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«Fa una setta da sé»: Niccolò Buccella e la tradizione dell’antitrinitarismo veneto nell’esilio polacco-lituano

2018, Eretici e dissidenti tra Europa occidentale e orientale (secoli XVI-XVIII)

Eretici e dissidenti tra Europa occidentale e orientale (secoli XVI-XVIII) A cura di Antonella Barzazi, Michela Catto, Dainora Pociūtė PADOVA UP Indice Introduzione Gli eretici italiani e la critica della Riforma protestante (1530-1550) Guido Mongini 9 13 «Fa una setta da sé»: Niccolò Buccella e la tradizione dell’antitrinitarismo veneto nell’esilio polacco-lituano Dainora Pociūtė 35 Dall’ortodossia all’eterodossia: i processi moscoviti degli anni cinquanta del XVI secolo Laura Ronchi De Michelis 59 Demonizzazione del papa e polemica religiosa nel Granducato di Lituania nel XVI secolo Gintarė Petuchovaitė 85 I gesuiti e la svolta antimistica Gianvittorio Signorotto 107 Paolo Sarpi tra critica della religione e nuove ortodossie Antonella Barzazi 119 Un’eresia mai definita. Il copernicanismo fra Cinque e Settecento Franco Motta 145 I Principi matematici della teologia cristiana di John Craig nel contesto del millenarismo inglese di fine Seicento Moreno Bonda 155 Pratica, culto e rito: alla ricerca della morale nelle religioni del mondo Michela Catto 183 Gli autori 203 Indice dei nomi 205 «Fa una setta da sé»: Niccolò Buccella e la tradizione dell’antitrinitarismo veneto nell’esilio polacco-lituano Dainora Pociūtė La presenza di dissidenti religiosi italiani in Polonia e Lituania è attestata dalla sesta decade del XVI secolo, da quando, cioè, in questi paesi crebbe il sostegno economico alla Riforma da parte delle grandi famiglie nobiliari1. Gli evangelici italiani che risiedettero qui in pianta stabile o solo episodicamente (ad esempio Francesco Lismanini e Pier Paolo Vergerio) rappresentarono gli interessi delle Chiese protestanti svizzere o tedesche, tuttavia la maggior parte dei dissidenti italiani nel Granducato di Lituania e nel Regno di Polonia sono da mettere in relazione con la storia dello sviluppo dell’antitrinitarismo e del socinianesimo. Nel contesto di crescente ostilità un attivo movimento si sviluppò nella Repubblica delle Due Nazioni come una rete di individui in parte segreta, senza centro organizzativo, marginalizzata, ma tesa a consolidarsi attraverso attività di varia natura, e nella quale un ruolo importante svolsero gli italiani che non trovavano nei centri religiosi dell’Occidente le condizioni per agire2. Uno dei membri di questa rete fu per anni Niccolò Buccella – condiscepolo di Fausto Sozzini nell’esilio – il quale risiedette nello stato polacco-lituano ben prima dell’arrivo di Sozzini in Polonia nel 1579. Medico del sovrano di Transilvania e, dal 1576, della Confederazione polacco-lituana Stefano Báthory, appartenente alla cosiddetta seconda generazione di dissidenti religiosi italiani, BucIl saggio è stato elaborato nell’ambito del progetto “Archyvinių tyrimų plėtra: inkvizicinių procesų dokumentai kaip Lietuvos ir Europos Reformacijos šaltiniai” (Nr. 09.3.3-LMT-K-712-07-0012), finanziato dal Consiglio per la ricerca di Lituania (Research Council of Lithuania). 2 Le ricerche sui dissidenti italiani nell’Europa orientale sono numerose, cfr. ad es.: D. Caccamo, Eretici italiani in Moravia, Polonia, Transilvania (1558–1611): studi e documenti, Sansoni-The Newberry Library, Firenze-Chicago 1970; M. Firpo, Antitrinitari nell’Europa orientale del Cinquecento. Nuovi testi di Szymon Budny, Niccolò Paruta e Iacopo Paleologo, La Nuova Italia, Firenze 1977; L. Hein, Italienische Protestanten und ihr Einfluss auf die Reformation in Polen während der beiden Jahrzehnte vor dem Sandomirer Konsens (1570), E.J. Brill, Leiden 1974; L. Szczucki, Humaniści, heretycy, inkwizytorzy. Studia z dziejów kultury XVI i XVII wieku, Polska Akademia Umiejętności, Kraków 2006; D. Pociūtė, Maištininkų katedros. Ankstyvoji Reformacija ir lietuvių-italų evangelikų ryšiai, Versus aureus, Vilnius 2008. 1 36 «Fa una setta da sé» cella ha già suscitato l’interesse di numerosi studiosi polacchi e italiani3. Chi più attentamente e con dovizia di dati si è occupato della sua biografia è stato Aldo Stella4. Secondo Delio Cantimori la seconda generazione di eretici italiani, presa da isolamento e irrequietezza, si contraddistinse per lo scetticismo originato dall’insofferenza per le nuove forme della vita ecclesiastica5. Ciò nonostante, come nota A. Stella, «le varie componenti eterodosse d’Italia si possono considerare le avanguardie più radicali e tuttavia non scettiche dell’umanesimo»6. In Polonia e in Lituania per un certo periodo i radicali italiani trovarono una nicchia protetta nella quale coltivare le proprie idee e – come mostra il caso di Fausto Sozzini – la sistematizzazione filosofica di esse. Buccella ben rappresenta la figura di chi questa piattaforma d’azione religiosa in esilio aveva fondato e con impegno attivo garantito, e come tale è interessante sia per gli aspetti sociali, sia per quelli antropologici della storia del primo socinianesimo. La vita di Niccolò Buccella († 1599) si divide in due grandi periodi: quello italiano e, dall’estate del 1574, quello dell’esilio. Prima meta della sua emigrazione fu il palazzo del sovrano di Transilvania Stefano Báthory, dove risiedette per un breve periodo; nel 1576 Báthory fu scelto come signore di Polonia e Lituania e nello stesso anno Buccella lo seguì verso la Confederazione polacco-lituana. Qui rimase per oltre vent’anni, fino alla morte. In questo articolo non tratteremo di tutti gli aspetti dell’attività di Buccella – sui quali ci sono ricchi e vari dati; ci soffermeremo piuttosto su alcuni momenti importanti della sua biografia. Il nostro fine è quello di valutare una serie di testimonianze storiografiche sulla peculiarità della sua coscienza religiosa. Tenteremo di definire quale relazione intercorra nella concezione dell’identità cristiana tra il Buccella del periodo italiano e quello del periodo polacco e rifletteremo sulla possibilità di ritenere Buccella continuatore della tradizione anabattista ed eterodossa veneziana nel contesto del primo socinianesimo polacco-lituano. Il socinianesimo aveva coCitiamo qui solo alcune delle ricerche di maggior rilievo: J. Ptaśnik, Gli Italiani a Cracovia dal XVI secolo al XVIII, Forzani, Roma 1909, pp. 161-64; Dwór lekarski Stefana Batorego, in «Archiwum Historii i Filozofii Medycyny» VIII, 2, 1928, pp. 176-185; K. Lepszy, Bucella Mikołaj, in Polski Słownik Biograficzny, vol. 3, 1937, pp. 74-75; D. Caccamo, Buccella, Niccolò, in Dizionario Biografico degli Italiani, 14, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1972, pp. 750-753. 4 A. Stella, Intorno al medico padovano Nicolò Buccella Anabattista del ‘500, Estratto dalle «Memorie della Accademia Patavina di SS. LL. AA.»: Classe di Scienze Morali, Lettere ed Arti LXXIV(1961-62), Societa Cooperativa Tipografica, Padova 1962, pp. 3-31; A. Stella, Anabattismo e antitrinitarismo in Italia nel XVI secolo, Liviana editrice in Padova, 1969, pp. 175-182; Id., Dall’anabattismo veneto al “sozialevangelismus” dei fratelli hutteriti e all’illuminismo religioso sociniano, Herder Editrice e Libreria, Roma 1996, pp. 160-177. 5 «Era la conseguenza naturale della insofferenza degli eretici italiani per la disciplina delle nuove forme di vita ecclesiastica» ha scritto D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento, Giulio Einaudi, Torino 1992, p. 332. 6 A. Stella, Anabattismo e antitrinitarismo in Italia, p. 219. 3 Dainora Pociūtė 37 struito un peculiare insegnamento sulla salvezza dell’uomo che, distinto dal fideismo protestante e dalla dottrina della predestinazione, valorizzava piuttosto il ruolo della coscienza umana e della morale. Si può ritenere che, per cogliere i nuovi aspetti antropologici del socinianesimo, siano importanti non solo i lavori di Fausto Sozzini nei quali li si definisce, ma anche le loro manifestazioni nell’ambiente a lui più prossimo. Buccella fu uno dei primi dissidenti italiani a lasciare importanti tracce nella storia della medicina nella Confederazione polacco-lituana della prima età moderna. Dopo la morte di Stefano Báthory nel dicembre del 1586, Buccella – assieme ad altri dissidenti italiani e al medico del sovrano Simone Simoni (1532-1602) – sviluppò un’interessante e pluriennale polemica sulle cause della morte del re7. Tutte le pubblicazioni di Buccella note e preservate sono parte di questa polemica, delle cui circostanze non intendiamo trattare in questo articolo. Dell’identità religiosa di Buccella testimoniano, più o meno direttamente, i documenti raccolti nel periodo del processo dell’Inquisizione ma anche quelli collegati all’ambiente della corte del sovrano della Repubblica delle due Nazioni in quel periodo, Stefano Báthory. Tra Padova e la Moravia Niccolò Buccella nacque a Padova nella famiglia del libraio dell’Università Bernardino Buccella, una tra le prime a subire i processi dell’Inquisizione all’epoca della diffusione del protestantesimo nella Repubblica di Venezia. Nel gennaio del 1544, uno dei fratelli di Niccolò, Girolamo, fu accusato assieme ad un gruppo di giovani di aver preso parte ad una assemblea segreta8. L’altro, Giovanbattista (che più tardi si trasferirà nello stato polacco-lituano per vivere con il fratello), era inizialmente emigrato a Lione per poi ottenere – il 14 ottobre 1557 – la cittadinanza a Ginevra e ritornare in seguito ancora una volta a Lione9. Come è noto, già nel quinto decennio del XVI secolo nella Repubblica di Venezia iniziavano a concentrarsi i principali focolai di anabattisti e antitriniPer una più ampia trattazione della polemica si vedano C. Madonia, Simone Simoni, in Bibliotheca dissidentium. Repertoire des non-conformistes religieux des seizième et dix-septième siecles, a cura di André Séguenny, vol. IX, Koerner, Baden Baden & Bouxwiller 1988, pp. 25-110; M. Verdigi, Simone Simoni: filosofo e medico nel ’500, Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca 1997; Szczucki, Humaniści, heretycy, inkwizytorzy, pp. 189-196. 