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CDU 908(497.4/.5Istria)“18/19” ISSN 0350-6746 CENTRO DI RICERCHE STORICHE - ROVIGNO QUADERNI VOLUME XXVI U N I O N E I TA L I A N A - F I U M E UNIVERSITÀ POPOLARE - TRIESTE ROVIGNO 2015 QUADERNI - Centro Ricerche Storiche Rovigno, vol. XXVI, pp. 1-452, Rovigno, 2015 CENTRO DI RICERCHE STORICHE - ROVIGNO UNIONE ITALIANA - FIUME UNIVERSITÀ POPOLARE DI TRIESTE REDAZIONE ED AMMINISTRAZIONE Piazza Matteotti 13 - Rovigno (Croazia), tel. +385(052)811-133 - fax (052)815-786 Indirizzo internet: www.crsrv.org e-mail: info@crsrv.org COMITATO DI REDAZIONE RINO CIGUI, Rovigno CARLO GHISALBERTI, Roma LUCIANO GIURICIN, Rovigno WILLIAM KLINGER, Rovigno RAUL MARSETI#, Rovigno ORIETTA MOSCARDA OBLAK, Rovigno ANTONIO PAULETICH, Rovigno RAOUL PUPO, Trieste ALESSIO RADOSSI, Rovigno GIOVANNI RADOSSI, Rovigno REDATTORE ORIETTA MOSCARDA OBLAK DIRETTORE RESPONSABILE GIOVANNI RADOSSI REDAZIONE IMMAGINI SUPPORTO DIGITALE COORD. EDITORIALE NICOLÒ SPONZA MASSIMO RADOSSI FABRIZIO SOMMA © 2015 - Tutti i diritti d’autore e grafici appartengono al Centro di Ricerche Storiche U.I. di Rovigno, nessun escluso. Opera fuori commercio Il presente volume è stato realizzato con i fondi del Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale della Repubblica Italiana Direzione generale per l’Unione Europea INDICE RAUL MARSETI^, L’Ospedale provinciale (Santorio Santorio) di Pola durante l’Amministrazione italiana (1918-1947) . . . . . . . . pag. 009 DAVID ORLOVI], ANTONIO LANZA, Strutture destinate alla formazione dei militari della Regia Guardia di Finanza a Pola (19201943) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 051 IVAN BUTTIGNON, Il Partito d’Azione tra progressismo e patriottismo nella Zona A . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 071 PAOLA DELTON, I manuali della scuola popolare asburgica in Istria e a Fiume con un approfondimento documentato su alcuni aspetti della vita degli scolari istriani nel secondo Ottocento . . . . . . . . pag. 113 DENIS VISINTIN, La campagna istriana nei primi decenni del XX secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 181 MARKO MEDVED, A novant’anni dalla fondazione della diocesi di Fiume: per un’unica storia del cattolicesimo fiumano . . . . . . . . pag. 211 IVAN JELI^I], Sulle tracce di una biografia perduta: Samuele Mayländer (1866-1925) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 227 JASNA ROTIM MALVI], Enea Perugini, Giulio Duimich e Yvone Clerici nell’architettura a Fiume tra le due guerre . . . . . . . . . . . pag. 271 FERRUCCIO CANALI, Nuovi piani regolatori di “Città italiane” dell”Adriatico orientale (1922-1943). Il Piano regolatore di Trieste (1930-1934) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 353 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 353 NUOVI PIANI REGOLATORI DI “CITTÀ ITALIANE” DELL’ADRIATICO ORIENTALE (1922-1943) Parte terza “Il primo Piano regolatore di Trieste italiana” e la sua approvazione: il “Piano regolatore” di Paolo Grassi (e Camillo Jona) e le ‘questioni aperte’ per un ‘Piano di mediazione’ (‘estetico piacentiniano’) “già operativo anche quando non ancora approvato”. Attenzioni nazionali e note dalle pagine de Il Popolo di Trieste (1930-1934) … sotto l’egida di Marcello Piacentini FERRUCCIO CANALI Università di Firenze CDU 711.4(450Trieste)“1934“(093) Saggio scientifico originale Maggio 2015 Riassunto: L’autore analizza la preparazione e la redazione del primo “Piano regolatore” per Trieste italiana, tra il 1932 e il 1934; un’operazione complessa anche se la Critica ha preferito sottolineare come si sia trattato della sostanziale revisione del Piano elaborato nel 1925 dallo stesso progettista, Paolo Grassi, che pure diceva di averlo radicalmente rivisto dopo che la sua prima proposta era stata respinta, nel 1929, dal Consiglio Superiore del Ministero dei Lavori Pubblici. Dalla lettura delle pagine de Il Popolo di Trieste, testata ufficiale dei Fasci triestini, finora poco considerata dalla ricerca storiografica, emergono nuovi dibattiti, scelte, opere che caratterizzarono quel biennio, tra il 1932 e il 1934, rivelatosi cruciale nella messa a punto delle proposte definitive, mostrandoci non solo una variegata molteplicità di prospettive, ma soprattutto la faticosa individuazione di quei ‘gangli di politica urbana’, ritenuti in grado di modernizzare e attualizzare la vita cittadina rispetto ad uno scenario nazionale e internazionale completamente mutato. Abstract: Spatial plans of “Italian cities” in the eastern Adriatic (1922-1943). Spatial Plan of Trieste (1934) based on articles in the newspaper Il Popolo di Trieste - The author analyzes the preparation and adoption of the first Spatial Plan for Trieste from 1932 to 1934. It was a complex procedure even though critics of the time pointed out that it was just a substantial revision of the 1925 Plan, thought out by the same designer Paolo Grassi, despite his claims that it was radically changed after 1929, the Supreme Council of the Ministry of Public Works rejected his previous proposal. Browsing the pages of the newspaper Il Popolo di Trieste, Trieste’s official gazette of the fascist party, which the historiographical researchers rather neglected, they discovered new discussions, commitments and actions that marked the 1932 to 1934 biennium. This period was crucial to determine a final proposal. There was a series of possible solutions, but it was especially difficult to determine the main nodes of urban politics that could modernise and update urban life in relation to the completely altered national and international scenario. Parole chiave / Keywords: politica culturale, piano regolatore, Trieste / Culturale policy, Regulatory Plan, Trieste Dopo una gestazione di otto anni, passati attraverso la redazione di proposte variate ma sempre puntualmente disattese dalla Politica, finalmente nel 1933 354 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 l’Ufficio Tecnico comunale diretto da Paolo Grassi1, redattore della prima versione del Piano del 1925-1926 (il “Piano Grassi”: “Delibere comunali” del 15 aprile e del 29 maggio 1925) e che si era poi potuto valere della collaborazione di Camillo Jona, presentava la versione definitiva del nuovo “Piano generale di massima regolatore edilizio e di ampliamento della città di Trieste”. La questione era decennale e risaliva addirittura alle previsioni dell’ingegner Lorenzutti del 1879 per la Trieste austro-ungarica, ma il momento, in quel 1934, era divenuto finalmente maturo – dopo il passaggio della città all’Italia nel 1918 e definitivamente nel 1923 - grazie alla rilevanza politica nazionale ora assunta sia da Fulvio Suvich2, da sempre legato all’alta imprenditoria capitalistica e assicurativa della 1 Paolo Grassi (1867-1954), nato a Turnu Severin (tra Ungheria e Romania) e laureatosi in Ingegneria a Graz nel 1894, dopo aver lavorato a Trieste presso l’Imperial Regio Governo Marittimo dal 1894 al 1896, nel 1896 entrava al servizio del Magistrato comunale di Fiume dove, nel 1904 veniva chiamato a elaborare il nuovo Piano regolatore (il Piano fu approvato poi dal Governo austro-ungarico con Decreto n.45703 del 1908 e n.24987 del 1917. Cfr. P. GRASSI, Relazione intorno al progetto di regolazione ed ampliamento di citta di Fiume, Fiume, 1904. E ora: J. LOZZI BARKOVI], “Paolo Grassi i regulacijski plan Rijeke iz 1904. godine”, in Vjesnik, Dr‘avni arhiv Rijeka, Fiume, 40, 1998, p. 157- 183; O. MAGAŠ, “Grassijev urbanisti~ki plan Rijeke”, in Architettura e Arte a Fiume e a Trieste tra l’800 e il ‘900, Convegno di Studi [Fiume, 2011], Atti in c.s. Recensioni: “Grandi eventi. ‘Fiume e Trieste, città mitteleuropee sempre più vicine’”, Dentro Fiume, Fiume, 65, ottobre, 2011, p. 3; G. MIKSA, “Fiume e Trieste ricongiunte in un incontro di studio”, La Voce del Popolo, Fiume, 7 settembre 2011; M. KAJIN BENUSSI, “Fiume e Trieste, quel comune fascino mitteleuropeo”, ivi, 26 settembre 2011. Nel 1908 Grassi veniva assunto presso l’Ufficio Tecnico del Comune di Trieste: nel 1920 prestava servizio presso l’”Ufficio ricostruzioni” del Commissariato Generale Civile, per poi rimanere nei ruoli comunali fino al 1938 (lasciando l’incarico per sopraggiunti limiti di età). Per il Piano di Trieste elaborato già nel 1920 e poi fino al 1933, Grassi, ritenuto profondo conoscitore dell’ambiente e dei bisogni della città, ebbe un elogio della Soprintendenza e del Podestà per l’opera svolta nella compilazione (si veda: Comune di Trieste, Archivio Generale. Ufficio Personale, fascicolo personale “Grassi Paolo”). Nel frattempo era entrato a far parte dello staff dell’Ufficio Tecnico Comunale anche l’ingegner Camillo Jona (1886-1974), laureatosi in Ingegneria/Architettura nel 1909 presso il Politecnico di Milano e ottimo grafico (sue le numerose prospettive di accompagnamento al nuovo Piano regolatore messo a punto dall’Ufficio dopo il 1925 (“solo nel 1932 Jona era stato chiamato da Grassi per la compilazione della nuova redazione del Piano del 1933”). Ancora nel 1936 Grassi coordinava una nuova “Variante al Piano regolatore” (Variante per Cittavecchia deliberata il 15 febbraio 1936, approvata con Regio Decreto n.1325 del 29 luglio 1938) e nel 1938, pochi mesi dopo il pensionamento, veniva richiamato in servizio, per un breve periodo, in qualità di “Consulente tecnico” “per il Piano regolatore in corso di attuazione e per le variazioni al Piano particolareggiato di Cittavecchia” (Deliberazione Podestarile 529/1938). Cfr. Schede biografiche “Grassi Paolo” e “Jona Camillo” in Trieste. Guida all’Architettura (1918-1954), a cura di P. Nicoloso e F. Rovello, Trieste, 2005, p. 306-307. Anche: G. DELISE E C.N. TROVATO, “Piano e amministrazione: il Piano regolatore generale di Trieste [1934]”, in Storia Urbana (Milano), 51, aprile-giugno, 1990, n.11, p.163 (Paolo Grassi) e n.24, p.177-178 (Camillo Jona). 