentite queste parole (perché gran numero di gente per questo era concorsa) volle Agostino ancora intendere il
tutto dal cassiere et informato a pieno fece contar le figure, et oltra i CCCCC scudi per cinque
teste, diede a quello cento scudi per ogni testa, che restava di ciascuna figura e gli disse: “Porta
questa a Raffaello a nome delle teste, che ci ha dipinte senza più et opera per gentil modo, che
si contenti, perché se ci facesse pagare i panni, di certo sarebbe nostra rovina”».
46 L’Isaia ha peraltro una tarda fortuna in ambito milanese: il cardinale Federico Borromeo
ne fa ricavare una copia (oggi nella Pinacoteca Ambrosiana) ad Antonio Mariani della Corgna
per il proprio Musaeum milanese: cfr. Alessandro Rovetta, scheda 248. Antonio Mariani (detto
della Corgna). Isaia, in Pinacoteca Ambrosiana. Catalogo sistematico, Milano, Electa, 2006, 6 voll.,
II, pp. 171-172. Sul protrarsi delle «relazioni con il contesto romano» anche dopo «il triennio
trascorso presso il D’Arpino» insiste Francesco Frangi, scheda 3. Antonio d’Enrico detto Tanzio
da Varallo. Adorazione dei pastori, in Tanzio da Varallo incontra Caravaggio, cit., pp. 102-105: 104.
RENDICONTO SU TANZIO DA VARALLO AL SUD
179
Il problema della possibile influenza raffaellesca e dei rapporti con le tendenze classiche è certamente, ferma restando l’importanza delle due componenti
lombarda e veneziana, il punto più debole dell’odierna esegesi morettiana. […]
Il nuovo orientamento del Moretto a partire dalla cappella del SS. Sacramento in
San Giovanni Evangelista va esaminato nell’ampio fenomeno delle escursioni dei
pittori settentrionali verso i movimenti tosco-romani dei primi due decenni del
Cinquecento.
In particolare, la Gregori annette grande importanza alla fortuna della
Madonna del Baldacchino e della Madonna sistina, ma ancor più della Madonna di Foligno,
che con la suddivisione in due zone sovrapposte e contrapposte esalta il trascendente, mentre l’alone tracciato con la forma regolare di un cerchio derivato dalle
mandorle introdotte dal Perugino, è la rappresentazione astratta dell’Empireo,
accentuata dalle nuvole e dai cherubini che la circondano. Tra i pittori bresciani
la priorità di tale orientamento sembra spettare al Savoldo nella pala già a Pesaro
e ora a Brera.
Si tratta di indicazioni preziose,47 che confermano la necessità di non
dimenticare i pittori bresciani del Cinquecento nella cerchia dei precedenti di Tanzio, ai quali andrà aggiunto probabilmente anche il San Matteo e
l’angelo di Simone Peterzano alla Certosa di Garegnano (fig. 28), così importante per il Caravaggio romano: il suo influsso sul giovanissimo Tanzio
potrebbe rendere addirittura superfluo il richiamo diretto al Raffaello di
Sant’Agostino.48
Tali importanti debiti della Madonna di Costantinopoli con il Raffaello romano (a sua volta influenzato da Michelangelo), che ebbe successo presso
gli artisti lombardi, rafforza dunque lo schema iniziale suggerito da Giovanni Testori.
5. Nonostante le progressive importanti acquisizioni, restano ancora
zone d’ombra sul lavoro di Tanzio per l’Italia meridionale.49 Di complicata
47 Cfr. Mina Gregori, Sulle tracce della storiografia ottocentesca: qualche osservazione aggiuntiva sulla pittura sacra del Moretto, in Alessandro Bonvicino il Moretto, cit., pp. 29-32: 31-32. Sul
«progressivo aggiornamento su Raffaello dopo il momento della “Madonna” Sistina a Piacenza
e della “Santa Cecilia” e della “Visione di Ezechiele” a Bologna, nel secondo decennio» del Cinquecento nel panorama padano si veda inoltre Tanzi, Il crepuscolo degli eccentrici, cit., pp. 40-41.
48 Cfr. quanto riassunto da ultimo da Cappelletti, Caravaggio. Un ritratto somigliante, cit.,
pp.12-13 e fig. 2.
49 Lo sottolinea Giovanni Romano, Misterioso soggiorno al Sud, recensendo il catalogo della mostra Tanzio da Varallo incontra Caravaggio, cit., su «L’Indice dei libri del mese», febbraio 2015, p. 38 (pubblicata online http://lindiceonline.com/index.php/component/content/
180
FLORIANA CONTE
soluzione appare la questione, formulata da Giovanni Romano ventotto
anni fa, riguardante l’attività di Tanzio appena arrivato a Roma, forse immediatamente coinvolto nel cantiere di San Giovanni in Laterano:
al momento dell’arrivo nella capitale, i fratelli D’Enrico possono aver trovato un
primo lavoro nelle numerose imprese decorative favorite da Clemente VIII per il
giubileo, non certo nella limitatissima area di mercato concessa al Caravaggio.
L’iniziativa maggiore era la decorazione del transetto di S. Giovanni in Laterano e
qui, soprattutto nel grande affresco con Costantino che offre doni al papa, di Giovanni Baglione, sembra di poter riconoscere alcune tipiche invenzioni scenografiche,
decorative e di costume comuni ai due fratelli D’Enrico dopo il loro ritorno da
Roma.
Romano aggiunge che il rapporto tra Tanzio e Baglione non appare
episodico ma che era ravvisabile anche tra la Resurrezione dello stesso Baglione e la tarda Battaglia di Sennacherib per San Gaudenzio a Novara 50 e nel
San Nicola da Tolentino di Mao Salini in Sant’Agostino a Roma (chiesa nella
quale, come si è visto, Tanzio deve aver meditato non poco):
La collaborazione con il Baglione può aver agevolato il successivo accostamento al Caravaggio, tanto più che il D. sembra ricordare nella Battaglia di Sennacherib per la cappella Nazzari in S. Gaudenzio a Novara la grande e famosa (oltre
che famigerata) Resurrezione del Baglione per la chiesa romana del Gesù. È parallela a certi esiti del D. appena tornato al Nord la pala di Mao Salini per S. Agostino
a Roma, e si tratta anche in questo caso di un accolito del Baglione compromesso
con il caravaggismo in data molto precoce. Un’altra esperienza romana che semarticle/83-l-indice/febbraio-2015/2655-misterioso-soggiorno-al-sud e accessibile liberamente:
http://www.ibs.it/code/9788836629824/tanzio-varallo-incontra.html), esprimendo anche
qualche perplessità sulla cronologia della tela e del rame con l’Adorazione dei pastori esposte in
mostra come opere giovanili di Tanzio (cfr. schede 1. Antonio d’Enrico detto Tanzio da Varallo.
Adorazione dei pastori e 3. Antonio d’Enrico detto Tanzio da Varallo. Adorazione dei pastori, cit.,
firmate rispettivamente da Marco Franzone e da Francesco Frangi alle pp. 98-99, 102-105
del catalogo), «impregnate […] di caravaggismo avanzato» e difficilmente confrontabili con
la pala di Domodossola esposta nella sala d’ingresso, primo dipinto di Tanzio eseguito dopo
il ritorno al Nord. Seguendo Romano, Tanzi, Tanzio da Varallo, cit., p. 174, ritiene che le due
Natività diano «piuttosto il senso di una conoscenza più meditata e ben assorbita della produzione del Merisi», ancorandole «a una congiuntura più avanzata della produzione del pittore,
in quota Vagna o Santa Maria della Pace a Milano, per intenderci, sul finire del terzo decennio».
