LORENZO
DE
LELLIS
IL MONASTERO SUBLACENSE E LE SUE TERRE:
UN’ANALISI TERRITORIALE
La presenza dell’abbazia benedettina ed il suo forte radicamento
territoriale, oltre a determinare in larga misura le vicende politiche
della media valle dell’Aniene nel corso del medioevo, furono anche
ispiratrici delle dinamiche del popolamento 1 e dello sfruttamento
delle risorse in area sublacense. Il riflesso delle politiche abbaziali, tuttavia, si estese anche al di fuori dei limiti propri della valle dell’Aniene, interessando buona parte dell’area laziale compresa tra la città di
Roma e la bassa valle dell’Aniene. In questo comprensorio territoriale si trovava infatti un’ampia parte dei beni fondiari ed immobili posseduti ed amministrati dal cenobio sublacense.
All’interno di questa macro-area si è scelto di indagare 2 il re1. Si veda in proposito il contributo di Giorgia Maria Annoscia in questo stesso
volume.
2. La presente ricerca è nata all’interno del progetto di ricerca sulla Valle Sublacense
portato avanti dalle cattedre di Archeologia e Topografia Medievale della Sapienza Università di Roma, sotto la direzione delle professoresse Letizia Ermini Pani e Francesca
Romana Stasolla, con il contributo scientifico di Giorgia Maria Annoscia. Per i primi risultati del progetto si vedano: L. ERMINI PANI- F. R. STASOLLA- G. M. ANNOSCIA- S. CARATOZZOLO, La Valle Sublacense nel Medioevo: il caso di Cervara di Roma, in Temporis Signa.
Archeologia della tarda antichità e del medioevo, II (2007), pp. 1-39; F. R. STASOLLA- G. M.
ANNOSCIA- S. DEL FERRO, Il ruolo delle signorie monastiche nell’articolazione del popolamento
del Lazio medievale, in Geografie del popolamento. Casi di studio, metodi e teorie. Atti del
Convegno (Grosseto, 24-26 settembre 2008), in c.s. (www.archeogr.unisi.it/geografiedelpopolamento); G. M. ANNOSCIA, L’incastellamento nella Valle Sublacense, in Archeologia
castellana in Italia centro-meridionale Atti del Convegno (Roma - CNR, 27-28 Novembre
2008), in c.s.; F. R. STASOLLA, Temi e problemi nel rapporto tra castra e territoria, in Archeologia castellana in Italia centro-meridionale. Atti del Convegno (Roma, CNR, 27-28 Novem-
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gime dello sfruttamento agricolo cui furono soggette le terre di
pertinenza del monastero sublacense nel corso del medioevo, partendo dalla base documentaria offerta dal corpus dei documenti
contenuti nel Regesto Sublacense edito da Allodi e Levi 3. Partendo dalla lettura delle carte si è quindi proceduto alla costruzione di una banca dati informatizzata 4, nella quale sono confluite
tutte le menzioni relative agli usi agricoli ed alle strutture accessorie presenti nei documenti. Nel corso di questo processo, particolare risalto hanno ricevuto i dati relativi alla contrattualistica agraria, alle essenze arboree citate e alla toponomastica relativa. Per
quanto questo insieme di dati costituisse di per sé un primo terreno di analisi utile ai fini di una generica quantificazione dei beni
abbaziali e delle relative politiche, si è comunque ritenuto fondamentale sottolinearne le relazioni con il piano geografico-spaziale,
al fine di poterne approntare una lettura che non fosse pura enumerazione quantitativa. Si è proceduto quindi all’inserimento dei
dati all’interno del Sistema Informativo Territoriale sviluppato
nell’ambito del progetto di ricerca sulla Valle Sublacense.
Con l’ausilio degli studi precedenti 5, delle altre fonti storiche
relative ai monasteri sublacensi 6, della cartografia storica 7 e della
bre 2008), in c.s.; F. R. STASOLLA, Castra, castella e rocche di area laziale: realtà archeologica e
analisi territoriali, in I Castelli dei secoli XI-XII in Italia centrosettentrionale alla luce dell’archeologi. Seminario di Studi (Gavorrano, 11 luglio 2009), in c.s.