8 Archivio di Stato di Venezia (in seguito ASV), Sant’Uffizio, busta 1, fascicolo processuale n. 6; Stella, Intorno al medico padovano, p. 6. 9 Come ipotizza Aldo Stella, tra le ragioni dell’abbandono di Ginevra ve ne potevano essere anche di carattere confessionale, legate all’avvio di controlli sull’ortodossia degli italiani in Svizzera dopo il rogo di Michele Serveto. 7 38 «Fa una setta da sé» tari italiani, la cui ampiezza è testimoniata dagli atti dell’Inquisizione. Tra questi anche uno riguardante il leader della rete Pietro Manelfi il quale, nel 1551, si presentò di sua spontanea volontà al tribunale dell’Inquisizione procurando ampia documentazione10. Da un lato, Buccella fu solo un comune membro di questo movimento intenso, rivoluzionario e duramente perseguito; d’altra parte la sua storia è particolare poiché scegliendo in un momento fatale la via dell’emigrazione non solo ha evitato la tragica sorte di molti suoi compagni ma si è anche solidamente radicato in un paese straniero realizzando la propria attività professionale senza rinunciare alle personali convinzioni religiose. Aldo Stella nei suoi lavori ha convincentemente rappresentato la «fecondità della tradizione razionalistica padovana» che ha dato forma all’ideologia di un antitrinitarismo veneto presociniano. Allo stesso modo, l’evoluzione intellettuale di Buccella era legata all’università di Padova. Sin dal 1554 si ritrovano note su Buccella negli atti dell’Artium scholae dell’università di Padova; è pertanto verosimile che proprio in quell’anno Buccella abbia iniziato gli studi di medicina per concluderli nel 155811. In quel periodo era ancora attivo nell’università di Padova colui che aveva stabilito i fondamenti della logica antitrinitaria: il professore di diritto Matteo Gribaldi Moffa, il quale aveva influenzato la prospettiva non solo degli studenti italiani, ma anche di quelli stranieri. Nella tradizione filosofica qui maturata sono cresciuti anche i primi sostenitori dell’antitrinitarismo lituano e polacco. È verosimile che nei primi anni di università Buccella abbia potuto conoscere Petrus Gonesius (Piotr z Goniądza, circa 1530-1573) arrivato a Padova da Vilnius. Partito cattolico dalla Lituania e con sovvenzione del vescovo di Vilnius, a Padova Gonesius attuò una conversione religiosa diventando seguace di Moffa e nel 1554, conseguito il dottorato in filosofia, iniziò ad insegnare sofistica (logica) in quella stessa scuola d’arti come insegnante della Schola Secunda12. Alla scuola di diritto in quel periodo studiava anche Camillo Sozzini, rappresentante di una delle più note famiglie eterodosse di Siena e zio di Fausto Sozzini13. Molto presto, già nel 1555, l’eterodossia razionalista di Padova subì un duro colpo con la cacciata del suo leader Gribaldi Moffa. Con lui fu costretto ad allontanarsi dall’università anche Gonesius, il quale durante il suo Per approfondire si veda S. Adorni Braccesi, Manelfi, Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, 68 (2007). 11 Archivio antico dell’Università di Padova, Atti della Università artista, 1530-1577, n. 675, p. 168 v. 12 Ibid., p. 159 v. 13 La presenza di Camillo Sozzini (Camilus Socinus Senensis) come studente di diritto è confermata dalla discussione di dottorato avvenuta il 27-09-1557, v. Acta Graduum Academicorum Gymnasii Patavini, 1551-1565, a cura di Elisabetta Dalla Francesca e Emilia Veronese, Editrice Antenore, Roma-Padova 2001, n. 705, p. 278. 10 Dainora Pociūtė 39 viaggio fece visita agli anabattisti della Moravia, con i quali mantenevano intermittenti contatti gli eterodossi veneziani. Rientrato in patria si distinse come iniziatore dell’anabattismo e dell’antitrinitarismo in Lituania e Polonia e fu il primo che nel sinodo protestante di Secemin del gennaio 1556 iniziò a divulgare la critica della trinità14. Non si dispone di notizie più precise sulle circostanze della conversione di Buccella, fatta eccezione per quelle da lui stesso fornite durante l’udienza inquisitoriale del 1562. Negli atti si segnala che Buccella era stato ribattezzato secondo il credo anabattista ricevendo il battesimo degli adulti in Moravia. L’intenso moto migratorio della comunità eterodossa italiana verso la Moravia fu manifestazione tipica della vita religiosa della repubblica di Venezia in questo periodo15. Non è chiaro quando esattamente Buccella vi si recò per la prima volta. Nell’udienza del primo ottobre 1562 affermò di esserci stato tre anni prima (ovvero nel 1559 circa) con Antonio Maria Santasophia di Padova16. Interrogato nuovamente, Buccella testimoniò di essere stato in Moravia anche in precedenza: lì cinque o sei anni prima era stato ribattezzato17, si era confessato a dio («mi son confessato a Dio et non da preti né da frati»), aveva partecipato alla Cena del Signore come memoria e da quel momento non aveva più praticato i sacramenti cattolici («neanco mi son communicato in questo tempo […], una volta al modo de quei paesi in pane et vino alla memoria della morte de Giesù Christo Benedetto»). Tra il 1560 e il 1561 Buccella, morta la moglie del fratello Giovanbattista, si recò a Ginevra per sistemare alcune questioni relative ai nipoti; non si hanno però notizie su possibili rapporti confessionali, in quel periodo o in precedenza, con i riformati. In merito alla comunità di Moravia, alla quale apparteneva lo stesso Buccella, nel corso del processo Alessio Todeschi da Bellinzona testimoniò che: È una congregation del ben comun di diverse persone et possono esser al numero de trenta millia de diverse nationi, tra homeni done et fanciuli, Todeschi Ongari Polachi Padoani Vesentini Trivisani et altre nationi […]; quelli che entrano in quella vendeno tutto quello che hanno et danno li denari del tratto a beneficio della congregation, et se sono homeni d’arte li mettono all’arte et le done alli Per un più ampio studio su attività ed idee di Gonesius v. K. Daugirdas, Petras Goniondzietis. Tradicinių dogmų kritikos pradžia XVI a. LDK ir jos atgarsiai Europoje, in «Senoji Lietuvos literatūra»33, 2012, pp. 53-74; D. Pociūtė, Nematomos tikrovės šviesa. Reformacijos Lietuvoje asmenybės ir idėjos, Vilniaus universiteto leidykla, Vilnius 2017, pp. 133-155. 15 Questo tema è trattato più ampiamente nei già citati lavori di Aldo Stella. 16 ASV, Sant’Uffizio, busta 19: “Forse tre anni sono, dove steti per alcuni mesi”; quell’anno in Moravia Buccella trascorse undici mesi. Stella, Anabattismo e antitrinitarismo, p. 166; 177. 17 Ibid.: «Sono stato fora da sei anni in qua (…) può esser da cinque anni, ritrovandomi là in Moravia, udite le loro prediche io riceveti il battesimo da un Lonardo Thodesco ministro di quella chiesa». 