CDU 908(497.4/.5Istria)“18/19”
ISSN 0350-6746
CENTRO DI RICERCHE STORICHE - ROVIGNO
QUADERNI
VOLUME XXVI
U N I O N E I TA L I A N A - F I U M E
UNIVERSITÀ POPOLARE - TRIESTE
ROVIGNO 2015
QUADERNI - Centro Ricerche Storiche Rovigno, vol. XXVI, pp. 1-452, Rovigno, 2015
CENTRO DI RICERCHE STORICHE - ROVIGNO
UNIONE ITALIANA - FIUME
UNIVERSITÀ POPOLARE DI TRIESTE
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Storiche U.I. di Rovigno, nessun escluso.
Opera fuori commercio
Il presente volume è stato realizzato con i fondi
del Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale della Repubblica Italiana Direzione generale per l’Unione Europea
INDICE
RAUL MARSETI^, L’Ospedale provinciale (Santorio Santorio) di
Pola durante l’Amministrazione italiana (1918-1947) . . . . . . . .
pag. 009
DAVID ORLOVI], ANTONIO LANZA, Strutture destinate alla
formazione dei militari della Regia Guardia di Finanza a Pola (19201943) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 051
IVAN BUTTIGNON, Il Partito d’Azione tra progressismo e patriottismo nella Zona A . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 071
PAOLA DELTON, I manuali della scuola popolare asburgica in
Istria e a Fiume con un approfondimento documentato su alcuni aspetti della vita degli scolari istriani nel secondo Ottocento . . . . . . . .
pag. 113
DENIS VISINTIN, La campagna istriana nei primi decenni del XX
secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 181
MARKO MEDVED, A novant’anni dalla fondazione della diocesi di
Fiume: per un’unica storia del cattolicesimo fiumano . . . . . . . .
pag. 211
IVAN JELI^I], Sulle tracce di una biografia perduta: Samuele Mayländer (1866-1925) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 227
JASNA ROTIM MALVI], Enea Perugini, Giulio Duimich e Yvone
Clerici nell’architettura a Fiume tra le due guerre . . . . . . . . . . .
pag. 271
FERRUCCIO CANALI, Nuovi piani regolatori di “Città italiane”
dell”Adriatico orientale (1922-1943). Il Piano regolatore di Trieste
(1930-1934) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 353
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
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NUOVI PIANI REGOLATORI DI “CITTÀ ITALIANE”
DELL’ADRIATICO ORIENTALE (1922-1943)
Parte terza
“Il primo Piano regolatore di Trieste italiana” e la sua approvazione: il “Piano regolatore” di
Paolo Grassi (e Camillo Jona) e le ‘questioni aperte’ per un ‘Piano di mediazione’ (‘estetico
piacentiniano’) “già operativo anche quando non ancora approvato”. Attenzioni nazionali e note
dalle pagine de Il Popolo di Trieste (1930-1934) … sotto l’egida di Marcello Piacentini
FERRUCCIO CANALI
Università di Firenze
CDU 711.4(450Trieste)“1934“(093)
Saggio scientifico originale
Maggio 2015
Riassunto: L’autore analizza la preparazione e la redazione del primo “Piano regolatore” per
Trieste italiana, tra il 1932 e il 1934; un’operazione complessa anche se la Critica ha preferito
sottolineare come si sia trattato della sostanziale revisione del Piano elaborato nel 1925 dallo
stesso progettista, Paolo Grassi, che pure diceva di averlo radicalmente rivisto dopo che la sua
prima proposta era stata respinta, nel 1929, dal Consiglio Superiore del Ministero dei Lavori
Pubblici. Dalla lettura delle pagine de Il Popolo di Trieste, testata ufficiale dei Fasci triestini,
finora poco considerata dalla ricerca storiografica, emergono nuovi dibattiti, scelte, opere che
caratterizzarono quel biennio, tra il 1932 e il 1934, rivelatosi cruciale nella messa a punto delle
proposte definitive, mostrandoci non solo una variegata molteplicità di prospettive, ma soprattutto la faticosa individuazione di quei ‘gangli di politica urbana’, ritenuti in grado di modernizzare e attualizzare la vita cittadina rispetto ad uno scenario nazionale e internazionale completamente mutato.
Abstract: Spatial plans of “Italian cities” in the eastern Adriatic (1922-1943). Spatial Plan of
Trieste (1934) based on articles in the newspaper Il Popolo di Trieste - The author analyzes the
preparation and adoption of the first Spatial Plan for Trieste from 1932 to 1934. It was a complex
procedure even though critics of the time pointed out that it was just a substantial revision of the 1925
Plan, thought out by the same designer Paolo Grassi, despite his claims that it was radically changed
after 1929, the Supreme Council of the Ministry of Public Works rejected his previous proposal.
Browsing the pages of the newspaper Il Popolo di Trieste, Trieste’s official gazette of the fascist party,
which the historiographical researchers rather neglected, they discovered new discussions, commitments and actions that marked the 1932 to 1934 biennium. This period was crucial to determine a final
proposal. There was a series of possible solutions, but it was especially difficult to determine the main
nodes of urban politics that could modernise and update urban life in relation to the completely altered
national and international scenario.
Parole chiave / Keywords: politica culturale, piano regolatore, Trieste / Culturale policy, Regulatory
Plan, Trieste
Dopo una gestazione di otto anni, passati attraverso la redazione di proposte
variate ma sempre puntualmente disattese dalla Politica, finalmente nel 1933
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F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
l’Ufficio Tecnico comunale diretto da Paolo Grassi1, redattore della prima
versione del Piano del 1925-1926 (il “Piano Grassi”: “Delibere comunali” del 15
aprile e del 29 maggio 1925) e che si era poi potuto valere della collaborazione
di Camillo Jona, presentava la versione definitiva del nuovo “Piano generale di
massima regolatore edilizio e di ampliamento della città di Trieste”. La questione era decennale e risaliva addirittura alle previsioni dell’ingegner Lorenzutti del
1879 per la Trieste austro-ungarica, ma il momento, in quel 1934, era divenuto
finalmente maturo – dopo il passaggio della città all’Italia nel 1918 e definitivamente nel 1923 - grazie alla rilevanza politica nazionale ora assunta sia da Fulvio
Suvich2, da sempre legato all’alta imprenditoria capitalistica e assicurativa della
1
Paolo Grassi (1867-1954), nato a Turnu Severin (tra Ungheria e Romania) e laureatosi in Ingegneria a
Graz nel 1894, dopo aver lavorato a Trieste presso l’Imperial Regio Governo Marittimo dal 1894 al 1896, nel
1896 entrava al servizio del Magistrato comunale di Fiume dove, nel 1904 veniva chiamato a elaborare il nuovo
Piano regolatore (il Piano fu approvato poi dal Governo austro-ungarico con Decreto n.45703 del 1908 e
n.24987 del 1917. Cfr. P. GRASSI, Relazione intorno al progetto di regolazione ed ampliamento di citta di Fiume,
Fiume, 1904. E ora: J. LOZZI BARKOVI], “Paolo Grassi i regulacijski plan Rijeke iz 1904. godine”, in
Vjesnik, Dr‘avni arhiv Rijeka, Fiume, 40, 1998, p. 157- 183; O. MAGAŠ, “Grassijev urbanisti~ki plan Rijeke”,
in Architettura e Arte a Fiume e a Trieste tra l’800 e il ‘900, Convegno di Studi [Fiume, 2011], Atti in c.s.
Recensioni: “Grandi eventi. ‘Fiume e Trieste, città mitteleuropee sempre più vicine’”, Dentro Fiume, Fiume,
65, ottobre, 2011, p. 3; G. MIKSA, “Fiume e Trieste ricongiunte in un incontro di studio”, La Voce del Popolo,
Fiume, 7 settembre 2011; M. KAJIN BENUSSI, “Fiume e Trieste, quel comune fascino mitteleuropeo”, ivi, 26
settembre 2011. Nel 1908 Grassi veniva assunto presso l’Ufficio Tecnico del Comune di Trieste: nel 1920
prestava servizio presso l’”Ufficio ricostruzioni” del Commissariato Generale Civile, per poi rimanere nei ruoli
comunali fino al 1938 (lasciando l’incarico per sopraggiunti limiti di età). Per il Piano di Trieste elaborato già
nel 1920 e poi fino al 1933, Grassi, ritenuto profondo conoscitore dell’ambiente e dei bisogni della città, ebbe
un elogio della Soprintendenza e del Podestà per l’opera svolta nella compilazione (si veda: Comune di Trieste,
Archivio Generale. Ufficio Personale, fascicolo personale “Grassi Paolo”). Nel frattempo era entrato a far
parte dello staff dell’Ufficio Tecnico Comunale anche l’ingegner Camillo Jona (1886-1974), laureatosi in
Ingegneria/Architettura nel 1909 presso il Politecnico di Milano e ottimo grafico (sue le numerose prospettive
di accompagnamento al nuovo Piano regolatore messo a punto dall’Ufficio dopo il 1925 (“solo nel 1932 Jona
era stato chiamato da Grassi per la compilazione della nuova redazione del Piano del 1933”). Ancora nel 1936
Grassi coordinava una nuova “Variante al Piano regolatore” (Variante per Cittavecchia deliberata il 15
febbraio 1936, approvata con Regio Decreto n.1325 del 29 luglio 1938) e nel 1938, pochi mesi dopo il
pensionamento, veniva richiamato in servizio, per un breve periodo, in qualità di “Consulente tecnico” “per il
Piano regolatore in corso di attuazione e per le variazioni al Piano particolareggiato di Cittavecchia” (Deliberazione Podestarile 529/1938). Cfr. Schede biografiche “Grassi Paolo” e “Jona Camillo” in Trieste. Guida
all’Architettura (1918-1954), a cura di P. Nicoloso e F. Rovello, Trieste, 2005, p. 306-307. Anche: G. DELISE
E C.N. TROVATO, “Piano e amministrazione: il Piano regolatore generale di Trieste [1934]”, in Storia Urbana
(Milano), 51, aprile-giugno, 1990, n.11, p.163 (Paolo Grassi) e n.24, p.177-178 (Camillo Jona).
2 Il triestino Fulvio Suvich (1887-1980), si laureò il Legge presso l’Università di Graz, ma allo scoppio
della Prima Guerra Mondiale decise di arruolarsi volontario nelle fila dell’Esercito Italiano. Eletto Deputato
alla Camera nel gruppo dei Nazionalisti nel 1921, dopo la fusione tra Fascisti e Nazionalisti nel 1923 entrò PNF,
divenendo un punto di riferimento politico per la rappresentanza delle istanze del Capitalismo giuliano a Roma
(era sempre stato in rapporti assai stretti con gli esponenti del capitale commerciale-armatoriale e finanziario
di Trieste: cfr. F. SUVICH, Trieste e l’espansione italiana in Oriente, Roma, 1922). Legato a Guido Jung e ad
Oscar Sinigaglia (l’industriale che nel 1919 aveva rifinanziato “Il Piccolo”) oltre che a Bruno Coceani, poi Vice
Presidente dell’Associazione degli Industriali di Trieste, lo stesso Suvich entrava nel 1926 nel Consiglio di
Amministrazione della Riunione Adriatica di Sicurtà. Nello stesso anno veniva però nominato Sottosegretario
di Stato alle Finanze, dovendo così lasciare la RAS (ma vi sarebbe tornato, ai vertici dirigenziali, nel 1928 e poi
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
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città3; sia da Giuseppe Cobolli Gigli, già Segretario del Fascio triestino dal 1927
al 1930 e ora divenuto Deputato alla Camera nel 19344. In particolare fu Cobolli
Gigli, pochi mesi prima addirittura Vice Podestà di Trieste, a farsi nuovo
promotore del “Piano Grassi”, pur opportunamente attualizzato, e a fare in
modo di accelerarne l’iter già avviato, dopo che il 28 aprile 1934 era divenuto
Deputato: fu Cobolli Gigli che si adoperò in modo che quel Piano venisse
approvato dalla Camera dei Deputati, facendosene egli stesso Relatore, dopo
che Mussolini ne aveva avallato le previsioni.
1. L’approvazione del Piano e la ‘prima era Salem’ (1934)
Il Popolo di Trieste già il 28 gennaio 1934 annunciava che era stata diramata
la comunicazione, da parte del Comune, che
ieri il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, a sezioni riunite, adunatosi a
Roma sotto la presidenza del presidente conte Calletti, ha approvato, su
relazione dell’ispettore superiore ing. Comm. Alicata, il Piano regolatore della
nei primi anni Quaranta); poi tra il 1932 e il 1936 veniva chiamato alla carica di Sottosegretario di Stato agli
Affari Esteri. Fu uno dei grandi fautori dell’amicizia italo-austriaca, in chiave anti-tedesca, in vista anche di
un’alleanza con la Francia e la Gran Bretagna. Dal 1936 al 1938, in contrasto con Ciano e la sua politica
filotedesca, fu inviato come Ambasciatore a Washington (favorì forse la ‘stagione americana’ di Gustavo
Pulitzer Finali, trasferitosi allora da Trieste negli USA?). Cfr. F. SUVICH, Memorie (1932-1936), a cura di G.
Bianchi, Milano, 1984.
3 A. MILLO, L’élite del potere a Trieste. Una biografia collettiva (1891-1938), Milano, 1989; G. SAPELLI,
Trieste italiana. Mito e destino economico, Milano, 1990; A. MILLO, “Fra Trieste, Roma e Washington. Note
su Fulvio Suvich …” in Italogramma, 4, 2012, p. 405-415 (in http://italogramma.elte.hu consultato nel maggio
2015).
4 Giuseppe Cobolli Gigli (1892-1987), figlio del capodistriano Nicolò Cobol, socio e dirigente della
“Società Alpina delle Giulie” nonché membro della “Commissione Grotte” e fondatore dei “Ricreatori di
Trieste”, aveva conseguito la Laurea in Ingegneria; poi allo scoppio della Prima Guerra Mondiale si era
arruolato volontario nell’Esercito italiano. Nel 1921 si iscriveva al Partito Nazionale Fascista diventando
Segretario Provinciale (Federale) del Fascio di Trieste dal 1927 al 1930 (“Giuseppe Cobolli Gigli lascia la
Federazione al parentino Carlo Perusino”, in Popolo di Trieste, 14 gennaio 1930, p.5), come esponente del
“Fascismo moderato cittadino” (rispetto agli Squadristi più accesi); nel frattempo Giuseppe Cobol aveva
italianizzato il proprio cognome in Cobolli, aggiungendovi anche Gigli. Nel 1931 Cobolli assumeva il ruolo di
Direttore della Cooperativa Triestina fra Operai Edili e diveniva socio dell’Industria Triestina Frantumazione
della Pietra; Console dal 1923 e poi Capoconsole del Touring Club Italiano, veniva designato alla carica di
Vicepresidente del Comitato per la Valorizzazione delle Grotte di San Canziano; e quindi nel novembre del
1933, Vice Podestà di Trieste. Deputato presso la Camera nella XXIX° (dal 28 aprile 1934 al 2 marzo 1939) e
XXX° (dal 23 marzo 1939 al 2 agosto 1943) Legislatura del Regno d’Italia, insignito del titolo di Commendatore
del Regno, divenne Sottosegretario ai Lavori Pubblici dal 24 gennaio al 5 settembre 1935, quando fu nominato
Ministro dei Lavori Pubblici fino al 30 ottobre 1939, per poi divenire Presidente dell’AGIP (fino al 1943). Cfr.
R. CANOSA, Storia dell’epurazione in Italia. Le sanzioni contro il Fascismo (1943-1948), Milano, 1999, p. 471;
Giacomo SCOTTI, “Il ricordo selezionato e la storia falsificata", in Revisionismo storico e terre di confine, a cura
di D. Antoni, Udine, 2007.
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F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
Città di Trieste nelle sue linee generali ed ha dato la sua approvazione a tre
stralci di dettaglio del Piano stesso: a. sventramento di Cittavecchia; b. sventramento tra via Carducci e piazza Garibaldi; c. sistemazione del Foro Ulpiano e
della via Coroneo. A questa approvazione, che implica pure il consenso dato al
progetto di Legge e il Regolamento relativo al Piano, seguiranno per parte del
Comune, lo sviluppo progressivo e l’ordinamento di alcune zone di Cittavecchia, di via Arcata e via Solitario5.
I lavori dovevano avere dunque una scansione precisa:
1. Gli espropri ed i lavori conseguenti in Cittavecchia saranno iniziati (non
appena approvato dal Consiglio dei Ministri, il “Decreto-legge”) nella zona tra
via Riborgo, corso Vittorio Emanuele, via Beccherie e la chiesa del Rosario,
dove sorgerà, dirimpetto al Teatro Romano, la Casa del Fascio.
Quindi
seguiranno nel tempo altri espropri, demolizioni e ricostruzioni. L’Ufficio
Tecnico ha in via di preparazione un catasto generale di tutti gli edifici espropriandi ed inizierà immediatamente l’esame dei computi e le perizie dei fabbricati. Altrettanto avverrà per le due altre zone degli stralci sopra indicati.
Infatti
2. L’approvazione del Piano regolatore comprende l’interramento del canale
fino al limite verso mare della via Fabio Filzi e via San Spiridione; e ciò ai fini
di collegare l’arteria che da piazza Oberdan adduce al corso Vittorio Emanuele
e da qui al nuovo costruendo corso di Cittavecchia.
Ancora
per quanto si riferisce al Foro Uliano (dinanzi al Palazzo di Giustizia) il Piano
regolatore approvato contempla un arretramento di circa 10 metri dalla linea
precedentemente stabilita per le case rivolte verso il Palazzo di Giustizia, senza
con ciò entrare in merito a quella che sarà la prossima sistemazione di piazza
Oberdan, i cui studi sono in corso, e che ci si augura sia corrispondente alle
aspettative di tutta la cittadinanza.
Infine
5 “Il Piano regolatore approvato definitivamente”, in Il Popolo di Trieste, 28 gennaio 1934, p.4. Sulle
Tavole del Piano, “elaborate dall’Ufficio Tecnico Comunale, dott.ing. Paolo Grassi, scala 1:5000, anno
MCMXXXI” è presente il timbro del “Consiglio Superiore LL.PP. Adunanza del 27 gennaio 1934” in
www.rapu.it/ricerca consultato nell’aprile 2015.
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
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3. Per quanto si riferisce all’arteria via Carducci-piazza Garibaldi, il Consiglio
ha portato leggere modifiche agli allineamenti che potranno essere di utile
norma per l’esecuzione, man mano che verrà approntata dagli organi tecnici
del Comune.
Finalmente la Direzione del Popolo di Trieste rompeva il proprio voluto
silenzio al proposito del Piano:
poiché era stata impegnata la nostra Direzione a non parlare del Piano prima
della sua approvazione … le pratiche per addivenire alla tanto attesa approvazione del Piano sono durate due mesi. In così breve tempo, la questione (che
pareva arenata nella secche di qualche pregiudizio tecnico) ha fatto rapidissimi
progressi. Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici non si accontentò di
esaminare atti e documenti grafici, ma inviò anche suoi tecnici a Trieste.
Naturalmente serviva l’approvazione del Consiglio dei Ministri. E questa
arrivava nel marzo:
il Piano regolatore è stato approvato dal Consiglio dei Ministri e diverrà Legge
in forza di un Decreto reale … Per questo fatto la grande opera di rigenerazione sanitaria ed edilizia può effettuarsi ormai senza alcun intoppo … naturalmente occorrerà ancora il Decreto reale che, separando dal Piano regolatore
quelle parti riguardano i rioni da risanarsi immediatamente (borgo Maurizio e
Cittavecchia), permetta di effettuare i progettati sventramenti6.
Dopo poco si poteva procedere ai primi “Acquisti di immobili per l’applicazione del Piano regolatore”:
la Consulta cittadina dà parere favorevole all’acquisto delle case n.9 e n.11 del
corso Vittorio Emanuele di proprietà della Cassa di Risparmio Triestina, che
devono essere demolite per l’allargamento del Corso e l’assanamento di Cittavecchia … e quindi le deliberazioni che riguardano l’esecuzione della parte
bassa del viale Sonnino7.
E così nel maggio (Cobolli Gigli era entrato in Parlamento nell’aprile) si
aveva il “Decreto Legge 10 maggio 1934 n. 689 che approva e dichiara di pubblica
6
“Il Piano regolatore definitivamente approvato”, in Il Popolo di Trieste, 4 marzo 1934, p. 4.
“Verso lo sventramento di Cittavecchia … Acquisto di immobili per l’applicazione del Piano regolatore”, in Il Popolo di Trieste, 26 maggio 1934, p.3; “Case del Seicento in Cittavecchia affidate al piccone”, in ivi,
10 luglio 1934, p.6; “Le demolizioni in Cittavecchia”, in ivi, 18 luglio 1934, p. 2; Aldo TASSINI, “Mentre il
piccone lavora”, in ivi, 22 luglio 1934, p. 4; “L’opera dello sventramento”, in ivi, 19 settembre 1934, p.2; “Dove
opera il piccone”, in ivi, 17 ottobre 1934, p. 2; “Dove opera il piccone. Le demolizioni in corso”, in ivi, 29
novembre 1934, p. 2.
7
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F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
utilità il Piano generale di massima regolatore edilizio e di ampliamento della
città di Trieste”. Non si trattava di un “Piano Regolatore Generale”, come invece
è stato interpretato anche di recente e quale la Disciplina urbanistica più avvertita auspicava, ma le previsioni erano così ‘estese’ che al nuovo Strumento programmatorio si puntava.
Nel luglio “Il Piano regolatore approvato con Regio Decreto Legge” veniva
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale:
con l’approvazione del Piano regolatore di massima [PRM] vengono fissate le
direttive e determinati i criteri generali secondo i quali saranno sviluppati e
completati i Piani particolareggiati di esecuzione [PPE]. Il Comune di Trieste
provvederà alla compilazione dei Piani particolareggiati di esecuzione delle
varie zone ed opere comprendenti la planimetria particolareggiata di tali zone
e l’elenco delle proprietà soggette ad espropriazione e a vincolo8.
Facendo un breve riassunto delle vicende occorse, nell’ottobre, venivano
sottolineati alcuni aspetti:
l’opera più vasta di conseguenze che il Podestà [appena nominato Enrico
Paolo Salem9] volle venisse iniziata è quella dell’attuazione del Piano regola-
8 “Il Piano regolatore approvato con Regio Decreto Legge”, in Il Popolo di Trieste, 4 luglio 1934, p.2. Nei
mesi successivi continuavano gli acquisti di immobili da demolire per l’attuazione del Piano: “Deliberazioni
della Consulta municipale … Per il Piano regolatore”, in Il Popolo di Trieste, 1 settembre 1934, p. 2. Infatti
“tutte queste case [elencate] saranno demolite per ragioni di assanamento e di viabilità in esecuzione del Piano
regolatore”. E ancora: “La Consulta comunale… Il Piano regolatore. Acquisti di immobili”, in Il Popolo di
Trieste, 6 ottobre 1934, p. 2.
9 Enrico Paolo Salem, succeduto a Giorgio Pitacco nel settembre 1933 per rimanere in carica fino al 1938
“non fu, si badi, un Podestà qualsiasi, - scriveva Lino Carpinteri sul “Piccolo di Trieste” - perché a lui è legato
il rinnovamento urbanistico del centro storico, con conseguente demolizione di gran parte della Cittavecchia,
tanto che un verseggiatore dialettale ultrafascista ne esaltò l’operato in venti quartine. Eccone un paio: ‘Dito
e fato, el picòn el meti in opera. / I protesta? No ‘l senti de ‘sta recia. / Devi sparir le case in zità vecia / Adesso
el nostro podestà se ocupa / de riportar al sol del Novezento / el Teatro Romano, un monumento / de patria
storia e de romanità’“. Cresciuto nell’ambito dell’Irredentismo triestino italiano, combattente della Grande
Guerra, fascista dal 1921 e nello stesso tempo esponente del mondo finanziario della città, Salem si poneva
come perfetto mediatore tra le due anime in lotta nel Fascismo triestino: lo Squadrismo “rivoluzionario” di
Paolo Giunta e il ‘Fascismo moderato’ che puntava alla salvaguardia dei grandi potentati economici di matrice
liberal-nazionale (gruppo al quale apparteneva anche Giuseppe Cobolli Gigli, peraltro). La sua mediazione,
da importante esponente del mondo finanziario che aveva operato il salvataggio dell’istituto di “Credito
Triestino”, si attuò attraverso un piglio decisionistico che pose i lavori pubblici di risanamento e abbellimento
della città al centro della propria attività. Il coinvolgimento di Giuseppe Cobolli Gigli, in pochi anni proiettato
a importanti incarichi di Governo nazionale, costituì dunque un passo molto efficace poi nello sbloccare
situazioni, come quella del Piano regolatore, ormai ferme da anni. Per Salem si veda: S. BON, Un fascista
imperfetto, Enrico Paolo Salem, podestà ‘ebreo’ di Trieste, Gradisca (GO), 2009. Da altri Autori la presenza di
Cobolli Gigli nella Dirigenza comunale è stata invece letta come una sorta di “cintura di sicurezza voluta dal
prefetto Tiengo e accettata dal Ministero dell’Interno” nei confronti di Salem, la cui designazione aveva
prodotto forti resistenze addirittura sul “Popolo d’Italia” (FARINATA/Paolo DINALE, “Discussioni”, in
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
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tore. Essa, naturalmente, si trova nella fase iniziale. È del luglio la pubblicazione del R. Decreto che dà forza legale al Piano regolatore e alle Norme per la
sua esecuzione. Prima della pubblicazione di quel R. Decreto non si poteva far
altro che rimanere, diremo così, su un campo platonico. Riconosciamo che
l’impresa si presentava ardua per le resistenze che aveva trovata e trovava. Fino
alla vigilia della pubblicazione del Regio Decreto, le forze occulte e palesi
contro quel Piano avevano potuto tentare di ostacolarne l’esecuzione. Spiriti
conservatori, certamente animati da rispettabili sentimenti di affetto per vecchi
motivi cosiddetti “pittoreschi” trovavano “bello” il ghetto, “bello” il dedalo di
viuzze tra il Municipio e le case Conti. Tutto conservabile in omaggio al “colore
locale”. Sembrava ad altri impossibile che si potesse ‘rompere’ la linea tradizionale del vecchio Corso e sostituire le case dell’affaccendato Settecento, sprezzante non solo dell’architettura, ma anche della comodità e della salute, con
una serie di palazzi nuovi. Quando fu annunciato che lo sventramento si
sarebbe fatto molti furono quelli che scommettevano che la generazione attuale non l’avrebbe veduta. Il Podestà, con ferma mano, diresse tutte le pratiche
per i primi acquisti, risoluto a passare alle espropriazioni per necessità di salute
pubblica … Invece compiuti i primi acquisti e diffusasi la voce che il Comune
faceva sul serio, piovvero le offerte di cessione delle case, casette e casucce che
componevano il “pittoresco” rione maleodorante e malfamato che deve lasciare il posto ad un quartiere moderno. Se certe demolizioni apparvero affrettate,
bisogna dire che esse erano necessarie per esercitare una benefica influenza
sullo spirito pubblico. Solo la vista degli assiti e i colpi del piccone e il rovinio
dei muri decrepiti e il trasporto dei rottami potevano erudire gli indotti o
persuadere gli increduli. Quelle demolizioni sono in pieno movimento. Dopo
un primo settore (sul quale si apriva un largo, ma sul quale giungerà pure una
parte dell’edificio che occuperà la vecchia piazzetta di San Giacomo, in continuazione del segmento che comincia con la sede del Banco di Roma) si
procederà alla demolizione del secondo settore fra via delle Beccherie, via
Riborgo e via del Volto: è l’area sulla quale, nella primavera prossima, si
inizierà la costruzione della Casa del Fascio10.
In breve si procedeva a chiudere anche la questione dei “Piani particolareggiati”:
quando, nella scorsa estate [1934], fu approvato dalle Autorità superiori il
Popolo d’Italia, 4 ottobre 1933). Cfr. G. FABRE, Il contratto: Mussolini editore di Hitler [la traduzione italiana
del “Mein Kampf”/”La mia battaglia”, 1934 e la “questione ebraica” in Italia?], Bari, 2004, p. 97. Ma tant’è: la
presenza di Cobolli Gigli si rivelò poi preziosa per Salem.
10 “Le opere pubbliche dell’anno XII … Il Piano regolatore”, in Il Popolo di Trieste, 28 ottobre 1934, p. 4.
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F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
Piano regolatore della nostra città, il Comune ebbe contemporaneo invito a
presentare al Ministero dei Lavori Pubblici per l’approvazione, i “Piani particolareggiati” riguardanti le zone da assanare o sistemare (Cittavecchia; via
Carducci-corso Garibaldi; via Coroneo). Quei Piani particolareggiati furono
immediatamente presentati al competente Ministero ed ora hanno avuta definitiva approvazione con Regio Decreto già reso pubblico. Con ciò viene facilitata la esecuzione del Piano regolatore rendendo più rapidi e spicciativi gli
acquisti, eventualmente le espropriazioni, per l’apertura o formazione delle
nuove strade o per le nuove costruzioni, secondo le disposizioni della Legge 25
giugno 1865 n.2359 [“Disciplina delle espropriazioni forzate per causa di
pubblica utilità”]11.
Infatti
la pubblicazione del Regio Decreto sui Piani particolareggiati è venuta in buon
punto a rassicurare quei pochi dubbiosi che pensavano certi sventramenti
rimandati o abbandonati. Nessuna parte del programma quinquennale di
risanamento e sistemazione è stata abbandonata dal Comune: sarà regolato
l’innesto della via Carducci nel corso Garibaldi; sarà sistemato l’ultimo tratto
di via Coroneo; sarà attuato il nuovo Corso e risanato il resto del rione di
Cittavecchia12.
L’iter complessivo necessitava ancora delle ultime approvazioni, come l’importante conversione in Legge del Decreto, e dunque toccava all’onorevole
triestino Cobolli-Gigli di “Illustrare alla Camera dei Deputati il Piano regolatore
di Trieste” nel dicembre del 1934:
già il Partito Nazionale [italiano] a Trieste, impossessatosi del Comune dopo il
1861, ebbe cura di porre allo studio un Piano regolatore della città. Gli inizi
sono del 1878. Una prima attuazione è in alcuni parziali sventramenti di
Cittavecchia, nel nuovo allineamento del Corso, nella sistemazione della via
Carducci … nella costruzione delle due gallerie di Montuzzo e San Vito …
Propugnatore e tenace realizzatore di queste opere fu Felice Venezian, degno
capo del Partito Nazionale di Trieste … Poi lo studio del Piano regolatore
venne ripreso nel 1925, nel 1933 venne presentato al Ministero dei Lavori
Pubblici e nel 1934 trovava la sua definizione nel Decreto che oggi viene
proposto per la conversione in Legge13.
11 “I Piani particolareggiati per Cittavecchia, corso Garibaldi e via Coroneo [approvati]”, in Il Popolo di
Trieste, 27 novembre 1934, p.4.
12 “Dove opera il piccone. Le demolizioni in corso”, in Il Popolo di Trieste, 28 novembre 1934, p. 2.
13 “L’on. Cobolli-Gigli illustra alla Camera dei Deputati il Piano regolatore di Trieste”, in Il Popolo di
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
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Importante per il Relatore il fatto che
il Comune non ha presentato un semplice progetto di massima, ma bensì il
risultato di studi che, essendo partiti dal dettaglio e riportati poi nel quadro
d’insieme, attuano in pieno il concetto del coordinamento che è alla base di
ogni opera regolatrice nel campo tecnico come in quello specifico dell’Urbanistica. Infatti, alla presentazione del Piano generale ha fatto seguito quella dei
Piani particolareggiati riguardanti tre zone: 1. quella del colle di San Giusto, la
cosiddetta “Cittavecchia”; 2. Quella fra la via Carducci e piazza Garibaldi; 3.
Quella del Foro Ulpiano fra via Fabio Severo e via Coroneo. I punti fondamentali del Piano regolatore di Trieste sono: 1. La bonifica e il risanamento del
vecchio abitato; 2. La creazione di strade principali che colleghino i nuovi
nuclei abitati col vecchio centro urbano14.
Interessante anche la previsione della copertura finanziaria, che si doveva
parte allo Stato e parte al Comune:
dal piano finanziario allegato alla presentazione dei Piani particolareggiati si
ricavano i dati della spesa totale e quella parte di essa che rimane a carico del
Comune di Trieste, che vi è precisata in circa 60 milioni. Per il finanziamento
è già stato predisposto un piano e il Decreto Legge contempla una serie di
provvidenze di natura fiscale che riflette gli espropri e quant’altro a riguardo
alle demolizioni e alle costruzioni dei nuovi fabbricati. Come negli altri Piani
regolatori delle principali città d’Italia lo Stato è, in questo campo, largo di
favori onde facilitare il compimento.
Era evidente come lo Strumento programmatorio si avvicinasse davvero,
almeno nella sua scansione gerarchica, ad un “Piano Regolatore Generale”. E il
fondamento restava il fatto che
la cubatura dei fabbricati di demolizione … subirà un aumento nelle ricostruzioni di circa il 22% ... Le strade … subiranno una diminuzione in ml, ma con
un raddoppio della loro area totale preesistente … con strade superiori per
larghezza a 10 metri … Da questi dati che si ripetono nelle proporzioni in altre
zone della città da bonificare, appare chiaramente il fondamento primo del
Piano regolatore che è quello di aver dato completa attuazione ai concetti
recentemente e universalmente affermatisi nel campo dell’Urbanistica. Ma
non solo le basi strettamente tecniche sono razionali. È pure studiata l’esecuTrieste, 11 dicembre 1934, p. 2.
14 Nel 1925 Grassi aveva elaborato il “Piano particolareggiato per le zone di Cittavecchia e quelle ad essa
adiacenti” e nel 1932 il “Piano di sventramento” per la stessa zona.
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F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
zione rapida dell’opera importante … che per merito del Comune è già iniziata.
Così nel nuovo clima i progetti vengono rapidamente attuati … .
Effettivamente, però, l’«esecuzione rapida dell’opera importante … che per
merito del Comune è già iniziata», aveva preso avvio da anni nonostante mancasse l’autorizzazione ministeriale. Si era trattato di operazione però, chirurgiche, visto che le previsioni del 1925 erano state poi variate nel 1929 e, quindi,
sempre da parte di Grassi, nel 1931-193215 (che era la versione poi presentata al
Ministero nel 1933) e finalmente approvata nel 1934:
Grassi redige allora un nuovo Piano, mirato in primo luogo al ridisegno delle
aree di insediamento, all’aumento delle superfici fabbricabili e delle relative
volumetrie. Quattro elementi lo caratterizzano: la soppressione [rispetto al
progetto iniziale] della nuova via parallela all’odierno corso Italia; la scomparsa dei portici [originariamente previsti] lungo il corso Impero allargato a 20
metri; la nuova piazza Malta (oggi largo Riborgo) verso il Corso e via Filzi,
creata per consentire un più agevole collegamento tra la Città vecchia e quella
nuova; stessa finalità attribuita alla prosecuzione di via Roma fino alla nuova e
ampliata piazza Vecchia. A queste indicazioni si aggiungono: una nuova sistemazione monumentale del piazzale di San Giusto e il restauro delle aree
archeologiche prossime alla Cattedrale16.
Ovviamente la parte più rilevante era costituita dagli abbattimenti previsti
in Cittavecchia:
la nuova versione approvata dal podestà Salem il 23 dicembre 1933 insieme al
“Piano regolatore di ampliamento” si estende su 37,56 ettari, interessa 562
edifici e 18.069 abitanti [di Cittavecchia], per circa 10.000 dei quali si propone
di trovare nuovi alloggi nei rioni periferici17.
15
C. CESARI, “Il Piano regolatore, lo sventramento di Cittavecchia e sistemazione del colle di San
Giusto”, in Rivista mensile della città di Trieste, 10, ottobre, 1932, p. 337-345; P. GRASSI, “Progetto di
sventramento di Cittavecchia e sistemazione del colle di San Giusto, in Rivista mensile della città di Trieste, 10,
ottobre, 1932, p. 340.
16 A. MARIN, “Progetto di sventramento di Cittavecchia e sistemazione del colle di San Giusto”, in
Trieste. Guida all’Architettura (1918-1954) …, cit., p.117-118. Anche: Idem, “Piani urbanistici per Trieste
(1872-2001)”, in Dalla città moderna alla città contemporanea. Piani e progetti per Trieste, a cura di P. Di Biagi e
V. Fasoli, Udine, 2002; Idem, “Progetti, città, identità: spazi urbani e ideologie nazionali a Trieste”, in Acta
Histriae, 20, 2012, p.615-630. Per il “Piano Grassi” del 1934 prima anche la breve segnalazione di E. GODOLI,
Trieste. Le città nella Storia d’Italia, Bari, 1984, p.188-189 (“Il Piano regolatore del 1934”) e p.185-188 (“il Piano
regolatore del 1925”); G. DELISE e C.N.TROVATO, “Piano e amministrazione: il Piano regolatore generale
di Trieste [1934]”, in Storia Urbana (Milano), 51, aprile-giugno, 1990, p.155-187.
17 A. MARIN, “Progetto di sventramento di Cittavecchia e sistemazione del colle di San Giusto” …, cit.
I dati quantitativi erano in: “Il rinnovamento della città. Il programma delle opere pubbliche”, in Rivista mensile
della città di Trieste, 12, dicembre, 1933, p. 269.