3. L. ALLODI - G. LEVI, Il regesto sublacense dell’undecimo secolo, Roma 1885.
4. Il software scelto per la costruzione della base di dati è PostgreSQL con la sua
estensione spaziale PostGIS, selezionato in base alla proprie caratteristiche operative e già
facente parte della piattaforma GIS del “Progetto Valle Sublacense”, basata sui software
GIS Grass e QGis.
5. Per una rassegna completa della storia degli studi relativi alla Valle Sublacense ed
ai monasteri benedettini si veda A. PAGANI, Patti agrari e gestione della terra: appunti per
una storia delle campagne sublacensi nel basso medioevo, in Terra e lavoro nel Lazio Meridionale.
La testimonianza dei contratti agrari (secoli XII-XV), a cura di A. CORTONESI - G. GIAMMARIA, Roma-Bari, 1999, pp. 100-114.
6. L. BRUZZA, Regesto della Chiesa di Tivoli, Roma, 1880; R. MORGHEN, Chronicon
Sublacense (aa. 593-1369), traduzione italiana a cura di A. CARUCCI, Roma-Subiaco, 1991
(I ed. in Rerum Italicarum Scriptores, 24, p. VI, Bologna, 1927); G. CAPISACCHI DA NARNI,
Chronicon sacri monasterii Sublaci (anno 1573), a cura di L. BRANCIANI, Subiaco, 2005.
7. P. A. FRUTAZ, Le carte del Lazio, Roma, 1972; e le carte della Comarca del Catasto Gregoriano relative al sublacense.
IL MONASTERO SUBLACENSE E LE SUE TERRE
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cartografia moderna 8, è stato possibile collocare geograficamente i
toponimi elencati nei documenti che ancora presentassero una qualche forma di continuità riconoscibile nella toponomastica attuale 9.
In generale, la restituzione cartografica dei toponimi relativi alle attestazioni documentarie ha risentito di una certa variabilità, passando da
casi in cui non è stato possibile proporre alcuna collocazione affidabile, ad altri in cui si ha una perfetta conservazione del toponimo, per
finire con un numero piuttosto elevato di casi in cui è stato possibile
ricondurre le attestazioni delle fonti ad un areale piuttosto che ad un
ben determinato luogo. Di tale variabilità nella precisione della collocazioni dei dati si è cercato di tenere conto nel corso delle analisi,
cercando di mediare tra l’inevitabile mancanza di sistematicità delle
fonti testuali e la rigidità dei metodi quantitativi, al fine di contenere
l’errore relativo nei risultati.
Il quadro di insieme ha restituito un’immagine dei possedimenti monastici, estesi da Roma sino al Lazio Meridionale, e
comprendenti anche i colli Albani, il Tiburtino e sporadiche presenze sulla costa tirrenica. Data l’ampiezza dell’area presa in esame, la sua variabilità orografica e paesaggistica e la varietà dei poteri locali attestati nella zona durante il medioevo, si è ritenuto di
dover individuare un discrimine che consentisse la lettura e l’interpretazione dei dati sul piano spaziale e diacronico. Le constatazioni di cui sopra e la consapevolezza di essere di fronte ad una
società complessa, la cui azione nel paesaggio fu in parte di adattamento, ma soprattutto di trasformazione del territorio a seguito di
precise scelte di ordine sociale e politico, ha portato ad escludere
quei modelli dell’analisi geografico-spaziale che imponessero a
priori un rigido schematismo geometrico sui dati. L’analisi si è
quindi concentrata su una delle caratteristiche intrinseche di ogni
gruppo di elementi che abbia una collocazione spaziale, ovvero il
rapporto di distanza tra i singoli componenti dell’insieme.
In tal modo è stato possibile individuare vari raggruppamenti
(clusters), rappresentativi della distribuzione spaziale dei singoli ele8. Cartografia IGM e Carte Tecniche Regionali.
9. Le linee guida che hanno ispirato tale processo sono quelle del metodo regressivo proposto da J. COSTE, Il metodo regressivo, in Scritti di topografia medievale: problemi di
metodo e ricerche sul Lazio, a cura di C. CARBONETTI- S. CAROCCI- S. PASSIGLI- M. VENDITELLI, Roma, 1996, pp. 17-23.
