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L’inesausto desiderio di appartenere alla modernità. Manlio Malabotta e la collezione degli artisti giuliani

AFAT Rivista di Storia dell’arte fondata nel 1975 34 (2015) Scritti per Maria Walcher EUT EDIZIONI UNIVERSITÀ DI TRIESTE L’inesausto desiderio di appartenere alla modernità. Manlio Malabotta e la collezione degli artisti giuliani M L Manlio Malabotta, in un articolo del 1932, sosteneva che “di una scuola triestina non si può, né si potrà mai parlare”, al pari di Bobi Bazlen secondo il quale: “come non esiste un unico tipo triestino, non esiste nemmeno una cultura creativa triestina; creare un’opera omogenea con premesse simili sarebbe stato impossibile1”. I presupposti, da par suo, Malabotta li aveva ben chiari: “Città marittima formatasi alla svelta, Trieste, con elementi eterogenei, del nord e del sud, dell’oriente e dell’occidente. Conglomerato di nazionalità, che seppur all’esterno poco rilevanti, mantengono nell’intimo, anche incoscientemente, intatte le caratteristiche originarie2”. Significativo come i due amici, forse confrontandosi l’un l’altro, forse seguendo individualmente i loro ragionamenti, giungessero a conclusioni analoghe. Trieste, per la sua eterogeneità e per le sue contraddizioni insanabili, ricorrenti tanto nella sua storia quanto nell’arte, è stata postmoderna prima ancora che la categoria concettuale fosse inventata. Anche gli studiosi più accreditati la configurano quale labirinto senza centro. Se le avanguardie del Novecento si caratterizzano per la totale frantumazione dell’idea unitaria di stile, tuttavia è a Trieste che l’entropia stilistica appare più evidente, poiché si innesta su di una realtà con radici storiche, sociali e culturali distanti ed atipiche nel panorama nazionale italiano. Malabotta reputava che i personaggi più significativi di questa stagione artistica fossero Bolaffio, Carmelich, Cernigoj, Fini, Levier, Nathan, così stilisticamente lontani fra loro da essere accomunati dalla reciproca dissonanza3. Il corpus di opere degli artisti giuliani della “Collezione Malabotta” che ora viene donato alla città di Trieste da Franca Fenga Malabotta testimonia di questa precisa realtà culturale, attribuendo ulteriore rilevanza a delle opere già importanti ma che, nella loro composizione, accrescono il proprio valore storico. Tre infatti sono le linee guida che ci permettono di apprezzare il lascito: in primis la stretta correlazione esistente fra le opere e il lavoro di critico militante svolto da Malabotta negli anni tra il 1929 e il 1935. Nei suoi articoli, come ormai ben noto, dopo le due mostre triestine4, emerge con evidenza il raro acume critico sostenuto da quei tratti caratteriali così affini tra coloro i quali vivono nel multiforme emporio di anime e merci che è Trieste: mordacità, vivacità intellet- AFAT 34 (2015), 11-16 ISSN 1827-269X DOI: 00.00000/1827-269X/00000 175 tuale, passionalità. A testimoniare della sua qualità critica, fra i dipinti donati appare la Donna buranese con scialle sul capo di Arturo Fittke al quale, già nel 1929, Malabotta assegnò, con largo anticipo sugli studi successivi, un ruolo rilevante nella storia dell’arte triestina5. La lungimiranza critica e il ruolo di rilievo che ebbe in quegli anni nello stimolare l’ambiente artistico e culturale – dettato dal suo voler essere uomo del proprio tempo – costituiscono il filo rosso che lega i suoi scritti l’uno all’altro. Ne consegue che non potesse mancare anche qualche sferzata intemperante alle scelte poco coraggiose del Curatorio del Museo Revoltella. Non solo, a suo dire, la modernità a Trieste fu opera di pochi, e si ravvisò soltanto nel ’22 quando “alcuni