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
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Trieste, la città romana e la città fascista: Piero Sticotti, tracciato delle strade romane su una carta
degli anni Venti (da Godoli, p. 10)
L’approvazione aveva anticipato di qualche giorno – evidentemente avendone avuto una ‘soffiata – il primo via libera del Ministero dei Lavori Pubblici
dei primi di gennaio del 1934, ma, soprattutto, vi era stata nel dicembre 1933 una
importante visita del Podestà a Palazzo Venezia a Roma, ricevuto da Mussolini:
al Capo del Governo egli presenta il nuovo programma amministrativo imperniato su un vasto programma di opere pubbliche. Estrema rilevanza viene
assegnata al rinnovamento del centro cittadino, la zona di Cittavecchia. Poi tra
le opere illustrate dal Podestà-finanziere e inserite nel nuovo Piano regolatore,
in corso di approvazione, c’è la nuova Casa del Fascio, che dovrà sorgere di
fronte al Teatro romano, quest’ultimo da recuperare nelle sue forme originarie. L’incontro segna una svolta. Lo stesso Duce attribuisce al Piano il significato di un ‘colpo di spugna’ rispetto al passato .., rispondendo al disegno di
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F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
costruzione del nuovo volta fascista della città. Una nuova strada taglierà il
quartiere: è la nuova ‘via triumphalis’, sui cui si affacceranno il nuovo “foro”, le
vestigia dell’antico Teatro romano e la nuova Casa del Fascio … distruggendo
la “piccola e modesta” Trieste medievale18,
peraltro in loco rimpianta da pochi.
Dunque continuità del Piano o sua novità? Ovviamente la Propaganda del
momento aveva tutto l’interesse a celebrare la ‘novità’ mussoliniana e anche
l’operato di Salem19. Ma la Critica attuale resta comunque non concorde nell’interpretazione20. Le cose appaiono vere entrambe, a secondo dei vari ‘tagli’ di
lettura: ma sembra, però, che le generali previsioni di Grassi, opportunamente
aggiornate già nel 1931-1932, venissero ‘innervate’ da una volontà di individuazione di nodi urbani che si aggiungono a quelli previsti nelle “Vedute” di Camillo
Jona che già dal 1932 puntualizzavano il ‘vecchio’ Piano. Ora, ovviamente, erano
i nuovi ‘fulcri celebrativi’ a fare la differenza e se anche non cambiavano le
direttive ‘tecniche’ di coordinamento, i Piani particolareggiati avrebbero ‘fatto
la differenza’. Probabilmente per tutto ciò serviva ‘qualcuno’ di più ‘importante’
di Grassi e Jona …
Ad ogni modo, le demolizioni ufficiali per Cittavecchia ebbero avvio nel
luglio del 1934, anche se l’operazione era già partita, pur lentamente, anni prima.
Per quanto riguardava le espansioni, invece, Grassi “che rappresentava
anche personalmente la continuità tra la vecchia amministrazione austriaca e
quella italiana … (essendo in servizio presso il Comune dal 1908)”, se nelle
previsioni per Cittavecchia riprendeva spunti già presenti nel “Piano Lorenzutti”
del 1880 (pur mai approvato dal Consiglio Comunale), per il “Progetto di
ampliamento” della città elaborava, invece, una
innovazione … nel modo di trattare quelli che egli considera i due principali
compiti del Piano: “il completamento organico della rete stradale e la vagliata
distribuzione delle masse edificate”[21]… La “Relazione” del Piano antepone
il disegno della rete stradale a ogni altra considerazione … Questa maglia si
18 P. NICOLOSO, “Architetture per la città fascista (1933-1939). Dicembre 1933: un ‘colpo di spugna’
sul passato” in Trieste (1918-1954) …, cit., p. 47.
19 Alessandro NICOTERA, “L’approvazione del Duce ad un vasto piano di opere pubbliche a Trieste”,
in Il Popolo d’Italia (Milano), 9 gennaio 1934, p. 3.
20 MARIN, “Piani regolatori per una ‘più grande Trieste’” …, in Trieste (1918-1954) …, cit., p. 35, in cui
si sottolinea “la sostanziale continuità di queste vicende” pianificatorie (e prima, sulla stessa linea, anche
DELISE e TROVATO, “Piano e amministrazione” …, cit.). Contra: NICOLOSO, “Architetture per la città
fascista (1933-1939) …”, cit., p. 47.
21 P. GRASSI, “Piano Regolatore della città di Trieste”, in Atti del Primo Congresso Internazionale degli
Ingegneri delle Tre Venezie, Trieste, 1933, p. 262.
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
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struttura su una relazione tra un sistema di assi concentrici … e un grande asse
Nord Ovest-Sud Est che attraversa la città sulla direttrice Monfalcone-TriesteIstria … identificandosi con la Strada Costiera … entra in città attraverso le vie
Ghega e Carducci, sventra il tessuto urbano sette e ottocentesco … una galleria
le consente di superare il colle San Giacomo … e si sovrappone in pratica al
tracciato di via dell’Istria … A ciò si aggiunge la suddivisione in zone dell’edificato urbano: dedotte dai piani di settore [Piani particolareggiati] le aree per
le funzioni produttive e portuali e individuate le aree verdi, la zonizzazione si
basa sulle densità e sulle tipologie abitative consentite … Fortemente ridimensionato dagli Uffici Centrali di Roma nel 1929 … modificato e riproposto nel
1933 … viene poi approvato nel 1934 … Nel complesso l’articolazione e i punti
qualificanti non vengono modificati, anche se Grassi rimarca di averlo rivisto,
improntandolo a criteri “di maggiore economia e di maggiore equilibrio fra le
esigenze della praticità e della estetica”[22] 23.
Dunque, il giudizio sul “Piano Grassi” risulta a sua volta complesso:
l’impostazione del Piano, elaborato tra gli anni Venti e gli anni Trenta da
Grassi non è innovativa. Anzi, i criteri enunciati quali base del suo disegno
quasi fanno pensare ad un piano ottocentesco … Del Funzionalismo che
caratterizza nello stesso periodo molti Piani urbanistici … non si trova traccia24.
Letture solo in parte condivisibili, non tanto in riferimento alla redazione
del 1925 quanto nei confronti di quella del 1931-1933 (poi approvata nel 1934).
Certo “i temi riferiti all’igiene [e in particolare alle previsioni per il nucleo storico
di Cittavecchia] e all’edilizia cittadina … rievocano un modo di pensare …
[tipico] dell’Ingegneria sanitaria … tra Otto e Novecento”25, ma niente di strano
o ‘attardato’ nella prassi pianificatoria italiana dei primi anni Trenta, quando
proprio allora il «Gruppo dei G.U.R», (non a caso favoriti da Gustavo Giovannoni e Marcello Piacentini) o gli «Urbanisti milanesi» e la rivista Urbanistica a
Torino, puntavano a modificare la prassi disciplinare corrente.
Quello di Grassi si poneva, piuttosto, come un Piano ‘di mediazione’, che
accoglieva le istanze progettuali ormai ritenute disciplinariamente ‘tradizionali’
(senza ‘aggiornarle’). Si pensi solo al rifiuto delle riflessioni giovannoniane. Ma
22
GRASSI, “Piano Regolatore della città di Trieste”, cit., 1933, p. 260.
A. MARIN, “Paolo Grassi, Piano regolatore della città di Trieste (1924-1934)” in Trieste (1918-1954)
…, cit., p. 110-113.
24 MARIN, “Piani regolatori per ‘una più grande Trieste’” in Trieste (1918-1954) …, cit., p. 35-36.
25 Ibid.
23
366
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
si pensi anche alla netta posizione anti-giovannoniana e anti-«diradamento» di
Piacentini al proposito (che infatti si lanciava contro il «feticismo de Pittoresco»
pur espressa molto ‘tardi’26). Grassi non dimentica, poi, “il riconoscimento di
alcuni settori urbani funzionalmente caratterizzati” anche se “frutto di progetti
e di decisioni precedenti o prese in altra sede”, forse anche suggeriti dalla
“tradizione triestina di pensare la città come un sistema di parti che vanno
addizionandosi”27. In definitiva, però, è la prassi dello Zoning che non gli è
affatto estranea, come dimostra non solo la “proposta di sei differenti tipi di zone
residenziali … con la Zona A … Zona B … Zona C … Zona C2 … Zona D … e
Zona D2” ciascuna caratterizzata da diverse densità e tipologie edilizie, ma
anche il caso dell’area industriale di Zaule e delle sue previsioni ‘interne’.
Forse, allora, è la ‘sensibilità’ di Camillo Jona, che porta Paolo Grassi ad
articolare il suo dettato affermando nel 1933 di aver “rivisto il Piano del 1925”,
improntandolo a criteri “di maggiore economia e di maggiore equilibrio fra le
esigenze della praticità e della estetica”28. E proprio Jona sa prendere posizioni
molto ferme in relazione a piazza Oberdan, tirando la ‘volata’ all’incarico di
supervisione poi affidato al romano Mario De Renzi; e sempre Jona non a caso
elabora quelle “Prospettive grafiche urbane” puntuali, ad effetto, di accompagnamento al Piano del 1933. Cioè, in perfetto stile di … “Disegno della città” che
sembra fare anche del Piano di Trieste un ‘Piano estetico piacentiniano’. Del
resto sull’”Estetica” del Piano insisteva più volte lo stesso Grassi nel 1933:
Trieste è una città bella … non nel dettaglio interno … È però una città
panoramica, con un paesaggio incantevole … tanto che ha qualità spiccate per
essere anche meta del turismo … [e il Piano dunque mira che] sia anche, oggi
e sempre, intonata all’incantevole paesaggio che la circonda29.
E che potevano sembrare ‘automatiche’ scelte igienistiche di un piano tardo
ottocentesco in gran parte attardato, sembrano dissolversi di fronte ai fini del
Piano e tutta va letto, allora, sotto una luce diversa, che è poi quella della
“bellezza” e anche del “decoro”.
26 M. PIACENTINI, “Vecchio e Nuovo. Il diradamento e risanamento dei vecchi quartieri urbani” in
Scena illustrata (Roma), 10, ottobre, 1941, pp. 5-6. La polemica era stata resa pubblica a proposito di Spalato
nel 1941 (si veda il mio: F. CANALI, “Architettura del Moderno nella Dalmazia italiana (1922-1942). Parte
seconda: Il Palazzo di Diocleziano di Spalato: dai problemi sull’ambientamento dei nuovi Monumenti celebrativi (1929) alle previsioni dell’Accademia d’Italia (1941-1943)”, in Quaderni CRSR. Quaderni del Centro di
Ricerche Storiche di Rovigno, XIX, 2008, p. 133-138: “5. Gustavo Giovannoni contro Marcello Piacentini …
Restauro versus Disegno della Città”), ma l’opposizione Piacentini-Giovannoni sulla metodologia d’intervento
durava da molto tempo.
27 MARIN, “Piani regolatori per ‘una più grande Trieste’” in Trieste (1918-1954) …, cit., p. 35-36.
28 GRASSI, “Piano Regolatore della città di Trieste”, cit., 1933, p. 260.
29 Ibid.
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
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Un’estetica di Paesaggio, ma anche una estetica ‘di luoghi urbani’ moderni.
La trasposizione insomma di quelle concezione sulle quali ‘vigila’ e che ‘ispira’
Marcello Piacentini, il ‘nume tutelare’ di buona parte delle scelte architettoniche
e monumentali (fin nei piloni di piazza dell’Unità!) della nuova Trieste celebrativa …
1.1. Il “Piano particolareggiato per Cittavecchia”: le demolizioni e le polemiche sul
“colore locale” e sul “pittoresco” contrari alla Modernità
Uno dei punti nodali del nuovo Piano era quello di riprendere e riorganizzare tutte le iniziative che fin dal “Piano Lorenzutti” del 187930 erano state volte
alla demolizioni dei “malsani” quartieri di Cittavecchia:
la “Relazione” che accompagna il Progetto di Legge sul Piano regolatore di
Trieste alla Camera dei Deputati mette in rilievo soprattutto la parte del Piano
che riguarda la demolizione di Cittavecchia e la loda. Fino a pochi anni fa,
quando si parlava di buttare in aria Cittavecchia (e il “Popolo di Trieste” si
vanta di essere stato tra i più strenui sostenitori dell’opera) per risanare tutta
questa zona della città, da molte parti si era gridato contro i nuovi vandali che
volevano distruggere il “pittoresco”, il “caratteristico” e si era insorti in nome
dell’integrità del “colore locale”. Nelle varie peregrinazioni da noi fatte in
numerose città italiane abbiamo potuto constatare che dovunque esiste la
categoria dei protettori del “colore locale”. Ma dobbiamo anche constatare che
dovunque “colore locale” equivale a vecchio, muffito, cadente e … maleodorante. [E ciò] persino a Roma … Non deve dunque meravigliare se anche a
Trieste si erano avuti di questi odiatori delle novità e appassionati delle cose
vecchie, trepidanti per la sorte delle catapecchie di Cittavecchia31.
Interessante notare come non si fosse diffusa presso la Redazione del
Popolo di Trieste, alcuna attenzione verso il ‘tessuto urbano storico’; un’attenzione quale ad esempio Gustavo Giovannoni predicava ormai da qualche decennio.
30 Già nella “Relazione” di accompagnamento al “Piano”, Lorenzutti sottolineava “i molti difetti che
presenta la città vecchia in linea stradale e in linea igienica … non permisero di procedere con mano timida
nello svolgimento del progetto … E così a Trieste tutta questa parte … deve cogli anni sparire completamente
per dar luogo ad un nuovo aggruppamento”: Verbali del Consiglio della città di Trieste, seduta del 23 aprile 1880
(in G. Delise e C.N. Trovato, “Piano e amministrazione: il Piano regolatore generale di Trieste [1934]”, in
Storia Urbana (Milano), 51, aprile-giugno, 1990, p. 160-161).
31 “Il Piano regolatore: il “colore locale” … e la salute”, in Il Popolo di Trieste, 22 novembre 1934, p. 4.
Si veda da ultimo anche D. DE ROSA, C. ERNÈ e M. TABOR, Memorie di pietra. Il Ghetto ebraico, la Città
vecchia e il piccone risanatore. Trieste, 1934-1938, Trieste, 2011.
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Ma la linea era, piuttosto, quella degli “Ingegneri igienisti”32, come, del resto,
suggeriva la Cultura di Grassi, ma anche quella di Cobolli Gigli (entrambi
lontani, ad esempio, dalle riflessioni di Gustavo Giovannoni, ma anche di Camillo Sitte, anche se Grassi si era laureato in Austria. Ma ignoranza o volontà?
Forse più … volontà!). Infatti:
si sarebbe potuta scusare questa passione se Cittavecchia fosse stata composta
di palazzi storici o di case recanti vestigia d’arte; ma c’è il caso di arrischiare un
patrimonio in sommesse che non si possono trovare in Cittavecchia né palazzi
storici né monumenti artistici. Si sono demolite già un paio di decine di case:
non s’è trovato che un frammento di capitello romano. Ora si sta demolendo
un gruppo di oltre trenta edifici, ciascuno più sordido del proprio vicino, e
situati tutti su vicoli senz’aria e senza luce, umidi e maleodoranti. Basta recarsi
a vedere i ruderi delle case abbattute per sentire quanto salutare sia stato il
provvedimento podestarile che le ha dannate al piccone.
L’igiene prima di tutto, in linea, dunque, con la più ‘pura’ “Ingegneria
igienistica” fine de siècle:
anche se per inconcessa ipotesi, questi edifici contenessero autentiche opere
d’arte, la misura che mira a sostituire un rione sano, soleggiato, luminoso, ad
un rione infetto, non sarebbe meno lodevole. Trasformando Cittavecchia in
città nuova, il Comune compie veramente un’opera di bonifica edilizia, sanitaria ed umana, per il quale il momento che noi viviamo rimarrà memorabile
nella storia triestina.
E poi una valutazione eminentemente politica (e identitaria) della Storia
della Città e delle sue vestigia:
ciò che noi dobbiamo conservare, per ragioni di natura civile e politica, sono
soltanto gli avanzi romani; ma questi sono pochi, facilmente scopribili e isolabili. Né turberanno o impediranno il rimanente della bonifica, gli avanzi …
degli avanzi di quello che fu un teatro, gli avanzi dell’Arco di Traiano, gli avanzi
degli edifici capitolini, cioè un breve tratto di terreno tra il nuovo Corso e la
nuova via Donota, un angolo di terreno nei pressi di Santa Maria Maggiore, un
breve tratto di terreno tra la rocca e San Giusto. Tutto il resto di Cittavecchia
può essere rinnovato da cima a fondo per risanare la zona materialmente e
moralmente. E che il cosiddetto “pittoresco” e il cosiddetto “colore locale” si
rassegnino ad essere trascurati in omaggio all’igiene, all’aria e alla bellezza,
32 G. ZUCCONI, “La cultura igienista nella formazione dell’Urbanista”, in Urbanistica (Roma), 86, 1987.
E soprattutto: Idem, La città contesa. Dagli Ingegneri sanitari agli Urbanisti (1885-1942), Milano, 1988.
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come il Duce stesso ha proclamato – or è un mese – dando il primo colpo di
piccone per l’abbattimento dei vecchi stabili attorno al mausoleo di Augusto (a
Roma).
Dopo l’approvazione anche dei “Piani particolareggiati” connessi al nuovo
Piano regolatore33, tra i quali anche il “Piano particolareggiato per Cittavecchia”, il Popolo di Trieste evidenziava come
un Regio Decreto riconosce quei Piani particolareggiati corrispondenti [al
Piano] e ne autorizza l’applicazione in base alle disposizioni della Legge sulle
espropriazioni forzose del 1865 [Legge 25 giugno 1865 n. 2359]. A dire il vero
finora di espropriazioni forzose non si ebbe alcuna notizia: tutte le case finora
demolite furono acquistate dal Comune mediante diretta e regolare trattativa
e non ci giunse alcun appunto circa le condizioni di vendita finora realizzate …
E per le stime … non si può variare oltre i limiti fissati dalla Legge … Dopo la
sparizione delle case su corso Vittorio Emanuele III; dopo le demolizioni di via
Riborgo e di via delle Beccherie, ora comincia a tornare il sole sul gruppo di
case che costituiva il nucleo del vecchio Ghetto. Da via Beccherie, la demolizione di alcune case in piazza delle Scuole Israelitiche ha sciorinato dinanzi agli
occhi dei passanti un quadretto nuovo. Ora le demolizioni fra la scuola “Felice
Venezian” e via delle Beccherie prenderanno un’andatura più rapida, talché,
fra poche settimane, tutte quelle casupole saranno atterrate. Sta sparendo pure
l’ex Tempio israelitico e tutte le case che fiancheggiano le vie dell’Altana e dei
Vitelli34.
Non si poteva non notare con rammarico che
finora non fu rinvenuto nessun avanzo storico, né romano né medievale, salvo
(si dice) una cassettina con monete austriache recentissime, trovate nascoste
33 “I Piani particolareggiati per Cittavecchia, corso Garibaldi e via Coroneo [approvati]”, in Il Popolo di
Trieste, 27 novembre 1934, p.4.
34 “Dove opera il piccone. Le demolizioni in corso”, in Il Popolo di Trieste, 28 novembre 1934, p. 2.
Rispetto alla radicalità del ‘modello triestino’ si pensi invece, sempre tra le città dell’Adriatico Orientale, alle
‘cautele’ (anche se lontane da un’ottica conservativa) del “Piano per Cittavecchia” rivisto, pur a suo tempo
tanto criticato, adottato a Fiume (ma la Soprintendenza ai Monumenti vi aveva avuto una forte voce in
capitolo). Si vedano da ultimo i miei: F. CANALI, “Nuovi Piani Regolatori di “città italiane” dell’Adriatico
orientale: Pola, Fiume, Zara e Spalato (1922-1942)”, in Firenze, Primitivismo e Italianità. Problemi dello “Stile
nazionale” tra Italia e Oltremare (1861-1961), da Giuseppe Poggi e Cesare Spighi alla Mostra di F.L.Wright, a cura
di F. Canali e V.C. Galati, in Bollettino della Società di Studi Fiorentini, 21, 2012, p. 162-204; Idem, “Nuovi Piani
Regolatori di “città italiane” dell’Adriatico Orientale (1922-1943). Parte seconda: Fiume, “città olocausta ...
sentinella italiana avanzata sull’altra sponda dell’Adriatico”. Il “Piano Regolatore Edilizio di Massima”
(PREM) e le sue varianti per Cittavecchia, nucleo di “interesse storico e urbanistico ... testimone dell’Italianità
di Fiume”. L’applicazione della teoria del ‘Diradamento’ di Gustavo Giovannoni, il sopralluogo di Enrico Del
Debbio, le consulenze di Marcello Piacentini e i giudizi di Vincenzo Civico e di Alberto Alpago Novello”, in
Quaderni del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno d’Istria, XXV, 2014, p. 255-306
370
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
nel Tempio israelitico e … (si dice) scomparsa a sua volta subito dopo essere
venuta alla luce.
Il programma delle demolizioni restava comunque intenso:
dopo le demolizioni delle case sul Corso e sul lato destro della via Riborgo pare
si procederà alla demolizioni tra via Muda vecchia e via Malcanton; ma nulla
si sa di preciso sull’ordine di precedenza delle demolizioni. Si faranno – dicono
– quelle che devono essere fatte perché poi, sulle aree sgomberate, possano
essere iniziate le costruzioni nuove. Per il 1935 sono già preannunciate (oltre
la Casa del Fascio) altre due o tre importanti costruzioni sulle aree sgomberate.
L’antico “colore” andava insomma sostituito con un ‘nuovo colore’:
pittori e disegnatori si vedono spesso – dinanzi alle nuove inattese prospettive
o dinanzi a caratteristici scorci di vecchi nauseabondi tratti del vecchio rione –
consegnare nelle loro cartelle la memoria di quel “cosiddetto pittoresco” che
il piccone sta abbattendo o non tarderà a farlo. Ciò fa supporre che non vi sarà
angolo di Cittavecchia che non avrà la sua illustrazione pittorica destinata a
dimostrare, nell’avvenire, quanto santa sia stata la deliberazione di farlo sparire per sempre.
A tirare lucidamente le fila del programma era però l’onorevole triestino
Cobolli-Gigli nel suo discorso di presentazione – come Relatore – della conversione in Legge del Decreto del maggio presso la Camera dei Deputati:
tra i punti fondamentali del Piano regolatore di Trieste vi è la bonifica e il
risanamento del vecchio abitato … Mi sia consentito di dare qualche dato su
Cittavecchia. Questo agglomerato di case antigienico e urbanisticamente sotto
ogni critica, rappresentò una delle più pure tradizioni storiche della fede dei
Triestini. Sia perché Cittavecchia era sorta sul colle di San Giusto, ove Roma
aveva costruito templi, strade, mercati, sia perché nel tormentato Medio Evo
essa aveva rappresentato l’aggregato ove le passioni avevano dato esca alle
lotte più violente, sia perché nelle ultime battaglie di difesa dell’Italianità aveva
manifestazione di alata e fervida tonalità al suo sentimento patriottico, i
Triestini lo hanno considerato prima un baluardo inespugnabile della loro
fede, ora l’espressione non solamente materiale della loro tormentata storia.
Distruggere questo chiaro simbolo del passato è un atto di coraggio e di forza35.
35
“L’on. Cobolli-Gigli illustra alla Camera dei Deputati il Piano regolatore di Trieste”, in Il Popolo di
Trieste, 11 dicembre 1934, p.2. Il discorso di Cobolli-Gigli risulta estremamente interessante per noi anche dal
punto di vista storiografico-critico: Cittavecchia era il fulcro dell’Italianità triestina eppure veniva comunque
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
Paolo Grassi, Piano regolatore di Trieste, 1934 (redazione 1931-1932)
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372
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
La risposta era il fatto che “il Fascismo è l’erede e il sicuro custode di tutte
le tradizioni e di tutte le glorie”. Scopo restava quello
che con l’esecuzione del nuovo Piano regolatore sarà data completa luce a
quanto rimane delle più importanti costruzioni romane e medievali. Il Piano
particolareggiato riflettente Cittavecchia contempla un’area totale di 77.905
mq di cui attualmente 67.149 e cioè l’80% è occupata da edifici e 10.756 mq e
cioè il 20% è occupata da strade. A risanamento totalmente compiuto l’area di
ricostruzione si ridurrà a 38.968 mq e cioè il 50% dell’area totale attualmente
occupata da edifici da demolirsi e l’area occupata da nuove strade sarà portata
a 28.528 mq e cioè 2.80 volte tanto quelle preesistenti, 10.819 mq resteranno
coperti dai resti del Teatro romano e dal parco da costruirsi e dagli edifici che
non verranno demoliti. Interessanti sono i seguenti dati: la cubatura dei fabbricati di demolizione in 610.000 mc subirà un aumento nelle ricostruzioni di circa
il 22%, prevedendosi l’edificazione di 770.000 mc di fabbricati. Le strade,
attualmente con uno sviluppo totale di 3385 ml, subiranno una diminuzione a
ml 1738 con un raddoppio della loro area totale preesistente. Per quanto
riguarda le strade, mentre dei 3385 ml esistenti vi sono 2523 sotto i 5 ml di
larghezza, su 1738 ml vi saranno 1347 ml di strade superiori per larghezza a 10
metri, prima tra esse il Corso del Littorio con 20 ml di larghezza.
Quindi “nel centro del nuovo quartiere urbano, di fronte ai resti del Teatro
romano, sorgerà la nuova Casa del Fascio; alcuni gruppi di case saranno edificati
per iniziativa degli istituti assicurativi della città e di altri Enti e di Privati”.
1.2. “Il nuovo sistema di viabilità”: un Piano ‘igienista’, ‘funzionalista’ … o frutto di
un ‘Disegno urbano funzionalizzato’?
Ancora l’onorevole triestino Cobolli-Gigli nel suo discorso di presentazione
– come Relatore – della conversione del Decreto del maggio in Legge presso la
Camera dei Deputati, sottolineava che
altro punto fondamentale del Piano regolatore di Trieste è quello di dotare la
città di alcune strade a largo respiro e senza limitazione al traffico. Il sistema
delle radiali dalle rive, atto a collegare rapidamente il porto con il cuore della
demolita … (se fosse stato abitata soprattutto da Sloveni l’opera sarebbe sicuramente valutata oggi dalla
Storiografia come un esempio di “Urbanistica nazionalistica” volta alla ‘snazionalizzazione urbana’. A ribadire
non l’erroneità intrinseca, ma la cautela – che va necessariamente supportata da fonti – nell’adozione delle
diverse categorie valutative ex post).
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
373
città, fino a spingersi faticosamente su per i colli, è integrato nella rete stradale
da alcune arterie fondamentali, collettrici. La via Carducci e in parte via Roma
e via Dante Alighieri hanno questa funzione. Le due ultime strade attraversano
il Canale e sboccano nel corso Vittorio Emanuele, arteria più frequentata della
città. Ma sia la via Carducci che le altre ricordate hanno attualmente fine, la
prima in una strozzatura, le seconde contro la lunga parete, senza sbocchi, del
corso Vittorio Emanuele, che divide nettamente Città vecchia dalla Città
nuova. Il nuovo sistema di viabilità, con il prolungamento di via Carducci-corso
Garibaldi, apre un nuovo vasto polmone in senso longitudinale, utile al traffico
di transito per città. La seconda arteria attraverso il nuovo quartiere alle falde
del Colle San Giusto, sarà intitolata al Littorio e costituirà uno sfogo attraverso
al centro quasi parallelo a quello delle rive tra la Stazione centrale e quella di
Campo Marzio36.
Era l’esplicitazione politica dei dettati tecnici del “Piano Grassi” che faceva
della sistemazione della viabilità uno dei propri fulcri di intervento.
2. Un lustro … fino al 1934 nell’’era Pitacco’. Problemi aperti, speranze
e prospettive aspettando il Piano … e la sua approvazione (1930-1934)
Il nuovo Piano regolatore veniva atteso, nella sua redazione finale, come
una sorta di panacea di tutti i problemi cittadini, ma facendo attenzione a non
avanzare aspettative eccessive con il rischio che si rivelassero fallimentari se non
addirittura dannose (restava vivo “il ricordo degli errori del Piano regolatore di
Firenze”37, che era quello di Giuseppe Poggi). Era ormai dal 1930 che se ne
parlava insistentemente e ormai non vi era sessione comunale che non mettesse
al centro dell’attenzione le aspettative del Piano38. Nel 1933 era stato presentata
la versione definitiva agli Organi ministeriali e si attendeva il responso.
Nell’attesa il podestà Giorgio Pitacco39 riconfermava il vecchio gotha dell’in36 “L’on. Cobolli-Gigli illustra alla Camera dei Deputati il Piano regolatore di Trieste”, in Il Popolo di
Trieste, 11 dicembre 1934, p. 2. Anche “Il Canal grande e la viabilità”, in Il Popolo di Trieste, 8 febbraio 1934,
p.3.
37 “Il problema del lavoro. Affrettare l’approvazione del Piano Regolatore”, in Il Popolo di Trieste, 16
marzo 1932, p.4.
38 “La vita del Comune. Il Piano regolatore”, in Il Popolo di Trieste, 20 marzo 1930, p.5.
39 Il piranese Giorgio Pitacco (1866-1945), laureato nel 1890 in Giurisprudenza all’Università di Graz,
Segretario generale, poi anche Vicepresidente della “Lega nazionale” (1892-1912), fu Consigliere comunale a
Trieste e poi Deputato per le fila del Partito Nazionale Liberale al Parlamento austriaco (dal 1905 al 1907 e
poi dal 1909 al 1914) dove si batté per i diritti degli Italiani di Trieste, della Venezia Giulia, Istria e Dalmazia.
Nel 1914 fu cofondatore dell’”Associazione fra gli Italiani irredenti” e nel 1915 si trasferì in Italia compiendo
accese battaglie per l’intervento contro l’Austria. Con Cesare Battisti e Attilio Hortis portò al Re alla vigilia
374
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
tellighenzia professionale cittadina e nella nuova “Commissione edilizia” del
1932 richiamava “Umberto Nordio, il Soprintendente e l’arch. Berlam (membri
entrambi delle vecchie Commissioni)”40.
Le pratiche dovevano essere espletate con velocità poiché “è interesse del
Comune di approvare velocemente il “Regolamento edile” per poter ottenere
poi dal Ministro l’approvazione del Piano Regolatore”41.
E ancora non era stata risolta la serie dei problemi di modernizzazione che
si era ben profilata: “Trieste ha molti problemi da risolvere: canalizzazione,
sventramento, costruzione di scuole, pavimentazione di vie, costruzione di linee
tramviarie, aumento di case economiche, diffusione di reti di energia elettrica,
gas e acqua”42.
Il problema dell’approvazione del Piano era sempre di grande rilievo, ma la
realtà era che si procedeva comunque all’adozione delle previsioni contenute
nella versione del Piano del 1925-1926 e nei successivi aggiornamenti di esso
(configurando così un ‘Piano operativo’ anche se non approvato dal Governo):
questo Piano regolatore ha subito lunghi ritardi, ma non già per il suo insieme
bensì per singole e limitatissime parti. Ciò significa che, fatta eccezione per le
parti più soggette a discussione, tutto il resto del Piano debba considerarsi
approvato … e per questo potrebbe anche venir eseguito, nelle parti che
riguardano il Comune, come per esempio le strade … E se al Comune mancano
i fondi, non gli manca però il credito43.
Le aspettative erano tali che nel 1933 ormai si dubitava che il Piano fosse
stato davvero presentato al Ministero dei Lavori Pubblici. Ma, soprattutto, si era
disposti ad accettare qualsiasi prescrizione pur di poter procedere:
il Piano regolatore inviato recentemente a Roma (almeno c’è chi giura che è
stato inviato) sarà difficilmente il Piano definitivo, perché si dà raramente il
caso che un Piano del genere incontri unanime approvazione. Perciò si dovrebdella Guerra l’omaggio degli Irredenti: venne espulso dal Consiglio imperiale asburgico e, accusato di alto
tradimento, ebbe i suoi beni confiscati. Arruolatosi volontario nell’Esercito Italiano, fu addetto ai servizi politici
e, alla fine delle ostilità, svolse missioni diplomatiche in Francia, in Gran Bretagna e negli USA. Dopo aver
aderito al Fascismo, che nel 1923 lo volle Senatore, fu Sindaco (dal 1922 al 1928), e poi Podestà di Trieste (dal
1928 al settembre 1933). Nel dicembre 1938 fu nominato Ministro di Stato. Suoi scritti: G. PITACCO, IL
travaglio dell’italianità di Trieste, Roma, 1917; Idem con M. RAVAL, Le regioni devastate d’Italia (Congresso di
Londra, 27 giugno – 1 luglio 1921), Venezia, 1921; G. PITACCO, La passione adriatica nei ricordi di un irredento,
Bologna, 1928.
40 “La nuova ‘Commissione Edilizia’ costituita dal Podestà”, in Il Popolo di Trieste, 17 marzo 1932, p. 4.
41 “Una seduta della Consulta Municipale presieduta dal Podestà, sen. Pitacco”, in Il Popolo di Trieste,
13 maggio 1932, p. 4.
42 “I molti problemi di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 22 febbrario 1931, p. 4.
43 “Necessità di lavori pubblici”, in Il Popolo di Trieste, 19 febbraio 1932, p. 4.
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
375
be stabilire di accettare qualunque modifica piaccia al Consiglio Superiore dei
Lavori Pubblici purché definitivo44.
Ancora qualche mese e il traguardo sarebbe stato, finalmente raggiunto …
Nel frattempo si operava, con previsioni specifiche, come se il nuovo strumento
urbanistico, adeguatamente aggiornato, fosse operativo. Come nel caso delle
previsioni per il Verde, uno degli aspetti fondamentali nella moderna Disciplina
urbanistica:
anche a Trieste, per la speculazione edilizia, è scomparsa la villa Murat col suo
splendido parco … e al suo posto è sorta la Pilatura del Riso al Campo Marzio
… E se il Comune possiede una fascia quasi ininterrotta di terreni a verde che
… da Zaule va circondando la città fino a Barcola … purtroppo nel centro della
città, di superficie a verde ne abbiamo poca … anche per colpa della passate
Amministrazioni che la lasciarono alla città le superfici a verde che le spettavano … Nel Piano regolatore, molto opportunamente, si è cercato di correggere i predetti errori intercalando parecchia superficie a verde in modo da fornire
la città di sufficienti polmoni. Anche le aiuole adiacenti al parco della Rimembranza saranno estese, in modo che i piedi del castello, andando da Nord a
Ovest, sorgerà un parco di vaste dimensioni che lambirà i caseggiati di Cittavecchia. Così sarà accontentato anche il lettore che desiderava veder trasformata Cittavecchia in un giardino45.
Due, alla fine del 1933, i ‘passi decisivi’ per la successiva approvazione del
Piano e per l’organizzazione cittadina.
Nel novembre l’”ing. Giuseppe Cobolli Gigli, insieme al dott. Aldo Cavani
venivano nominati Vice-Podestà di Trieste”. La nomina giungeva a Cobolli Gigli
dopo che si era verificato un “Cambio della Guardia al Comune”46 e al podestà
Giorgio Pitacco succedeva, appunto, Enrico Paolo Salem, inaugurando un nuovo corso, molto più ‘energico’, di conduzione della vita pubblica.
E poco prima, tra gli ultimissimi atti della ‘Giunta Pitacco’, c’era stata
l’adozione del nuovo “Regolamento edilizio comunale”:
Trieste ha finalmente un “Regolamento edilizio” che completa il “Regolamento d’Igiene” e disciplina la costruzione e ricostruzione della città … Ve ne era
44 “Un passo innanzi verso lo sventramento di Cittavecchia”, in Il Popolo di Trieste, 7 settembre 1933, p.
3. Poi ancora: “I giardini di Triste. Il nuovo parco di Cologna”, in ivi, 16 febbraio 1934, p.3; “Villa Giulia nuovo
parco cittadino”, in ivi, 19 aprile 1934, p. 4.
45 Ing. Giuseppe TURRE, “Necessità del Verde”, in Il Popolo di Trieste, (prima del 5) ottobre 1933, p. 3.
46 “Cambio della guardia al Comune. Il nuovo podestà Enrico Paolo Salem”, in Il Popolo di Trieste, 21
ottobre 1933, p. 2.
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F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
uno del 1875 e uno del 1888 … e quello proposto nel 1925 non ottenne
l’approvazione della Direzione Generale dell’Edilizia del Ministero dei Lavori
Pubblici. Restituito al Comune con alcuni suggerimenti e variazioni esso fu
rielaborato e ripresentato il 18 marzo … e ottenne l’approvazione del Ministero in data 16 agosto 1933. Esso entrerà in vigore il 1° novembre (e sarà
pubblicato dal Comune in un opuscolo) … [Tra le varie indicazioni si può
notare] il cap. IV art. 33 dove si affronta il problema dell’altezza massima degli
edifici e del numero massimo dei piani. La città è divisa in 5 zone (la 6° è
costituita dalle aree al di fuori). La “Zona A” comprende il centro urbano, da
via Tor San Pietro alle falde della collina di Gretta, di Scorcola, di Cologna …
fino a via Giulio Cesare. Le case non devono essere alte più di m.10 e 2 piani
nelle vie larghe fino a 5 m; con 3 piani e m.14 nelle vie larghe da 7 a 10 m; con
5 piani e m.22 nelle vie larghe da 10 a 13 m; con 6 piani e m.26 nelle vie larghe
oltre 13 m. La “Zona B” comprende le aree del suburbio e in queste zone nelle
vie larghe fino a 7 m le case possono avere 10 m di altezza e 2 piani; m.14 e 3
piani in quelle larghe da 7 a 10 m; m 18 e 4 piani in quelle larghe da 10 a 13 m;
5 piani e m.22 di altezza in quelle larghe 13 m. La “Zona C” è destinata a case
isolate o gruppi isolati con altezze di 18 m e 4 piani in parte e 14 m e 3 piani in
altre. La “Zona D” è destinata a ville e villini (altezza massima 14 m con 3 piani.
