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i tempi e le forme / 15 civiltà classiche Direttore: Pierluigi Barrotta Comitato editoriale: Sonia Maffei, Giuseppe Petralia, Giovanni Salmeri, Cinzia Maria Sicca Il comitato scientifico è composto da membri interni del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa e da membri esterni provenienti da altre università delle seguenti aree di ricerca: Area antichistica. membri interni: Marilina Betrò; Domitilla Campanile; Bruno Centrone; Fulvia Donati. membri esterni: Riccardo Chiaradonna (Università Roma Tre); Riccardo Di Cesare (Università di Foggia); Juan-Carlos Moreno Garcia (cnrs); Roberto Sammartano (Università di Palermo). Area medievale. membri interni: Federico Cantini; Marco Collareta; Cristina D’Ancona; Mauro Ronzani. membri esterni: Michel Lauwers (Université de Nice); Manuel Castiñeiras González (Universitat Autònoma de Barcelona); Andrea Augenti (Università di Bologna); Rémi Brague (Université de Paris i, Panthéon-Sorbonne). Area moderna. membri interni: Simonetta Bassi; Roberto Bizzocchi; Vincenzo Farinella; Maurizio Iacono. membri esterni: Jean-François Chauvard (Université Paris i-Sorbonne); Sabine Ebbersmeyer (University of Copenhagen); Elisa Novi Chavarria (Università del Molise); Sheryl Reiss (Newberry Library, Chicago). Area contemporanea. membri interni: Alberto Mario Banti; Fabio Dei; Sandra Lischi; Enrico Moriconi. membri esterni: Cesare Cozzo (Sapienza Università di Roma); Catherine Brice (Université Paris-Est Créteil); Antonio Somaini (Université Paris iii- Sorbonne Nouvelle, cav); Carlotta Sorba (Università di Padova). I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Viale di Villa Massimo, 47 00161 Roma telefono 06 / 42 81 84 17 Siamo su: www.carocci.it www.facebook.com/caroccieditore www.instagram.com/caroccieditore Polibio e Roma, l’alba di un impero A cura di Filippo Battistoni Volume pubblicato con il contributo del Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa, che ha avuto il riconoscimento di Eccellenza del miur per la qualità dei progetti di ricerca. 1a edizione, dicembre 2022 © copyright 2022 by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Elisabetta Ingarao, Roma Finito di stampare nel dicembre 2022 dalla Litografia Varo (Pisa) isbn 978-88-290-1698-3 Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico. Indice 1. I tempi e l’opera di Polibio: resilienza dalla storia alla storiografia di Filippo Battistoni 9 2. Nubi da Occidente: Agelao di Naupatto tra Isocrate e Polibio di Roberto Nicolai 15 3. Nubi da Occidente: Agelao di Naupatto tra Isocrate e Polibio. Discussione di Leone Porciani 27 4. False notizie, aneddoti pittoreschi, interventi soprannaturali e calunnie nelle Storie di Polibio di John Thornton 37 5. Résilience, dégénérescence et ἀντίπλοια: l’anacyclose comme modèle mental par Marie-Rose Guelfucci 57 6. La translatio imperii in Polibio di Giuseppe Zecchini 7 85 indice 7. El final de Mantinea y la fundación de Antigonea. ¿Resiliencia historiográfica en Polibio? di Álvaro M. Moreno Leoni 8. Polibio amicus populi Romani? di Andrea Raggi 119 9. Polibio, Chiomara e Giuditta di Domitilla Campanile 131 10. Polibio in Italia, tra storicismo e fascismo di Carlo Franco 145 Bibliografia 175 Gli autori 209 8 95 10 Polibio in Italia, tra storicismo e fascismo di Carlo Franco 1. In principio erat Mommsen. Inizio banale, ma quasi inevitabile, a causa di una molto citata frase su Polibio che si legge nella Römische Geschichte: non può forse indicarsi nessuno scrittore dell’antichità cui dobbiamo tanta e sì seria copia d’insegnamento come lui. I suoi libri sono come il sole in questo campo; dove essi cominciano si leva il velo di nebbia che copre ancora le guerre sannitiche e la guerra di Pirro, e dove essi terminano comincia una nuova oscurità, se è possibile, anche più fastidiosa1. Questo elogio non è il compendio di quanto Mommsen pensò e scrisse su Polibio: anzi, egli espresse sull’autore antico numerose e talora notevoli riserve, di carattere sia storiografico, sia fattuale2. Ma certo si deve all’influenza del Mommsen, se Polibio ebbe un ruolo importante nella cultura storica italiana nell’età dello storicismo3. Non che prima lo storico fosse ignorato. V’era stato grande interesse, dopo la riscoperta moderna del testo, nella lunga stagione che fece di lui, fino al Settecento, «il maestro della sapienza politica, diplomatica e 1. Cfr. Mommsen (1881, p. 453): «ist vielleicht kein Schriftsteller des Alterthums zu nennen, dem wir so viele ernstliche Belehrung verdanken wie ihm. Seine Bücher sind wie die Sonne auf diesem Gebiet; wo sie anfangen, da heben sich die Nebelschleier, die noch die Samnitischen und den Pyrrhischen Krieg bedecken, und wo sie endigen beginnt eine neue womöglich noch lästigere Dämmerung». La resa italiana in De Sanctis (1935a, p. 628). 2. La trattazione sopra legge e religione di Roma è definita in Mommsen (1881, p. 452-3) «nicht bloss platt, sondern auch gründlich falsch»; lo stile troppo remoto da quello della storiografia alta («Die Darstellung [des Polybius] in bewusster Opposition gegen die übliche künstlerisch stilisirte griechische Historiographie gehalten, ist wohl richtig und deutlich, aber dünn und matt»). 3. Sull’opera di Mommsen in Italia cfr. Diliberto (2004). Sul dibattito polibiano in Italia, cfr. Thornton (2020b, pp. 263-78). 145 carlo franco militare»4. Non mancarono riserve stilistiche, derivate finalmente dal celebre, duro giudizio di Dionigi di Alicarnasso (Comp. 4.14-15), e riserve politiche, come quelle di Reiske, che ebbero durevole influsso5. Lo mostra, per esempio, la premessa alla celebre traduzione delle Storie, opera di Giovambattista Kohen, pubblicata nella Milano della Restaurazione, nella collana degli “Antichi storici greci volgarizzati” edita da Sonzogno6. Qui le ragioni della preminenza di Polibio sono esposte con enfasi: «ciò che sovra ogni altra cosa il qualifica storico di prima sfera si è la sua scrupolosità nel riferir i fatti conformemente al vero, inaccessibile mostrandosi all’odio e all’adulazione, non meno che alla smania d’imporre a’ creduli coll’insolito e col maraviglioso»7. Venti anni trascorsero prima che l’edizione di Kohen venisse completata a opera di Domenico Capellina: erano frattanto uscite la «lodatissima edizione grecolatina apparsa in Parigi nel 1839, coi frammenti di Angelo Mai, e quella francese di Felice Bouchot, comparsa, pure in Parigi, nel 1847»8. Il rinnovamento degli studi ancora non era giunto: maturavano però nello sguardo ellenistico di Niebuhr e di Droysen le premesse di una differente lettura dello storico acheo9. I primi segni, forse, si colgono in alcune osservazioni di Silvestro Centofanti. Entro una prospettiva provvidenziale, egli vide nello storico antico un «uomo d’ingegno greco, 4. Cfr. Momigliano (1980; 1992, p. 54). Per Machiavelli, cfr. per tutti Varotti (2014). Ancora al principio del xix secolo valevano giudizi come quello di Cesarotti (1882, p. 14): «Polibio, storico il più riflessivo di tutti i Greci e specialmente utile ai professori dell’arte militare», il cui commento è ritenuto indispensabile all’intelligenza del testo, per altro poco stilisticamente apprezzabile. 5. Cfr. Reiske (1766, pp. 759-802), con le osservazioni circa «illa professoria, hoc est, supercilii et fastus atque insolentiæ plena, molesta et odiosa docendi et præcipiendi ratio (quel tono professorale, ossia pieno di superbia e solennità e insolenza, modo molesto e odioso di impartire e regolare)», e anche sul «nimis apertum et iniquum Romanarum partium studium (il troppo aperto e squilibrato favore per i Romani)» (p. 764). 6. Kohen (1824-32), in otto voll., poi completati per i libri 33-40 e altri frammenti in Capellina (1855-56). Su Joel, poi Giovambattista Kohen (1775-1845), medico triestino, massone poi convertito al cattolicesimo, cfr. Parolari (1845) e Bandelli (1999, p. 21 e nota 67) con ampia bibliografia. Sulla cultura milanese, cfr. Berengo (1980, pp. 158-62), per la collana di classici Sonzogno. «La sua edizione polibiana [...] è probabilmente la migliore fra tutte quelle incluse nella collana degli Antichi storici greci volgarizzati»: così Costa (2017, p. 310). 7. Kohen, Della vita e gli scritti di Polibio, in Capellina (1855-56, vol. i, p. 16). 8. Così in Capellina (1855-56, vol. i, p. 5). Sugli studi del periodo, cfr. Canfora (1997a, pp. 129-33). 9. Per esempio, su Polibio: Niebuhr (1828, p. 270 nota; 1811, p. 11). Circa le Guerre puniche, giudica il terzo libro di Polibio un capolavoro, e dove Livio si stacca da lui, non merita alcuna credibilità: Niebuhr (1847, pp. 62-3). 146 10. polibio in italia, tra storicismo e fascismo e di senno romano», consapevole anche della prevedibile precarietà della potenza di Roma, sicché «in più luoghi veggonsi accennati i presagi della cessazione di così smisurata grandezza»10. Non ebbero influenza, per la situazione culturale d’Italia, assennate riflessioni espresse da altri studiosi, confinati dentro la dimensione regionale. Così nel caso del napoletano Luigi Blanch che, anche per ragioni legate alla propria biografia, sentì una qualche affinità con la posizione politica di Polibio11. Nemmeno ebbero eco in Italia il libro importante di Fustel de Coulanges12, le riflessioni “polibiane” di Hegel, o la dissertazione di Brandstäter13. Più tardi venne la stagione di Tucidide: e con essa il primato di Polibio, in Italia, declinò, benché molto di lui potesse piacere alla cultura positivista14. D’altra parte mancò un Peyròn, capace di “tradurre” nelle forme dell’antichistica germanica i risultati degli studi polibiani di tradizione antiquaria15. In genere si conservò di Polibio un’immagine storiografica sbiadita, legata a un’epoca che s’appagava spesso del racconto politico-militare, desunto dalle fonti maggiori, corretto con pochi spunti per lo più moralistici16. Tutta italiana, semmai, fu la preoccupazione perché certa «audace 10. Cfr. Centofanti (1853). Sulla figura, cfr. Treves (1962b, pp. 775-89; 1979). 11. Blanch (1845): interessante il richiamo a Polibio «vilipeso sulle piazze di Atene e di Corinto» nello spiegare ai suoi concittadini le vere cause delle vittorie romane, e il giudizio di «più moderno degli storici antichi, in cui l’interesse scientifico predomina sul drammatico e artistico» e «precorre la storiografia moderna». Cfr. su Blanch, in generale, Cortese (1968) e le osservazioni di Croce (1930, vol. i, pp. 227-8); Omodeo (1945) e Mengano Cavalli (1987, pp. 707-9). 12. Fustel De Coulanges (1858). La seconda edizione, compresa in Fustel (1893, pp. 121-211), fu tradotta in italiano da Laterza: cfr. Fustel (1947). La premessa di F. Martinazzoli (ivi, pp. 1-4) sottolineava le «singolari corrispondenze» con il presente. Cfr. Ciravegna (1949); Canfora (1989b, pp. 513-5) e Foulon (1998, p. 118): «La Grèce de Polybe est une image de la Gaule de Fustel». 13. Sull’importanza delle tesi svolte nelle Lezioni sulla Filosofia della storia, cfr. Thornton (2020b, pp. 239-47). Interessanti le pagine di Brandstäter (1843, pp. 8-11) sulla posizione di Polibio verso Roma. 14. Pichon (1896). Per Holleaux (1921, p. 18), che a Polibio molto s’appoggia, lo storico è lontano dall’inventiva liviana ma inferiore a Tucidide. 15. Su Peyron cfr. per tutti Gianotti (2015). 