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Il monastero sublacense e le sue terre: un’analisi territoriale, in L. ERMINI PANI (a cura di) Le valli dei monaci. De Re Monastica III, (Roma – Subiaco 17-19 maggio 2010), Spoleto, 2012, pp. 1-16.

LORENZO DE LELLIS IL MONASTERO SUBLACENSE E LE SUE TERRE: UN’ANALISI TERRITORIALE La presenza dell’abbazia benedettina ed il suo forte radicamento territoriale, oltre a determinare in larga misura le vicende politiche della media valle dell’Aniene nel corso del medioevo, furono anche ispiratrici delle dinamiche del popolamento 1 e dello sfruttamento delle risorse in area sublacense. Il riflesso delle politiche abbaziali, tuttavia, si estese anche al di fuori dei limiti propri della valle dell’Aniene, interessando buona parte dell’area laziale compresa tra la città di Roma e la bassa valle dell’Aniene. In questo comprensorio territoriale si trovava infatti un’ampia parte dei beni fondiari ed immobili posseduti ed amministrati dal cenobio sublacense. All’interno di questa macro-area si è scelto di indagare 2 il re1. Si veda in proposito il contributo di Giorgia Maria Annoscia in questo stesso volume. 2. La presente ricerca è nata all’interno del progetto di ricerca sulla Valle Sublacense portato avanti dalle cattedre di Archeologia e Topografia Medievale della Sapienza Università di Roma, sotto la direzione delle professoresse Letizia Ermini Pani e Francesca Romana Stasolla, con il contributo scientifico di Giorgia Maria Annoscia. Per i primi risultati del progetto si vedano: L. ERMINI PANI- F. R. STASOLLA- G. M. ANNOSCIA- S. CARATOZZOLO, La Valle Sublacense nel Medioevo: il caso di Cervara di Roma, in Temporis Signa. Archeologia della tarda antichità e del medioevo, II (2007), pp. 1-39; F. R. STASOLLA- G. M. ANNOSCIA- S. DEL FERRO, Il ruolo delle signorie monastiche nell’articolazione del popolamento del Lazio medievale, in Geografie del popolamento. Casi di studio, metodi e teorie. Atti del Convegno (Grosseto, 24-26 settembre 2008), in c.s. (www.archeogr.unisi.it/geografiedelpopolamento); G. M. ANNOSCIA, L’incastellamento nella Valle Sublacense, in Archeologia castellana in Italia centro-meridionale Atti del Convegno (Roma - CNR, 27-28 Novembre 2008), in c.s.; F. R. STASOLLA, Temi e problemi nel rapporto tra castra e territoria, in Archeologia castellana in Italia centro-meridionale. Atti del Convegno (Roma, CNR, 27-28 Novem- 2 LORENZO DE LELLIS gime dello sfruttamento agricolo cui furono soggette le terre di pertinenza del monastero sublacense nel corso del medioevo, partendo dalla base documentaria offerta dal corpus dei documenti contenuti nel Regesto Sublacense edito da Allodi e Levi 3. Partendo dalla lettura delle carte si è quindi proceduto alla costruzione di una banca dati informatizzata 4, nella quale sono confluite tutte le menzioni relative agli usi agricoli ed alle strutture accessorie presenti nei documenti. Nel corso di questo processo, particolare risalto hanno ricevuto i dati relativi alla contrattualistica agraria, alle essenze arboree citate e alla toponomastica relativa. Per quanto questo insieme di dati costituisse di per sé un primo terreno di analisi utile ai fini di una generica quantificazione dei beni abbaziali e delle relative politiche, si è comunque ritenuto fondamentale sottolinearne le relazioni con il piano geografico-spaziale, al fine di poterne approntare una lettura che non fosse pura enumerazione quantitativa. Si è proceduto quindi all’inserimento dei dati all’interno del Sistema Informativo Territoriale sviluppato nell’ambito del progetto di ricerca sulla Valle Sublacense. Con l’ausilio degli studi precedenti 5, delle altre fonti storiche relative ai monasteri sublacensi 6, della cartografia storica 7 e della bre 2008), in c.s.; F. R. STASOLLA, Castra, castella e rocche di area laziale: realtà archeologica e analisi territoriali, in I Castelli dei secoli XI-XII in Italia centrosettentrionale alla luce dell’archeologi. Seminario di Studi (Gavorrano, 11 luglio 2009), in c.s. 3. L. ALLODI - G. LEVI, Il regesto sublacense dell’undecimo secolo, Roma 1885. 