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Vittorio Coco, Polizie speciali. Dal fascismo alla Repubblica, Roma-Bari, Laterza, 2017, pp. 234 («Italia Contemporanea» 288/2018)

298 Rassegna bibliografica to bene donne immorali e poco idonee ai diktat del patriarcato fascista. Qui si pone una questione di rilievo e di ordine più generale. In ambito psichiatrico, ma potremmo ampliare il raggio della riflessione, la ricerca mostra come molti dei dispositivi di internamento nel periodo fascista affondino le loro radici negli stilemi culturali dei decenni precedenti. Le rielaborazioni, i riadattamenti e gli usi politici presentano indubbie discontinuità; tuttavia in ordine a temi quali il discorso politico sulla maternità, la salvaguardia della materia biologica della Nazione, il controllo delle emotività, tornare a riflettere sull’insieme continuità/discontinuità tra cultura liberale e cultura fascista sarebbe del tutto auspicabile. Valeriano insiste giustamente sugli aggettivi utilizzati per catalogare corpi scomposti, sconci, esuberanti, ingovernabili. I diari clinici ci restituiscono pazienti descritte con una serie di attributi interessanti: “loquaci, instabili, incoerenti, capricciose, insolenti, indocili, bugiarde, impertinenti, cattive, prepotenti, piacenti, esibizioniste (pp. 111-12). E poi ancora civettuole, invidiose, maligne, incontentabili. Anche in questo caso, ci troviamo dinanzi ad un lessico che in parte il fascismo eredita dalla cultura liberale e che, ancora una volta, viene intensificato, riadattato, in parte risemantizzato. La ricerca invita a proseguire questa linea di indagine che potrebbe essere svolta, anch’essa, sul lungo periodo. Chiude il libro una selezione di lettere, presenti all’interno dei fascicoli personali, scritte dalle stesse ricoverate e indirizzate a familiari, conoscenti e medici. Alcune donne si mostrano del tutto integrate e recitanti il ruolo di perfette internate; molte convalidano invece l’idea della scrittura in sé come affermazione di una più intima autonomia, chiedendo a gran voce la libertà, l’attivazione delle procedure di dimissione dall’istituto e denunciando i maltrattamenti subìti. Perché temono proprio di impazzire. Vinzia Fiorino Polizie della Repubblica Vittorio Coco, Polizie speciali. Dal fascismo alla Repubblica, Roma-Bari, Laterza, 2017, pp. 234, euro 22. Il lavoro recente di Vittorio Coco s’inserisce in pieno nel filone italiano di studi sulle polizie. Un settore che, partendo da una condizione embrionale, sta evolvendo grazie al contributo di diversi studiosi. Pur concentrandosi su un problema specifico (le polizie speciali), la ricerca di Coco offre spunti di notevole interesse grazie ad una serie di fattori che costituiscono anche i punti di forza del volume. In primis l’analisi di lungo periodo (dalla fine della Prima guerra mondiale alla fine degli anni Quaranta, con un salto nell’Italia degli anni Settanta nel post factum), in secondo luogo la varietà dei casi e dei contesti geografici analizzati (anche se la Sicilia gioca un ruolo centrale) e, in ultimo ma non meno importante, l’attenzione rivolta ai saperi, alle pratiche e alle esperienze professionali di alcuni funzionari di polizia (Mori, Battioni, Gueli, Spanò, Verdiani, Messana, Polito, Collotti) che furono al centro delle vicende più complesse e spinose del periodo trattato. Nell’analisi proposta da Coco emergono inoltre molti dei problemi ricorrenti che attraversano la storia delle polizie dell’Italia contemporanea: sovrapposizione di due o più organismi polizieschi con competenze simili, difficoltà di coordinamento, contrasto tra autorità militari e civili. Il libro si compone di cinque capitoli (più un’introduzione ed un post factum): I - Al Crepuscolo dell’Italia liberale, II - Il mantenimento del nuovo ordine, III - L’apparato del regime alla prova, IV - In tempo di guerra, V - La fine e un nuovo inizio. Partendo dal primo conflitto mondiale, il volume ricostruisce, seguendo le carriere dei funzionari che le diressero, l’evoluzione e le pratiche di una serie di istituzioni che operarono prima, durante e dopo il fascismo. L’impronta da- Copyright © FrancoAngeli This work is released under Creative Commons Attribution - Non-Commercial - NoDerivatives License. For terms