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Fig. 1 - Rappresentazione dei clusters individuati per l’insieme delle attestazioni degli usi agricoli.
menti puntuali che raffigurano sul piano cartografico le attestazioni ricavate dalla lettura dei documenti (Fig. 1). Sui quattro nuclei
Fig. 1 - Rappresentazione dei clusters individuati per l’insieme delle attestazioni degli usi agricoli.
IL MONASTERO SUBLACENSE E LE SUE TERRE
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principali dei possedimenti monastici, corrispondenti alle zone di
Roma, Albano, Tivoli e Subiaco, sono stati riconosciuti – aumentando il discrimine analitico per la formazione dei clusters – dei
sottogruppi relativi al tiburtino ed al sublacense. Il nucleo principale dei possedimenti della zona Tiburtina risulta quindi affiancato
da una serie di attestazioni nell’area a sud di Tivoli, mentre nella
zona propria della Valle Sublacense si sono evidenziate due macro-aree, di cui una attestata su Subiaco ed i territori a sud di
questa, e l’altra localizzata tra lo spartiacque dei Monti Ruffi ed i
centri di Anticoli, Arsoli e Cervara. Mantengono la loro sostanziale unitarietà i nuclei dei possedimenti romani e della zona di
Albano.
Sul piano diacronico l’analisi del numero e della distribuzione
delle attestazioni indica come la base dei possedimenti agrari del
monastero si sia andata formando entro il X secolo (Fig. 2). A
questa data la maggior parte dei nuclei terrieri risulta già costituita
in tutte le aree che continueranno in seguito ad essere parte dei
domini monastici, comprese anche quelle più esterne. I secoli
successivi riportano un numero inferiore sia di conferme che di
nuove attestazioni, la maggior parte delle quali si ha nelle zone
sublacense e tiburtina.
Per quel che concerne il ruolo svolto dal cenobio sublacense
nei vari atti in cui appare come una delle parti contraenti, è stata
evidenziata una forte volontà di conservazione e accrescimento
dei possedimenti: il monastero e gli abati vi figurano nella maggioranza dei casi come la parte ricevente, a fronte di un numero
ridotto di cessioni, spesso relative a permute o comunque operazioni immobiliari finalizzate al consolidamento dei beni monastici,
derivanti dalle massa sparsa delle donazioni private.
La collazione dei dati sulle essenze arboree ha restituito un
quadro ampio, in cui si passa dallo sfruttamento dell’incolto e delle risorse boschive, al seminativo, alle colture più specializzate. La
selva, le essenze specifiche del castagno e del noce, i pascoli e le
varie menzioni dei diritti di glandatico, costituiscono le attestazioni dello sfruttamento dell’incolto. Il quadro dello sfruttamento su
ampie aree è testimoniato dalla dicitura generale di terra, dalla presenza di campi e di appezzamenti destinati al seminativo, cui va
affiancata una parte almeno della produzione olivicola. Tra le col-
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Fig. 2 - Quadro generale delle attestazioni ricavate dai documenti relativo al secolo X.
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Fig. 2 - Quadro generale delle attestazioni ricavate dai documenti relativo al secolo X.
IL MONASTERO SUBLACENSE E LE SUE TERRE
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ture specializzate si annoverano la vite, il frutteto, l’orto e probabilmente una minima parte di oliveto, maritato con la vite o accoppiato con essenze orticole. Volendo quantificare il rapporto tra
le due modalità di produzione, le colture specializzate sembrano
prevalere decisamente nelle attestazioni, anche se è doveroso sottolineare che l’impossibilità di determinare l’estensione delle particelle agricole inficia pesantemente la rappresentazione del panorama del seminativo e delle colture su ampia scala, cui andrà attribuito un peso maggiore di quanto non appaia dalle singole presenze. La medesima considerazione vale in misura ancor maggior
per la quantificazione del ruolo delle risorse dell’incolto, della selva e del pascolo, la cui presenza doveva interessare un’ampia porzione delle terre abbaziali e la cui importanza nell’economia medievale è ben nota dalla tradizione degli studi di storia agraria.