16. Nella compilazione di Migliorato (1857, pp. 596-7), Polibio è visto come un autore atto a «formare nello stesso tempo, per filosofia, il saggio filosofo, per politica, l’abile ministro, per arte governativa il compito principe, e per arte militare il gran capitano»: ma «per trovare chi possa stargli al pari, e forse anche sorpassarlo, fa d’uopo risalire fino a Senofonte e Tucidide». In Cantù (1863, pp. 389-93, part. 392), Polibio è detto «uomo di Stato più che di lettere», viene paragonato a Machiavelli e criticato per la sua scarsa propensione al divino, ossia per il suo “laicismo”. In più, sviato dal suo filoromanesimo, «non s’accorse che i Romani erano violenti e astuti». 147 carlo franco scuola boreal» pregiava troppo le qualità storiografiche e documentali del greco Polibio, svalutando invece l’italiano Tito Livio17. 2. Fu però proprio la scienza tedesca a indirizzare la riflessione, e a segnare le vie di un dibattito italiano che, con differenti accenti, giunge fino ai giorni nostri. Fu decisiva l’influenza che il Mommsen esercitò, direttamente e indirettamente, sugli italiani che furono suoi allievi: da lui soprattutto venne l’idea di un Polibio elevato quasi a «collega» degli storici moderni18. Tale concetto domina la prolusione letta nel gennaio 1889 da Ettore Pais, chiamato a insegnare alla Regia Università di Pisa19. Quel testo ha suscitato giudizi assai contrastanti. Piero Treves, che certo non amava Pais, ne riconobbe l’importanza, lo ristampò e commentò nella sua antologia20. Emilio Gabba lo defini «scritto erudito e occasionale», mentre Ettore Lepore ne fece «un documento […] di confusionismo, o se vogliamo usare un altro termine eufemistico, di eclettismo», e altri vi ha riconosciuto «modestia di risultati»21. Vi si leggono affermazioni più sonore che fondate, nei toni retorici, cari a Pais. Polibio diviene un modello, «uno dei più grandi storici dell’umanità», autore di parole «che parrebbero dettate da uno dei più insigni fra quelli dell’età nostra!»22. Per verità, «non seppe evitare tutti i vizii 17. Cocchia (1892) ne fa perfino uno storico filocartaginese. Sullo studioso cfr. Giordano (1987). 18. «Tucidide e Polibio sono più vicini a noi che ai loro contemporanei»: così Lavagnini (1933, p. 99). Il mito storiografico dell’obiettività era destinato a larga fortuna: cfr. Davidson (1991). 19. Cfr. Pais (1889). Sullo studioso, cfr. i saggi riuniti in Polverini (2002), e in particolare Marcone (2002); Cagnetta (2002); Salmeri (2002). Cfr. poi Polverini (2014b), con bibliografia precedente; Polverini (2014a). 20. Cfr. Treves (1962b, pp. 1151-213) per il profilo di Pais, il testo e il commento. Il discorso non fu scelto come documento dello «scientisme filologico», ma anche per influsso di Croce (1927, p. 21, nota 3), che elogiò «il pregevole opuscolo», dandone però poi in Croce (1930, vol. ii, pp. 241-5), un giudizio ben diverso. 21. Gabba (2003a, p. 1017); Lepore (1990, p. 33); cfr. Pinzone (2013). 22. Cfr. Pais (1899, p. 13): «La grandezza di questi fatti comprende ed abbraccia tutto il suo spirito; egli non baderà, quindi, a questioni formali di lingua e di stile, non a seguire esemplari ed autori, reputati ormai eccellenti modelli del come si debba comporre la storia; la sua mente non sarà rivolta al tradizionale rispetto delle forme e delle regole retoriche, ma alla sostanza, alla essenza, alle ragioni di così grandi fatti. Polibio, anzi, combatterà la retorica, e primo, fra tutti i grandi storici, stabilirà, una volta per sempre, i veri criterii che devono essere seguiti da chiunque, d’allora in poi, vorrà esporre le vicende umane. Raccontare con semplicità e senza inutili ornamenti di stile e di lingua, fedeltà e schietto amore del vero, critica delle fonti letterarie, esame dei documenti originali, conoscenza della geografia e dell’aspetto dei luoghi, pratica delle scienze militari ed esperienza dei pubblici negozi, 148 10. polibio in italia, tra storicismo e fascismo dell’età sua; l’efficacia dell’ambiente sull’individuo è una legge generale alla quale nessuno può interamente sottrarsi». Pure, «la letteratura mondiale greco-romana non ha prodotto un altro scritto che possa, nemmeno in piccola parte, essere confrontato con il capolavoro polibiano»23. In altre occasioni, il giudizio di Pais fu più cauto24, ma in quel momento egli scelse Polibio come esempio in favore della storia scritta dagli uomini d’azione25. Giacché, a suo dire, la filologia da sola non bastava per lo studio della storia antica26: «La filologia e la politica non dovrebbero sempre procedere separate l’una dall’altra, quasi fra loro estranee; dovrebbero invece, talvolta, congiungere amorevolmente e fisse in un unico intento, le loro forze». Anche questa linea ebbe un seguito nei successivi sviluppi della cultura italiana. Che cosa Pais scrisse su Polibio nei suoi volumi della Storia di Roma, riediti e rilavorati fino agli anni tardivi, con risultati sempre meno convincenti, è altra questione. L’accentuarsi delle posizioni nazionaliste deformò il suo approccio (iper)critico, portandolo a prese di posizione preconcette27, che ne fecero un rappresentante della «polibioricerca delle vere cause che dettero origine agli atti e conseguenze che da questi derivarono, racconto non di particolari staccati, ma degli avvenimenti principali fra loro organicamente connessi, esame delle costituzioni o altrimenti della storia interna; ecco le norme che egli fissò e discusse e che segui scrupolosamente nella sua opera che egli chiamò prammatica ed universale in opposizione alle storie dei suoi predecessori, i quali, aveano raccontato avvenimenti esteriori congiunti da semplice ordine cronologico, e che, digiuni di scienza politica, non avevano compreso l’intimo nesso che collega i fatti». 23. Cfr. Pais (1899, p. 20): con l’eccezione di Cesare, «uomo dotto ma dedito alla vita pratica», e di Tacito, «soffocato dalla meschinità della materia». 24. Cfr. per esempio Pais (1908, pp. 485-6): «Sull’esattezza di questo autore in questioni geografiche e topografiche non si rechi, come si suol fare, giudizio troppo favorevole ed esagerato. Sebbene Polibio fosse storico infinitamente superiore a Livio, non c’è ragione di sottoscrivere all’opinione di coloro i quali credono che egli abbia sempre colto nel vero e lo storico latino abbia invece sempre errato». 25. Come Polibio, Tucidide, Catone, Cesare, Machiavelli, Guicciardini, Guizot, Thiers, Macaulay, Niebuhr, e Mommsen stesso che «se non è un uomo di Stato, nello stretto senso della parola, non è però soltanto un valente filologo ed un insigne epigrafista, ma anche un buon conoscitore delle scienze politiche ed uno dei più grandi giuristi che vanti la Germania»: così Pais (1899, pp. 42-3). 26. «Come prima e dopo Polibio, eruditi, letterati senza conoscenza della vita reale e senza il sussidio delle molte discipline necessarie allo storico, hanno preteso narrare e giudicare le vicende umane, così ai tempi nostri troppo spesso, filologi acuti e diligenti, ma affatto digiuni di cognizioni politiche e giuridiche, hanno creduto di poter recare giudizio sui grandi fatti e sui grandi uomini dell’antichità»: così Pais (1899, p. 47). 27. Escono dalla prospettiva di questo intervento le polemiche levate per differenti motivi da De Sanctis e da Croce. Cfr. soprattutto De Sanctis (1909, pp. 480-531); Croce (1930, vol. ii, pp. 91-4; 241-5), contro l’idea di una storiografia “patriottica” e durissimo 149 carlo franco latria»: questa efficace coniazione si deve a Gaetano De Sanctis28, che si rifece alla Thukydides-Theologie contro la quale ironizzava già Beloch29. E di «polibiolatria» da allora si è parlato spesso, in accezioni differenti, in riferimento a studi molto diversi tra loro30. Isolata nel panorama storiografico italiano, invece, è la figura di un altro noto studioso per il quale «Roma antica non deve viver soltanto nelle piccole congreghe degli eruditi e degli archeologi», colpevoli di un eccesso di «analisi» nocivo alla funzione profonda della storia romana31. Guglielmo Ferrero, figura riconosciuta all’estero ma duramente trattata in patria32, tenne presente nei suoi fortunati libri su Roma il modello di Mommsen storico e scrittore (non l’erudito delle iscrizioni e delle istituzioni): egli avversava il «fiacco servilismo» italiano per la cultura germanica, e lo vedeva mal bilanciato con il «dissimulare esplosioni di verbale vanagloria latina». Cercò di scrivere per il «così detto gran pubblico»33. In Grandezza e decadenza di Roma Polibio vien definito ancora una volta «il più grande storico dell’antichità», ma nel quadro di un rifiuto politico dell’imperialismo romano: all’autore antico è quindi riconosciuto il merito di aver «lucidamente capito che l’imperialismo avrebbe distrutto alla fine l’impero; che l’orgoglio, la cupidigia, la sete dei piaceri, il celibato, tutte le passioni dell’era mercantile, e la politica di conquista che ne nasceva, avrebbero distrutto la potenza guerresca di Roma, l’ordine interno, la pace tra le classi, scatenando nella metropoli dell’impero l’anarchia demagogica, in cui erano perite tante repubbliche della Grecia»34. sulla contraddizione tra cautela filologica ed esigenza narrativa, volta a giudicare e moralizzare: e poi il «chierichetto della scienza tedesca e accolito zelante di Mommsen» era diventato antigermanico durante la guerra, abusando di attualizzazioni rozze e malposte. 28. De Sanctis (1968, pp. 566-7), a proposito di Kahrstedt (1913); cfr. Walbank (1983, p. 466). 29. Documentazione in Lanzillotta, Costa (2010). 30. «Una delle malattie più gravi che affliggono la professione dello storico del mondo antico» per Ziolkowski (2000, p. 139). Diversa cosa fu la Polybius-Renaissance del secondo dopoguerra. 31. Così, nel discorso del 21 aprile 1910 in Campidoglio, Ferrero (1910, p. 63). Cfr. Treves (1962a, pp. 261-93). 32. Per tutti cfr. Treves (1997), con menzione della vasta coalizione avversa (Pais, De Sanctis, Festa, De Lollis, Pasquali, Croce). Dell’opera di Ferrero sono uscite ristampe recenti. 33. Così De Sanctis (1909, p. 409). 34. Ferrero (1906, pp. 57 e 70). 150 10. polibio in italia, tra storicismo e fascismo 3. Non tutta la scienza storica stava dall’ombra del Mommsen, né la riflessione italiana su Polibio si compendia, al principio del Novecento, nel contrasto tra Pais e Beloch o De Sanctis. Tuttavia, le posizioni di Beloch meritano particolare attenzione per l’influsso durevole che esercitarono, pur se con scarsa eco fuori delle cerchia degli specialisti. Ciò vale soprattutto (a parte alcuni contributi specifici) per i giudizi espressi nella Griechische Geschichte. Qui Polibio è riconosciuto secondo per importanza solo a Tucidide, pur rilevando anche notevoli limiti, principalmente la dipendenza da fonti non criticamente verificate, la parzialità in alcune trattazioni e l’atteggiamento poco indipendente verso alcune singole personalità35. Beloch, lontano dalla «polibiolatria», trattava il tema con caratteristica severità, individuando nel racconto pesanti errori e falsificazioni, tali da inficiare gravemente il valore della fonte, studiata «con un rigore che lo stesso Polibio avrebbe trovato soverchio»36. Ancor più marcate le riserve espresse nel profilo di storia ellenistica, steso da Beloch per il manuale di Gercke-Norden, successivamente tradotto in italiano37. Compare qui la sprezzante definizione di Polibio «dilettante» (analoga condanna per Timeo, nel giudizio di Niebuhr...). Il passo merita citazione: 35. Beloch (1924, pp. 29-30). «Polybios für die Geschichte der von ihm behandelten Zeit schon früh als ähnliche Autorität betrachtet wurde, wie Thukydides für die Geschichte des peloponnesischen Krieges». E ancora: «unter allen uns erhaltenen griechischen Historikern nimmt Polybios unstreitig den ersten Rang ein, Thukydides allein ausgenommen. Aber einen zeitgenössischen Bericht in der Art wie dieser oder wie Xenophon bietet uns Polybios doch nur zum Teil. Von den 76 Jahren, deren Geschichte er darstellte (220-144), hat er nur etwa die Hälfte in urteilsfähigem Alter durchlebt; in der ganzen ersten Hälfte seines Werkes hat er also die Berichte anderer Historiker seiner Erzählung zugrunde legen müssen. Er zeigt dabei einerseits eine Abhängigkeit von seinen Vorlagen, die bei einem so bedeutenden Manne überrascht; andererseits wieder führt das Bestreben, an seinen Quellen Kritik zu üben, zum Teil auch seine Servilität gegenüber einzelnen Persönlichkeiten ihn mitunter dazu, die Tatsachen willkürlich zu entstellen». Sulla critica alle evidenti parzialità di Polibio nelle questioni di Etolia, concordano Beloch (1925, p. 621) e De Sanctis (1967, p. 270, nota 23). Cfr. anche Beloch (1915). 