La “Zona E” è destinata ad industrie. Per le “Zone esterne” – eccettuati i
versanti costieri di Grignano e Miramare dove si possono costruire soltanto
villini o casette con giardino – le costruzioni non possono avere un’altezza
superiore a 10 m (e 2 piani) nelle vie inferiori a 7 m, e in quelle superiori a 7 m,
3 piani47.
2.1. La popolazione triestina: la ricerca di un difficile equilibrio
La disciplina urbanistica contemporanea poneva ormai, dalla fine dell’Ottocento, al centro delle proprie analisi in vista di una corretta programmazione,
l’andamento demografico delle città e dei territori comunali, quale parametro.
Su quel parametro si profilavano analisi pregressi, previsioni per il futuro,
andamenti in fieri e tutta una serie di considerazioni: specie in una visione come
quella fascista che indicava nel ‘numero’ la potenza di uno Stato. In più, l’’Urbanistica nazionalista’, che si era andata di pari passo affermando con la formazione
degli ‘Stati nazionali’ incentrati, almeno in Europa, sul concetto dell’omogeneità
o perlomeno della maggioranza etnica, aveva come altro, proprio parametro
47 “Il Regolamento Edilizio di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 13 ottobre 1933, p.1. Poi “Il Regolamento
Edilizio di Trieste”, in ivi, 17 novembre 1933, p.2.
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
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programmatorio primario quello dell’aumento della popolazione, ma nell’ambito dell’etnia nazionale, facendo in modo di innescare una serie di dinamiche
sociali tali da migliorare la condizione, e la rilevanza, del gruppo di riferimento
egemone. Non si trattava di uno slogan, ma di una finalità scientemente perseguita, che, oltretutto, faceva propri i caratteri più evoluti ed efficaci della Disciplina stessa (come la Statistica divenuta anch’essa Scienza ‘politica’). Il principio
diventava particolarmente importante proprio nelle “Terre di confine” in cui
gruppi linguistici ed etnici diversi si confrontavano, dando così luogo a scelte di
programmazione che rendevano la stessa Urbanistica una ‘Scienza di disciplina
sociale e politica’. Trieste, a questo proposito, si rivelava per lo Stato italiano, e
dunque per i Tecnici e Politici locali, un laboratorio di estremo interesse, proprio
nel suo passaggio da città imperiale cosmopolita a “città emblema dell’Italianità”, come la Propaganda non finiva di celebrare.
Dopo la prima Guerra Mondiale e negli anni successivi la popolazione
triestina subiva una serie di oscillazioni numeriche dovute alla nuova situazione
politico-economica venutasi a creare, dando luogo da un lato a fenomeni di
Urbanesimo (cioè di concentrazione urbana di genti che spopolavano la campagna), dall’altra ad una variazione del ‘quoziente etnico’ che interessava i vari
gruppi linguistici insediati, con la repentina sparizione di alcuni di quei gruppi
‘tradizionali’ (i Tedeschi, i Magiari), il forte ridimensionamento di altri (gli
Sloveni), l’enorme aumento degli Italiani; ma tutto ciò senza che si verificassero
né importanti aumenti di popolazione, né esodi e rimpiazzi sostanziali di abitanti. Almeno così sembrano testimoniare concordemente le fonti … (ma il dibattito è ancora oggi ‘aperto’). Eppure la Pianificazione urbanistica triestina continuava a mantenere tra i propri obiettivi primari quello dell’‘Urbanistica etnica’
e il controllo dell’Urbanesimo48.
Al Piano regolatore dopo il 1934 veniva demandato il compito di coordinare
tali obiettivi, prendendo atto di una serie di “necessità” che rendevano il Piano
stesso più ‘ideologico’ che realista, se non per quegli aspetti di trend demografico
indotto.
2.1.1. Una questione dei numeri: il difficile equilibrio tra espansione e antiurbanesimo
Pierpaolo Luzzato Fegiz, Professore di Statistica appartenente ad un’agiata
famiglia della borghesia triestina di decisi sentimenti filoitaliani, analizzava la
48 Addirittura:
4.
Cesare CORUZZI, “Urbanesimo e sterilità”, in Il Popolo di Trieste, 22 febbraio 1934, p.
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F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
situazione demografica della città, mettendola in relazione al fabbisogno abitativo. Un tema che avrebbe costituito uno dei punti di partenza per l’espansione
abitativa prevista nel nuovo Piano regolatore:
mentre tra il 1758 e il 1921 la popolazione di Trieste si moltiplicava per 22, il
numero degli edifici diventava soltanto 8 volte maggiore … esiste dunque una
crisi degli alloggi .. che rispetto al 1914 … è più connessa al numero delle
famiglie che a quello degli abitanti … essendo la popolazione al 1928 pressappoco uguale a quella del 1914 … I dati dimostrano la necessità che il Comune
e lo Stato continuino a praticare una politica di costruzioni edilizie economiche49.
Era il primo effetto – quello delle previsioni abitative e dell’avvio di un
preciso programma di costruzioni – dell’analisi dell’andamento della popolazione urbana negli ultimi decenni. Il trend complessivo, tra il 1914 e il 1928 appariva
dunque all’incirca stabile (senza cioè né sostanziosi arrivi, né importanti partenze di genti nonostante i rivolgimenti politici avvenuti, né le morti per la Guerra),
ma, annualmente, si verificava, però, un saldo negativo che finiva per incidere
sulle previsioni, tanto che “le cifre rettificate al 31 dicembre 1921 [fanno riferimento] a 231.077 abitanti”50. Un saldo negativo per la città che era legato non a
‘migrazioni’ o spostamenti, quanto agli effetti della crisi economica, come si
diceva da più parti. E l’aumento anche solo di poche centinaia di abitanti veniva
dunque segnalato come un trend positivo …
Interessante, in prospettiva, l’analisi della “distribuzione” della popolazione:
la popolazione è andata aumentando anche nel 1930 [anche se si trattava di
poche centinaia] … Il Comune di Trieste, che non conta che 95 kmq, è diviso
in 12 rioni o distretti della città e del suburbio, e 2 distretti di campagna
(nell’altipiano del Carso) … L’eccedenza delle nascite si presenta proporzionalmente maggiore nei rioni suburbani e in quelli di campagna. Il proletariato
operaio e campagnolo continua a dare il maggiore incremento alle nascite. Nei
6 rioni urbani ha prevalenza l’elemento borghese: a Trieste non esiste un’aristocrazia storica o un ceto comunque di carattere aristocratico … In città, i
rioni di Cittanuova, Barriera nuova, Barriera vecchia hanno presenze di ele-
49 P. LUZZATO FEGIZ, “La popolazione di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 15 gennaio 1930, p. 4 ripreso
come “La deficienza di case a Trieste in rapporto alla crescita della popolazione”, in ivi del 16 gennaio 1932,
p. 5.
50 “Come cresce Trieste [in popolazione]”, in Il Popolo di Trieste, 18 aprile 1930, p. 5. Con sguardo
retrospettivo: “Com’e cresciuta Trieste: da 58.000 a 257.000 abitanti in cento anni”, in ivi, 9 gennaio 1931, p. 4.
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
379
Paolo Grassi, Piano regolatore di Trieste, piano particolareggiato per Cittavecchia e San Giusto,
1928
mento borghese; Cittavecchia e San Vito sono popolate di borghesia e proletariato; San Giacomo da quasi solo proletariato operaio. Dei 6 rioni suburbani,
Roiano e Farneto contano popolazione borghese e proletariato operaio e
campagnolo; Barcola, borghesia e proletariato campagnolo; San Giovanni,
Servola e Sant’Anna proletariato operaio e rurale … Anche l’Altipiano, che
non gode certamente di una grande fortuna economica, ha dato il suo contributo alle nascite … E Farneto è il più popolato dei rioni suburbani51.
Dunque una città borghese e proletaria, ma senza aristocrazia. Ed era chiaro
dove si dovesse rivolgere la politica abitativa del nuovo Piano regolatore: alla
costruzione di case operaie e popolari, soprattutto. Però, all’insegna di un
andamento demografico che, quando non stabile, si mostrava sostanzialmente
negativo nella realtà: “a dicembre 1931 la popolazione presente a Trieste era di
51 “La distribuzione della popolazione di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 23 gennaio 1931, p. 4. Si veda
ora per la situazione precedente alla Prima Guerra Mondiale: M. CATTARUZZA, La formazione del
proletariato urbano: immigrati, operai di mestiere, donne a Trieste dalla meta del secolo 19. alla Prima Guerra
Mondiale, Torino 1979.
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F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
250.157 unità; a gennaio 1932 era scesa a 249.938 … Ciò fu a causa dei morti”52.
Il problema della progressiva diminuzione non era di facile, perché si
auspicava un aumento ‘sano’ delle forze della città (cioè degli occupati e dei
Triestini), ma si cercava in tutti i modi di “frenare l’urbanesimo”, visto che nel
1930, nei soli primi due mesi, erano “immigrati in città ben 1000 persone”53 prive,
però, di una loro specifica occupazione (ecco da dove veniva l’iniziale ottimismo
dell’inversione del trend).
Nel 1931 si teneva anche a Trieste il “Censimento nazionale” e dunque le
attese erano piene di trepidazione: “il “Censimento” dovrebbe provare che
Trieste non è soltanto in stasi demografica ma addirittura in regresso? Vedremo
… Fino al 1921 la città crebbe: con 227.652 abitanti nel 1910 e 231.077 nel 1921
… anche se l’aumento della popolazione fra il 1910 e il 1921 apparisce scarso”.
Dopo il Censimento i dati non si erano però mostrati confortanti nel breve
periodo (mentre rispetto al 1921 si era giunti comunque ad un +4,4%54, poco più
di 10.000 abitanti in più, certamente però dovuti all’urbanesimo) per quanto
riguardava i Triestini (che erano ora 250.170); ma ancora “nel gennaio del 1932
la città chiudeva con un deciso passivo”55 demografico, facendo intravedere
l’ineluttabilità di un andamento negativo che sarebbe stato ‘ufficializzato’ nel
nuovo “Censimento del 1936”. Paolo Grassi nella sua ultima versione di Piano
elaborata nel 1933 conteggiava in ”676.113”56 gli abitanti previsti per Trieste,
come possibile scenario demografico favorito del nuovo strumento programmatorio. La realtà era ben diversa, a dir poco lontanissima da quelle rosee previsioni
(2.7 volte in meno …), ma tutto ciò non mutava la prospettiva costruttiva
auspicata da Luzzato Fegiz all’interno del nuovo Piano regolatore, anche se negli
52 “La
popolazione triestina e le ragioni di una diminuzione”, in Il Popolo di Trieste, 5 marzo 1932, p. 4.
frenare l’urbanesimo. I Decreti prefettizi”, in Il Popolo di Trieste, 19 marzo 1930, p. 5. E prima:
“Come cresce Trieste”, in ivi, 18 marzo 1930, p.5: “726 abitanti in più in due mesi, ma l’Urbanesimo è stato
opportunamente frenato”.
54 Nel “Censimento del 1 dicembre 1921”, il primo di Trieste italiana, la città, con i suoi 238.655 abitanti
si poneva addirittura al nono posto come popolazione rispetto a tutte le città del Regno (aveva più abitanti di
Bologna e pochi meno di Firenze): Ministero dell’Economia Nazionale, Direzione Generale della Statistica,
Risultati sommari del Censimento della popolazione eseguito il 1° dicembre 1921, Vol.III, “Venezia Giulia”,
Roma, 1925. Considerando i residenti nella loro totalità si arrivava a 239.558 abitanti. Il “Censimento del 31
aprile 1931 vedeva una popolazione complessiva di Trieste pari a 250.170 abitanti con un aumento di +4.4
rispetto ai 239.558 del 1921; mentre il “Censimento del 31 aprile 1936”, avrebbe presentato 248.379 residenti
(con una flessione rispetto al 1931 di -0.7% sui complessivi 250.170 abitanti del 1931). Cfr. ISTAT, VII°
Censimento della popolazione italiana [21 aprile 1931], Roma, 1932: vol. “Provincia di Trieste”; Idem, VIII°
Censimento della popolazione italiana [21 aprile 1936], Roma, 1937: vol. “Provincia di Trieste”).
55 “Il bilancio demografico nazionale: Torino, Trieste, Livorno e Brescia chiudono in passivo al 1°
gennaio 1932”, in Il Popolo di Trieste, 31 marzo 1932, p. 1.
56 Il dato è riportato in A. MARIN, “Piani regolatori per ‘una più grande Trieste’”, in Trieste (1918-1954)
…, cit., p. 35.
53 “Per
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
381
anni si sarebbe mostrato in generale un “Aumento delle abitazioni come vani
disponibili”57 (indice anche questo del decremento demografico).
2.1.2. Per una Trieste italiana, la ‘ricetta Cobolli Gigli’: la politica di allontanamento
degli abitanti “allotri” (Sloveni) e la ‘sfuggevolezza’ della ‘duttilità etnica’
Di grande rilevanza, nelle previsioni che stavano alla base del nuovo Piano
regolatore di Trieste, era la valutazione del ‘quoziente etnico’, cioè della rilevanza numerica che interessava i vari gruppi linguistici insediati in città. Un aspetto
molto importante per una città che ambiva ad essere emblema dell’“Italianità”
per tutto l’Adriatico orientale e per previsioni programmatorie che miravano ad
aumentare il numero di residenti italiani rispetto agli “allotri” (cioè i “parlanti”
non Italiano e, in particolare, i membri della Comunità slovena). Il punto di
partenza era il “Censimento asburgico del 1910”58 che vedeva in città complessivamente 229.000 abitanti dei quali circa 52% (51,8%) di Italiani (118.959) e cioè
1 abitante su 2; e ben quasi 57.000 Sloveni, pari ad un nutrito gruppo del 24%
(circa 1 su 4 abitanti). Ovviamente la Politica fascista, rispetto agli Sloveni e altri
gruppi etnici che popolavano Trieste (Tedeschi, Ungheresi, Ebrei, Croati, Serbi,
Armeni … ma tutti numericamente ridotti), mirava ad un ‘compattamento’
italiano, che faceva riferimento sul nucleo di Cittavecchia e sui quartieri setteottocenteschi (dove erano giunti nell’ultimo secolo soprattutto popolazioni
istriane dai territorio dell’ex Repubblica veneta tanto che la ‘ladina’ Trieste era
divenuta città ‘venetofona’), mentre la popolazione slovena si concentrava soprattutto nei quartieri periferici, come avveniva nel rapporto tra Venetofoni e
Slavi (Croati) in tutte le città della riva orientale dell’Adriatico (Pola, Fiume,
Zara, Sebenico, Traù, Spalato, Cattaro). Gli Sloveni non erano però solo abitanti
del contado, delle periferie e dell’Altopiano, ma ormai una attiva e dinamica
‘borghesia slovena’ si era fatta strada nella vita cittadina con propri giornali,
centri di incontro, etc. … insomma si trattava di una Comunità ricca e ben
radicata (che aveva peraltro costruito la propria Narodni Dom/Casa della Cultura incendiata dai Fascisti nel 1920). Rispetto al “Censimento del 1910”59 la
57 “Aumento
delle abitazioni (come vani disponibili)”, in Il Popolo di Trieste, 15 febbraio 1931, p. 4.
Sull’analisi dei dati anche per la realtà istriana: I. DE FRANCESCHI, “Le nazionalità in Istria negli
ultimi quattro ‘Censimenti austriaci’”, in Il Popolo di Trieste, 10 gennaio 1931, p. 5.
59 Secondo il “Censimento del 1910”, nel Comune di Trieste, su 229.510 abitanti, 56.916 erano Sloveni
(24,84%). In città, su 160.998 abitanti, 20.358 erano Sloveni (12,64%); nei suburbi, su 59.547 abitanti, 28.359
erano Sloveni (47,62%); sull’Altipiano, su 8.970 abitanti, 8.199 erano Sloveni (91,40%). Interessante la
distribuzione secondo i rioni storici del suburbio, dove si concentravano gli Sloveni, che costituivano meno del
58
382
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situazione era però cambiata fin dal 1921 – almeno ufficialmente – ma le percentuali reali rispetto a quelle auspicate dai Dirigenti locali del PNF dovevano
risultare ancora non ‘omogenee’ nel “Censimento segreto” del 1936, aggiornato
nel 193960.
50% della popolazione in Chiadino (17,60%), Chiarbola (22,93%), Gretta (46,27%), Rozzol (37,91%), Santa
Maria Maddalena superiore (49,47%) e Scorcola (38,54%). Poco oltre la metà della popolazione era in quattro
rioni storici: Cologna (53,21%), Guardiella (57,92%), Roiano (64,88%) e Servola (59,77%), mentre a Barcola
(73,71%) e Santa Maria Maddalena inferiore (75,77%). Superava anche l’Altipiano per la percentuale di
popolazione slovena il rione storico di Longera (addirittura 94,28%). Tra il 1900 e il 1910 pare si fosse verificata
una massiccia immigrazione di Sloveni a Trieste (ben oltre 14.000) per le offerte lavorative fornite dalle
industrie e dal porto (per cui, in verità, il fluttuare della popolazione era continuo; ma si trattava di Urbanesimo
…): ovviamente la città era allora nella complessiva economia slovena un centro nevralgico e propulsivo, come
dimostrava una agiata imprenditoria. Nel 1910 gli Sloveni avevano raggiunto il 12,6% nel centro urbano (dove
nel 1880 erano invece il 3,8%), il 31,5% nei sobborghi (dove nel 1880 erano il 21,9%) ed il 91,4% sull’Altopiano
(dove nel 1880 erano l’89,9%). Questi sono i dati ufficiali a nostra disposizione oggi: ma quel “Censimento del
1910” venne subito accusato di essere stato “manipolato” e addirittura a Trieste si scatenarono proteste sui
risultati (cfr. Il Confine Mobile. Atlante storico dell’Alto Adriatico, 1866-1992 [Austria, Croazia, Italia, Slovenia],
Mariano del Friuli, 1995). Nel 1921 il primo “Censimento” di Trieste italiana condotto dal governo dell’Italia
liberale, mostrava a Trieste in riferimento alla “lingua parlata” (tav.4) – anche se il dato non corrisponde certo
alla Nazionalità – una “popolazione di parlanti Sloveno di 18.150 abitanti … rispetto a 202.382 parlanti Italiano
… con una percentuale del 7.6% … rispetto all’84.8% dei parlanti Italiano e al 7.59% di Stranieri”. Nel
“Censimento” veniva tentata anche una comparazione con i dati del “Censimento austriaco del 1910” e rispetto
ad una flessione complessiva della popolazione della Venezia Giulia (-3%), Trieste, in controtendenza,
mostrava addirittura un +4% (da 229.510 abitanti a 238.655). Non veniva fornita ovviamente la Nazionalità
dei soggetti di quelle trasformazioni (in tutta la Venezia Giulia – 28.538 abitanti e non certo -105.000 secondo
le fonti jugoslave, anche se Gorizia da sola aveva perso ben il -9.5 della popolazione. Niente rispetto a Pola:
-22,2%, ma il perché si capisce facilmente trattandosi dell’ex porto militare dell’Impero) o di quegli aumenti
(Trieste +4% pari a 9145 abitanti); di certo si trattò di numeri contenuti e non sembra, dunque, si siano
verificati veri e proprio esodi di popolazione, tenuto conto che vi era stata la Grande Guerra di mezzo. (Cfr.
Ministero dell’Economia Nazionale, Direzione Generale della Statistica, Risultati sommari del Censimento
della popolazione eseguito il 1° dicembre 1921, Vol.III, “Venezia Giulia”, Roma, 1925). Che non vi fossero stati
esodi tra il 1910 e il 1921 dalla Venezia Giulia e da Trieste in particolare, sembra ancora più evidente
confrontando il dato degli Sloveni triestini del 1910 (56.916 cioè il 24,84% della popolazione), con quello del
1921 (parlanti Sloveno conteggiati in 18.150 abitanti pari al 7.6% con una perdita di -38.150 parlanti dichiarati
rispetto al 1910), mentre gli Italiani erano saliti da 118.959 a 202.382 (passando cioè, in percentuale, dal 51,8%
all’84,8% con un incremento che inglobava anche i Tedeschi e i Magiari dichiaratisi ormai italianizzati). La
città era aumentata in numero di abitanti, ma non vi era stata certamente una enorme immissione di Italiani
come in altre realtà successive (si pensi solo ai 20.000 abitanti Italiani portati a Bolzano o in Libia nel giro di
pochi anni o ai quasi 100.000 in Africa Orientale Italiana). Molto più semplicemente: circa 38.000 Triestini
sloveni avevano ‘cambiato’ “lingua parlata” nel “Censimento”, com’è facile in una situazione di poliglossia. Nel
“Censimento del 31 aprile 1931” e nel “Censimento del 31 aprile 1936”, non si compiva un rilevamento per
gruppi linguistici, per cui il dato ufficiale sugli Sloveni nel Comune di Trieste risulta inesistente per quegli anni
(cfr. ISTAT, VII° Censimento della popolazione italiana [21 aprile 1931], Roma, 1932: vol. “Provincia di
Trieste”; Idem, VIII° Censimento della popolazione italiana [21 aprile 1936], Roma, 1937: vol. “Provincia di
Trieste”). La “Comunità” si era dunque ufficialmente ridotta, dopo l’incendio doloso del Narodni Dom, già
nel 1921, ma avrebbe continuato a costituire un ‘utile’ bersaglio politico per il “Fascismo di confine”, che
necessitava sempre di un “nemico” da combattere.
60 F. KRASNA e A. MATTOSSI, Il ’Censimento riservato’ del 1939 sulla popolazione alloglotta della
Venezia Giulia, Trieste, 1998. Dopo il “Censimento del 1931” e il “Censimento del 1936” che, non contemplando le minoranze linguistiche (etniche), non fornivano alcun dato, nel 1939 veniva condotto un “Censimento
riservato”, effettuato dai Segretari e dagli impiegati comunali sulla base della diretta conoscenza delle famiglie
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La posizione di Giuseppe Cobolli Gigli al proposito, ancora ai primi anni
Trenta, era assai rigida (nonostante venisse considerato un ‘moderato’), e sulla
rivista milanese Gerarchia, diretta da Benito Mussolini e divenuta pulpito delle
iniziative politiche del Regime, il Gerarca tristino metteva in evidenza come
scopo della Podesteria e della Segreteria dei Fasci fosse quella dell’”allontanamento degli allotri” dalla città61 per aumentare il numero della componente
italiana. Naturalmente Cobolli Gigli, come Segretario del Fascio triestino prima
e poi Deputato nazionale, figurava come il ‘portavoce’ di una tale posizione delle
Istituzioni giuliane: in quella ‘finalità etnica’, egli poteva contare su intellettuali
e giornalisti, del Piccolo di Trieste e del Popolo di Trieste, che diffondevano presso
l’Opinione pubblica triestina e giuliana la ‘ricetta Cobolli Gigli’ e le sue radicali
ragioni62.
delle città e delle zone rurali, che rivelava una presenza proporzionale comunque alta di Sloveni rispetto alla
decisa maggioranza della popolazione italiana, ma si trattava di un dato ‘d’ufficio’, restato riservato, che
pubblicamente non poteva innescare alcuna politica urbana. Cfr. S. VOLK, Esuli a Trieste. “Bonifica nazionale”
e rafforzamento dell’Italianità sul confine orientale, Udine, 2004; P. PURINI, Metamorfosi etniche. I cambiamenti
di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria (1914-1975), Udine, 2010.
61 G. COBOLLI GIGLI, “Il Fascismo e gli Allogeni”, in Gerarchia (Milano), settembre, 1927, p.
803-806: secondo il Segretario del Fascio triestino, nella Venezia Giulia le popolazioni “allogene” (slave)
dovevano essere sostituite da Coloni italiani provenienti da altre Province del Regno. L’analisi storiografica si
è molto approfondita in questi ultimi decenni al proposito, anche se il riflesso di quella politica sulle ‘scelte
‘urbane’ (e urbanistiche) ha costituito un corollario letto più in chiave di risultanze (considerate ovvie), che di
realtà indagata: L’imperialismo italiano e la Jugoslavia, Atti del Convegno italo-jugoslavo (Ancona, 1977), a
cura di M. Pacetti, Urbino, 1981; P. PAROVEL, L’identità cancellata, Trieste, 1985; E. APIH, Trieste, Bari,
1988, p.129 e segg.; M. KACIN WOHINZ e J. PIRJEVEC, Storia degli Sloveni in Italia (1866-1998), Venezia,
1998. Ma sul fenomeno dell’identità etnica (declinato poi come “pulizia etnica”) quale valore nazionale diffuso
in tutta Europa e non ‘specifico’ né italiano né giuliano: A. BELL-FIALKOFF, Ethnic Cleansing, HoundmillsLondra, 1996; H. HAAS, “Ethnische Homogenisierung under Zwang. Typen und Verlaufsmodelle”, in
Beitraege zur Historischen Sozialkunde, 4, 1996, p.152-159; N. NAIMARK, “Das Problem der ethnischen
Saeuberungen im modernen Europa”, in Zeitschrift fuer Ostmitteleuropaforschung, 48, 1999, p.317-349; R.
WOERSDOERFER, Krisenherd Adria (1915-1955). Konstruktion und Artikulation des Nationalen im italienisch-jugoslawischen Grenzraum, Muenster-Paderborn (D), 2004 (traduz. italiana: Il confine orientale: Italia e
Jugoslavia dal 1915 al 1955, Bologna, 2009).
62 Sulle polemiche si possono vedere, ad esempio: F. CAVALLOTTI, Noi e gli Slavi, Gorizia, 1927; L.
RAGUSIN RIGHI, Interessi e problemi adriatici, Bologna, 1929 (Ragusin, che scriveva anche per la rivista Italia
oltre che per Il Piccolo di Trieste, sosteneva che il “problema slavo era nato … dalla cancrena austriaca”); “Le
minoranze alloglotte in Italia e il calunnioso articolo di una olandese”, in Il Piccolo di Trieste, 18 febbraio 1930.
Ma addirittura inserendosi nelle lotte nazionalistiche tra gli stessi Jugoslavi (Serbi e Croati in particolare): P.
PIETRI, “Tentativi di imitazione fascista in Jugoslavia”, in Gerarchia (Milano), 10, settembre, 1932, p. 830-834.
Va ricordato che specie il 1934 si mostrava come un momento di forte tensione tra il Nazionalismo serbo e
quello croato; e la stampa italiana non mancava, ovviamente, di darne notizia e di ‘soffiare sul fuoco’ (ma anche
Albert Einstein si occupava della sorte di un professore di Zagabria perseguitato dai Serbi: “La politica
culturale serba in Croazia” (per creare la Panserbia), in Il Corriere Padano (Ferrara), 11 luglio 1934, p.4. Ciò
avrebbe portato di lì a poco all’avvicinamento tra i movimenti nazionalisti croati (Ustascia) e l’Italia fascista
fino alla “grande amicizia italo-croata” dei primi anni Quaranta. Nel 1934 i Nazionalisti croati assassinarono
re Alessandro I di Jugoslavia e anche il ministro francese Jean Louis Barthou: di un coinvolgimento “con atti
rilevanti” venne poi accusato, dopo la Guerra, anche il deputato triestino Fulvio Suvich (in A. MILLO, “Fra
Trieste, Roma e Washington. Note su Fulvio Suvich …” in Italogramma, 4, 2012, p. 414-415 (in http://italo-
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Il problema, a livello regionale, era molto complesso e riguardava certamente le popolazioni slave (nelle province di Trieste, Gorizia e Udine gli Sloveni; in
quelle di Pola, Fiume e Zara i Croati); anche se restava aperto il dibattito sui
‘Friulani udinesi’63.
Per Trieste, già negli anni Venti una tale polemica era montata e ancora nel
1931 si parlava, senza mezzi termini, di “Bonifica etnica” e di come “Fu risanata
Guardiella [dagli slavi]”, ponendo un preciso parallelo tra la ‘Bonifica edilizia’
di Cittavecchia e la “Bonifica etnica”, e ricordando come “già nel 1918 gli slavi
si fossero allontanati”64 dal rione di Guardiella. Nella politica di espansione della
città verso i colli, per l’ottenimento di un’efficace ‘Urbanistica nazionalista’
risultava comunque fondamentale l’allontanamento della Comunità slovena
(almeno della sua parte attiva) e, dunque, si procedeva in primis alla continuazione sistematica della politica della chiusura delle scuole slovene, avviata dopo
il 1923, e di tutti i centri gestiti dalla Comunità.
Infatti
tra i criteri fondamentali del nuovo programma … per l’estensione dei servizi
… bisogna far giungere fino alle più lontane località della periferia i servizi
comunali … … attraverso le Case [del Fascio] per le istituzioni fasciste … Il
Comune sa di essere un centro propulsore di Italianità e spinge lungo il mare
e su per le valli la sua azione tentacolare con le Case dei Balilla e i Ricreatori65.
Analogamente, un tentativo, spesso però privo di efficacia per italianizzare
sempre più la città, era quello dell’italianizzazione dei cognomi presenti. La
campagna di ‘convinzione’ sarebbe stata massiccia, ma – esattamente come nelle
gramma.elte.hu consultato nel maggio 2015). Per parte jugoslava e la questione della minoranza “superstite”
in Italia dopo un “massiccio esodo” che sarebbe avvenuto dopo la Prima guerra mondiale, invece: L.
CERMELJ, Life and Death Struggle of a National Minority (The Yugoslavs in Italy), Lubiana, 1936 (“esodo” che
viene in gran parte ancora oggi sottinteso dalla Storiografia slovena). Da ultimo, sulla questione: M. BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia (1922-1939), Bari, 2006; L. MONZALI, L’Italia, la questione jugoslava e
l’Europa centrale (1918-1941), Firenze, 2010. I dati restano ‘sfuggenti’ e troppo condizionati dalla Politica:
quello però che interessa per le previsioni urbane e urbanistiche in riferimento agli anni Trenta non è tanto
come stesse la realtà effettiva dei fatti, ma come dati o volontà precise venissero assunte a ‘orientamento’ delle
scelte insediative (facendo in ciò più ‘contare’ la Propaganda della Realtà).
63 “Dialetti e lingue ai confini d’Italia”, in Il Popolo di Trieste, 21 febbraio 1932, p.4. La discussione era
stata di nuovo sollevata da ultimo sul Bollettino di Statistica Nazionale riguardo al problema se, nella Venezia
Giulia, includere tra gli Italiani anche i parlanti Friulano, da intendersi come una ‘variante’ di Italiano (come
il Veneto o il Lombardo) e dunque parte del “gruppo italiano”; o se invece da intendersi come lingua romanza
autonoma (come il Francese o lo Spagnolo) per cui quei parlanti dovevano venir considerati “alloglotti”.
Ovviamente il Popolo di Trieste era per la prima ipotesi, facendo così aumentare anche nella Venezia Giulia il
numero degli “Italiani”.
64 “La Bonifica etnica. Come fu risanata Guardiella”, in Il Popolo di Trieste, 31 gennaio 1931, p.4.
65 Alessandro NICOTERA, “L’approvazione del Duce ad un vasto piano di opere pubbliche a Trieste”,
in Il Popolo d’Italia (Milano), 9 gennaio 1934, p. 3.
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altre città dell’Adriatico orientale – il risultato sarebbe stato in buona parte
deludente (anche se importanti personalità come Cobolli Gigli avevano italianizzato da ultimo il proprio originario cognome sloveno “Cobol” o anche se si
ricordava l’esempio dello stesso Guglielmo Oberdan la cui famiglia si chiamava
in origine “Oberdank”). Ma molti Triestini non facevano del cognome un indice
di maggiore o minore Italianità. Anche Il Popolo di Trieste cercava di prendere
posizione al proposito, ripercorrendo le fasi del popolamento più recente della
città:
scorrendo la lista dei morti in città è davvero troppo grande ancora la quantità
di nomi allogeni … A suo tempo la popolazione di immigrati formò il nuovo
apporto di energie all’Emporio teresiano e giuseppino sorto a Trieste: da
quella immigrazione derivano le 15.000 famiglie dai cognomi allogeni … ma
sono 15.000 famiglie sopra 57.000 di cui si compone la collettività triestina. Esse
si proclamano (nella assoluta maggioranza) italiane di sentimento, di cuore,
talune anche di sangue, ma soltanto 6 o 7 mila sono le persone che finora hanno
domandato alla Regia Prefettura il favore di “tornare al nome originario
italiano o di dar forma italiana” al proprio nome … Ma questo mutamento si
impone a Trieste, città-guida, città-esempio per il resto della Giulia66.
Così, tra cambi di lingua parlata, cambi di cognome e “sentimenti di Italianità” – tutto ciò pur senza cambio di popolazione della città67 – ufficialmente a
66 “Troppo nomi stranieri a Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 31 marzo 1932, p.3. Per quanto riguardava
l’insediamento degli Sloveni: “Un prete di Lubiana alla guida della chiesa di San Giacomo di Trieste”, in ivi, 8
aprile 1932, p. 4 (uno “jugoslavo fanatico nel rione triestinissimo e italianissimo dove si cantano canti in slavo”).
E prima: “Preti slavi a Servola”, in Il Popolo di Trieste, 5 aprile 1932, p.4, “in molte chiese di Trieste si continua
a pregare e a cantare in slavo: a Roiano, a San Giovanni, a Servola, a Barcola”. Dal che si può ricavare la
‘topografia’ della diffusione della Comunità slovena in città, fino al 1932, prima che venisse ‘relegata’
sull’Altipiano. Ma si obiettava “sta di fatto che nessuna di quelle parrocchie ha, nonché la totalità della
popolazione, nemmeno una sia pur lieve maggioranza di parlanti slavo. Già il “Censimento” del 1910 …
dimostrava che Barcola, Roiano, San Giovanni e Servola avevano maggioranza italiana e in quanto a San
Giacomo si trattava di una parrocchia assolutamente italiana con una minoranza slovena”: “Reliquie austroslave che devono sparire”, in ivi, 9 aprile 1931, p. 1 (si attribuiva la permanenza della Liturgia in Sloveno non
ad una realtà linguistica, perché si veicolava che gli Sloveni o non c’erano mai stati o se ne erano andati, ma
alle disposizioni dei vecchi Vescovi austro-ungarici della città, che avevano puntato – ispirati dal Govero
asburgico - a ‘slovenizzare’ Trieste).
67 Le Autorità italiane vantavano il fatto di aver fatto allontanare gli Sloveni dai rioni cittadini periferici,
ma il “Censimento riservato” del 1939 restituiva, in verità, una situazione non molto cambiata rispetto ai
decenni precedenti (KRASNA e MATTOSSI, Il ’Censimento riservato’ del 1939 …, cit.). Le Autorità jugoslave
dal canto loro, puntando a ingigantire l’esodo postbellico di loro regnicoli dal Regno d’Italia, parlavano di
“circa 100.000 fuoriusciti” dalla Venezia Giulia italiana. Sulla questione si è aperto anche di recente un lungo
dibattito storiografico (anche questo di natura eminentemente politica) senza poter però disporre in verità di
cifre sicure, ma dovendosi adattare all’uso di fonti a suo tempo ‘pompate’ da entrambe le parti, sempre per
motivi politici (e avendo oggi negli occhi, piuttosto, l’esodo seguito alla Seconda Guerra Mondiale. Quello sì
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Trieste di lì a poco ci sarebbero stati pochissimi “allotri”: una volta chiuse le
scuole e i giornali di lingua slovena e vietata la liturgia68, per le politiche urbane
si trattava di tutti “cittadini triestini” e si eliminava, così, il problema della
Nazionalità … (anche se lo spettro dello ‘Straniero invasore’ veniva sempre
ventilato per mantenere alta l’’attenzione’ politica).
Se sul fronte ‘interno’ la situazione sembrava comunque ‘risolversi’ (autoritariamente) nel giro di pochi anni, ancora una volta lo scontro era piuttosto con
i Francesi, la cui stampa difendeva le ragioni jugoslave anche in riferimento al
trattamento italiano proprio in merito alle “Nazionalità”: la risposta ‘triestina’
alla questione – dalla città cioè dove il problema era più forte, insieme all’Alto
Adige e alla Valle d’Aosta – veniva da un chiaro “Le minoranze in Italia e in
Francia”, articolo nel quale si cercava di dimostrare come
[è chiaro che] gli Stati della “Piccola Intesa” [cioè Jugoslavia, Romania, Cecoslovacchia, e Polonia] sono alleati o vassalli della Francia e allora non devono
essere toccati … ma mentre in Italia, Italiani si dicono il 97,6% della popolazione (e solo il 2,4% tra Sloveni, Serbocroati, Tedeschi, Francesi, Albanesi,
ben documentato). Ovviamente vi furono tanti che preferirono andarsene e seguire il nuovo tracciato dei
confini, ma come pare non vi sia stato, dopo il 1918 e poi dopo il 1923, esodo di Dalmati verso l’Italia né verso
Zara (anche se effettivamente importanti borghesi e imprenditori si spostarono a Trieste), così è difficile vi sia
stato esodo dei nuovi Jugoslavi rimasti in Italia verso la Jugoslavia. Certamente se ne andarono da Trieste, nel
tempo, alcuni Artisti sloveni (Spazzapan, Stepancic, Cargo, Sergi, Pilon) all’interno della “complessità di un
fenomeno migratorio che interessò gli Sloveni … dei territori annessi dall’Italia” (A. KALC, Ai confini orientali
della Civiltà italiana tra le due Guerre in Trieste: Arte e Musica di frontiera negli anni Venti e Trenta del XX secolo,
Atti del Convegno Internazionale, a cura di T. Rojc, Trieste, 2005, p. 57-76), ma la parabola più significativa
per la situazione triestina fu, in ogni caso, senza dubbio quella di Augusto Cernigoj che passato nel 1924 a
Lubiana (per le difficoltà etniche incontrate a Trieste?), ma poi allontanato dalla Slovenia nel 1925 con l’accusa
di attività sovversive, rientrava a Trieste, la sua città, dove collaborava a riviste slovene triestine ancora attive
(come U~iteljski list, mentre la sua opera veniva recensita anche da Edinost), quindi aderiva alle iniziative del
locale “Sindacato Artisti” pur “in quel momento strumento portante nella strategia di assorbimento e
snazionalizzazione in ambito artistico” (I. MISLEJ, Arte e Politica. Gli artisti “alloglotti” nella Venezia Giulia fra
le due Guerre in Arte e Stato: le Esposizione Sindacali nelle Tre Venezie [1927-1944], Catalogo della Mostra, a
cura di E. Crispolti, D. De Angelis e M. Masau Dan, Milano, 1997, p.84-85), italianizzava il proprio cognome
in “Cernigoi” (invece che Cernigoj) e trovava molta fortuna anche negli anni a venire nell’ambiente cittadino,
collaborando con lo studio di Pulitzer Finali (con Giorgio Lah, Francesco Kossovel) … Cosa ovvia in una città
cosmopolita da sempre e che proprio del cosmopolitismo aveva fatto la sua ricchezza oltre che la sua identità.