2 Il triestino Fulvio Suvich (1887-1980), si laureò il Legge presso l’Università di Graz, ma allo scoppio della Prima Guerra Mondiale decise di arruolarsi volontario nelle fila dell’Esercito Italiano. Eletto Deputato alla Camera nel gruppo dei Nazionalisti nel 1921, dopo la fusione tra Fascisti e Nazionalisti nel 1923 entrò PNF, divenendo un punto di riferimento politico per la rappresentanza delle istanze del Capitalismo giuliano a Roma (era sempre stato in rapporti assai stretti con gli esponenti del capitale commerciale-armatoriale e finanziario di Trieste: cfr. F. SUVICH, Trieste e l’espansione italiana in Oriente, Roma, 1922). Legato a Guido Jung e ad Oscar Sinigaglia (l’industriale che nel 1919 aveva rifinanziato “Il Piccolo”) oltre che a Bruno Coceani, poi Vice Presidente dell’Associazione degli Industriali di Trieste, lo stesso Suvich entrava nel 1926 nel Consiglio di Amministrazione della Riunione Adriatica di Sicurtà. Nello stesso anno veniva però nominato Sottosegretario di Stato alle Finanze, dovendo così lasciare la RAS (ma vi sarebbe tornato, ai vertici dirigenziali, nel 1928 e poi F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 355 città3; sia da Giuseppe Cobolli Gigli, già Segretario del Fascio triestino dal 1927 al 1930 e ora divenuto Deputato alla Camera nel 19344. In particolare fu Cobolli Gigli, pochi mesi prima addirittura Vice Podestà di Trieste, a farsi nuovo promotore del “Piano Grassi”, pur opportunamente attualizzato, e a fare in modo di accelerarne l’iter già avviato, dopo che il 28 aprile 1934 era divenuto Deputato: fu Cobolli Gigli che si adoperò in modo che quel Piano venisse approvato dalla Camera dei Deputati, facendosene egli stesso Relatore, dopo che Mussolini ne aveva avallato le previsioni. 1. L’approvazione del Piano e la ‘prima era Salem’ (1934) Il Popolo di Trieste già il 28 gennaio 1934 annunciava che era stata diramata la comunicazione, da parte del Comune, che ieri il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, a sezioni riunite, adunatosi a Roma sotto la presidenza del presidente conte Calletti, ha approvato, su relazione dell’ispettore superiore ing. Comm. Alicata, il Piano regolatore della nei primi anni Quaranta); poi tra il 1932 e il 1936 veniva chiamato alla carica di Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri. Fu uno dei grandi fautori dell’amicizia italo-austriaca, in chiave anti-tedesca, in vista anche di un’alleanza con la Francia e la Gran Bretagna. Dal 1936 al 1938, in contrasto con Ciano e la sua politica filotedesca, fu inviato come Ambasciatore a Washington (favorì forse la ‘stagione americana’ di Gustavo Pulitzer Finali, trasferitosi allora da Trieste negli USA?). Cfr. F. SUVICH, Memorie (1932-1936), a cura di G. Bianchi, Milano, 1984. 3 A. MILLO, L’élite del potere a Trieste. Una biografia collettiva (1891-1938), Milano, 1989; G. SAPELLI, Trieste italiana. Mito e destino economico, Milano, 1990; A. MILLO, “Fra Trieste, Roma e Washington. Note su Fulvio Suvich …” in Italogramma, 4, 2012, p. 405-415 (in http://italogramma.elte.hu consultato nel maggio 2015). 4 Giuseppe Cobolli Gigli (1892-1987), figlio del capodistriano Nicolò Cobol, socio e dirigente della “Società Alpina delle Giulie” nonché membro della “Commissione Grotte” e fondatore dei “Ricreatori di Trieste”, aveva conseguito la Laurea in Ingegneria; poi allo scoppio della Prima Guerra Mondiale si era arruolato volontario nell’Esercito italiano. Nel 1921 si iscriveva al Partito Nazionale Fascista diventando Segretario Provinciale (Federale) del Fascio di Trieste dal 1927 al 1930 (“Giuseppe Cobolli Gigli lascia la Federazione al parentino Carlo Perusino”, in Popolo di Trieste, 14 gennaio 1930, p.5), come esponente del “Fascismo moderato cittadino” (rispetto agli Squadristi più accesi); nel frattempo Giuseppe Cobol aveva italianizzato il proprio cognome in Cobolli, aggiungendovi anche Gigli. Nel 1931 Cobolli assumeva il ruolo di Direttore della Cooperativa Triestina fra Operai Edili e diveniva socio dell’Industria Triestina Frantumazione della Pietra; Console dal 1923 e poi Capoconsole del Touring Club Italiano, veniva designato alla carica di Vicepresidente del Comitato per la Valorizzazione delle Grotte di San Canziano; e quindi nel novembre del 1933, Vice Podestà di Trieste. Deputato presso la Camera nella XXIX° (dal 28 aprile 1934 al 2 marzo 1939) e XXX° (dal 23 marzo 1939 al 2 agosto 1943) Legislatura del Regno d’Italia, insignito del titolo di Commendatore del Regno, divenne Sottosegretario ai Lavori Pubblici dal 24 gennaio al 5 settembre 1935, quando fu nominato Ministro dei Lavori Pubblici fino al 30 ottobre 1939, per poi divenire Presidente dell’AGIP (fino al 1943). Cfr. R. CANOSA, Storia dell’epurazione in Italia. Le sanzioni contro il Fascismo (1943-1948), Milano, 1999, p. 471; Giacomo SCOTTI, “Il ricordo selezionato e la storia falsificata", in Revisionismo storico e terre di confine, a cura di D. Antoni, Udine, 2007. 356 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 Città di Trieste nelle sue linee generali ed ha dato la sua approvazione a tre stralci di dettaglio del Piano stesso: a. sventramento di Cittavecchia; b. sventramento tra via Carducci e piazza Garibaldi; c. sistemazione del Foro Ulpiano e della via Coroneo. A questa approvazione, che implica pure il consenso dato al progetto di Legge e il Regolamento relativo al Piano, seguiranno per parte del Comune, lo sviluppo progressivo e l’ordinamento di alcune zone di Cittavecchia, di via Arcata e via Solitario5. I lavori dovevano avere dunque una scansione precisa: 1. Gli espropri ed i lavori conseguenti in Cittavecchia saranno iniziati (non appena approvato dal Consiglio dei Ministri, il “Decreto-legge”) nella zona tra via Riborgo, corso Vittorio Emanuele, via Beccherie e la chiesa del Rosario, dove sorgerà, dirimpetto al Teatro Romano, la Casa del Fascio. Quindi seguiranno nel tempo altri espropri, demolizioni e ricostruzioni. L’Ufficio Tecnico ha in via di preparazione un catasto generale di tutti gli edifici espropriandi ed inizierà immediatamente l’esame dei computi e le perizie dei fabbricati. Altrettanto avverrà per le due altre zone degli stralci sopra indicati. Infatti 2. L’approvazione del Piano regolatore comprende l’interramento del canale fino al limite verso mare della via Fabio Filzi e via San Spiridione; e ciò ai fini di collegare l’arteria che da piazza Oberdan adduce al corso Vittorio Emanuele e da qui al nuovo costruendo corso di Cittavecchia. Ancora per quanto si riferisce al Foro Uliano (dinanzi al Palazzo di Giustizia) il Piano regolatore approvato contempla un arretramento di circa 10 metri dalla linea precedentemente stabilita per le case rivolte verso il Palazzo di Giustizia, senza con ciò entrare in merito a quella che sarà la prossima sistemazione di piazza Oberdan, i cui studi sono in corso, e che ci si augura sia corrispondente alle aspettative di tutta la cittadinanza. Infine 5 “Il Piano regolatore approvato definitivamente”, in Il Popolo di Trieste, 28 gennaio 1934, p.4. Sulle Tavole del Piano, “elaborate dall’Ufficio Tecnico Comunale, dott.ing. Paolo Grassi, scala 1:5000, anno MCMXXXI” è presente il timbro del “Consiglio Superiore LL.PP. Adunanza del 27 gennaio 1934” in www.rapu.it/ricerca consultato nell’aprile 2015. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 357 3. Per quanto si riferisce all’arteria via Carducci-piazza Garibaldi, il Consiglio ha portato leggere modifiche agli allineamenti che potranno essere di utile norma per l’esecuzione, man mano che verrà approntata dagli organi tecnici del Comune. Finalmente la Direzione del Popolo di Trieste rompeva il proprio voluto silenzio al proposito del Piano: poiché era stata impegnata la nostra Direzione a non parlare del Piano prima della sua approvazione … le pratiche per addivenire alla tanto attesa approvazione del Piano sono durate due mesi. In così breve tempo, la questione (che pareva arenata nella secche di qualche pregiudizio tecnico) ha fatto rapidissimi progressi. Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici non si accontentò di esaminare atti e documenti grafici, ma inviò anche suoi tecnici a Trieste. Naturalmente serviva l’approvazione del Consiglio dei Ministri. E questa arrivava nel marzo: il Piano regolatore è stato approvato dal Consiglio dei Ministri e diverrà Legge in forza di un Decreto reale … Per questo fatto la grande opera di rigenerazione sanitaria ed edilizia può effettuarsi ormai senza alcun intoppo … naturalmente occorrerà ancora il Decreto reale che, separando dal Piano regolatore quelle parti riguardano i rioni da risanarsi immediatamente (borgo Maurizio e Cittavecchia), permetta di effettuare i progettati sventramenti6. Dopo poco si poteva procedere ai primi “Acquisti di immobili per l’applicazione del Piano regolatore”: la Consulta cittadina dà parere favorevole all’acquisto delle case n.9 e n.11 del corso Vittorio Emanuele di proprietà della Cassa di Risparmio Triestina, che devono essere demolite per l’allargamento del Corso e l’assanamento di Cittavecchia … e quindi le deliberazioni che riguardano l’esecuzione della parte bassa del viale Sonnino7. E così nel maggio (Cobolli Gigli era entrato in Parlamento nell’aprile) si aveva il “Decreto Legge 10 maggio 1934 n. 689 che approva e dichiara di pubblica 6 “Il Piano regolatore definitivamente approvato”, in Il Popolo di Trieste, 4 marzo 1934, p. 4. “Verso lo sventramento di Cittavecchia … Acquisto di immobili per l’applicazione del Piano regolatore”, in Il Popolo di Trieste, 26 maggio 1934, p.3; “Case del Seicento in Cittavecchia affidate al piccone”, in ivi, 10 luglio 1934, p.6; “Le demolizioni in Cittavecchia”, in ivi, 18 luglio 1934, p. 2; Aldo TASSINI, “Mentre il piccone lavora”, in ivi, 22 luglio 1934, p. 4; “L’opera dello sventramento”, in ivi, 19 settembre 1934, p.2; “Dove opera il piccone”, in ivi, 17 ottobre 1934, p. 2; “Dove opera il piccone. Le demolizioni in corso”, in ivi, 29 novembre 1934, p. 2. 7 358 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 utilità il Piano generale di massima regolatore edilizio e di ampliamento della città di Trieste”. Non si trattava di un “Piano Regolatore Generale”, come invece è stato interpretato anche di recente e quale la Disciplina urbanistica più avvertita auspicava, ma le previsioni erano così ‘estese’ che al nuovo Strumento programmatorio si puntava. Nel luglio “Il Piano regolatore approvato con Regio Decreto Legge” veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale: con l’approvazione del Piano regolatore di massima [PRM] vengono fissate le direttive e determinati i criteri generali secondo i quali saranno sviluppati e completati i Piani particolareggiati di esecuzione [PPE]. Il Comune di Trieste provvederà alla compilazione dei Piani particolareggiati di esecuzione delle varie zone ed opere comprendenti la planimetria particolareggiata di tali zone e l’elenco delle proprietà soggette ad espropriazione e a vincolo8. Facendo un breve riassunto delle vicende occorse, nell’ottobre, venivano sottolineati alcuni aspetti: l’opera più vasta di conseguenze che il Podestà [appena nominato Enrico Paolo Salem9] volle venisse iniziata è quella dell’attuazione del Piano regola- 8 “Il Piano regolatore approvato con Regio Decreto Legge”, in Il Popolo di Trieste, 4 luglio 1934, p.2. Nei mesi successivi continuavano gli acquisti di immobili da demolire per l’attuazione del Piano: “Deliberazioni della Consulta municipale … Per il Piano regolatore”, in Il Popolo di Trieste, 1 settembre 1934, p. 2. Infatti “tutte queste case [elencate] saranno demolite per ragioni di assanamento e di viabilità in esecuzione del Piano regolatore”. E ancora: “La Consulta comunale… Il Piano regolatore. Acquisti di immobili”, in Il Popolo di Trieste, 6 ottobre 1934, p. 2. 9 Enrico Paolo Salem, succeduto a Giorgio Pitacco nel settembre 1933 per rimanere in carica fino al 1938 “non fu, si badi, un Podestà qualsiasi, - scriveva Lino Carpinteri sul “Piccolo di Trieste” - perché a lui è legato il rinnovamento urbanistico del centro storico, con conseguente demolizione di gran parte della Cittavecchia, tanto che un verseggiatore dialettale ultrafascista ne esaltò l’operato in venti quartine. Eccone un paio: ‘Dito e fato, el picòn el meti in opera. / I protesta? No ‘l senti de ‘sta recia. / Devi sparir le case in zità vecia / Adesso el nostro podestà se ocupa / de riportar al sol del Novezento / el Teatro Romano, un monumento / de patria storia e de romanità’“. Cresciuto nell’ambito dell’Irredentismo triestino italiano, combattente della Grande Guerra, fascista dal 1921 e nello stesso tempo esponente del mondo finanziario della città, Salem si poneva come perfetto mediatore tra le due anime in lotta nel Fascismo triestino: lo Squadrismo “rivoluzionario” di Paolo Giunta e il ‘Fascismo moderato’ che puntava alla salvaguardia dei grandi potentati economici di matrice liberal-nazionale (gruppo al quale apparteneva anche Giuseppe Cobolli Gigli, peraltro). La sua mediazione, da importante esponente del mondo finanziario che aveva operato il salvataggio dell’istituto di “Credito Triestino”, si attuò attraverso un piglio decisionistico che pose i lavori pubblici di risanamento e abbellimento della città al centro della propria attività. Il coinvolgimento di Giuseppe Cobolli Gigli, in pochi anni proiettato a importanti incarichi di Governo nazionale, costituì dunque un passo molto efficace poi nello sbloccare situazioni, come quella del Piano regolatore, ormai ferme da anni. Per Salem si veda: S. BON, Un fascista imperfetto, Enrico Paolo Salem, podestà ‘ebreo’ di Trieste, Gradisca (GO), 2009. Da altri Autori la presenza di Cobolli Gigli nella Dirigenza comunale è stata invece letta come una sorta di “cintura di sicurezza voluta dal prefetto Tiengo e accettata dal Ministero dell’Interno” nei confronti di Salem, la cui designazione aveva prodotto forti resistenze addirittura sul “Popolo d’Italia” (FARINATA/Paolo DINALE, “Discussioni”, in F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 359 tore. Essa, naturalmente, si trova nella fase iniziale. È del luglio la pubblicazione del R. Decreto che dà forza legale al Piano regolatore e alle Norme per la sua esecuzione. Prima della pubblicazione di quel R. Decreto non si poteva far altro che rimanere, diremo così, su un campo platonico. Riconosciamo che l’impresa si presentava ardua per le resistenze che aveva trovata e trovava. Fino alla vigilia della pubblicazione del Regio Decreto, le forze occulte e palesi contro quel Piano avevano potuto tentare di ostacolarne l’esecuzione. Spiriti conservatori, certamente animati da rispettabili sentimenti di affetto per vecchi motivi cosiddetti “pittoreschi” trovavano “bello” il ghetto, “bello” il dedalo di viuzze tra il Municipio e le case Conti. Tutto conservabile in omaggio al “colore locale”. Sembrava ad altri impossibile che si potesse ‘rompere’ la linea tradizionale del vecchio Corso e sostituire le case dell’affaccendato Settecento, sprezzante non solo dell’architettura, ma anche della comodità e della salute, con una serie di palazzi nuovi. Quando fu annunciato che lo sventramento si sarebbe fatto molti furono quelli che scommettevano che la generazione attuale non l’avrebbe veduta. Il Podestà, con ferma mano, diresse tutte le pratiche per i primi acquisti, risoluto a passare alle espropriazioni per necessità di salute pubblica … Invece compiuti i primi acquisti e diffusasi la voce che il Comune faceva sul serio, piovvero le offerte di cessione delle case, casette e casucce che componevano il “pittoresco” rione maleodorante e malfamato che deve lasciare il posto ad un quartiere moderno. Se certe demolizioni apparvero affrettate, bisogna dire che esse erano necessarie per esercitare una benefica influenza sullo spirito pubblico. Solo la vista degli assiti e i colpi del piccone e il rovinio dei muri decrepiti e il trasporto dei rottami potevano erudire gli indotti o persuadere gli increduli. Quelle demolizioni sono in pieno movimento. Dopo un primo settore (sul quale si apriva un largo, ma sul quale giungerà pure una parte dell’edificio che occuperà la vecchia piazzetta di San Giacomo, in continuazione del segmento che comincia con la sede del Banco di Roma) si procederà alla demolizione del secondo settore fra via delle Beccherie, via Riborgo e via del Volto: è l’area sulla quale, nella primavera prossima, si inizierà la costruzione della Casa del Fascio10. In breve si procedeva a chiudere anche la questione dei “Piani particolareggiati”: quando, nella scorsa estate [1934], fu approvato dalle Autorità superiori il Popolo d’Italia, 4 ottobre 1933). Cfr. G. FABRE, Il contratto: Mussolini editore di Hitler [la traduzione italiana del “Mein Kampf”/”La mia battaglia”, 1934 e la “questione ebraica” in Italia?], Bari, 2004, p. 97. Ma tant’è: la presenza di Cobolli Gigli si rivelò poi preziosa per Salem. 