giovani cominciano a fare «stranezze» e scuotono l’ambiente”, salvo poi aggiungere caustico: “Ci si scopre finalmente in ritardo, di quasi vent’anni. Allora tutti corrono a mettersi in orario6”. Che Malabotta manifestasse una sua predilizione per il rinnovamento è noto ma nella frase emerge anche quella peculiarità triestina rappresentata dall’autocritica impietosa, spesso venata di cinico sarcasmo, di cui, non a caso, è stato maestro Bobi Bazlen7. In seconda istanza i dipinti e i disegni rappresentano, nel loro insieme, un contributo imprescindibile per delineare la storia dei movimenti, delle idealità e dei sodalizi che, sorti in ambito locale, possono essere correlati alle più importanti esperienze italiane e straniere: dal Futurismo alla Pittura metafisica, dal Magischer Realismus al Novecento di Margherita Sarfatti. Le opere degli artisti giuliani, presenti nella Collezione Malabotta, di Giorgio Carmelich, Adolfo Levier, Mario Lannes, Arturo Nathan, Vittorio Bolaffio e del già citato Arturo Fitke, 176 AFAT 34 (2015), 11-16 ISSN 1827-269X testimoniano, ognuna a suo modo, di uno slancio particolare verso la contemporaneità. Infatti nelle loro immagini si riverbera quel mondo culturale che “trattiene” Trieste in quanto provincia dell’Impero ma che esprime al contempo l’inesausto desiderio di appartenere alla modernità. Così l’inquietudine di Vittorio Bolaffio rimanda alle memorie letterarie di Gianni Stuparich e Umberto Saba. Giorgio Carmelich8, connotato dall’inesauribile vitalità creativa – “vide la vita attuale con occhi nuovi” – tese ad introdurre, come un fuoco d’artificio, il Futurismo in area giuliana. Arturo Nathan riprese le esperienze della Neue Sachlichkeit e del Realismo Magico teorizzato da Franz Roh9. La circostanza non trascurabile è che per tutti questi artisti Malabotta curò approfondimenti critici – ricordiamo la monografia dedicata a Carmelich10 nel 1930 – e, in alcuni casi, esposizioni. In terza istanza vale sottolineare come le opere palesino una qualità – parametro caro a Bernard Berenson – tale da annoverarle fra le migliori realizzazioni dei singoli autori. Sarebbero sufficienti la Solitudine di Arturo Nathan e l’amatissima Cinesina del goriziano Vittorio Bolaffio per avvedersene. È Malabotta che, per primo, comprende ed evidenzia le peculiarità stilistiche di quest’ultimo artista. Attraverso la sua sintetica analisi, in filigrana, scorgiamo “la bellezza della nostra città, la vita interessantissima del porto”. Il mondo figurativo di Bolaffio viene così definito: “La sua pittura è lenta, meditata, profonda e, soprattutto, solitaria; questo il suo valore e la sua grandezza: di aver visto e interpretato le cose come altri mai, di aver trasfigurato pittoricamente il vero in una visione personalissima. Si abbiano presenti i dipinti in cui analizzò il nostro porto scoprendovi un’anima astratta e meravigliosa”11. Grazie al prezioso occhio critico di Malabotta possiamo rivedere e apprezzare le stupende Scene del porto, del Museo Revoltella12, come degna controparte visiva delle pagine de L’onda dell’incrociatore di Pier Antonio Quarantotti Gambini. E se il Trittico trasfigura nel sogno la scena di genere realistica, ora, grazie alla donazione Malabotta, potremo accostarlo visivamente ad uno dei più ammalianti ritratti dell’artista goriziano: La cinesina (1913): “in mezzo all’esasperante miseria dell’arte triestina, dipingeva [...] una donna cinese dal volto penetrante, dalla coloritura corposa su uno sfondo piatto, chiaro, stranamente ornato [...] solamente mi chiedo quale dei nostri «maestri», degli «illustri», avrebbe raffi- M L, L’inesausto desiderio di appartenere alla modernità 177 gurato in quell’epoca