Pertinente a un caravaggista nordico, forse francese, appare anche il Riposo durante la fuga in
Egitto, avvicinato nuovamente (dopo la prima proposta di Giovanni Testori) a Tanzio da Filippo
Maria Ferro, scheda 14. Pittore caravaggesco (Antonio d’Enrico detto Tanzio da Varallo?). Riposo
durante la fuga in Egitto, in Tanzio da Varallo incontra Caravaggio, cit., pp. 134-137: 134 (appaiono
convincenti le opinioni di Testori nel 1966 e poi di Liana Castelfranchi Vegas: cfr. la scheda di
Ferro per la bibliografia). Referenziali le recensioni di Carla Falcone in «De Valle sicida», XXIV,
1, 2014, pp. 158-160, ed Helen Langdon, Tanzio da Varallo: Naples, «The Burlington magazine»,
CLVII, 1343, February 2015, pp. 126-127.
50 Terzaghi, Tanzio, Caravaggio e compagni, cit., p. 25, evoca la Conversione di Saulo di Taddeo Zuccari in San Marcello al Corso.
RENDICONTO SU TANZIO DA VARALLO AL SUD
181
bra aver contato per la futura attività del D. fu la rivelazione di Rubens, in S. Maria
in Vallicella, nelle cui opere dovette apparire chiaro al D. come si potesse adeguare alla moderna libertà pittorica italiana la formazione nordica, ben nota in casa
D’Enrico attraverso le incisioni del Goltzius e di altri.51
Peraltro il San Nicola da Tolentino del Salini attende ancora un accertamento cronologico definitivo a confronto con la pala di Domossola; andrà
considerato che l’artista romano aveva realizzato per la medesima chiesa
(non si sa quando) «sopra l’altare presso della capella di Santa Monaca» un
«S. Thomasso da Villanova che fa elemosina a diversi poveri, con molte
figure a olio, assai diligente», noto a Giovanni Baglione e oggi perduto.
Un’opera con una tale iconografia potrebbe essere rimasta nella memoria
di Tanzio in procinto di realizzare la prima pala dopo il ritorno al Nord.52
Una mostra futura potrebbe affrontare anche l’ultima, acuta indicazione di Romano che ipotizza una mutazione di clima, più che di stile, dal
Rubens della Vallicella mediato attraverso la vulgata nordica di Goltzius,
incline all’esibizionismo muscolare via via sempre più caro a Tanzio; e
infine vagliare i risultati della attività di Tanzio a Roma attraverso il confronto diretto con Baglione e Salini, oltre che con Caravaggio e il Cavalier
d’Arpino.53
Ora che sono noti i documenti relativi al soggiorno romano di Tanzio
ed è meglio circoscrivibile la cronologia del cantiere lateranense appaltato
al Cavalier d’Arpino, possiamo ragionevolmente dedurne che Tanzio lasci
la Valsesia per Roma all’inizio del febbraio 1600 e che i lavori per il transetto
di San Giovanni (pagati al d’Arpino dal 2 maggio 1599 al 17 aprile 1601) si
estendano dal maggio 1599 all’agosto del 1600. Su tali basi Terzaghi ipotizza il coinvolgimento di Tanzio «per pochi mesi» per realizzare insieme ad
altri artisti stranieri (dato che egli stesso poteva essere coinvolto come ‘tedesco’) le «straordinarie bordure di elementi decorativi vegetali, probabilmente ultimate più tardi» dei primi mesi del 1600, quando i riquadri con le
Romano, D’Enrico, Antonio, cit., p. 781.
Il riferimento bibliografico più recente è: Vittoria Markova, scheda VII.3. Tommaso
Salini detto Mao Salini. San Nicola da Tolentino, in Roma al tempo di Caravaggio 1600 – 1630, catalogo della mostra (Roma, Museo Nazionale del Palazzo di Venezia – Saloni Monumentali, 16
novembre 2011-5 febbraio 2012), a cura di Rossella Vodret, Milano, Skira, 2011-2012, 2 voll., I.
Opere, 2011, pp. 188-189: 188, con riferimento a Baglione, in Le vite de’ pittori scultori et architetti
dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’ tempi di papa Urbano Ottavo nel 1642 scritte da Gio.
Baglione, edizione commentata a cura di Jacob Hess e Herwarth Röttgen, ristampa anastatica
dell’edizione Roma 1642, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1995, 3 voll., I.
Ristampa anastatica, p. 187.
53 Lo fa notare lo stesso Romano nella recensione al catalogo della mostra Tanzio da Varallo incontra Caravaggio, cit.: «Sempre per Roma sarebbe stato opportuno convocare qualche
prova, scelta bene, di Baglione e di Salini», con tutta verosimiglianza riferendosi alle proprie
precedenti proposte, citate a testo supra.
51
52
182
FLORIANA CONTE
scene narrative sembrano essere finiti (l’Ascensione centrale viene scoperta
ad agosto).54
Arriviamo alle opere abruzzesi: come interpretare il rifacimento
dell’ordine inferiore della Circoncisione di Fara San Martino? Tanzio è andato a Fara a ridipingerla? Oppure è stata rifatta in fretta, a Napoli, prima
di essere consegnata? Ferdinando Bologna suggeriva prudentemente che i
tre ritratti preesistenti siano stati «coperti in corso d’opera, forse dal Tanzio
stesso».55 Chi sono i committenti delle pale di Colledimezzo 56 e di Fara San
Martino? La loro cronologia verrà mai accertata da un ritrovamento documentario, com’è accaduto per la pala di Pescocostanzo? La bella, piccola
tela già presso Marco Datrino a Torino e poi in collezione Koelliker, riportata all’attenzione degli studiosi dalla mostra napoletana grazie alle cure
di Filippo Maria Ferro, rappresenta effettivamente un ulteriore tassello dei
rapporti di Tanzio con i committenti abruzzesi vicini ai francescani? Lo
stemma raffigurato in basso a destra reca un elemento parlante riconducibile alla famiglia Grilli, presente a Pescocostanzo e a Sulmona; ma restano
da legare a una casata precisa gli altri due elementi, il leone rampante e
l’angelo (figg. 29-30).57
Nuova documentazione di prima mano apparsa recentemente offre
conferme cronologiche e ottimi spunti di riflessione legati a geografia e
rete di committenza, pur se con prudenza. Nel settembre 1607 Tanzio riceve da Giovanni Stefano Della Monica il saldo dei 45 ducati concordati per
una «pittura» eseguita per la cappella di famiglia dei Della Monica (allestita anche con il coinvolgimento del fratello di Giovanni Stefano, Giovanni
Francesco: entrambi sono figli di Giovanni Andrea) nella chiesa intitolata a
San Francesco a Capodimonte (oggi non più esistente) annessa al complesso dei Frati minori conventuali. Per la medesima cappella tra il novembre
Terzaghi, Tanzio, Caravaggio e compagni, cit., p. 24.
Bologna, Tanzio a Roma, cit., p. 36.
56 Ferro, Tanzio e la scena del naturalismo abruzzese, cit., e, dello stesso, scheda 11. Antonio
d’Enrico, detto Tanzio da Varallo. Madonna con il Bambino, san Francesco d’Assisi e donatore, in Tanzio da Varallo incontra Caravaggio, cit., pp. 67, 71, nota 57, 124-125. Lo studioso avanza un paio
di ipotesi sulla committenza della pala: degna di approfondimento è quella che indirizza verso
i conti D’Ugni, «in rapporto quanto mai intrigante con il D’Amata di Pescocostanzo, il quale
proprio dai D’Ugni acquista le terre che gli assicurano il titolo baronale». Non è specificata la
«base documentaria» su cui «Pietro Francesco D’Amico ha provato […] la vendita, da parte del
conte Tiberio D’Ugni, del feudo di Civitaluparella (indicato nel documento come Civitacopparella) a Tommaso d’Amata di Pescocostanzo, con l’annesso titolo».