Ma il Popolo di Trieste nel suo “Svegliarino artistico” del 1929 non risparmiava a Cernigoi e a Pilon, almeno
formalmente, la sottolineatura del fatto che “altra volta hanno opportunamente dichiarato in qual conto
tengano la snazionalizzazione che si vuol fare ai loro danni, sentiranno – voglio crederlo – il dovere di scrivere
a tutte le riviste del mondo che sono cittadini italiani, pittori italiani” (in V. STRUKELJ, “Nel nome del
Costruttivismo. Storie di s/confine tra Italia e Jugoslavia negli anni Venti”, in Ricerche di s/confine [Parma], 2,
2013, p. 20).
68 Anche: A. KALC, “Emigrazione slovena e croata dalla Venezia Giulia tra le due Guerre ed il suo ruolo
politico”, in Annales (Capodistria/Koper), 8,1996. Per i dati del 1921, è probabile che la parte più rilevante di
coloro che lasciarono Trieste fosse costituita da funzionari, impiegati e manovalanza fatti giungere da poco dal
Governo imperiale asburgico (com’era successo a Pola), visto che il Regime fascista non si era ancora insediato
e Trieste, piuttosto, tra il 1918 e il 1921 era in forte crisi economica.
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
387
Paolo Grassi, Piano regolatore di Trieste, progetto per l’arteria via Carducci-viale Sonnino, 1934
(parte Sud-Est e parte Nord-Ovest)
Greci e Ladini), in Francia invece 86,5% sono Francesi, Provenzali e Valloni
mentre i Tedeschi sono il 4%, gli Italiani il 2.7%, i Catalani l’1,3%, i Bretoni il
2.4%, i Baschi lo 0.4 … Così mentre l’Italia ha il 2,4% di ‘Stranieri’, la Francia
ben il 13.5%69.
Di grande interesse, al proposito, soprattutto per le previsioni urbanistiche
di costruzioni di nuove infrastrutture, anche le specifiche statistiche che analizzavano l’andamento della “Popolazione scolastica a Trieste negli anni 19291930”70: sembrava delinearsi un trend decennale che vedeva la diminuzione della
popolazione scolastica, specie nei rioni suburbani. Politicamente ciò veniva
69 “Le
minoranze in Italia e in Francia”, in Il Popolo di Trieste, 31 marzo 1932, p. 1. Prima si auspicava,
ma non con grande successo: “Le relazioni franco-italiane verso una migliore comprensione?”, in Il Popolo di
Trieste, 28 gennaio 1931, p. 1. Ma ormai era evidente come “L’amicizia con l’Italia una ‘pietra fondamentale
nella politica austro-ungherese’ [contro la Cecoslovacchia, alleata della Francia]”, in ivi, 31 gennaio 1931, p. 1.
70 “La popolazione scolastica a Trieste negli anni 1929-1930”, in Il Popolo di Trieste, 13 febbraio 1931, p. 4.
388
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
giustificato con il fatto che, prima della Guerra «lì alloggiasse la popolazione
allogena» cioè gli Sloveni71 e che “merito del Fascismo fosse stato quello della
bonifica dei rioni e dell’Altipiano”. In verità, nella complessiva distribuzione
demografica della città, le stesse Autorità dovevano ammettere che si poteva
notare un deciso
regresso delle nascite … Con la diminuzione dei matrimoni verificatosi dal
1930 al 1933 è spiegabile la contrazione delle nascite … la popolazione,
incrementata dall’eccedenza dell’immigrazione sull’emigrazione, è su per giù
sempre la stessa … nel 1930 fu meno aspramente sentito il disagio economico
occasionato dalla crisi … ma la crisi si manifestò più crudelmente nel 193272.
Dunque, come certificavano i dati parziali, i numeri ‘non pilotati’ sembravano parlare chiaro: nessun esodo di popolazione e minimo allontanamento di
“allotri”; stabilità nel numero degli abitanti; eccedenza dell’immigrazione
sull’emigrazione; e soprattutto, crollo dei matrimoni e delle nascite. Anche alla
conseguente “morte dei popoli” si chiedeva di porre rimedio, mentre la ‘ricetta
Gigli’ mostrava, fortunatamente, di non avere avuto ‘grandi’ effetti … Anche se,
ovviamente, la propaganda sbandierava il contrario (accentuando così, con
strascichi anche nel Dopoguerra, lo scontro etnico e politico). E le politiche
urbane di celebrazione dei ‘fulcri monumentali d’Italianità’.
2.1.3. Nuovi rioni cittadini: la richiesta di una soluzione ‘pianificata’ del problema
abitativo
Il trend dell’espansione di Trieste, che il nuovo Piano regolatore raccoglieva
nella sua ultima versione, vedeva l’ampiamento di specifici rioni periferici, dove
si intendeva dirottare sia la popolazione che aveva le proprie abitazioni abbattute in Cittavecchia, sia il nuovo proletariato urbano73. In particolare era Farneto,
tra i rioni suburbani, quello verso il quale, già dai primi anni Trenta, si indirizzava
quell’espansione:
Farneto è già il più popolato dei rioni suburbani … notevole è il suo slancio,
poiché verso Farneto è andata estendendosi la città … con un grande numero
di costruzioni … È il più popolato dei rioni suburbani ed è certamente destina-
71 “Com’è
distribuita a Trieste la scolaresca”, in Il Popolo di Trieste, 17 febbraio 1931, p. 4.
delle nascite, morte dei popoli” (Mussolini). La situazione demografica di Trieste”, in Il
Popolo di Trieste, 4 novembre 1933, p. 5.
73 F. ROVELLO, ”‘Architettura minore’ a Trieste. (1925-1945)”, in Trieste (1918-1954) …, cit., p. 59-64.
72 “Regresso
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
389
to a sviluppo in una Trieste che non tarderà ad occupare tutta la valle tra le
catene dei monti della Vena e il mare74.
Naturalmente andavano ribaditi gli sviluppi che si erano già profilati. Ed era
il caso della zona di Chiarbola Superiore
fra le vie Orlandini, dei Lavoratori, Bartolomeo d’Alviano, Raimondo Battera,
Leone Fortis e Raffaele Abro … dove dal 1922 in poi furono costruite quasi
tutte le popolari dell’“Istituto Comunale delle Abitazioni Minime-ICAM”;
quartiere che, su proposte del Presidente ICAM verrò denominato “Rione del
Littorio”75.
Anche quando non si trattava di “Rioni” al completo, la diffusione di
interventi puntuali risultava di grande importanza, specie in un momento in cui
l’attività edilizia non aveva grande vigore e la ripresa si sperava fosse stata
rimandata a dopo l’approvazione del Piano:
si costruisce un gruppo di Case per i Ferrovieri in via Ruggero Manna; altro
gruppo in Roiano; un gruppo di case per i Postelegrafonici in via Fabio Severo;
case private in via Trento e a cavallo delle vie Moisé Luzzato e Santa Giustina;
un gruppo di case dell’ICAM al Rione del Littorio a Ponziana. È in progetto
un gruppo di case per Postelegrafonici in via Giorgio Padovan76.
Proprio sull’”ICAM” si poneva l’attenzione nella speranza che l’Ente contribuisse ad una netta soluzione del “Problema della casa”:
nel 1930 l’ICAM ha messo a disposizione del mercato ben 879 alloggi, in misura
da soddisfare ben 1/5 delle domande … ma c’erano altre 5000 domande per
797 alloggi … per cui la crisi delle abitazioni a Trieste [non è affatto] superata
… Per il 1931 l’ICAM prevede di costruire 6 case con 119 alloggi nel nuovo
‘Rione del Littorio’ in Ponziana … ma è troppo poco di fronte ai bisogni della
città77.
Si capiva a che cosa veniva chiamato il nuovo Piano regolatore sia nelle
espansioni urbane sia nello sventramento di Cittavecchia:
74
“La distribuzione della popolazione di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 23 gennaio 1931, p. 4.
“I molti problemi di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 22 febbraio 1931, p.4. Cfr. E. MARCHIGIANI,
“Edificio a corte in via dell’Istria. Camillo Jona e Ufficio Tecnico ICAM”, in Trieste (1918-1954) …, cit., p.
143-147.
76 “Un provvedimento pratico a favore dell’industria edilizia (che a Trieste non è grande)”, in Il Popolo
di Trieste, 4 febbraio 1931, p. 4.
77 “Il problema della casa a Trieste. L’attività dell’ICAM nel 1930”, in Il Popolo di Trieste, 17 maggio 1931,
p. 4.
75
390
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
l’ICAM ricorda la necessità … della ritardata ma non rimandabile demolizione
di molti stabili inabitabili e dell’auspicato sventramento di Cittavecchia, non
per rifarla come un rione di gente povera, ma come un rione degli affari: la
‘City’. Sventramento il quale imporrebbe da solo la preparazione di almeno 700
nuovi alloggi. Questi nuovi alloggi dovrebbero essere costruiti – come ha fatto
saggiamente l’ICAM – possibilmente alla periferia per dare alla città più ampio
respiro e portare l’elemento popolaresco ai margini della campagna. Noi
abbiamo vaste aree fabbricabili in zone pianeggianti fra San Sabba, San Pantaleone, Monte Castiglione verso le quali la città va, seppur timidamente, espandendosi. Siccome da quelle parti potranno sorgere anche industrie nuove
(desiderose di fruire delle franchigie assicurate dal “Decreto sulla Zona Industriale di Trieste”) sarebbe utile per l’ICAM assicurarsi l’uso di qualche area
… Ma anche sui fianchi della collina di Gretta e da Timignano in su, come in
Rozzol-Montebello … Attualmente l’ICAM, oltre al rione “del Re” con 74
alloggi amministra il rione “del Littorio” che conta ben 955 alloggi78.
Si ‘ruralizzavano’ gli abitanti della città (anche senza bisogno di pensare ad
un ampliamento dell’”elemento italiano verso la campagna”79) e si bonificava il
centro antico della città.
Nel 1933 il Prefetto poteva visitare il nuove “Rione del Littorio”, fornito
anche di un nido per bambini80. Ma fiore all’occhiello in questa politica, che
sarebbe entrato nelle previsioni del Piano regolatore, era comunque lo sviluppo
della Città-giardino di “Poggio Reale a Villa Opicina”:
l’estensione della nuova Città-giardino di Poggio Reale è enorme: da una parte
78 Il problema della casa a Trieste …, cit. Si veda: E. MARCHIGIANI, “Rione del Re, Rozzol in Monte”,
in Trieste (1918-1954) …, cit., p.121-126. Nel 1934 si cercava di stimolare anche l’iniziativa privata: “Costruire
…”, in Il Popolo di Trieste, 9 marzo 1934, p. 3. E, soprattutto, nei confronti delle Assicurazioni Generali che
“non si sono fatte ancora innanzi a dare un contributo d’opere nuove”, e della Comunità greco-orientale per
“la ricostruzione della sua chiesa e della sua scuola”: “La febbre di rinnovamento cittadino. Appello ai
ritardatari”, in ivi, 3 aprile 1934, p. 4.
79 T. SALA, “Programmi di snazionalizzazione del ‘Fascismo di Frontiera’ (1938-1942)”, in Bollettino
dell’ Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia, 2, 1974, p. 24-30; M.
KACIN WOHINZ, “I programmi fascisti di snazionalizzazione di Sloveni e Croati nella Venezia Giulia”, in
Storia Contemporanea in Friuli, 19, 1988, p. 9-33; I. JOGAN, Territorio e etnia. La questione degli Sloveni nella
politica urbanistica del Friuli Venezia Giulia, Milano, 1991. E ora soprattutto, con una lettura decisamente
‘nazionalistica’ degli interventi urbani: G. SLUGA, “Identità nazionale italiana e Fascismo: ‘alieni’, ‘allogeni’
e assimilazione sul confine nord-orientale italiano”, in Nazionalismi di frontiera: identità contrapposte sull’Adriatico nord orientale (1850-1950), a cura di M. Cattaruzza, Soveria Mannelli (CZ), 2003, p. 192-195. Già nel 1932
Silvio Benco celebrava la ormai raggiunta ‘omogeneità etnica’ raggiunta da Trieste (S. BENCO, Trieste,
Firenze, 1932, pp. 8, 11): “Trieste in passato era stata un crogiuolo di popoli … ora è città che può dirsi di una
nazionalità sola”.
80 “S.E. il Prefetto visita le nuove case dell’ICAM in via dell’Istria nel ‘Rione del Littorio’”, in Il Popolo
di Trieste, 8 settembre 1933, p. 2.
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
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si estende fra l’obelisco e il vecchio villaggio a Levante, fra il Viale principale e
la strada per Prosecco dall’altra. Tutte le ville sono fornite di giardini vastissimi
… e non vi sarà alcuna pendenza, o minima, nella nuova rete stradale …
L’elettrovia, la sistemazione stradale, la concentrazione di tanti ferrovieri e le
loro famiglie hanno popolato questa zona in modo considerevole … e da
1750-1800 che erano un trentennio fa, gli abitanti di Poggio Reale sono saliti a
oltre il doppio. È divenuta una piccola Città-giardino, con belle strade asfaltate, una buona illuminazione, servizi d’acqua, di gas e di elettricità … Del
Comune di Trieste è frazione di distretto o rione di campagna … E non è
temerario il prevedere che la Città-giardino – dato il limitato costo delle aree
– potrà estendersi ancora moltissimo … Ma necessita anche la soppressione
della straniero nome di “Opcina”81.
Ma si trattava di un intervento ‘quasi borghese’ che poco aveva a che fare
con le necessità del proletariato urbano e campagnolo. Anche nel corso del 1932,
sorgevano così nuovi rioni nella periferia della città, la cui espansione veniva
sostanziata dal diretto intervento podestarile poiché “il Podestà fece inserire nel
“Bilancio di Previsione” un notevole lotto di lavori di pubblica utilità come … il
nuovo edificio scolastico a Sant’Anna, che dovrà servire alla nuova popolazione
scolastica del nuovo rione che va formandosi tra Sant’Anna, San Sabba e Zaule”82.
Le iniziative avrebbero conosciuto un nuovo incremento nel 1934 con “Un
nuovo rione a Valmaura”83; e con l’appendice di esso a “Sant’Anna”84.
2.2. L’auspicata «ripresa economica» e il problema di un ‘nuovo ruolo’ per la Città
italiana
Difficile per le forze politiche triestine negare il fatto che – anche a causa
del cambiamento della situazione politica internazionale e il deciso indebolimento delle economie dei Paesi danubiani che facevano riferimento sul porto di
Trieste – l’economia della città fosse entrata dopo il 1918 in una fase perlomeno
di stagnazione, se non di vera e propria recessione. Il Regime, da parte sua,
81 “Poggio
Reale a Villa Opicina. La Città-giardino”, in Il Popolo di Trieste, 26 aprile 1932, p. 4.
“Dieci milioni di nuovi lavori”, in Il Popolo di Trieste, 4 marzo 1932, p. 4
83 “Un nuovo rione a Valmaura”, in Il Popolo di Trieste, 15 marzo 1934, p. 4. E quindi: “190 alloggi minimi
a Valmaura: “L’opera dello sventramento”, in ivi, 19 settembre 1934, p. 2; “La consulta municipale … Nasce
un nuovo rione attorno allo stadio: Valmaura”, in ivi, 22 settembre 1934, p. 2; “La città ampliata: Valmaura
(San Sabba)”, in ivi, 6 ottobre 1934, p. 2.
84 “Il nuovo rione meridionale fra Valmaura e il poggio di Sant’Anna”, in Il Popolo di Trieste, 28 dicembre
1934, p. 2.
82
392
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
tentava il rilancio economico con tutta una serie di interventi, ma la realtà
strutturale e soprattutto politica (anche connessa ad un nuovo ruolo che Trieste
doveva ritagliarsi nell’ambito del Regno italiano) erano incontrovertibili e ad
esse bisognava fare fronte. Anche a questo il nuovo Piano regolatore veniva
chiamato con una serie di realizzazioni infrastrutturali e di potenziamenti che
invertissero le linee di tendenza.
Nei primi anni Trenta ormai il trend si era chiaramente delineato, ma con
situazioni in ‘chiaro-scuro’ che rendevano la lettura della realtà economica
triestina non poi così agevole: il Fascio cercava di organizzare il mondo dell’imprenditoria85, ma a fronte di una diminuzione oggettiva dei commerci, vi erano
però segnali economici che parevano in controtendenza e che comunque facevano sperare. Del resto, era difficile che l’economia cittadina si fosse già ripresa,
dopo che, tra il 1929 e il 1930, si era avuto, tra l’altro, il fallimento del grande
gruppo industriale Brunner e quindi il tracollo dalla Commerciale, che era stato
l’istituto di credito di riferimento per i capitali giuliani per decenni, salvata in
extremis con una “nazionalizzazione”86.
Nel 1931 il “Rapporto” dell’Assemblea delle Unioni Industriali della Venezia Giulia sottolineava
che nel settore industriale, la disoccupazione nelle Provincie di Trieste e Pola
è inferiore a quella delle altre Province del Regno … poiché i Cantieri [navali]
hanno registrato nel 1930 un periodo di intenso lavoro … Poi, sempre nel 1930,
vi è stata la fusione in un unico organo dei principali cantieri … e va inoltre
valutata l’importante quota di commesse estere … Nei primi mesi del 1931 si è
però registrato un rallentamento … specie nei cantieri di riparazione. Tuttavia
la situazione può essere considerata con serenità87.
Nel 1932, però, una vera e propria polemica si apriva in città riguardo alle
85 “Le forze dirigenti dell’industria giuliana convocate in assemblea generale in Sala Littorio”, in ivi, 3
giugno 1930, p. 5; “Gli onorevoli Olivetti e Benni presenzieranno l’assemblea degli Industriali”, in ivi, 1 giugno
1930, p. 6, evento di grande importanza visto che “la Venezia Giulia [grazie ai cantieri triestini] è regione
eminentemente industriale”. Cfr., “I traffici e le costruzioni navali. Trieste sul mare”, in ivi, 28 giugno 1930, p. 5.
86 “L’economia triestina nazionalizzata. La banca Commerciale Triestina assorbita dalla Banca Commerciale Italiana”, in Il Popolo di Trieste, 13 febbraio 1932, p. 4: “avvenuto il crollo dell’Impero asburgico … quella
formazione chiusa di un’economia triestina non poteva continuare ad esistere … Il mutamento della situazione
economica mondiale … impoverì Trieste come nessun’altra città italiana … Si è voluto ora ‘salvare’ ciò che
restava dell’economia cittadina … con l’apporto di denari e di energie nazionali … grazie ad un istituto
bancario di grande potenza e capace di finanziare tutte le attività economiche cittadine e regionali”. Una prassi
di “nazionalizzazione” che si sarebbe ripetuta più volte negli anni a venire …
87 “L’assemblea delle Unioni Industriali della Venezia Giulia”, in Il Popolo di Trieste, 29 aprile 1931, p.
4. Per le commesse straniere: “Commesse sovietiche … Tre battelli sono stati commessi dai Sovietici ai cantieri
Riuniti dell’Adriatico”, in ivi, 1 maggio 1931, p. 1. E non a caso: “Gli industriali italiani giunti a Leningrado”,
in ivi, 26 giugno 1931, p. 1; “Trieste porto franco per le navi sovietiche?”, in ivi, 25 aprile 1931, p. 1
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prospettive della produzione cantieristica. Bruno Coceani, Vice Presidente
dell’Unione Industriali di Trieste, lamentava la mancanza di prospettive e, anzi,
una «situazione tragica e irreparabile … poiché con l’ultimazione della [nave]
“Conte di Savoia” si conclude il periodo più intenso delle nostre costruzioni
navali e vengono pertanto a cessare le possibilità di lavoro»88. Una posizione
dura e pessimistica che veniva subito rigettata dal Popolo di Trieste, fiducioso
nell’intervento del Governo, anche grazie al Piano regolatore che avrebbe fornito
nuove infrastrutture produttive alla città. Era una visione ottimistica alle quali
faceva eco una nuova iniziativa del podestà Pitacco, che aveva visto nell’“Inaugurazione del mercato all’ingrosso in piazza Verdi”89, un’opera importante per
contribuire al rilancio economico – pur nella sfera locale – dell’emporio cittadino:
noi viviamo in un vasto emporio al quale, malgrado la più perfetta attrezzatura
e la lunga esperienza commerciale, per contingenze … va diminuendo il
traffico con i mercati lontani … Ora grande interesse deve avere il rapporto
commerciale con il Friuli, con l’Istria e con Fiume per sopperire a quel calo90.
Era un ‘cambio di prospettiva di mercato’, ma tutti sapevano che le realtà
geografiche limitrofe non avrebbero mai potuto sopperire alla mancanza dei
Paesi danubiani. Nel 1931 lo stato di crisi complessiva era stato descritto con
piena lucidità anche sulle pagine dello stesso Popolo di Trieste:
la situazione è ora particolarmente grave per una città che, avendo perduto il
35% del suo lavoro commerciale, aveva sperato di rifarsi con il lavoro industriale … Cinque anni fa Trieste … aveva chiesto la concessione d’una zona
industriale franca. La “Zona Industriale” fu ottenuta, ma in verità con risultati
assai meschini … tanto che Trieste non può ora che mostrare della sua “Zona
Industriale” che un impianto per l’impregnatura conservatrice dei pali del
telegrafo! Invece sono state sospese o chiuse tante industrie e sono sparite
tante ditte … Non esiste più la Pilatura del riso; sono chiusi gli Oleifici
Nazionali di Zaule; è emigrato a Genova l’Impianto Ford; è chiuso il Pastificio
Gami; è chiusa la Cioccolateria Leyet (in tracollo finanziario) … E in più:
inoperosa è la Cava di Aurisina; in stasi le industrie elettriche; in stasi gli Alti
Forni e le Acciaierie di Servola; depresse le industrie dei pesci in conserva;
contratta l’industria birraria; depresso il pastificio Triestino; in stasi lo jutificio;
88 “Per quelli che vedono buio. Il ‘Lavoro fascista’ e un articolo di B. Coceani, in il Popolo di Trieste, 6
gennaio 1932, p.4. E poi la risposta dello stesso B. COCEANI, “Cantieri navali e costruzioni navali. Una lettera
del comm. Coceani”, in ivi, 8 gennaio 1932, p. 4.
89 “Il mercato delle contrattazioni inaugurato ieri in piazza Verdi. Il discorso del Podestà e lo sviluppo
dei traffici”, in Il Popolo di Trieste, 10 maggio 1931, p. 4.
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F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
in crisi la produzione del cemento e tutte le industrie edilizie; depressa, per
diminuito traffico e crollo di noli, la navigazione91.
C’erano poi state le ‘resistenze’ concorrenziali:
ma altri interessi hanno impedito che Trieste, città d’un quarto di milione [di
abitanti] e con un commercio di grani notevole … abbia un mulino e deve
dipendere, per la farina, da altre città … I pastifici di Trieste erano un tempo
numerosi e importanti e rifornivano tutti i paesi della costa adriatica … Si sono
ridotti a due (e poi a uno) … perché c’erano quelli del “Porto Franco” di Zara.
Ma ora quella spiegazione non regge, perché ad essi fu tolta la possibilità di
entrare in franchigia nel territorio nazionale.
Nel 1932, però, il bilancio dell’”89° esercizio” della locale Cassa di Risparmio mostrava: “un aumento dei depositi e delle riserve per il principale Istituto
finanziario della città … con uno stato di eccellente liquidità … e con una
vigorosa ripresa delle operazioni di credito fondiario”92.
La Cassa di Risparmio svolgeva un importante opera di ‘motore finanziario’
nel rinnovo urbano della città (non solo finanziando ad esempio i restauri alla
cattedrale di San Giusto, ma soprattutto agevolando acquisti fondiari e di
trasformazione dei lotti urbani), per cui anche le previsioni per il nuovo Piano
regolatore uscivano economicamente rafforzate da un tale quadro finanziario
positivo (anche pur senza raggiungere i livelli dell’ante guerra). Insomma era
evidentemente la “Necessità di lavori pubblici”, strutturando una pianificazione
delle opere attraverso il nuovo Piano regolatore:
la gravità della situazione manifatturiera. Il tabacchificio occupava 4000 operaie, ora solo la metà … E quindi la grande crisi dell’industria edilizia … Si
accennava allora alla possibilità di costruzioni nuove sull’area della soppressa
Caserma Teresiana … mentre il Comune di Genova sta applicando coraggiosamente il Piano regolatore93.
Niente di troppo strano: la città restava un importante polo finanziario
(grazie alle grandi Compagnie di Assicurazione, alle Banche …), anche se non
costituiva più un nevralgico centro industriale. Ma quanto poteva durare tutto
ciò?
90 “L’odierna inaugurazione del mercato all’ingrosso in piazza Verdi”, in Il Popolo di Trieste, 9 maggio
1931, p. 4.
91 “Il problema posto alla città. La situazione dell’industria”, in Il Popolo di Trieste, 10 giugno 1931, p. 4.
92 “La Cassa di Risparmio Triestina nell’89° esercizio”, in Il Popolo di Trieste, 16 aprile 1932, p. 4.
93 “Necessità di lavori pubblici” in Il Popolo di Trieste, 19 febbraio 1932, p. 4.
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
395
Camillo Jona, Schizzo prospettico per la sistemazione della “Nuova piazza all’incontro della via
Carducci col corso Garibaldi”, allegato al “Piano Grassi” del 1934, 1932-1933
2.2.1. Lo sviluppo del Porto cittadino e dell’emporio commerciale: la politica
danubiana (l’amicizia italo-austro-ungherese) e la competizione con la Jugoslavia,
appoggiata dalla Francia. Ma “il nostro porto è stato scavato dal Destino”.
Nell’economia triestina restava centrale l’attività del grande porto, vanto
della città dal XVIII secolo e passato attraverso varie fasi di crisi e ristrutturazione fino ai primi anni Trenta del Novecento94. La battuta d’arresto, che l’emporio
commerciale di Trieste aveva subito a seguito della crisi internazionale dei paesi
del Centro Europa dopo la caduta dell’Impero Asburgico, aveva prodotto un
deciso rallentamento delle attività economiche.
Nel 1921 l’area dello “Scalo legnami” di Servola era stata dichiarata “Porto
franco”, ampliata e attrezzata con nuovi impianti ferroviari, magazzini e uffici.
L’anno dopo era stato riconfermato il regime dei punti franchi in vigore prima
94 Si vedano come riferimenti: A. CAROLI e AUTORITÀ PORTUALE DI TRIESTE, Il Porto di
Trieste. Cronaca e Storia delle costruzioni portuali, Trieste, 2002; La città dei gruppi, 1719-1918, a cura di R. Finzi
e G. Panjek, Trieste, 2001; G. BOTTERI, Il porto di Trieste. Una libera storia di commerci e traffici, Trieste, 1984;
R. ROMANO, “Lavorare in funzione del Porto”. Principali tappe dello sviluppo del porto triestino fra Ottocento
e Novecento in http://www2.units.it consultato nell’aprile 2015.
396
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
della Prima Guerra Mondiale e nel 1925 esteso anche al “Porto olii minerali” di
San Sabba.
Il nodo stava però nel recupero dei vecchi mercati dell’Europa centrale. E
molto si faceva affidamento sul fatto che una precisa politica italiana in chiave
danubiana e centro europea andava sviluppandosi con una sorta di ‘protettorato’
sia nei confronti del nuovo Stato austriaco95, sia di quello ungherese. Ma la
competizione francese era molto forte96, poiché la Francia puntava, come sbocco
commerciale, sull’ampliamento dei porti jugoslavi (Sussak e Spalato). E anche
con la Jugoslavia i rapporti erano in genere ‘difficili’, nonostante non mancassero
alcune timide aperture97.
Nel 1930 in città si registravano con allarme le notizie diffuse da Belgrado,
in riferimento a “I cantieri di Trieste e le bugie serbe”:
da Belgrado mandano a stampare a Zagabria sull’”Jugoslovenski Lloyd” del 4
gennaio … la notizia che “i cantieri (navali) triestini sono completamente
inattivi. Giornalmente vengono licenziati gli operai” … Queste facezie si
stampano proprio mentre, per merito diretto e indiretto del Regime, la vita dei
nostri cantieristica assurgendo, sia per quantità di mano d’opera … sia per
importanza di ordinazioni, a quote mai attinte né sotto l’Austria, né in regime
nazionale98.
La ‘guerra di cifre’ continuava nel 1931 riguardo al “Traffico nei porti
jugoslavi”:
la Jugoslavia conta ben 64 porti marittimi … Nel 1929 i porti che ebbero
maggior movimento furono Spalato (“tonnellate 5.719.653, mentre nel 1913
tonnellate 1.816.052”), Ragusa (“tonnellate 3.197.832, mentre nel 1913 tonnellate 1.233.499”), Sussak (“tonnellate 2.897.108, mentre nel 1913 tonnellate 0”
[perché il porto era quello di Fiume]), Sebenico (“tonnellate di naviglio
1.798.528, mentre nel 1913 tonnellate 805.243”), Curzola (“tonnellate
1.238.407, mentre nel 1913 tonnellate 113.014”), Macarsca (“tonnellate
95 Nel 1931 si paventava l’unificazione delle tariffe ferroviarie per le merci austriache verso i porti
tedeschi del Nord Europa: “L’accordo doganale austro-germanico … Riflessi adriatici”, in Il Popolo di Trieste,
24 marzo 1931, p.1. A livello nazionale: “Traffico di Trieste e progetti austro-tedeschi (di unione doganale. La
discussione al Senato)”, in ivi, 31 giugno 1931, p.1.
96 “La ricostruzione economica danubiana … e le divergenze italo-francesi”, in Il Popolo di Trieste, 20
marzo 1932, p.1; “Trieste e il problema danubiano”, in ivi, 25 marzo 1932, p.4. E prima anche: “Il trattato
commerciale italo-romeno … e il nostro porto (i benefici influssi su Trieste)”, in ivi, 26 febbraio 1930, p.5.
97 “Una delegazione jugoslava studia a Roma le basi per un accordo economico Italia-Jugoslavia. Le
trattative commerciali … e il problema portuale fiumano (in rapporto a Sussak)”, in Il Popolo di Trieste, 20
marzo 1932, p.1.
98 “I cantieri di Trieste e le bugie serbe”, in Il Popolo di Trieste, 7 gennaio 1930, p. 4.
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
397
113.592”) … Nel traffico delle merci Spalato ha la parte migliore, poi Sussak,
Ragusa, Sebenico … Non abbiamo gli elementi per controllare tali cifre del
traffico … ma dubitiamo che si tratti di “quintali” e non di “tonnellate” perché
altrimenti Spalato con le sue 11.511.413 tonnellate complessive verrebbe ad
essere il secondo porto del Mediterraneo dopo Marsiglia e Genova … È un po’
esagerato, visto che il solo porto di Trieste, nel 1929, inviò soltanto 43.570
tonnellate di merci via mare e ne ricevette via mare soltanto 117. Anche
tenendo conto della caricazione di bauxite che si fa nei porti dalmati su larga
scala, non ci si può avvicinare alla cifra così considerevole esposta dalla Statistica jugoslava … E infatti ricondotto il traffico jugoslavo dalla voce “tonnellate” alla voce “quintali”, si vede ch’esso corrisponde alla modesta, primitiva
economia del Paese … [e il movimento di Spalato ammonterebbe più verosimilmente a 115.114 tonnellate] … Anche nel movimento passeggeri Spalato
ebbe la parte più importante (348.667), poi Sussak (271.036), Sebenico
(190.447) e Cattaro (125.190)99.
Al di là della ‘guerra di cifre’, non controllabili né tra loro ben confrontabili,
certo è che se la “Jugoslavia aveva un’economia modesta e primitiva”, anche il
porto di Trieste mostrava nella realtà di aver subìto un ridimensionamento
davvero drastico per quanto riguardava il bilancio import-export, visto che “il
solo porto di Trieste, nel 1929, inviò soltanto 43.570 tonnellate di merci via mare
e ne ricevette via mare soltanto 117 [000]”. Anno forse, particolarmente ‘nero’,
ma indicativo.
Interessante comunque il fatto che in riferimento ai porti della Jugoslavia
“tra le navi, dopo quelle jugoslave, venivano quelle italiane … poi [a molta
distanza] le inglesi, greche, tedesche, olandesi e francesi … e battenti bandiera
jugoslava il 76.3%, italiana il 18,6 % … [e le altre ciascuna poco oltre lo 0%]”
ribadendo come l’economia jugoslava restasse in buona parte legata a quella
italiana. Anche se “la Jugoslavia tenta di sottrarci i traffici nel mare Adriatico …
con investimenti a Sussak, Sebenico, Spalato, Ragusa … per la costruzione di
moderni magazzini … nuove linee ferroviarie e … nuove banchine”100.
La necessità era quella insomma di “equilibrare gli scambi italo-jugoslavi”101. A tutto ciò si era cercato di rispondere con una serie di ristrutturazioni e
tra i maggiori provvedimenti per il rilancio del porto di Trieste vi era stata da
ultimo, l’istituzione di una nuova “Zona franca” nella zona di Zaule: voluta dal
Governo, grazie ad essa si sperava che il porto entrasse in una nuova fase
99 “Il
traffico nei porti jugoslavi”, in Il Popolo di Trieste, 22 gennaio 1931, p.1.
la Jugoslavia tenta di sottrarci i traffici nel Mare Adriatico”, in Il Popolo di Trieste, 5 giugno
100 “Come
1931, p. 4.
398
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
operativa, visto che “la zona, che sorge tra il golfo di Panzano e il vallone di
Muggia … vede, per l’impianto di nuove industrie, importanti agevolazioni di
carattere economico”102.
Già il “Piano Grassi” del 1925 individuava per Zaule con previsioni di
Zoning:
una divisione in 3 zone: I) nella zona a valle della strada statale “15” avrebbero
sede le opere portuali ( costruzione di un canale navigabile e un complesso di
opere marittime accessorie); II) nella zona a monte di “via Flavia” si sarebbero
insediate nuove industrie previa prosciugazione dei torrenti ivi presenti; III) la
zona a Est della precedente sarebbe stata riservata alle opere ausiliare del
Porto Industriale103.
Nel gennaio del 1929, poi, per favorire lo sviluppo industriale nel territorio,
era stata costituita la “Società Anonima della Zona Industriale del Porto di
Trieste”, con la speranza di riuscire a coordinare tutte le iniziative; ma ancora gli
effetti non si vedevano. Il nuovo Piano regolatore, secondo le aspettative, avrebbe dovuto fornire, dunque, un grande impulso a quella espansione della Zona
industriale verso Zaule e il Vallone di Muggia, ribadendone le originarie zonizzazioni.
Nel 1931 si era sperato nell’”Accordo commerciale italo-austro-ungherese e
i suoi riflessi adriatici”, poiché “pare che nell’accordo siano contenute anche
clausole interessanti i trasporti delle merci da Trieste e da Fiume per le destinazioni austro-ungheresi e viceversa”104. Però, ancora, anche il movimento passeggeri, oltre a quello delle merci, segnava il passo:
noi abbiamo un movimento annuo di circa 150.000 forestieri … data dalle
regolari denunce degli alberghi … mentre Venezia vanta un movimento forestieri che si avvicina alle 900.000 unità … Trieste ha dunque circa 10.000
forestieri al mese, che è una vera miseria … Eppure Trieste ha un suo fascino
particolare105.
Si profilavano, dunque, quelle ‘aspettative estetiche’ che Paolo Grassi diceva, nel 1933, di aver posto a fondamento delle sue nuove previsioni di Piano.
Naturalmente il dato era quello turistico (mentre quello dei porti jugoslavi
101 “Necessità
di equilibrare gli scambi italo-jugoslavi”, in Il Popolo di Trieste, 26 giugno 1931, p. 1.
zona industriale e franca nel porto di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 23 febbraio 1930, p. 4.
103 La documentazione relativa a Zaule è in Archivio di Stato di Trieste, fondo “Capitaneria di Porto”,
b.209 cit. in Romano, “Lavorare in funzione del Porto”…, cit., n.44.
104 “L’accordo commerciale italo-austro-ungherese e i suoi riflessi adriatici”, in Il Popolo di Trieste, 21
maggio 1931, p.1.
105 “Venite a visitar Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 1 maggio 1931, p.4.