4. Il software scelto per la costruzione della base di dati è PostgreSQL con la sua estensione spaziale PostGIS, selezionato in base alla proprie caratteristiche operative e già facente parte della piattaforma GIS del “Progetto Valle Sublacense”, basata sui software GIS Grass e QGis. 5. Per una rassegna completa della storia degli studi relativi alla Valle Sublacense ed ai monasteri benedettini si veda A. PAGANI, Patti agrari e gestione della terra: appunti per una storia delle campagne sublacensi nel basso medioevo, in Terra e lavoro nel Lazio Meridionale. La testimonianza dei contratti agrari (secoli XII-XV), a cura di A. CORTONESI - G. GIAMMARIA, Roma-Bari, 1999, pp. 100-114. 6. L. BRUZZA, Regesto della Chiesa di Tivoli, Roma, 1880; R. MORGHEN, Chronicon Sublacense (aa. 593-1369), traduzione italiana a cura di A. CARUCCI, Roma-Subiaco, 1991 (I ed. in Rerum Italicarum Scriptores, 24, p. VI, Bologna, 1927); G. CAPISACCHI DA NARNI, Chronicon sacri monasterii Sublaci (anno 1573), a cura di L. BRANCIANI, Subiaco, 2005. 7. P. A. FRUTAZ, Le carte del Lazio, Roma, 1972; e le carte della Comarca del Catasto Gregoriano relative al sublacense. IL MONASTERO SUBLACENSE E LE SUE TERRE 3 cartografia moderna 8, è stato possibile collocare geograficamente i toponimi elencati nei documenti che ancora presentassero una qualche forma di continuità riconoscibile nella toponomastica attuale 9. In generale, la restituzione cartografica dei toponimi relativi alle attestazioni documentarie ha risentito di una certa variabilità, passando da casi in cui non è stato possibile proporre alcuna collocazione affidabile, ad altri in cui si ha una perfetta conservazione del toponimo, per finire con un numero piuttosto elevato di casi in cui è stato possibile ricondurre le attestazioni delle fonti ad un areale piuttosto che ad un ben determinato luogo. Di tale variabilità nella precisione della collocazioni dei dati si è cercato di tenere conto nel corso delle analisi, cercando di mediare tra l’inevitabile mancanza di sistematicità delle fonti testuali e la rigidità dei metodi quantitativi, al fine di contenere l’errore relativo nei risultati. Il quadro di insieme ha restituito un’immagine dei possedimenti monastici, estesi da Roma sino al Lazio Meridionale, e comprendenti anche i colli Albani, il Tiburtino e sporadiche presenze sulla costa tirrenica. Data l’ampiezza dell’area presa in esame, la sua variabilità orografica e paesaggistica e la varietà dei poteri locali attestati nella zona durante il medioevo, si è ritenuto di dover individuare un discrimine che consentisse la lettura e l’interpretazione dei dati sul piano spaziale e diacronico. Le constatazioni di cui sopra e la consapevolezza di essere di fronte ad una società complessa, la cui azione nel paesaggio fu in parte di adattamento, ma soprattutto di trasformazione del territorio a seguito di precise scelte di ordine sociale e politico, ha portato ad escludere quei modelli dell’analisi geografico-spaziale che imponessero a priori un rigido schematismo geometrico sui dati. L’analisi si è quindi concentrata su una delle caratteristiche intrinseche di ogni gruppo di elementi che abbia una collocazione spaziale, ovvero il rapporto di distanza tra i singoli componenti dell’insieme. In tal modo è stato possibile individuare vari raggruppamenti (clusters), rappresentativi della distribuzione spaziale dei singoli ele8. Cartografia IGM e Carte Tecniche Regionali. 9. Le linee guida che hanno ispirato tale processo sono quelle del metodo regressivo proposto da J. COSTE, Il metodo regressivo, in Scritti di topografia medievale: problemi di metodo e ricerche sul Lazio, a cura di C. CARBONETTI- S. CAROCCI- S. PASSIGLI- M. VENDITELLI, Roma, 1996, pp. 17-23. 