10 “Le opere pubbliche dell’anno XII … Il Piano regolatore”, in Il Popolo di Trieste, 28 ottobre 1934, p. 4. 360 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 Piano regolatore della nostra città, il Comune ebbe contemporaneo invito a presentare al Ministero dei Lavori Pubblici per l’approvazione, i “Piani particolareggiati” riguardanti le zone da assanare o sistemare (Cittavecchia; via Carducci-corso Garibaldi; via Coroneo). Quei Piani particolareggiati furono immediatamente presentati al competente Ministero ed ora hanno avuta definitiva approvazione con Regio Decreto già reso pubblico. Con ciò viene facilitata la esecuzione del Piano regolatore rendendo più rapidi e spicciativi gli acquisti, eventualmente le espropriazioni, per l’apertura o formazione delle nuove strade o per le nuove costruzioni, secondo le disposizioni della Legge 25 giugno 1865 n.2359 [“Disciplina delle espropriazioni forzate per causa di pubblica utilità”]11. Infatti la pubblicazione del Regio Decreto sui Piani particolareggiati è venuta in buon punto a rassicurare quei pochi dubbiosi che pensavano certi sventramenti rimandati o abbandonati. Nessuna parte del programma quinquennale di risanamento e sistemazione è stata abbandonata dal Comune: sarà regolato l’innesto della via Carducci nel corso Garibaldi; sarà sistemato l’ultimo tratto di via Coroneo; sarà attuato il nuovo Corso e risanato il resto del rione di Cittavecchia12. L’iter complessivo necessitava ancora delle ultime approvazioni, come l’importante conversione in Legge del Decreto, e dunque toccava all’onorevole triestino Cobolli-Gigli di “Illustrare alla Camera dei Deputati il Piano regolatore di Trieste” nel dicembre del 1934: già il Partito Nazionale [italiano] a Trieste, impossessatosi del Comune dopo il 1861, ebbe cura di porre allo studio un Piano regolatore della città. Gli inizi sono del 1878. Una prima attuazione è in alcuni parziali sventramenti di Cittavecchia, nel nuovo allineamento del Corso, nella sistemazione della via Carducci … nella costruzione delle due gallerie di Montuzzo e San Vito … Propugnatore e tenace realizzatore di queste opere fu Felice Venezian, degno capo del Partito Nazionale di Trieste … Poi lo studio del Piano regolatore venne ripreso nel 1925, nel 1933 venne presentato al Ministero dei Lavori Pubblici e nel 1934 trovava la sua definizione nel Decreto che oggi viene proposto per la conversione in Legge13. 11 “I Piani particolareggiati per Cittavecchia, corso Garibaldi e via Coroneo [approvati]”, in Il Popolo di Trieste, 27 novembre 1934, p.4. 12 “Dove opera il piccone. Le demolizioni in corso”, in Il Popolo di Trieste, 28 novembre 1934, p. 2. 13 “L’on. Cobolli-Gigli illustra alla Camera dei Deputati il Piano regolatore di Trieste”, in Il Popolo di F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 361 Importante per il Relatore il fatto che il Comune non ha presentato un semplice progetto di massima, ma bensì il risultato di studi che, essendo partiti dal dettaglio e riportati poi nel quadro d’insieme, attuano in pieno il concetto del coordinamento che è alla base di ogni opera regolatrice nel campo tecnico come in quello specifico dell’Urbanistica. Infatti, alla presentazione del Piano generale ha fatto seguito quella dei Piani particolareggiati riguardanti tre zone: 1. quella del colle di San Giusto, la cosiddetta “Cittavecchia”; 2. Quella fra la via Carducci e piazza Garibaldi; 3. Quella del Foro Ulpiano fra via Fabio Severo e via Coroneo. I punti fondamentali del Piano regolatore di Trieste sono: 1. La bonifica e il risanamento del vecchio abitato; 2. La creazione di strade principali che colleghino i nuovi nuclei abitati col vecchio centro urbano14. Interessante anche la previsione della copertura finanziaria, che si doveva parte allo Stato e parte al Comune: dal piano finanziario allegato alla presentazione dei Piani particolareggiati si ricavano i dati della spesa totale e quella parte di essa che rimane a carico del Comune di Trieste, che vi è precisata in circa 60 milioni. Per il finanziamento è già stato predisposto un piano e il Decreto Legge contempla una serie di provvidenze di natura fiscale che riflette gli espropri e quant’altro a riguardo alle demolizioni e alle costruzioni dei nuovi fabbricati. Come negli altri Piani regolatori delle principali città d’Italia lo Stato è, in questo campo, largo di favori onde facilitare il compimento. Era evidente come lo Strumento programmatorio si avvicinasse davvero, almeno nella sua scansione gerarchica, ad un “Piano Regolatore Generale”. E il fondamento restava il fatto che la cubatura dei fabbricati di demolizione … subirà un aumento nelle ricostruzioni di circa il 22% ... Le strade … subiranno una diminuzione in ml, ma con un raddoppio della loro area totale preesistente … con strade superiori per larghezza a 10 metri … Da questi dati che si ripetono nelle proporzioni in altre zone della città da bonificare, appare chiaramente il fondamento primo del Piano regolatore che è quello di aver dato completa attuazione ai concetti recentemente e universalmente affermatisi nel campo dell’Urbanistica. Ma non solo le basi strettamente tecniche sono razionali. È pure studiata l’esecuTrieste, 11 dicembre 1934, p. 2. 14 Nel 1925 Grassi aveva elaborato il “Piano particolareggiato per le zone di Cittavecchia e quelle ad essa adiacenti” e nel 1932 il “Piano di sventramento” per la stessa zona. 362 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 zione rapida dell’opera importante … che per merito del Comune è già iniziata. Così nel nuovo clima i progetti vengono rapidamente attuati … . Effettivamente, però, l’«esecuzione rapida dell’opera importante … che per merito del Comune è già iniziata», aveva preso avvio da anni nonostante mancasse l’autorizzazione ministeriale. Si era trattato di operazione però, chirurgiche, visto che le previsioni del 1925 erano state poi variate nel 1929 e, quindi, sempre da parte di Grassi, nel 1931-193215 (che era la versione poi presentata al Ministero nel 1933) e finalmente approvata nel 1934: Grassi redige allora un nuovo Piano, mirato in primo luogo al ridisegno delle aree di insediamento, all’aumento delle superfici fabbricabili e delle relative volumetrie. Quattro elementi lo caratterizzano: la soppressione [rispetto al progetto iniziale] della nuova via parallela all’odierno corso Italia; la scomparsa dei portici [originariamente previsti] lungo il corso Impero allargato a 20 metri; la nuova piazza Malta (oggi largo Riborgo) verso il Corso e via Filzi, creata per consentire un più agevole collegamento tra la Città vecchia e quella nuova; stessa finalità attribuita alla prosecuzione di via Roma fino alla nuova e ampliata piazza Vecchia. A queste indicazioni si aggiungono: una nuova sistemazione monumentale del piazzale di San Giusto e il restauro delle aree archeologiche prossime alla Cattedrale16. Ovviamente la parte più rilevante era costituita dagli abbattimenti previsti in Cittavecchia: la nuova versione approvata dal podestà Salem il 23 dicembre 1933 insieme al “Piano regolatore di ampliamento” si estende su 37,56 ettari, interessa 562 edifici e 18.069 abitanti [di Cittavecchia], per circa 10.000 dei quali si propone di trovare nuovi alloggi nei rioni periferici17. 15 C. CESARI, “Il Piano regolatore, lo sventramento di Cittavecchia e sistemazione del colle di San Giusto”, in Rivista mensile della città di Trieste, 10, ottobre, 1932, p. 337-345; P. GRASSI, “Progetto di sventramento di Cittavecchia e sistemazione del colle di San Giusto, in Rivista mensile della città di Trieste, 10, ottobre, 1932, p. 340. 16 A. MARIN, “Progetto di sventramento di Cittavecchia e sistemazione del colle di San Giusto”, in Trieste. Guida all’Architettura (1918-1954) …, cit., p.117-118. Anche: Idem, “Piani urbanistici per Trieste (1872-2001)”, in Dalla città moderna alla città contemporanea. Piani e progetti per Trieste, a cura di P. Di Biagi e V. Fasoli, Udine, 2002; Idem, “Progetti, città, identità: spazi urbani e ideologie nazionali a Trieste”, in Acta Histriae, 20, 2012, p.615-630. Per il “Piano Grassi” del 1934 prima anche la breve segnalazione di E. GODOLI, Trieste. Le città nella Storia d’Italia, Bari, 1984, p.188-189 (“Il Piano regolatore del 1934”) e p.185-188 (“il Piano regolatore del 1925”); G. DELISE e C.N.TROVATO, “Piano e amministrazione: il Piano regolatore generale di Trieste [1934]”, in Storia Urbana (Milano), 51, aprile-giugno, 1990, p.155-187. 17 A. MARIN, “Progetto di sventramento di Cittavecchia e sistemazione del colle di San Giusto” …, cit. I dati quantitativi erano in: “Il rinnovamento della città. Il programma delle opere pubbliche”, in Rivista mensile della città di Trieste, 12, dicembre, 1933, p. 269. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 363 Trieste, la città romana e la città fascista: Piero Sticotti, tracciato delle strade romane su una carta degli anni Venti (da Godoli, p. 10) L’approvazione aveva anticipato di qualche giorno – evidentemente avendone avuto una ‘soffiata – il primo via libera del Ministero dei Lavori Pubblici dei primi di gennaio del 1934, ma, soprattutto, vi era stata nel dicembre 1933 una importante visita del Podestà a Palazzo Venezia a Roma, ricevuto da Mussolini: al Capo del Governo egli presenta il nuovo programma amministrativo imperniato su un vasto programma di opere pubbliche. Estrema rilevanza viene assegnata al rinnovamento del centro cittadino, la zona di Cittavecchia. Poi tra le opere illustrate dal Podestà-finanziere e inserite nel nuovo Piano regolatore, in corso di approvazione, c’è la nuova Casa del Fascio, che dovrà sorgere di fronte al Teatro romano, quest’ultimo da recuperare nelle sue forme originarie. L’incontro segna una svolta. Lo stesso Duce attribuisce al Piano il significato di un ‘colpo di spugna’ rispetto al passato .., rispondendo al disegno di 364 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 costruzione del nuovo volta fascista della città. Una nuova strada taglierà il quartiere: è la nuova ‘via triumphalis’, sui cui si affacceranno il nuovo “foro”, le vestigia dell’antico Teatro romano e la nuova Casa del Fascio … distruggendo la “piccola e modesta” Trieste medievale18, peraltro in loco rimpianta da pochi. Dunque continuità del Piano o sua novità? Ovviamente la Propaganda del momento aveva tutto l’interesse a celebrare la ‘novità’ mussoliniana e anche l’operato di Salem19. Ma la Critica attuale resta comunque non concorde nell’interpretazione20. Le cose appaiono vere entrambe, a secondo dei vari ‘tagli’ di lettura: ma sembra, però, che le generali previsioni di Grassi, opportunamente aggiornate già nel 1931-1932, venissero ‘innervate’ da una volontà di individuazione di nodi urbani che si aggiungono a quelli previsti nelle “Vedute” di Camillo Jona che già dal 1932 puntualizzavano il ‘vecchio’ Piano. Ora, ovviamente, erano i nuovi ‘fulcri celebrativi’ a fare la differenza e se anche non cambiavano le direttive ‘tecniche’ di coordinamento, i Piani particolareggiati avrebbero ‘fatto la differenza’. Probabilmente per tutto ciò serviva ‘qualcuno’ di più ‘importante’ di Grassi e Jona … Ad ogni modo, le demolizioni ufficiali per Cittavecchia ebbero avvio nel luglio del 1934, anche se l’operazione era già partita, pur lentamente, anni prima. Per quanto riguardava le espansioni, invece, Grassi “che rappresentava anche personalmente la continuità tra la vecchia amministrazione austriaca e quella italiana … (essendo in servizio presso il Comune dal 1908)”, se nelle previsioni per Cittavecchia riprendeva spunti già presenti nel “Piano Lorenzutti” del 1880 (pur mai approvato dal Consiglio Comunale), per il “Progetto di ampliamento” della città elaborava, invece, una innovazione … nel modo di trattare quelli che egli considera i due principali compiti del Piano: “il completamento organico della rete stradale e la vagliata distribuzione delle masse edificate”[21]… La “Relazione” del Piano antepone il disegno della rete stradale a ogni altra considerazione … Questa maglia si 18 P. NICOLOSO, “Architetture per la città fascista (1933-1939). Dicembre 1933: un ‘colpo di spugna’ sul passato” in Trieste (1918-1954) …, cit., p. 47. 19 Alessandro NICOTERA, “L’approvazione del Duce ad un vasto piano di opere pubbliche a Trieste”, in Il Popolo d’Italia (Milano), 9 gennaio 1934, p. 3. 20 MARIN, “Piani regolatori per una ‘più grande Trieste’” …, in Trieste (1918-1954) …, cit., p. 35, in cui si sottolinea “la sostanziale continuità di queste vicende” pianificatorie (e prima, sulla stessa linea, anche DELISE e TROVATO, “Piano e amministrazione” …, cit.). Contra: NICOLOSO, “Architetture per la città fascista (1933-1939) …”, cit., p. 47. 21 P. GRASSI, “Piano Regolatore della città di Trieste”, in Atti del Primo Congresso Internazionale degli Ingegneri delle Tre Venezie, Trieste, 1933, p. 262. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 365 struttura su una relazione tra un sistema di assi concentrici … e un grande asse Nord Ovest-Sud Est che attraversa la città sulla direttrice Monfalcone-TriesteIstria … identificandosi con la Strada Costiera … entra in città attraverso le vie Ghega e Carducci, sventra il tessuto urbano sette e ottocentesco … una galleria le consente di superare il colle San Giacomo … e si sovrappone in pratica al tracciato di via dell’Istria … A ciò si aggiunge la suddivisione in zone dell’edificato urbano: dedotte dai piani di settore [Piani particolareggiati] le aree per le funzioni produttive e portuali e individuate le aree verdi, la zonizzazione si basa sulle densità e sulle tipologie abitative consentite … Fortemente ridimensionato dagli Uffici Centrali di Roma nel 1929 … modificato e riproposto nel 1933 … viene poi approvato nel 1934 … Nel complesso l’articolazione e i punti qualificanti non vengono modificati, anche se Grassi rimarca di averlo rivisto, improntandolo a criteri “di maggiore economia e di maggiore equilibrio fra le esigenze della praticità e della estetica”[22] 23. Dunque, il giudizio sul “Piano Grassi” risulta a sua volta complesso: l’impostazione del Piano, elaborato tra gli anni Venti e gli anni Trenta da Grassi non è innovativa. Anzi, i criteri enunciati quali base del suo disegno quasi fanno pensare ad un piano ottocentesco … Del Funzionalismo che caratterizza nello stesso periodo molti Piani urbanistici … non si trova traccia24. Letture solo in parte condivisibili, non tanto in riferimento alla redazione del 1925 quanto nei confronti di quella del 1931-1933 (poi approvata nel 1934). Certo “i temi riferiti all’igiene [e in particolare alle previsioni per il nucleo storico di Cittavecchia] e all’edilizia cittadina … rievocano un modo di pensare … [tipico] dell’Ingegneria sanitaria … tra Otto e Novecento”25, ma niente di strano o ‘attardato’ nella prassi pianificatoria italiana dei primi anni Trenta, quando proprio allora il «Gruppo dei G.U.R», (non a caso favoriti da Gustavo Giovannoni e Marcello Piacentini) o gli «Urbanisti milanesi» e la rivista Urbanistica a Torino, puntavano a modificare la prassi disciplinare corrente. Quello di Grassi si poneva, piuttosto, come un Piano ‘di mediazione’, che accoglieva le istanze progettuali ormai ritenute disciplinariamente ‘tradizionali’ (senza ‘aggiornarle’). Si pensi solo al rifiuto delle riflessioni giovannoniane. Ma 22 GRASSI, “Piano Regolatore della città di Trieste”, cit., 1933, p. 260. A. MARIN, “Paolo Grassi, Piano regolatore della città di Trieste (1924-1934)” in Trieste (1918-1954) …, cit., p. 110-113. 24 MARIN, “Piani regolatori per ‘una più grande Trieste’” in Trieste (1918-1954) …, cit., p. 35-36. 25 Ibid. 23 366 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 si pensi anche alla netta posizione anti-giovannoniana e anti-«diradamento» di Piacentini al proposito (che infatti si lanciava contro il «feticismo de Pittoresco» pur espressa molto ‘tardi’26). Grassi non dimentica, poi, “il riconoscimento di alcuni settori urbani funzionalmente caratterizzati” anche se “frutto di progetti e di decisioni precedenti o prese in altra sede”, forse anche suggeriti dalla “tradizione triestina di pensare la città come un sistema di parti che vanno addizionandosi”27. In definitiva, però, è la prassi dello Zoning che non gli è affatto estranea, come dimostra non solo la “proposta di sei differenti tipi di zone residenziali … con la Zona A … Zona B … Zona C … Zona C2 … Zona D … e Zona D2” ciascuna caratterizzata da diverse densità e tipologie edilizie, ma anche il caso dell’area industriale di Zaule e delle sue previsioni ‘interne’. Forse, allora, è la ‘sensibilità’ di Camillo Jona, che porta Paolo Grassi ad articolare il suo dettato affermando nel 1933 di aver “rivisto il Piano del 1925”, improntandolo a criteri “di maggiore economia e di maggiore equilibrio fra le esigenze della praticità e della estetica”28. E proprio Jona sa prendere posizioni molto ferme in relazione a piazza Oberdan, tirando la ‘volata’ all’incarico di supervisione poi affidato al romano Mario De Renzi; e sempre Jona non a caso elabora quelle “Prospettive grafiche urbane” puntuali, ad effetto, di accompagnamento al Piano del 1933. Cioè, in perfetto stile di … “Disegno della città” che sembra fare anche del Piano di Trieste un ‘Piano estetico piacentiniano’. Del resto sull’”Estetica” del Piano insisteva più volte lo stesso Grassi nel 1933: Trieste è una città bella … non nel dettaglio interno … È però una città panoramica, con un paesaggio incantevole … tanto che ha qualità spiccate per essere anche meta del turismo … [e il Piano dunque mira che] sia anche, oggi e sempre, intonata all’incantevole paesaggio che la circonda29. E che potevano sembrare ‘automatiche’ scelte igienistiche di un piano tardo ottocentesco in gran parte attardato, sembrano dissolversi di fronte ai fini del Piano e tutta va letto, allora, sotto una luce diversa, che è poi quella della “bellezza” e anche del “decoro”. 