and conditions of usage please see: http://creativecommons.org Rassegna bibliografica ta alle polizie speciali create nella prima guerra mondiale — carattere emergenziale, centralizzazione (controllo diretto del Governo), mobilità interprovinciale, segretezza, lavoro di intelligence, ricorso agli informatori e agli infiltrati — caratterizzerà tutte le istituzioni speciali successive (sovente dirette dagli stessi funzionari che avevano operato al crepuscolo dell’Italia liberale). Il capitolo iniziale segue le carriere di Cesare Mori e di Augusto Battioni: dalle squadriglie antiabigeato, costituite dal primo in Sicilia nel corso della grande guerra, alle vicende del successivo Ufficio centrale per la prevenzione e repressione dell’abigeato e diserzione istituito sempre sull’Isola e diretto da Battioni. Queste esperienze anticiparono le pratiche e l’organizzazione di diverse istituzioni poliziesche create dal fascismo. Intorno alle figure di Mori e Battioni si formò inoltre un nucleo di giovani funzionari (Gueli, Messana, Spanò) che avrebbero conosciuto una lunga carriera durante il fascismo e, in alcuni casi, anche oltre. Le esperienze del periodo bellico furono il laboratorio in cui si forgiarono uomini che nella stagione politica successiva sarebbero stati impiegati in molti contesti considerati a rischio. I funzionari messi a capo di questi uffici, dotati di poteri speciali, divennero veri e propri gestori di emergenze e per questo motivo la ricerca di Coco segue da vicino le loro carriere. La prima parte del volume si conclude con l’ultimo incarico di Mori nell’Italia liberale. Agli inizi del 1921, egli fu nominato prefetto in un contesto difficile come quello di Bologna e successivamente i suoi poteri furono estesi alle province dell’intera Valle Padana, con l’intenzione di arginare lo squadrismo. L’esperienza si concluse poi malamente, anche per assenza di collaborazione da parte dei prefetti in sede (spesso conniventi con i fascisti). Mori restò a Bologna con il solo incarico di prefetto della città e, dopo un’inchiesta, fu destinato dapprima a Bari e poi sospeso dal servizio. 299 Il secondo capitolo si apre con il momento più alto della carriera di Battioni. Prima della morte prematura (nel luglio 1925), il funzionario diresse “una nuova struttura spionistica” voluta dal fascismo: l’Ufficio speciale riservato. Un organismo che si occupò soprattutto della “prevenzione di complotti e attentati” (p. 47). Grazie anche alle competenze dimostrate in una precedente inchiesta sulla gestione dei residuati di guerra, Battioni raggiunse posizioni di notevole potere prima della morte. Alla metà degli anni Venti, anche Mori fu richiamato in servizio in Sicilia, prima con un ufficio interprovinciale di Ps con sede a Trapani, poi con un nuovo ispettorato per la lotta alla mafia (a Palermo). La campagna antimafia fu condotta con operazioni clamorose, di “stampo terroristico” (p. 56), e con un uso diffuso e spettacolare della violenza; in modo da generare una vasta eco mediatica e trasmettere un’immagine del fascismo “come restauratore dell’ordine e inflessibile persecutore della mafia” (p. 61). Il capitolo si conclude con uno sguardo alla carriera di Giuseppe Gueli, funzionario formatosi “alla scuola di Mori” (p. 79) che alla fine degli anni Venti fu trasferito in Alto Adige dove svolse una “fondamentale pratica nell’indagine politica” (p. 74) ed ebbe modo di mettere a frutto le esperienze siciliane in un contesto molto diverso. Il terzo capitolo segue ancora gli sviluppi della carriera di Gueli che nel 1933 fu richiamato in Sicilia alla guida di un nuovo ispettorato contro la criminalità mafiosa e non. La gestione fu molto diversa dalla precedente esperienza palermitana di Mori e fu improntata ad un silenzioso lavoro di indagine e di intelligence svolto da pochi uomini. Ciononostante l’azione fu caratterizzata da una certa violenza (uccisioni, sevizie sui fermati). Un ispettorato simile operò in Sardegna, con metodi altrettanto violenti e brutali, sotto la guida di altri funzionari: Spanò prima, Polito poi e infine, a partire dal 1938, lo stesso Gueli. A dimostrazione della flessibilità e delle possibilità d’impiego di questo modello Copyright © FrancoAngeli This work is released under Creative Commons