57 Filippo Maria Ferro, scheda 8. Antonio d’Enrico, detto Tanzio da Varallo. San Francesco
riceve le stimmate, in Tanzio da Varallo incontra Caravaggio, cit., pp. 116-117. Delle due altre tele di
simile impianto paesaggistico e affini per la diversa posizione del santo (rispettivamente presso la
Pinacoteca di Varallo e già a Parigi, Galerie Canesso) è stata correttamente sottolineata la contiguità con la posa del santo nella Madonna di Costantinopoli: cfr. per un quadro riassuntivo Nicolaci, scheda 9, cit. (dove l’autore definisce ancora la pala pescolana «Madonna dell’incendio sedato»).
54
55
RENDICONTO SU TANZIO DA VARALLO AL SUD
183
1607 e il gennaio 1608 lo stesso Giovanni Stefano Della Monica paga Ippolito Borghese per una Immacolata concezione (si tratta forse di quella ora nella
cappella maggiore del Seminario arcivescovile di Napoli).58
Oltre al dato, prezioso, che adesso consente di ancorare al settembre
1607 l’attestazione più antica della presenza di Tanzio a Napoli, la vicenda
stessa di questa committenza merita attenzione. Ancora una volta i Francescani minori conventuali appaiono titolari degli edifici sacri per i quali
Tanzio dipinge. Inoltre più approfondite verifiche documentali riguardanti
eventuali relazioni del pittore con la famiglia Della Monica potrebbero forse chiarire se effettivamente Tanzio abbia dipinto «opere, tanto di figura
quanto di prospettiva, in più luoghi della Puglia». Così asserisce il referto
settecentesco di Lazzaro Agostino Cotta che, alla luce delle antiche e recenti acquisizioni documentarie, si è dimostrato non disinformato né generico
anche in relazione ad altri momenti della carriera del pittore:
Onde anco Luigi Scaramuzza nelle Finezze, pag. 145 e 146, lo pareggia a Paolo
Veronese, e dice «non mancargli buon dissegno, l’espressione, vivacità, aggiustatezza delle teste e facilità nel colorire, il tutto condito con amoroso finimento». Lasciò alquante opere, tanto di figura quanto di prospettiva, in Napoli, in più luoghi
della Puglia, in Venetia, in Vienna d’Austria l’anno 1627, in San Protaso di Domo
d’Oscela, nell’Oratorio di San Carlo in Vogogna, nella Parochiale d’Acellio, in San
Gaudenzio di Novara all’altare dell’Angelo custode, in San Marco il ritratto di Paolo Gallarato e nel Convento di Varallo, ove morì quasi settuagenario.59
Un ramo della campana famiglia Della Monica risulta trasferito nel
Cinquecento a Lecce, città di cui il nobile Fulgenzio Della Monica diventa
sindaco tra il 1567 e il 1568, abitando nella villa suburbana con giardino
descritta nel 1634 da Giulio Cesare Infantino nella Lecce Sacra:
Dentro il cortile del magnifico palagio c’hoggi è del principe della Vetrana
Gio. Antonio Alberici [o Albrizzi] e che fu edificato da Fulgentio della Monica,
58 Cfr. Giuseppe Porzio, Ancora su Tanzio a Napoli. Nuove acquisizioni documentarie, «Storia
dell’arte», 141, 2015, nuova serie n. 41, pp. 53-62: 55, 60-61, per i dati riassunti a testo emersi
dai pagamenti.
59 Museo Novarese di Lazaro Agostino Cotta d’Ameno […], Milano, per gli Eredi Ghisolfi, 1701,
pp. 285-286, ora in Lazaro Agostino Cotta, Museo novarese. IV Stanza e giunte manoscritte. Introduzione e note critiche di Marina Dell’Omo, Torino, Centro Studi Piemontesi, 1994, pp. 31-32
e 54, n. 14, in cui la curatrice afferma: «Così veniva denominata la parte continentale del Regno
di Napoli. In Abruzzo […] Tanzio lascia due dipinti». La citazione da Scaramuccia, contenente
varianti adiafore rispetto alla stampa, risale all’edizione delle Finezze che cito a n. 61 e a testo. Si
deve a Terzaghi, Tanzio, Caravaggio e compagni, cit., pp. 19, 44, n. 4, la sollecitazione a considerare
in questa nuova luce la fonte lombarda («in mancanza di altri dati, il testo era stato inteso come
un generico riferimento abruzzese, dove le pale allora note andavano a concentrarsi»), già richiamata da Frangi, Itinerario di Tanzio da Varallo, cit., pp. 116-117 n. 16 («Com’è stato più volte precisato, per il Cotta il toponimo “Puglia” poteva benissimo includere anche gli attuali Abruzzi»).
184
FLORIANA CONTE
gentil’huomo leccese, si vede una cappella de’ gloriosi Apostoli di Christo Giacomo e Filippo, la quale il detto Fulgentio in quel tempo dotò di buone rendite e con
licenza del vescovo la fe’ iuspatronato della sua famiglia.
La pala d’altare con i Santi Giacomo minore e Filippo di Paolo Veronese (Dublino, National Gallery of Ireland) che ornava la cappella della villa
intitolata agli stessi apostoli (l’edificio è di proprietà privata, attualmente
è inaccessibile) è stata ricondotta alla propria storia leccese di recente.60
Quando Infantino scrive il proprietario della villa Della Monica è Giovanni
Antonio Albrizzi, la cui famiglia proviene da Bergamo. Le famiglie Della
Monica e Albrizzi appaiono impegnate con continuità nelle committenze
richieste al più celebre artista del Cinquecento veneto per importanti opere
pittoriche destinate a strategiche città pugliesi. Il padre di Giovanni Antonio Albrizzi, Giovanni Antonio I, marchese di Salice Salentino, ordina per
Santa Maria della Visitazione una Visitazione, distrutta da un incendio nel
1895; un altro parente, Andrea, viceconsole di Venezia a Ostuni tra il 1574
e il 1579, dona nel 1574 la Deposizione alla chiesa dell’Annunziata. Non stupirebbe, quindi, se la ricerca documentaria restituisse attestazioni relative
alla committenza a Tanzio da parte del ramo napoletano della medesima
famiglia Della Monica (o da parte degli Albrizzi) di pale d’altare o affreschi
destinati a centri pugliesi in cui operano rami della famiglia.
Il nesso Veronese-Tanzio, istituito da Luigi Scaramuccia nel Seicento
(ma accostamenti analoghi, con protagonisti diversi, si ripetono in forme
topiche a proposito di altri artisti secenteschi, sia nelle fonti sia nella bibliografia scientifica), valido ancora per Lazzaro Cotta nel Settecento, rafforza
l’ipotesi che commissioni della famiglia Della Monica e degli eredi di essa
siano state attribuite al pittore valsesiano. Se effettive e provate documentariamente, si inserirebbero senza soluzione di continuità nelle predilezioni
di stile veronesiano attestate dalle pale arrivate in Puglia per tutto il Cinquecento: «[…] il Genio e Girupeno […] assai rassomigliarono il genio di
lui a quello di Paolo da Verona, non mancandovi il buon dissegno, l’espressione, la vivacità e giustezza nelle teste, la facilità nel colorire ed il tutto
condito con amoroso finimento».61
60 Cfr. l’articolo di Andrea Fiore, La più bella pala d’altare del Cinqecento per Lecce, in
https://storiedellarte.com/2015/03/la-piu-bella-pala-daltare-del-cinquecento-per-lecce.html,
per la citazione da Infantino e i dati sulla pala di Veronese, in attesa di un ulteriore lavoro dello
stesso autore, Un lungo equivoco: i ‘Santi Giacomo minore e Filippo’ di Paolo Veronese da Lecce a Dublino, «Prospettiva» (in corso di stampa).