14 40 «Fa una setta da sé» sui essercitii, et li fanciuli al lezer e scriver; et s’alcuno vuol poi uscir fuori non puol rehaver pur un bagatino, se ben havesse esborsato diece mille ducati18. Completati gli studi e aspirando all’affermazione professionale, oltre che alla possibilità di vivere in un ambiente religioso favorevole, Buccella iniziò a cercare una sistemazione come medico in Moravia e, come testimoniano i documenti degli interrogatori, ricevette una proposta per l’impiego di medico in uno dei palazzi della monarchia degli Asburgo. Preparatosi ad affrontare – con i due compagni Antonio Rizzetto e Francesco Della Sega da Rovigo – quello che certo non era il suo primo viaggio, Buccella non poté partire poiché il 27 agosto 1562 a Pola i tre furono arrestati sulla base della già menzionata denuncia per debiti sporta da Todeschi da Bellinzona. Con gli ardenti anabattisti Rizzetto e Della Sega, organizzatori della rete tra Venezia e Moravia, Buccella aveva già in passato avuto qualche forma di rapporto, anche se nel 1562 Rizzetto dichiarò di conoscerlo solo «un poco». Gli arrestati furono interrogati dal podestà di Capodistria Girolamo Lando, il quale il giorno stesso compilò il protocollo dell’interrogatorio. In esso Buccella è descritto come «vir communis staturae cum capite tonso et barba sub rubea, aetatis (ut ex aspectu videbatur) annorum quadraginta in circa, indutus vestibus nigris» [uomo di media statura, capelli corti e barba rossa, all’aspetto di circa quarant’anni, avviluppato in vestiti neri]. Durante l’interrogatorio ha indicato di essere medico e chirurgo («medico fisicho e ciroycho»), residente in contrada dei Servi a Padova. A Girolamo Lando, che si stupiva di come un uomo dotto potesse mescolarsi con dei semplici, Buccella rispose: «Che importa? s’ha da far anche con di fachini et con dei gentilhuomini». Interrogato in merito alla Moravia, Buccella affermò, che gli italiani avevano diritto di recarsi lì quanto i tedeschi: «Sì come vengono di Todeschi in queste bande, non possono andar ancho di Italiani di là?» Quando gli venne chiesto perché le persone, lasciato il proprio paese, viaggino con le famiglie verso questa terra straniera, Buccella rispose che lì si viveva secondo il vero spirito evangelico e non c’erano gli idolatri e i peccatori di cui era piena la chiesa di Roma («publici peccatori, come si vede nella Chiesa romana»). Nelle questioni sociali Buccella espresse le convinzioni tipiche dell’anabattismo veneto: la lotta per la parità tra le classi e la vita comunitaria, nella quale si valuta il contributo di ogni persona. Quegli stessi ideali furono espressi anche dal compagno di viaggio di Buccella, Francesco Della Sega, il quale, già studente di diritto all’università di Padova, aveva affrontato la conversione religiosa e si era poi dedicato al mestiere di sarto sottolineando il valore del lavoro manuale: «Lasciai le leggi, dicendo era meglio imparar un mestiero e con le proprie man nel sudor guadagnarsi il pane, che litigar e contendere»19. 18 19 ASV, Sant’Uffizio, busta 19, fascicolo processuale n. 2; Stella, Intorno al medico padovano, p. 7. Caccamo, Eretici italiani, p. 44. Dainora Pociūtė 41 Dopo l’interrogatorio tutti e tre gli arrestati furono convocati al tribunale ecclesiastico e quindi giudicati colpevoli, incarcerati nella prigione dei Capi del Consiglio dei Dieci di Venezia («preggion oscure de’ signori Capi di X») dove trascorsero oltre due anni. Dal 1561 in quella stessa prigione era detenuto anche un altro capofila della rete anabattista di Venezia, Giulio Gerlandi, già anello di collegamento tra le comunità di Venezia e Moravia dal 1550. Poco più tardi, rifiutato l’atto di abiura, Gerlandi fu mandato a morte. Apologie della prigionia: Il Raggionamento e la Confessione di fede di Buccella Durante il primo anno di prigionia, Buccella, così come i suoi compagni, si comportò con tranquillità, dimostrò forza d’animo e ascetismo e sottolineò di trovare la serenità cercando Dio con tutto il cuore, pur non dimostrando alcun segno di pentimento. Trascorso un anno dall’inizio della prigionia, nell’autunno del 1563, Buccella consegnò ai giudici del tribunale dell’Inquisizione di Venezia le sue riflessioni sulla religione contenute in uno scritto intitolato Raggionamento, nel quale definì il proprio essere cristiano come concetto non fondato sull’insegnamento della dottrina20. Il motto del testo era una citazione latina tratta dalla prima lettera ai Corinzi (1 Cor 1,17): non in sapientia sermonis ne evacuetur crux Christi [non con discorso sapiente, perché non venga resa vana la croce di Cristo]. Il Raggionamento era ampiamente costruito su citazioni bibliche: lo stesso Buccella, durante la prigionia, indicò di aver letto la Bibbia e un altro libro che insegnava come diventare «un vero cristiano», oltre a pregare per non allontanarsi dalla verità: «[…] io ho pregato Iddio (sì come et avanti il pregava) che mi volesse dar scientia et sapientia et dono de dover caminar nelle vie sue in verità, et s’alcuna cosa era in me che non li piacesse quella dimostrarmi et donar potere ch’io me ne liberassi»21. Riconoscendo che l’uomo in realtà non può comprendere le motivazioni e le azioni divine, invariabilmente giuste, e che tutto ciò che Dio manda è giusto, Buccella avvalendosi di passi biblici formulò la convinzione che Dio rispetta la promessa di salvare coloro che lo cercano. Nella parte introduttiva del testo, Buccella afferma di comprendere quante persone cadano in errore cercando la 20 Raggionamento di Nicolò Buccella indirizzato alli signori dell’Officio della inquisition dell’heresie in Venetia, ritrovandosi suo preggione nelle preggion oscure de’ signor Capi di X per causa di tal imputation [ca. 1563], in Stella, Intorno al medico padovano, pp. 21-31 (in seguitato citato come N. Buccella, Raggionamento). Assieme al testo del Raggionamento, che negli atti del processo inquisitoriale è senza conclusione, si conserva un altro, più breve, manoscritto di N. Buccella (pubblicato da Stella come seconda parte del Raggionamento). In questo testo Buccella chiedeva comprensione e misericordia. È verosimile sia stato redatto successivamente al primo testo. 21 N. Buccella, Raggionamento, p. 21. 42 «Fa una setta da sé» risposta in merito a cosa sia veramente la santa Chiesa di Cristo, e per questa ragione dichiara di aver deciso di formulare espressamente i propri ragionamenti, oltre a riflettere sulle ragioni delle accuse a lui mosse. Buccella considerò tanto episodi collegati ai romani, quanto ai farisei, che non credevano essere Cristo il figlio di Dio e il messia, giungendo alla conclusione che il loro maggiore errore fu il seguire inamovibili argomenti e il prendere decisioni «corporee» sulla base del pensiero umano («giudicano secondo la carne»). Come molti dissidenti del periodo della Riforma, accostò le esperienze antiche della cristianità alla situazione contemporanea che vedeva cristiani perseguitati che seguendo Dio rinunciavano al mondo. Per lui la storia testimoniava che la chiesa di Roma accusava non sul fondamento spirituale, ma sulla base della lettera formale delle leggi, producendo sempre lo stesso effetto: il processo ai veri cristiani e credenti. Buccella sottolineò che la lunga esperienza della storia aveva infine risvegliato i cristiani: «per il che non è meraviglia se noi non crediamo a tali argumenti quando ne vengono ditti, perché habbiamo già considerato la falsità loro»22. Difendendo il valore della spontanea e semplice verità cristiana, annunciata da Cristo alle persone comuni, Buccella espresse un giudizio critico sulla necessità di interpretare le Sacre Scritture attraverso i padri della Chiesa e basandosi su dottrine e regole approvate dalla Chiesa. Dubitando della pretesa di conoscere la verità che si arroga chi ha il potere e preserva la dottrina, Buccella sottolineava che anche tra gli ebrei vi erano sette di ogni sorta, ma i farisei, negando Cristo, usarono appunto il proprio potere. Gli apostoli e le persone semplici che seguivano Cristo erano denigrati e giudicati sulla base della lettera e delle priorità della dottrina. Allo stesso modo, i giudici della Chiesa di Roma svolgevano il proprio compito non cercando la verità, ma proteggendo le proprie regole e i propri privilegi. Eppure, la lettera non coincide con «il vero senso». Le Scritture stesse, secondo Buccella, testimoniano che la religione fondata sulla dottrina è «falsa»: È adonque manifesto: tal persuasion ch’hoggidì hanno quelli della Chiesa romana, che secondo il commandamento di Christo debbano obedire a’ loro pretti et fratti in tutto quello che comandano et determinano, non advertendo che di presente insegnano una dottrina diversa da quella di Giesù Christo, esser un inganno del diavolo che li adduce la Scrittura fuor del suo senso per sedurli23. Pertanto la vita spirituale non può essere regolata attraverso le leggi e la dottrina, ad essa è estraneo l’«epicureismo», e nessun concilio può avere maggior potere o essere superiore rispetto alle persone che seguono lo Spirito San22 23 Ibid., p. 24. Ibid., p. 28. Dainora Pociūtė 43 to. Esempio supremo di questa vita spirituale era, nelle riflessioni di Buccella, l’apostolo Paolo, che aveva annunciato Cristo e non i documenti dei concili. Nel testo di Buccella più di una volta si fa riferimento alla categoria paolina di coscienza quale fondamentale misura di rettitudine cristiana. I veri cristiani hanno sempre insegnato a rifuggire dai peccati e che ciò è possibile grazie alla coscienza24. L’imperativo della coscienza era centrale non solo nelle testimonianze di Buccella ma anche in quelle degli altri condannati come, ad esempio, nel testo di Della Sega Lettera alli magnifici e clarissimi signori e iudici sopra le cose della fede et conscientia25. La coscienza fu, nelle confessioni di fede e in altri testi dell’età della Riforma, uno