102 “La
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
399
– “Spalato … 348.667; Sussak, 271.036; Sebenico, 190.447; e Cattaro, 125.190”106
era riferito al movimento e non alle permanenze), ma l’idea di potenziare
l’afflusso non poteva che essere legato a nuovi eventi. Andava riprogrammata
l’attività culturale della città e già “è bene che sia stato lanciato il ‘Giugno
triestino’”.
L’auspicio era, inoltre, che, anche grazie ai lavori di ripristino dei Monumenti cittadini (San Giusto), si stesse “studiando per fare propriamente adesso
del nostro emporio un importante centro turistico”107. Nel 1932, però, il bilancio
del movimento viaggiatori attraverso Trieste restava negativo:
il movimento alle stazioni ferroviarie è sempre stato un indice della vitalità d’un
centro urbano … Trieste conta soltanto come centro di attività commerciale:
essa è stata maggiore o minore a seconda dei tempi e delle crisi altrui … I
progressi della Navigazione e lo sviluppo di altri porti hanno fatto poi perdere,
negli ultimi 70 anni, la fama del porto triestino. Aiutò a farla perdere la politica
dell’Austria, che lasciò per 30 anni Trieste senza una linea ferroviaria e poi
abbandonò il commercio triestino a se stesso, causa le delusioni politiche e la
progressiva perdita dell’egemonia politica e territoriale in Italia … Oggi l’affluenza dei forestieri e viaggiatori è diminuita … ed è quasi nulla perché non
abbiamo più linee marittime con il Levante e con i porti oltre Suez .. [e i
viaggiatori] prendono dunque imbarco a Venezia108.
Il trend però restava complesso, nonostante alcune segnali di ripresa. I dati
andavano considerati almeno in relazione agli ultimi cinque anni (dal 1930 al
1934), ma quelli forniti in merito al movimento economico erano in chiaro scuro
e, sicuramente, necessitava, nei primi anni Trenta, un notevole sforzo organizzativo al quale il Piano regolatore avrebbe dovuto fornire un buon impulso (o
almeno così si sperava). Il confronto veniva fatto con il dato pre-crisi del 1929,
per cercare di capire il nuovo ‘punto di partenza’109.
Dai dati emerge l’incremento che tutti i porti italiani avevano avuto nel
corso di un biennio, in riferimento al quantitativo di merci transitate. Il dato
comune a tutte le realtà era la netta predominanza delle importazioni rispetto
alle esportazioni e, nel caso di Trieste, comunque il suo ottimo piazzamento a
livello nazionale (anche se la valutazione era stata ‘areale’ escludendo Napoli),
subito dopo Genova, ma soprattutto, a livello di esportazioni (dunque verso l’Est
Europa), ben oltre Venezia. Proprio una considerazione geografica induceva a
106 “Il
traffico nei porti jugoslavi”, in Il Popolo di Trieste, 22 gennaio 1931, p. 1.
la decorazione dell’abside di San Giusto”, in Il Popolo di Trieste, 4 maggio 1931, p. 4.
108 “I viaggiatori alle stazioni di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 28 gennaio 1932, p. 4.
109 “Trieste nel quadro del movimento dei porti italiani”, in Il Popolo di Trieste, 29 gennaio 1930, p. 5.
107 “Per
400
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
trarre precisi orientamenti di scala internazionale: Genova e Savona costituivano gli scali marittimi del “Triangolo industriale” italiano Milano-Torino-Genova, mentre Trieste non poteva vantare, al proprio interno, una situazione produttiva analoga per l’Italia (e anzi Veneto e Friuli erano allora zone decisamente
depresse dal punto di vista economico): ecco dunque che l’import-export, in
aggiunta al porto di Fiume in ciò concorrenziale con l’impianto triestino110, era
dovuto in gran parte ancora ai commerci con la Germania meridionale e con
l’Europa danubiana. Dunque crisi sì, ma non stallo …
Sottolineava per questo l’Anonimo redattore come “per l’importazione è
soprattutto il Carbone … che incide per tonn.665.829 nel complesso di
tonn.2.740.605 sbarcate a Trieste”; e dunque era chiaro che al nuovo Piano
regolatore si richiedeva il potenziamento degli impianti di smistamento carbonifero (porto carbone a Zaule). Nel frattempo si procedeva al “potenziamento,
deciso dal Consiglio Superiore LL.PP. … dei capannoni 60 e 61 del Portofranco
“Duca d’Aosta””111.
La situazione al 1931 era pressoché la solita: “sebbene nei confronti del 1929
il primo trimestre di quest’anno [1931] non possa dirsi ancora favorevole …
siamo lieti di constatare una lieve ripresa”112.
Ma l’ennesimo ‘attacco’ questa volta non veniva dall’Estero, ma dall’interno,
soprattutto per la questione del trasferimento a Genova della “Società di navigazione ‘Libera’” profilandosi così una nuova questione di grande rilevanza
economica: si trattava del ventilato smembramento della “Società Libera”, importante società di navigazione addetta al trasporto del carbone, grano e derrate
dall’Inghilterra e dall’America a Trieste, ormai in crisi e in attesa di venir
spostata a Venezia e a Genova per un rilancio. Per sventare lo smembramento
si muovevano con telegrammi al Duce, il Podestà di Trieste e l’on. Banelli, ma
ormai la cosa sembrava fatta e non sembrava possibile tornare indietro113. Si
sperava solo che il contraccolpo sul porto triestino non fosse troppo grave114.
Il “Consiglio Provinciale dell’Economia” fa presente: 1) che la posizione geo-
110 Ufficialmente nessuna concorrenza tra Fiume e Trieste, ma nel 1930 la concessione della Zona franca
al porto quarnerino creava preoccupazione presso l’imprenditoria triestina: “Trieste fascista saluta con cuore
fraterno l’avvenimento, nessun centro industriale potrebbe amministrativamente temerne danno” in “La zona
franca del Carnaro”, in Il Popolo di Trieste, 14 marzo 1930, p. 1. Ma sull’argomento si ritornava il giorno dopo:
“Fiume zona franca”, in ivi, 15 marzo 1930, p. 2. E ancora: “L’economia del Carnaro, zona franca nella
comunione di rapporti con le Province sorelle”, in ivi, 18 marzo 1930, p.1.
111 “Per il porto “Duca d’Aosta”, in Il Popolo di Trieste, 28 gennaio 1930, p. 5.
112 “Il traffico del nostro porto”, in Il Popolo di Trieste, 19 aprile 1931, p. 4.
113 “La questione della ‘Libera’. Telegrammi del Podestà e dell’on.Banelli al Capo del Governo”, in Il
Popolo di Trieste, 1 aprile 1931, p. 4.
114 “La ‘Libera’ e gli interessi triestini”, in Il Popolo di Trieste, 31 marzo 1931, p. 4.
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
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grafica e commerciale rende la funzionale politica del porto Trieste altamente
significativa per l’economia nazionale e pertanto qualsiasi menomazione della
sua già circoscritta attività ridonderebbe unicamente a beneficio di Marine
estere; 2. Che le interferenze derivanti dallo scalo dei vapori dalla compagnia
“Libera Triestina” in altri porti nazionali non possono essere avvertite; 3. Che
Trieste non può essere messa in condizione di vivere una vita artificiale … nella
negazione della sua funzione (dopo la polemica con le organizzazioni di
Genova) che invocavano “l’interesse nazionale” per concentrare tutte le linee
di navigazione commerciale115.
Rispetto alle pretese genovesi, il Popolo di Trieste non poteva che obiettare,
sarcasticamente: “e invece gli interessi di Trieste si identificano con quelli della
luna!”.
Da tutta la vicenda se ne poteva trarre se non altro un insegnamento:
che ogni diminuzione di Trieste come porto di traffico internazionale, mentre
non andrebbe a beneficio né di Genova né di Venezia, favorirebbe i porti
stranieri e in particolare quelli nordici … Qualunque concentrazione di servizi
non può compiersi col decapitare Trieste116.
Dunque, nonostante le smentite anti-jugoslave e le resistenze contro gli
‘accentramenti genovesi’, la situazione non risultava del tutto florida e Trieste
restava per la Politica del Regime e per l’andamento dei commerci, un privilegiato “Osservatorio economico per l’Europa centro-orientale”. Come per i
prodotti orto-frutticoli, il cui commercio era ancora florido, ma che necessitava
di nuove infrastrutture:
Trieste ha un’importanza connessa essenzialmente al transito dei prodotti … e
la sua funzione è quella di approvvigionamento dai Paesi mediterranei e
collocamento nei paesi dell’entroterra … tanto da creare un movimento finanziario rilevantissimo (riteniamo che esso superi di molto il mezzo miliardo di
lire) [si pensi che il costo dell’intero nuovo Piano regolatore era stimato in 60
milioni di lire!] … Bisognerebbe una migliore organizzazione dei trasporti
celeri … I generi sono infatti: ortaggi e frutta fresca, agrumi, frutta secca … Il
traffico dal 1913 al 1931 si sta assestando col carattere distributivo che aveva
115 “I
diritti e le funzioni del porto di Trieste in un ordine del giorno del Consiglio Provinciale dell’Economia”, in Il Popolo di Trieste, 15 aprile 1931, p. 1.
116 “I servizi marittimi e il loro concentramento”, in Il Popolo di Trieste, 7 maggio 1931, p. 4. Ancora:
“Progetti di colore oscuro. I servizi marittimi [la loro fusione e i porti italiani]”, in ivi, 2 giugno 1931, p. 4; “La
questione dei servizi marittimi sovvenzionati”, in ivi, 13 giugno 1931, p. 1.
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prima della Guerra, riconfermando la funzione economica del nostro mercato117.
Poi sempre nel 1932 il Governo concedeva al porto triestino lo status di
“centro di campionamento del riso nazionale diretto all’Estero … comprendendo anche i porti di Venezia e Fiume”118. Non era granch’è, ma il nuovo ruolo,
oltre alla conferma dei traffici passati, richiedeva la costruzione di colossali silos
nei Magazzini Generali del porto. “Autorizzati dal governo i colossali sylos per
i cereali nei Magazzini Generali del porto “Duca d’Aosta” … Il frontone
dell’edificio verso il mare avrà una lunghezza di m 104 e l’altra di 38, la profondità dell’edificio è di 80 metri”119.
Dunque ci si aspettava dal Piano regolatore una dotazione di servizi tali da
permettere un deciso rilancio. Ma i problemi del porto, del suo sviluppo o del
decremento dei suoi traffici era strettamente connesso a problemi di politica
internazionale, in relazione soprattutto all’area danubiana, dove la politica
italiana si scontrava con quella francese.
il “Piano Tardieu” per i Paesi successori dell’Impero asburgico per sottrarli al
controllo tedesco e espandere l’influenza francese … rende Trieste un osservatorio di primo ordine … e a Trieste nessuno dissimula il fiero pericolo che
correrebbero i porti italiani dell’Alto Adriatico se il sig. Tardieu riuscisse ad
imporre la sua idea … avviando i traffici boemi [visto che la base industriale
asburgica era in buona parte collocata in Boemia] verso Sussak e Spalato120.
Nel 1933, la situazione internazionale sembrava volgere a favore dell’Italia
e di Trieste, specie dopo un importante Convegno svoltosi a Riccione tra Mussolini e il Cancelliere austriaco Dollfuss e tra Mussolini e il presidente ungherese
Gombos, per stilare anche una serie di accordi economici che mettevano al
centro il ruolo proprio di Trieste121: “la collaborazione economica austro-unghe-
117 “Osservatorio economico per l’Europa centro-orientale. L’esportazione italiana dei prodotti ortofrut-
ticoli negli Stati dell’Europa centrale e la funzione di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 10 aprile 1932, p. 6.
118 “Il porto di Trieste centro di campionamento del riso nazionale”, in Il Popolo di Trieste, 29 gennaio
1932, p.4.
119 “I nuovi sylos a Trieste. Prossimo inizio dei lavori”, in Il Popolo di Trieste, 15 settembre 1933, p. 1.
120 “Trieste e il problema danubiano”, in Il Popolo di Trieste, 25 marzo 1932, p. 2.
121 “Dopo il Convegno di Riccione tra Italia e Austria. L’azione dell’Italia fascista accolta con viva
simpatia in Austria”, in Il Popolo di Trieste, 24 agosto 1933, p.1; “’Patto a quattro’ (Italia, Germania, Austria
e Ungheria) e ‘Colloqui di Riccione’ (Dollfuss-Mussolini). I diritti dell’Italia nell’Europa centrale”, in ivi, 5
settembre 1933, p.1; “L’avvento di uno Stato corporativo preannunciato dal Cancelliere d’Austria”, in ivi, 13
settembre 1933, p.1; “Il destino dell’Austria è nelle mani dell’Italia … secondo un articolo del ‘Listner’ di
Londra”, in ivi, 13 ottobre 1933, p.1. Ma nel 1934 il Cancelliere austriaco veniva assassinato e dunque la
situazione politica e l’amicizia austro-italiana si complicava: “Il Cancelliere Dollfuss vilmente assassinato dai
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
403
Camillo Jona, Schizzo prospettico per “Prolungamento di via
Roma e incrocio col Corso”, allegato al “Piano Grassi” del 1934,
1932-1933
rese [porterà] a due zone franche in progetto a Trieste … una zona franca
austriaca e una zona franca ungherese … che permetterebbero ai due Paesi di
avere nelle acque italiane navi portanti la loro bandiera nazionale”122.
Nazisti”, in Corriere della Sera (Milano), 26 luglio 1934, p. 1. il Si veda ora per una lettura complessiva della
Politica italiana verso l’Austria: J. W. BOREJSZA, Il Fascismo e l’Europa orientale. Dalla propaganda
all’aggressione, Roma-Bari 1981; P. CUOMO, Il miraggio danubiano. Austria e Italia: politica ed economia
(1918-1936), Milano, 2012.
122 “Sviluppi e ripercussioni dei Colloqui di Riccione ”, in Il Popolo di Trieste, 27 agosto 1933, p. 1.
404
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Le prospettive di attivare zone franche ‘specifiche’ sembrava una buona idea
sulla quale operare e così si rinnovavano le proposte per una “zona franca per le
navi sovietiche”123 e addirittura un “Porto franco per le merci coloniali francesi”:
“merci dirette nei paesi dell’Europa centrale. Un progetto di alcuni anni fa …
perché non fu tentato? Da allora sono passati 7 o 8 anni. Forse oggi sarebbe più
agevole riprendere e attuare i progetto …”124. Della serie: “Pecunia non olet …”,
anche se francese.
Immediata conseguenza era che “L’accordo austro-ungherese concluso”; e
ciò avrebbe portato ad un “vivo interesse a Vienna per la riattivazione del
traffico attraverso Trieste”125. E così mentre gli Jugoslavi annunciavano “la
morte dei porti di Trieste e di Fiume perché manca loro il retroterra economico
jugoslavo”126, facevano, invece, ben sperare, nuovamente le “Possibilità economiche per Trieste dopo l’accordo tra i Governi di Budapest e di Vienna” poiché
“Trieste è designata dalla Natura ad essere lo scalo dei due Paesi … Il nostro
porto è stato scavato dal Destino”127.
Per una valutazione complessiva delle diverse prospettive, si poneva un
saggio edito da Giuseppe Ciotti su L’Italia marinara e quindi ripreso dal Popolo
di Trieste: “il Regime ha inteso … l’importanza data al porto di Trieste dalla sua
posizione geografica e … dall’essere un fattore essenzialissimo per il movimento
commerciale-turistico del vasto hinterland danubiano”.
Servivano però opere perché “vasti crolli per l’azione corrosiva dell’acqua
marina e per grandi difetti tecnici insidiavano e indebolivano singolarmente
l’efficiente porto”128.
Si era dovuto procedere, dunque, da ultimo, a massicce opere di riparazione:
questo ciclo di lavori di riparazione ha apportato un inevitabile ritardo nell’inizio della vera e propria azione di sviluppo del porto … Così la corazzatura del
molo VI … un nuovo molo a ferro di cavallo che ha dato un apporto di area
utilizzabile di ben 58.000 mq … Sono state inoltre impiantate 28 potenti gru
elettriche per mezzo delle quali si potrà procedere contemporaneamente allo
scarico di 7 piroscafi … Sono già stati iniziati i lavori per il silos cereali … e per
123 In
origine: “Trieste porto franco per le navi sovietiche?”, in Il Popolo di Trieste, 25 aprile 1931, p. 1.
riassetto centr’europeo e il porto di Trieste?”, in Il Popolo di Trieste, 12 ottobre 1933, p. 4.
125 “L’accordo austro-ungherese concluso. Vivo interesse a Vienna per la riattivazione del traffico
attraverso Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 26 agosto 1933, p.1.
126 “Trieste, Fiume e la ‘Novosti’ di Belgrado”, in Il Popolo di Trieste, 27 agosto 1933, p.1.
127 “Possibilità economiche danubiane per Trieste dopo l’accordo tra i Governi di Budapest e Vienna”,
in Il Popolo di Trieste, 29 agosto 1933, p.3. E dunque “La zona franca austriaca a Trieste sarebbe presto un fatto
compiuto”, in ivi, 9 settembre 1933, p.2.
128 G. CIOTTI, “L’opera del Regime sul porto di Trieste”, in L’Italia marinara (Roma), 19, 1933 poi in
Popolo di Trieste, 13 ottobre 1933, p. 2.
124 “Il
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
405
la stazione marittima … per le più vaste necessità del movimento turistico. E
quindi le opere di viabilità e collegamento … E poi il grande idroscalo, dallo
specchio acque vasto e sicuro … per l’ammaraggio dei maggiori idroplani … E
poi il nuovo magazzino per il mantenimento della frutta … l’ampliamento dello
scalo legnami … la costruzione di nuovi serbatoi petroliferi129.
Tra il 1930 e il 1933 le notizie e i dati sembravano concordi, però, nel
descrivere una situazione decisamente ambivalente (per non dire, in certi casi,
depressa), alla quale si cercava di porre rimedio con decisa energia. Nel 1934 si
dava notizia di un accordo tra Italia e Austria proprio in favore del movimento
turistico: “proprio in questi tempi sono stati stabiliti fra Italia e Austria dei
rapporti commerciali che, attraverso il centro di Trieste, saranno suscettibili del
massimo rendimento in più campi economici dei due Paesi”130.
Ma perché guardare solo all’Europa centrale? L’Oltremare poteva diventare una opportunità nuova, che era stata trascurata negli ultimi decenni, specie
nei rapporti con l’Egitto, con il quale era comunque rimasta aperta una via
commerciale:
da Alessandria arrivano nel nostro porto merci pari a quintali: 433.407 nel
1930; 599.535 nel 1931; 509.919 nel 1932. I nostri battelli trasportano ad
Alessandria merci per quintali: 801.723 nel 1930; 363.568 nel 1931; 254.172 nel
1932. La contrazione delle nostre esportazioni è grave, essendo discesa di 1/3,
ma essa è dovuta alla minore capacità di acquisto dei consumatori egiziani. Ma
la voce della soppressione della linea Triste-Alessandria è falsa131.
Del resto, da pochi mesi, si era iniziata dal porto triestino anche “La nuova
linea marittima Italia-Nord Brasile”132. Un traffico che si legava al commercio
dei legni esotici e per il quale si avviava, sulle pagine del Popolo di Trieste un
dibattito, tra chi considerava le attuali infrastrutture adatte allo scopo133 e chi
invece dubitava “fortemente della possibilità d’attrarre un traffico di legnami
duri ed esotici attraverso il nostro porto … sarebbe un esperimento costosissimo”134.
129 CIOTTI, “L’opera del Regime sul porto di Trieste” …, cit. L’idroscalo, inaugurato nel 1933, era stato
progettato dall’ingegner Pollack.
130 “Il movimento turistico fra Italia e Austria”, in La Tribuna (Roma), 24 luglio 1934, p. 2.
131 “Trieste e il commercio con l’Egitto”, in Il Popolo di Trieste, 20 ottobre 1933, p. 2.
132 “La nuova linea marittima Italia-Nord Brasile s’inizia oggi dal porto di Trieste”, in Il Popolo di Trieste,
26 agosto 1933, p. 2.
133 B. BARBI (Ditta “Matteo Mathia” di import-export del legno), “A proposito del traffico del legno
esotico attraverso il porto di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 29 ottobre 1933, p. 5.
134 “Il traffico attraverso Trieste di legni esotici”, in Il Popolo di Trieste, 26 ottobre 1933, p. 4. Contra: “I
legni esotici e il nostro porto”, in ivi, 1 novembre 1933, p. 2.
406
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
Al nuovo Piano regolatore veniva chiesto di fornire indirizzi chiari anche al
proposito.
Anche la stampa internazionale si interessava alle nuove prospettive generali e nel 1934, proprio pochi mesi dopo la prima approvazione del Piano
regolatore (i cui effetti, ovviamente, non potevano ancora sentirsi), il Times di
Londra annunciava “Il risveglio del porto di Trieste”. Si trattava più di un
auspicio che di una realtà (quali indicatori pregressi avrebbero potuto suggerire
un tale giudizio? Quelli negativi degli ultimi quattro anni?), ma se non altro la
nota serviva a fare in punto della situazione secondo una lettura internazionale.
Il Corriere della Sera di Milano, non a caso, si preoccupava – nel suo ruolo di
testata giornalista ‘ufficiale’ del Paese – di rendere nota la cosa al pubblico
italiano, in stretta connessione con l’Austria e il mondo danubiano:
il Times di Londra pubblicherà una lunga corrispondenza sull’avvenire economico del porto di Trieste e dell’Austria alla luce degli accordi [italo-austriaci]
di Roma. Il giornale spiega le ragioni dei mali economici nel settore danubiano,
dovuti ai programmi di autonomia … così come Paesi agricoli come l’Ungheria
e la Jugoslavia hanno cercato di crearsi una struttura industriale, e Paesi come
la Cecoslovacchia e l’Austria hanno strutturato l’agricoltura in modo industriale … Il passo italiano è stato è stato veramente pratico … offrendo sbocchi sui
suoi mercati e specie di facilitazioni nei porti di Trieste e di Fiume, che erano
gli sbocchi tradizionali dell’Austria e dell’Ungheria … Con queste misure il
porto di Trieste potrà tornare come nell’anteguerra un grande emporio …
Negli ultimi mesi il commercio e le speranze di Trieste sono migliorati con un
aumento superiore del 28% sulle cifre del 1933 … e si sente che il risveglio
commerciale di Trieste è prossimo … La politica del Governo italiano mira a
migliorare il commercio internazionale135.
Dunque, rispetto al 1933 le cose stavano migliorando … E infatti anche il
ministro del Commercio Estero austriaco, Stockinger, si recava in visita al porto
triestino per farsi un’idea delle strutture a disposizione:
il Ministro ha effettuato una visita particolareggiata agli impianti portuali
recandosi al porto Duca d’Aosta e al Porto Industriale di Zaule, dove ha
visitato i magazzini; quindi si è recato al porto Vittorio Emanuele III visitando
la direzione dei Magazzini Generali … Prima di recarsi a visitare la “Mostra
del Mare” ha voluto esprimere al Prefetto la sua ammirazione per l’efficacia
135
“Il risveglio del porto di Trieste in uno studio del Times di Londra”, in Corriere della Sera (Milano),
14 luglio 1934, p.8. La notizia rimbalzava anche a Trieste: “’L’avvenire di Trieste. Vie commerciali dell’Austria’.
Un interessante articolo del Times”, in Il Popolo di Trieste, 9 agosto 1934, p. 1.
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
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degli impianti portuali, che egli considera tra i migliori esistenti … ma ciò che
più lo ha colpito è l’unità organica dell’attrezzatura e dei servizi del Porto136.
Il triestino Fulvio Suvich, Sottosegretario di Stato agli Esteri, non era potuto
essere presente, “ma aveva inviato un telegramma alla sua città natale … E nel
telegramma di risposta il Ministro ha sottolineato: “non dubito degli sforzi
comuni””. E questo mentre sembrava giungere qualche ulteriore segnale confortante di ripresa con un “Deciso miglioramento del nostro traffico portuale”137.
Al Piano regolatore restano comunque compiti importanti e soprattutto di
agevolare un trend che andava profilandosi.
2.2.2. Vie di Comunicazione nazionali e internazionali: nuove ferrovie e nuove
strade per un Piano a dimensione territoriale
Ad un rinnovato sviluppo delle strutture economiche triestine si connetteva
strettamente il problema dell’aggiornamento delle comunicazioni anche via
terra, oltre che attraverso il porto. Non era una valutazione nuova – che anzi già
durante il Governo asburgico il problema delle ferrovie triestine era stato
discusso e affrontato in molti modi – ma il nuovo ruolo della città, il bisogno del
recupero (non più automatico) dei mercati centri europei e la concorrenza dei
porti jugoslavi imponevano di ripensare tutto il sistema. Dunque lo sviluppo
ferroviario e quello delle varie direttrici di comunicazione su strada.
Il sistema ferroviaro che raggiungeva Triste da Nord aveva una grossa pecca:
il tracciato sia della vecchia “Ferrovia Meridionale”, sia della “Transalpina”
passavano per lunga tratta in territorio jugoslavo o, come nel caso della “’vecchia
linea’ del Predil” erano poco adatti all’incremento del trasporto delle merci. La
linea ad Occidente, attraverso Udine, restava la Pontebbana con le sue diramazioni e anche in questo caso, il problema era quello della curvosità e delle
pendenze, inadatte al trasporto economico di grandi quantitativi di prodotti138.
136 “Il Ministro del Commercio Estero dell’Austria, Stockinger, visita il porto di Trieste”, in La Stampa
(Torino), 22 giugno 1934, p. 2.
137 “Deciso miglioramento del nostro traffico portuale”, in Il Popolo di Trieste, 13 luglio 1934, p. 2.
138 Dagli anni Cinquanta dell’Ottocento il Governo imperiale asburgico aveva richiesto un collegamento
ferroviario diretto tra Venezia e Vienna oltre a quello da Vienna a Trieste. Il tracciato privilegiato era quello
‘a Oriente’ attraverso la Carinzia e la Slovenia. Per la linea verso Trieste, i primi lavori per la costruzione della
lunga linea ferroviaria che da Vienna giungeva al grande porto commerciale dell’Impero risalivano già al 1839:
il primo tratto da Vienna a Gloggniz venne aperto nel 1842, mentre l’ultimo tronco, dopo quelli per Graz,
Maribor, Lubiana (nel 1849) e Postumia, giunse a Trieste nell’attuale Stazione Centrale, nel 1857. Nel 1858 lo
Stato imperiale vendeva però la linea all’”Imperial Regia Privilegiata Società delle ferrovie meridionali dello Stato,
del Lombardo Veneto e dell’Italia Centrale”, nota storicamente come “Südbahn”, che, Società privata fondata
408
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
Così, in primo luogo andava ripensato l’aggiornamento e la costruzione di una
nuova tratta della “Ferrovia del Predil” a ridosso del confine orientale (nel
Vallone) ma tutta in territorio italiano. Necessità che veniva ribadita, già nel
1931, alla Camera dei Deputati di Roma dall’on. Giovanni Banell:
già dopo la Guerra sorse la necessità di studiare le comunicazioni ferroviarie
che più rispondessero alla nuova funzione di Trieste per l’espansione dell’economia italiana … L’arteria principale che da Mestre arriva a Monfalcone, San
Giorgio di Nogaro e Cervignano, e da Portoguaro a Udine riesce insufficiente,
ma occorre soprattutto un potenziamento della “Ferrovia del Predil”, la quale,
sviluppandosi in linea perfettamente parallela alla nostra frontiera orientale …
darebbe la più diretta possibilità di comunicazione con l’Austria … e l’Europa
attraverso il Tarvisio … per Cividale-Udine e Cividale-Tarvisio per Creda-Santa Lucia di Tolmino-Gorizia … Oltre alla Direttissima Trieste-Fiume139.
principalmente sui capitali della famiglia Rotschild, aveva già acquistato nel 1856 tutte le linee costruite dallo
Stato austriaco in Italia. (Cfr. G. ROSELLI, Trieste e la ferrovia Meridionale, Trieste, 1977; Dalle Alpi
all’Adriatico in ferrovia con la Meridionale (1857) e con la Transalpina [1906], a cura di M. Bressan, Mariano
del Friuli [UD], 2007). Sempre sul ‘versante orientale’, per cercare però un’alternativa alla “Südbahn”, che
praticava prezzi di trasporto merci piuttosto alti e per creare un secondo collegamento ferroviario diretto tra
Trieste e l’Europa Centrale, nel 1901 si giunse all’emanazione di una Legge imperiale per la realizzazione della
“Linea Transalpina”, di proprietà statale, costituita dall’unione di tratti ferroviari vecchi e nuovi. Il complesso
di linee venne completato e aperto nel 1909, giungendo a Trieste alla stazione di Sant’Andrea (“Triest
Staatsbahnhof”) e non alla Centrale (“Triest Südbahnhof”) di proprietà della “Südbahn”. Da Monaco, Salisburgo a Villaco attraverso il massiccio dei Tauri, la linea proseguiva per Klagenfurt, Jesenice (con diramazione
per Praga), e da qui, attraverso Tolmino, la valle dell’Isonzo e Gorizia (“Linea del Carso” poi detta “Transalpina”) fino a Trieste, passando per San Daniele del Carso, Monrupino e Villa Opicina: ma le forti pendenze
non agevolavano il trasporto delle merci. Dopo il 1918 la linea risultava suddivisa in ben quattro Stati (Austria,
Cecoslovacchia, Regno di Jugoslavia e Italia) (cfr. F. OBIZZI et alii, Transalpina: un binario per tre popoli,
Monfalcone, 1996; P. PETRONIO, Transalpina. Die Wocheinerbahn. Bohinjska Proga. La linea di Wochein,
Trieste, 1997). Per quanto riguarda il ‘collegamento occidentale’ Vienna-Trieste, cioè la tratta ‘friulana’, nel
1860 erano state costruite la Udine-Venezia e la Udine-Trieste realizzata dal bivio Galleria in distacco dalla
“Meridionale” attraverso Cormons, ma restava irrisolto il problema della tratta Udine-Vienna. Nel 1864
Villach era stata collegata alla rete della “Ferrovia Meridionale” austriaca, attraverso il tracciato per Maribor
(Marburgo), ma era ancora senza soluzione il ‘tratto italiano’ Villach-Udine. Con il passaggio del Friuli e di
Udine al Regno d’Italia (1866) il collegamento Udine-Vienna perse di importanza per gli Austriaci, che
optarono, per raggiungere Trieste da Occidente, per la cosiddetta “Linea del Predil” cioè del tratto che, valicato
lo spartiacque alpino presso il passo del Predil, si connetteva alla Udine-Trieste non a Udine, ma a Gorizia.
Solo negli anni Settanta ritornò di attualità il collegamento Udine-Villach: veniva allora tracciata la “Ferrovia
Pontebbana” che collegava Udine a Tarvisio (la linea prende il nome dal centro di Pontebba, dove era ubicato
fino al 1918 il confine tra Italia e Austria-Ungheria). L’importanza della Pontebbana era dovuta al fatto che a
Tarvisio la linea si univa con la “Ferrovia Rudolfina” verso Villach e da lì, Klagenfurt, Linz e Vienna. La
Ferrovia entrò in esercizio l’11 ottobre 1879, ma, a binario singolo, presentava un percorso piuttosto tortuoso
(Cfr. “La ferrovia della Pontebba”, in L’illustrazione italiana, 1879; A. ZANIER, M. BIGOT, C. CANTON, R.
CAROLLO, La strada ferrata della Pontebba, Udine, 2006; Atlante ferroviario d’Italia e Slovenia. Eisenbahnatlas
Italien und Slowenien, Colonia, 2010).
139 “L’urgente necessità della ferrovia del Predil (sul confine orientale)”, in Il Popolo di Trieste, 30 maggio
1931, p. 4.
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
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Ancora nel 1932 però la situazione era in stallo – e si sperava che ci pensasse
il Piano regolatore di Trieste a risolverla – poiché
la nuova, più seria minaccia per l’Emporio triestino è la costruzione di una linea
ferroviaria Lubiana-Gottschee-Sussak … anche se per i bisogni del commercio
sloveno la linea nuova è una superfluità (perché si allunga il giro) … ma
comunque a Trieste e a Fiume verranno danni per la costruzione di quella
ferrovia … E se la Francia aiuta a costruirla dovrebbe voler dire ch’essa ha
importanza piuttosto strategica140.
La Francia, sempre la Francia … “Per Trieste la costruzione della ferrovia
Prediliana dovrebbe invece essere una conditio sine qua non di sviluppo nell’avvenire … E la Transalpina non si potrebbe rendere buona con opportune
correzioni? E il raccordo più rapido fra Trieste e la Pontebbana?”141.
In verità si trattava non di nuovi tracciamenti, ma del potenziamento di linee
esistenti, cui si doveva affiancare
la linea del Vallone? … Trieste ripete le domande più note: Prediliana, direttissima Trieste-Fiume e linea del Vallone … oltre alla elettrificazione promessa di tutte le rampe del nostro porto … La linea Lubiana-Sussak vuol dire una
linea direttissima Praga-Vienna-Adriatico con esclusione di Trieste142.
Le proposte sui nuovi tracciati e sui potenziamenti ferroviari si articolava
ancora e al Piano regolatore veniva demandata una risposta coordinata anche a
livello territoriale143:
la bilancia del nostro traffico marittimo e terrestre per il 1930 non è stato felice
… La contrazione del traffico è comune sia alle partenze sia agli arrivi sia
ferroviari sia marittimi:
partenze con ferrovia: - 26.3%; arrivi via mare: -25.4%; arrivi con ferrovia:
-11.5%; partenze via mare: -11.1%. Movimento complessivo merci in quintali:
con ferrovia 20.519.662 (pari a tonnellate 20.519, 662 mentre nel 1929 erano
state 25.375,908); via mare 22.785.308 (pari a tonnellate 22.785,308 mentre nel
1929 erano state 28.023,640)144.
140
“Necessità di revisione di progetti ferroviari per Trieste” in Il Popolo di Trieste, 3 gennaio 1931, p. 4.
Ibid.
142 La “Ferrovia o tratta del Vallone” era una ‘bretella’ che si auspicava già dai primi del secolo venisse
tracciata appunto attraverso “Il Vallone”, un solco carsico asciutto esteso da Nord a Sud presso il monte San
Michele, la sella di Iamiano e il solco di Brestovizza, che giungeva con dislivelli minimi fino a Gorizia,
permettendo dunque un agevole tracciato ferroviario.
143 “Il programma massimo e quello minimo”, in Il Popolo di Trieste, 4 gennaio 1931, p. 4.
144 “Lo sviluppo del traffico [per ferrovia e per mare] nel 1930”, in Il Popolo di Trieste, 2 gennaio 1931, p.
4.
141
410
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
Ancora nel 1933 si sperava di avere benefici dal passaggio dei treni VeneziaBudapest dal Bivio di Aurisina145 (auspicando che qualche turista decidesse di
fare sosta in città) e quindi dalla “Richiesta del Comune al Governo perché il
territorio comunale venga dichiarato ‘Stazione di soggiorno e di cura’”146.
Le comunicazioni e i servizi restavano, dunque, i punti centrali sui quali
programmare il rilancio. Per aumentare il flusso di transito, nel 1932 si potenziava, inoltre, “l’idroavioporto” per gli idrovolanti che portavano passeggeri e
merci:
la costruzione dell’idroavioporto di Trieste va compiendosi rapidamente lungo
la riva che confina con il Canal Grande e col largo Cavour. Già si vedono i pali
di cemento che faranno da costa all’elegante edificio destinato a ricevere
l’arrivo degli idrovolanti e ad assistere alla loro partenza … Ma bisogna
pensare ad un piano di linee più ampio (oltre alla Trieste-Genova e alla
Trieste-Zara-Ancona-Venezia) … Lo studio di tali nuove linee (verso Vienna,
la Cecoslovacchia, l’Ungheria, la Baviera) dovrebbe essere fatto con riguardo
agli interessi dell’emporio147.
E si puntava anche sui nuovi collegamenti terrestri come la lunga Pedemontana che da Torino doveva giungere a Fiume, curando la tratta Trieste-Fiume
(che doveva diventare prioritaria all’interno del nuovo Piano regolatore):
la pedemontana Torino-Fiume, iniziata nel 1927, presenta i tratti completati:
Torino-Milano-Bergamo; Bergamo-Brescia; Padova-Venezia; ed è ora terminata nel tratto Trieste-Fiume. Restano da terminare gli altri tronchi intermedi
… A Trieste, del resto, i trasbordi extra ferroviari (via camionabile) aumentano
di anno in anno … a scapito delle ferrovie148.
2.2.3. La struttura industriale: la nuova “Zona industriale” per lo sviluppo delle
industrie nel Vallone di Muggia, la cantieristica navale, l’industria edilizia
Lo spostamento del nuovo porto commerciale nella zona di Zaule e del
vallone di Muggia nei primi anni Trenta risultava cosa ormai fatta, dopo i
145 “Treni turistici Venezia-Lago Balaton-Budapest fermeranno al Bivio di Aurisina”, in Il Popolo di
Trieste, 30 agosto 1933, p.1.
146 “Richiesta del Comune al Governo perché il territorio comunale venga dichiarato ‘Stazione di
soggiorno e di cura’”, in Il Popolo di Trieste, 31 agosto 1933, p.3.
147 “L’aviazione civile e l’idroavioporto di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 23 febbraio 1932, p.4.
148 “L’autostrada Trieste-Fiume sarà inaugurata il 28 ottobre”, in Il Popolo di Trieste, 5 ottobre 1933, p. 5.