4 LORENZO DE LELLIS Fig. 1 - Rappresentazione dei clusters individuati per l’insieme delle attestazioni degli usi agricoli. menti puntuali che raffigurano sul piano cartografico le attestazioni ricavate dalla lettura dei documenti (Fig. 1). Sui quattro nuclei Fig. 1 - Rappresentazione dei clusters individuati per l’insieme delle attestazioni degli usi agricoli. IL MONASTERO SUBLACENSE E LE SUE TERRE 5 principali dei possedimenti monastici, corrispondenti alle zone di Roma, Albano, Tivoli e Subiaco, sono stati riconosciuti – aumentando il discrimine analitico per la formazione dei clusters – dei sottogruppi relativi al tiburtino ed al sublacense. Il nucleo principale dei possedimenti della zona Tiburtina risulta quindi affiancato da una serie di attestazioni nell’area a sud di Tivoli, mentre nella zona propria della Valle Sublacense si sono evidenziate due macro-aree, di cui una attestata su Subiaco ed i territori a sud di questa, e l’altra localizzata tra lo spartiacque dei Monti Ruffi ed i centri di Anticoli, Arsoli e Cervara. Mantengono la loro sostanziale unitarietà i nuclei dei possedimenti romani e della zona di Albano. Sul piano diacronico l’analisi del numero e della distribuzione delle attestazioni indica come la base dei possedimenti agrari del monastero si sia andata formando entro il X secolo (Fig. 2). A questa data la maggior parte dei nuclei terrieri risulta già costituita in tutte le aree che continueranno in seguito ad essere parte dei domini monastici, comprese anche quelle più esterne. I secoli successivi riportano un numero inferiore sia di conferme che di nuove attestazioni, la maggior parte delle quali si ha nelle zone sublacense e tiburtina. Per quel che concerne il ruolo svolto dal cenobio sublacense nei vari atti in cui appare come una delle parti contraenti, è stata evidenziata una forte volontà di conservazione e accrescimento dei possedimenti: il monastero e gli abati vi figurano nella maggioranza dei casi come la parte ricevente, a fronte di un numero ridotto di cessioni, spesso relative a permute o comunque operazioni immobiliari finalizzate al consolidamento dei beni monastici, derivanti dalle massa sparsa delle donazioni private. La collazione dei dati sulle essenze arboree ha restituito un quadro ampio, in cui si passa dallo sfruttamento dell’incolto e delle risorse boschive, al seminativo, alle colture più specializzate. La selva, le essenze specifiche del castagno e del noce, i pascoli e le varie menzioni dei diritti di glandatico, costituiscono le attestazioni dello sfruttamento dell’incolto. Il quadro dello sfruttamento su ampie aree è testimoniato dalla dicitura generale di terra, dalla presenza di campi e di appezzamenti destinati al seminativo, cui va affiancata una parte almeno della produzione olivicola. Tra le col- LORENZO DE LELLIS Fig. 2 - Quadro generale delle attestazioni ricavate dai documenti relativo al secolo X. 6 Fig. 2 - Quadro generale delle attestazioni ricavate dai documenti relativo al secolo X. IL MONASTERO SUBLACENSE E LE SUE TERRE 7 ture specializzate si annoverano la vite, il frutteto, l’orto e probabilmente una minima parte di oliveto, maritato con la vite o accoppiato con essenze orticole. Volendo quantificare il rapporto tra le due modalità di produzione, le colture specializzate sembrano prevalere decisamente nelle attestazioni, anche se è doveroso sottolineare che l’impossibilità di determinare l’estensione delle particelle agricole inficia pesantemente la rappresentazione del panorama del seminativo e delle colture su ampia scala, cui andrà attribuito un peso maggiore di quanto non appaia dalle singole presenze. La medesima considerazione vale in misura ancor maggior per la quantificazione del ruolo delle risorse dell’incolto, della selva e del pascolo, la cui presenza doveva interessare un’ampia porzione delle terre abbaziali e la cui importanza nell’economia medievale è ben nota dalla tradizione degli studi di storia agraria. D’altro canto, la tendenza di massima emersa dalla quantificazione delle attestazioni degli usi agricoli è riconducibile, almeno in parte, alla conformazione geografica della maggior parte