dei concetti centrali per la definizione dell’identità cristiana. Su di esso si fondarono già le prime generazioni di dissidenti italiani come Bernardino Ochino. La storia della coscienza, quale concetto, testimonia che il termine greco neotestamentario syneidesis si incontrava anche in testi precristiani26. Il termine – dal verbo oida (“conoscere”, “capire”) con il prefisso syn – indicava una conoscenza ampia e comprensiva. Il corrispettivo latino conscientia, tanto nei costrutti, quanto semanticamente, si collega in maniera analoga a un sapere e ad una conoscenza unificante. Ciò nonostante, nei testi antichi questa categoria non aveva connotazione religiosa e tanto nel Vecchio Testamento, quanto nella lingua ebraica tali concetti erano del tutto assenti27. La coscienza ha assunto il significato di importante categoria religiosa solo nel discorso neotestamentario. È in particolare l’apostolo Paolo ad usare come categoria il termine syneidesis28. Paolo ha attribuito a questo concetto di antica origine il significato religioso di relazione con Dio e in svariate tradizioni intellettuali protestanti, che hanno attualizzato l’insegnamento di Paolo, la questione della coscienza è stata trasformata in categoria fondamentale. Anche se questa categoria fu operativamente adottata da numerosi leader della Riforma, a partire da Martin Lutero, in vari paesi d’Europa29, fu proprio il socinianesimo a fondare sistematicamente numerosi aspetti della sua nuova antropologia sul principio della coscienza dell’individuo. Ibid., p. 29: così «l’astenirsi dalla fornicatione, è stata sempre insegnata da tutti li fideli christiani et per conscientia osservata perch’è secondo i precetti di Giesù Christo et antiquo comandamento di Dio, qual dice: non fornicherai». 25 Stella, Anabattismo e antitrinitarismo, p. 258-268. 26 C. A. Pierce, Conscience in the New Testament, Alec R. Allenson, Chicago 1955, p. 17. 27 In lingua ebraica e nel Vecchio testamento semanticamente vicina alla categoria “coscienza” era quella di “cuore”. 28 Nelle trenta occorrenze di questa categoria nel NT (ad es, Att 23,1; 24,16; 1Pi 2,19; 3,16.21; Eb 9, 9.14; 10, 2.22; 13,18) almeno venti sono collegate a lettere di Paolo. 29 V., ad esempio, per il ruolo della categoria di coscienza nei primi testi della Riforma lituana: D. Pociūtė, Sąžinės atradimas Lietuvoje, «Acta academiae artium Vilnensis», 2002, 24, pp. 51-73. 24 44 «Fa una setta da sé» Il testo di Buccella, in corso di redazione, fu sequestrato, assieme alla Bibbia che egli possedeva, e trattato dagli inquisitori come prova di caparbio rifiuto del pentimento. Proprio questo testo aggravò le condizioni della prigionia: Buccella fu trasferito alla cella dei sotterranei della prigione30. Allora Buccella decise di scrivere un altro appello e spiegare il rifiuto di compiere atto d’abiura. Il prigioniero cercò di difendere il proprio diritto alla sincerità. Sottolineò che aveva cercato di esporre le proprie riflessioni non con l’intento di polemizzare o discutere con i giudici, ma al fine di convincerli che il timore di Dio, e non orgoglio e testardaggine, non gli permetteva di far pubblica penitenza come chiedevano i giudici e così uscir di prigione e credere in altro. Non mostrando segni di intolleranza, egli chiese agli inquisitori comprensione e compassione: Ma io temo Iddio et Quello preggo giorno et notte; et in me non è superbia perché so che son esistimato dalla più parte de gl’huomeni pazzo et da amici che mi amano et dalli miei istessi parenti, né mi ho mosso a questo ch’io sono per desiderio de alcun vicio de carne o comodità del mondo, perch’io poteva star con più comodo nella patria mia et esercitar l’arte honorata del medico che andarmene in paesi longinqui ond’havea a patir molto. Et hora il patir ch’io fo nelle carcere in molti bisogni et disaggii può render testimonio ch’io ho renonciato ad ogni vicio et comodità del mondo et con tutto il cuore cerco le vie di Dio, per il che io vi preggo ad havermi compassione. Dice il dottor Augustino, nel libro De batesimo contra Donatisti (cap. 17), che de niuno si debbe desperare; s’adonque non si debbe desperare de uno che biasteme Iddio o sia epicureo, quanto manco de chi con tutto il cuore desidera far la volontà di Dio et si propone patir ogni disaggio per servir a Quello, et giorno e notte prega Iddio che li sia in agiuto31. Negando di essere un eretico, Buccella difese anche il diritto di vivere di coloro che sbagliano, ricordando ancora una volta Agostino il quale aveva affermato che cercando Dio qualsiasi male può diventare bene: «Ma quello che importa più in tal causa è il voler di Dio, che dice lassare crescer gl’uni et gl’altri, cioè li buoni christiani nel mondo et insieme con quelli gl’heretici»32. Buccella chiese che gli fosse restituita la Bibbia per poter scrivere la propria confessione di fede. Affermò di essere pronto a confessare solo la verità e a riconoscere i suoi possibili errori umani, ma chiese anche che gli fosse permesso di esporre il proprio pensiero, perché ciò non gli era consentito durante le rare visite e nei colloqui con i rappresentanti del tribunale: Io mi butto in genochione, con li genochi della mente, avanti le Magnificentie Vostre et vi adimando per misericordia che mi sia havuto compassione. Quando era fuora di preggione era huomo per poter esser utile a molti con l’arte mia del 30 31 32 N. Buccella, Raggionamento, p. 31: «in loco più sepolto et più triste”. Ibid., p. 30. Ibid. Dainora Pociūtė 45 medico; et essendo anathomico (la qual arte hoggidì si trova in pochi) era buono per aggiutar altri a devenir medici. Et nelle città vostre non ho mai concitado tumulti, ma son stado huomo quieto et de bon essempio33. Le difficili condizioni della prigionia sono descritte da Buccella nella sua Confession di fede indirizzata a tre senatori di Venezia – Nicolò Da Ponte, Andrea Sanudo e Girolamo Grimani – i quali erano assistenti laici del tribunale inquisitoriale34. La confessione di fede di Buccella ha tratti in comune con le quelle di altri protestanti inquisiti; queste confessioni non erano solo dichiarazioni di verità religiose ma anche apologie e tentativi di difesa da accuse ingiuste. Affermando di essere ingiustamente accusato e di credere come credevano i cristiani dei primi secoli, basandosi solo sulle Scritture e sulla parola di Dio, Buccella ricorre a stilemi comuni alle confessioni di vari protestanti. In quanto fedele alla confessione di fede degli apostoli, sostiene che accusarlo in materia di fede sarebbe come accusare gli apostoli35. Evidenti sono nella confessione di Buccella anche aspetti della cosiddetta identità illuminista, testimoniati dall’enfasi posta sullo Spirito Santo e sulla concezione dei cristiani come santi, intesi come figli di Dio. Lo Spirito Santo trasforma il credente in figlio di Dio, nel santuario di Dio, e la Chiesa è l’assemblea di questi prescelti e veri cristiani. In essa, a differenza di ciò che avviene nel secolo, non si possono mescolare il bene e il male, la luce e le tenebre, il Cristo e Belial, i suoi membri non possono non avere in sé lo spirito del Cristo. Una simile concezione della Chiesa dei cristiani era stata proposta nelle confessioni di un altro prigioniero, Giulio Gerlandi: Chiesa santa immaculata, separata dai peccatori, senza ruga o macchia o alcuna cosa simile; la quale come al tempo degli apostoli Pietro e Paolo in Gerusalemme, così è ora nel paese di Moravia: questa è la colonna e il firmamento della verità, alla quale io mi sono unito con ferma speranza di condurre la mia vita santamente insieme con quella insino a fine36. Ibid., p. 31. N. Buccella, Confessione di fede, in ASV, Sant’Uffizio, Processi, busta 19. 35 Tale argomentazione era tipica già delle apologie delle prime generazioni di dissidenti italiani (ad esempio, della lettera di Bernardino Ochino a Siena, scritta subito dopo la fuga a Ginevra del 1542), diventati ispirazione anche per gli evangelici dell’Europa orientale (nella prima confessio fidei in Polonia e Lituania scritta nel 1543 da Abraomas Kulvietis una volta rifugiatosi in Prussia). Per una più ampia trattazione si veda D. Pociūtė, Kulvietis, Ochino and the First Confession of Faith in Lithuania, in Renaissance studies in Honor of Josepf Connors, a cura di Machtelt Israëls e Louis A. Waldman, Harvard University Center for Italian Renaissance Studies, Firenze 2013, vol. 2, pp. 282-292. 36 ASV, Sant’Uffizio, Processi, busta 19, Gerlandi, Confessione del 23 ott. 1561; Caccamo, Eretici italiani, p. 46. In verità A. Stella ha notato come l’ecclesiologia di Buccella, a differenza di quella degli altri compagni di prigionia, nei cui discorsi dominava l’aspetto comunitario (“l’afflato comunitario”), prevalesse l’individualismo. Stella, Anabattismo e antitrinitarismo, pp. 182-183. 