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Camillo Jona, Schizzo prospettico per la “Sistemazione di piazza
della Borsa ”, allegato al “Piano Grassi” del 1934, 1932-1933
progetti ‘operativi’ di Eugenio Geiringer di inizio secolo149; a ciò aveva fatto
seguito anche lo sviluppo industriale dell’area, secondo una ’vocazione’ individuata anch’essa fin dalla metà del XIX secolo e poi potenziata nei decenni
successivi. Il governo e il Comune di Trieste fornivano agevolazioni fiscali per
149 Si veda il mio F. CANALI, “Il Presidente della “Società degli Ingegneri e Architetti” di Trieste: dott.
Eugenio Geiringer (1843-1904)”, in Atti del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, vol. XXIX, 1999, p. 129-150.
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F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
un tale sviluppo, ma toccava ora ai privati raccogliere lo stimolo, secondo quella
che ormai si profilava come una vera e propria ‘zonizzazione urbanistica’:
La Commissione della “Società Anonima Zona Industriale Porto di Trieste”
per indennizzare terreni immediatamente fruibili a scopi industriali nelle zone
di Zaule e Monfalcone invita a predisporre il Piano regolatore [particolareggiato] per la zona di Zaule … per la creazione del Porto industriale150.
La cantieristica navale restava comunque il fulcro dell’industria triestina e
per rendersi conto della situazione, in vista degli sviluppi impressi dal Piano
regolatore, il Sottosegretario delle Corporazioni Dino Alfieri approfittava della
sua visita in città, nel gennaio 1930, per l’inaugurazione del nuovo Corso di
“Legislazione del lavoro” presso l’Università, per far visita ai cantieri e consultarsi con il gotha dell’imprenditoria cittadina:
il Sottosegretario volle recarsi a visitare i vari reparti dello “Stabilimento
Tecnico Triestino” [i cantieri navali] che costituiscono la nostra principale
industria … [accompagnato tra gli altri] dal gr.uff. dott. Guido Segre, Presidente del Consiglio di Amministrazione dello stabilimento … e dal comm. Augusto
Cosulich, Consigliere d’Amministrazione … e dal comm. Ernesto Krausz,
Direttore Centrale della Banca Commerciale Triestina e Consigliere d’Amministrazione dello stabilimento … Si recò poi al Cantiere San Marco dove visitò
la costruzione di navi … e quindi agli impianti portuali e in particolare ai
Magazzini Generali151.
Del resto non da molto i cantieri navali triestini erano stati soggetti ad una
pesante ristrutturazione industriale che aveva visto “La fusione di Cantieri
[‘Cantieri N.T.’, San Marco e San Rocco] nell’unica società “Stabilimento Tecnico Triestino’”:
La nuova Società, chiamata ora “Cantieri Riuniti dell’Adriatico” (con stabilimenti a Monfalcone, Trieste e Venezia) [vede] nel Consiglio di Amministrazione il gr. Uff, Segre … Alla nuova combinazione parteciperanno alcuni
importanti gruppi industriali italiani fra cui la FIAT e l’ILVA … I cantieri
erano in crisi con riduzione della produzione di quasi il 20% ogni anno152.
Le notizie date dalla stampa jugoslava – in riferimento alla crisi dei canteri
triestini – non erano proprio del tutto campate per aria, dunque.
150
“Per la “Zona Industriale” di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 18 febbraio 1930, p. 5.
“Trieste e il problema danubiano”, in Il Popolo di Trieste, 25 marzo 1932, p. 2.
152 “La fusione di Cantieri [‘Cantieri N.T.’, San Marco e San Rocco] nell’unica società “Stabilimento
Tecnico Triestino’”, in Il Popolo di Trieste, 17 giugno 1930, p. 5.
151
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
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In un tale scenario, importante risultava il fatto che dal 1930 l’industria
edilizia cittadina si mostrasse soggetta ad un “sensibile risveglio”, come sottolineava l’ingegner Ziffer: “le nuove costruzioni a Trieste … non sono abbastanza
in vista … perché i nuovi edifici sorgono in punti diversi e discosti gli uni dagli
altri … L’industria edilizia ha comunque avuto un sensibile risveglio negli ultimi
tempi”153.
Insomma, l’Ingegnere auspicava che la modernizzazione dell’aspetto della
città avvenisse per punti focali e con diffusione (dispersione) delle nuove costruzioni. Era chiaro che un massiccio impulso alle opere edilizie da parte del Piano
regolatore poteva cambiare decisamente la situazione. Intanto si auspicava
anche la previsione di un maggior sviluppo per la zona di Zaule154.
3. Gli assi di collegamento urbano: strade e vie per agevolare gli spostamenti di uomini e merci
Il problema della modernizzazione della viabilità cittadina era particolarmente sentito in un Capoluogo che mirava ad uno sviluppo urbanistico in grado
di servire alle esigenze dell’espansione economica e del miglioramento delle sue
strutture commerciali (il porto e l’emporio). Era soprattutto la Podesteria che si
incaricava di portare ad un buono stato di avanzamento una serie di lavori che
dovevano contribuire allo sviluppo e alla modernizzazione della città, soprattutto in merito alle principali vie di comunicazione. Così
i lavori al viale Sidney Sonnino che fa parte di quella grande arteria che deve
congiungere in modo pratico e con rapidità la Stazione centrale alla valle di
Zaule, quella verso la quale si indirizzerà lo sviluppo delle nuove industrie e
per conseguenza l’accrescimento demografico di Trieste. Di quel Viale per
quest’anno sarà costruita la parte superiore155.
Il nuovo sistema stradale faceva perno, oltre che sul viale Sonnino, anche sul
“Lungomare di Cedas … per la cui sistemazione il Podestà fece inserire nel
“Bilancio di Previsione” un notevole lotto di lavori di pubblica utilità”156. Infatti
153 “L’industria
edilizia a Trieste. Una ‘Relazione’ del comm. ing. Arturo Ziffer”, in Il Popolo di Trieste,
12 giugno 1930, p. 5.
154 “L’utilizzazione della ‘Zona industriale’ di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 7 agosto 1934, p. 2.
155 “La visita di S.E. Dino Alfieri … agli stabilimenti e al porto”, in Il Popolo di Trieste, 21 gennaio 1930,
p. 7. Sulla centralità del viale Sonnino: GODOLI, Trieste …, cit., p.188-192 (“La grande arteria Carducci-Sonnino”).
156 “Dieci milioni di nuovi lavori”, in Il Popolo di Trieste, 4 marzo 1932, p. 4.
414
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il Lungomare, nel tratto che può chiamarsi di Cedas, è una parte soltanto delle
grandi opere di allargamento della Strada Costiera dal Comune costruita dal
1857 al 1860 … Già il Regime donò a Trieste la Strada da Miramare a Sistiana,
una delle più pittoresche d’Italia e forse d’Europa. Ora, di anno in anno, il
Comune prosegue quell’allargamento157.
Serviva però una visione più ‘strutturale’; e solo il Piano regolatore poteva
fornire le coordinate. Ecco allora che si cercava, ancora prima dell’approvazione
del Piano nel 1934, di renderne operative le previsioni fin dal 1932:
fatta eccezione per le parti più soggette a discussione, tutto il resto del Piano
deve già considerarsi approvato … e per questo potrebbe anche venir eseguito,
nelle parti che riguardano il Comune, come per esempio le strade. Come la
grande comunicazione via Commerciale, piazza Dalmazia, via Carducci, Arcata, corso Garibaldi, viale Sonnino … E poi la grande strada di circonvallazione
… già considerata “una delle più belle strade turistiche” … E se al Comune gli
mancano i fondi, non gli manca però il credito158.
Del resto, fornire la città di nuove infrastrutture, significava immediatamente confrontarsi con il loro ‘peso urbanistico’. Come nel caso del nuovo
Stadio:
fra un paio di mesi lo Stadio del Littorio a San Sabba, capace di 20.000 persone
sedute, comincerà a funzionare … Ma si è pensato al modo di mettere il centro
della città in comunicazione facile, rapida, regolare ed economica con lo
Stadio? … Certo serviranno migliorie alle linee tranviarie159.
Nel 1933 poteva effettuarsi “la prolungazione di via Carducci”, seguendo le
direttive – peraltro non ancora ufficialmente approvate – del Piano regolatore:
con la demolizione di case si dà mano all’opera di sistemazione della grande
arteria longitudinale di via Carducci alla parte alta del corso Garibaldi per
avere comunicazione diretta tra la via Nazionale Costiera e le zone attraversate
dal costruendo viale Sonnino. Si va così attuando uno dei capisaldi del riordinamento delle grandi arterie cittadine sulla base dell’idea della grande “Strada
del Commercio” che collega la zona a Nord (Monfalcone) con quella a Sud
(Zaule, Noghere, Istria). Questa idea è nel Piano regolatore del 1926 che
ottenne l’approvazione e il plauso di tutte le Commissioni che ebbero campo
157 “La
ripresa dei lavori comunali deliberati dal Podestà”, in Il Popolo di Trieste, 12 aprile 1932, p. 3.
di lavori pubblici”, in Il Popolo di Trieste, 19 febbraio 1932, p. 4.
159 “Lo Stadio del Littorio e le comunicazioni”, in Il Popolo di Trieste, 20 febbraio 1932, p. 4.
158 “Necessità
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di esaminare e criticare il Piano stesso … Tutto fu trovato calcolato con chiara
visione160.
E ciò anche se la continuazione del viale Carducci comportava demolizioni
del vecchio “borgo Maurizio”161. Le rettificazioni del sistema viario urbano
erano puntuali, ma finivano per cambiare anch’esse l’assetto del sistema complessivo, anticipando il Piano. Infatti alcune case venivano demolite per “La
breccia di Tor Cucherna. La nuova strada comunale tra la via Capitolina e la
zona di Cittavecchia”162. Ovvero per rinnovare il complesso della circolazione,
nell’attesa del Piano:
Trieste non è una metropoli tentacolare come Roma o Milano o Torino o
Genova, ma poiché si addensa su un breve spazio territoriale (circa 3600 ettari)
ha un notevole momento stradale. La sua popolazione poi è cresciuta soprattutto per eccedenza di immigrazione sull’emigrazione … passando dai 123.671
abitanti del 1870 … ai 249.574 del 1931. Ebbene, le vie del centro urbano (una
zona che sta fra le vie Rossetti da un lato e piazza della Libertà dall’altro, la
piazza Venezia e il Lungomare della Pescheria fino a piazza della Libertà) sono
sempre quelle stesse del 1870, che servivano una popolazione che era la metà
di quella attuale … Qualche tentativo di allargamento si fece alla vigilia della
Guerra in corso Vittorio Emanuele III e in via Roma .. e parve scialacquo del
bene pubblico la larghezza fissata per le vie del quartiere Sant’Anna sorto
nell’area della Fiera … In certe ore del giorno tutte le vie che conducono al
Porto e quelle che menano ai quartieri operai … [sono intasate] da carri
trainati da buoi e carri e vetture a cavallo che salgono e discendono con enorme
fracasso163.
Dunque l’immagine di una città nella quale le merci e le persone si spostavano con mezzi a traino, con carri, bestiame, muggiti, nitriti e odori … Ovviamente l’ottica era quella igienista e funzionale – e non certo conservativa – ma,
senza dubbio, al nuovo Piano regolatore sarebbe toccato ripensare anche a tutto
questo, compreso il problema dei pedoni. Infatti
gli Edili pensarono [già nell’Ottocento] nelle città commerciali alla protezione
160 “La prolungazione di via Carducci”, in Il Popolo di Trieste, 27 agosto 1933, p.3. Per viale Sonnino: “La
costruzione del viale Sonnino”, in ivi, 2 agosto 1934, p.4; “Bruttezza delle cose vecchie sul nuovo viale Sonnino”,
in ivi, 29 agosto 1934, p. 2.
161 “Le demolizioni del ‘borgo Maurizio’”, in Il Popolo di Trieste, 12 agosto 1934, p. 4.
162 “La breccia di Tor Cucherna. La nuova strada comunale tra la via Capitolina e la zona di città vecchia
… inaugurata il 28 ottobre”, in Il Popolo di Trieste, 17 ottobre 1933, p. 2.
163 “Il problema della circolazione stradale”, in Il Popolo di Trieste, 4 novembre 1933, p.5. Anche
“Circolazione stradale. Pedoni e veicoli a Trieste”, in ivi, 8 novembre 1933, p.2.
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dei pedoni creando i marciapiedi: Parigi li ebbe già nel 1782 e generalizzati nel
1823 … A Trieste, il Borgo delle Saline, tracciato nel 1732 ebbe i paracarri o
colonnini … che durarono fino alla fine dell’Ottocento, allorché fu ordinato
l’alzamento delle zone marciapiedi di 10 cm sul livello della carreggiata.
Nell’aprile del 1934 su Urbanistica, la rivista torinese che rappresentava uno
dei principali coaguli della Disciplina in Italia, ad Arturo Midana veniva affidata
la segnalazione dei lavori che si stavano compiendo a Trieste sul corso Vittorio
Emanuele, attraverso la recensione di un saggio del triestino Giulio Cesari:
il vecchio Corso sta per mutare aspetto: già riordinato nel sottosuolo e modificato nei marciapiedi e nei binari, fra breve sarà ampliato con l’abbattimento di
un primo gruppo di case. Nel Settecento quando la Compagnia Orientale
costituì a Trieste un centro di affari, eresse le sue case e magazzini addossati
esternamente alle vecchie mura merlate della città, l’odierna via D’Annunzio
sino a circa la piazzetta San Giacomo. Decaduta dopo tre soli anni la Compagnia, Carlo VI ne trasformò il cantiere in Arsenale, incoraggiando l’erezione di
nuove case nel nuovo borgo. Quando nel 1749 Maria Teresa fece abbattere la
cinta turrita dell’antica Trieste “per fondere la nuova, che cresceva, alla vecchia
città” già esisteva una “Contrada nuova” avente alla destra le case della
defunta Compagnia e alla sinistra, sulla scacchiera delle antiche saline, le
nuove case. Così nacque il Corso attuale. La contrada, detta anche “Grande”
(misurava 16 metri) si sviluppò, raggiungendo successivamente le “barriere”
dei dazi e divenne il centro del movimento cittadino. Il nome di “Corso” le
pervenne con l’istituzione nel 1783 dei corsi mascherati nei giorni del Carnevale. La fortuna di questa via crebbe con gli anni. I suoi marciapiedi non erano
rialzati, ma limitati da paracarri sorreggenti lampioni o aste di ferro sopportanti le armature delle tende dei negozi che – d’estate – coprivano e fiancheggiavano quasi ininterrottamente i marciapiedi. Negli ultimi anni antecedenti la
Guerra, il Comune aveva pensato all’allargamento del Corso e sei grandi edifici
erano stati costruiti sulla nuova linea di fabbricazione: il Piano regolatore
attuale trasformerà i Corso anche nella parte finora intatta. Ciò avverrà senza
alcuna offesa a monumenti storici ed artistici perché sul Corso non ve ne
sono164.
164 A. MIDANA, recensione a “Giulio Cesari, Storia del corso Vittorio Emanuele III a Trieste, in ‘Rivista
mensile della città di Trieste’, aprile, 1934”, in Urbanistica (Torino), 4, luglio-agosto, 1934, p. 239. Una veloce
segnalazione del Piano in V. CIVICO, “La situazione urbanistica delle principali città italiane nell’attesa della
nuova Legge”, in ivi, II, 5, 1933, p.170. Poi per i lavori: “La sistemazione del corso Vittorio Emanuele III”, in
Il Popolo di Trieste, 9 febbraio 1934, p.3; “I lavori sul Corso”, in ivi, 24 febbraio 1934, p. 2; “Nuova assegnazione
di lavori comunali. La pavimentazione del Corso”, in ivi, 3 marzo 1934, p. 2; “I lavori sul corso Vittorio
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E, naturalmente, dopo il Corso sarebbe stata la volta “di via Roma e
Carducci”165; e quindi anche di “via Mazzini”166; e soprattutto di “viale Sonnino”167, nuova direttrice fondamentale, mentre sulle rive era ormai assicurato il
collegamento e la sistemazione del corso Cavour168.
4. “Sua maestà il piccone”: provvedimenti ‘in anticipo’ di risanamento
per “Cittavecchia”
Ben prima che il Piano regolatore venisse definitivamente approvato, si
erano posti in essere una serie di interventi che il Comune e i Privati promuovevano puntualmente: mantenuti all’interno dell’’orizzonte’ delle previsioni del
“Piano Grassi” del 1925, pur non approvato, essi erano venuti a mutare il volto
della città in varie porzioni. La visione che si aveva di quegli interventi era
radiosa, poiché occorre “una ritardata ma non rimandabile demolizione di molti
stabili inabitabili e dell’auspicato sventramento di Cittavecchia, non per rifarla
come un rione di gente povera, ma come un rione degli affari: la ‘City’”169.
Dopo il 1934, al Piano definitivo sarebbe toccato recepire quegli ‘orizzonti’
facendoli diventare provvedimenti di attuazione. Nel frattempo si operava mettendo in evidenza le “Spese rinviabili e necessità urgenti”170, ma soprattutto
coordinando “La sparizione di via dell’Angolo”171 dato che “nessuna Commissione dei Monumenti si commuoverà … poiché il 700 era stato assai povero,
architettonicamente, a Trieste”172; ovvero “sperando nell’invocato esonero delle
tasse da parte del Ministero delle Finanze che permetterà di sventrare, riordinare, assanare il rione di Cittavecchia, che da quasi mezzo secolo attende il
Emanuele saranno ultimati entro aprile”, in ivi, 22 marzo 1934, p. 4.
165 “Dopo la sistemazione del Corso quella di via Roma e via Carducci”, in Il Popolo di Trieste, 1 aprile
1934, p. 4.
166 “Nuovi lavori comunali. a sistemazione delle vie Roma e via Mazzini”, in Il Popolo di Trieste, 29 luglio
1934, p. 4.
167 “La costruzione del viale Sonnino”, in Il Popolo di Trieste, 2 agosto 1934, p. 4.
168 GODOLI, Trieste …, cit., p. 202-204.
169 “Il problema della casa a Trieste. L’attività dell’ICAM nel 1930”, in Il Popolo di Trieste, 17 maggio
1931, p. 4. Il riferimento ad una “city” in prospettiva era già presente nel dattiloscritto della “Relazione” di
Piano: P. GRASSI, Piano regolatore e di ampliamento della città di Trieste, (Trieste, 1924), p.20, dattiloscritto in
MARIN, “Progetto di sventramento …”, cit., p. 116.
170 “Cittavecchia e il Piano regolatore. Spese rinviabili e necessità urgenti”, in Il Popolo di Trieste, 8
febbraio 1930, p. 5.
171 “La sparizione di via dell’Angolo. Le demolizioni e il Piano regolatore”, in Il Popolo di Trieste, 21
gennaio 1931, p. 4.
172 “Scorci di Cronaca. La demolizione della casa di via d’Angolo in piazza Cavana, n.2”, in Il Popolo di
Trieste, 27 gennaio 1931, p. 4.
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piccone”173. E per questo si procedeva con “L’intervento di Sua Maestà il
piccone”174.
Il Piano regolatore, dunque, era già stato avviato, almeno per Cittavecchia,
ben prima dell’approvazione del 1934.
Nel 1933 si procedeva alla soluzione di una delicata questione amministrativa che aveva bloccato per anni le opere. Era un bel “passo innanzi verso lo
sventramento di Cittavecchia”:
il progetto di sventramento è del 1926 … ma alla fine del 1933 non ha fatto un
passo innanzi … In sette anni c’è tempo sufficiente perché i centri urbani
mutino sette volte, ma nel caso dell’annullamento del contratto con la “Società
Grandi Imprese Pubbliche” [che avrebbe dovuto eseguire l’opera] anziché
essere un passo indietro, è un bel passo innanzi. Il Comune è liberato da ogni
obbligo oneroso … Naturalmente occorrerebbe possedere finalmente un Piano regolatore, perché senza Piano regolatore non si può parlare di sventramento e neanche di semplice assanamento. … E avuto finalmente questo benedetto
Piano regolatore vedrà il Comune di avviare lo sventramento a piccole dosi …
Ci sono una ventina o più di casupole e catapecchie le quali appartengono al
Comune: si abbattano! Poi si chiede, come per le case di via Arcata, l’espropriazione per determinati gruppi d’altre case … In Cittavecchia c’è però poco
da risparmiare. Bisogna far largo di sopra per poter assanare il sito. Qualcuno
parla di ripristinare su i fianchi del Colle Capitolino la boscaglia che i Romani
trovarono 2000 anni fa … C’è posto anche per il verde, ma non troppo … Si
può, sulla parte ripida, tra Donota e San Giusto, creare una serie di villette
circondate da giardini, ma risulterebbero costose. Figurarsi se si volessero
formare parchi e giardini estesi! Chi ha in questi calamitosi tempi i milioni da
destinare per immergere il centro storico di Trieste in un’oasi di verde? Si
demoliscano venti e più casupole. Si chieda l’espropriazione per altri gruppi di
case … Si dichiarino inagibili tutte le case davvero antigieniche e staticamente
malferme. Il resto verrà da se175.
Era una prospettiva rosea, ovviamente, ma almeno si comprendeva la necessità di un “Consorzio assanatore” che gestisse le opere, sulla scorta dell’uscita dei
Disegni di Legge per Fiume e Trento176.
173 “Possibilità di lavoro edilizio. Dopo l’adunata della Consulta Municipale”, in Il Popolo di Trieste, 25
giugno 1931, p. 4.
174 “L’intervento di Sua Maestà il piccone. Il problema di Cittavecchia”, in Il Popolo di Trieste, 20 marzo
1932, p. 4.
175 “Un passo innanzi verso lo sventramento di Cittavecchia”, in Il Popolo di Trieste, 7 settembre 1933, p. 3.
176 “L’assanamento di Cittavecchia”, in Il Popolo di Trieste, 20 settembre 1933, p. 2.
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Paolo Grassi, Piano regolatore di Trieste, il progetto per il nuovo Corso del Littorio (da “il
Piccolo”, 27 gennaio 1934)
Le opere nel frattempo continuavano anche sulla scorta delle numerose
denunce relative alle “case inabitabili di Cittavecchia”:
una casa inabitabile sarà ora demolita … Così si riprenderà quella lenta ma
progressiva demolizione di tutte le vecchie, luride, maleodoranti e antigieniche
casupole che deturpano il Colle Capitolino, la quale era già nel programma
delle Amministrazioni dell’anteguerra … Un progetto dell’anno 1896 prevedeva la richiesta di una Legge speciale al Parlamento di Vienna … E il progetto
– ch’era d’un architetto milanese – prevedeva … d’imitar Milano, con la
creazione d’una galleria tipo quella di piazza Duomo a Milano e qualche via
con case e portici. I nostri vecchi amavano però che lo straniero che, scendendo
a Trieste, si vedesse subito in una città italiana, tagliata cioè sul tipo della
metropoli lombarda. Anche nel 1840, alcuni Soci del “Casino vecchio” –
fondato o resuscitato da Domenico Rossetti – il quale era un po’ il club politico
che dirigeva lo spirito pubblico, pensavano la costruzione d’un grande edificio
“moderno” che dovesse essere un po’ come la “Camera del Commercio”,
chiamavano un architetto milanese a progettarlo e gli raccomandavano di
metterci dentro una galleria come quella che Milano aveva sulla Corsia dei
Servi. Così Trieste ebbe la sua Galleria del Tergesteo ad imitazione di Milano.
Alla vigilia della Guerra fu pure un architetto milanese che piantò sul viale
dell’Acquedotto la massa solenne del Teatro Eden … Ora per Cittavecchia,
rispetto ai grandi progetti, meglio il procedimento della “Dichiarazione di
inabitabilità” … E ciò per i ¾ o 4/5 della case di Cittavecchia. Con questo
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F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
metodo e l’abbattimento si è già fatto largo … Così si arriva allo sventramento
a piccole dosi … in molti decenni, ma si arriva177.
Infatti
dopo la demolizione di alcune case presso la torre Cucherna in via del Crocifisso … opera lenta di demolizione di case inabitabili .. si badi agli effetti di
queste piccole operazioni di “diradamento” che … con le recenti opere ordinate dal Podestà … si è effettivamente iniziato il pratico sventramento e
assanamento di Cittavecchia178.
Un ‘metodo di assanamento’ che diventava paradigma igienico, poiché “per
molti quartieri di Trieste “assanamento”, oltre ad acque e fognature, vuol dire
“piccone””179.
Faceva il punto poco prima di quell’approvazione del Piano, nel gennaio del
1934, la serie dei “criteri fondamentali” approvati dal Duce per la città:
2. Il rinnovamento del centro.
La demolizione e lo sventramento di due vaste zone del centro [risulta opera
fondamentale].
a. Una di queste aree comprende le vecchie case di via dell’Arcata e del
Solitario … b. l’altra zona di demolizione è quella di Cittavecchia, situata
propri nel centro cittadino a ridosso del Corso e di piazza dell’Unità: la piccola
e modesta Trieste medievale è un groviglio di viuzze e casupole malsane e tetre
… I primi studi [per la demolizione] risalgono all’anteguerra, poi alcuni anni
or sono il Comune affidò l’esecuzione di lavori ad una Società che non riuscì
ad intraprendere alcuna attività. Liberato da ogni impegno, oggi il Comune
non attende altro che il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici dia sollecitamente la sua approvazione al Piano regolatore. Alcune strade pittoresche,
come la via Donela e la via San Sebastiano saranno conservate. Scoperti e
riattati gli avanzi del Teatro Romano e d’altri ruderi, la vecchia città sarà
scomparsa quasi completamente per lasciare in luce la sua parte più nobile180.
Non c’era, dunque, che da procedere.
177
“Le case inabitabili di Cittavecchia”, in Il Popolo di Trieste, 29 settembre 1933, p. 2.
“Il piccone lavora … in Cittavecchia”, in Il Popolo di Trieste, 19 ottobre 1933, p.4.
179 “In tema di salute pubblica”, in Il Popolo di Trieste, 19 ottobre 1933, p.2.
180 A. NICOTERA, “L’approvazione del Duce ad un vasto piano di opere pubbliche a Trieste”, in Il
Popolo d’Italia (Milano), 9 gennaio 1934, p. 3.
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5. Restauri monumentali e identità cittadina: il caso di San Giusto, del
“Colle Capitolino” e la “rivendicazione archeologica di Tergeste romana”
Nell’ultimo lustro dell’’Era Pitacco’ fervevano anche lavori di restauro alla
cattedrale di San Giusto, come anche quelli sul colle dove si trovava la Cattedrale
stessa, che era stato la sede dell’antico Capitolium romano (il cosiddetto “Colle
Capitolino”). Motivi storici si connettevano, dunque, a interessi di chiara politica
cittadina e nazionale181, riscoprendo/accentuando la Romanità/Italianità di Trieste.
5.1. La cattedrale di San Giusto
Tra i pochi fulcri monumentali di una città che era in gran parte settecentesca e ottocentesca – a livello di patrimonio storico – si poneva la basilica di San
Giusto, che richiedeva una sistemazione complessiva Nel 1930 si programmavano i lavori per l’abside182, “Un dovere dei Triestini”183, per il quale anche “Il
Governo dà altre 200.000 lire per i restauri”184. Il problema delle sottoscrizioni
era molto sentito e serviva dunque un chiaro ‘programma’ delle opere, specie in
relazione all’abside, che necessitava degli interventi di riordino più importanti:
i muri dell’abside vanno irrobustiti, nella parte di fondo furono però aperti
cinque finestroni, la calotta fu ricostruita di sana pianta e per una felice
coincidenza fu possibile acquistare a prezzo eccezionale una partita di marmo
greco antico Cipollino, che formerà l’incrostazione sontuosa del coro, degno
piedistallo al mosaico del semicatino e della relativa grande volta; mentre il
prof. Guido Cadorin dallo scorso luglio rinchiuso nell’armatura a gabbia sopra
l’altare maggiore, lavora indefessamente ai cartoni per la realizzazione del suo
ideale185.
181 G. BANDELLI, “Per una storia del mito di Roma al confine orientale: Archeologia e Urbanistica
nella Trieste del Ventennio”, in Il Teatro romano di Trieste. Monumento, Storia, Funzione, a cura di M.
Verzar-Bass, Roma, 1991.
182 “Il restauro di San Giusto. Un’adunanza del Comitato cittadino”, in Il Popolo di Trieste, 9 aprile 1930,
p. 5: “il Comitato per le decorazioni dell’abside, insediato da un anno e con ragguaglio dell’ing. Sopr. Forlati
circa i lavori già eseguiti e quelli da eseguirsi”.
183 “La nuova abside di San Giusto. Un dovere dei Triestini”, in Il Popolo di Trieste, 11 aprile 1930, p. 5.
184 “Il Governo dà altre 200.000 lire per i restauri di San Giusto”, in Il Popolo di Trieste, 29 giugno 1930,
p. 6.
185 “Per la decorazione dell’abside di San Giusto”, in Il Popolo di Trieste, 4 maggio 1931, p. 4.
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Le opere non erano comunque prive di polemiche e anche il Popolo di
Trieste scendeva in campo per difendere quanto si andava realizzando: “i lavori
di restauro sono in buone mani e nulla viene eseguito se non dopo un lungo e
minuzioso studio”186, a seguito dei dubbi espressi da più parti sui silenzi che
circondavano i lavori187. Nel 1932 le opere di restauro all’edificio medievale era
ormai molto avanzate e si dovevano terminare i lavori all’abside:
nel cantiere dietro e sopra l’altare maggiore il lavoro ferve allegramente e il
prof. Cadorin ne è naturalmente l’anima … tanto è vero che, a malincuore,
questa volta non espone nulla alla Biennale di Venezia. E insieme a lui
lavorano due mosaicisti: il prof. Bartello, suo nipote, e il prof. Signorini di
Ravenna, nonché la sua gentile Signora, assolta mosaicista essa pure … Aggiungiamo poi due aiuti per i fondi e per le parti meno importanti delle
figure188.
Il team di professionisti restauratori era dunque particolarmente nutrito, per
un programma iconografico complesso che si stava profilando finalmente anche
presso l’Opinione pubblica:
notoriamente le figure maggiori, che animeranno il mosaico, sono dieci; sei
“Martiri triestini” nella volta sopra l’altare e nel catino; il “Redentore che
incorona la Vergine” in mezzo a due “Cherubini” poi quattro medaglioni con
i simboli degli Evangelisti che ornano la fascia sotto l’arco trionfale. Ora, delle
figure maggiori, quattro sono quasi finite (“Sergio”, “Apollinare”, “Eufemia”
e “Tecla”) come pure sono già eseguiti i simboli evangelici … così che per la
fine dell’anno il mosaico sarà ultimato in ogni sua parte189.
186 Rico
LONATO, “Sui restauri a San Giusto”, in Il Popolo di Trieste, 12 maggio 1931, p.4.
“Come procedono i restauri. L’enigma di San Giusto”, in Il Popolo di Trieste, 31 maggio 1931, p.4.
188 Guido Cadorin (Venezia 1892 – 1975), fu artista assai affermato nei primi decenni del Novecento,
compiendo il proprio percorso artistico tra Liberty, Secessionismo, “Realismo magico” e Novecento. Nato in
una famiglia di artisti (il padre e due fratelli erano scultori, sua sorella Ida era pittrice), era già presente alla
Biennale di Venezia del 1908 quando una sala venne dedicata alla produzione della famiglia Cadorin.
Eccezionali le sue doti di artista dell’affresco e di decoratore, nella convinzione che la Pittura dovesse
intersecarsi con l’Architettura e con le arti Applicate (come nel caso del mosaico). Le opere che lo resero
particolarmente noto furono la decorazione del Grande albergo degli Ambasciatori a Roma (progettato da
Marcello Piacentini, rappresentato da Cadorin insieme anche a Giò Ponti e a Roberto Papini) e soprattutto
quella della “Stanza dei sonni puri” (“Zambra del misello” cioè Camera del povero o “Stanza del lebbroso”),
del Vittoriale (Gardone Riviera) dove, ospite di Gabriele D’Annunzio, egli lavorò tra il 1924 e il 1925. Cadorin
divenne allora uno dei principali Artisti del Poeta, curando, al Vittoriale, anche l’esecuzione delle vetrate, delle
lampade, delle dorature, del letto a forma di culla-bara, del rivestimento delle pareti in pelle di camoscio, oltre
a dipingere opere notevoli come “Cristo e la Maddalena” e “San Francesco che abbraccia D’Annunzio lebbroso”.
L’artista fu poi di nuovo alla Biennale nel 1924 e, a partire dal 1936, alcuni anni dopo la fine degli impegni
triestini, vi partecipò ininterrottamente. V. TERRAROLI, G. Cadorin, in Dizionario Biografico degli Italiani,
Roma, vol.34, 1988, ad vocem.
189 “Pro abiside di San Giusto. Offerte”, in Il Popolo di Trieste, 27 aprile 1932, p. 4. La navata centrale
187
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Quindi
la Consulta comunale diede parere favorevole alla partecipazione del Comune,
per cinque anni, alla copertura del fabbisogno per i completamento della
decorazione musiva dell’abside di San Giusto. Il resto sarà compito della
Provincia, del Consiglio provinciale dell’Economia Corporativa e della Cassa
di Risparmio190.
Nel 1933, ad ottobre, si faceva ancora il punto dei lavori, nel programmatico
“A San Giusto: ciò che si è fatto e ciò che resta da fare nei restauri”191. Poi
finalmente l’annuncio che “La rinnovata abside di San Giusto sarà solennemente
scoperta il 3 novembre”192.
della Cattedrale – che era stata fatta innalzare dal vescovo Rodolfo Pedrazzani (1303 - 1320) dall’unione di due
basiliche paleocristiane parallele affiancate da un battistero – venne risistemata dopo il 1843 con decorazioni
in legno e quadri donati da Massimiliano d’Asburgo. Nel catino dell’ abside centrale era presente una
decorazione ad affresco, raffigurante l’“Incoronazione della Vergine”, opera dei pittori friulani Domenico di
Giovanni, detto “Lu Domine”, e Antonio Baietto, del 1421- 1423 (i resti degli affreschi originali, ovvero le teste
della Vergine e del Cristo, sono ora visibili presso i Musei Civici di Storia ed Arte di Trieste); alla metà del XIX
secolo quella decorazione venne sostituita da un soffitto cassettonato di gusto neoclassico, con, nella parte
centrale, un lucernario di forma circolare. Dopo l’unione di Trieste all’Italia la presenza asburgica nella
cattedrale fu reputata troppo ‘ingombrante’ e dunque si decise di procedere al rifacimento dell’intero altare,
mentre i quadri ‘asburgici’ venivano riposti nei magazzini dei Musei civici (venne lasciato solo il lampadario in
ferro battuto che sovrasta la navata centrale, fatto forgiare da Massimiliano per la Sala del trono del suo castello
e poi donato alla cattedrale prima di partire per il Messico). Dunque, nel 1926, il Comune di Trieste decideva
di indire un Concorso per la nuova decorazione, in mosaico e in marmo, dell’abside maggiore. Vennero
premiati ex aequo nel 1927 i bozzetti presentati dal veneziano Guido Cadorin (1892 - 1976) e dal triestino
Guido Marussig (1885 - 1972), ma poi fu adottato il progetto di Cadorin, che sembrava meglio armonizzarsi
alle strutture preesistenti. La campagna di riallestimento e restauro vennero però intensamente condotta
durante il 1932, quando non fu solo realizzato il mosaico absidale e il pavimento in marmi preziosi, ma vennero
anche staccati dalla facciata gli intonachi settecenteschi e il sagrato fu notevolmente abbassato. Furono
riportati in luce i piccoli conci di “masegno”, che col loro colore caldo esaltano le candide strutture del rosone
e dei portali, mentre le pietre tombali vennero sistemate dietro l’abside. Il grande mosaico absidale celebra
l’unione di Trieste all’Italia: vi è raffigurata l’”Incoronazione della Vergine”, circondata dalla teoria dei martiri
triestini, da angeli e simboli. L’inaugurazione avvenne il 3 novembre 1933. Si veda: A. MARAINI, “Mosaici
dell’abside di San Giusto a Trieste”, in Architettura e Arti Decorative (Roma), XIII, 1934, p. 597-601; R.
MARUSSI, “I Mosaici di Guido Cadorin nella basilica di San Giusto a Trieste”, in Arte Cristiana (Milano),
XXI, 1939, p. 338-341. Cfr. D. GIOSEFFI, I mosaici parietali di San Giusto a Trieste, Trieste, 1975; San Giusto:
ritratto di una cattedrale, Catalogo della Mostra, a cura di M. Vidulli Torlo, Trieste, 2003.
190 “Una seduta della Consulta Municipale presieduta dal Podestà, sen. Pitacco”, in Il Popolo di Trieste,
13 maggio 1932, p.4.
191 “A San Giusto: ciò che si è fatto e ciò che resta da fare nei restauri”, in Il Popolo di Trieste, 8 ottobre
1933, p. 4.
192 “La rinnovata abside di San Giusto sarà solennemente scoperta il 3 novembre”, in Il Popolo di Trieste,
26 ottobre 1933, p.4. E dunque “Lo scoprimento dell’abside maggiore a San Giusto”, in ivi, 2 novembre 1933,
p.4; “Le odierne solennità a San Giusto alla presenza di S.A.R. la Duchessa d’Aosta”, in ivi, 3 novembre 1933,
p.2; “S.A.R. la Duchessa d’Aosta presenzia a San Giusto la solenne cerimonia per l’inaugurazione dell’abside
rinnovata”, in ivi, 4 novembre 1933, p. 3; F. FORLATI, “La Cattedrale di S. Giusto”, in Archeografo triestino,
serie III, XVIII, 1933, p. 387-400.