36. Su questa posizione, cfr. De Sanctis (1969, pp. 362-3). 37. Beloch (1914), di cui fu tradotta la sezione di storia greca: cfr. Polverini (1979, pp. 1455 e 1459). La traduzione italiana dei due saggi in Beloch (1933), a cura di Gonerilla Capone, fu suggerita da Aldo Ferrabino, e proposta a Laterza da Manara Valgimigli: cfr. Ruggiero (2003, pp. 16-7). L’operazione suscitò tuttavia riserve di Momigliano (1933) e Treves (1933). Assai più duro, Pais (1934, p. 122) parlò di «inutile esumazione» di un lavoro non felice. Non è fornita al lettore italiano alcuna informazione circa l’originaria collocazione del testo. 151 carlo franco In ogni modo Polibio è uno degli uomini meno amabili fra quanti abbiano mai scritto storia: egli è un dilettante sotto ogni rispetto, anche nell’arte militare, della cui conoscenza tanto si vantava, ma, come tutti i dilettanti, è pieno di vanagloria, pedante come un maestro di scuola, presuntuoso con i suoi pari, servile coi suoi benefattori romani, fino a falsificare la storia in onore dell’Africano seniore. E per quanto gli si riconosca l’assenza di retorica e se ne ammetta l’importanza, per Beloch Polibio non è certo un “collega”38. Queste prese di posizione ebbero durevole influenza. Anche Ziegler riprese quel giudizio, pur in ambito più limitato:«auf dem Gebiet der Staatstheorie» Polibio fu «ein Dilettant»39. L’influsso di Beloch fu determinante nella riflessione di Gaetano De Sanctis, oggetto di vari studi speciali40. Polibio come interprete di Roma, del suo imperialismo, della conquista mediterranea, poneva allo storico moderno questioni complesse. Non sarebbe utile, né adeguato alle competenze di chi scrive, analizzare in questa sede tali temi nell’opera di De Sanctis. Basti ricordare che per lui, come per Polibio, molto nasceva dall’esperienza profonda del presente, sì che fosse la vita a illuminare la storia41. In De Sanctis, come è stato notato, tale ripensamento del passato subì talora l’interferenza di pregiudizi e moralismi. L’influsso di Beloch, la diffidenza verso la Grecia delle leghe, il favore per l’azione di Roma, si sommavano a 38. Beloch (1914, p. 139): «Jedenfalls ist Polybios einer der unliebenswürdigsten Menschen, die je Geschichte geschrieben haben; in jeder Beziehung ein Dilettant, auch im Kriegswesen, auf dessen Kenntnis er sich soviel zugute tut, aber wie alle Dilettanten voll Eigendünkel, pedantisch wie ein Schulmeister, anmaßend gegen Gleichstehende und voll Bedientenhaftigkeit gegenüber seinen römischen Gönnern, bis zur Geschichtsfälschung zu Ehren des älteren Africanus». Cfr. oltre (ivi, p. 150): «Überhaupt dürfen wir auch die besten antiken Geschichtschreiber, selbst einen Thukydides und Polybios, nicht mit dem Meiße messen, das wir heute an historische Werke legen; von den Anforderungen exakter wissenschaftlicher Forschung haben sie noch kaum eine Ahnung gehabt. Das gilt ebenso von der gelehrten Geschichtschreibung des Altertums». Cfr. Beloch (1933, pp. 42 e 53). 39. Ziegler (1952, col. 1500). 40. Walbank (1983); Musti (2013, p. 405) sulla consapevolezza che Roma fosse «responsabile di molte ingiustizie e disuguaglianze, pur nella sua indiscutibile grandezza, così decisiva nella storia italiana e cristiana». Annota Thornton (2014, p. 173): «Il giudizio del De Sanctis su Polibio ha due aspetti, due facce, che sembrano potersi ricondurre a due posizioni forti dello storico, che ai nostri occhi appaiono contraddittorie, l’avversione all’imperialismo e il favore convinto per la “missione civilizzatrice” svolta da Roma nell’Occidente, e per il colonialismo». Cfr. ancora, da ultimo, Battistin Sebastiani (2018). 41. Polverini (2011). Cfr. per esempio in De Sanctis (1936, pp. 519-20, nota 2): «i problemi della storia antica vanno sempre ripensati alla luce della problematica che suscitano in noi le nuove esperienze della vita che viviamo». 152 10. polibio in italia, tra storicismo e fascismo prospettive di tipo nazionalista o colonialista, improntate alla “superiorità” europea. In differente direzione andavano l’interesse per il tema “demostenico” della libertà, la polemica avversione all’imperialismo, la svalutazione del mondo punico: ne risultò un intreccio accidentato e, a detta di alcuni, contraddittorio42. Pesavano anche taluni riflessi indotti dalla situazione politica43: in definitiva, la conquista romana appariva un “male” rispetto alla libertà greca, ma un “bene” rispetto a un dominio di Cartagine, e comunque un evento provvidenziale (punto che attirò le ironie di Croce). In vario modo, Polibio fu usato da De Sanctis per polemiche storiografiche44, tenuto a base di contributi speciali e recensioni45, oppure adibito come strumento di rigorosa critica della fonte46. Molto interessanti e – se mal non mi appongo – finora non considerate, sono anche le considerazioni polibiane affidate alle pagine intime del Diario segreto. Nel 1918 De Sanctis annotava: «Riandando col pensiero i grandi conflitti del passato avviene che quasi sempre noi parteggiamo pei vinti. Tra Romani e Cartaginesi parteggiamo pei Cartaginesi»47. Più chiara ancora in senso antipolibiano è un’altra pagina del Diario. Riflettendo sul ruolo della victa causa nella storia, lo storico nota come «la fama di tutti gli uomini che Polibio odiava, Filippo v, Perseo, Asdrubale, Critolao, Dieo, giace ancora del colpo che ebbe da lui», e questa è una negativa conseguenza della «fama in massima 42. Pani (1981, pp. 485-92). Nel saggio su Annibale e la Schuldfrage d’una guerra antica, in De Sanctis (1932, pp. 161-86), scritto in risposta a Momigliano, si riconosce che quella di Roma era la vittoria «del più perfetto e saldo ordinamento politico-militare che la civiltà antica avesse saputo creare sul fondamento della libertà» sopra una «civiltà meno ricca, meno feconda, meno, in una parola, umana». La base razzista delle discusse frasi su Annibale e su Cartagine «peso morto» è stata colta da taluno, ma negata o minimizzata da altri. Pais prima attaccò De Sanctis perché sottovalutava l’apporto di Cartagine e dei Semiti, poi perché sosteneva la victa causa di Cartagine per avversione all’imperialismo romano: su questa contraddizione, Gabba (1964, pp. 1053-4; 1971, p. 320). 43. Cfr. per esempio Vacanti (2014). 44. Per esempio contro Guglielmo Ferrero: cfr. De Sanctis (1909, p. 476): «la sottomissione del mondo al dominio romano è stata narrata da uno storico contemporaneo, da un acutissimo osservatore, il quale descrive con tutta cura gli ordinamenti di Roma nel momento in cui la conquista avvenne, Polibio di Megalopoli. Solo distruggendo l’opera di Polibio, o, che è lo stesso, ignorandola tutta e in specie il libro vi, si può pensare che l’impero sia stato fondato dopo la rovina di quell’oligarchia tra cui Polibio aveva i suoi protettori e i suoi amici». 45. Cfr. De Sanctis (1928). 46. Cfr. De Sanctis (1935a; 1935b) e già cfr. Composizione ed economia delle Storie di Polibio, in De Sanctis (1967, pp. 197-218). 47. De Sanctis (1996, p. 142), nella nota del 9 marzo 1918: effetti del trauma di Caporetto? 153 carlo franco parte non meritata che corona l’opera storica di Polibio»48. Il neutralismo dello storico lasciò tracce evidenti anche nel decennale cantiere della Storia dei Romani, se la premessa al tomo dedicato alle Guerre puniche segnalava «pagine che, mutando i nomi e le date, paiono rispecchiare, se io non m’inganno, condizioni e vicende presenti»49. Le voci polibiane redatte per l’Enciclopedia Italiana sono comprensibilmente improntate a maggiore equilibrio50. Ma nel giudizio di De Sanctis permanevano taluni nodi irrisolti, dal punto di vista politico e ancor più etico: «più si studia a fondo Tucidide e più aumenta il rispetto per lo scrittore e per l’uomo; e più si studia a fondo Polibio e più il rispetto per lo scrittore e per l’uomo diminuisce»51. Mosso da un rigore belochiano, corretto però in senso moralistico, lo storico restò remoto dalla “benevola comprensione” che aveva animato, per esempio, Fustel52. De Sanctis giudicò severamente le parzialità di Polibio verso gli Scipioni, e ancor più ne criticò l’atteggiamento “antigreco”, per l’esito dell’intervento romano. La conquista fu condannata senza mezzi termini in varie pagine della Storia dei Romani, secondo la nota avversione di De Sanctis verso l’imperialismo: «E vanamente ai non Romani uno dei relegati achei, Polibio, convertitosi al romanesimo, consigliava di adattarsi alla loro sorte compensando la perduta libertà con la pace e coi vantaggi che assicurava a tutti i sudditi il dominio romano sul mondo»53. L’attualità di Polibio nel periodo interbellico, per le vicende personali dello storico antico e per il persisente ripensamento della Schuldfrage della Seconda punica, si riconosce anche dalla ricchezza di lavori a stampa. Era una stagione specialmente ricca per l’antichistica italiana, in un momento 48. De Sanctis (1996, p. 158), nella nota del 7 settembre 1918. 49. De Sanctis (1967, p. 3), con Polverini (2017, pp. 28-31). 50. In particolare, cfr. De Sanctis (1931; 1935a), con menzione del celebre giudizio di Mommsen. Polibio insomma varrebbe quale fonte, non quale individuo storico. 51. La frase compare in De Sanctis (1928, p. 145). In De Sanctis (1964, p. 75) il duro giudizio sulla condanna espressa verso Asdrubale da Polibio: «l’ufficiale greco [...] il quale per essersi arreso ai Romani prima di combattere si sarebbe dimostrato spietato con quelli che si arrendevano dopo aver combattuto». Cfr. Gabba (1964). 52. Musti (2006, p. 93). In Musti e Thornton grande attenzione alla “resistenza” di Polibio verso taluni aspetti dell’imperialismo romano. 53. De Sanctis (1969, pp. 356-7). Il quale, pour cause, «si asteneva anche dal solo mentovare, non che discutere, il Polybe» di Fustel, come ricordò Treves (1972, p. 223), il quale rivendicò l’importanza del libro già in lavori inglesi degli anni Quaranta: cfr. Amendola (2021, p. 175) con documentazione. 