D’altro canto, la tendenza di massima emersa dalla quantificazione
delle attestazioni degli usi agricoli è riconducibile, almeno in parte, alla conformazione geografica della maggior parte dei territori
soggetti al dominio abbaziale, il cui nucleo maggiore si pone in
un’area – quale quella sublacense – molto movimentata dal punto
di vista orografico e che conseguentemente poco si presta allo
sfruttamento agricolo estensivo. Un confronto, utile ai fini di una
migliore comprensione del peso dell’agricoltura estensiva, è stato
condotto con i dati derivanti dal Catasto Gregoriano e dall’attuale
utilizzazione agricola dei suoli. In entrambi i casi l’agricoltura
estensiva, ed il seminativo cerealicolo in particolare, prevalgono
sul fronte dell’estensione delle particelle loro destinate, mentre il
numero delle singole attestazioni si colloca sul fronte della quasi
parità con le altre destinazioni colturali. Interessante, inoltre, il
quadro testimoniato dal Catasto Gregoriano, per il quale il seminativo cerealicolo appare sempre in accoppiata con altre essenze
arboree come la vite, l’olivo e gli alberi da frutto.
La vite appare come la coltura più attestata dalle fonti, forte di
una distribuzione territoriale uniforme e disposta a ripercorre sostanzialmente la disposizione in raggruppamenti spaziali precedentemente individuata (Fig. 3). La maggiore frequenza delle presenze si attesta – nell’ordine – nella zona tiburtina, in quella romana
e dei colli albani, nonché nelle vicinanze del centro di Subiaco.
Dal punto di vista cronologico, anche la vigna come le altre pro-
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Fig. 3 - Quadro generale delle attestazioni della vite.
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Fig. 3 - Quadro generale delle attestazioni della vite.
IL MONASTERO SUBLACENSE E LE SUE TERRE
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duzioni, entro la fine del X secolo, vede sostanzialmente completato il quadro distributivo delle proprie presenze sul territorio. I
secoli successivi presentano poche nuove acquisizioni, significativamente nei territori già più densamente attestati. Particolarmente
interessante appare il panorama relativo ai possedimenti destinati
alla viticoltura nell’area romana, distribuiti prevalentemente nell’area extramuranea sud-orientale tra Porta San Sebastiano e Porta
Portuense e lungo i patrimoni dell’Appia. Questi fondi, affidati in
conduzione a privati, appaiono nelle fonti come dotati di tutte le
necessarie strutture accessorie, compresi i calcatoria già presenti o
da costruirsi a seguito della stipula contrattuale. Rispetto alle attestazioni del sublacense si ha l’impressione di essere di fronte a delle unità produttive più specializzate e connotate da una maggiore
autonomia, la cui posizione nelle immediate vicinanze dell’Urbe e
lungo le consolari potrebbe essere indizio di una produzione
orientata, almeno in parte, al mercato. Anche il predominare delle
attestazioni distinte e non ripetute della vite e la sua elevata densità nell’area sede del maggior numero di possedimenti monastici –
racchiusa tra la Tiburtina Valeria, il corso dell’Aniene e la Prenestina – sembrano suggerire un particolare interesse per questa coltura. Nel panorama generale testimoniato dalle fonti, se da un
canto emerge il bisogno di garantire una produzione di base sufficientemente completa per soddisfare i bisogni del consumo interno, dall’altro si manifesta un interesse attivo nella direzione di un
utilizzo ottimale delle terre. La politica terriera degli abati, in sostanza, sembra intervenire, oltre che nel consolidamento della
proprietà, anche nelle produzioni. In quest’ottica, la coltivazione
della vite ben si adatta alla natura fisica e orografica dei suoli di
gran parte delle terre soggette al cenobio sublacense, garantendo
inoltre la disponibilità di un eventuale surplus di prodotto, di cui
poter eventualmente disporre. L’immagine di una produzione vitivinicola sistematicamente organizzata è confortata anche dall’esame delle attestazioni del salice, essenza esplicitamente attestata per
l’area della valle sublacense e del tiburtino dalle fonti, e utilizzata
tradizionalmente nei lavori agricoli, quali la legatura delle viti 10 e
10. S. PASSIGLI, Contratti agrari e paesaggio vegetale nel Lazio meridionale (secoli XIII-XV),
10
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la fabbricazione di contenitori da trasporto in fibra vegetale, la cui
produzione nell’area sublacense è continuata sino in tempi recenti.