una cinese senza trar profitto della cultura orientale che era allora di moda? Invece il Bolaffio la interpretò indipendentemente, ricercando e godendo la sua umanità essenziale, con una sensibilità vigile, religiosa, preoccupata solo della realizzazione13”. È una dichiarazione d’ostilità al gusto retrivo per le atmosfere orientali ottocentesche che ancora trovavano spazio e apprezzamento in Italia sebbene Paul Gauguin, ben prima del 1913, avesse contribuito in maniera determinante a fare a pezzi quell’orientalismo vagheggiato dall’Europa, più affine a un sogno esotico, spesso erotico, che a un autentico accostarsi all’umanità con valori pittorici nuovi, lontani da quelli Ottocenteschi (“secolo che in vari casi fu buono ma di certo non è più moderno”). Se negli studi fu Edward Said il primo a smascherare la mistificazione dell’Oriente da parte dell’Europa, Malabotta, con un motto di consapevolezza critica, scopre l’infingimento attraverso l’occhio moderno di Bolaffio, assegnando alla pittura autenticamente moderna il merito di svelare la falsità dei nostri pregiudizi. Accogliendo nel Museo Revoltella il notissimo dipinto di Arturo Nathan Solitudine ed accostandolo a quelli, magnifici, già presenti nella collezione della Galleria di Arte moderna, emergerà come si tratti di un autentico capolavoro del Realismo Magico, 178 AFAT 34 (2015), 11-16 ISSN 1827-269X acquistato da Malabotta già nei primi anni Trenta a conferma della sua rara preveggenza critica14. Ed è ancora una volta egli stesso a comprendere la peculiare “metafisica” di Nathan, allora fraintesa e accostata sommariamente al suo più noto rappresentante: “Il senso vigoroso, dispostico che determina il de Chirico invano lo si cercherebbe nelle calme, solitarie figurazioni del triestino15”. Se l’osservazione diretta dei volti ci dà l’illusione di comprendere il carattere di chi ci fronteggia, i ritratti che, senza dubbio, manifestano il voler apparire dell’effigiato costituiscono delle maschere che rivelano più di quanto nascondono. Ci rendiamo conto di ciò osservando i due ritratti che sono parte della donazione: quello di Mario Lannes che rappresenta un Malabotta soave e accostevole e quello di Adolfo Levier, dal colorismo di matrice Fauves, che traduce visivamente la sua volontà di essere moderno. Con lo sguardo severo, incorniciato da un paio di occhiali alla Le Corbusier, sembra lanciare efficaciemente quel monito che costituisce la lezione rivolta da Manlio Malabotta agli artisti suoi contemporanei ma che oggi, forse ancor più di allora, i triestini tutti dovrebbero tenere ben presente: “Gli artisti che se ne stanno impantanati da queste comode formule, cerchino, se possono, di liberarsene, di svegliarsi, di progredire. Altrimenti, pace all’arte loro16”. Note 1 2 3 4 5 6 7 B. B, Note senza testo, Milano 1984, p. 252. M. M, Arturo Nathan, “La Casa Bella”, V, 57, settembre, 1932, ora in L. N, Manlio Malabotta critico figurativo, Trieste 2006, p. 170. M. M, Artisti Giuliani, Milanesi e Veneti, “Il Popolo d’Italia”, 12 luglio, 1931, in N 2006, pp. 130-135. Viaggio nel ’900: le collezioni di Manlio Malabotta, catalogo della mostra (Trieste, Museo Revoltella), Trieste 1996 e Manlio Malabotta e le arti: de Pisis, Martini, Morandi e i grandi maestri triestini, catalogo della mostra (Trieste Magazzino delle Idee), Trieste 2013 e il regesto degli scritti a cura di Lorenzo Nuovo (2006). P. F, Manlio Malabotta, critico e collezionista nella Trieste degli anni Trenta, in Viaggio nel ‘900 1996, pp. 13-25 [p. 13]; E. L, Malabotta e l’arte triestina, dalla critica al collezionismo, in Manlio Malabotta 2013e le arti..., op. cit., pp. 38-45: 39. M 1932, in N 2006, pp. 169-172, [p. 