61 Cfr. Le finezze de’ pennelli italiani ammirate e studiate da Girupeno sotto la scorta e disciplina
del Genio di Raffaello d’Urbino (1674). Saggio biobibliografico, catalogo delle opere pittoriche dello Scaramuccia e indice analitico a cura di Guido Giubbini, Milano, Edizioni Labor, 1965, pp. 145-146,
trascritto per la prima volta nell’ambito degli studi critici su Tanzio da Laura Tioli, Antonio
RENDICONTO SU TANZIO DA VARALLO AL SUD
185
Ancora un dato. Appare degno di nota che Tanzio sia ingaggiato, contemporaneamente all’umbro Ippolito Borghese, per la decorazione della
stessa cappella Della Monica in San Francesco a Monteoliveto a Napoli (cfr.
n. 58). Dal 1601 all’inizio degli anni Venti, Borghese è autore di opere per il
territorio pugliese, agevolmente collegato a quello abruzzese per cui lavora
Tanzio (Madonna delle anime purganti per Santa Maria la Grotta a Carpignano salentino, Crocifissione per il Duomo di Lucera, Annunciazione per la
chiesa di San Benedetto a Manfredonia, Madonna e santi per la chiesa dei
Cappuccini di San Severo), tramite la propaggine estrema della Via degli
Abruzzi.62 Almeno una suggestione sia permessa. Potrebbe riferirsi all’ambito di Ippolito Borghese la malridotta tela con la Madonna col Bambino e san
Giovanni Battista, san Francesco d’Assisi, san Pasquale Baylon (o Pietro d’Alcantara?), san Francesco di Paola, sant’Antonio da Padova (fig. 32) nel presbiterio
della chiesa di Santa Teresa a Lecce. Per una risposta occorrerebbero verifiche puntuali, difficilissime al momento: la chiesa è di complicato accesso,
l’opera è molto lacunosa e necessiterebbe in primo luogo di una pulitura
che potrebbe rivelare, sullo sfondo, elementi iconografici ora invisibili. Ma
almeno un rilievo è possibile anche ora. Il Battista all’estrema sinistra del
quadro, apparentemente fuori luogo per l’accenno maldestro di esibizionismo muscolare, la capigliatura bionda e riccioluta e il ginocchio in piena
evidenza, sembra evocare modelli tanzieschi più volte replicati anche dalla
bottega (la cui consistenza e produttività tra Sud e Nord andranno opportunamente approfondite), tra il San Giovanni battista a Tulsa (fig. 31) e quello
all’Oberlin College in Ohio.63
d’Enrico (Tanzio), «R. Deputazione subalpina di Storia Patria. Bollettino della Sezione di Novara», XXXIII, 1939, pp. 233-248, 351-367: in particolare 237-238, nota 3.
62 Cfr. almeno Pierluigi Leone De Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli. 1573-1606. L’ultima maniera, Napoli, Electa Napoli, 1991, pp. 285-293, 315-316, 322-323, e Marino Caringella-Stefano Tanisi, Una Santa Teresa Ippolito Borghese nella chiesa delle Carmelitane Scalze di Lecce,
«Il delfino e la mezzaluna. Periodico della Fondazione Terra d’Otranto», agosto 2016, anno IV,
nn° 4-5, pp. 99-103.
63 Sul dipinto di Lecce esiste, dopo la segnalazione di Michele Paone, Chiese di Lecce, II,
Galatina, Congedo, 1979, p. 135, la scheda 53. Pittore napoletano del XVII secolo. Madonna e santi.
Olio su tela, cm 427 x 334. Lecce, chiesa di Santa Teresa di Nicola Fasano, in La Puglia, il manierismo
e la controriforma (Lecce, San Francesco della Scarpa, 15 dicembre 2012-8 maggio 2013; Bitonto, Galleria Nazionale della Puglia “Girolamo e Rosaria Devanna”, 5 dicembre 2012-8 aprile
2013), a cura di Antonio Cassiano e Fabrizio Vona, Galatina (LE), Congedo, 2013, pp. 283-285,
che avvicina una parte della «complessità stilistica dell’opera» ai modi di Ippolito Borghese, in
particolare per «l’angelo con il liuto» e la «cultura tardo-manierista di ambito napoletano». Sulla
«vitalità della bottega di Tanzio che produsse diverse copie di quadri e disegni», con particolare
riferimento a versioni dei suddetti san Giovanni Battista (anche su carta, stando a lotti apparsi
rispettivamente ad aste Sotheby’s, New York, 26 gennaio 1999 e Piasa, Parigi, Drouot Richelieu,
17 dicembre 1999) cfr. Richard P. Townsend, scheda 30. San Giovanni Battista nel deserto, Olio su
tela, 165.10 x 112.98 cm. The Philbrook Museum of Art, Tulsa, Gift of the Samuel H. Kress Foundation,
1944.2, in Tanzio da Varallo: realismo, cit., pp. 129-132: 132, con rinvio a un suo precedente lavoro,
186
FLORIANA CONTE
6. Esistono le condizioni perché in futuro possa rileggersi per intero la
storia della fama di Antonio d’Enrico, a partire dalla rassegna delle fonti
regestate da Laura Tioli.64 Dal suo studio risulta, tra l’altro, che nella fortuna storica di Tanzio ha un ruolo il nonno di Carlo Dionisotti, omonimo
«magistrato vercellese, costruttore della casa di Romagnano, segretario della Deputazione di Storia patria durante la presidenza Sclopis di Salerano.
Storico di una magistratura che nel mondo sabaudo ebbe un’importante
funzione politica, lo studioso manteneva nello scrivere “una mano pesante”; come poi confessò lo stesso nipote, subito commentando: “che Dio lo
rimeriti”».65
Appendice
1. Un capitolo nuovo nella storia della fama di Tanzio potrà venire anche da una rassegna delle opere oggi concordemente attribuite ad artisti di
A voice in the Wilderness: Tanzio da Varallo’s Life, his Works, and the Iconography of St. John the Baptist, in Caravaggio and Tanzio. The Theme of St. John the Baptist, catalogo della mostra (Philbrook
Museum of Art, 1995), a cura di Richard P. Townsend – Roger B. Ward, Tulsa, Nelson-Atkins
Museum of Art, 1995, pp. 21-45: 34-35, 44 n. 35, 52-56 (con tavole e bibliografia precedente),
per una replica «probabilmente» autografa (in collezione privata a Milano), un «buon dipinto
di scuola» (in collezione privata inglese) variante di quest’ultimo e due ulteriori copie presso
l’Orfanatrofio di Santa Lucia a Novara e sul mercato parigino entro il 18 luglio 1995. Carla
Falcone, scheda 82-83. Gaudenzio Ferrari. Putto in piedi che suona l’arpa. Putto in piedi che suona
la viola, in Il Rinascimento di Gaudenzio Ferrari, catalogo della mostra (Varallo-Vercelli-Novara,
24 marzo-1 luglio 2018, fino al 16 settembre 2018 a Varallo), a cura di Giovanni Agosti e Jacopo
Stoppa, fotografie di Mauro Agliani, Milano, Officina Libraria, 2018, pp. 459-462: 462: «nella
raccolta Calderara Pino […] non mancavano opere valsesiane (tra cui un grande San Giovanni
riferito a Tanzio» (ho avuto rapido accesso al catalogo il 26 giugno 2018, quando questo testo
era ormai alle seconde bozze, nelle quali è stato possibile aggiornare i riferimenti a Gaudenzio
soltanto in questa nota). Sulla collezione cfr. Alessandro Morandotti, Le stampe di traduzione: il caso di Milano fra età napoleonica e restaurazione, in Id., Il collezionismo in Lombardia. Studi
e ricerche tra ’600 e ’700, Milano, Officina Libraria, 2008, pp. 77-134: 110, n. 49, con riferimento
alla collezione suddetta celebrata nelle guide di Milano, a cominciare da quella di Serviliano
Latuada, Descrizione di Milano ornata con molti disegni in rame delle fabbriche più cospicue che si trovano in questa metropoli, 5 tomi, Milano, Giuseppe Cairoli, 1737-1738; riprodotto integralmente
a cura di Gerardo Mastrullo, Milano, Edizioni La Vita Felice, II, 1737, p. 127: «Casa Calderara.