154 10. polibio in italia, tra storicismo e fascismo di estesa «politicizzazione del discorso storico»54. La scuola di De Sanctis diede contributi più significativi di quella di Pais, ma con differente carattere nei diversi allievi. Poco, ad esempio, si trova in Ferrabino, concentrato sulla personale ed esclusiva “teologia” tucididea e più attivo in quegli anni sul fronte romano55, poco o nulla in Accame. Assai coerente con la prospettiva dei maestri Beloch e De Sanctis, ma su una linea più moderata, appare la ricerca di Luigi Pareti, che resta affidata, oltre che a contributi particolari56, alla grande sintesi pubblicata nel Dopoguerra. Qui tra l’altro si legge: «L’opera polibiana merita la grande fama di cui godette, perché rivela un autore diligente, colto, chiaro, competente di cose militari e politiche, degno di stare a fianco, seppure inferiore, a Tucidide»: le Storie restano «opera canonica» pur con l’informazione talora imperfetta, la «parzialità» per i Romani, la «pedanteria nella critica», il materialismo57. Di un allievo fiorentino di Pareti, Giulio Giannelli, va ricordata una presa di posizione, significativa per la sede in cui fu espressa. Nel 1938, l’Istituto di Studi romani avviò una monumentale Storia di Roma, che si sarebbe conclusa solo nel Dopoguerra: il primo volume a comparire, pur secondo nella serie, fu quello di Giannelli, su Roma nell’età delle Guerre puniche58. L’opera, molto cauta nella discussione dei punti controversi (Sagunto), e informatissima anche sul dibattito interno alla storiografia italiana59, appare pesantemente segnata dal clima contemporaneo60. Polibio è 54. Musti (1991, p. 104). 55. Sono importanti alcuni lavori usciti dalla sua scuola: Zancan (1935-36; 1936a; 1936b). 56. Oltre a studi particolari, cfr. Pareti (1943) (non vidi). 57. Pareti (1953, pp. 911-3): una prospettiva alla Beloch. 58. Giannelli (1938). Il volume sull’età regia uscì nel Dopoguerra: Paribeni (1954). Sulla serie, cfr. Polverini (2021). 59. Molto valorizzata è la visione italiana del problema (Ferrabino, Levi). Cartagine è descritta come organismo «politicamente decrepito, socialmente inquieto e turbolento, moralmente putrido»: Giannelli (1938, pp. 278-9). 60. Cfr. i richiami all’attualità della punica «per la generazione che vide svolgersi la Grande guerra del 1915-19 e che ha vissuto e vive l’esperienza di un Dopoguerra, ricco di risultati e di eventi» in Giannelli (1938, p. 284), o i riferimenti espliciti al discorso di Mussolini del 1926 come delineazione di un Mediterraneo «romano» (ivi, p. 285), la leggenda di Regolo da accogliere contro le polemiche antiromane «e quindi» antitaliane contro uno «tra i più puri eroi della nostra stirpe» (ivi, pp. 295-7). Spicca il parallelo tra la proposta di Levino per il dono allo Stato dei preziosi e l’iniziativa del cosiddetto «oro alla patria» del dicembre 1935 (ivi, p. 236). 155 carlo franco giudicato autore di «pagine geniali» che mostrano la «sicura visione del maturarsi del compito provvidenziale assegnato a Roma»61. Già. 4. Nella fase interbellica, fu Tucidide al centro degli studi storici, mentre Polibio rimase piuttosto marginale62. Per questo, spiccano talune pagine su di lui stese da Benedetto Croce, che non era un antichista né un accademico, ma espresse su aspetti del mondo classico posizioni risultate talora controverse63. Egli presentò di Polibio un quadro «straordinariamente suggestivo», facendone un autore «più storicista (e di uno storicismo etico-politico e culturale) e meno didascalico»64. Riecheggiando i toni della «polibiolatria»65, e ribaltando la «scarsa stima» toccata allo storico in confronto con altri che erano stati più che altro esornatori di fatti66, lo definì un «Aristotele dell’antica storiografia: un Aristotele storico e teorico insieme», in grado di supplire allo scarso interesse che il filosofo di Stagira, aveva nella propria enciclopedica opera mostrato verso la «storia propriamente detta»67. 61. Giannelli (1938, p. 2). Errava invece De Sanctis, che nella Storia dei Romani «ebbe un atteggiamento spirituale che lo portò talora a subordinare la concezione dell’ideale romano di potenza e della missione di Roma»: così Giannelli (ivi, p. 280). 62. Non in rilievo in Momigliano (1950). Modesto Stumpo (1921; 1922); eulogetico Boccadamo (1938), che vede in Polibio, come al solito, «il primo vate dell’Impero Romano». Su Tucidide, cfr. Piovan (2018b); Iori (2019). 63. Treves (1967), rist. in Treves (1992, pp. 146-89). 64. Musti (2006, pp. 22-3). In generale cfr. Thornton (2014, pp. 164-6). Così Momigliano (1934, p. 177): «Wenn auch die glänzenden Ausführungen Croces über die Griechische Geschichtsschreibung in der Teoria e Storia della Storiografia keinen bedeutenden direkten Einfluss auf die klassischen Philologen ausgeübt haben, so sind doch die dort dargelegten und andere ähnliche Gedanken nunmehr fast überall eingedrungen». 65. Si pensi alle riflessioni di Casaubon sugli storici come «agenti provvidenziali»: Canfora (1997b, pp. 51-2). 66. Croce (1941, pp. 150-1 e 171): gli «errati giudizi, e censure ed encomi parimenti ingiustificati: come si vede dalla scarsa stima che toccò nell’antichità, e per un pezzo dipoi, a Polibio, “che non scriveva bene”, di fronte allo splendido Livio o al commosso Tacito, e dalla sopravalutazione che in Italia hanno goduto storici, che erano poco più che corretti ed eleganti prosatori, di fronte ad altri negligenti o rozzi nella forma, ma seri indagatori». 67. Croce (1941, p. 181): si vorrebbe «trattare lo storico di Megalopoli come uno di quei grandi pagani che l’immaginazione medievale ammise nel Paradiso, o almeno nel Purgatorio: degni di aver conosciuto per vie straordinarie, e in premio della intensa loro coscienza morale, il vero Dio. Ma, considerando con maggiore calma, bisogna rassegnarsi, pur sentendo il cuore preso da “gran duolo”, a collocare anche lui nel Limbo, dove si accolgono coloro che “furono dinanzi al cristianesimo” e “non adorar debitamente Dio”: gente di “molto valore”, di così gran valore che pervennero presso al limite, e persino lo toccarono, ma non lo passarono mai». 156 10. polibio in italia, tra storicismo e fascismo Di fatto, elogiare di Polibio «la vigilanza critica, l’austerità scientifica, l’anelito verso l’ampia e severa storia»68 significava farne un teorico della storiografia, scelta non del tutto appropriata, pur se implicata, in qualche modo, dai giudizi di Mommsen e Pais. Mosse di qui la reazione di Gennaro Perrotta. La pubblicazione della sua Storia della letteratura greca si completò nel 1946, sicché la redazione del testo risale al tempo di guerra. Pur citando l’immancabile frase di Mommsen, Perrotta espresse su Polibio pesanti riserve: viene descritto uno scrittore pessimo, un politicante mediocre, un acheo che ebbe la fortuna di finire a Roma. Il giudizio ricorda quello di Bruno Lavagnini69, ma approda a una valutazione molto differente: Per un curioso abbaglio, molti moderni hanno veduto in Polibio un progresso della storiografia, lo hanno salutato come il più grande storico greco, come un maestro del metodo. Che la storiografia positivistica lo abbia così esaltato, non è meraviglia: singolare è che anche la storiografia del nuovo idealismo lo abbia considerato un’anticipazione dello storico moderno, come l’Aristotele della storia, perfino superiore a Tucidide. […] Non è un grande storico: non ha nessuna grande idea e nessun ideale […] arido meschino limitato utilitario prosaico70. L’aperta polemica contro Croce è tanto più notevole, in quanto l’opera di Perrotta è stata intesa come esplicitamente «ispirata all’idealismo crociano»71. In questo passaggio, tuttavia, il legame con Giorgio Pasquali e, forse ancor più, il peso di scelte politiche del presente sembrano essere prevalse su ogni altra considerazione72. 68. Croce (1941, p. 181): «In Polibio la vigilanza critica, l’austerità scientifica, l’anelito verso l’ampia e severa storia, giungono a sì alto segno» ecc. 69. Lavagnini (1936a) elogiava la «lucida chiarezza» con cui Polibio colse la «fatalità del processo storico che aveva portato all’impero», citava Mommsen, notava che «l’esilio tolse alla lega achea un mediocre politico per dare il suo primo grande storico a Roma». Meno utile Lavagnini (1941). Lavagnini (1933) muoveva al seguito di Croce. Analogamente Gigante (1951), a favore di un Polibio didascalico e filoromano. Cfr. Thornton (2014, pp. 164-6). 70. Perrotta (1947b, p. 143); cfr., su Tucidide, Perrotta (1947a, p. 145): «Soltanto Polibio riprenderà, in qualche modo, il metodo tucidideo; ma a torto alcuni lo considerano uno storico più grande di Tucidide, o degno di stargli a fronte. Non il metodo storico fa il grande storico ma l’intensità dei sentimenti e la profondità dei pensieri. Polibio, nonostante le sue ambizioni metodologiche, che vorrebbero segnare un progresso rispetto a Tucidide, è uno spirito arido, senza genialità e senza passione». 71. Gigante (1996, p. 142). Sull’opera, cfr. Privitera (1996). 72. Basti pensare, per esempio, a Perrotta (1942). 157 carlo franco Il dibattito su Polibio faticò a uscire dall’orizzonte degli storici73. Anche perciò merita attenzione una riflessione di Giorgio Pasquali, entro una sintesi sopra L’idea di Roma nel mondo greco74. Vi si delinea un Polibio «soprannazionale, cittadino del mondo» che, pur se finalmente deluso, era stato il primo greco a comprendere Roma e a farla comprendere. Ciò perché egli aveva impostato l’identità fra storia di Roma e storia universale, e colto che «a Roma era riservato il dominio del mondo»75. L’idea di una saldatura, più che una contraddizione, tra elemento greco e romano, derivava dichiaratamente da Friedrich Leo76. Finiva però per bordeggiare la retorica nazionalista, tratteggiando un Polibio «superbo di aver lavorato egli stesso alla conquista romana del mondo, parte quale collaboratore, parte quale direttore», e delineando un quadro idealizzato della civiltà latina77. Riflessioni acute sull’unità greco-romana della cultura repubblicana e accenti nazionalisti si trovano insieme, e ciò colpisce, tanto più se in confronto con la desanctisiana voce Polibio, pubblicata nella stessa Enciclopedia. Di certo, nel successivo Dizionario di politica gestito dal Partito, la voce Polibio non fu affidata a uno storico né a un antichista, ma a un giurista, che si cavò d’impiccio stendendo un breve profilo anodino (che non menziona De Sanctis)78. 5. Al di là delle analisi storiografiche, dunque, Polibio seppe suscitare negli anni Venti e Trenta anche letture di attualizzazione politica79. L’equazione tra storia di Roma e storia universale rese infatti le sue Storie specialmente interessanti per quanti cercavano spunti relativi alla “missione universale” di Roma80. Inevitabile il richiamo al discorso di Mussolini su Roma 73. «Storico singolarissimo» appare l’autore, per Rostagni (1946, p. 236). 74. Pasquali (1936, pp. 909-10). 75. Cfr. Cagnetta (1990, pp. 84-9); Thornton (2014, pp. 176-7; 2020b, p. 248). 76. «Su Polibio le migliori pagine sono quelle di Leo»: così, nella bibliografia finale, Pasquali (1936, p. 916). Il riferimento è a Leo (1913, pp. 315-22, 325-7). Pasquali era stato allievo di Leo a Gottinga, e ne estese la voce per la Treccani: cfr. Pasquali (1933) con Pöschl (1985, p. 12); Cassola (1985). 77. Con l’epoca delle conquiste «civiltà greca e civiltà romana si compenetrano vicendevolmente» formando «una civiltà nuova, eminentemente atta a informare di sé popoli di ogni stirpe, quella civiltà medesima nella quale ora vive tutto il mondo latino-germanico, tutto il mondo civile»: Pasquali (1936, p. 909). 78. Battaglia (1940). Su Battaglia, professore a Bologna, commissario della Facoltà di Lettere e Filosofia nell’aprile-maggio 1945, poi preside (1945-50) e rettore (1950-56; 196268), cfr. Polato (1988); rassegna degli scritti in Battaglia (1972, pp. 437-52). 79. In generale, cfr. Piovan (2014; 2018b). Poco utile Coppola (2020). 