33 34 46 «Fa una setta da sé» Dall’estate del 1563 fu Girolamo Buccella ad impegnarsi per la scarcerazione del fratello. Egli si presentò personalmente ai rappresentanti del tribunale inquisitoriale, oltre a rivolgersi all’influente gesuita Alfonso Salmerón, chiedendogli aiuto per convincere il fratello al pentimento («tra gli altri col padre Salmerón delli Giesuiti, quale andò alla preson ad essortar messer Nicolò et lo redusse a remettersi delle sue opinioni»)37. Anche il doge Niccolò Da Ponte provò ad intercedere per Buccella, poiché anche la sua famiglia era filoprotestante e lui stesso era seguito dall’Inquisizione38. Grazie all’impegno degli influenti mallevadori, tra cui anche l’amico e medico dell’università Marcantonio Odio, con la sentenza del 17 agosto del 1563 furono migliorate le condizioni di incarcerazione per Buccella che dalla prigione fu trasferito al domicilio coatto presso il «cason» di S. Giovanni in Bragora, dove potevano fargli visita i familiari39. Poco più tardi Salmerón fece sapere che gli incontri con Buccella e l’invito ad abiurare lasciavano ben sperare. Il 21 febbraio 1564, definendo i due amici di Buccella – Francesco Della Sega e Antonio Rizzetto, come «inflessibili e testardi» eretici, il compagno di Loyola valutò positivamente la disposizione di Buccella al pentimento: […] benché nelli primi giorni si mostrasse alquanto renitente et contrario, tamen dipoi pian piano è venuto a mollificare et ascoltare le nostre raggioni per le quali si mantiene et difende la Chiesa catholica, et così nel penultimo raggionamento dette mostra di mutare in tutto per per tutto phantasia se ad alguni suoi dubbi fussero prima data conveniente risposta. Et havendo ieri domenica andato a visitarlo et datogli piena risolutione alli suoi scrupuli, lui in tutto et per tutto à mostrato di rendersi alla fede catholica et voler essere membro della Chiesa romana et non voler più né credere né intendere la parola de Dio altrementi di quanto essa crede, confessa et insegna40. Il 26 febbraio fu constatata l’abiura di Buccella che era così pronto al pentimento. Secondo A. Stella, l’abiura nicodemitica di Buccella poteva essere stata indotta dalla prospettiva di ottenere un posto all’università di Padova dove intendeva candidarsi per la cattedra lasciata vacante dall’anatomico Gabriele FalASV, Sant’Uffizio, Processi, busta 19, relazione di Alfonso Salmerón (sull’incontro con tre anabattisti) il 21 febbraio del 1564; Stella, Intorno al medico padovano, p. 12. Alfonso Salmerón, tra l’altro, fu il primo gesuita a visitare la Lituania (Vilnius) alla fine del 1555; fu condotto qui dal nunzio papale, e vescovo di Verona, Luigi Lippomano. Per una più ampia trattazione v. D. Pociūtė, C. Caro Dugo, Pirmasis jėzuitas Lietuvoje: Alfonso Salmeróno laiškai Ignacui Loyolai, «Literatūra», 2008, 50/1, pp. 59-72. 38 Stella, Intorno al medico padovano, p. 11. Il fratello di Niccolò Da Ponte, Andrea Da Ponte, nel 1560 emigrò verso Ginevra dove diventò pastore riformato. 39 ASV, Sant’Uffizio, Processi, busta 19; Stella, Anabattismo e antitrinitarismo, p. 180. 40 Ibid., relazione di Alfonso Salmerón (sull’incontro con tre anabattisti) il 21 febbraio del 1564; ibid, p. 178. 37 Dainora Pociūtė 47 lopio, morto il 9 febbraio 1562; posizione che non era stata occupata da oltre due anni41. Nella primavera di quello stesso anno Buccella si ammalò gravemente e il 27 marzo, in preda alla febbre, redasse il proprio atto di abiura nel quale condannò la pratica perniciosa appresa in Moravia: «[…] tenuto et creduto per molti anni, ingannato dal Demonio et da false persuasioni de anabattisti habitanti in Moravia et da altri de loro che in queste parti de Italia me hanno sovertito et rebattizato»42. Nel testo dell’abiura fu riconosciuta l’importanza della penitenza attraverso la confessione e abbandonata l’idea della confessione diretta a Dio; l’essere del vero corpo e sangue di Dio nel sacramento dell’altare; era riconosciuto il battesimo dei bambini – e condannata la pratica del secondo battesimo per libero volere; riconosciuti gli altri cinque sacramenti della Chiesa cattolica, il primato e il potere del papa, il ruolo della Chiesa di Roma come unico successore della Chiesa fondata dagli apostoli, l’esistenza del purgatorio, l’adorazione dei santi, l’efficacia delle indulgenze. L’abiura permise a Buccella di salvarsi la vita: entrambi i suoi compagni – Della Sega e Rizzetto – che lo stesso Buccella cercò di convincere all’abiura, rifiutarono e, nel febbraio 1565, furono condannati a morte per affogamento43. Il 12 settembre del 1564 una prescrizione medica per trattamenti con acque curative («haurire aquas balneorum») permise a Buccella di partire per Abano, ma con la clausola di presentarsi al tribunale entro l’11 ottobre. Il 7 dicembre il tribunale dell’Inquisizione emise una sentenza per la sua liberazione con l’indicazione di non lasciare Padova per tre anni. Rimessosi, Buccella si dedicò alla pratica chirurgica cercando di rafforzare la propria posizione all’università di Padova, cosa che gli riuscì difficile soprattutto quando l’11 aprile del 1565 la cattedra di chirurgia e anatomia fu assegnata al suo principale avversario Girolamo Fabrici d’Acquapendente (decisione valutata criticamente dagli studenti); pertanto Buccella si dedicò alla pratica privata. I documenti rimasti nelle cronache della nazione tedesca dell’università di Padova testimoniano che dal 1569 gli studenti tedeschi fecero sistematicamente riferimento a Buccella per lezioni private in quanto lo consideravano il miglior anatomista nella Padova dell’epoca44. Presto però Buccella fu nuovamente oggetto di sospetti. Nei documenti della nazione dei tedeschi del 1573 fu registrata la denuncia degli studenti stessi secondo i quali Buccella, che in tutta Italia non aveva rivali nel ramo dell’anatomia e della chirurgia, era stato costretto ad abbandonare l’insegnamento45. InIbid., pp. 189-190. ASV, Sant’Uffizio, Processi, busta 19, «abiuratione in fede». 43 Stella, Anabattismo e antitrinitarismo, p. 179. 44 Atti della Nazione Germanica Artista nello Studio di Padova, per cura di Antonio Favaro, vol. 1, Tipografia Emiliana, Venezia 1911, p. 70, 76, 85, 89. 45 Ibid., p. 92. 41 42 48 «Fa una setta da sé» formato dell’intenzione di arrestarlo, Buccella si preparò per la fuga dalla patria. Il primo tentativo di partire in nave da Venezia fallì: fu fermato mentre veniva redatto l’atto in merito al carico della nave. Dopo l’interrogatorio Buccella fu rilasciato, ma per sfuggire alla minaccia dell’arresto, la sera dell’11 luglio 1574 lasciò segretamente Padova e, senza informare nemmeno i familiari con cui aveva pranzato, riuscì per tempo a lasciare la casa. Il 14 settembre del 1574 il tribunale dell’Inquisizione promulgò a Venezia l’anatema contro di lui. Buccella partì sapendo di poter contare sull’invito di una delle maggiori figure dell’antitrinitarismo dell’Europa del XVI secolo, Giorgio Biandrata (15161588), medico del voivoda di Transilvania Stefano Báthory. Il messo di Báthory Francesco Montenero (Montenigro), il 9 luglio del 1574, interrogato dall’Inquisizione in merito a servizi prestati da Buccella presso il Biandrata, disse di non sapere nulla, tuttavia indicò che: Io non so qual amicitia sia tra loro, ma so bene che Georgio Brandata ha scritto a Nicolò Buccella che venesse allegramente al servitio del Principe, che sarebbe ben trattato et haverebbe buona provisione, et questo lo so perché Giorgio Brandata mi dette queste lettere per portare a Nicolò Buccella et mi disse anco a bocca che venisse ogni modo al servizio46. L’altro testimone, Giacomo Gatis orefice di Rialto a Venezia, il 31 luglio del 1574 testimoniò parimenti che: «tutti quei che vengono de là et mi parlano di questo Brandata mi dicono ogni ben de lui, cioè che fa apiacer a tutti et abrazza ogniuno, massime del paese de qui»47. Medico della corte degli Jagelloni di Polonia e Lituania, Biandrata si era trasferito dalla Polonia alla Transilvania nel 1563 su invito del signore di Transilvania – il figlio di Isabella Jagiello – Sigismondo Zápolya il quale, proprio con l’aiuto di Biandrata, riconobbe l’unitarianismo come confessione di pari diritto in Transilvania. Da allora, Biandrata aveva costruito e rafforzato la rete eterodossa in Polonia, Lituania e Transilvania. Sfruttando il suo prestigio come medico e diplomatico in questi paesi cercava occasioni di inserimento per i suoi compatrioti. Nel 1572, salito al trono di Transilvania Stefano Báthory mentre nella regione iniziavano a stabilirsi i gesuiti, il potere di Biandrata andò calando; ciononostante fino alla fine dei suoi giorni egli restò uomo di fiducia di Báthory e fu suo rappresentante diplomatico durante la campagna per il trono polacco-lituano. È verosimile che Buccella sia stato messo in contatto con Biandrata dal dissidente italiano, e ricco veneziano residente in Moravia, Niccolò Paruta (m. 1581), con il quale proprio in Moravia Buccella aveva intrattenuto rapporti: 46 ASV, Sant’Uffizio, Processi, busta 36, Protocollo dell’incontro tra Francesco Montenigro e l’inquisitore, 1574 07 09. 