La natura formulare dei documenti e la genericità di molte
delle menzioni ostacola purtroppo un ulteriore approfondimento
delle macro-categorie censite. A risentirne è soprattutto il quadro
della coltivazione estensiva, appiattito sulla generica attribuzione
di ”seminativo” e comprendente senza dubbio un ampio spettro
di cereali e leguminose.
L’orticultura è attestata in maniera abbastanza uniforme in tutte le aree soggette al dominio abbaziale, con il maggior numero
di menzioni esplicite per l’area extraurbana dell’Urbe. L’apparente
anomalia delle aree tiburtina e soprattutto sublacense, sarà da leggersi, non come un’effettiva scarsa presenza delle colture orticole,
ma alla luce della natura stessa degli orti, considerati talmente comuni ed utilitari da passare sotto silenzio nelle fonti. Bisogna considerare anche che per l’area sublacense – consolidatasi molto presto e in maniera stabile all’interno dei beni abbaziali – le fonti sono costituite tendenzialmente da donazioni e passaggi di proprietà
di una certa entità. D’altronde la testimonianza offerta dal Catasto
Gregoriano è ancora quella di una capillare diffusione degli orti
all’interno e nelle immediate vicinanze dei centri abitati, in maniera simile a quanto testimoniato dalle carte del Regesto.
L’oliveto appare in percentuali relativamente basse, e si attesta
principalmente nel tiburtino, nei dintorni di Roma e nella zona di
Subiaco. Data la sensibilità alle condizioni climatiche dell’olivo, non
stupisce affatto la sua assenza dalle zone a settentrione di Subiaco, attestate mediamente su quote piuttosto elevate. In questo senso anche
la vicinanza della Valle Sublacense con altre aree tipicamente dedite
all’olivicoltura, quali la Sabina e il Lazio Meridionale, potrebbe essere
una concausa della modesta presenza dell’olivo.
Tra le strutture accessorie relative agli usi agricoli, il Regesto
testimonia la presenza di mulini, peschiere, e saline. I mulini si attestano prevalentemente nella zona compresa tra il tiburtino ed il
sublacense, con un elevato numero di presenze anche nell’area
settentrionale della valle, ricca di acque (Fig. 4). Un buon numero
in Terra e lavoro nel Lazio Meridionale. La testimonianza dei contratti agrari (secoli XII-XV), a
cura di A. CORTONESI - G. GIAMMARIA, Roma-Bari, 1999, p. 143.
11
Fig. 4 - Quadro generale delle attestazioni dei mulini.
IL MONASTERO SUBLACENSE E LE SUE TERRE
Fig. 4 - Quadro generale delle attestazioni dei mulini.
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di essi, in particolare, si colloca all’interno dei confini della Massa
Iubenzana, uno dei raggruppamenti di terre monastiche di più antica costituzione, il cui areale è stato possibile ricostruire grazie alle puntuali indicazioni sui confini fornite dai documenti. La restituzione cartografica delle menzioni relative alle strutture molitorie
ha consentito di evidenziarne il rapporto con la viabilità. La quasi
totalità delle strutture molitorie dell’area sublacense, infatti, viene
a trovarsi nelle immediate vicinanze di percorsi viari, siano essi riferibili ad epoca medievale o ereditati dall’età romana 11. Tale
constatazione esplica senz’altro la presenza di una progettualità
precisa e consapevole nella scelta dei luoghi ove impiantare i mulini, in funzione sia delle risorse idriche che della facilità di accesso e di movimentazione della materia prima e del risultante prodotto finito. Dalla lettura delle fonti emerge lo stretto controllo
esercitato dal potere abbaziale sulle strutture molitorie, che vi appaiono sempre attribuite in maniera esclusiva al cenobio sublacense, essendone vietata ai terzi la realizzazione o la vendita di mulini
in assenza dell’esplicito consenso dell’abate. Un simile rapporto di
esclusività risulta in essere anche per le peschiere, localizzate lungo
il corso del fiume Aniene nei pressi di Subiaco e nella parte settentrionale della valle, ricomprese anch’esse all’interno dei confini
della Massa Iubenzana.