424
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
5.2. Il “Colle Capitolino”: la valorizzazione moderna dei resti romani
La basilica di San Giusto non era solo importante per la sua identità di
chiesa vescovile medievale cittadina, ma anche per occupare il sito dell’antico
Capitolium romano: si poneva dunque particolare attenzione anche alla sistemazione delle aree limitrofe, dove si individuava appunto la presenza del “livello
romano”193 e degli antichi resti. Per la sistemazione del Colle, il Sindaco/Podestà
chiedeva importanti pareri, quali quelli di Antonio Munoz e di Corrado Ricci194.
Ovviamente il punto di partenza era il rinvenimento dei livelli e dei resti
antico romani:
per il monumento a Severo … della sua collocazione sapremo. Ed altro ancora
come il tempio Capitolino, quando il Podestà darà ordine di smuovere
quell’ammasso di terra che ingombra e deturpa il suggestivo piazzale [di San
Giusto] … e ordinando di sterrare anche la vasta superficie dinanzi al Museo
… Si rimetteranno allora in piedi gli edifici che fiancheggiavano a Levante la
platea romana … ridonando al piazzale lo sfondo architettonico romano195,
con una chiara lettura archeologica volta dunque alle sistemazioni contemporanee. Sempre in ‘chiave archeologica’ di grande importanza erano “gli scavi a San
Giusto (sospesi e ora ripresi) che fanno parte della più importante opera di
rivendicazione archeologica della Tergeste romana che era stata già iniziata dal
Governo”196.
Il problema degli scavi non era dunque da poco e si associava strettamente
alla valorizzazione della memoria medievale della Cattedrale:
l’architetto [Guido] Cirilli aveva detto: “se volete fare cosa logica (negli scavi),
tornare a livello romano del piazzale dinanzi alla basilica”. Fu ascoltato a metà:
si trovò che riprendere l’antico livello avrebbe ‘appollaiato’ la chiesa ad un
livello … illogico; e non se ne fece nulla. Per fortuna venne poi a Trieste il
comm. Forlati, che si affezionò subito alla città e a San Giusto … ed egli trovò
193
G. Cesari, “Gli scavi dinanzi a S. Giusto”, in La Rivista Mensile della città di Trieste, 6, 1931, p. 10-12.
“La sistemazione del Colle Capitolino di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 12 aprile 1932, p. 3. E poi:
C. CESARI, “Il Piano regolatore, lo sventramento di Cittavecchia e sistemazione del colle di San Giusto”, in
Rivista mensile della città di Trieste, 10, ottobre, 1932, p. 337-345; P. GRASSI, “Progetto di sventramento di
Cittavecchia e sistemazione del colle di San Giusto, in Rivista mensile della città di Trieste, 10, ottobre, 1932, p.
340. Cfr. E. GODOLI, Trieste …, cit., p. 196-198; A. MARIN, “Progetto di sventramento di Cittavecchia e
sistemazione del colle di San Giusto”, in Trieste. Guida all’Architettura (1918-1954) …, cit., p. 117-118.
195 “Trieste romana. L’interessante conferenza di Piero Sticotti … alla presenza di S.A.R. il Duca
d’Aosta”, in Il Popolo di Trieste, 7 aprile 1932, p. 4.
196 “La ripresa dei lavori comunali deliberati dal Podestà”, in Il Popolo di Trieste, 12 aprile 1932, p. 3.
194
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
425
che “se non tutto” almeno qualche cosa dell’idea cirilliana poteva essere
attuato197.
Ma ovviamente, non era mancata anche una decisa attenzione per il Castello, “la Soprintendenza curerà il restauro (certe stampe antiche lo mostrano
merlato) e toglierà le sovrastrutture recenti, liberando talune parti che si suppone conservino nascoste caratteristiche proprie delle fortificazioni del XV, XVI e
XVII secolo”198, per cui il nuovo Piano regolatore ne ribadiva la vocazione
monumentale e ‘identitaria’ ormai ben delineatasi, in vista della sua destinazione
a “Musei Civici con una sala del Rinascimento”199.
Sempre sul Colle, infine, oltre al Parco della Rimembranza, un ennesimo
fulcro simbolico era costituito anche dal nuovo Monumento ai Caduti. Inizialmente si era previsto di collocarlo presso piazza Oberdan, ma alla fine si era
deciso che Guglielmo Oberdan avrebbe avuto il proprio cenotafio dove era stato
ucciso, mentre il Sacrario ai Caduti della Prima Guerra Mondiale sarebbe
migrato a San Giusto200.
Di entrambi era autore Attilio Selva, lo Scultore ‘di riferimento’ per le opere
monumentali cittadine: “lo Scultore ha informato sullo stato dei lavori per il
Monumento a Oberdan [da inaugurarsi entro il prossimo anno] … mentre il
Podestà ha raccomandato allo Scultore di sollecitare anche i lavori per il Monumento ai Caduti sul colle di San Giusto”201.
6. Il miglioramento della qualità urbana: nuovi lavori per strade, piazze,
gallerie …
L’andamento del bilancio comunale, prima dell’approvazione del Piano
regolatore, prevedeva la realizzazione di una serie di opere puntali che dovevano
comunque migliorare la qualità urbana. Ovviamente, al Piano veniva poi demandato il coordinamento di tutte quelle opere:
si conservano all’incirca le stesse dotazioni del precedente bilancio … con
197 “I lavori intorno a San Giusto”, in Il Popolo di Trieste, 20 aprile 1932, p.4. e prima: “Provvedimenti del
Rettorato della Provincia per l’abside di San Giusto”, in Il Popolo di Trieste, 9 marzo 1932, p. 4.
198 “Il Castello proprietà comunale (e la cessione di aree)”, in Il Popolo di Trieste, 22 gennaio 1930, p. 4.
199 “Il Castello di Trieste destinato a Musei Civici e una Sala del Rinascimento”, in Il Popolo di Trieste,
26 ottobre 1933, p. 5. Considerazioni su un articolo uscito al proposito sulla Rivista della città di Trieste, 8, 1933;
“Il restauro del Castello”, in ivi, 25 settembre 1934, p. 4.
200 “L’ubicazione del Monumento ai Caduti”, in Il Popolo di Trieste, 4 febbraio 1931, p.4. Poi: “Il
Monumento ai Caduti. La sistemazione della Zona Capitolina”, in ivi, 3 ottobre 1934, p. 2.
201 “Attilio Selva a Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 17 marzo 1931, p. 4.
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pavimentazione di strade in arenaria, porfido, granito, asfalto o maccadam …
Il completamento di lavori di sistemazione della riviera di Barcola, la sistemazione di strade: la regolazione di via Tor di San Pietro e di parte di via
dell’Eremo e della via Navali; lo spostamento di via Lavoratori tra lo Jutificio
e le Cooperative Operaie; l’inizio di una nuova strada tra il passeggio di
Sant’Andrea e la via del Roncheto … e la copertura del torrente di San Cilino.
Poi la costruzione di un nuovo edificio all’ingresso del cimitero di Sant’Anna
… un nuovo edificio scolastico in via Sant’Anna e … la sistemazione di viali al
Cimitero202.
C’era poi “L’inaugurazione del mercato all’ingrosso in piazza Verdi”203. Ma
era soprattutto nel 1932, che l’attività comunale si puntualizzava:
viste le condizioni particolarmente difficili, il Comune non poteva largheggiare
in preventivi di grandi opere pubbliche … Tuttavia il Podestà fece inserire nel
“Bilancio di Previsione” un notevole lotto di lavori di pubblica utilità come 1.
La sistemazione del Lungomare di Cesas; 2. La sistemazione di vie (Segantini,
dell’Eremo, San Giusto, ai Navali, tra il passeggio di Sant’Andrea e via
dell’Istria …); 3. La costruzione di un edificio per i senzatetto a Santa Maria
Maddalena Inferiore … Dunque soprattutto sistemazioni dei Lungomare,
sistemazione e pavimentazione di strade, condutture idriche ed elettriche204.
I lavori erano decisamente articolati, ma tutti concorrevano alla modernizzazione della città:
finalmente si svolgono i lavori al Cimitero … e poi il piazzale d’accesso e la
strada laterale dello Stadio … E quindi le opere della Provincia … come le
costruzioni private facilitate dal Comune sull’area dell’ex caserma teresiana,
aeroporto [di idrovolanti], al corso Cavour, lo Stadio del Littorio, oltre alla
Caserma dei Carabinieri in via dell’Istria205.
In una seduta della Consulta Municipale si dettagliavano altri interventi:
202 “Il
bilancio comunale di previsione per il 1931 … Le spese per le opere pubbliche”, in Il Popolo di
Trieste, 1 febbraio 1931, p.4. Per le rive di Barcola: “Le sponde murate della Riviera di Barcola”, in Il Popolo
di Trieste, 11 febbraio 1931, p.4 (ma la costruzione veniva limitata a soli 100 metri).
203 “L’inaugurazione del mercato all’ingrosso in piazza Verdi”, in Il Popolo di Trieste, 9 maggio 1931, p. 4.
204 “Dieci milioni di nuovi lavori”, in Il Popolo di Trieste, 4 marzo 1932, p. 4.
205 “La ripresa dei lavori comunali deliberati dal Podestà”, in Il Popolo di Trieste, 12 aprile 1932, p. 3. E
prima: “L’imminente inizio dei lavori della nuova Caserma Carabinieri”, in ivi, 17 gennaio 1932, p. 4; “Trieste
avrà il Campo Littorio entro la prossima estate”, in ivi, 11 febbraio 1930, p.3; “I lavori dello Stadio del Littorio.
Una visita del dott. Perusino”, in ivi, 19 gennaio 1932, p.4. Per il Cimitero, i progetti erano stati riavviati fin dal
1930: “La sistemazione dell’ingresso [al cimitero di] Sant’Anna: [il vecchio progetto non attuato di Berlam
d’inizio Novecento] e le nuove previsioni”, in ivi, 21 marzo 1930, p. 3.
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
427
Camillo Jona, Schizzo prospettico per la progettazione del “Parco previsto sulle rovine dell’Anfiteatro romano”, allegato al “Piano Grassi” del 1934, 1932-1933
il Podestà comunicò che fu iniziata la costruzione di tre nuovi stabili privati
nella ex Piazza d’Armi, tra i quali quello dell’ing. Geiringer [Pietro, figlio di
Eugenio] e due dell’ing. Fornasir. E poi un serbatoio d’acqua in vetta a San
Giusto … Ma per questo la necessità di poter proseguire le pratiche al Ministero … per il percorso delle tubature d’alimentazione dell’acquedotto … I
Francescani Penitenzieri di Sant’Antonio hanno chiesto la concessione gratuita di un’area comunale in vetta al colle di San Vito per costruirvi la chiesa e il
convento (in via Carlo de Combi) e la Consulta diede parere favorevole per la
chiesa, mentre decideva di chiedere lire 30 al mq per il convento206.
Nuove strade venivano sistemate, come nel caso della “via Capitolina,
206 “Lavori
pubblici a Trieste per dodici milioni”, in Il Corriere della Sera (Milano), 24 luglio 1934, p.2.
428
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inaugurata il 27 ottobre 1929 poi richiusa … per le canalizzazioni”207. E quindi
l’estensione dell’illuminazione elettrica cittadina ad esempio a Basovizza208.
Anche nel 1933 venivano preventivati altri lavori e si trattava di opere per
“scuole, fognature, servizi pubblici (ultimazione del viale Sonnino, le fognature,
aule scolastiche, acqua ed energia elettrica)”209. E quindi le opere svolte e
inaugurate, come da prassi consolidata, nell’ottobre, in ricordo della “Marcia su
Roma”. Si trattava di “Opere eseguite dal Comune” nel corso dell’anno:
1. Il nuovo ingresso al Cimitero di Sant’Anna su progetto dell’architetto Ruggero Berlam; 2. Il lungomare di Cedde a Miramare lungo la nuova Costiera; 3.
Il lavatoio di Cittavecchia; 4. La via nuova tra via Capitolina e viale Santa
Chiara con l’asilo nido “Regina Elena”; 5. La rimessa del tram; 6. Il serbatoio
dell’acqua s San Vito, il serbatoio a Monte Radio; 7. La sistemazione della
strada per Poggioreale. Il PNF inaugurerà la colonia “Principi di Piemonte” a
Banne; l’ICAM la nuova casa con 24 appartamenti in viale Sonnino210.
C’erano poi i lavori curati dal Genio Civile a livello provinciale211; le “Opere
marittime straordinarie” come “il porticciuolo all’esterno del molo Fratelli Bandiera (già in costruzione nel 1914)”212; e i lavori della “Provincia di Trieste” come
“la caserma dei Carabinieri di via dell’Istria, il Consultorio per l’Infanzia, l’acquedotto di Cossana”213; le opere dell’Opera Nazionale Balilla, come la “Casa
della Giovane Italiana”214.
207 “La
nuova via Capitolina”, in Il Popolo di Trieste, 11 marzo 1930, p.5.
elettrica inaugurata a Basovizza”, in Il Popolo di Trieste, 23 aprile 1932, p. 5; “L’Altopiano triestino elettrificato”, in ivi, 20 gennaio 1932, p. 4.
209 “Quindici milioni di lavori comunali annunciati dal Podestà alla Consulta Municipale”, in Il Popolo
di Trieste, 2 settembre 1933, p. 3.
210 “Le opere seguite dal Comune che saranno inaugurate il 28 ottobre”, in Il Popolo di Trieste, 10 ottobre
1933, p. 2. e anche: “I lavori stradali del Comune”, in ivi, 11 ottobre 1933, p. 2. Per la foto della “colonia
“Principi di Piemonte nella pineta carsica di Banne (ing. Lodovico Braidotti)”: “Bonifiche, acquedotti, strade,
case, scuole per il popolo nella Provincia di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 28 ottobre 1933, p. 5.
211 “Le opere del Genio Civile di Trieste che verranno inaugurate il 28 ottobre”, in Il Popolo di Trieste,
12 ottobre 1933, p. 4.
212 “Le opere del Genio Civile di Trieste che verranno inaugurate il 28 ottobre”, in Il Popolo di Trieste,
12 ottobre 1933, p. 4.
213 “Le opere della Provincia di Trieste che saranno inaugurate il 28 ottobre”, in Il Popolo di Trieste, 8
ottobre 1933, p.4. La foto della Caserma in “Bonifiche, acquedotti, strade, case, scuole per il popolo nella
Provincia di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 28 ottobre 1933, p. 5. E queste dopo che: “S.E il Prefetto visita la
nuova caserma in via dell’Istria”, in ivi, 30 settembre 1933, p. 2.
214 Si trattava della villa Haggiconsta, costruita su progetto di Ruggero Berlam nel 1889, commissionata
da Giorgio Haggiconsta, un ricco possidente di origine greco-russa. Negli anni Trenta l’edificio fu donato
all’Opera Nazionale Balilla, affinché lo destinasse a “Casa della Giovane Italiana” e, quindi, vennero eseguiti
dei lavori di adattamento, in particolare ai fabbricati di servizio. Cfr. La casa della Giovane Italiana a Trieste:
l’Opera Nazionale Balilla, Trieste, 1934; “La ‘Casa della Giovane Italiana’ inaugurata a Trieste dall’on. Ricci”,
208 “Illuminazione
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
429
Il che faceva comprendere come gli Enti attivi sul territorio municipale
fossero in verità diversi215 e come il Piano regolatore avrebbe comunque faticato
a mettere in ordine tutte le diverse iniziative.
Proprio nell’anno di approvazione del Piano, il 1934, il Corriere della Sera di
Milano dava conto delle importanti iniziative che si stavano avviando a Trieste:
si prevede la costruzione di un asilo infantile a Postumia; l’ampliamento
dell’ospedale psichiatrico provinciale; la costruzione di un dispensario antitubercolare a Trieste, la costruzione di un ponte in cemento armato che dovrà
unire l’isola di Grado alla terraferma; la rete idrica ed elettrica sul Carso … e
i tracciati stradali216.
E tra di essi c’era anche la Casa del Fascio, il cui iter veniva seguito anche
dalla rivista Architettura Italiana di Torino: “l’on. Marinelli ha presieduto una
riunione al Municipio di Trieste per l’esame di alcune proposte riguardanti la
Casa del Fascio di cui, con il principio dell’anno XIII, sarà iniziata la costruzione
… dopo esser stato bandito un Concorso nazionale”217.
La parola del duce, riportata da Alessandro Nicotera, era stata definitiva al
proposito, condensandosi in tre punti programmatici di opere pubbliche:
1. Estensione dei servizi.
Far giungere alle più lontane località della periferia … i servizi comunali …
attraverso le case per le istituzioni fasciste … la costruzione di scuole moderne
primarie … Poi l’estensione della luce elettrica all’estrema periferia .. e l’approvvigionamento dell’acqua da poco assicurato alla città dall’acquedotto …
Quindi la rete tramviaria dovrà essere riformata, prolungata e rinnovata ..
Infine la canalizzazione delle fogne … perché Trieste, nonostante favorita dalla
sua configurazione collinare e in pendenza verso il mare, è priva di canali di
scolo218.
Poi
in Corriere della Sera (Milano), 17 agosto 1934, p. 1; “S.E. Ricci inaugura a Trieste la ‘Casa della Giovane
Italiana’”, in Il Resto del Carlino (Bologna), 17 agosto 1934, p. 2; “La ‘Casa della Giovane Italiana’ a Trieste”,
in Popolo d’Italia (Milano), 30 agosto 1934, p. 6, “un’opera che ha senza dubbio del meraviglioso”. Da ultimo:
POZZETTO, I Berlam …, cit.,1999, p. 98-100.
215 “Bonifiche, acquedotti, strade, case, scuole per il popolo nella Provincia di Trieste”, in Il Popolo di
Trieste, 28 ottobre 1933, p. 5.
216 “Una seduta della Consulta Municipale presieduta dal Podestà, sen. Pitacco”, in Il Popolo di Trieste,
13 maggio 1932, p. 4.
217 “Trieste [e la Casa del Fascio]”, in Architettura Italiana (Torino), settembre, 1934, p. 325.
218 A. NICOTERA, “L’approvazione del Duce ad un vasto piano di opere pubbliche a Trieste” …, cit.
430
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
2. Il rinnovamento del centro.
La demolizione e lo sventramento di due vaste zone del centro [risulta opera
fondamentale].
a. Una di queste aree comprende le vecchie case di via dell’Arcata e del
Solitario, le quali scompariranno per il prolungamento dell’ampia e ben nota
via Carducci. Altre demolizioni completeranno dopo via Garibaldi il viale
Sonnino, aggiungendovi un tratto di circa mezzo chilometro e dando pieno
respiro a questa meravigliosa arteria larga 25 metri e che porta direttamente al
rione detto “caserme”, all’Ippodromo e alla strada per l’Istria219.
I dilemmi si erano però succeduti senza sosta e infatti “ora si presenterà agli
Edili comunali il problema della “Casa bizantina”, casa moderna (avrà cinquant’anni) non indegna di riguardo … Già nel 1926, per le necessità della
comunicazione di via Carducci con piazza Garibaldi, era stata emessa l’idea di
ricostruirla in altro punto”220.
Ancora nelle direttive impartire da Mussolini – recependo le indicazioni
della Podesteria - si indicavano ancora ai primi del 1934, come aspetto imprescindibile, le demolizioni “b. l’altra zona di demolizione è quella di Cittavecchia,
situata propri nel centro cittadino a ridosso del Corso e di piazza dell’Unità: la
piccola e modesta Trieste medievale”221. Molto c’era da fare, dunque, e da
intervenire.
6.1. Le scuole: un importante tema di sviluppo urbano (e di scelte ‘nazionalistiche’)
Già nel 1931 si prevedeva la costruzione di “un nuovo edificio scolastico in
via Sant’Anna”222; opera che continuava anche nel 1932, poiché “il Podestà fece
inserire nel “Bilancio di Previsione” un notevole lotto di lavori di pubblica utilità
come … il nuovo edificio scolastico a Sant’Anna, che dovrà servire alla nuova
popolazione scolastica del nuovo rione che va formandosi tra Sant’Anna, San
Sabba e Zaule”223.
Nella politica di espansione della città verso i colli, risultava fondamentale
la chiusura delle scuole slovene, ma a questo, fin dal 1931, venivano ricondotte
219
Ibid.
“La prolungazione di via Carducci”, in Il Popolo di Trieste, 27 agosto 1933, p. 3.
221 A. NICOTERA, “L’approvazione del Duce ad un vasto piano di opere pubbliche a Trieste”…, cit., p. 3.
222 “Il bilancio comunale di previsione per il 1931 … Le spese per le opere pubbliche”, in Il Popolo di
Trieste, 1 febbraio 1931, p. 4.
223 “Dieci milioni di nuovi lavori”, in Il Popolo di Trieste, 4 marzo 1932, p. 4
220
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
431
delle conseguenze evidenti, come la “Diminuzione degli scolari a Trieste”224.
Specifiche statistiche analizzavano l’andamento della “Popolazione scolastica a
Trieste negli anni 1929-1930”225, ma ormai veniva celebrato dalla propaganda
come un successo che, come trend decennale, si fosse verificata la diminuzione
della popolazione scolastica, specie nei rioni suburbani, connettendola al fatto
che “lì alloggiasse la popolazione allogena” cioè gli Sloveni226 (e senza voler
troppo sbandierare, invece, che vi era stato un deciso decremento delle nascite
legato alla crisi). La distribuzione delle scuole governative restava comunque
una priorità: ad essa si associava “la bonifica spirituale dell’Altipiano. L’opera
della Scuola elementare”227.
Numerose iniziative si susseguivano al proposito e quindi prima era la volta
dell’”Asilo dell’’Italia redenta’, ‘Margherita di Savoia’ inaugurato a Barcola”228,
“per un centinaio di bambini”229; poi dell’asilo di Villa Degani230; quindi della
Scuola comunale di Duttogliano “per circa 200 alunni”231. Si trattava di un
programma ormai ben collaudato e di grande efficienza che vedeva l’apertura di
“Nuove scuole rurali [esempio di] vita fascista nella terra Giulia”232, laddove
venivano pubblicati anche le foto dei due nuovi edifici realizzati.
Ma, forse inaspettatamente, anche la demolizioni in Cittavecchia venivano
ad aggravare il problema scolastico, perché alcuni istituti – come la scuola
“Felice Venezian” – sarebbero stati abbattuti. Serviva, insomma, un generale
riordino233.
E Alessandro Nicotera non mancava di ricordare che tra i punti programmatici individuati da Mussolini per Trieste c’era proprio “Estensione dei servizi.
224 “Diminuzione
degli scolari a Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 15 febbraio 1931, p. 4.
225 “La popolazione scolastica a Trieste negli anni 1929-1930”, in Il Popolo di Trieste, 13 febbraio 1931, p.
4.
226 “Com’è
distribuita a Trieste la scolaresca”, in Il Popolo di Trieste, 17 febbraio 1931, p. 4.
bonifica spirituale dell’Altipiano. L’opera della Scuola elementare”, in Il Popolo di Trieste, 21
gennaio 1932, p. 4.
228 ”Asilo dell’’Italia redenta’, ‘Margherita di Savoia’ inaugurato a Barcola,” in Il Popolo di Trieste, 19
settembre 1933, p. 2.
229 “Le opere del Genio Civile di Trieste che verranno inaugurate il 28 ottobre”, in Il Popolo di Trieste,
12 ottobre 1933, p. 4.
230 ”Asilo dell’’Italia redenta’, ‘Margherita di Savoia’ inaugurato a Barcola”, in Il Popolo di Trieste, 19
settembre 1933, p. 2.
231 “Le opere del Genio Civile di Trieste che verranno inaugurate il 28 ottobre”, in Il Popolo di Trieste,
12 ottobre 1933, p. 4. Anche: “Il XXVIII Ottobre sarà celebrato a Trieste con l’inaugurazione di imponenti
opere pubbliche”, in ivi, 25 ottobre 1933, p.2. E: “40 opere pubbliche a Trieste: l’elenco completo”, in ivi, 27
ottobre 1933, p. 2.
232 ”Vita fascista nella terra Giulia. Nuove scuole rurali”, in Il Popolo di Trieste, 28 ottobre 1933, p. 11.
233 ”Il risanamento di Cittavecchia e il problema delle scuole”, in Il Popolo di Trieste, 19 luglio 1934, p.4.
Ma poi: ”Il problema delle scuole felicemente risolto”, in ivi, 12 settembre 1934, p. 3.
227 “La
432
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
Far giungere alle più lontane località della periferia … i servizi comunali …
attraverso le case per le istituzioni fasciste … la costruzione di scuole moderne
primarie”234.
7. Una città ‘celebrativa’: fulcri urbani simbolici e nuovi monumenti per
“Trieste italiana”
Tra le prime preoccupazioni del Regime c’era stata quella di celebrare per
lapides e per fulcri monumentali la nuova condizione di Trieste, “città italianissima” non più solo in continuità con l’opera a suo tempo svolta dal Partito
Liberalnazionale, che aveva retto sotto il Governo asburgico il Comune per oltre
un cinquantennio, ma soprattutto attraverso una visibilità concretamente tangibile dell’opera del Fascismo. La ‘politica dei nuovi fulcri’ d’Italianità passava,
cioè, attraverso iniziative che nascessero esse stesse con un chiaro intento celebrativo e ‘identitario’ (oltre che economico, speculativo, amministrativo …). Un
aspetto questo non da poco in una “città di confine” dall’etnia eterogenea (e ora
‘etero-compattata’) e che, soprattutto, dopo il passaggio, all’Italia aveva visto
decadere la sua condizione economica. Serviva il rilancio dell’”Industria edilizia” e le nuove opere previste nel Piano regolatore, specie nella sua versione
‘disegnata’ nel 1931-1932, dovevano farsene carico.
Nel 1934, non a caso pochi mesi prima dell’approvazione ufficiale del nuovo
Piano, sul mussoliniano Il Popolo d’Italia di Milano usciva un articolo di Alessandro Nicotera che riassumeva il programma del Duce per Trieste:
l’inserimento dei problemi particolari della città di Trieste nel quadro dei
problemi regionali è di carattere prevalentemente politico … con la stretta
dipendenza dell’economia cittadina da quella internazionale … La grande
missione politica attribuita a Trieste dalla sua stessa posizione geografica
muove naturalmente lo scopo ultimo e più elevato d’ogni proposito. Il Duce
considera Trieste uno dei maggiori strumenti dell’espansione italiana e fascista
nel mondo e questo basta per assicurare alla città nell’avvenire più o meno
prossimo ben altri compiti all’infuori di quelli dell’ordinaria amministrazione235.
Trieste diventa cioè esempio di «città corporativa» in quanto inserita piena-
234
A. NICOTERA, “L’approvazione del Duce ad un vasto piano di opere pubbliche a Trieste” …, cit.
Ivi, p.3. Le realizzazione ottenevano poi attenzione nazionale: “Il volto nuovo che si prepara la città
di Trieste”, in Il Resto del Carlino (Bologna), 16 agosto 1934, p. 3
235
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433
mente nel ‘sistema corporativo’. I problemi certo non mancavano per fare tutto
ciò e soprattutto nell’ottica di una ‘politica pianificata’:
nel Dopoguerra – a causa dei prestiti bellici e del cambio della valuta – si trovò
col patrimonio privato e pubblico depauperato di oltre 1/3 … e per sopperire
ai vuoti del bilancio comunale lo Stato dovette anticipare notevoli somme …
Tanto enorme aggravio ha ostacolato grandi iniziative e poi la decisa rinascita
delle opere comunali … L’inizio della nuova fase della vita triestina – perché si
tratta di un vero e proprio anno storico per Trieste questo XII [1934] - data dal
giorno in cui il Duce ha ricevuto i nostri Gonfaloni … e nell’occasione gli veniva
esposto un Piano pratico completo.
Tra i tre punti del programma (1. Estensione dei servizi; 2. Il rinnovamento
del centro) si prevedeva anche
3. La costruzione della Casa del Fascio e dei Balilla.
Il rione di Cittavecchia, raccolto intorno al palazzo Municipale, fu sempre
baluardo dell’Italianità di Trieste in ogni circostanza e nelle elezioni politiche
e amministrative. Così che i “Popolari” tennero anche strenuamente testa alla
invadente marea slava … E così una felice ispirazione ha dato l’idea di far
sorgere la Casa del Fascio in questa zona … Verrà dunque costruita nella zona
più centrica della città, davanti agli avanzi del Teatro Romano e nello stesso
tempo sarà contornata dalle case residue … Altra bella e simbolica posizione
è stata assegnata alla Casa del Balilla che occuperà l’area di fronte alla Casa
del Combattente cioè accanto alla Cella di Oberdan236.
E nel frattempo si procedeva in piazza Oberdan, un fulcro aperto ormai da
anni.
7.1. Piazza Oberdan: il problema dell’espansione monumentale della città con “uno
dei più lussuosi ed eleganti quartieri di Trieste italiana” e con il fulcro celebrativo
della memoria di Guglielmo Oberdan
Le vicende del tracciamento e della realizzazione della nuova piazza Oberdan, uno dei nuovi fulcri monumentali della città italiana, sono già state ben
ripercorse dalla Storiografia237, mettendo in evidenza la complessità e la stratifi236
A. NICOTERA, “L’approvazione del Duce ad un vasto piano di opere pubbliche a Trieste”..., cit.
GODOLI, Trieste …, cit., p.192-196; L.L. KRASOVEC, “Il nuovo spazio urbano della piazza
Oberdan”, in Archeografo Triestino, LXII (CX), 2002, p. 255-262; Idem, “Progetti, città, identità: spazi urbani
e ideologie nazionali a Trieste”, in Acta Histriae, 20, 2012, p. 623-627.
237
434
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cazione sia delle realizzazioni, sia dei desiderata dell’articolata committenza.
L’intervento era complesso: si trattava di risistemare l’area della vecchia Caserma asburgica ove Oberdan era stato imprigionato e giustiziato nel 1882, salvandone la Cella di reclusione; nella vasta area ottenuta dalle demolizioni si puntava
a creare uno spazio urbano incentrato su una grande piazza ad esedra, contornata da nuovi edifici e da un intero quartiere; bisognava collocare il nuovo
Monumento ad Oberdan celebrativo al centro (realizzato sempre da Attilio
Selva e invece posto poi, con la Cella, nel portico della Casa del Combattente,
realizzata su un lotto238); si trattava di realizzare la sede delle Associazioni
combattentistiche e della Casa del Combattente; bisognava lapideizzare, insomma, l’Italianità politica e amministrativa ormai conseguita dalla città. Così
il nuovo quartiere era destinato a comunicare, non solo a livello simbolico, gli
imperativi nazionali di ordine, stabilità ed efficienza della dittatura e quella
certa “parvenza di partecipazione alle sorti magnifiche e progressive suggerita
dalla pubblicità martellante del regime”[239] … Nel contesto del Piano regolatore, dove l’asse viario Carducci-Sonnino venne scelto come “strada base del
sistema” ed elemento di congiunzione delle direttrici di sviluppo della città, al
nuovo quartiere voleva essere affidata la delicata soluzione di costituirsi quale
ingresso “decoroso” e “monumentale” di Trieste240.
Nel 1925 era stato indetto un Concorso nazionale per la sistemazione
dell’area che era compresa tra il nuovo palazzo di Giustizia e la ex Narodni Dom
slovena, incendiata dai Fascisti nel 1920 (Concorso vinto dagli architetti Pietro
Zanini e Cesare Scoccimarro di Udine), ma poi il Comune aveva deciso di
adottare le previsioni dell’architetto triestino Umberto Nordio: il primo edificio
era stato realizzato nel 1930 (palazzo INA-Istituto Nazionale delle Assicurazioni
dal fiorentino Ugo Giovannozzi)241, poi ad esso era seguito il Palazzo della Telve
(oggi palazzo SIP) nel 1931242 e soprattutto, a partire dal 1929, la “Casa del
Combattente” dello stesso Nordio, concretamente iniziata a metà del 1931
238 “Il Monumento a Oberdan sarà inaugurato domenica 29 aprile con un’orazione di Delcrox”, in Il
Popolo di Trieste, 5 aprile 1934, p. 6; “L’omaggio a Oberdan. Il Monumento e l’inaugurazione della Casa del
Combattente”, in ivi, 19 aprile 1934, p. 4; “Lo scoprimento del Monumento a Oberdan e l’inaugurazione della
Casa del Combattente”, in ivi, 27 aprile 1934, p. 3; “Il Museo del Risorgimento nella Casa del Combattente”,
in ivi, 29 aprile 1934, p. 4.
239 L. CRUSVAR, “Il sistema urbano nella Trieste degli anni Trenta”, in Gli affreschi di Carlo Sbisà e la
Trieste degli anni Trenta, Catalogo della Mostra, Trieste, 1980, p. 85 e segg.
240 G. DELISE e C.N. TROVATO, “Piano e amministrazione: il Piano regolatore generale di Trieste
[1934]”, in Storia Urbana (Milano), 51, aprile-giugno, 1990, p. 178-186: “4. Il problema dell’architettura: il
quartiere Oberdan”.
241 L.L. KRASOVEC, “Palazzo INA”, in Trieste (1915-1954) …, cit., p. 129-131.
242 Idem, “Palazzo della Telve”, in Trieste (1915-1954) …, cit., p. 139-141.
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435
Camillo Jona, Schizzo prospettico di “Studio per nuova scala a
Santa Maria Maggiore”, allegato al “Piano Grassi” del 1934, 19321933
(anche se i lavori venivano poi sospesi nel 1932 e quindi ripresi, fino all’inaugurazione nel 1934). La Cella e il Monumento di Oberdan venivano inseriti nella
doppia cortina di archi al pianterreno della stessa casa del Combattente, in
collegamento con la futura Casa del Balilla243.
243
Idem, “Casa del Combattente”, in Trieste (1915-1954) …, cit., p. 149-152.
436
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Nel 1934 il podestà Enrico Paolo Salem decideva di affidare una nuova
‘revisione’ dell’insieme, che aveva assunto un carattere ormai molto vario e
‘disarticolato’ specie nell’esedra e nelle vie radiali, all’architetto romano Mario
De Renzi, la cui proposta veniva approvata anche da Nordio244, che cominciava
a collaborare con De Renzi anche per altre opere triestine.
Già nel 1930 era stato composto il Monumento celebrativo legato alla figura
dell’Irredentista245 da parte di Attilio Selva (nel 1931 “lo Scultore ha informato
il Podestà sullo stato dei lavori per il Monumento a Oberdan [da inaugurarsi
entro il prossimo anno]”246); e poi si era deciso di rinunciare alla collocazione
centrale nell’esedra. La parte più complessa riguardava però la strutturazione
degli edifici che costituivano l’esedra stessa, che ancora stavano sorgendo, lotto
per lotto, nel 1932. Già ai primi del 1931 si poteva comunque esprimere un
giudizio al proposito, visto che le prime opere erano elevate. Ma si trattava di un
giudizio in ‘chiaro-scuro’ soprattutto per il problema del ‘genius loci’ e per le
solite questioni dell’’anti-francesismo’ avanzato dell’intellighenzia cittadina (un
anti-francesismo che era economico, era legato ai problemi etnici della città e
quindi si riverberava anche sul gusto architettonico di opere ritenute appunto
“troppo di gusto francese”): “sette anni fa il Concorso fu bandito dal Comune
per il progetto della ‘facciate-tipo’ … la Giuria assegnò il primo Premio a certi
progetti mirabilmente disegnati, per quanto di gusto francese piuttosto che
italiano … Oggi il primo palazzo è finito e costituisce l’Esedra”247.
Dopo due anni, nel 1932, la situazione era progredita, anche se “lentamente” nella costruzione:
un po’ lentamente, ma progressivamente, quell’ampia platea costituita dalla
vecchia Piazza d’Armi e dall’area dei demoliti edifici della caserma, sarà
trasformata in uno dei più lussuosi ed eleganti quartieri di Trieste italiana …
La costruzione della caserma (asburgica) ebbe per effetto di allargare la città
verso la valle di Rozzol e intensificare il nuovo rione di Farneto (Chiadino), ma
permise anche di creare il nuovo quartiere fra Coroneo e Romagna … L’architetto Lodovico Braidotti [incaricato dal Comune già nel 1912 di pensare ad un
244 U. NORDIO, “Il quartiere Oberdan e la sistemazione dell’Esedra”, in Rivista mensile della città di
Trieste, 1934, p.242-243 (De Renzi viene definito da Nordio “architetto di sensibilità squisita” in G. CONTESSI, Umberto Nordio. Architettura a Trieste (1926-1943), Milano, 1981, p. 106).
245 “Le basi del monumento a Guglielmo Oberdan”, in Il Popolo di Trieste, 11 aprile 1930, p. 5: “il
Monumento sorgerà nell’esedra all’incrocio delle vie sull’area dell’antica Piazza d’Armi. Le fondazioni del
Monumento sono già costruite … e il blocco centrale in cemento armato … sarà rivestito di pietra bianca. Il
Monumento dello scultore Selva è ben avanzato [nonostante la lunga malattia dello Scultore]”.
246 “Attilio Selva a Trieste … Il monumento a Oberdan”, in Il Popolo di Trieste, 17 marzo 1931, p. 4.