169]. Roberto, Bobi, Bazlen moriva esattamente cinquanta anni fa, il 27 luglio 1965. “Il Sole 24 8 9 10 11 12 13 14 15 16 ore” ha dedicato all’intellettuale triestino un breve articolo commemorativo: Cristina Battocletti, L’uomo con le qualità, “Il Sole 24 ore”, domenica 23 agosto 2015. M. M, Giorgio Carmelich, “La Casa Bella”, V, 58, ottobre 1932, ora N 2006, pp. 177-178. E. L, Arturo Nathan, Trieste 2009, p. 76. M. M, Giorgio Carmelich, Trieste 1930. M. M, Vittorio Bolaffio, “La Casa Bella”, V, 58, ottobre 1932, N 2006, pp. 173-177. D. D’Anza, Vittorio Bolaffio, Trieste 2010, p. 219. M. M, Artisti Giuliani, Milanesi e Veneti, “Il Popolo di Trieste”, 12 luglio 1931, ora in N 2006, pp. 130-135 [pp. 133-134]. L 2009, p. 125. M 1931, p. 134. M. M, La Mostra Sindacale di Udine, “Il Popolo d’Italia”, 31 ottobre 1931, ora in N 2006, pp. 143-147, [p. 144]. abstract mauriziolorber@yahoo.it M L, L’inesausto desiderio di appartenere alla modernità 179 Note 1 2 3 4 5 6 7 B. Bazlen, Note senza testo, Milano 1984, p. 252. M. Malabotta, Arturo Nathan, “La Casa Bella”, V, 57, settembre, 1932, ora in L. Nuovo, Manlio Malabotta critico figurativo, Trieste 2006, p. 170. M. Malabotta, Artisti Giuliani, Milanesi e Veneti, “Il Popolo d’Italia”, 12 luglio, 1931, in Nuovo 2006, pp. 130-135. Viaggio nel ’900: le collezioni di Manlio Malabotta, catalogo della mostra (Trieste, Museo Revoltella), Trieste 1996 e Manlio Malabotta e le arti: de Pisis, Martini, Morandi e i grandi maestri triestini, catalogo della mostra (Trieste Magazzino delle Idee), Trieste 2013 e il regesto degli scritti a cura di Lorenzo Nuovo (2006). P. Fasolato, Manlio Malabotta, critico e collezionista nella Trieste degli anni Trenta, in Viaggio nel ‘900 1996, pp. 13-25 [p. 13]; E. Lucchese, Malabotta e l’arte triestina, dalla critica al collezionismo, in Manlio Malabotta e le arti, 2013, pp. 38-45 [p. 39]. Malabotta 1932, in Nuovo 2006, pp. 169-172, [p. 169]. Roberto, Bobi, Bazlen moriva esattamente cinquanta anni fa, il 27 luglio 1965. “Il Sole 24 8 9 10 11 12 13 14 15 16 ore” ha dedicato all’intellettuale triestino un breve articolo commemorativo: Cristina Battocletti, L’uomo con le qualità, “Il Sole 24 ore”, domenica 23 agosto 2015. M. Malabotta, Giorgio Carmelich, “La Casa Bella”, V, 58, ottobre 1932, ora Nuovo 2006, pp. 177-178. E. Lucchese, Arturo Nathan, Trieste 2009, p. 76. M. Malabotta, Giorgio Carmelich, Trieste 1930. M. Malabotta, Vittorio Bolaffio, “La Casa Bella”, V, 58, ottobre 1932, Nuovo 2006, pp. 173-177. D. D’Anza, Vittorio Bolaffio, Trieste 2010, p. 219. M. Malabotta, Artisti Giuliani, Milanesi e Veneti, “Il Popolo di Trieste”, 12 luglio 1931, ora in Nuovo 2006, pp. 130-135 [pp. 133-134]. Lucchese 2009, p. 125. Malabotta 1931, p. 134. M. Malabotta, La Mostra Sindacale di Udine, “Il Popolo d’Italia”, 31 ottobre 1931, ora in Nuovo 2006, pp. 143-147, [p. 144]. There are three guidelines that allow us to appreciate the Manlio Malbotta collection of “Giuliani artists”: first of all the close correlation between the artworks and the writings about art by Malabotta in the years between 1929 and 1935. The second characteristic concern the place of those paintings in the History of Art. They represent, as a whole, an essential contribution to outline the history of movements, ideals and associations that arose in the local area. The third aspect, last but not least, the artworks are the best achievements of those artists. Those paintings can be related to the most important Italian and foreign experience: from Futurism to the metaphysical painting, from “Magischer Realismus” to the “Novecento” of Margherita Sarfatti. mauriziolorber@yahoo.it 190 AFAT 34 (2015), 187-190 ISSN 1827-269X