47 ASV, Sant’Uffizio, Processi, busta 36, 1574 07 31; Stella, Intorno al medico padovano, p. 15. Dainora Pociūtė 49 l’autore delle tesi De uno vero Deo Iehova (circa 1568) si era stabilito ad Austerlitz (ora Slavkov), centro dell’anabattismo, nell’estate del 156148. Con Paruta, la cui casa fu rifugio per molti eterodossi italiani tra i quali, nel 1564, Bernardino Ochino, Buccella mantenne contatti anche più tardi. Dal 1573 fino alla morte, Paruta visse in Transilvania e intrattenne stretti rapporti con i capifila dell’antitrinitarismo Ferenc Dávid e Biandrata, il quale quello stesso anno fece in modo di far assegnare a Buccella il ruolo di medico nel palazzo del signore di Transilvania. Ancora negli atti dell’interrogatorio del 1567 Marcantonio Varotta testimoniò che, per l’amicizia con Paruta, Buccella era divenuto samosatenita49, anche se nulla sembra sostenere l’idea che Buccella avesse abbracciato la posizione negazionista della preesistenza di Cristo contenuta nelle opere tarde di Paruta. In genere i termini delle testimonianze rilasciate nel XVI secolo erano imprecisi, e “samosatenita” era uno dei sinonimi di eretico. Come testimoniano numerose fonti, l’ambiente antitrinitario veneziano era eterogeneo (anche se la storiografia ha prodotto molti tentativi di classificazione) e le stesse questioni cristologiche erano in esso oggetto dei più svariati ragionamenti. Le testimonianze del nunzio Alberto Bolognetti Giunto da solo al palazzo del duca di Transilvania, Buccella risiedette nel paese per circa un anno e mezzo, fino a quando Stefano Báthory fu eletto signore della Repubblica delle Due Nazioni, e nel marzo del 1576 si trasferì con tutta la corte nello stato polacco-lituano. Esule in Polonia e Lituania, Buccella si assicurò una vita abbastanza tranquilla e agiata. Occupando il prestigioso impiego di primo medico del sovrano Buccella riceveva un salario annuale di 600 ducali d’oro e aveva numerosi clienti nell’ambiente aristocratico. Anche se nei primi anni dovette seguire il sovrano Stefano Báthory nelle campagne della guerra di Livonia, all’indomani della pace intraprese varie attività imprenditoriali (aveva una cartiera e un laboratorio per il ferro, si occupò di estrazione del sale e di prestiti) e la sua situazione materiale si fece sempre più solida. Buccella acquistò case in muratura a Cracovia e a Kaunas, possedimenti nelle regioni di Alytus e Hrodna (ora in Bielorussia) e un palazzo a Perevalk (nella circoscrizione di Hrodna). In Lituania Buccella sistemò le famiglie del fratello e della sorella, aiutò alcuni giovani amici italiani a trasferirsi qui. Diventato ricco, si prese cura dei figli del fratello e della sorella ai quali, non avendo egli eredi, lasciò nelle volontà testamentarie una grande parte della sua eredità. Buccella divenne importante figura della rete di dissidenti italiani, impegnato nell’assicurare protezione e 48 49 M. Rothkegel, Paruta, Niccolò, in Dizionario Biografico degli Italiani, 81 (2014). Stella, Anabattismo e antitrinitarismo, p. 172. 50 «Fa una setta da sé» sovvenzioni ai membri che ne facevano parte e, trasferitosi a Cracovia dal 1579, anche al leader del movimento Fausto Sozzini, la cui indifferenza per le cose del secolo e la dedizione a quelle spirituali fu notata anche da oppositori quali il nunzio Alberto Bolognetti: Fausto Soccino puoi è in maggior concetto presso agl’heretici non solamente di letteratura, ma ancora d’una certa bontà dispregiatrice delle cose del mondo al qual concetto oltre che corrisponde quella sua natural palidezza del volto; pare anco ch’egli cerchi conformarsi et con l’habito (vestendo molto sprezzatamente, benchè forse per bisogno), et con le parole le quali quanto al suono sono tutte humili et tutte dolci; onde vien chiamato angelo mandato da Dio50. A lungo la famiglia di Sozzini, quella di Buccella e la famiglia polacca dei Morsztyn costituirono una rete di parentele e legami d’affari51; rete caratterizzata anche dalla professione degli stessi valori religiosi. La famiglia dei Buccella era già ben integrata nella società della Repubblica delle Due Nazioni quando nel 1589, sotto il sovrano Sigismondo Vasa – nel cui palazzo Niccolò Buccella continuò la sua carriera di medico – fu loro riconosciuto l’indigenato52. A cercare di arginare l’allargarsi della rete sociniana e dei dissidenti italiani furono gli ambienti cattolici locali e i gesuiti che iniziavano ad essere attivi nella Repubblica delle Due Nazioni e che non vedevano di buon grado soprattutto la presenza di “eretici” nello stesso palazzo reale. Grande impegno in questo senso fu profuso dal nunzio papale in Polonia Alberto Bolognetti (1538-1585), uno dei nunzi di maggior successo nella Repubblica delle Due Nazioni durante l’epoca della Controriforma. Già studente di legge all’università di Bologna, Bolognetti aveva iniziato la carriera accademica per poi abbandonarla – assieme al secolo ed agli amici – quando fu chiamato, nel 1574, dal nuovo papa Gregorio XIII il quale intendeva assegnargli compiti nella diplomazia pontificia53. Il 4 aprile 1581 Bolognetti fu scelto come nunzio papale in Polonia e occupò questa carica per quattro anni, fino alla morte occorsa il 9 maggio 1585, durante il viaggio verso il conclave seguito alla morte di papa Gregorio XIII. Assieme al gesuita Antonio Possevino, inviato diplomatico della Sede apostolica presso la corte di Stefano 50 A. Bolognetti al cardinale Savelli, Cracovia, 23 aprile 1583, in Alberti Bolognetti nuntii apostolici in Polonia epistolae et acta 1581–1585. Pars II: 1583, ed. E. Kunze, Academia Polona Litterarum et Scientiarum, Cracovia 1938 (in seguito citato come Bolognetti epistolae II), p. 257. 51 K.R. Prokop, Faust Socyn w Igołomii (przyczynek do dziejów antagonizmów religijnych w Polsce końca XVI w.), in Przez Kresy i historię po obrzeża polityki. Profesorowi Marcelemu Kosmanowi w pólwieće pracy naukowej, t. 1, opr. Iwona Hofman, Wojciech Maguś, Wydawnictwo Adam Marszałek, Toruń 2011, pp. 525-554. 52 Il riconoscimento ufficiale, secondo le leggi della Repubblica delle Due Nazioni, dei diritti – pari a quelli di un indigeno appunto – di un nobile di origine straniera. 53 G. De Caro, Bolognetti, Alberto, in Dizionario Biografico degli Italiani, 11 (1969). Dainora Pociūtė 51 Báthory, Bolognetti partecipò all’ambizioso progetto di cattolicizzazione della regione di Livonia e addirittura della Moscovia, oltre a tentare di ripulire l’entourage del sovrano dalla presenza eterodossa. I diplomatici cattolici notarono come l’antitrinitarismo si diffondesse nella regione specialmente attraverso i medici. Possevino cercò di convincere il cattolico sovrano di Polonia e Lituania a trovare un medico fedele alla Chiesa di Roma impegnandosi egli stesso nella ricerca54. Durante il sinodo di Varsavia del 1582 fu portata al sovrano la richiesta di integrare quanto più possibile la Chiesa nella vita statale e giurisdizionale, oltre che di cacciare tutti gli eretici dai possedimenti reali. Nelle sedute supplementari fu chiesto al sovrano di non tener presso la sua persona rappresentanti di altre fedi55: Nel medesimo proposito messi in consideratione a S. Mtà quanti mali effetti possano seguire dall’havere essa presso di sé persone heretiche et tanto favorite; al che rispose la Mtà S., allegando in alcuni l’essere militari, et non professori di lettere; in altri l’essempio, con dire che anco altri prencipi cattolici sono soliti haver medici heretici, come che quella professione porti seco minor scandalo; et con questa occasione lodò assai il Bucella suo medico quanto a tutte l’altre parti. Et pregand’io S. Mtà che vedesse almeno di ridurlo, disse che, se bene non era sua professione il parlare di theologia, nondimeno s’era forzato di ridurlo di nuovo alla fede cattolica, argomentando dall’antichità, dalla successione continovata di tanti sommi pontefici, dalla santità de gli scrittori cattolici et da i miracoli da loro fatti, ma che esso si mostrava duro, et che non haveva S. Mtà anco potuto conoscere di che setta egli si fosse56. Il nunzio Bolognetti cercò personalmente di provocare i più influenti protestanti presenti alla corte del sovrano inducendoli a discussioni religiose e incoraggiandoli a ravvedersi. Come testimonia la sua corrispondenza, a lungo i protestanti cercarono di evitare tali discussioni con il nunzio. Con Buccella, il quale godendo di grande fiducia da parte del sovrano aveva iniziato a mostrarsi apertamente come protettore degli eterodossi, Bolognetti si incontrò alla fine dell’estate del 1582, dopo aver arrestato a Varsavia due frati cappuccini fuggiti da Venezia. Questo evento testimonia la memoria ancora viva del famoso geIl sovrano però, pur non obiettando alla presenza di medici cattolici, ricordò a Possevino come questi evitassero la Polonia: «essi vogliono più tosto uno scudo in Italia che dieci in Polonia», v. A. Possevino al cardinale di Como (Tolomeo Gallio), 17 aprile 1583, in Bolognetti epistolae II, p. 239. 