Molti dipinti», e incisa da Gaetano Zancon: Galleria inedita raccolta da privati gabinetti milanesi
ed incisa in rame da Gaetano Zancon, Milano 1812, e Giovanni Palamede Carpani-Gaetano Zancon, Raccolta delle migliori dipinture che si conservano nelle private gallerie milanesi disegnate ed incise
da Gaetano Zanconi, brevemente descritte da Gio. Palamede Carpani e pubblicate da Carlo Aliprandi,
Milano, tipografia de’ Classici Italiani, 1813.
64 Tioli, Antonio d’Enrico (Tanzio), cit., pp. 235-241 note 1-17; XXXIV, 1940, pp. 70-103,
172-186.
65 Cito da Claudia Villa, Per Carlo Dionisotti: «piemontese», in Carlo Dionisotti: geografia e
storia di uno studioso, a cura di Elena Fumagalli, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2001,
pp. 7-23: 10.
RENDICONTO SU TANZIO DA VARALLO AL SUD
187
provenienza lombarda attivi nel secolo precedente o in altra area, ma un
tempo attribuite a Tanzio. Di seguito riassumo due casi.
Stephen Pepper ha attribuito a Tanzio il dipinto presso il Dallas Museum of Art [DMA] pubblicato di recente da Francesco Petrucci con l’assegnazione al ticinese Pier Francesco Mola come Autoritratto in vesti rinascimentali (inv. 1953.58; fig. 33).66 L’attribuzione si basa sulla presunta affinità
tra la fotografia del dipinto, sottoposta allo studioso dall’allora direttore
Stephen Nash, e la riproduzione del Ritratto d’uomo di Tanzio a Brera nota
a Pepper dal catalogo della mostra Lombard Paintings c. 1595-c. 1630. The Age
of Federico Borromeo del 1974.67 Il quadro è approdato a Dallas dopo il 1953.
L’«object summary report», resomi noto dalla cortesia di Olivier Meslay
e di Hannah Fullgraf del DMA (con comunicazioni scritte del 23 maggio
2013), a proposito della provenienza del dipinto dichiara: «Purchased by
the Dallas Art Association, Trustee Acquisition Fund in 1953 from P.D.
French and Company (210 East 57th Street, New York 22, New York)»;
dalle «historical attributions» indicate nel medesimo «report» emerge che
il ritratto era perfino: «Originally attributed to Salvator Rosa, Italian, 16151673. Reattributed on 5/10/1983 to Tanzio de Varallo, Italian, c. 1575-c.
1633». Hannah Fullgraf precisa che: «Unfortunately, there is not much information related to the painting’s provenance or exhibition history. […]
Currently, it is attributed to “Italian School”», aggiungendo: «The painting
was attributed to Tanzio by Stephen Pepper and agreed upon by the former director, Stephen Nash in 1983. It was un-attributed by our associate
curator Heather MacDonald in 2009. To my knowledge, the painting was
never published in a book or article by being by the hand of Tanzio. It was
merely recorded in our files and on the paintings label when it hung in
galleries».
2. Nel 1970 Roberto Longhi segnala «quel recupero molto importante
che è il Sant’Angelo carmelitano, comperato – chissà perché – come Tanzio
per la Galleria Sabauda di Torino [inv. 702] ma già dal Pouncey (Italian Drawings…in the British Museum. Raphael and his circle, 1962, p. 116) riconosciuto
come uno degli sportelli della pala per la chiesa del Carmine a Messina, ci66 Francesco Petrucci, scheda A2. Autoritratto in vesti rinascimentali con vanitas, in Pier
Francesco Mola (1612-1666). Materia e colore nella pittura del ’600, Roma, Ugo Bozzi Editore, 2012,
p. 228, registra anche un’attribuzione «a Pietro Paolini», successiva a quella riferita a Tanzio.
Condivisibile lo scetticismo dichiarato da Federico Fischetti, Un nuovo autoritratto di Pier Francesco Mola e alcune considerazioni sulla sua tecnica pittorica, «Bollettino d’arte», s. VII, XCVII, 13,
gennaio-marzo 2012, pp. 111-124: 121, nota 6 a proposito dell’attribuzione a Mola e della pertinenza del dipinto all’ambito “lombardo”.
67 Peter Cannon-Brookes, Lombard Paintings c. 1595-c. 1630. The Age of Federico Borromeo,
Birmingham, City Museums and Art Gallery, Birmingham and London, James Upton Ltd,
1974, pp. 216-217.
188
FLORIANA CONTE
tata e descritta dal Susinno» (fig. 34).68 Longhi si interroga sull’attribuzione
a Tanzio del dipinto spettante a Polidoro da Caravaggio (e raffigurante in
realtà sant’Alberto; sant’Angelo è nell’altra anta del polittico del Carmine),
che si spiega difficilmente con ragioni di stile e/o iconografiche.
Devo alla cortesia di Massimiliano Caldera il resoconto dettagliato (inviatomi con comunicazioni scritte del 7 e del 18 dicembre 2014) 69 di una
ricerca nell’Archivio storico della Soprintendenza torinese. Trascrivo di seguito per intero:
Il fascicolo dell’acquisto per prelazione è nell’Archivio Storico [della Soprintendenza per i Beni storici, artistici ed etnoantropologici del Piemonte, Torino],
16, VIII, Diritto di prelazione. Dipinto presentato a Domodossola per l’esportazione dalla
sig.ra Gracis Maria Teresa, rappres. S. Giovanni della Croce, 1957-1958 […]: il 9 ottobre 1957 la ditta S.A.I.M.A. di Domodossola presenta all’Ufficio Esportazione
di Torino per conto di Maria Teresa Gracis di Treviso un dipinto “raffigurante
santo con giglio”: l’opera, per un valore dichiarato di 250.000 [lire], è destinata
a François Hein di Parigi; il 16 ottobre il Soprintendente di Torino, Noemi Gabrielli, che ha trattenuto il dipinto, scrive al collega di Venezia, Vittorio Moschini,
chiedendo un parere sull’opera che “pare provenga dal Veneto” allegando due
fotografie in bianco e nero, fatte eseguire da lei. Dalle immagini – sono due particolari – si vede come la tavola, garzata e in cattive condizioni, è stata ampiamente
ridipinta con un risultato effettivamente tanzieggiante, soprattutto nella figura
dell’angelo in basso; il 17 Moschini risponde subito: “Secondo quanto mi risulta il
dipinto, recante una attribuzione al Lotto (?), era qui presso il Prof. Pospisil ma non
come si presenta nelle fotografie da Lei inviate, eseguite forse prima del restauro.
Non comprendo bene come stia questa faccenda e attendo da Lei chiarimenti,
ovviamente con la fotografia del quadro nelle condizioni attuali. Se le fotografie
da Lei trasmesse sono appunto quelle corrispondenti a tali condizioni stia molto
attenta e faccia radiografare il dipinto perchè almeno quella veduta di rovine deve
essere stata aggiunta”. Il 22 parte per Torino una seconda lettera di Moschini che
informa Gabrielli del risultato di una prima inchiesta informale: “avendo noi chiesto al Prof. Pospisil […] di vedere il dipinto che dovrebbe essere simile a quello
costà presentato, egli ci ha detto di non poterci accontentare avendo mandato il
quadro a Milano per restauro. Comincio quindi a pensare che possa trattarsi di
Roberto Longhi, Un apice di Polidoro da Caravaggio [1970], in Id., Opere complete, VIII2,
Firenze, Sansoni, 1976, poi in Id., Disegno della pittura italiana, 2 voll., a cura di Carlo Volpe, II.
Da Leonardo a Canaletto, Firenze, Sansoni, 1979, pp. 35-39: 35-36.