26 M. PIACENTINI, “Vecchio e Nuovo. Il diradamento e risanamento dei vecchi quartieri urbani” in Scena illustrata (Roma), 10, ottobre, 1941, pp. 5-6. La polemica era stata resa pubblica a proposito di Spalato nel 1941 (si veda il mio: F. CANALI, “Architettura del Moderno nella Dalmazia italiana (1922-1942). Parte seconda: Il Palazzo di Diocleziano di Spalato: dai problemi sull’ambientamento dei nuovi Monumenti celebrativi (1929) alle previsioni dell’Accademia d’Italia (1941-1943)”, in Quaderni CRSR. Quaderni del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, XIX, 2008, p. 133-138: “5. Gustavo Giovannoni contro Marcello Piacentini … Restauro versus Disegno della Città”), ma l’opposizione Piacentini-Giovannoni sulla metodologia d’intervento durava da molto tempo. 27 MARIN, “Piani regolatori per ‘una più grande Trieste’” in Trieste (1918-1954) …, cit., p. 35-36. 28 GRASSI, “Piano Regolatore della città di Trieste”, cit., 1933, p. 260. 29 Ibid. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 367 Un’estetica di Paesaggio, ma anche una estetica ‘di luoghi urbani’ moderni. La trasposizione insomma di quelle concezione sulle quali ‘vigila’ e che ‘ispira’ Marcello Piacentini, il ‘nume tutelare’ di buona parte delle scelte architettoniche e monumentali (fin nei piloni di piazza dell’Unità!) della nuova Trieste celebrativa … 1.1. Il “Piano particolareggiato per Cittavecchia”: le demolizioni e le polemiche sul “colore locale” e sul “pittoresco” contrari alla Modernità Uno dei punti nodali del nuovo Piano era quello di riprendere e riorganizzare tutte le iniziative che fin dal “Piano Lorenzutti” del 187930 erano state volte alla demolizioni dei “malsani” quartieri di Cittavecchia: la “Relazione” che accompagna il Progetto di Legge sul Piano regolatore di Trieste alla Camera dei Deputati mette in rilievo soprattutto la parte del Piano che riguarda la demolizione di Cittavecchia e la loda. Fino a pochi anni fa, quando si parlava di buttare in aria Cittavecchia (e il “Popolo di Trieste” si vanta di essere stato tra i più strenui sostenitori dell’opera) per risanare tutta questa zona della città, da molte parti si era gridato contro i nuovi vandali che volevano distruggere il “pittoresco”, il “caratteristico” e si era insorti in nome dell’integrità del “colore locale”. Nelle varie peregrinazioni da noi fatte in numerose città italiane abbiamo potuto constatare che dovunque esiste la categoria dei protettori del “colore locale”. Ma dobbiamo anche constatare che dovunque “colore locale” equivale a vecchio, muffito, cadente e … maleodorante. [E ciò] persino a Roma … Non deve dunque meravigliare se anche a Trieste si erano avuti di questi odiatori delle novità e appassionati delle cose vecchie, trepidanti per la sorte delle catapecchie di Cittavecchia31. Interessante notare come non si fosse diffusa presso la Redazione del Popolo di Trieste, alcuna attenzione verso il ‘tessuto urbano storico’; un’attenzione quale ad esempio Gustavo Giovannoni predicava ormai da qualche decennio. 30 Già nella “Relazione” di accompagnamento al “Piano”, Lorenzutti sottolineava “i molti difetti che presenta la città vecchia in linea stradale e in linea igienica … non permisero di procedere con mano timida nello svolgimento del progetto … E così a Trieste tutta questa parte … deve cogli anni sparire completamente per dar luogo ad un nuovo aggruppamento”: Verbali del Consiglio della città di Trieste, seduta del 23 aprile 1880 (in G. Delise e C.N. Trovato, “Piano e amministrazione: il Piano regolatore generale di Trieste [1934]”, in Storia Urbana (Milano), 51, aprile-giugno, 1990, p. 160-161). 31 “Il Piano regolatore: il “colore locale” … e la salute”, in Il Popolo di Trieste, 22 novembre 1934, p. 4. Si veda da ultimo anche D. DE ROSA, C. ERNÈ e M. TABOR, Memorie di pietra. Il Ghetto ebraico, la Città vecchia e il piccone risanatore. Trieste, 1934-1938, Trieste, 2011. 368 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 Ma la linea era, piuttosto, quella degli “Ingegneri igienisti”32, come, del resto, suggeriva la Cultura di Grassi, ma anche quella di Cobolli Gigli (entrambi lontani, ad esempio, dalle riflessioni di Gustavo Giovannoni, ma anche di Camillo Sitte, anche se Grassi si era laureato in Austria. Ma ignoranza o volontà? Forse più … volontà!). Infatti: si sarebbe potuta scusare questa passione se Cittavecchia fosse stata composta di palazzi storici o di case recanti vestigia d’arte; ma c’è il caso di arrischiare un patrimonio in sommesse che non si possono trovare in Cittavecchia né palazzi storici né monumenti artistici. Si sono demolite già un paio di decine di case: non s’è trovato che un frammento di capitello romano. Ora si sta demolendo un gruppo di oltre trenta edifici, ciascuno più sordido del proprio vicino, e situati tutti su vicoli senz’aria e senza luce, umidi e maleodoranti. Basta recarsi a vedere i ruderi delle case abbattute per sentire quanto salutare sia stato il provvedimento podestarile che le ha dannate al piccone. L’igiene prima di tutto, in linea, dunque, con la più ‘pura’ “Ingegneria igienistica” fine de siècle: anche se per inconcessa ipotesi, questi edifici contenessero autentiche opere d’arte, la misura che mira a sostituire un rione sano, soleggiato, luminoso, ad un rione infetto, non sarebbe meno lodevole. Trasformando Cittavecchia in città nuova, il Comune compie veramente un’opera di bonifica edilizia, sanitaria ed umana, per il quale il momento che noi viviamo rimarrà memorabile nella storia triestina. E poi una valutazione eminentemente politica (e identitaria) della Storia della Città e delle sue vestigia: ciò che noi dobbiamo conservare, per ragioni di natura civile e politica, sono soltanto gli avanzi romani; ma questi sono pochi, facilmente scopribili e isolabili. Né turberanno o impediranno il rimanente della bonifica, gli avanzi … degli avanzi di quello che fu un teatro, gli avanzi dell’Arco di Traiano, gli avanzi degli edifici capitolini, cioè un breve tratto di terreno tra il nuovo Corso e la nuova via Donota, un angolo di terreno nei pressi di Santa Maria Maggiore, un breve tratto di terreno tra la rocca e San Giusto. Tutto il resto di Cittavecchia può essere rinnovato da cima a fondo per risanare la zona materialmente e moralmente. E che il cosiddetto “pittoresco” e il cosiddetto “colore locale” si rassegnino ad essere trascurati in omaggio all’igiene, all’aria e alla bellezza, 32 G. ZUCCONI, “La cultura igienista nella formazione dell’Urbanista”, in Urbanistica (Roma), 86, 1987. E soprattutto: Idem, La città contesa. Dagli Ingegneri sanitari agli Urbanisti (1885-1942), Milano, 1988. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 369 come il Duce stesso ha proclamato – or è un mese – dando il primo colpo di piccone per l’abbattimento dei vecchi stabili attorno al mausoleo di Augusto (a Roma). Dopo l’approvazione anche dei “Piani particolareggiati” connessi al nuovo Piano regolatore33, tra i quali anche il “Piano particolareggiato per Cittavecchia”, il Popolo di Trieste evidenziava come un Regio Decreto riconosce quei Piani particolareggiati corrispondenti [al Piano] e ne autorizza l’applicazione in base alle disposizioni della Legge sulle espropriazioni forzose del 1865 [Legge 25 giugno 1865 n. 2359]. A dire il vero finora di espropriazioni forzose non si ebbe alcuna notizia: tutte le case finora demolite furono acquistate dal Comune mediante diretta e regolare trattativa e non ci giunse alcun appunto circa le condizioni di vendita finora realizzate … E per le stime … non si può variare oltre i limiti fissati dalla Legge … Dopo la sparizione delle case su corso Vittorio Emanuele III; dopo le demolizioni di via Riborgo e di via delle Beccherie, ora comincia a tornare il sole sul gruppo di case che costituiva il nucleo del vecchio Ghetto. Da via Beccherie, la demolizione di alcune case in piazza delle Scuole Israelitiche ha sciorinato dinanzi agli occhi dei passanti un quadretto nuovo. Ora le demolizioni fra la scuola “Felice Venezian” e via delle Beccherie prenderanno un’andatura più rapida, talché, fra poche settimane, tutte quelle casupole saranno atterrate. Sta sparendo pure l’ex Tempio israelitico e tutte le case che fiancheggiano le vie dell’Altana e dei Vitelli34. Non si poteva non notare con rammarico che finora non fu rinvenuto nessun avanzo storico, né romano né medievale, salvo (si dice) una cassettina con monete austriache recentissime, trovate nascoste 33 “I Piani particolareggiati per Cittavecchia, corso Garibaldi e via Coroneo [approvati]”, in Il Popolo di Trieste, 27 novembre 1934, p.4. 