dei territori soggetti al dominio abbaziale, il cui nucleo maggiore si pone in un’area – quale quella sublacense – molto movimentata dal punto di vista orografico e che conseguentemente poco si presta allo sfruttamento agricolo estensivo. Un confronto, utile ai fini di una migliore comprensione del peso dell’agricoltura estensiva, è stato condotto con i dati derivanti dal Catasto Gregoriano e dall’attuale utilizzazione agricola dei suoli. In entrambi i casi l’agricoltura estensiva, ed il seminativo cerealicolo in particolare, prevalgono sul fronte dell’estensione delle particelle loro destinate, mentre il numero delle singole attestazioni si colloca sul fronte della quasi parità con le altre destinazioni colturali. Interessante, inoltre, il quadro testimoniato dal Catasto Gregoriano, per il quale il seminativo cerealicolo appare sempre in accoppiata con altre essenze arboree come la vite, l’olivo e gli alberi da frutto. La vite appare come la coltura più attestata dalle fonti, forte di una distribuzione territoriale uniforme e disposta a ripercorre sostanzialmente la disposizione in raggruppamenti spaziali precedentemente individuata (Fig. 3). La maggiore frequenza delle presenze si attesta – nell’ordine – nella zona tiburtina, in quella romana e dei colli albani, nonché nelle vicinanze del centro di Subiaco. Dal punto di vista cronologico, anche la vigna come le altre pro- LORENZO DE LELLIS Fig. 3 - Quadro generale delle attestazioni della vite. 8 Fig. 3 - Quadro generale delle attestazioni della vite. IL MONASTERO SUBLACENSE E LE SUE TERRE 9 duzioni, entro la fine del X secolo, vede sostanzialmente completato il quadro distributivo delle proprie presenze sul territorio. I secoli successivi presentano poche nuove acquisizioni, significativamente nei territori già più densamente attestati. Particolarmente interessante appare il panorama relativo ai possedimenti destinati alla viticoltura nell’area romana, distribuiti prevalentemente nell’area extramuranea sud-orientale tra Porta San Sebastiano e Porta Portuense e lungo i patrimoni dell’Appia. Questi fondi, affidati in conduzione a privati, appaiono nelle fonti come dotati di tutte le necessarie strutture accessorie, compresi i calcatoria già presenti o da costruirsi a seguito della stipula contrattuale. Rispetto alle attestazioni del sublacense si ha l’impressione di essere di fronte a delle unità produttive più specializzate e connotate da una maggiore autonomia, la cui posizione nelle immediate vicinanze dell’Urbe e lungo le consolari potrebbe essere indizio di una produzione orientata, almeno in parte, al mercato. Anche il predominare delle attestazioni distinte e non ripetute della vite e la sua elevata densità nell’area sede del maggior numero di possedimenti monastici – racchiusa tra la Tiburtina Valeria, il corso dell’Aniene e la Prenestina – sembrano suggerire un particolare interesse per questa coltura. Nel panorama generale testimoniato dalle fonti, se da un canto emerge il bisogno di garantire una produzione di base sufficientemente completa per soddisfare i bisogni del consumo interno, dall’altro si manifesta un interesse attivo nella direzione di un utilizzo ottimale delle terre. La politica terriera degli abati, in sostanza, sembra intervenire, oltre che nel consolidamento della proprietà, anche nelle produzioni. In quest’ottica, la coltivazione della vite ben si adatta alla natura fisica e orografica dei suoli di gran parte delle terre soggette al cenobio sublacense, garantendo inoltre la disponibilità di un eventuale surplus di prodotto, di cui poter eventualmente disporre. L’immagine di una produzione vitivinicola sistematicamente organizzata è confortata anche dall’esame delle attestazioni del salice, essenza esplicitamente attestata per l’area della valle sublacense e del tiburtino dalle fonti, e utilizzata tradizionalmente nei lavori agricoli, quali la legatura delle viti 10 e 10. S. PASSIGLI, Contratti agrari e paesaggio vegetale nel Lazio meridionale (secoli