Le saline sono attestate in relazione a tre toponimi (Burdunaria,
Pedica vetere e Serpentaria) riconducibili alla zona di Campo Maiore, situata sulla costa tirrenica nei pressi di Roma, tra Porto e
Maccarese 12. Le saline appaiono esclusivamente in un gruppo
compatto di documenti compreso all’incirca tra la metà del X e la
metà dell’ XI secolo, i quali testimoniano la loro cessione a livellari in seguito all’incameramento nei beni abbaziali per mezzo di
donazioni. L’adozione del contratto livellare – a fronte di una
eventuale prima entratura corrisposta in denaro – garantiva in seguito il versamento annuale di un canone in natura, assicurando in
11. Per il ruolo svolto da questi tracciati in relazione all’incastellamento nella Valle
Sublacense, si veda L. DE LELLIS, La Valle Sublacense nel medioevo: le analisi di visibilità in
archeologia, in Temporis Signa. Archeologia della tarda antichità e del medioevo, V (2010), pp.
1-8.
12. M. T. MAGGI BEI, Sulla produzione del sale nell’alto medio evo in zona romana, in
Archivio della Società Romana di Storia Patria. CI (1978), pp. 354-366.
IL MONASTERO SUBLACENSE E LE SUE TERRE
13
tal modo al cenobio sublacense la disponibilità di un prodotto altrimenti vincolato a specifiche zone di produzione.
Dalla documentazione esaminata, il complesso delle transazioni
immobiliari e delle stipule contrattuali a vari regimi, interessa
maggiormente le zone periferiche rispetto al nucleo sublacense dei
domini abbaziali. L’area della valle dell’Aniene è contraddistinta
da una maggiore fissità, dovuta al fatto che queste proprietà, una
volta entrate nel patrimonio monastico, tendono a rimanervi stabilmente e a diminuire conseguentemente nella frequenza delle
menzioni documentarie 13. Tale nucleo di più antica e diretta presenza monastica, andato consolidandosi nel corso della vita dei
monasteri sublacensi, emerge piuttosto chiaramente all’osservazione dei rapporti tra il popolamento agrario e la distribuzione delle
chiese rurali, strutture che sino al X secolo svolsero certamente
una funzione agglutinante e di riferimento per la popolazione delle campagne. La determinazione di un areale di cinque chilometri
attorno a ciascuna delle chiese rurali 14 precedentemente collocate
sulla base cartografica, ha evidenziato una porzione di territorio
che nel suo complesso racchiude buona parte delle terre abbaziali
nella valle dell’Aniene, lasciando fuori solo quelle più meridionali.
Applicando lo stesso metodo per i castelli e le rocche di dipendenza monastica, si ottiene un areale molto simile, ma che significativamente esclude Tivoli, sede vescovile autonoma e spesso in
13. Inoltre i documenti del Regesto testimoniano principalmente le donazioni e le
compravendite, mentre ne rimane in massima parte esclusa la gestione ordinaria delle
terre di proprietà. Cfr. R. MORGHEN, Le relazioni del monastero sublacense con il papato, la
feudalità e il Comune nell’Alto Medioevo, in Archivio della Società Romana di Storia Patria, LI
(1928), pp. 181-262.
14. La distanza di cinque chilometri è stata scelta in quanto rappresenta la distanza
media percorribile a piedi in un’ora su di un terreno di media pendenza. Tradizionalmente adottata negli studi relativi alla site catchment analysis, è stata scelta in questa sede a
rappresentare più semplicemente, ed in maniera meno deterministica, un parametro medio per ipotizzare una distribuzione di massima del popolamento agrario in relazione ai
punti focali del paesaggio costituiti dalle chiese rurali. (Per una disanima critica della site
catchment analysis – originariamente esposta in C. VITA FINZI - E. HIGGS, Preistoric economy
in the Mount Carmel area of Palestine: site catchment analysis, in Proceedings of the Preistoric
Society, XXXVI (1970), pp. 1-37 – ed il suo impiego in relazione ai GIS, si vedano J.
CONOLLY - M. LAKE, Geographical Information Systems in Archaeology, Cambridge, 2006,
pp. 208-225; D. WHEATLEY - M. GILLINGS, Spatial Technology and Archaeology. The Archaeological Applications of GIS, London, 2002, pp. 147-162.