69 Caldera informa anche che: «Il contenuto della scheda OA su Polidoro è confluito (con
alcune note bibliografiche) nel catalogo on-line della mostra dei capolavori della Galleria Sabauda Torino-Europa curata dalla Gabrielli: […] http://www.galleriasabauda.beniculturali.it/
catalogo/#page/252. Per la riapertura è stato predisposto, sempre in versione e-book, un secondo catalogo dal titolo La Nuova Galleria Sabauda: http://www.galleriasabauda.beniculturali.it/catalogo/#page/252) dove sono state rimpastate (senza bibliografia e anonime, questa
volta) le schede del volume precedente, più, ovviamente, quelle delle opere non presenti nella
prima esposizione».
68
RENDICONTO SU TANZIO DA VARALLO AL SUD
189
un unico quadro e che qualche interessato abbia ritenuto, a torto, di poterlo più
facilmente esportare presentandolo alla frontiera”. Il 19 […] Gabrielli risponde,
precisando: “La tavola è stata assottigliata e ad essa è stata applicata una grigliatura per raddrizzarla. Le misure sono: m. 1,67 x m. 1,03. È stata molto pulita credo
con solventi energici per cui il colore ha perduto parte della sua consistenza e poi
verniciata, ed ha ora la garza applicata nei punti vi erano sollevamenti. Lo spedizioniere a cui è stato affidato per l’esportazione sa soltanto che la provenienza è
per Treviso. Se il dipinto interessa la Sua pinacoteca, non se ne potrebbe proporre
l’acquisto al Ministero?”. Chiude la lettera con un monte di complimenti a Moschini per il nuovo allestimento delle Gallerie dell’Accademia (“Qui si sente che il
direttore ha guidato l’architetto e non viceversa, come invece è accaduto a Milano
al Castello” […]). In parallelo Gabrielli fa partire immediatamente la prelazione: al 9 ottobre data il verbale della commissione per l’esercizio della prelazione,
redatto a Domo nei magazzini della S.A.I.M.A. e firmato, oltre che dal Soprintendente, anche dagli altri due membri: Anna Maria Brizio ed Ercole Cecchi: il
dipinto, identificato come “Santo carmelitano (S. Giovanni della Croce?)”, è detto
essere “vicino allo stile del Tanzio del tempo di San Gaudenzio di Novara, è di
buona qualità” e se ne propone l’acquisto da parte dello Stato per il valore dichiarato. Il 22 ottobre Gabrielli scrive alla Direzione Generale Antichità e Belle Arti:
“È stato fermato a Domodossola da quest’Ufficio un dipinto presentato per l’esportazione, rappresentante S. Giovanni della Croce, carmelitano scalzo. L’opera
ad olio su tavola è stata di recente verniciata e rinforzata con una fitta grigliatura
e misura m. 1,67 x 1,03 e le è stato attribuito un valore di duecentocinquantamila
lire. È un dipinto del primo Seicento, vicino allo stile del Tanzio all’epoca della
cappella dell’Angelo custode di San Gaudenzio di Novara, interessante non solo
dal punto di vista dell’arte, ma anche per l’iconografia. È un ritratto che riproduce con estrema evidenza la personalità del Santo carmelitano. La prof. Brizio ha
confermato l’importanza del dipinto e concorda con la commissione di quest’Ufficio per chiedere – da parte dello Stato – l’esercizio del diritto di prelazione”. Il
Ministero acconsente ed acquista la tavola l’11 novembre. Seguono alcune lettere
alla Soprintendenza di Torino da parte di un avvocato di Milano che, in rappresentanza della proprietaria, chiede alcuni chiarimenti procedurali (nulla però di
particolarmente interessante).70
70 Alessandro Marabottini, Polidoro da Caravaggio, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1969, 2
voll., I. Testo, pp. 193, 277, nota 197, segnala l’acquisizione del dipinto da parte della Sabauda
con l’attribuzione ad «Antonio Tanzio (?)» e l’identificazione con san Giovanni della Croce
(confutate entrambe convincentemente dallo studioso) nel «Ragguaglio delle Arti. Incremento
del Patrimonio Artistico Italiano», a cura di Maria Vittoria Brugnoli, I, 1954-1958, p. 213, dal
quale lo studioso non ricava notizie sulla provenienza del quadro, precisando: «Per quanto ho
potuto sapere, il quadro fu acquistato da un antiquario italiano sul mercato di Londra. Importato in Italia, veniva successivamente presentato per l’esportazione. Lo Stato Italiano esercitava
allora il diritto di prelazione. È dunque importante osservare che l’opera era in Inghilterra sino
alla metà di questo secolo». Le informazioni emerse dallo spoglio archivistico di Massimiliano
Caldera riportate a testo aggiungono dunque i tasselli mancanti alla storia del rientro in Italia
dell’opera.
190
FLORIANA CONTE
In questo caso per la spiegazione dell’equivoco attributivo si chiamano in causa in primo luogo lo stato conservativo dell’opera al momento
del ritrovamento e anche la fortuna espositiva ed editoriale di cui Tanzio e
l’arte valsesiana (e piemontese in generale), cominciano a godere in quegli
anni, con fortuna crescente.71 Nel 1955 Testori porta alla ribalta gli otto più
grandi artisti riuniti sotto la comune etichetta del manierismo piemontese
e lombardo del Seicento con la mostra di Torino, dedicando ai David di
Tanzio pagine ispirate.72 Appare di difficile spiegazione il fraintendimento
attributivo da parte di una funzionaria che nella Sabauda aveva davanti agli
occhi ben due opere autografe di Tanzio, Giacobbe e Rebecca e I santi Pietro e
Marco, acquisite rispettivamente nel 1872 e nel 1946.73
71 Prima della mostra del 1959, all’attività di Tanzio a Varallo aveva prestato attenzione
Pietro Galloni, Sacro Monte di Varallo, Varallo, Zanfa, 1914, pp. 261, 279, 280, 289, 298, 311317, 377, 413, subito valorizzato dalla recensione di Roberto Longhi apparsa in «L’Arte», XX,
9, 1917, p. 180, num. 83 (l’importanza del breve resoconto longhiano è rilevata da Giovanni
Agosti, Testori a Varallo, in Testori a Varallo. Sacro Monte, Santa Maria delle Grazie, Pinacoteca e
Roccapietra. Guida ai capolavori, a cura di Davide Dall’Ombra, Cinisello Balsamo (MI), Silvana
Editoriale, 2005, pp. 141-159: 145); a Roberto Longhi, Note in margine al catalogo della mostra
sei-settecentesca del 1922, in Scritti giovanili. 1912-1922, 2 voll., Firenze, Sansoni, 1980, I, pp. 493512: 511, spettava l’aver inserito Tanzio nel circuito dei grandi maestri del secolo, attribuendogli
il San Sebastiano allora presso l’antiquario Tomei (ora presso la National Gallery of Art di Washington, Samuel H. Kress collection, inv. 19.39.1.191), e facendolo esporre alla mostra fiorentina del 1922; Alessandro M. Viglio, Il contratto fra il pittore Antonio D’Enrico (Tanzio) e Ottavio
Nazzari per i dipinti della cappella dell’Angelo in san Gaudenzio di Novara, «Bollettino storico per la
provincia di Novara», XVI, II, 1922, pp. 116-119, aveva pubblicato il documento di allogazione
della cappella chiamata in causa da Gabrielli per l’attribuzione; Tioli, Antonio d’Enrico (Tanzio),
cit., aveva dedicato al d’Enrico il primo studio monografico; Longhi, Ultimi studi sul Caravaggio
e la sua cerchia, cit., nel 1943, era tornato sull’attività meridionale dell’artista; alle fondamentali
precisazioni di Longhi avevano fatto seguito le ipotesi di Ferdinando Bologna, Altre prove del
viaggio romano del Tanzio, «Paragone/Arte», IV, 45, 1953, pp. 39-45.