XIII-XV), 10 LORENZO DE LELLIS la fabbricazione di contenitori da trasporto in fibra vegetale, la cui produzione nell’area sublacense è continuata sino in tempi recenti. La natura formulare dei documenti e la genericità di molte delle menzioni ostacola purtroppo un ulteriore approfondimento delle macro-categorie censite. A risentirne è soprattutto il quadro della coltivazione estensiva, appiattito sulla generica attribuzione di ”seminativo” e comprendente senza dubbio un ampio spettro di cereali e leguminose. L’orticultura è attestata in maniera abbastanza uniforme in tutte le aree soggette al dominio abbaziale, con il maggior numero di menzioni esplicite per l’area extraurbana dell’Urbe. L’apparente anomalia delle aree tiburtina e soprattutto sublacense, sarà da leggersi, non come un’effettiva scarsa presenza delle colture orticole, ma alla luce della natura stessa degli orti, considerati talmente comuni ed utilitari da passare sotto silenzio nelle fonti. Bisogna considerare anche che per l’area sublacense – consolidatasi molto presto e in maniera stabile all’interno dei beni abbaziali – le fonti sono costituite tendenzialmente da donazioni e passaggi di proprietà di una certa entità. D’altronde la testimonianza offerta dal Catasto Gregoriano è ancora quella di una capillare diffusione degli orti all’interno e nelle immediate vicinanze dei centri abitati, in maniera simile a quanto testimoniato dalle carte del Regesto. L’oliveto appare in percentuali relativamente basse, e si attesta principalmente nel tiburtino, nei dintorni di Roma e nella zona di Subiaco. Data la sensibilità alle condizioni climatiche dell’olivo, non stupisce affatto la sua assenza dalle zone a settentrione di Subiaco, attestate mediamente su quote piuttosto elevate. In questo senso anche la vicinanza della Valle Sublacense con altre aree tipicamente dedite all’olivicoltura, quali la Sabina e il Lazio Meridionale, potrebbe essere una concausa della modesta presenza dell’olivo. Tra le strutture accessorie relative agli usi agricoli, il Regesto testimonia la presenza di mulini, peschiere, e saline. I mulini si attestano prevalentemente nella zona compresa tra il tiburtino ed il sublacense, con un elevato numero di presenze anche nell’area settentrionale della valle, ricca di acque (Fig. 4). Un buon numero in Terra e lavoro nel Lazio Meridionale. La testimonianza dei contratti agrari (secoli XII-XV), a cura di A. CORTONESI - G. GIAMMARIA, Roma-Bari, 1999, p. 143. 11 Fig. 4 - Quadro generale delle attestazioni dei mulini. IL MONASTERO SUBLACENSE E LE SUE TERRE Fig. 4 - Quadro generale delle attestazioni dei mulini. 12 LORENZO DE LELLIS di essi, in particolare, si colloca all’interno dei confini della Massa Iubenzana, uno dei raggruppamenti di terre monastiche di più antica costituzione, il cui areale è stato possibile ricostruire grazie alle puntuali indicazioni sui confini fornite dai documenti. La restituzione cartografica delle menzioni relative alle strutture molitorie ha consentito di evidenziarne il rapporto con la viabilità. La quasi totalità delle strutture molitorie dell’area sublacense, infatti, viene a trovarsi nelle immediate vicinanze di percorsi viari, siano essi riferibili ad epoca medievale o ereditati dall’età romana 11. Tale constatazione esplica senz’altro la presenza di una progettualità precisa e consapevole nella scelta dei luoghi ove impiantare i mulini, in funzione sia delle risorse idriche che della facilità di accesso e di movimentazione della materia prima e del risultante prodotto finito. Dalla lettura delle fonti emerge lo stretto controllo esercitato dal potere abbaziale sulle strutture molitorie, che vi appaiono sempre attribuite in maniera esclusiva al cenobio sublacense, essendone vietata ai terzi la realizzazione o la vendita di mulini in assenza dell’esplicito consenso dell’abate. Un simile rapporto di esclusività risulta in essere anche per le peschiere, localizzate lungo il corso del fiume Aniene nei pressi di Subiaco e