Attribution - Non-Commercial - NoDerivatives License. For terms and conditions of usage please see: http://creativecommons.org 300 Rassegna bibliografica poliziesco, nel 1939 fu istituito anche un Ispettorato dell’alta Italia per smantellare la Banda Bedin, un gruppo criminale che dal Veneto aveva esteso il suo raggio d’azione a tutta la Val Padana. La distruzione della Banda rappresentò “il punto più alto della carriera di Gueli” (p. 112). Con l’inizio della seconda guerra mondiale (e siamo al quarto capitolo) le competenze di questi uomini furono messe al servizio della repressione politica. Nel novembre del 1940 Gueli fu inviato in Venezia Giulia, dove il movimento di resistenza sloveno era consistente. Forte delle passate esperienze Gueli propose l’istituzione di un ispettorato, con sede a Trieste, da cui dipendevano una serie di nuclei mobili di cinquanta uomini formati da agenti di Ps, carabinieri, finanzieri e uomini della milizia. Il lavoro dell’ispettorato triestino fu caratterizzato dal ricorso sistematico alla violenza. Lo stesso ufficio centrale aveva sede in un luogo ribattezzato villa Triste proprio per le sevizie e le torture cui erano sottoposti i fermati. In queste attività si distinse “per efferatezza e sadismo” (p. 159) un giovane funzionario, collaboratore di Gueli: Gaetano Collotti. Anche dopo il settembre 1943, lo stesso Gueli continuò a dirigere l’ispettorato nella Rsi, in quanto ritenuto utile dai nazisti. Nell’ultimo capitolo del volume si analizza il passaggio di questi funzionari dal fascismo alla Repubblica. Gueli fu processato e condannato ad otto anni per collaborazionismo: sebbene la condanna fu da subito “dichiarata estinta” (p. 181) per l’amnistia Togliatti non riuscì a rientrare in attività. Altri funzionari furono rapidamente riammessi in servizio nel dopoguerra. In particolare Messana, Spanò e Verdiani che si avvicendarono al comando dell’Ispettorato di Ps per la Sicilia contro la banda di Salvatore Giuliano, prima che questo fosse sciolto e il controllo delle operazioni in Sicilia fosse affidato ai carabinieri del Comando forze repressione banditismo. Il volume si conclude un salto in avanti di quasi trent’anni (post factum), che fa cenno al lavoro del Nucleo speciale di polizia giudiziaria del generale Dalla Chiesa, creato nel 1974 per combattere il terrorismo. Il collegamento con i passati ispettorati appare lecito almeno per due motivi. In primis perché Dalla Chiesa aveva fatto parte, dirigendo le squadriglie nella zona di Corleone, del Comando forze repressione banditismo, in secondo luogo perché, seppur alla lontana, alcune prassi operative del generale avevano degli elementi comuni col passato remoto. In tale contesto sarebbe stato opportuno inserire un cenno, almeno per assonanza, all’Ispettorato generale per il coordinamento dell’azione antiterroristica creato nello stesso 1974 e diretto dal questore Emilio Santillo. Michele Di Giorgio Maurizio Pagnozzi, Gerardo Severino, Mauro Saltalamacchia, Storia delle fiamme gialle della Sardegna. Due secoli di valore, di abnegazione e di incondizionato servizio a tutela dello Stato (1820-2018), Sassari, Delfino, 2018, pp. 636, euro 30. La Guardia di finanza, oggi assieme all’Agenzia delle entrate, è un pilastro dello Stato nazionale. Svolge una funzione essenziale di polizia economica generale, ha alcune peculiarità italiane (dipendenza dal ministero delle finanze ma ordinamento militare), ha una lunga e complessa storia: non è più il corpo delle guardie doganali schierato a cordone sul confine, come era all’inizio dell’Unità d’Italia, ma è un corpo fra i più professionalizzati ed esperti fra quelli dello Stato. Ha e ha avuto, ovviamente, come questo, i suoi problemi. Ma si tratta di uno dei pilastri della vita economica e istituzionale del Paese. Ciononostante, gli storici italiani non la studiano quanto merita. Questo è comprensibile: servirebbero nozioni di storia militare, finanziaria, tributaria, oltre che ovviamente politica e sociale, che — insieme — non sono patrimonio comune degli storici accademici. La prima conse- Copyright © FrancoAngeli This work is released under Creative Commons Attribution - Non-Commercial - NoDerivatives License. For terms and conditions of usage please see: http://creativecommons.org