55 A. Bolognetti al cardinale di Como (Tolomeo Gallio), 20 settembre 1582, Varsavia, in Alberti Bolognetti Nuntii Apostolici in Polonia Epistolae et Acta 1581-1585, ed. L. Boratyński, E. Kunze & Cz. Nanke. Pars I: 1581-1582, Academia Polona Litterarum et Scientiarum, Cracovia 1923-1933 (in seguito citato come Bolognetti epistolae I), p. 495: «Poi nelle commissioni addititie si aggionge che si preghi la M.tà Sua a non tenere presso di sè persone d’altra religione […]». 56 Ibid., p. 496. 54 52 «Fa una setta da sé» nerale dell’ordine dei Cappucini Bernardino Ochino (1487-1564), uno dei primi rappresentanti della Riforma italiana fuggito dall’Italia nel 1542 e che negli ultimi anni di vita (1563) raggiunse anche la Polonia e la Lituania: Sano capitati qua due frati capucini, chiamati l’uno fra Francesco et l’altro fra Camillo, amendue da Venetia, fuggiti dalla loro religione, i quali con valersi del sigillo d’una certa lettera del P. loro commissario haveano falsificato un’obedienza, fingendo d’esser mandati in queste parti da loro superiori per vedere se sarebbe facile l’introdurre la loro religione57. Negli incontri i frati, secondo Bolognetti, spiegarono il proprio comportamento citando l’esempio di Ochino: […] et già uno haveva detto: “Chi mi terrebbe s’io mi volessi far heretico?” Et altro, in ragionar di fra Bernardino Occhino haveva havuto a dire ch’egli era fuggito per necessità et per dubbio del Papa c’havea fatto attossicare, come diceva, un cardinale per causa commune ad esso Occhino ancora: et che il medessimo Occhino havea lasciato due figlie bellissime, una delle quali havea giurato di non maritarsi se non ad un cappucino, et simili impertinenze et essorbitanze che non potevano se non nuocere grandemente, quando fussero dette fra heretici o fra cattolici58. Arrestati i due, Bolognetti si impegnò affinché fossero rimpatriati in Italia e mantenendo contatti con il vescovo di Olomouc Stanislav Pawlowsky li rinviò al giudizio del tribunale di Venezia. A queste azioni si era opposto in particolare Buccella, il quale aveva tentato di agire per la liberazione dei frati durante il viaggio, ma, su indicazione di Bolognetti, questi furono condotti a Olomouc per vie diverse da quelle usuali. Gli inviati, rientrati per la via più consueta attraverso Cracovia, riferirono di tumulti sollevati dagli “eretici”, di proteste per la violazione della libertà di coscienza vigente in Polonia e di deportazioni di persone inviate a Roma per essere messe al rogo59. Questo moto era stato sollevato da Buccella il quale a nome del re aveva indicato ai capitani di prendere provvedimenti affinché i frati fossero liberati. Báthory nel colloquio con Bolognetti chiarì di non aver dato un tale ordine e rimarcò che Buccella troppo si era permesso, eppure non prese alcun provvedimento nei suoi confronti60. Compren57 A. Bolognetti al cardinale di Como (Tolomeo Gallio), 24 agosto 1582, Varsavia, in Bolognetti epistolae I, p. 441-442. 58 Ibid., p. 443. 59 A. Bolognetti al cardinale di Como (Tolomeo Gallio), 20 settembre 1582, Varsavia, ibid., p. 499: «Ma nel tornare puoi d’Olmuz ha fatto la strada di Cracovia, et dice che ha trovato per tutte quelle terre gran rumore di questo fatto, dicendosi fra quelli heretici che di Polonia, dove si ha libertà di conscienza, erano stati mandati duoi a Roma al supplicio del foco, havendosi per chiaro che si fossero mandati come heretici». 60 Ibid.: «Mi sono doluto co’l Re di questo così grande ardimento del Bucella, tanto più ch’egli Dainora Pociūtė 53 dendo che difficilmente sarebbe riuscito a diminuire l’autorità di Buccella agli occhi del sovrano, Bolognetti, assieme al gesuita Marcin Laterna, confessore del re, più di una volta cercò di parlare con Buccella, ma i colloqui non portarono alcun frutto. In una lettera del 20 settembre 1582 il nunzio scrisse: Hebbi io a’ questi giorni un poco di speranza della conversione di questo Bucella, la quale edificherebbe qui grandemente, perciò che il Sr. Alamani, mastro di cucina di S. Mtà, mi disse haver fatto giudicio dalle sue parole ch’egli mi conferirebbe volentieri le risolutioni della vita sua. Onde conveni con P. Laterna d’invitarlo una mattina per farne prova, ma la prova fu tale ch’io perdei quasi affatto ogni speranza; egli disse cose mostruosissime, et finalmente poi si scusò di non haver dormito ancora, come soleva sempre il doppo magnare, et non poter senza questo parlar di cose serie61. Bolognetti descrisse con dovizia di particolari gli eretici dell’entourage di Báthory in una lettera scritta da Cracovia il 23 aprile del 1583 e indirizzata al cardinale Giacomo Savelli. Tra loro Buccella era indicato come il più importante ed influente. Bolognetti riportò alcuni rilevanti dettagli sul comportamento di Buccella – l’individualismo, la tendenza ad un’indipendente interpretazione del significato dei testi, la critica dei dogmi – i quali lo indussero a definire il medico del sovrano come uomo non appartenente ad alcuna chiesa e che «fa una setta da sé»: Et per parlar prima di quelli che servono al Ser.mo Re, il Dottor Buccella si può metter per il principale. Quest’huomo non si sa di qual setta si sia, com’ho inteso più volte da molti, et in specie dal P. Laterna confessore et predicatore del Re il quale m’ha detto di non haver mai potuto conoscere in quel huomo l’humor peccante, perciochè non va al Brogh dove convengono gl’altri heretici alle loro superstitioni, et più tosto fa una setta da sé. Volentieri interviene alla predica di S. Mtà, ma da quel che sente cava argomenti per oppugnare i dogmi di S. Chiesa, com’ha fatto ultimamente in materia del digiuno, torcendo sophisticamente le parole del predicatore in senso contrario alla sua intentione. Non impedisce che i suoi servitori non siano cattolici, nondimeno accarezza molto più gl’heretici et non solamente i servitori, ma gl’altri ancora che capitano in corte, et gli favorisce presso al Re sotto specie di carità62. Rilevante è la testimonianza di Bolognetti in merito al fatto che Buccella non solo scrivesse su questioni religiose ma pubblicasse anche libri inviandoli poi in Italia. Queste opere di Buccella al momento non sono note: havea fatto dire a capitani di quelle terre (per quanto riferisce il preposto) che l’intentione di S. Mtà era che i frati si liberassino; la qual cosa mi ha negato risolutamente la Mtà S, riferendomi le parole precise ch’ella havea risposto all’istanza fattagli di ciò dal Bucella, et disse che di questo volea fargli una gagliarda riprensione, perchè in vero è passato molto innanzi». 61 Ibid., p. 496. 62 A. Bolognetti al cardinale Savelli, 23 aprile 1583, Cracovia, in Bolognetti epistolae II, pp. 251-252. 54 «Fa una setta da sé» Spende gran tempo nello scrivere in materia di theologia, se bene egli lo niega, et tiene alcuni suoi servitori occupati in copiare. Anzi ho inteso (et questa è una delle cose più principali che m’hanno mosso a fare questa informatione) che fa stampar libretti, et li manda alla volta d’Italia, acciò siano spersi per mezzo de suoi confidenti. Questo ho inteso dal P. maestro Camillo Tacchetti provinciale qui de’Conventuali di S. Francesco il qual mi riferisce che, trovandosi in Starogrod castello in Prussia di Mons. Rmo vescovo di Culma, si abboccò con un servitore d’esso Mons. vescovo datogli dal Buccella, col quale esso servitore era prima stato tre anni, et gli riferisce quanto ho detto circa il mandar libri in Italia, affermando ch’esso medesimo vedeva fare i fastelli di detti libri per mandargli via. Dice il padre che non puotè saper da costì, nè a chi si mandassero, nè dove, nè come, nè alcuna altra circonstanza, ma che ben sa, ch’esso Buccella ha la sua corrispondenza in Valtolina et in Chiavenna. Et in questo procede cautamente che, se bene i cattolici praticano domesticamente in camera sua, nondimeno si guarda di non gli lasciar veder sue lettere; di che s’accorse un giorno Mser Francesco Maffoni Bresciano organista del Re perché, trovando una lettera chiusa su la tavola c’havea il soprascritto al Rev. tale, Piovano della chiesa riformata in Chiavenna, il Buccella accortosi che leggeva il detto soprascritto, mostrò non haverlo caro et disse (benchè in modo di burla o più tosto di derisione): “Non leggete queste cose di noi altri ché, se lo sa il vostro Papa, vi scommunicherà”. Et a messi passati il capitano Domenico Mora, quando venne dal campo del Re in Varsovia, disse ch’esso Buccella haveva havuti una quantità di putti Moscoviti, et gl’havea distribuiti qua et la per istruirgli, il che sarebbe un fare com’un seminario per ampliare la sua superstitione63. Bolognetti segnala nelle sue lettere che