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LORENZO DE LELLIS
relazioni conflittuali con il cenobio sublacense. Dunque, a fronte
di lievi spostamenti, anche per i secoli successivi al X il controllo
abbaziale sulle campagne della valle sembra mantenersi saldamente, mediato ora dai nuovi centri fortificati piuttosto che dalla rete
delle chiese rurali.
Il nuovo moto di popolamento delle alture ci è testimoniato
prevalentemente nella sua fase iniziale dai documenti del Regesto
Sublacense, le cui carte vanno progressivamente diradandosi dopo
il X secolo. Un primo approccio all’analisi dei rapporti tra insediamenti fortificati e produzione agricola è stato impostato sulla
base del confronto con le carte del Catasto Gregoriano – testimonianza preziosa in quanto fotografa la situazione delle campagne
antecedentemente all’introduzione dell’agricoltura meccanizzata –
e delle caratteristiche fisiche del paesaggio stesso 15. I risultati preliminari confermano sostanzialmente l’applicabilità di un modello
di sfruttamento dei suoli agricoli ad intensità decrescente in funzione della distanza. Tale modello 16 è stato proposto per il Lazio
medievale da Toubert 17 in particolare, e continua ad emergere
anche nelle ricerche successive 18 come sostanzialmente valido.
Sulla base di una carta preliminare delle aree destinabili a coltivo,
si è riscontrato come una buona parte di queste disti meno di due
15. In questo senso è in fase di sviluppo una metodologia di analisi basata sull’approccio della land evaluation, nata in ambito agronomico per la progettazione dello sviluppo agricolo, e successivamente adottata anche in archeologia – sotto la definizione di
land evaluation potenziale – quale strumento utile alla valutazione del potenziale agricolo
di un dato territorio, si vedano a questo proposito E. VAN JOOLEN, Potential Land Evaluation in Archaeology, in New Developments in Italian Landscape Archaeology. Theory and methodology of field survey, land evaluation and landscape perception, pottery production and distribution. Proceedings of a three-day conference held at the University of Gronigen, April
13-15 2000, a cura di P. ATTEMA- G. BURGERS- E. VAN JOOLEN- M. VAN LEUSEN- B. MATER, Oxford, 2002 (BAR Int. Ser. 1091), pp. 185-226; A. ARNOLDUS-HUYZENDVELD - E.
P. POZZUTO, Il castello nel contesto territoriale. Una lettura storica del paesaggio attuale: il territorio di Castel di Pietra tra Antichità e Medioevo, in Dieci anni di ricerche a Castel di Pietra.
Edizione degli scavi. 1997-2007, a cura di C. CITTER, Firenze, 2009, pp. 17-41.
16. Originariamente elaborato dall’economista tedesco von Thünen (J. H. VON THÜNEN, Der Isolierte Staat in Beziehung auf Landwirtschaft und Nationalökonomie, Hamburg,
1826).
17. P. TOUBERT, Les structures du Latium Médiéval. Le Latium méridional et la Sabine du
IXe siècle à la fin du XIIe siècle, Rome, 1973, pp. 199-300.
18. PASSIGLI 1999 (nota 10).
15
Fig. 5 - Determinazione delle aree destinabili a coltivo
in relazione ai castelli e alle rocche della Valle Sublacense.
IL MONASTERO SUBLACENSE E LE SUE TERRE
Fig. 5 - Determinazione delle aree destinabili a coltivo
in relazione ai castelli e alle rocche della Valle Sublacense.
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chilometri dai centri fortificati. Inoltre, un buon numero dei castelli 19 ha accesso ad aree coltivabili all’interno di un areale di
cinquecento metri di raggio, confermando la effettiva possibilità di
sfruttamento intensivo dei suoli già a breve distanza dai centri abitati (Fig. 5). Con l’aumentare della distanza dal centro è possibile
postulare per le rimanenti aree agricole un tipo di destinazione
colturale digradante in intensità verso l’esterno.
19. Con la significativa esclusione delle rocche poste sullo spartiacque dei monti
Ruffi, nate con funzioni eminentemente difensive e delle quali solo alcune hanno avuto
successo come centri demici del popolamento.