72 Mostra del manierismo piemontese e lombardo del Seicento: sessanta opere di Moncalvo, Cerano, Morazzone, Procaccini, Tanzio, D. Crespi, Nuvoloni, Del Cairo, catalogo della mostra (Torino,
Museo Civico d’Arte Antica e Palazzo Madama, 6 maggio-26 giugno 1955; Ivrea, Olivetti SpA,
Centro Culturale, 1°-15 luglio 1955), Torino, Museo civico di Torino, 1955, pp. 30-32, 53-56 e
figg. 33-43.
73 Noemi Gabrielli, La Galleria Sabauda a Torino, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato,
Libreria dello Stato, 1959, p. 30, non menziona il dipinto sotto la voce Tanzio (Antonio d’Enrico), sotto la quale compaiono esclusivamente i due dipinti allora attribuiti concordemente al
pittore con i titoli La concezione di sant’Anna (inv. 461) e Due evangelisti (inv. 694), salvo precisare
che il pittore «non è rappresentato in Pinacoteca nei momenti più felici; mentre stupende sono
le opere dove […] il contorno si articola sulle armonie festose di putti e di strumenti musicali
come a San Gaudenzio di Novara» (p. 8); successivamente la stessa Autrice, Galleria Sabauda.
Maestri italiani, ricerca bibliografica di Carlo Caramellino, Torino, Edizioni Ilte, 1971, pp. 207208, informa della presenza del dipinto sul mercato antiquario londinese con l’attribuzione a
Lotto, dopo un restauro destinato a contraffare l’aspetto del dipinto; tace l’attribuzione con la
quale ella stessa ne promuove l’acquisto per la Sabauda nel 1957, limitandosi a rilevare le peculiarità dell’opera, anticipatrici di un «luminismo secentesco»; a p. 243, s. v. Tanzio da Varallo (Antonio d’Errico detto), Gabrielli scheda i due dipinti suddetti con i titoli invalsi, Giacobbe e Rebecca e
I santi Pietro e Marco, che comparivano già nella nuova edizione della guida del 1959 (cfr. supra):
RENDICONTO SU TANZIO DA VARALLO AL SUD
191
Del resto,
una confusione con Michelangelo da Caravaggio [è] sempre possibile evidentemente, dato che v’incorse perfino il Berenson […]; scrittori dell’Ottocento poterono vedere nel nostro [Polidoro] “un sentito naturalismo” (Kugler), un “naturalismo violento”, “una volgarità per la prima volta considerata condizione essenziale
dell’energia” (Burckardt): che sarebbero poi le “licenze” accusate dal Mengs, in cui
Polidoro sarebbe caduto “per voler essere facile”: una qualificazione che trascina
il primo pittore di Caravaggio presso la storia del gusto in un destino consimile a
quello del Merisi. La sua fortuna presso gli scrittori originali di cose d’arte era tramontata col Lanzi: e non risorse finché a stento non si recuperò la sua fisionomia
raffaellesca tra le rovine delle facciate romane.74
In effetti la bibliografia scientifica dedicata a Polidoro fino al 1957 è concentrata prevalentemente sulla sua attività di decoratore, mentre bisogna
aspettare il 1961 per il primo vero e proprio consuntivo monografico, che si
deve a un articolo di Evelina Borea.75 Inoltre il Sant’Angelo carmelitano viene
fermato a Domodossola, dove si trova la pala con San Carlo che comunica gli
appestati, anche se la cronologia ipotizzata da Gabrielli è più tarda, prossima alle opere in San Gaudenzio a Novara.76
Floriana Conte
cfr. Noemi Gabrielli, La Galleria Sabauda a Torino, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, Libreria dello Stato, 1965 p. 33. La lacunosità e l’incompletezza del catalogo del 1971 è stigmatizzata
dalla stroncatura di Federico Zeri, recensione a Noemi Gabrielli, Catalogo dei dipinti italiani
nella Galleria Sabauda, «Quaderni di emblema: studi di storia dell’arte», II, 1973, pp. 103-108.
74 Così Evelina Borea, Vicenda di Polidoro da Caravaggio, «Arte antica e moderna», IV,
1961, pp. 211-227: 223. Pierluigi Leone de Castris, scheda IX.1 A Messina 1528-1534. Il polittico
del Carmine, in Polidoro da Caravaggio fra Napoli e Messina, catalogo della mostra (Napoli, Museo
e Gallerie Nazionali di Capodimonte, 11 novembre 1998-15 febbraio 1989), a cura di Pierluigi
Leone de Castris, Milano-Roma, Arnoldo Mondadori Editore-De Luca Edizioni d’Arte, pp. 103118: 108, giustifica con «la dose di naturalismo contenuta in questa rappresentazione» e con la
«luce forte e vera che giustifica in parte e spiega l’errore di un secolo a favore del “caravaggesco” Tanzio da Varallo».
75 Si evince dal Consuntivo bibliografico in appendice a Maurizio Marini, Polidoro Caldara
da Caravaggio. L’invidia e la fortuna, Venezia, Marsilio, 2005, pp. 98-111, nel quale – tenuto conto
dell’attraente sottotitolo – si cerca invano un’analisi della fortuna storica dell’artista, ancora
oggi da tracciare compiutamente. Cfr. n. 74 per il lavoro della Borea.
76 Secondo Gabrielli, Galleria Sabauda: maestri italiani, cit., pp. 207-208, scheda 702, acquistato il 9 ottobre 1957 all’ufficio esportazione di Domodossola. Alessandro Marabottini riconosce nella tavola la parte superiore destra del polittico in sei scomparti eseguito da Polidoro per
la chiesa dei Carmelitani di Messina descritto dal Susinno; non parla dell’attribuzione a Tanzio
ma solo di anticipazione del «luminismo seicentesco».
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Fig. 1. Antonio d’Enrico detto Tanzio da Varallo, Madonna di Costantinopoli con san Bernardino
da Siena, san Francesco d’Assisi, santa Chiara, santa
Margherita e Pompa De Matteis D’Amata, 1614, olio
su tela, cm 289 × 198, Pescocostanzo, basilica di
Santa Maria del Colle. Fig. 2. Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Madonna del Rosario, 1606,
olio su tela, cm 364,5 × 249,5, Vienna, Kunsthistorisches Museum. Fig. 3. Antonio d’Enrico detto
Tanzio da Varallo (attribuito), Circoncisione con i
santi Francesco d’Assisi e Carlo Borromeo, post 1610,
entro il 1617, olio su tela, cm 240 × 153, Fara San
Martino (CH), parrocchiale di San Remigio.
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Fig. 4. Domenico Fiorentino, Gli Angeli e i simboli della Passione, 1545-1548 ca. Da Michelangelo, Giudizio
universale, Città del Vaticano, Cappella Sistina. Fig. 5. Giorgio Ghisi, Gli Angeli e i simboli della Passione,
1545-1550 ca., in Il Giudizio universale, serie, 1545-1550. Da Michelangelo, Giudizio universale, Città del
Vaticano, Cappella Sistina.
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Fig. 6. Antonio d’Enrico detto Tanzio da Varallo, Ascensione di Cristo, 1631-1632, affresco,
particolare, Milano, chiesa di Sant’Antonio abate (foto dell’autrice). Fig. 7. Vincenzo Campi, Ascensione di Cristo, 1588, affresco, particolare, Milano, chiesa di San Paolo Converso.
Fig. 8. Giovambattista Crespi detto Cerano, Angelo, 1604, affresco, particolare, Milano, chiesa
di Santa Maria dei miracoli presso San Celso, seconda campata a destra (foto dell’autrice).
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Fig. 9. Antonio d’Enrico detto Tanzio da Varallo, Ascensione di Cristo, 1631-1632, affresco, particolare,
Milano, chiesa di Sant’Antonio abate (foto dell’autrice). Fig. 10. Giovambattista Crespi detto Cerano,
Angelo, 1603, affresco, particolare, Milano, chiesa di Santa Maria dei miracoli presso San Celso, prima
campata a destra, cappella di santa Caterina da Siena (foto dell’autrice).