nella parte settentrionale della valle, ricomprese anch’esse all’interno dei confini della Massa Iubenzana. Le saline sono attestate in relazione a tre toponimi (Burdunaria, Pedica vetere e Serpentaria) riconducibili alla zona di Campo Maiore, situata sulla costa tirrenica nei pressi di Roma, tra Porto e Maccarese 12. Le saline appaiono esclusivamente in un gruppo compatto di documenti compreso all’incirca tra la metà del X e la metà dell’ XI secolo, i quali testimoniano la loro cessione a livellari in seguito all’incameramento nei beni abbaziali per mezzo di donazioni. L’adozione del contratto livellare – a fronte di una eventuale prima entratura corrisposta in denaro – garantiva in seguito il versamento annuale di un canone in natura, assicurando in 11. Per il ruolo svolto da questi tracciati in relazione all’incastellamento nella Valle Sublacense, si veda L. DE LELLIS, La Valle Sublacense nel medioevo: le analisi di visibilità in archeologia, in Temporis Signa. Archeologia della tarda antichità e del medioevo, V (2010), pp. 1-8. 12. M. T. MAGGI BEI, Sulla produzione del sale nell’alto medio evo in zona romana, in Archivio della Società Romana di Storia Patria. CI (1978), pp. 354-366. IL MONASTERO SUBLACENSE E LE SUE TERRE 13 tal modo al cenobio sublacense la disponibilità di un prodotto altrimenti vincolato a specifiche zone di produzione. Dalla documentazione esaminata, il complesso delle transazioni immobiliari e delle stipule contrattuali a vari regimi, interessa maggiormente le zone periferiche rispetto al nucleo sublacense dei domini abbaziali. L’area della valle dell’Aniene è contraddistinta da una maggiore fissità, dovuta al fatto che queste proprietà, una volta entrate nel patrimonio monastico, tendono a rimanervi stabilmente e a diminuire conseguentemente nella frequenza delle menzioni documentarie 13. Tale nucleo di più antica e diretta presenza monastica, andato consolidandosi nel corso della vita dei monasteri sublacensi, emerge piuttosto chiaramente all’osservazione dei rapporti tra il popolamento agrario e la distribuzione delle chiese rurali, strutture che sino al X secolo svolsero certamente una funzione agglutinante e di riferimento per la popolazione delle campagne. La determinazione di un areale di cinque chilometri attorno a ciascuna delle chiese rurali 14 precedentemente collocate sulla base cartografica, ha evidenziato una porzione di territorio che nel suo complesso racchiude buona parte delle terre abbaziali nella valle dell’Aniene, lasciando fuori solo quelle più meridionali. Applicando lo stesso metodo per i castelli e le rocche di dipendenza monastica, si ottiene un areale molto simile, ma che significativamente esclude Tivoli, sede vescovile autonoma e spesso in 13. Inoltre i documenti del Regesto testimoniano principalmente le donazioni e le compravendite, mentre ne rimane in massima parte esclusa la gestione ordinaria delle terre di proprietà. Cfr. R. MORGHEN, Le relazioni del monastero sublacense con il papato, la feudalità e il Comune nell’Alto Medioevo, in Archivio della Società Romana di Storia Patria, LI (1928), pp. 181-262. 14. La distanza di cinque chilometri è stata scelta in quanto rappresenta la distanza media percorribile a piedi in un’ora su di un terreno di media pendenza. Tradizionalmente adottata negli studi relativi alla site catchment analysis, è stata scelta in questa sede a rappresentare più semplicemente, ed in maniera meno deterministica, un parametro medio per ipotizzare una distribuzione di massima del popolamento agrario in relazione ai punti focali del paesaggio costituiti dalle chiese rurali. (Per una disanima critica della site catchment analysis – originariamente esposta in C. VITA FINZI - E. HIGGS, Preistoric economy in the Mount Carmel area of Palestine: site catchment analysis, in Proceedings of the Preistoric Society, XXXVI (1970), pp. 1-37 – ed il suo impiego in relazione ai GIS, si vedano J. CONOLLY - M. LAKE, Geographical Information Systems in Archaeology, Cambridge, 2006, pp. 208-225; D. WHEATLEY - M. GILLINGS, Spatial Technology and Archaeology. The Archaeological Applications of GIS, London, 2002, pp. 147-162. 