80. Sulla “missione imperiale” cfr. Canfora (1989a, pp. 263-7); in generale, Giardina, Vauchez (2000, pp. 248-58); Salvatori (2014). 158 10. polibio in italia, tra storicismo e fascismo antica sul mare, detto all’Università per Stranieri di Perugia il 5 ottobre 1926, in cui Polibio, dopo pensose considerazioni geopolitiche, era introdotto tramite la menzione dei rapporti e dei trattati tra Roma e Cartagine. Il discorso era corredato di materiali e bibliografie, opera, a quanto pare, dal senatore Ettore Pais81. Lo studioso, secondo le cronache, presenziò all’evento insieme a Sua eccellenza Ettore Romagnoli. Al termine, l’oratore era infine «salutato da una prolungata ovazione» ricevendo da parte del pubblico «infinite, vivissime congratulazioni». Il testo, che rilanciava le ambizioni mediterranee del regime e valeva anche da indirizzo per gli studiosi, fu subito diffuso in numerose edizioni, e recensito da Carolina Lanzani sul primo numero di “Historia”, la rivista diretta appunto da Pais82. Le guerre puniche, e quindi Polibio, furono tra le due guerre un precedente richiamato con insistenza in sedi politiche, secondo i modi dell’analogia83. La polemica contro la Cartagine dei mercenari e dei commerci non era certo una novità: era già iniziata dagli anni della guerra libica, e riprendendo, già a quel tempo, spunti assai più antichi. Pure Mommsen chiamava Cartagine la London der Antike, ma l’uso risaliva a Droysen e, prima ancora, alla pubblicistica del xviii secolo, con differenti aggiustamenti84. 81. «Compilato da chissà chi», scriveva Momigliano (1950, p. 296), ma contenente «l’unica interpretazione della storia di Roma veramente aderente allo spirito della nuova civiltà italiana». Testo in Mussolini (1957, pp. 213-27): «E non ho inventato nulla, anzi voglio dirvi subito la bibliografia del mio spirito: Gino Luzzatto, Storia del commercio [Barbera, Firenze 1914]; Corazzini, Storia della Marina militare [antica] [De Passeri, Firenze 1896-98], Ettore Pais, Storia critica di Roma [Maglione, Roma 1918-20]; Ferrero e Barbagallo, Roma antica [Le Monnier, Firenze 1921-22]; Gaetano De Sanctis, L’età delle Guerre puniche [Storia dei Romani, iii, Bocca, Torino 1916-17]; Augusto Köster, Das antike Seewesen [Schoetz und Parrhysius, Berlin 1923]; Vecchi ( Jack La Bolina), Storia generale della Marina militare [Giusti, Livorno 1895]; Léon Homo, L’Italie primitive et les débuts de l’impérialisme romain [La renaissance, Paris 1925]; Mommsen, Storia di Roma antica [i-iii, Roux e Viarengo, Roma-Torino 1903-05]; Ettore Pais, Ricerche sulla storia e sul diritto pubblico di Roma [i-iv, Maglione, Roma 1915-21] ed altre minori». Mie le integrazioni bibliografiche. Nel discorso, De Sanctis è citato in un punto con esplicito consenso, ma solo la Storia critica di Roma, Età Regia, di Pais, ha l’onore d’essere definito «magnifico volume», che spiega «le ragioni per cui i Romani ebbero sempre una psicologia più continentale che marittima e diventarono marinai soltanto per necessità, quantunque valorosissimi», e la ragione sarebbe «nel carattere originario del popolo romano», gente appenninica dell’interno, talché, «come giustamente osserva il Pais, il litorale paludoso e malarico, respingeva piuttosto che attirare i Romani verso il mare». Sul tema, cfr. Ilari (2014). 82. Canfora (1978, pp. 93-4); sulla rivista “Historia” cfr. Nelis (2006). Cfr. le osservazioni di Clemente (2012). 83. Canfora (2010, pp. 27-40). 84. Materiali in Bonnet (2005). 159 carlo franco Al termine della Prima guerra mondiale, il tema aveva avuto un’improvvisa attualizzazione in senso inverso, quando fu il Reich a ritenersi vittima di una “pace cartaginese”85. Ma i paradigmi sono notoriamente flessibili. L’Italia fascista, rievocando il fatale conflitto romano contro Cartagine, svolgeva una battaglia propagandistica, con sviluppi antisemiti (e antiinglesi)86. Le guerre puniche divennero dunque un tema politicamente sensibile. Segno di questa ipersensibilità al tema è anche la polemica su Annibale che coinvolse la “scuola” di De Sanctis87. Vivaci discussioni si ebbero su alcuni contributi pubblicati nell’Enciclopedia Italiana: basti confrontare la cauta voce Annibale di Vincenzo Costanzi, e quelle su Cartagine o Scipione, distese da Gaetano De Sanctis88. Nell’agosto del 1933, la rivista “Quadrante”, diretta da Massimo Bontempelli, pubblicò la nota di un giovanissimo collaboratore, secondo il quale «tutta l’Enciclopedia è contaminata da studiosi di razza ebraica facilitati da De Sanctis, che nella voce Cartagine cita chiunque purché straniero ma non l’unico italiano, Pais». L’articolo mirava preventivamente a screditare, insieme al responsabile del settore “Antichità classiche”, l’imminente voce Roma, affidata «a gente che per abito ereditario di razza rimane estranea al significato intimo di quella storia»89. Non era la prima volta che le voci della Treccani sul mondo antico suscitavano polemiche (noto da tempo è il caso della voce Cesare). Ma proclamare quella “estraneità” aveva un tono antiebraico specialmente sgradevole90. Dopo la fondazione dell’effimero impero etiopico, lo spazio per la riflessione storica diminuì91, ma ampio spazio restava per la retorica della 85. Cfr. il discorso di Wilamowitz-Moellendorff (1918). 86. Pagine efficaci sul tema in Cagnetta (1979, pp. 89-95). 87. Franco (2012, pp. xxvii-xxviii), con bibliografia. 88. Costanzi (1929), De Sanctis (1931; 1936). 89. Bizzarri (1933). Il giovanissimo Edoardo Bizzarri (1910-1975) fu poi poligrafo attivo in Cile nel Dopoguerra. Come è noto, la voce Roma. Impero fu distesa, per la parte storica, da Arnaldo Momigliano. 90. Cagnetta (1990, pp. 167-70), sull’attacco a Piero Treves (confuso con il padre), dichiarato «autore di uno studio tutto cartaginese contro Roma per la ii Guerra punica e scrittore libertario». L’esclusione degli ebrei è degna del fanatico professore nazista dei Geschwister Oppermann di Lion Feuchtwanger, uscito nel 1933. La questione dell’antisemitismo fascista ante 1938 è complessa, è non può essere qui affrontata: cfr. Rigano (2008, pp. 245-67). 91. Giammellaro (2011); Tondini (2019), con riferimenti a posizioni espresse da Hitler e Wilamowitz. 160 10. polibio in italia, tra storicismo e fascismo “romanità”92. Lo scoppio del conflitto in Europa diede poi ulteriore slancio ai paralleli, con un richiamo rassengeschichtlich alle guerre puniche, durato fino all’aprile del 194593. Già nel settembre del 1939, nel rispondere a un discorso di Chamberlain, Hitler richiamava la Seconda guerra punica e ribadiva il concetto nel discorso del successivo 8 novembre: Wenn man nun in England erklärt, dass dieser Kampf der 2. Punische Krieg sei, so steht in der Geschichte nur noch nicht fest, wer in diesem Falle Rom und wer Karthago sein wird. Im ersten war jedenfalls England nicht Rom, denn im ersten Punischen Krieg schon hat wirklich Rom gewonnen94. Non c’erano dubbi, anche per Mussolini, su chi rappresentasse Roma in quel conflitto: nel gennaio 1942, l’analogia era rilanciata, ma con una imprevedibile inflazione la guerra in corso diventò la «quarta» guerra punica95. Polibio era comodo per queste uscite: già nel novembre del 1940, il capo del Governo aveva dichiarato che la guerra alla Grecia era «come la terza guerra punica, che deve concludersi e si concluderà con l’annientamento della Cartagine moderna» (ossia il Regno Unito, protettore del nemico). Servili adulatori plaudirono quelle parole, ma è noto che le reni della Grecia furono più salde del previsto. Anche la Cartagine moderna, che sbarrava all’Italia il dominio del Mediterraneo, resistette. Alla fine la Grecia venne occupata, e ancora si ricorse a Polibio, con rozzezza: nel 1941, a più riprese e in sedi variamente autorevoli, un noto archeologo disquisì sulle antiche e moderne relazioni tra Italia e Grecia, così commentando: «nessun Polibio questa volta li ha ammoniti, come gravemente li ammonì dopo l’ultima ribellione a Roma»96. Il dibattito di cui qui si ragiona fu quasi esclusivamente interno97. La sintesi di Ziegler, che in qualche modo funse da “ponte” tra studi polibiani pre- e postbellici, citò solo gli studi di De Sanctis e l’allora recente mono92. Basti il rinvio al titolo delle memorie di Graziani (1937). Pais (1927), con dedica a Mussolini, ripeteva ancora l’abusata immagine di Cartagine come “Londra dell’antichità”. 93. Cfr. Chapoutot (2008, pp. 363-7). Sul notevole Vogt (1943), cfr. Canfora (1978, pp. 149-54). Documentazione in Loreto (2000); Chapoutot (2011). Non vidi Sommer, Schmitt (2019). 94. Domarus (1962-63, p. 1343). Sull’evoluzione delle posizioni hitleriane su Cartagine, cfr. Loreto (2000, pp. 831-8). 95. Discorso al Direttorio nazionale del pnf del 3 gennaio 1942, in Mussolini (1966, p. 3). Sul contesto cfr., per esempio, Deakin (1963, pp. 7-31). 96. Maiuri (2007): pubblicato originariamente nell’aprile del 1941, a pochi giorni dalla resa della Grecia; cfr. anche Maiuri (1942). 97. Come già per Tucidide: cfr. Fantasia (2017, pp. 159-60). 161 carlo franco grafia di Mioni98. Delineare un quadro degli studi fuori d’Italia sarebbe complesso: per fortuna, recenti sintesi hanno chiarito le linee principali99. Si analizzavano sostanzialmente la questione storiografica (ossia la qualità dello storico) e quella politica (ossia la posizione rispetto a Roma). Merita menzione l’idea di Leo, non lontana da quella di Eduard Schwarz: ossia un giudizio positivo sullo storico acheo che tratteggiò la grandezza di Roma come nessun romano aveva fatto e che, trovatosi in mezzo tra una potenza straniera e la patria impotente e sconfitta, riuscì a non tradire se stesso e lo Hellenentum100. Altri studiosi di area tedesca erano stati meno positivi101. Il problema cruciale, di fatto era quello dell’imperialismo romano102, nel contrasto tra l’interpretazione difensiva e «accidentale», risalente a Mommsen, ripresa da Holleaux e poi da Carcopino103, e la tesi del militarismo e della sete di dominio prevalsi dopo Pidna, particolarmente seguita in Italia104. I contributi storiografici del periodo, anche apparsi in sedi autorevoli, non furono influenti allo stesso modo: per esempio, l’iperanalitica ipotesi di stesure successive stratificate nel testo non fu generalmente accolta105. Il profilo di Polibio pubblicato nella prima edizione della Cambridge Ancient History risultò piuttosto scialbo. Se ne ricorda solo una battuta: Polibio scrive così male che «può essere letto in qualsiasi altra lingua a parte la sua»106. Un giudizio che voleva essere brillante e invece consa98. Ziegler (1952); Mioni (1949). 99. Baronowski (2011, pp. 5-11); Thornton (2020b, pp. 239-85). 100. Schwarz (1903, p. 80): «Kein Römer hat jemals die Größe seines Staats so sachlich und imposant geschildert wie dieser Achaeer»; e ivi p. 84: «Der nüchterne, praktische Mann war ein großer, tüchtiger Charakter, der in der schweren Stellung eines Mittlers zwischen der fremden Großmacht und der eigenen ohnmächtigen und besiegten Nation, einer Stellung zu der er sich nicht gedrängt, die ihm ein hartes Schicksal aufgenötigt hatte, nie sich selbst und dem Hellenentum untreu geworden ist». 101. Secondo Norden (1915, p. 61, nota 1), Polibio sopravvalutò l’epoca sua per valorizzare la propria importanza e originalità di storico. 102. Peremans (1934) esamina produzione francese tedesca e inglese, non italiana (nemmeno De Sanctis!). Cfr. anche Shutt (1938). 103. Holleaux (1921); Carcopino (1934), con ristampa di lavori polibiani già apparsi sul “Journal des Savants”. 