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Fig. 11. Antonio d’Enrico detto Tanzio da Varallo, Carlo Borromeo comunica gli appestati, 1616, olio
su tela, cm 258 × 156, Domodossola (VB), chiesa dei Santi Gervasio e Protasio. Fig. 12. Bartolomeo Suardi detto il Bramantino, Madonna con il Bambino tra i santi Ambrogio e Michele arcangelo
(trittico di San Michele), 1505, tavola, cm 122 × 157, Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana,
Pinacoteca.
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Fig. 13. Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Madonna di Loreto (o dei pellegrini), 1603-1606, olio su tela, cm 260 × 150, Roma, chiesa di Sant’Agostino. Fig. 14. Raffaello, Trasfigurazione, ante 1520, olio su tavola, particolare,
cm 405 × 278, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana. Fig. 15. Antonio
d’Enrico detto Tanzio da Varallo, Madonna di Costantinopoli con san Bernardino da Siena, san Francesco d’Assisi, santa Chiara, santa Margherita e Pompa De
Matteis D’Amata,1614, olio su tela, particolare, cm 289 × 198, Pescocostanzo,
basilica di Santa Maria del Colle. Fig. 16. Raffaello, profeta Isaia, affresco,
1511-1512, cm 250x155, Roma, basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio.
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Fig. 17. Bartolomeo Suardi detto il Bramantino,
Noli me tangere, 1498-1500 ca., affresco staccato
e trasportato su tela, cm 214 × 105, Milano, Castello Sforzesco, Civiche raccolta d’Arte Antica,
Pinacoteca. Fig. 18. Gaudenzio Ferrari, Martirio
di santa Caterina, 1540, olio su tavola, particolare,
cm 331 × 210, Milano, Pinacoteca di Brera.
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Fig. 19. Antonio d’Enrico detto Tanzio da Varallo, Madonna di Costantinopoli con san Bernardino
da Siena, san Francesco d’Assisi, santa Chiara, santa
Margherita e Pompa De Matteis D’Amata,1614, olio
su tela, particolare, cm 289 × 198, Pescocostanzo,
basilica di Santa Maria del Colle. Fig. 20. Antonio Campi, Santa Caterina alimentata in carcere
dagli angeli mentre l’imperatrice Faustina e il generale Porfirio vengono a visitarla, 1584, olio su tela,
particolare, cm 400 × 500 cm, Milano, chiesa di
Sant’Angelo.
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Fig. 21. Antonio Campi, Martirio di
santa Caterina, 1583, olio su tela, particolare, cm 400 × 500, Milano, chiesa
di Sant’Angelo. Fig. 22. Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Martirio di san Matteo, 1599-1600, olio su
tela, particolare, cm 322 × 340, Roma,
chiesa di San Luigi dei Francesi.
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Fig. 23. Antonio d’Enrico detto Tanzio da Varallo, Madonna di Costantinopoli con san Bernardino da Siena,
san Francesco d’Assisi, santa Chiara, santa Margherita e Pompa De Matteis D’Amata,1614, olio su tela, particolare, cm 289 × 198, Pescocostanzo, basilica di Santa Maria del Colle. Fig. 24. Alessandro Bonvicino
detto il Moretto, Elia confortato dall’angelo, 1530-1535, olio su tela, particolare, cm 214 × 247, Brescia,
Duomo vecchio.
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Fig. 25. Antonio d’Enrico detto Tanzio da Varallo, Martirio di san Lorenzo, 1608-1610 ca.,
olio su rame, cm 41 × 33, Roma, collezione
privata. Fig. 26. Ambrogio Figino, San Matteo e l’angelo, 1586-1588 olio su tavola, cm 220
× 130, Milano, chiesa di San Raffaele arcangelo. Fig. 27. Ambrogio Figino, La Madonna del
serpe, 1583, olio su tela, Milano, basilica di San
Nazaro maggiore. Fig. 28. Simone Peterzano, San Matteo e l’angelo, 1580-1582, affresco,
particolare, Milano, Certosa di Garegnano.
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Fig. 29. Antonio d’Enrico detto Tanzio da Varallo, San Francesco riceve le stimmate, 1611-1614 ca.,
olio su tela, cm 100 × 76, Milano, collezione Koelliker. Fig. 30. Antonio d’Enrico detto Tanzio da
Varallo, San Francesco riceve le stimmate, 1611-1614
ca., olio su tela, particolare, cm 100 × 76, Milano,
collezione Koelliker. Fig. 31. Antonio d’Enrico
detto Tanzio da Varallo, San Giovanni Battista nel
deserto, 1620-1625 o 1627-1629 ca., olio su tela, cm
165.10 × 113.98, Tulsa, The Philbrook Museum
of Art, Gift of the Samuel H. Kress Foundation.
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Fig. 32. Anonimo secentesco, Madonna col Bambino e san Giovanni Battista, san Francesco d’Assisi, san Pasquale Baylon (o Pietro d’Alcantara?), san Francesco di Paola, sant’Antonio da Padova, olio su tela, cm 427 ×
334, Lecce, chiesa di Santa Teresa.
Fig. 33. Ritratto d’uomo con teschio e rosa, metà del XVII sec., olio su tela, cm 74.295 × 60.96, Dallas, Museum of Fine Arts (foto Dallas, Museum of Fine Arts).
Fig. 34. Polidoro da Caravaggio, Sant’Alberto carmelitano, primi anni Trenta
del XVI sec., tempera su tavola trasportata su tela, cm 168,5 × 105,5, Torino, Galleria Sabauda.
INDICE GENERALE
PARTE I
Critica Letteraria
Alessandro Metlica, Marino e le feste di corte (1608-1609). Caroselli e tornei tra Torino e Parigi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Pag .
3
Luca Piantoni, Le Lettere amorose di Margherita Costa tra sperimentalismo e ‘divertissement’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
33
Claudia Tarallo, Un malnoto capitolo del petrarchismo arcadico:
il Saggio delle rime amorose di Alessandro Marchetti . . . . . .
»
53
Giovanni Bianchini, Emilio Vezzosi (1563-1637), filosofo, medico,
insegnante, accademico, «devotissimo» alla famiglia Medici . . .
»
97
Jadwiga Miszalska, Le relazioni dei gesuiti sulle missioni all’Estremo Oriente nella Polonia del primo quarto del XVII secolo . . . . .
»
115
Mattia Biffis, «Barberino gli volse donare un quadro»: Francesco
Barberini, Walter Leslie e una nuova traccia documentaria per il
Bacco e Arianna di Guido Reni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
145
Floriana Conte, Rendiconto su Tanzio da Varallo al Sud . . . . . .
»
163
»
195
Parte II
Vita e Cultura
Parte III
Bibliografia e Documentazioni
Marco Albertoni, Vendetta e carriera: il nunzio Decio Francesco
Vitelli e Ferrante Pallavicino. Ipotesi e documenti provenienti
dall’Archivio Segreto Vaticano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
INDICE GENERALE
Clizia Carminati – Davide Zambelli, Lettere di Giovan Vincenzo Imperiale a Virgilio Malvezzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Alfonso Mirto, Lettere di Antonio Magliabechi a Michel Germain
e a Jean Mabillon . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Pag . 225
»
271
»
313
Schede secentesche (LXVII-LXVIII) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
LXVII – Anna Siekiera, Le vicende editoriali delle Osservationi intorno al parlare, e scriver toscano di Giovanbattista
Strozzi, il Giovane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
LXVIII – Claudia Tarallo, Seminario CISS 2018 . Le accademie del Seicento: prospettive di ricerca . . . . . . . . . . . . . . . .
»
313
»
317
Indice dei nomi e delle cose notevoli (a cura di Davide Conrieri e Andrea Lazzarini) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
319
FINITO DI STAMPARE
PER CONTO DI LEO S . OLSCHKI EDITORE
PRESSO ABC TIPOGRAFIA • CALENZANO (FI)
NEL MESE DI LUGLIO 2018
ISSN 0081-6248
ISBN 978 88 222 6586 9