34 “Dove opera il piccone. Le demolizioni in corso”, in Il Popolo di Trieste, 28 novembre 1934, p. 2. Rispetto alla radicalità del ‘modello triestino’ si pensi invece, sempre tra le città dell’Adriatico Orientale, alle ‘cautele’ (anche se lontane da un’ottica conservativa) del “Piano per Cittavecchia” rivisto, pur a suo tempo tanto criticato, adottato a Fiume (ma la Soprintendenza ai Monumenti vi aveva avuto una forte voce in capitolo). Si vedano da ultimo i miei: F. CANALI, “Nuovi Piani Regolatori di “città italiane” dell’Adriatico orientale: Pola, Fiume, Zara e Spalato (1922-1942)”, in Firenze, Primitivismo e Italianità. Problemi dello “Stile nazionale” tra Italia e Oltremare (1861-1961), da Giuseppe Poggi e Cesare Spighi alla Mostra di F.L.Wright, a cura di F. Canali e V.C. Galati, in Bollettino della Società di Studi Fiorentini, 21, 2012, p. 162-204; Idem, “Nuovi Piani Regolatori di “città italiane” dell’Adriatico Orientale (1922-1943). Parte seconda: Fiume, “città olocausta ... sentinella italiana avanzata sull’altra sponda dell’Adriatico”. Il “Piano Regolatore Edilizio di Massima” (PREM) e le sue varianti per Cittavecchia, nucleo di “interesse storico e urbanistico ... testimone dell’Italianità di Fiume”. L’applicazione della teoria del ‘Diradamento’ di Gustavo Giovannoni, il sopralluogo di Enrico Del Debbio, le consulenze di Marcello Piacentini e i giudizi di Vincenzo Civico e di Alberto Alpago Novello”, in Quaderni del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno d’Istria, XXV, 2014, p. 255-306 370 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 nel Tempio israelitico e … (si dice) scomparsa a sua volta subito dopo essere venuta alla luce. Il programma delle demolizioni restava comunque intenso: dopo le demolizioni delle case sul Corso e sul lato destro della via Riborgo pare si procederà alla demolizioni tra via Muda vecchia e via Malcanton; ma nulla si sa di preciso sull’ordine di precedenza delle demolizioni. Si faranno – dicono – quelle che devono essere fatte perché poi, sulle aree sgomberate, possano essere iniziate le costruzioni nuove. Per il 1935 sono già preannunciate (oltre la Casa del Fascio) altre due o tre importanti costruzioni sulle aree sgomberate. L’antico “colore” andava insomma sostituito con un ‘nuovo colore’: pittori e disegnatori si vedono spesso – dinanzi alle nuove inattese prospettive o dinanzi a caratteristici scorci di vecchi nauseabondi tratti del vecchio rione – consegnare nelle loro cartelle la memoria di quel “cosiddetto pittoresco” che il piccone sta abbattendo o non tarderà a farlo. Ciò fa supporre che non vi sarà angolo di Cittavecchia che non avrà la sua illustrazione pittorica destinata a dimostrare, nell’avvenire, quanto santa sia stata la deliberazione di farlo sparire per sempre. A tirare lucidamente le fila del programma era però l’onorevole triestino Cobolli-Gigli nel suo discorso di presentazione – come Relatore – della conversione in Legge del Decreto del maggio presso la Camera dei Deputati: tra i punti fondamentali del Piano regolatore di Trieste vi è la bonifica e il risanamento del vecchio abitato … Mi sia consentito di dare qualche dato su Cittavecchia. Questo agglomerato di case antigienico e urbanisticamente sotto ogni critica, rappresentò una delle più pure tradizioni storiche della fede dei Triestini. Sia perché Cittavecchia era sorta sul colle di San Giusto, ove Roma aveva costruito templi, strade, mercati, sia perché nel tormentato Medio Evo essa aveva rappresentato l’aggregato ove le passioni avevano dato esca alle lotte più violente, sia perché nelle ultime battaglie di difesa dell’Italianità aveva manifestazione di alata e fervida tonalità al suo sentimento patriottico, i Triestini lo hanno considerato prima un baluardo inespugnabile della loro fede, ora l’espressione non solamente materiale della loro tormentata storia. Distruggere questo chiaro simbolo del passato è un atto di coraggio e di forza35. 35 “L’on. Cobolli-Gigli illustra alla Camera dei Deputati il Piano regolatore di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 11 dicembre 1934, p.2. Il discorso di Cobolli-Gigli risulta estremamente interessante per noi anche dal punto di vista storiografico-critico: Cittavecchia era il fulcro dell’Italianità triestina eppure veniva comunque F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 Paolo Grassi, Piano regolatore di Trieste, 1934 (redazione 1931-1932) 371 372 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 La risposta era il fatto che “il Fascismo è l’erede e il sicuro custode di tutte le tradizioni e di tutte le glorie”. Scopo restava quello che con l’esecuzione del nuovo Piano regolatore sarà data completa luce a quanto rimane delle più importanti costruzioni romane e medievali. Il Piano particolareggiato riflettente Cittavecchia contempla un’area totale di 77.905 mq di cui attualmente 67.149 e cioè l’80% è occupata da edifici e 10.756 mq e cioè il 20% è occupata da strade. A risanamento totalmente compiuto l’area di ricostruzione si ridurrà a 38.968 mq e cioè il 50% dell’area totale attualmente occupata da edifici da demolirsi e l’area occupata da nuove strade sarà portata a 28.528 mq e cioè 2.80 volte tanto quelle preesistenti, 10.819 mq resteranno coperti dai resti del Teatro romano e dal parco da costruirsi e dagli edifici che non verranno demoliti. Interessanti sono i seguenti dati: la cubatura dei fabbricati di demolizione in 610.000 mc subirà un aumento nelle ricostruzioni di circa il 22%, prevedendosi l’edificazione di 770.000 mc di fabbricati. Le strade, attualmente con uno sviluppo totale di 3385 ml, subiranno una diminuzione a ml 1738 con un raddoppio della loro area totale preesistente. Per quanto riguarda le strade, mentre dei 3385 ml esistenti vi sono 2523 sotto i 5 ml di larghezza, su 1738 ml vi saranno 1347 ml di strade superiori per larghezza a 10 metri, prima tra esse il Corso del Littorio con 20 ml di larghezza. Quindi “nel centro del nuovo quartiere urbano, di fronte ai resti del Teatro romano, sorgerà la nuova Casa del Fascio; alcuni gruppi di case saranno edificati per iniziativa degli istituti assicurativi della città e di altri Enti e di Privati”. 1.2. “Il nuovo sistema di viabilità”: un Piano ‘igienista’, ‘funzionalista’ … o frutto di un ‘Disegno urbano funzionalizzato’? Ancora l’onorevole triestino Cobolli-Gigli nel suo discorso di presentazione – come Relatore – della conversione del Decreto del maggio in Legge presso la Camera dei Deputati, sottolineava che altro punto fondamentale del Piano regolatore di Trieste è quello di dotare la città di alcune strade a largo respiro e senza limitazione al traffico. Il sistema delle radiali dalle rive, atto a collegare rapidamente il porto con il cuore della demolita … (se fosse stato abitata soprattutto da Sloveni l’opera sarebbe sicuramente valutata oggi dalla Storiografia come un esempio di “Urbanistica nazionalistica” volta alla ‘snazionalizzazione urbana’. A ribadire non l’erroneità intrinseca, ma la cautela – che va necessariamente supportata da fonti – nell’adozione delle diverse categorie valutative ex post). F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 373 città, fino a spingersi faticosamente su per i colli, è integrato nella rete stradale da alcune arterie fondamentali, collettrici. La via Carducci e in parte via Roma e via Dante Alighieri hanno questa funzione. Le due ultime strade attraversano il Canale e sboccano nel corso Vittorio Emanuele, arteria più frequentata della città. Ma sia la via Carducci che le altre ricordate hanno attualmente fine, la prima in una strozzatura, le seconde contro la lunga parete, senza sbocchi, del corso Vittorio Emanuele, che divide nettamente Città vecchia dalla Città nuova. Il nuovo sistema di viabilità, con il prolungamento di via Carducci-corso Garibaldi, apre un nuovo vasto polmone in senso longitudinale, utile al traffico di transito per città. La seconda arteria attraverso il nuovo quartiere alle falde del Colle San Giusto, sarà intitolata al Littorio e costituirà uno sfogo attraverso al centro quasi parallelo a quello delle rive tra la Stazione centrale e quella di Campo Marzio36. Era l’esplicitazione politica dei dettati tecnici del “Piano Grassi” che faceva della sistemazione della viabilità uno dei propri fulcri di intervento. 2. Un lustro … fino al 1934 nell’’era Pitacco’. Problemi aperti, speranze e prospettive aspettando il Piano … e la sua approvazione (1930-1934) Il nuovo Piano regolatore veniva atteso, nella sua redazione finale, come una sorta di panacea di tutti i problemi cittadini, ma facendo attenzione a non avanzare aspettative eccessive con il rischio che si rivelassero fallimentari se non addirittura dannose (restava vivo “il ricordo degli errori del Piano regolatore di Firenze”37, che era quello di Giuseppe Poggi). Era ormai dal 1930 che se ne parlava insistentemente e ormai non vi era sessione comunale che non mettesse al centro dell’attenzione le aspettative del Piano38. Nel 1933 era stato presentata la versione definitiva agli Organi ministeriali e si attendeva il responso. Nell’attesa il podestà Giorgio Pitacco39 riconfermava il vecchio gotha dell’in36 “L’on. Cobolli-Gigli illustra alla Camera dei Deputati il Piano regolatore di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 11 dicembre 1934, p. 2. Anche “Il Canal grande e la viabilità”, in Il Popolo di Trieste, 8 febbraio 1934, p.3. 