104. Cfr. Ferrero (1906) e De Sanctis (1969). 105. Laqueur (1913). Cfr. per esempio De Sanctis (1935a, p. 630): «Molto si è del resto esagerato, particolarmente da R. Laqueur, circa le tracce delle successive stesure che sarebbero rimaste nell’opera di P(olibio)». 106. Glover (1930, p. 3): «the worst prose perhaps that ever a Greek of anything like his power employed. He can be readable in any language but his own». 162 10. polibio in italia, tra storicismo e fascismo crava stereotipi prevedibili107: nel secondo Dopoguerra, Walbank liquidò queste riserve classicistiche ma anche la polibiolatria, in un ripensamento che conobbe momenti importanti, e pure eccessi polemici108. 6. Polibio, come si è visto, aveva offerto spunti anche alla retorica del ventennio fascista: che aprì anche spazi nuovi di interesse verso lo storico. Nel 1936, per decisione del ministro e quadrumviro Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon, le Storie furono comprese tra i testi da leggere in lingua originale nel primo anno di liceo classico, con Omero e Senofonte109. La scelta aveva evidenti caratteri di esemplarità formativa, e seguiva modelli esterni110. In quell’anno, per l’esame di maturità venne proposta ai liceali il passo con Scipione che salva il padre alla battaglia del Ticino (Polyb. 10.3), mentre alla sessione di settembre fu la volta dell’audacia marinara di Roma (Polyb. 1.20). Il 20 agosto 1936, Mussolini asserì che, dopo la conquista dell’Etiopia, tutta la vita nazionale doveva essere portata «sul piano dell’Impero»111: Polibio, dal quale si potevano trascegliere passi in senso tutto militare, filoromano, anticartaginese, veniva molto a proposito. Ormai si richiedeva che la scelta dei volumi per le scuole fosse «aderente allo spirito e all’azione del Regime» (circolare del 19 gennaio 1929), rimarcando che «l’aderenza del libro di testo allo spirito e all’azione del Regime fascista non deve risultare semplicemente da poche frasi di celebrazione, ma da una interpretazione di tutta la materia rispondente alla nostra nuova cultura intimamente e appassionatamente italiana» (circolare dell’8 maggio 1930). Secondo i programmi del 1936, l’insegnamento, in particolare della storia, doveva «interessare gli alunni mediante opportuni 107. Riflette il giudizio di Dionigi, ripreso da Norden (1898, pp. 81 e 153): «Polybios, gehört nach dem Urteil des Dionysios von Halicarnass, der hier wie oft die allgemeine Auffassung formuliert, zu den ungenießbaren Schriftstellern, die man nicht zu Ende lesen kann (de comp. verb. 4)», giacché usa «die in schriftstellerische Sphäre gehobene Sprache der Kanzleien». 108. Ziegler (1952). Per i ripensamenti cfr. Gabba (1974b); per gli eccessi, cfr. De Romilly (1958, p. 57), che riduttivamente chiamò Polibio il «faux Thucydide». Sulla relazione tra i due autori, cfr. ora Foulon (2010) e Scardino (2018). 109. Cfr. R.D. 7 maggio 1936, n. 762, Approvazione degli orari e programmi per le scuole medie d’istruzione classica, scientifica, magistrale e tecnica, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, 9 maggio 1936, n. 108, parte i, supplemento ordinario. Dati in Ascenzi, Sani (2009); e già Ostenc (1981, pp. 214-27). Cfr. Cagnetta (1991, pp. 424-7); sull’editoria scolastica cfr. Galfré (2005, pp. 112-55); utile Bruni (2005, pp. 77-100). Considerazioni generali in Neri (2012). 110. Sulla presenza di Senofonte nella cultura del iii Reich, cfr. Roche (2018, pp. 252-6). 111. Ai gerarchi centrali (1936), in Mussolini (1959, p. 28). 163 carlo franco riferimenti e raffronti alla vita presente, mirando a mettere in chiara luce la continuità dello sviluppo storico, le figure maggiormente significative, i valori essenziali della civiltà e delle armi, l’apporto fondamentale recato in ogni tempo e in ogni campo» dall’Italia112. In tale il contesto furono prodotte, nel giro di pochi mesi, varie selezioni di Polibio. Vi si s’impegnarono sia notori calcenteri, commentatori in serie dei classici, sia studiosi di profilo più alto. Al primo libro delle Storie si dedicarono Taccone (il grecista di Torino) e Cammelli113; al secondo, Treves e Guida114; al terzo, Mioni e Benzoni115. Altri scelsero l’antologia, pure autorizzata: ne curarono sia seduli studiosi come Annaratone, Cammelli, Cosattini e Illuminati, sia giovani studiosi come Ignazio Cazzaniga e Bruno Lavagnini, ma anche due storici, Plinio Fraccaro e Alfredo Passerini, la cui opera merita speciale menzione116. I criteri seguiti nell’approntamento dei volumetti non sono quasi mai esplicitati. Qualche spunto attualizzante compare talora nelle premesse, accanto a dati tecnici o stilistici: più d’un commentatore osservò che, accanto agli evidenti «difetti formali», Polibio offriva un pregio principale «per noi, Italiani d’oggi», ovvero «la sincerità dell’ammirazione» che, «straniero, sentì per la grandezza di Roma, nell’avere di questa divinata, compresa e predicata la missione mondiale»: esplicita eco di uno dei più diffusi e pervasivi luoghi comuni della retorica fascio-colonialista117. Altri poté plaudire all’introduzione dello storico nelle scuole «in quest’alba di Impero», e più esplicitamente segnalare in Polibio «come un profetico lampeggiamento delle lotte civili che agitarono l’ultimo secolo della Repubblica romana, un una divinazione dell’Impero»118. Un accademico su112. R.D. 7 maggio 1936, n. 762, Avvertenze generali per l’insegnamento. 113. Taccone (1937); Cammelli (1937a). Fu approntato anche uno strumento di servizio: Bianchi (1937), con prefazione datata 24 maggio 1937 e cenno (p. iv) a Polibio «profondo conoscitore dell’epoca in cui si formò l’impero di Roma». 114. Treves (1937); Guida (1937). Cfr. la positiva recensione di Scullard (1938), con menzione anche di Lavagnini (1936b). Il libro di Treves fu presto colpito dal bando verso i libri di «autori di razza ebraica» (C.M. n. 33, 30 settembre 1938). Il bando che liberò il campo alle opere concorrenti... 115. Mioni (1941); Benzoni (1942). I relativi “bigini” per le edizioni Signorelli dei libri i-iii furono approntati da C. Guida e altri nel medesimo 1938. 116. Lavagnini (1936b); Cazzaniga (1937); Fraccaro, Passerini (1937a); Annaratone (1937); Cammelli (1937b); Ciresola (1937) – l’autore, latinista, insegnava al “Carducci” di Milano –, Illuminati (1937); Cosattini (1938). 117. Guida (1937, p. 11). Cfr. Mussolini (1958a, p. 152). 118. Lavagnini (1936b, pp. 15 e v). La prefazione al volume è datata “luglio 1936”. L’introduzione riprende Lavagnini (1936a). 164 10. polibio in italia, tra storicismo e fascismo balpino scopriva nello storico acheo «virtù che alle giovani generazioni dell’Italia di Mussolini non possono non riuscire quanto mai accette»: interessante punto, in un autore che vantava, il 21 luglio 1936, che il proprio commento, se forse non usciva il primo, «pel primo» era stato scritto119. Come si vede, le letture per i liceali si erano proprio poste «sul piano dell’Impero». L’impresa del libro scolastico poteva a quel tempo essere alquanto proficua, e coinvolgeva case editrici dai profili più umili, o altre di tono quasi accademico. Rientrava dunque nella divulgazione sfruttata «a scopi impuri»? Nei commenti polibiani si leggono pagine di «tono imbarazzato e untuoso», anche se il marcio pare confinato solo nelle introduzioni120. Certo è che taluni testi classici furono “epurati” nel Dopoguerra, perché recavano pagine non sempre politicamente anodine121. I più, si sa, praticarono la “dissimulazione onesta”, una difesa da più parti riconosciuta come legittima rispetto all’invadenza del regime122. Ma v’erano eccezioni. Piero Treves, presentando il secondo libro delle Storie, non si limitò a sottolineare l’inserimento di Polibio tra i testi in lettura come un fatto nuovo, che andava oltre il criterio stilistico-classicistico: inserì pure un esplicito omaggio al «caro maestro» Gaetano De Sanctis, che non aveva giurato fedeltà al regime123. Va detto che De Sanctis, come autore della «poderosa» Storia dei Romani, era nominato, con ben maggiore cautela, anche da altri commentatori: ansiosi però di rassicurare che il loro libro presentava le sezioni di Polibio maggiormente attinenti a Roma, capaci quindi di suscitare «una viva eco nei giovani dell’Italia nuova»124. Assai diversi il taglio e il tono del commento di Treves, «largamente trascurato (se non addirittura dimenticato) dalla critica»125. La sua diversità non consiste 119. Taccone (1937, p. vii). Opera scialba quanto l’autore. Ma la costituzione romana nell’età delle conquiste vien detta «graniticamente salda» così da avviare Polibio alla comprensione della «missione provvidenziale» di Roma (ivi, p. x). 120. Cfr. Momigliano (1950, p. 292). 121. Liste dettagliate in Ascenzi, Sani (2009). 122. Ventura (2017, pp. 162-5). 123. «L’essenziale, debbo ai libri e agli studi sparsi e diversi degli storici moderni, anzi tutto e segnatamente alla Storia dei Romani del mio caro maestro Gaetano De Sanctis, di cui, nello studio minuto e continuo, meglio ho potuto, anche una volta, misurare la profonda umanità e la grandezza pensosa»: così Treves (1937, p. 5). La novità della lettura di Polibio a scuola fu richiamata già da Lavagnini (1936b, p. 3): «per la prima volta nei secoli». 124. Annaratone (1937, p. 4). Non tutti gli allievi di De Sanctis si comportarono così, negli anni 1932-38. 125. Amendola (2021, p. 158). 165 carlo franco tanto nelle dimensioni, assai maggiori degli altri (trecento pagine!), o nei frequenti richiami a Dante, Carducci e Pascoli, accanto a citazioni di Fustel e di Croce126: quanto nel fatto che vi si sottolinea a più riprese il “male” della conquista romana. Il libro contiene frasi assai forti, amate dal giovane Treves e rivolte a liceali forse non consapevoli. La storia di Roma dopo la distruzione di Corinto è posta sotto il segno di una «Nèmesi» che condusse alla crisi della repubblica e di là alla «espiazione dei vincitori» e alla «vendetta dei vinti», fino alla guerra civile. «Quindi il cesarismo e l’impero: “l’Empire, c’est la paix”. Né chiediamoci quale pace si celi oltre il velame di questa parola bonapartista, “solenne e mendace”». Una frase scritta, come attesta la prefazione, nell’estate del 1936, dunque poche settimane dopo la proclamazione dell’effimero impero etiopico127. Non diverso suona il commento sulla diffusione di “monarchi” nella Grecia ellenistica: «parola singolarmente appropriata a definire l’illegalità e il permanente arbitrio del potere tirannico, in quanto il tiranno solo da se medesimo ripete, e soltanto a se medesimo e ai suoi interessi commisura, il proprio, insindacabile, illegale potere»128. Per chi sapeva leggere, era chiaro. In più, come facevano pure interessati cantori delle presunte analogie tra il passato e le glorie della romanità fascista, anche Treves si serviva di verbi al tempo presente per trasmettere un giudizio politico contemporaneo129. L’opera polibiana è definita «l’epopea, e la tragedia di una conquista immane, che imponeva ai Romani la responsabilità morale più terribile», e viene segnalato il «senso di fastidio e di angoscia morale dinanzi all’uomo, senso di ristrettezza dinanzi alla sua opera», anche per effetto di «insufficienza etica»: una storia che appare «in una corrusca luce di tregenda e di sangue […], storia di una immensa agonia, dove un mondo si spegne»130. Le Storie risultano così, in linea con De Sanctis, non il monumento al sorgere dell’impero di Roma, quanto il racconto del tramonto 126. Riprendendo da Croce (1941), ma senza l’enfatico titolo di «Aristotele della storiografia». 