14 LORENZO DE LELLIS relazioni conflittuali con il cenobio sublacense. Dunque, a fronte di lievi spostamenti, anche per i secoli successivi al X il controllo abbaziale sulle campagne della valle sembra mantenersi saldamente, mediato ora dai nuovi centri fortificati piuttosto che dalla rete delle chiese rurali. Il nuovo moto di popolamento delle alture ci è testimoniato prevalentemente nella sua fase iniziale dai documenti del Regesto Sublacense, le cui carte vanno progressivamente diradandosi dopo il X secolo. Un primo approccio all’analisi dei rapporti tra insediamenti fortificati e produzione agricola è stato impostato sulla base del confronto con le carte del Catasto Gregoriano – testimonianza preziosa in quanto fotografa la situazione delle campagne antecedentemente all’introduzione dell’agricoltura meccanizzata – e delle caratteristiche fisiche del paesaggio stesso 15. I risultati preliminari confermano sostanzialmente l’applicabilità di un modello di sfruttamento dei suoli agricoli ad intensità decrescente in funzione della distanza. Tale modello 16 è stato proposto per il Lazio medievale da Toubert 17 in particolare, e continua ad emergere anche nelle ricerche successive 18 come sostanzialmente valido. Sulla base di una carta preliminare delle aree destinabili a coltivo, si è riscontrato come una buona parte di queste disti meno di due 15. In questo senso è in fase di sviluppo una metodologia di analisi basata sull’approccio della land evaluation, nata in ambito agronomico per la progettazione dello sviluppo agricolo, e successivamente adottata anche in archeologia – sotto la definizione di land evaluation potenziale – quale strumento utile alla valutazione del potenziale agricolo di un dato territorio, si vedano a questo proposito E. VAN JOOLEN, Potential Land Evaluation in Archaeology, in New Developments in Italian Landscape Archaeology. Theory and methodology of field survey, land evaluation and landscape perception, pottery production and distribution. Proceedings of a three-day conference held at the University of Gronigen, April 13-15 2000, a cura di P. ATTEMA- G. BURGERS- E. VAN JOOLEN- M. VAN LEUSEN- B. MATER, Oxford, 2002 (BAR Int. Ser. 1091), pp. 185-226; A. ARNOLDUS-HUYZENDVELD - E. P. POZZUTO, Il castello nel contesto territoriale. Una lettura storica del paesaggio attuale: il territorio di Castel di Pietra tra Antichità e Medioevo, in Dieci anni di ricerche a Castel di Pietra. Edizione degli scavi. 1997-2007, a cura di C. CITTER, Firenze, 2009, pp. 17-41. 16. Originariamente elaborato dall’economista tedesco von Thünen (J. H. VON THÜNEN, Der Isolierte Staat in Beziehung auf Landwirtschaft und Nationalökonomie, Hamburg, 1826). 17. P. TOUBERT, Les structures du Latium Médiéval. Le Latium méridional et la Sabine du IXe siècle à la fin du XIIe siècle, Rome, 1973, pp. 199-300. 18. PASSIGLI 1999 (nota 10). 15 Fig. 5 - Determinazione delle aree destinabili a coltivo in relazione ai castelli e alle rocche della Valle Sublacense. IL MONASTERO SUBLACENSE E LE SUE TERRE Fig. 5 - Determinazione delle aree destinabili a coltivo in relazione ai castelli e alle rocche della Valle Sublacense. 16 LORENZO DE LELLIS chilometri dai centri fortificati. Inoltre, un buon numero dei castelli 19 ha accesso ad aree coltivabili all’interno di un areale di cinquecento metri di raggio, confermando la effettiva possibilità di sfruttamento intensivo dei suoli già a breve distanza dai centri abitati (Fig. 5). Con l’aumentare della distanza dal centro è possibile postulare per le rimanenti aree agricole un tipo di destinazione colturale digradante in intensità verso l’esterno. 19. Con la significativa esclusione delle rocche poste sullo spartiacque dei monti Ruffi, nate con funzioni eminentemente difensive e delle quali solo alcune hanno avuto successo come centri demici del popolamento.