247 Raffaello BATTIGEL, “Trieste architettonica’”, in Il Popolo di Trieste, 8 gennaio 1931, p. 4.
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437
nuovo quartiere nell’area della Caserma che si voleva abbattere] evitò che si
tagliassero rettangoli regolari … com’era avvenuto nel Settecento nell’area
delle saline … e negli altri rioni urbano (fra corso Garibaldi, l’Ospedale, a San
Giacomo e fra il Coroneo e via Crispi) … ma fece accettare la formazione di
un’esedra, la formazione di una piazza all’incrocio delle nuove vie con lo
sbocco della via Perluigi da Palestrina, e un’altra piazza semicircolare dinanzi
al futuro ingresso monumentale del Palazzo di Giustizia. Così, alla vigilia della
Guerra fu preparato il nuovo quartiere che il Fascismo va attuando … Sono già
stati costruiti due sontuosi palazzi fronteggianti la via Giosuè Carducci e la
piazza Dalmazia, un altro elegante palazzo sull’Esedra, due eleganti edifici su
via del Coroneo, due altri su via Cicerone. Sono in costruzione: il porticato che
racchiuderà la Cella di Oberdan (nel quale porticato sarà costruita la Casa del
Combattente) e due eleganti case su via Cesare Beccaria e del Coroneo248.
Il nuovo nodo urbano si poneva ormai visivamente con la sua tangibile realtà
architettonica, coordinata dal Municipio e dall’istituto “Guglielmo Oberdan”,
del quale era parte il gotha dirigenziale e politico della città.
dell’Istituto fanno parte il Prefetto, il Podestà, il Preside della Provincia …
personalità varie quali il comm. Guido Segre … e l’arch. Umberto Nordio. Per
l’erezione dell’Istituto in Ente morale, il Decreto sarà registrato alla Corte dei
Conti e pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale”. Fin dal 1926-1927 i camerati
Piero Pieri, Renzo Zeico, Roberto Calligaris e Alfredo Zannoni a nome della
Federazione Combattenti, della Sezione Mutilati, con la piena adesione
dell’Associazione Madri e Vedove e Volontari … avevano pensato ad una
soluzione al problema della Casa del Combattente, preparando un progetto
che fu presentato anche agli Uffici del Municipio … ottenendo il contributo di
lire 200.000 per l’erigenda Casa del Combattente e la cessione gratuita del
terreno necessario sui fondi dell’ex caserma “Oberdan”. Nel 1927 venne decisa
la formazione di un Consorzio tra le Associazioni Combattentistiche … Il
progetto tendeva principalmente a creare le sedi modeste e decorose per le
Associazioni Combattentistiche e prevedeva anche la conservazione della
“Cella Oberdan” [dove era stato rinchiuso il martire nella caserma asburgica
prima di venir giustiziato], che sarebbe stata in qualche modo trasportata nel
nuovo edificio, il quale doveva sorgere nella parte posteriore del triangolo
chiuso tra via Fabio Severo e la nuova diagonale congiungente l’Esedra con la
via Severo. Poi ci furono però problemi di accordo con il Comune e successivamente fu costruito sulla parte anteriore del fondo il palazzo dell’INA, tenendo
248
“Il nuovo quartiere sull’area della vecchia caserma”, in Il Popolo di Trieste, 5 febbraio 1932, p. 4.
438
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
poco conto di una futura sistemazione della zona destinata alla memoria di
Oberdan. La questione restò circa a questo punto [morto] fino al 1929 quando
il comandante Ernesto Casalini fu nominato Presidente della Federazione
Combattenti … e venne studiata la soluzione [pensata] in primo luogo per
provvedere alla sistemazione nobile e solenne della Cella di Oberdan e del
luogo del supplizio, lasciando la cella intatta al suo posto, coprendo un tratto
di strada con un avancorpo, e costruire al primo piano pure maestoso e degno,
il Museo del Risorgimento, atto ad ospitare oltre alle testimonianze più pure
delle fede italiana di Trieste, ricevimenti importanti; e di completare fino
all’altezza necessaria, l’edificio con le sedi, molto più modeste, di tutte le
Associazioni. L’edificio, in corso di costruzione, è frutto della fatica dell’arch.
Umberto Nordio, che con tutta l’anima si dedicò all’immenso lavoro … vincendo lo scetticismo sulla effettuazione del grandioso edificio. La ditta ing. R.Coppa fu assuntrice dei lavori249.
Il Comune era fortemente coinvolto e procedeva alla cessione delle aree
comunali: “per nuove costruzioni sul terreno dell’ex caserma … pur condizionate alla costruzione di nuovi edifici … per assicurare lavoro alle industrie e alla
maestranze edili … in via Fabio Severo, Cicerone, Regina Margherita, Foro
Ulpiano, via Cesare Beccaria e viale Tartini”250.
Lo scopo sembrava raggiunto anche prima dell’approvazione del Piano
regolatore, tanto che i “Lavori edili [sono] assicurati per 20 milioni di lire”:
“nell’area dell’ex caserma Teresiana … in tre anni saranno costruite dieci nuove
grandi case … in via Cicerone, sul viale Regina Elena, su via Cesare Beccaria, su
via Fabio Severo e sul Foro Ulpiano”251.
Nel 1933 si apriva la questione della “Decorazione della Casa del Combattente” con l’auspicio che l’Artista prescelto fosse, appunto, un ex Combattente
(si pensava già a qualcuno?)252.
Molto delicata restava la questione della “Cella di Oberdan”, scaturigine di
tutta l’iniziativa. Per parte sua il Comune, attraverso la Consulta municipale,
“sollecitava la sistemazione di via Irnerio dietro la cella di Oberdan”253. Ma
249
“Il superbo bilancio dell’attività dell’istituto ‘G. Oberdan’”, in Il Popolo di Trieste, 3 marzo 1932, p. 4.
“Una seduta della Consulta Municipale”, in Il Popolo di Trieste, 24 febbraio 1932, p. 4.
251 “Lavori edili [sono] assicurati per 20 milioni di lire”, in Il Popolo di Trieste, 25 febbraio 1932, p.4.
252 “I lavori di decorazione alla Casa del Combattente”, in Il Popolo di Trieste, 4 novembre 1933, p.3. La
risposta redazionale alla richiesta è che “sempre però in base ad un libero Concorso, quindi all’infuori di
determinate ingerenze o preferenze”. Sulla questione dell’affidamento dell’incarico: “La Casa del Combattente e gli Artisti”, in ivi, 25 ottobre 1933, p.2; “Per gli affreschi della Casa del Combattente”, in ivi, 31 ottobre
1933, p. 2.
253 “Una seduta della Consulta Municipale presieduta dal Podestà, sen. Pitacco”, in Il Popolo di Trieste,
13 maggio 1932, p.4.
250
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
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anche l’Opinione pubblica era fortemente coinvolta nell’opera e non era mancato chi aveva scritto al Popolo di Trieste avanzando idee sulla sistemazione del
fulcro celebrativo:
perché non conservare l’ala dell’ex caserma Oberdan [con la cella] sistemando
architettonicamente le nuove facciate createsi con le demolizioni del complesso e facendo gli opportuni restauri? Con ciò si contribuirebbe alla definizione
della piazza Oberdan ancora in formazione254.
Nel 1932 ormai la decisione era presa: “c’è la possibilità che gli ex Combattenti trovino i denari per continuare la costruzione dell’edificio sopra le arcate
ove chiuderanno la Cella del Martire”255.
Il Piano avrebbe dovuto dire la parola “fine” anche a tutta questa serie di
problemi irrisolti. Il Popolo di Trieste si poneva in prima linea nel cercare di
sbloccare la situazione e si susseguivano dunque una serie di interventi e di
lettere nelle quali si mettevano a confronto idee e possibilità, ma sempre in vista
della conclusione dei lavori: “Il quartiere Oberdan e le nuove costruzioni”
(lettera nella quale si affrontava il problema degli imprenditori diversi e delle
aree libere)256; e poi “Il quartiere Oberdan e le nuove costruzioni” (con la
proposta di costruire un edificio scolastico moderno)257.
Nel frattempo nel programma stilato dalle Autorità cittadine e approvato da
Mussolini si prevedeva che
altra bella e simbolica posizione è stata assegnata alla Casa del Balilla che
occuperà l’area di fronte alla Casa del Combattente cioè accanto alla Cella di
Oberdan e sulla piazza … anche piazza Oberdan avrà prontamente la sua
definitiva sistemazione con la costruzione dell’edilizia ancora mancante … e
con la costruzione, nel mezzo dell’esedra di una grande e semplice fontana
dedicata ai caduti della Rivoluzione258.
7.2. Altre questioni cittadine tra Cultura, Architettura e Monumentalità “italiana”
Un icastico “il fatto della ‘Redenzione’ [unione all’Italia] della città non
elimina ma forse moltiplica la somma di doveri sociali di una grande città
254 “La cella di Oberdan e un’eventuale nuova sistemazione”, in
Il Popolo di Trieste, 13 maggio 1931, p. 4.
“Lavori edili [sono] assicurati per 20 milioni di lire’”, in Il Popolo di Trieste, 25 febbraio 1932, p. 4.
256 “Lettera. Il quartiere Oberdan e le nuove costruzioni”, in Il Popolo di Trieste, 10 settembre 1933, p. 2.
257 “Lettera. Il quartiere Oberdan e le nuove costruzioni”, in Il Popolo di Trieste, 13 settembre 1933, p. 2.
258 A. NICOTERA, “L’approvazione del Duce ad un vasto piano di opere pubbliche a Trieste”, in Il
Popolo d’Italia (Milano), 9 gennaio 1934, p. 3.
255
440
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
civile”259, sembrava costituire il segnale di un impegno che vedeva il fattore
culturale e artistico messo al centro del dibattito. Cambiava per questo anche la
visione delle manifestazioni cittadine. Ad esempio “quando la nostra città era la
vera capitale della province italiane dell’Austria, l’avere il teatro aperto in
Carnevale e Quaresima rappresentava un dovere patriottico … Oggi quell’apertura invece … rientra nella somma dei ‘doveri sociali’ di una grande città”.
Ma si imponeva anche la strutturazioni di nuovi centri della vita civile,
com’era avvenuto per la “Galleria del Tergesteo”, i cui progetti erano stati
presentati nel 1930 e che il Piano regolatore doveva ribadire come fulcro della
collettività triestina: “con il compimento del progetto di adattamento del pianterreno del Tergesteo a Galleria e Portici … si compirà una bellissima trasformazione che darà a Trieste un centro veramente italiano”260.
Tutto non sembrava ‘casuale’, ma mirato alla ricerca di nuovi ‘fulcri moderni’ di Italianità: “i progetti sono stati presentati al Segretario Federale [Carlo
Perusino] dall’architetto Cornelio Budinis … Sarà un centro di ritrovo elegante
e utile al momento cittadino … I progetti, con varianti, comprendono la Galleria,
il portico sulla facciata e il portico al lato di via della Borsa”261.
L’intervento era stato inaugurato nel giugno del 1930262 e negli anni successivi rimaneva la sua carica paradigmatica per una città che intendeva modernizzarsi anche attraverso interventi puntuali.
7.2.1. Il Palazzo di Giustizia
Tra i nuovi fulcri monumentali per la Trieste italiana si distingueva, ovviamente, il nuovo Palazzo di Giustizia per il quale, nel 1931, venivano completati
“i rivestimenti in pietra bianca del Carso ai basamenti delle facciate”263. L’edificio risaliva al 1924 quando era stato progettato da Enrico Nordio264, ma i lavori
si erano protratti e solo ora se ne andava ufficializzando il compimento a cura di
suo figlio Umberto:
259 “La
questione del Teatro lirico [e la sua apertura]”, in Il Popolo di Trieste, 2 marzo 1932, p. 4
Galleria e i Portici del Tergesteo”, in Il Popolo di Trieste, 25 gennaio 1930, p. 4.
261 “I progetti della galleria del Tergesteo”, in Il Popolo di Trieste, 30 gennaio 1930, p. 5. E prima per le
questioni amministrative: “il progetto dell’arch. Budinis e dell’ing. Luzzato … necessita dell’accordo per
l’indennizzo del Comune alla Società proprietaria per l’esproprio”: “Il progetto di Galleria e Portici del
Tergesteo”, in ivi, 24 gennaio 1930, p. 5.
262 “Il 28 giugno s’inaugurerà la galleria del Tergesteo”, in Il Popolo di Trieste, 13 giugno 1930, p. 5.
263 “Un provvedimento pratico a favore dell’industria edilizia”, in Il Popolo di Trieste, 4 marzo 1931, p. 4.
264 GODOLI, Trieste …, cit. p.192.
260 “La
F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449
441
accompagnato dai sovrintendenti ai lavori di costruzione , il comm. ing. Camanzi, Capo del genio Civile, e l’ing. Colussi … il Duca d’Aosta ha gradito di
recarsi a visitare il cantiere della facciata, progettata dall’architetto Enrico
Nordio … Poi il Duca si è incamminato per la visita agli uffici e alle aule, site
al secondo e terzo piano … chiedendo particolari ragguagli sull’assetto degli
ambienti e sulla sistemazione definitiva … indugiando particolarmente nei
reparti della Procura Generale, visitando la biblioteca e persino le aule265.
7.2.2. Attilio Selva, i pili monumentali di piazza dell’Unità e il giudizio di Marcello
Piacentini
Di grande rilevanza monumentale e celebrativa era anche la realizzazione
dei grandi pili porta-bandiera che arredavano piazza dell’Unità e per i quali
veniva chiamato sempre lo Scultore delle ‘Istituzioni triestine’, Attilio Selva. Già
nel 1930 la questione si era profilata (“I piloni di piazza Unità”266) ma l’anno
dopo si annunciava che “la fusione dei pili potrebbe essere terminata per la fine
dell’anno … Lo scultore ha presentato il bozzetto in gesso nelle misure di 1/5 del
naturale … Il bozzetto ha trovato la generale approvazione”267.
Della qualità della realizzazione bisognava essere sicuri, per cui il podestà
Pitacco chiedeva un parere a Marcello Piacentini che da Roma lo rassicurava di
una “vera e propria opera d’Arte”:
soltanto ora posso coscienziosamente scriverle intorno ai due piloni da erigersi
a Trieste in piazza Unità [al posto dei due attuali provvisori] proprio perché in
questi giorni il bozzetto definitivo è stato compiuto. E sono lieto di poterle dire
subito di essermi trovato di fronte ad una vera opera d’arte. Il problema, non
facile, è stato ottimamente risolto con originalità e con sapienza. Buono il
rapporto tra le parti basamentali e il fusto e ben trovati i passaggi dei gradoni
rotondi alla zona esagonale e quindi al fusto di nuovo rotondo, Veramente
trovato il capitello, con le tre Fame che si rincorrono. Le figure in piedi ben
schizzate potranno diventare statue grandiose. La bella e vasta piazza triestina
avrà due pili di grande pregio e superiori – soprattutto per significato – agli altri
delle città adriatiche. Firmato: Marcello Piacentini268.
265
“Visita di S.A.R. il Duca d’Aosta al Palazzo di Giustizia”, in Il Popolo di Trieste, 5 marzo 1932, p. 4.
piloni [portabandiera] di piazza Unità”, in Il Popolo di Trieste, 13 marzo 1930, p. 4.
267 “Attilio Selva a Trieste. Il bozzetto dei pili per piazza Unità”, in Il Popolo di Trieste, 17 marzo 1931, p. 5.
268 “Un giudizio di S.E. Piacentini sul progetto di Attilio Selva per i due piloni di piazza Unità”, in Il
Popolo di Trieste, 23 marzo 1931, p. 4.
266 “I
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8. Una nuova ‘politica culturale’ per l’architettura di Trieste italiana tra
Tradizione ed Avanguardia: come costruire la nuova Trieste?
Il nuovo Piano regolatore fin dal 1925 apriva importanti prospettive edilizie,
non solo per la realizzazione di infrastrutture e servizi, ma anche per l’espansione edilizia e il rinnovo (aggiornamento) dei fulcri monumentali (quali la piazza
il quartiere Oberdan, gli edifici rappresentativi, il nuovo “Foro” …). Come
realizzare tutto questo, affinché si trattasse di una “architettura italiana”?
Alcuni esempi di ‘felici’ realizzazioni di “un centro veramente italiano”269
nella Galleria del Tergesteo si erano avute, ma non erano mancate anche le
rimostranze, per piazza Oberdan, per certe concessioni “al gusto francese piuttosto che italiano”270. I Professionisti, i Critici e gli Operatori culturali si mettevano in moto per rispondere alle nuove esigenze, con occhio attento, anche in
eventi ‘retrospettivi’, alla Contemporaneità; oppure in piena promozione di
‘linee stilistiche’ di piena Avanguardia. Quanto era stato fatto da ultimo in città
– fornendo così uno spaccato delle tendenze più significative che si erano venute
confrontando – veniva presentato dall’Amministrazione Comunale alla “Prima
Mostra d’Ingegneria” connessa al “Congresso degli Ingegneri” di Roma
dell’aprile 1931. Erano stati inviati, come particolarmente significativi,
i lavori del nuovo acquedotto Randaccio, raccolti in bellissimi disegni, modelli
e plastici … e il Faro della Vittoria [i cui disegni sono stati inviati] a cura del
Genio Civile insieme ad un album di dettagli costruttivi; e parecchie fotografie
del Molo VI. I Magazzini Generali hanno partecipato con disegni e fotografie
del Silos granario, di capannoni del Molo VI, della Stazione Marittima e del
progettato Idroscalo. La [compagnia] Cosulich ha esposto il modello della
[motonave] “Saturnia” … Trieste era rappresentata all’inaugurazione da parte
del Capo del Governo, dal podestà sen. Pitacco271.
269 “La
Galleria e i Portici del Tergesteo”, in Il Popolo di Trieste, 25 gennaio 1930, p. 4.
Raffaello BATTIGEL, “Trieste architettonica”, in Il Popolo di Trieste, 8 gennaio 1931, p. 4.
271 “La partecipazione di Trieste alla ‘Prima Mostra d’Ingegneria’ e al ‘Congresso degli Ingegneri’ a
Roma”, in Il Popolo di Trieste, 15 aprile 1931, p.4. Il Molo VI era stato ristrutturato a partire dal 1924 (cfr.
Archivio di Stato di Trieste, fondo “Capitaneria di Porto”, b.326 cit. in Romano, “Lavorare in funzione del
Porto”…, cit., n.43). Ma soprattutto: “Trieste nelle realizzazione fasciste (anni I-XII E.F, 1922-1934)”, in Opere
Pubbliche (Roma), marzo-aprile, 1935. Il volume è un importante spartiacque per comprendere la situazione
delle realizzazioni prima e dopo l’approvazione del nuovo Piano regolatore (evidenziando continuità, novità,
cambiamenti etc.). Non a caso vi compariva il saggio introduttivo “Il risveglio fascista di Trieste” di Giuseppe
Cobolli Gigli, allora Sottosegretario di Stato ai Lavori Pubblici.
270
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8.1. Il rinnovamento della città all’insegna della Tradizione: il Neo-medioevo, il
Neo-barocco e l’esempio dei ‘Neoclassici milanesi’
A fornire un preciso orientamento al gusto architettonico cittadino, con
sguardo retrospettivo, ma di decisa attenzione alla Contemporaneità, si poneva
Arduino Berlam con una esplicita “Conferenza al Circolo Artistico” su “Il
Medieovo in rapporto all’Arte moderna”. L’Architetto procedeva infatti “ad un
acuto raffronto con le principali concezioni dell’arte moderna”272 e trovava dunque nel Medioevo, opportunamente ‘modernizzato’, un interessante orizzonte
operativo al quale rifarsi.
La politica culturale cittadina strettamente connessa alla visione di Trieste
italiana, trovava, ancora, un proprio fulcro nella celebrazione della figura di
Carlo Polli, architetto Capo del Comune di Trieste che tanto aveva partecipato
alla modernizzazione della città e che era da poco scomparso. E ancora una volta
era sempre Arduino Berlam a fare da mentore all’iniziativa (e alla celebrazione
di specifici valori sempre applicabili nella Contemporaneità), visto che i due
Architetti avevano anche collaborato per il “Palazzo Aedes”:
nella Sala della Permanente si è avuta l’inaugurazione della Mostra postuma
dedicata all’architetto Carlo Polli, organizzata dal Sindacato Architetti … Le
virtù artistiche di Polli riceveranno anche un vigoroso risalto dalla parola del
comm. arch. Arduino Berlam, che ne terrà la Commemorazione … dopo
l’inaugurazione della Mostra273.
Poteva, infatti, sembrare un omaggio a rebours, ma era implicita, invece,
anche una ’visione di città’ e la proposizione di un ‘modello paradigmatico’ (fatto
di “virtù artistiche” e non solo ‘quantitative’) che il Piano regolatore in gestazione si riteneva dovesse sviluppare, specie nella visione di Arduino Berlam.
Già qualche giorno prima era stato annunciato che “la Mostra comprenderà
progetti che riscossero successo a vari concorsi e numerosissimi schizzi, fra cui si
trovano parecchie riproduzioni di opere edilizie redatte dall’architetto Polli nei
272 “Conferenza dell’arch.
Berlam al Circolo Artistico”, in Il Popolo di Trieste, 11 gennaio 1931, p. 4. Del
resto Arduino tra il 1924 e il 1928 aveva realizzato, sulla Riva, il “palazzo Aedes” o “grattacielo rosso”,
decisamente un’opera ‘neo-medievale’, opportunamente modernizzata, anche se celebrata dall’Architetto
come “il primo edificio schiettamente e americanamente moderno di Trieste … realizzato [non a caso] in Pietra
d’Orsera, mattoni faccia a vista e chiazze coloristiche di ceramica faentina” (A. BERLAM, “Il palazzo “Aedes”,
in Il Piccolo di Trieste, 18 aprile 1926). Infatti, la struttura era in cemento armato, ma “rivestita da leggere pareti
doppie di mattoni”. Il progetto dell’edificio, firmato da Arduino Berlam, era stato disegnato in base alle
indicazioni dell’architetto Carlo Polli, “associato” all’impresa. Cfr. M. POZZETTO, I Berlam, Trieste, 1999,
p.169-181 in part. p. 171.
273 “L’inaugurazione alla Mostra sull’architetto Carlo Polli alla Permanente, in Il Popolo di Trieste, 8
marzo 1932, p.4.
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suoi viaggi … grazie alla sua rara valentìa di disegnatore”274.
Infatti sottolineava Berlam nella sua Commemorazione
quello di Polli era un “Classicismo umanistico” … che si compiaceva di una
certa ‘Primitività’ [medievale] molto distinta ancorché forse un poco leziosa,
sul genere di quella che piace al gruppo di giovani “Architetti milanesi” che
erano del resto suoi amici e condiscepoli, quali Giò Ponti o Lancia, o compagni,
e che non differisce molto dal Neoclassicismo tedesco275.
Berlam si bilicava dunque tra l’apprezzamento dell’opera di Polli e una
sottolineatura di ‘troppa cura’ insita nelle proposte dell’Architetto scomparso,
mettendone comunque in evidenza i legami con l’ambiente milanese e con quei
‘Neoclassici’ che Giovanni Muzio rappresentava con maggior fama (ma che
vedeva anche Giò Ponti in particolare, attivo anche a Trieste, quasi che Polli –
insieme a Gustavo Pulitzer Finali – avesse fatto ‘da sponda’ all’Architetto milanese).
Del resto, si ricordava dalla pagine del giornale che “Polli, morto l’anno
scorso [1931] a 38 anni … non era un architetto nel senso puro della parola, ma
piuttosto una persona che aveva studiato a fondo, con molto amore e con molta
costanza, l’architettura”.
Non solo il Medioevo e il Classicismo, però, attiravano l’attenzione degli
uomini di Cultura triestini. Anche il Barocco, che aveva ispirato molte architetture eclettiche dell’Ottocento asburgico e anche a Trieste aveva fatto bella
mostra di sé, poteva essere rivitalizzato dalla Modernità. Attraverso la recensione di un testo di Margherita Nugent (Pittura italiana del Seicento) si forniva la
spiegazione del perché il Barocco piacesse ancora ai Moderni:
il Seicento fu ricco di magnificenze, grave di audacie deliranti, d’accademiche
freddezze, di ribellioni spassionate. Disgregatore per sua natura, infrangendo
la serenità estetica del Rinascimento, la pittura si fa poliedrica: verismo,
virtuosismo, manierismo, fra ricerche prospettiche, problemi stilistici e coloristici. Tale travaglio tormentoso lo indica quale germe dell’Arte moderna276.
E non a caso “nell’Architettura il Seicento trova la sua gloria. È spesso
morboso, ma anche caldo di raffinate esperienze … e col moto di vibrazioni essa
274
“La Mostra postuma dell’architetto Polli”, in Il Popolo di Trieste, 2 marzo 1932, p. 4
“L’arte e le opere dell’arch. Polli in un’austera Commemorazione di Arduino Berlam”, in Il Popolo
di Trieste, 9 marzo 1932, p. 4
276 MANZUTTO, recensione a “Margherita Nugent, Pittura italiana del Seicento. Impressioni sulla
Mostra organizzata da Ugo Ojetti “La pittura italiana del Seicento e del Settecento” del 1922 (San Casciano Val di
Pesa [Fi], 1925), in Il Popolo di Trieste, 15 febbraio 1931, p. 5.
275
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dette origine al Romanticismo europeo”. Sembrava di leggere un manifesto di
Arte moderna e infatti “la Mostra “la Pittura italiana del Seicento e del Settecento” agevolò agli Studiosi la via per rivalutare e ricostruire, fra luci e ombre,
complesse correnti … in un’opera di storia fino ad ora fin troppo ignorata e di
conseguenza negletta”.
8.2. Il rinnovamento della città all’insegna dell’Avanguardia: Filippo Tommaso
Marinetti e Trieste (1932) e una singolare lettura ‘futurista’ del “Grattacielo Aedes”
di Arduino Berlam (attribuito a Gustavo Pulitzer Finali)
Con grande tempestività, proprio mentre si stavano mettendo in cantiere i
progetti di rinnovo urbano e la definizione del Piano regolatore, la presenza di
Filippo Tommaso Marinetti a Trieste si faceva più incisiva con una serie di
manifestazioni “futuriste”. Perduta ormai la dirompenza spiazzante dei primi
happening e ‘sdoganato’ il “Secondo Futurismo” tra le «Arti di Stato», una
visibilità così eloquente dell’Avanguardia mostrava di saper produrre non solo
buona accoglienza da parte del Pubblico e delle Autorità, ma anche di poter
avanzare proposte per realizzazioni concrete.
Non mancavano però anche i manifesti architettonici di tutto questo e Il
Popolo di Trieste celebrava con taglio futuristico, in una prospettiva del tutto
singolare, proprio la realizzazione del “Grattacielo Aedes” di Berlam. Il “volo”
e il “cemento armato”, in quell’unione tra “cielo e terra” sembravano la ‘cementificazione delle istanze estetiche dell’’”Aereopittura” di Tullio Crali; tanto più
che si trattava dell’appartamento adibito a sede dell’”Aero Club”277. La confusione sulla paternità dell’opera architettonica era notevole e l’Articolista anonimo non faceva parola della progettazione dell’edificio da parte di Arduino
Berlam, ma menzionava solo Gustavo Pulitzer Finali (che, oltre ad aver ideato
la sistemazione della sede aveva anche il proprio Studio professionale nel grattacielo278. Da questo forse la ‘confusione’):
[il grattacielo è] la più ardita costruzione ch’è sorta a Trieste in questi ultimi
277 F. ZUBINI, Borgo Teresiano, Trieste, vol. II, 2004, p.209: “il Reale “Aero Club” di Trieste “Ernesto
Gramaticopulo” aveva sede nel ‘grattacielo’ di piazza Duca degli Abruzzi”. Il che dimostra che si trattava non
di un nuovo grattacielo, come lasciava intendere l’Anonimo articolista, ma del “palazzo Aedes”. L’Areo Club
triestino, del quale si è persa in gran parte memoria, era invece strettamente connesso all’idroscalo della
“SISA-Società Italiana Servizi Aerei”, importante compagnia passeggeri e prima compagnia aerea commerciale italiana. Nel colonnello Dalmazzo – committente dell’arredamento ‘moderno’ della sede – è forse da
identificare un parente se non addirittura il Colonnello (poi Generale di Corpo d’Armata dopo la campagna
d’Etiopia), anche se di Fanteria e non dell’Aeronautica, Lorenzo (Renzo) Dalmazzo.
278 Devo la notizia a Diana Barillari, che ringrazio.
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anni … [ed è dunque adatto] per ‘gente d’Avanguardia’ [quelli del volo] che si
sarebbe trovata a disagio nei saloni d’un vecchio palazzo … Ed è per questo che
il colonello Dalmazzo e il suo architetto [Pulitzer] preferirono il cemento
armato … Il grattacielo … che venne costruito in brevissimo tempo … si eleva
a cospetto del mare ad un’altezza iperbolica … e sulle sue più alte torrette …
si è tra il cielo e la terra … grazie ai suoi velocissimi ascensori279.
E, dunque, con il moderno idroscalo, inaugurato nel 1933, progettato
dall’ingegner Pollack, con ingresso sul largo Duca degli Abruzzi (dove affacciava, appunto, anche il “Grattacielo Aedes”), veniva a configurarsi un fulcro della
Modernità cittadina, futuristicamente connesso al volo.
All’interno del “Grattacielo” ritornava, invece, lo stesso gusto Decò di Pulitzer per l’arredo delle navi:
l’arte del Pulitzer … si manifesta in mille modi … nel Salottino da Tè, arredato
con mobili dorati e intarsiati (questo è l’unico cantuccio ove domina lo stile
d’altri tempi). Ovunque, altrove, nell’aristocratico appartamento, vi è l’arte di
oggi manifestata nella forma più bella. Il grande salone dalla parete a vetri
verso il mare ha un arredamento originalissimo in acciaio curvato e al centro
del soffitto un nuovissimo lampadario, a globi, in perfetto “Stile Novecento”.
Graziose le sale di conversazione e tutta la serie delle salette da gioco … una
esclusivamente riservata per il bridge … per accogliere tutta l’élite triestina.
Del resto che in riferimento alla Modernità e all’Avanguardia il pubblico
non avesse le idee molte chiare lo ribadiva un fondo del Popolo di Trieste
dedicato alla “Mostra dell’Arte d’Avanguardia” del 1931, laddove si notava che
per molti Visitatori la Mostra d’Avanguardia è “futurista”. E simili bestialità e
simile ignoranza dovrebbe ormai far vergogna … Ma sopra e oltre il Futurismo
ci sono le magnifiche, vigorosissime forma dell’Arte attuale .. e oltre ai giochi
delle linee e alle parate dinamiche del Futurismo c’è l’Arte che analizza, che
ricerca l’essenza intima delle cose, che non si accontenta della cruda impres-
279 “Il Circolo dell’Aero Club sul grattacielo di Trieste, elevato in riva al mare dall’architetto Pulitzer”,
in Il Popolo di Trieste, 24 maggio 1931, p.5. La Modernità di Pulitzer Finali, con lo “Studio STUARD”
dov’erano coinvolti i suoi collaboratori più giovani, era piuttosto articolata, bilicandosi tra “Novecento”,
‘Razionalismo Dèco’ di Giò Ponti (Gustavo Pulizer Finali. Il disegno della nave, Catalogo della Mostra, a cura
di D.Riccesi, Venezia, 1985) e Avanguardia grazie alla collaborazione con Augusto Cernigoi e Giorgio Lah (il
mio F. CANALI, “Architettura del Moderno nell’Istria italiana (1922-1942). Gustavo Pulitzer Finali, Giorgio
Lah e Eugenio Montuori … per Arsia e Pozzo Littorio”, Quaderni CRSR, vol. XVII, Rovigno d’Istria, 2006, p.
225-275; Idem, Istria: le “città del carbone”, in Città di Fondazione e Plantatio Ecclesiae, a cura di P. Culotta, G.
Gresleri, Bologna, Compositori, 2007, p. 200-213).
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sione visiva, del lavoro superficiale280.
8.3. Il rinnovamento della città all’insegna dell’Avanguardia: Camillo Jona e la
difesa del Razionalismo
Inaspettata giungeva poi una volata al gusto dell’Avanguardia – anche se
questa volta razionalista – da parte di Camillo Jona, che era, peraltro, uno dei
principali redattori del nuovo Piano regolatore, a configurare così l’’apertura
stilistica’ che avrebbero goduto le future proposte architettoniche comprese nel
Piano stesso
In riferimento agli ultimi sviluppi architettonici degli edifici in piazza Oberdan, le polemiche per tutti i millanta motivi (gusto architettonico, collocazione
della Cella, distribuzione dei lotti …) ancora nel 1933 non si erano affatto
placate e soprattutto erano giunte alle Autorità comunali le proteste di chi
denunciava una decisa disomogeneità nel gusto architettonico adottato, con la
nuova ‘intrusione’ ‘addirittura’ di edifici razionalisti, moderni. Scendeva in campo, allora, l’ingegner Camillo Jona, lamentando le resistenze che si stavano
opponendo alla Modernità in nome di una “omogeneità architettonica” che
contraddiceva la stessa natura dell’Architettura. La sua era una difesa dell’Avanguardia razionalista, che trovava pochi eguali in città, se non tra i giovani
dell’Avanguardia stessa:
mi sento in dovere d’interloquire anch’io come architetto nella dibattuta questione del quartiere che sta sorgendo sull’area delle ex Caserme di piazza
Oberdan e che fu criticato in seno alla Consulta Municipale causa la poca
omogeneità architettonica. Riguardo a ciò debbo osservare che ogni epoca ha
un proprio carattere architettonico e se vediamo nelle città consorelle lo stile
cinquecentesco sovrapporsi al romanico o al gotico pur nello stesso edificio o
se osserviamo accanto a chiese medievali sorgere palazzi barocchi, perché non
scaglieremo l’anatema anche contro i grandi architetti del passato? … ma se
c’è qualcosa di imponderabile, di superiore ai rigidi canoni dell’architettura che
si incarica di smorzare i troppo violenti contrasti di carattere, dovuti ad epoche
diverse, è l’influenza degli agenti atmosferici che coll’andar degli anni crea
quella patina detta “colore del tempo” che tutto fonde e rende pittoresco. Si
rassicurino dunque i cittadini tanto per il quartiere Oberdan quanto per altro-
280 “Importanza della Mostra d’Arte d’Avanguardia del GUF di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 28 giugno
1931, p. 3.
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ve, che le espressioni architettoniche della nostra epoca non deturperanno
l’ambiente. Indietro non si torna, nemmeno in architettura: Anche se le
architetture moderne sono dileggiate da alcuni che non le comprendono, come
scatoloni o altro, non si può astrarre da quella realtà del presente che è lo stile
razionalista o funzionale come lo si vuol chiamare … che corrisponde in pieno
alle necessità … della nostra epoca. Osteggiarlo significa opporsi al progresso.
Cerchino le Autorità [piuttosto] di respingere i cattivi progetti, causa massima
delle deturpazioni lamentate e quei progetti che di razionalista hanno soltanto
la veste ma non lo spirito e sarà bene per la serietà dell’arte e per l’estetica
cittadina281.
Alla nuova Trieste del Piano sembravano aprirsi scenari impensati per la
nuova ’era Salem’.
281 “Il caos architettonico di piazza Oberdan. Lettera dell’ing. Camillo Jona”, in Popolo di Trieste, 23
agosto 1933, p. 3.
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SA@ETAK
PROSTORNI PLANOVI “TALIJANSKIH GRADOVA” NA ISTO^NOM
JADRANU (1922-1943). PROSTORNI PLAN TRSTA (1930. - 1934.)
Autor analizira pripremu i dono{enje prvog Prostornog plana za talijanski
Trst u razdoblju od 1932. do 1934. Bio je to slo‘en zahvat iako su tada{nji
kriti~ari isticali kako se radilo samo o temeljitoj reviziji Plana iz 1925. kojeg je
priredio isti projektant Paolo Grassi, mada je on tvrdio da ga je radikalno
promijenio nakon {to je 1929. Vrhovno vije}e Ministarstva za javne radove
odbilo njegov prija{nji prijedlog.
Listanjem stranica novina Il Popolo di Trieste, slu‘benog glasila tr{}anske
fa{isti~ke stranke, kojeg su historiografski istra‘iva~i prili~no zanemarili,
otkrivene su nove rasprave, opredjeljenja i djela koja su obilje‘ila dvogodi{te
1932.-1934. Ovaj je period bio izuzetno va‘an za odre|ivanje kona~nih
prijedloga. Postojao je ~itav niz vi|enja mogu}ih rje{enja, ali je pogotovo
te{ko bilo odrediti glavne ~vorove urbane politike koji bi mogli modernizirati i
aktualizirati gradski ‘ivot u odnosu na potpuno promijenjeni nacionalni i
me|unarodni scenarij.
POVZETEK
PROSTORSKI NA^RTI “ITALIJANSKIH MEST“ NA VZHODNEM
JADRANU (1922-1943). PROSTORSKI NA^RT TRSTA (1930 - 1934)
Avtor raz~leni pripravo in izdelavo prvega “Prostorskega na~rta” za
italijanski Trst med leti 1932 in 1934; kompleksen postopek, ~eprav so kritiki
raje poudarjali, da naj bi {lo za dejansko revizijo na~rta, ki ga je leta 1925
izdelal isti projektant, Paolo Grassi; ta je tudi povedal, da ga je korenito
revidiral, po tem ko je njegov prvi predlog vi{ji odbor Ministrstva za javna
dela zavrnil leta 1929.
Pri prebiranju ~asopisa Il Popolo di Trieste, uradnega glasila tr‘a{kih
fa{istov, ki ga je zgodovinopisje doslej le malo upo{tevalo, se pojavljajo nove
razprave, odlo~itve in dela, ki so zaznamovali dveletno obdobje med 1932 in
1934. Le-to se je pokazalo kot odlo~ilno pri uvajanju dokon~nih predlogov,
opazimo lahko ne samo {tevilne najrazli~nej{e na~rte, pa~ pa predvsem
prizadevno ugotavljanje tistih ‘centrov mestne politike’, za katere je veljalo, da
lahko posodobijo in aktualizirajo mestno ‘ivljenje glede na popolnoma
spremenjene nacionalne in mednarodne razmere.