127. Treves (1937, pp. 9-10). La frase francese è il motto del principe Luigi Napoleone (prossimo Napoleone iii) a Bordeaux nel 1852. Il giudizio su che cosa sia “impero” è di Camille Jullian, come spiegato in nota. Il libro fu «concepito e disteso fra giugno e luglio del 1936» (ivi, p. 301). Si notò che Treves «souligne les qualités de son auteur, mais ne ferme pas les yeux, peut-être même les ouvre-t-il complaisamment parfois, sur les défauts qu’entraînent chez Polybe son pédantisme et ses partis pris d’Achéen ou de Grec rallié à Rome»: Mathieu (1937, p. 411). Altre segnalazioni del libro all’estero: Gagé (1937); Flacelière (1938) e Lenschau (1939). 128. Treves (1937, p. 185, nota) a Polyb. 2.41.10. 129. Franco (2013, p. 422). 130. Treves (1937, pp. 12, 21, 26-7). 166 10. polibio in italia, tra storicismo e fascismo inesorabile dell’equilibrio ellenistico. Su Polibio grava l’accusa di non aver capito la victa causa della Grecia, per essersi convertito al «romanesimo più convinto»131 . Nelle antologie che altri approntarono dalle Storie, la scelta di pagine che meglio rappresentassero l’etica, la guerra e la potenza di Roma risultava agevole: di preferenza si attinse al racconto della Seconda punica132. Del resto, taluno aveva riconosciuto in Mussolini la reincarnazione di Scipione, quando il capo del governo aveva visitato la riconquistata colonia libica nell’aprile 1926133. La sovrapposizione tra l’antico e il moderno condottiero fu sollecitata, nell’editoria e nel cinema, con intenso sforzo propagandistico. Si andò dalla pronta traduzione della monografia di Liddell Hart134, all’interesse per il libri di Scullard su Scipione135, alla esibita spettacolarità di Scipione Africano (1937)136. S’arrivò persino a esumare improbabili anticaglie, con numerose edizioni scolastiche della dimenticabile tragedia di Metastasio, Attilio Regolo (1740), usata come riserva di scene e parole esemplari137, senza curarsi di quanto scritto sul personaggio dalla storiografia più avvertita138. 131. Treves (1934). Su Treves e l’equilibrio ellenistico, cfr. Franco (2021, pp. 149-52); sulla sua visione complessiva del mondo ellenistico, cfr. Amendola (2021, pp. 186-8). 132. Per esempio, accostando passi dai libri xiv e xv di Polibio con il racconto di Livio, per glorificare la vittoria di Scipione a Zama: così Cammelli (1937b). E cfr. anche, a riprova della diffusione del tema, la compilazione del poligrafo Quattrini (1936), e più oltre Lupinacci (1942). 133. Giardina, Vauchez (2000, p. 249). 134. Liddell Hart (1929). Ne segnalava la insufficiente italianità Giannelli (1938, p. 316, nota 1): «peccato che questo incondizionato ammiratore dell’Africano si sia rivelato così poco cordiale estimatore dell’Italia nella Grande guerra […] e così incompetente giudice della campagna italiana in Etiopia». 135. Scullard (1930), con la recensione di Fraccaro (1931). 136. Cfr. Giuman, Parodo (2011); Pucci (2014). Sull’immagine di Cartagine, cfr. Giammellaro (2019). Per altri studiosi, oltre a De Sanctis, cfr. Giammellaro (2012; 2013). 137. Bastano alcune battute di Regolo: Atto i, vii: «L’onor di Roma, / il valor, la costanza, / la virtù militar, padri, è finita, / se ha speme il vil di libertà, di vita»; ii, i: «Virtù col proprio sangue / è della patria assicurar la sorte; / onde è mio ben la servitù, la morte»; ii, iv: «Taci; non è romano / chi una viltà consiglia»; iii, iv: «Ma tu conosci, / Amilcare, i Romani?/ Sai che vivon d’onor? Che questo solo / è sprone all’opre lor, misura, oggetto? / Senza cangiar d’aspetto / qui s’impara a morir. Qui si deride, / pur che gloria produca, ogni tormento; / e la sola viltà qui fa spavento». 138. «It seems well established that this story was wholly legendary, and invented by annalists»: così Walbank (1970, p. 94), a proposito di Polyb. 1.35, con riferimento già a De Sanctis (1967, pp. 154-5). 167 carlo franco 7. In tale clima, l’antologia polibiana allestita da Plinio Fraccaro e Alfredo Passerini ebbe caratteristiche particolari: anzitutto perché evitò eccessi celebrativi del regime, poi perché commentò passi storici che meno richiamavano interferenze politiche139. L’opera privilegiò l’analisi delle valutazioni di Polibio rispetto al racconto bellico: nessuna seriale polemica sull’inferiorità dei mercenari o dello Stato cartaginese, ma serie informazioni su eserciti e istituzioni, sulla topografia e sulle fonti, secondo la linea della scuola pavese140. L’attenzione per i dati concreti, istituzionali, militari, geografici, si rivolse a Polibio, come storico razionale. Indicativa in questo senso, e unica nel panorama del tempo, la scelta dei passi dal ii libro relativi alle risorse della Cisalpina e alla formula degli armati dell’Italia, presentata con entusiasmo e commentata con metodo. La sede era significativa. La “Biblioteca scolastica di classici latini e greci” diretta da Giorgio Pasquali usciva per le edizioni Sansoni, controllate da Giovanni Gentile: Fraccaro e l’allievo vi avevano già pubblicato altri lavori141. Fraccaro, firmatario nel 1925 del “Manifesto” antifascista, aveva collaborato in modo significativo con il filosofo per l’Enciclopedia italiana142, rimanendo politicamente defilato, libero da compromessi grevi, subendo anzi alcuni sgradevoli episodi143. Più integrata della sua, per le sedi di pubblicazione, appare certa produzione prebellica di Passerini, valido studioso, ingiustamente marchiato con lo sbrigativo epiteto di «Italian fascist»144. 139. Fraccaro, Passerini (1937a) comprende: Proemio; La marina romana. Milazzo; Battaglia delle Egadi; Ricchezza della Cisalpina; Italia romana in armi; Battaglia di Canne; Le discordie dei Greci: Agelao; Teoria della evoluzione degli Stati; Ordinamenti politici e militari di Roma; Cartagena; Zama; Educazione di Scipione Emiliano; Demografia in Grecia. 140. Ciò spiega perché l’opera sia stata citata nella letteratura scientifica: oltre al cenno di Momigliano (1960, p. 312, nota 11), notevoli le menzioni di Gabba (1974b; 1975, p. 152, nota 3); cfr. le recensioni di Gallavotti (1937): «fatta con speciale criterio e con abbondantissimo commento», e Porter (1938). 141. Cfr. Galfré (2005, pp. 125-36). Nella collana di Sansoni anche Fraccaro, Passerini (1935a; 1935b; 1935c; 1937b). Cfr. Pedullà (1986, pp. 126-30). 142. Cfr. Cagnetta (1990, pp. 130-7; 1991, p. 426, nota 50). Una frase della prefazione a Fraccaro, Passerini (1935a) è stata impropriamente additata a esempio di compromesso fascista da Pedullà (1986, 129, nota 22). Essa può suonare filofascista solo se enuclata dal contesto, relativo ai limiti politici di Cicerone. Il testo è neutro, e fu approvato, come l’antologia polibiana, dalla Commissione per la “defascistizzazione” dei libri nel 1944: cfr. Ascenzi, Sani (2009, pp. 357, 375, 445). Cfr. Giordano (1993, pp. 81-2). 143. Cfr. in generale Gabba (1997; 1988; 2009, pp. 233-4); Signori (2001). Nel 1940, Fraccaro fu indotto a chiedere l’iscrizione al partito, che fu respinta, per il suo contrasto con il podestà Angelo Nicolato: cfr. Torchiani (2010, pp. 56-7). 144. Passerini (1942; 1943a; 1943b). Passerini aveva collaborato, come “Libero docente nella R. Univ. di Pavia”, anche alla Enciclopedia Italiana. L’epiteto in de Sainte Croix 168 10. polibio in italia, tra storicismo e fascismo Nel volume polibiano non è indicata una divisione di compiti: l’introduzione è attribuibile a Fraccaro, a Passerini il commento145. Al tempo del suo alunnato presso l’Istituto per la Storia antica di Roma (1937-39), il giovane storico aveva ricevuto l’incarico di allestire un’edizione di Polibio per la collana nazionale dei classici greci e latini, che non portò a termine146. Ne venne però l’antologia, dove furono scelte e commentate, con riferimenti inaspettati, pagine legate a temi storici centrali nella ricerca sua e di Fraccaro147. Indicativo il rilievo dato all’interesse di Polibio per il carisma di Scipione e il suo interesse per la psicologia: ma si concede poco o nulla al “mito” di Scipione148. Secondo le attese ministeriali, Polibio è presentato come fonte di «copiose e preziose notizie sulla grande epoca della formazione dell’Impero di Roma». Non mancano cenni attualizzanti. La premessa al discorso di Agelao di Naupatto (Polyb. 5.103-104) osserva che: «La situazione della Grecia antica non è dissimile da quella dell’Europa occidentale contemporanea; ascolteranno gli Europei le autorevoli voci, che li ammoniscono quasi con le stesse parole di Agelao di Naupatto?»149. Su quello stesso discorso, di carattere quasi oracolare, De Sanctis si era espresso in termini molto riduttivi150. Data l’epoca di stesura, la nota potrebbe riferirsi alla Spagna, di(1981, p. 611, nota 16), a proposito della serie di Studi di storia ellenistico-romana, usciti tra il 1931 e il 1933, e in particolare per un passaggio “antidemocratico” in Passerini (1933), su cui Thornton (2001, p. 24). Passerini, ternato al concorso del 1939, successe a M. A. Levi a Milano: sulle sue posizioni durante e dopo la guerra cfr. i necrologi di Bernardi (1951); Tibiletti (1951) con bibliografia, e Levi (1951). 145. La precisazione, certo informata, è di Tibiletti (1967, p. 452): «il suo commento, tuttora prezioso». 146. Cfr. Polverini (1992, p. 592, nota 21). Ancora nel 1940, Fraccaro e Passerini intendevano avviare una «traduzione» di Polibio per Sansoni: cfr. la lettera di Fraccaro a Gentile (3 giugno 1940) (https://patrimonio.archivio.senato.it/inventario/scheda/giovanni-gentile/IT-AFS-034-003587/fraccaro-plinio). 147. Nel commento a Polyb. 6.6, in Fraccaro, Passerini (1937a, p. 74), viene citato Freud, trasgredendo il vigente divieto di menzionare autori “ebrei” nei libri scolastici. E anche Roberto Ardigò non è un nome atteso... 148. Polyb. 2.15.1-7 e 2.24. Cfr. Fraccaro, Passerini (1937a, pp. 38-45 e 121-5). Il primo passo è detto «d’un particolarissimo interesse», il secondo valorizzato perché consentirebbe, alla Beloch, «un calcolo approssimativo della popolazione dell’Italia peninsulare alla fine del iii secolo». Cfr. Walbank (1970, pp. 176-7, 196-203). 149. Cfr. rispettivamente Fraccaro, Passerini (1937a, pp. iii [Introduzione], e p. 60). 150. De Sanctis (1968, p. 383), commenta così il discorso di Agelao: «Belle parole: ma parole. Quando mai i Greci avevano sdegnato aiuti esterni e anzi aiuti barbarici nelle loro contese?». Il discorso è ritenuto una profezia ex eventu da De Sanctis (1920, p. 78, nota 1). Sul passo cfr. Nicolai e Porciani (capp. 2; 3). 