Buccella aveva iniziato ad evitare il nunzio poiché questi provava a discutere con lui della sua visione religiosa. Anche se Buccella evitò sempre lunghe discussioni sul tema, Bolognetti riuscì comunque a notare alcuni fatti importanti che potevano testimoniare dell’autocoscienza religiosa di Buccella. Lo sguardo critico verso il ruolo istituzionale della Chiesa che Buccella si era formato già nel periodo veneziano si era andato ulteriormente consolidando. Il nunzio aveva compreso come Buccella non fosse uno dei sostenitori di quei protestanti che cercavano di costruire la “chiesa ideale” e che aveva maturato una posizione cristiana priva di confessione: dopo la venuta di Cristo agli uomini è stato portato un nuovo messaggio spirituale e pertanto ogni persona è responsabile di sé stessa, la Chiesa come autorità non è necessaria. Seguendo l’insegnamento di Antico e Nuovo Testamento il cristiano deve seguire solo la propria coscienza illuminata dai testi sacri: Mostrò nondimeno da quel poco che disse, di non esser dell’humore di quelli i quali, se ben confessano l’authorità della Chiesa, vogliono però fabbricarsi una chiesa in sogno a modo loro, perciochè esso più tosto tiene che ciascuno, 63 Ibid., p. 252. Dainora Pociūtė 55 interpretando il Testamento Vecchio e Nuovo in quel senso che gli par consonante, debba vivere secondo che gli detta la sua conscienza. Et per questo dice che, doppo l’haver N. S. Giesù Christo mandato lo Spirito S., non manda più profeti, non volendo che più si creda ad altri, ma ciascuno a sè medesimo et alla sua conscienza illuminata da questo lume. Le quali stravaganze fanno tanto più maravigliare, perchè nell’altre materie fuor della religione egli si mostra assai sensato, ma quando si viene alle cose della fede, si vede che frenetica et non ascolta con animo d’aderire al vero, ma con risolutione di star ostinato; et nondimeno egli ha ardimento di lamentarsi che i padri giesuiti et altri che disputano con lui, non vadino con dispositione de cedere al vero; et con questa scusatione in gran parte chiude l’orecchie, dicendo ch’in tal modo non si può disputare64. Considerazioni conclusive Niccolò Buccella, dottore in medicina laureatosi all’università di Padova, studente presso questa stessa università tra il 1554 e il 1558 circa, esponente della seconda generazione di protestanti italiani, fu uno degli esempi di successo nell’integrazione sociale nell’Europa orientale. Buccella beneficiò del lavoro organizzativo, di medico e collaboratore di Fausto Sozzini, svolto da Giorgio Biandrata che fu importante organizzatore della rete di antitrinitari italiani in questa regione. Insieme con Biandrata che fu attivo in questo periodo in Transilvania, Buccella nello stato polacco-lituano coscientemente riunì le forze degli antitrinitari italiani e ne rafforzo le forme di inserimento. Sfuggito alla pena di morte da Venezia simulando l’abiura, Buccella ottenne, proprio grazie a Biandrata, il prestigioso incarico di medico del sovrano cattolico della Repubblica delle Due Nazioni Stefano Báthory, si imbarcò in diverse imprese d’affari, collocò i suoi parenti nel paese e ottenne l’indigenato. Divenne organizzatore dell’attività educativa del primo socinianesimo nonché persona vicina alla cerchia del capofila del socinianesimo Fausto Sozzini. Stefano Báthory aveva fiducia negli eterodossi che detenevano incarichi di rilievo presso la sua corte e non ne controllava le idee religiose. L’impegno profuso dalla Chiesa di Roma per ripulire l’entourage del sovrano dagli “eretici” e riportare Buccella al cattolicesimo non diede perciò frutti. Le fondamenta degli indipendenti comportamenti religiosi di Buccella si erano formate già in Italia (a Padova e al tempo del viaggio in Moravia) e quindi prima dell’emigrazione, e le idee professate si rafforzarono ulteriormente nell’ambiente sociniano polacco che le condivideva. Egli è ritenuto un importante intermediario della tradizione eterodossa veneto-morava nell’ambiente 64 Ibid., p. 253. 56 «Fa una setta da sé» del primo socinianesimo polacco-lituano e costituisce la figura chiave di questo passaggio. I più evidenti caratteri della sua identità – la rivendicazione del diritto di interpretazione individuale delle Scritture, la fede nella salvezza del cristiano che cerca la verità, il peso preponderante della coscienza individuale sulla dottrina, la riduzione del ruolo della Chiesa – si manifestarono con continuità nei diversi periodi della sua vita. Il caso di Buccella testimonia dei nuovi e maturi assunti antropologici del primo socinianesimo degli eterodossi italiani e del formarsi di un’identità cristiana non confessionale nell’ambiente sociniano della Repubblica delle Due Nazioni nel XVI secolo. Allo stesso tempo Buccella è anche un rilevante esempio della relazione tra l’eterodossia veneziana e la filosofia sociniana sviluppatasi in Polonia e Lituania. La concezione maturata in patria da Buccella del cristianesimo come l’insegnamento di Gesù che chiamava a cercare il vero e vivo Dio e non adorare la dottrina, fu sviluppato nell’esilio lituano-polacco in corrispondenza con pensiero di Fausto Sozzini: la valorizzazione della coscienza cristiana e il disprezzo per il dogmatismo di ogni sorte, perfino nei confronti dei riformatori, rimasero gli atteggiamenti di base di Buccella. Gli avversari cattolici percepirono questo aspetto antropologico del primo socinianesimo come il massimo del settarismo individuale. Nella lettera De ecclesia, inviata ad un anonimo il 17 marzo 1585, Sozzini descrisse la chiesa cristiana in termini molto simili a quelli usati da Buccella nelle prigioni veneziane, così come dai suoi compagni di prigionia che subirono una tragica fine: una comunità che aspira alla salvezza, e non alla purezza della dottrina. Condannare gli altri perché non la pensano in tutto come te, e affermare che fuori della tua communità non c’è possibilità di salvezza, questo non è proprio della chiesa apostolica, anzi le è del tutto estraneo. Ci sono molti punti della religione cristiana che, benché utili, non sono però indispensabili alla salvezza eterna: nulla impedisce che le varie communità cristiane, o chiese in parte diverse fra di loro, professino tutte una dottrina sufficiente a ottenere salvezza: “La chiesa appostolica, come ho detto sopra, non è quella che non erra in nessun punto della sua dottrina, ma quella che non erra nei punti indispensabili alla salvezza”65. Quando Sozzini si stabilì a Cracovia nel 1579, Buccella, ormai ricco e affermato come medico del re divenne protettore e amico intimo del leader del primo socinianesimo. Fra Sozzini, la famiglia di Buccella e la famiglia antitrinitaria di Morsztyn si creò una rete di solidarietà e parentele legata da interessi tanto La citazione italiana è tratta da: O. Niccoli, La crisi religiosa del Cinquecento, S.E.I., Torino 1975, p. 153. Testo latino: Faustus Socinus, Opera omnia (“Bibliotheca Fratrum Polonorum”), t. I, Irenopoli, 1656 [1665], p. 347. 65 Dainora Pociūtė 57 economici che confessionali. Ciò favorì il mantenimento dell’autonomia sociale e religiosa dei protagonisti di questa fase. Il valore della coscienza umana illuminata da Dio e che non ha bisogno di disciplina dottrinale, sottolineato da Buccella fin dal periodo veneto, fu elaborato come base di un nuovo insegnamento nel contesto della teologia protestante dal suo amico e protetto Fausto Sozzini. Sozzini elaborò un’antropologia basata non sul sacrificio di Cristo, ma sul suo esempio di santità e sul suo messaggio di riconciliazione tra Dio e l’uomo66. Come gli eterodossi veneti, anche Sozzini insegnò che Dio è sempre misericordioso. D’altra parte, il rapporto tra l’uomo e Dio è determinato da fattori antropologici: la riconciliazione dell’uomo con Dio non è una decisione solo divina, è piuttosto un processo che coinvolge due attori. Solo dall’uomo dipende quanto egli sia pronto a perseguire il bene. L’uomo non è vittima del peccato originale e da se stesso può compiere opere buone anche se non perfette. La salvezza dipende perciò dalla coscienza dell’individuo; il che significa che la fede cristiana in essenza è guidata dall’atteggiamento morale dell’individuo67. Come ha correttamente notato Aldo Stella, «più che il razionalismo va sottolineato nel socinianesimo ancora l’intimo nesso tra coscienza illuminata dall’insegnamento evangelico e conseguente forte impegno nella vita morale»68. Così la filosofia sociniana dalle radici nell’evangelismo italiano si evolve tra Polonia e Lituania compiendo il passo «dall’illuminismo religioso all’illuminismo laico»69: i suoi sviluppi nel XVII secolo hanno spianato la strada europea alla filosofia morale dell’epoca dei Lumi. K. Daugirdas, Die Anfänge des Sozinianismus, Vandenhoeck&Ruprecht, Göttingen 2016, pp. 79-82. 67 Ibid., p. 255. 68 Stella, Anabattismo e antitrinitarismo, pp. 221-222. 69 Ibid., p. 11. 66