169 carlo franco laniata dalla guerra civile, o più probabilmente riflettere certe posizioni italiane avverse agli usa151. Molto caratterizzata è l’introduzione al passo sul declino demografico della Grecia. La sua presenza si spiega con l’interesse di Fraccaro verso la demografia, sulla scia di lavori di Beloch152, ma il titolo Mali antichi e moderni conduce in altra direzione: Polibio mette in rilievo l’elemento morale, l’egoismo che induce specialmente le classi elevate al suicidio: riluttanza alla vita coniugale, che esige sacrifizi, limitazione della prole ad un solo figlio o a due figli al massimo, che potranno godere per intero le ricchezze dei genitori. E quindi il frequente spegnersi delle famiglie e lo spopolarsi delle città. Mali vecchi e nuovi: meminisse iuvabit. Oltre all’analisi sociologica, colpisce qui il parallelo con la modernità. Il passo aveva attirato l’attenzione di Montesquieu e di Hume, era stato esaminato dagli studiosi dei fenomeni demografici e sociali, da Barbagallo, a Beloch, Tarn e Rostovzev, ed era noto fuori della cerchia degli antichisti153. Il tema demografico, tornato attuale dopo i massacri della Grande guerra europea (1914-18), fu al centro delle politiche demografiche volute da fascismo (e nazismo), nel timore del declino della «razza» europea e dell’Occidente154. Ne aveva parlato, citando Polibio, anche Mussolini, in un articolo intitolato significativameante La razza bianca muore?, uscito sul “Popolo d’Italia” il 4 settembre 1934: «Già Polibio ci parla delle città greche sterili e vuote e quindi facile preda ai conquistatori romani; ma anche Roma andò 151. Il passo è segnalato, a proposito degli «accostamenti tra antico e moderno (che il Fraccaro sconsigliava, però faceva)» da Tibiletti (1972, p. 34). Cfr. le ironie di Fraccaro (1924, p. 17), sull’abuso dell’analogia storica, l’attribuzione di pensieri moderni agli antichi: la Siria «asilo ai liberi», «quasi una antica Svizzera». 152. Polyb. 36.17 (indicato a p. 182 come 37.4.1-9). Cfr. Walbank (1979, pp. 680-1). Il valore del passo, accolto in passato come dato oggettivo, per esempio in Landry (1936), è discusso. Il passo è liquidato come un “mito” da Corvisier (2001, p. 111): «Fait assuré pour les démographes depuis au moins Landry (1936), elle apparaît désormais comme un mythe aux yeux des antiquisants». Ma cfr. Hansen (2006, p. 12, nota 43); Bresson (2007, pp. 6270). Per l’influsso di Beloch, cfr. Gabba (1988, pp. 728-9). 153. Per Montesquieu e Hume cfr. Walbank (1980, p. 199), con riferimento a Burke (1976); Barbagallo (1924, p. 131). Sul passo, cfr. per esempio anche Rostovzev (1973, p. 25, nota 41), con bibliografia, e Mazzarino (1966, p. 129). 154. Cfr. Loffredo (1938); Pompei (1940). Per il nesso con le politiche di Augusto, Calderini (1939, pp. 126-7), con riferimento anche allo «egoismo di tante famiglie moderne, a dir vero più al di là che al di qua delle Alpi». Cfr. ancora Cagnetta (1979, pp. 35-49). Per la Germania, Chapoutot (2008, pp. 404-13). La traduzione di Korherr (1936) fu prefata da Mussolini. Celebre al tempo anche Günther (1929), con la recensione di Kahrstedt (1929). 170 10. polibio in italia, tra storicismo e fascismo verso la catastrofe, quando col diminuire della sua natalità, dovette ricorrere alle truppe mercenarie»155. Tuttavia, solo in apparenza la scelta di Fraccaro e Passerini convergeva con i temi del regime: Polibio documentava una crisi, non una “romana” soluzione. Inoltre, il passo è l’ultimo del volume, e ciò spegne ogni trionfalismo (l’ultima parola dell’ultima nota è «tristezza»). Fraccaro fu estraneo, per paradigmi culturali e scelte politiche, alle attualizzazioni dell’antico ammiccanti alla politica: talvolta, verso temi cari al regime lo condussero autonomi percorsi di studio (così per l’interesse per il mondo rurale o l’avversione verso Annibale)156. Certo, la sua posizione politicamente non garantita richiedeva cautela157. D’altra parte, la pressione perché i testi sco155. Mussolini (1958b, pp. 312-5). L’articolo seguiva dichiarazioni sulla “difesa della razza” e richiamava il discorso tenuto alla Camera il 26 maggio 1927: «se si diminuisce, signori, non si fa l’Impero, si diventa una colonia», in Mussolini (1957, p. 367). E ancora nel discorso del 27 agosto 1936, Al popolo di Lucania, in Mussolini (1959, pp. 29-30): «I popoli dalle culle vuote non possono conquistare un Impero e, se lo hanno, verrà il tempo in cui sarà per essi estremamente difficile – forse – conservarlo o difenderlo. Hanno diritto all’Impero i popoli fecondi, quelli che hanno l’orgoglio e la volontà di propagare la loro razza sulla faccia della terra, i popoli virili nel senso più strettamente letterale della parola». 156. Cfr. anche Giordano (1993, pp. 81-2). 157. Il 23 maggio 1942, Fraccaro tenne nell’Aula Foscoliana dell’Università il discorso per il secondo bimillenario della nascita di Tito Livio. Vi si legge che Livio «allogeno e alloglotto» poteva abbandonare la «patria veneta [...] senza rimpianto e non per interesse», e darsi «alla nuova grande patria romana, alla sua lingua, alla sua gloria»: cfr. Fraccaro (1942, pp. 87-8 e 100-1). Il discorso è equilibrato, sicché spiccano gli anacronistici allogeno e alloglotto. Entrambi i termini erano usati, dopo il 1920, in rapporto ad alcuni abitanti delle terre “irredente”, e tornarono d’attualità a causa della guerra: cfr. per esempio in discorso alla Camera del 10 giugno 1941, in Mussolini (1960, p. 97): «Noi avremmo potuto, volendo, spingere i nostri confini dai Velebiti alle Alpi albanesi, ma avremmo, a mio avviso, commesso un errore; senza contare il resto, avremmo portato entro le nostre frontiere parecchie centinaia di migliaia di elementi allogeni, naturalmente ostili. Ora, la storia antica, ma soprattutto la recente, dimostra che gli Stati devono tendere a realizzare il massimo della loro unità etnica e spirituale, in modo da far coincidere a un certo punto i tre elementi: razza, nazione, Stato. Gli Stati che si caricano di troppi elementi alloglotti hanno una vita travagliata. Può essere talvolta inevitabile di averli, per ragioni supreme di sicurezza strategica. Bisogna adottare verso di essi un trattamento speciale, premesso, beninteso, la loro assoluta lealtà di cittadini verso lo Stato. Comunque, quando la etnia non va d’accordo con la geografia, è l’etnia che deve muoversi. Gli scambi di popolazioni e l’esodo di parti di esse sono provvidenziali, perché portano a far coincidere i confini politici con quelli razziali». Fraccaro rintraccia in Livio anche una lezione per le classi dirigenti, il cui primo dovere «verso lo Stato e verso se stesse è di essere in prima linea sui campi di battaglia e tenere saldamente in pugno le forze armate; ogni rinuncia e ogni delega in questo campo riesce prima o poi fatale e allo stato e alla classe dirigente». Quale impressione facessero 171 carlo franco lastici mostrassero piena conformità alle direttive del governo era forte: chi non ottemperava, rischiava rifiuti o scarse adozioni, con danno per autori e editori158. Con l’eccezione di Treves, i commenti polibiani usciti nel 193738 concessero molto allo spirito del tempo. Fraccaro e Passerini si limitarono a qualche frase di convenienza, che non intacca il rigore scientifico del loro libro. 8. Sin qui si è delineata, in modo selettivo e desultorio, la presenza di Polibio in Italia tra le due guerre. La periodizzazione è inevitabile: il Secondo conflitto mondiale portò una marcata cesura nell’approccio al tema159. Nel superamento dello storicismo e dell’idealismo, finì per Polibio la disputa tra analisti e unitari160, mentre uscivano lavori fondamentali come il monumentale commento di Walbank. Al centro dell’indagine fu la posizione dello storico fra Grecia e Roma: e la Roma del presente era ormai, senza dubbio, quella oltre oceano161. Il rapporto tra romani e greci “liberati” non poteva non essere riletto in funzione di quello tra gli Stati Uniti e l’Europa occidentale “libera”: non per caso si decise di tradurre, nel 1947, il volume di Fustel162. In Italia si ebbero traduzioni più o meno complete del testo di Polibio, e numerose ricerche monografiche: tendenza proseguita fino ad oggi163. Già maestro della scienza politica e militare, già fonte scientificamente (quasi) perfetta, Polibio è ora divenuto altra cosa, senza forse trovare un’immagine coerente. È divenuto uno storico di cui indagare il metodo, queste parole ai contemporanei, non è facile dire: oggi appaiono un messaggio al re, per il ritorno allo Statuto, come sarà nel futuro ordine del giorno Grandi. Adottare tratti della langue politica familiare ai contemporanei era un mezzo per consentirsi margini di fronda attraverso un’adesione esteriore. 158. Cfr. le osservazioni di Galfré (2005). 159. Cfr. Musti (1965; 1972), con le riflessioni di Thornton (2004). 160. Zecchini (2018, p. 182), in riferimento alle posizioni di Santo Mazzarino. 161. Cfr. ora Waterfield (2016, p. 16). Da meditare Zecchini (2018, p. 218): «un altro aspetto della sua attività, quello a cui teneva di più, e cioè la storia della lega achea, non suscitò alcun interesse e non rientra in nessuno dei capitoli del suo Nachleben, almeno fino al nostro tempo e all’attuale cultura europea: tra vinti ci si intende». 162. Fustel de Coulanges (1947). Sulla violenta polemica al riguardo di Russo (1948): cfr. Treves (1953, pp. 144-5). 163. La traduzione di Schick (1955) fu preceduta da quella, parziale, di Cardona (1948-49) e seguita da quella pure parziale di Brindesi (1961). Integrali quelle curate o coordinate da Vimercati (1987), Nicolai (1988) e Musti (Milano 2001-06). Per le monografie, Mioni (1949), Roveri (1964), poi Musti (1978), e Zecchini (2018): valutazione storiografica in Thornton (2020b, pp. 263-78). 172 10. polibio in italia, tra storicismo e fascismo compresi i discorsi164. È divenuto (o tornato a essere) una personalità politica, esperta personalmente dei problemi del medio ellenismo165. È divenuto una figura da considerare senza telelologie, per comprendere se fu filoromano «esclusivamente e definivamente» o se lasciò spazio ai nemici degli imperialisti166. Si ritiene, opportunamente, che per capirlo sia meglio rinunciare «al tentativo di stabilire in astratto il segno – positivo o negativo – del giudizio» su Roma167. Perduto il ruolo di modello assoluto, piedistallo troppo alto che ne deformava il tratto, lo storico è ora parte di un interessante gruppo, con Flavio Giuseppe e Appiano: «tre interpreti ellenofoni dell’imperialismo romano, tutti e tre convinti della necessità di chiarire attraverso un racconto (auto)biografico il senso del confluire della propria storia non solo personale in quella, ben più grande, di Roma»168. 164. Cfr. Nicolai (1999; 2018). 165. Thornton (2014, p. 179): «il Polibio di Musti non è più un teorico, né un filosofo della storia che nella sua distaccata considerazione abbia maturato una sincera ammirazione per il ruolo di Roma e del suo impero nella storia universale, nel disegno della Provvidenza o nel progresso dello spirito». In luogo del distacco, il coinvolgimento: «disperatamente ancorato» agli ideali di autonomia, Polibio rimase un politico fino alla fine. 166. Così Musti (2006, p. 79). 167. Thornton (2013c, p. 150). 168. Canfora (2015, p. 62). Su Polibio e Giuseppe cfr. le considerazioni di Walbank (1995b). 173 Bibliografia Abbreviazioni Le raccolte di iscrizioni greche seguono le abbreviazioni proposte in GrEpiAbbr https://www.aiegl.org/grepiabbr.html; le abbreviazioni per le iscrizioni latine sono quelle presenti in Année Épigrahique (Paris 1888-). fgrhist = F. Jacoby, Die Fragmente der griechischen Historiker, i-iii, Brill, Leiden 1923-59. Roman Statutes = M. H. Crawford (ed.), Roman Statutes, Bulletin of the Institute of Classical Studies Supplement 34, Institute of Classical Studies, London 1996. Edizioni/traduzioni Polibio Polibio, Le storie, 4 voll., a cura di R. Nicolai, Newton Compton, Roma 1998. Polibio, Storie, 8 voll., a cura di D. Musti, trad. di M. Mari (libri i-xviii, xxviiixxxiii e frammenti), F. Canali de Rossi (libri xix-xxvii), A. L. Santarelli (libri xxxiv-xl), note di J. Thornton, Milano 2001-06 [= Musti, Polibio] Polybe, Histoires. Livre iii. Commentaire de M. 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