37 “Il problema del lavoro. Affrettare l’approvazione del Piano Regolatore”, in Il Popolo di Trieste, 16 marzo 1932, p.4. 38 “La vita del Comune. Il Piano regolatore”, in Il Popolo di Trieste, 20 marzo 1930, p.5. 39 Il piranese Giorgio Pitacco (1866-1945), laureato nel 1890 in Giurisprudenza all’Università di Graz, Segretario generale, poi anche Vicepresidente della “Lega nazionale” (1892-1912), fu Consigliere comunale a Trieste e poi Deputato per le fila del Partito Nazionale Liberale al Parlamento austriaco (dal 1905 al 1907 e poi dal 1909 al 1914) dove si batté per i diritti degli Italiani di Trieste, della Venezia Giulia, Istria e Dalmazia. Nel 1914 fu cofondatore dell’”Associazione fra gli Italiani irredenti” e nel 1915 si trasferì in Italia compiendo accese battaglie per l’intervento contro l’Austria. Con Cesare Battisti e Attilio Hortis portò al Re alla vigilia 374 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 tellighenzia professionale cittadina e nella nuova “Commissione edilizia” del 1932 richiamava “Umberto Nordio, il Soprintendente e l’arch. Berlam (membri entrambi delle vecchie Commissioni)”40. Le pratiche dovevano essere espletate con velocità poiché “è interesse del Comune di approvare velocemente il “Regolamento edile” per poter ottenere poi dal Ministro l’approvazione del Piano Regolatore”41. E ancora non era stata risolta la serie dei problemi di modernizzazione che si era ben profilata: “Trieste ha molti problemi da risolvere: canalizzazione, sventramento, costruzione di scuole, pavimentazione di vie, costruzione di linee tramviarie, aumento di case economiche, diffusione di reti di energia elettrica, gas e acqua”42. Il problema dell’approvazione del Piano era sempre di grande rilievo, ma la realtà era che si procedeva comunque all’adozione delle previsioni contenute nella versione del Piano del 1925-1926 e nei successivi aggiornamenti di esso (configurando così un ‘Piano operativo’ anche se non approvato dal Governo): questo Piano regolatore ha subito lunghi ritardi, ma non già per il suo insieme bensì per singole e limitatissime parti. Ciò significa che, fatta eccezione per le parti più soggette a discussione, tutto il resto del Piano debba considerarsi approvato … e per questo potrebbe anche venir eseguito, nelle parti che riguardano il Comune, come per esempio le strade … E se al Comune mancano i fondi, non gli manca però il credito43. Le aspettative erano tali che nel 1933 ormai si dubitava che il Piano fosse stato davvero presentato al Ministero dei Lavori Pubblici. Ma, soprattutto, si era disposti ad accettare qualsiasi prescrizione pur di poter procedere: il Piano regolatore inviato recentemente a Roma (almeno c’è chi giura che è stato inviato) sarà difficilmente il Piano definitivo, perché si dà raramente il caso che un Piano del genere incontri unanime approvazione. Perciò si dovrebdella Guerra l’omaggio degli Irredenti: venne espulso dal Consiglio imperiale asburgico e, accusato di alto tradimento, ebbe i suoi beni confiscati. Arruolatosi volontario nell’Esercito Italiano, fu addetto ai servizi politici e, alla fine delle ostilità, svolse missioni diplomatiche in Francia, in Gran Bretagna e negli USA. Dopo aver aderito al Fascismo, che nel 1923 lo volle Senatore, fu Sindaco (dal 1922 al 1928), e poi Podestà di Trieste (dal 1928 al settembre 1933). Nel dicembre 1938 fu nominato Ministro di Stato. Suoi scritti: G. PITACCO, IL travaglio dell’italianità di Trieste, Roma, 1917; Idem con M. RAVAL, Le regioni devastate d’Italia (Congresso di Londra, 27 giugno – 1 luglio 1921), Venezia, 1921; G. PITACCO, La passione adriatica nei ricordi di un irredento, Bologna, 1928. 40 “La nuova ‘Commissione Edilizia’ costituita dal Podestà”, in Il Popolo di Trieste, 17 marzo 1932, p. 4. 41 “Una seduta della Consulta Municipale presieduta dal Podestà, sen. Pitacco”, in Il Popolo di Trieste, 13 maggio 1932, p. 4. 42 “I molti problemi di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 22 febbrario 1931, p. 4. 43 “Necessità di lavori pubblici”, in Il Popolo di Trieste, 19 febbraio 1932, p. 4. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 375 be stabilire di accettare qualunque modifica piaccia al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici purché definitivo44. Ancora qualche mese e il traguardo sarebbe stato, finalmente raggiunto … Nel frattempo si operava, con previsioni specifiche, come se il nuovo strumento urbanistico, adeguatamente aggiornato, fosse operativo. Come nel caso delle previsioni per il Verde, uno degli aspetti fondamentali nella moderna Disciplina urbanistica: anche a Trieste, per la speculazione edilizia, è scomparsa la villa Murat col suo splendido parco … e al suo posto è sorta la Pilatura del Riso al Campo Marzio … E se il Comune possiede una fascia quasi ininterrotta di terreni a verde che … da Zaule va circondando la città fino a Barcola … purtroppo nel centro della città, di superficie a verde ne abbiamo poca … anche per colpa della passate Amministrazioni che la lasciarono alla città le superfici a verde che le spettavano … Nel Piano regolatore, molto opportunamente, si è cercato di correggere i predetti errori intercalando parecchia superficie a verde in modo da fornire la città di sufficienti polmoni. Anche le aiuole adiacenti al parco della Rimembranza saranno estese, in modo che i piedi del castello, andando da Nord a Ovest, sorgerà un parco di vaste dimensioni che lambirà i caseggiati di Cittavecchia. Così sarà accontentato anche il lettore che desiderava veder trasformata Cittavecchia in un giardino45. Due, alla fine del 1933, i ‘passi decisivi’ per la successiva approvazione del Piano e per l’organizzazione cittadina. Nel novembre l’”ing. Giuseppe Cobolli Gigli, insieme al dott. Aldo Cavani venivano nominati Vice-Podestà di Trieste”. La nomina giungeva a Cobolli Gigli dopo che si era verificato un “Cambio della Guardia al Comune”46 e al podestà Giorgio Pitacco succedeva, appunto, Enrico Paolo Salem, inaugurando un nuovo corso, molto più ‘energico’, di conduzione della vita pubblica. E poco prima, tra gli ultimissimi atti della ‘Giunta Pitacco’, c’era stata l’adozione del nuovo “Regolamento edilizio comunale”: Trieste ha finalmente un “Regolamento edilizio” che completa il “Regolamento d’Igiene” e disciplina la costruzione e ricostruzione della città … Ve ne era 44 “Un passo innanzi verso lo sventramento di Cittavecchia”, in Il Popolo di Trieste, 7 settembre 1933, p. 3. Poi ancora: “I giardini di Triste. Il nuovo parco di Cologna”, in ivi, 16 febbraio 1934, p.3; “Villa Giulia nuovo parco cittadino”, in ivi, 19 aprile 1934, p. 4. 45 Ing. Giuseppe TURRE, “Necessità del Verde”, in Il Popolo di Trieste, (prima del 5) ottobre 1933, p. 3. 46 “Cambio della guardia al Comune. Il nuovo podestà Enrico Paolo Salem”, in Il Popolo di Trieste, 21 ottobre 1933, p. 2. 376 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 uno del 1875 e uno del 1888 … e quello proposto nel 1925 non ottenne l’approvazione della Direzione Generale dell’Edilizia del Ministero dei Lavori Pubblici. Restituito al Comune con alcuni suggerimenti e variazioni esso fu rielaborato e ripresentato il 18 marzo … e ottenne l’approvazione del Ministero in data 16 agosto 1933. Esso entrerà in vigore il 1° novembre (e sarà pubblicato dal Comune in un opuscolo) … [Tra le varie indicazioni si può notare] il cap. IV art. 33 dove si affronta il problema dell’altezza massima degli edifici e del numero massimo dei piani. La città è divisa in 5 zone (la 6° è costituita dalle aree al di fuori). La “Zona A” comprende il centro urbano, da via Tor San Pietro alle falde della collina di Gretta, di Scorcola, di Cologna … fino a via Giulio Cesare. Le case non devono essere alte più di m.10 e 2 piani nelle vie larghe fino a 5 m; con 3 piani e m.14 nelle vie larghe da 7 a 10 m; con 5 piani e m.22 nelle vie larghe da 10 a 13 m; con 6 piani e m.26 nelle vie larghe oltre 13 m. La “Zona B” comprende le aree del suburbio e in queste zone nelle vie larghe fino a 7 m le case possono avere 10 m di altezza e 2 piani; m.14 e 3 piani in quelle larghe da 7 a 10 m; m 18 e 4 piani in quelle larghe da 10 a 13 m; 5 piani e m.22 di altezza in quelle larghe 13 m. La “Zona C” è destinata a case isolate o gruppi isolati con altezze di 18 m e 4 piani in parte e 14 m e 3 piani in altre. La “Zona D” è destinata a ville e villini (altezza massima 14 m con 3 piani. La “Zona E” è destinata ad industrie. Per le “Zone esterne” – eccettuati i versanti costieri di Grignano e Miramare dove si possono costruire soltanto villini o casette con giardino – le costruzioni non possono avere un’altezza superiore a 10 m (e 2 piani) nelle vie inferiori a 7 m, e in quelle superiori a 7 m, 3 piani47. 2.1. La popolazione triestina: la ricerca di un difficile equilibrio La disciplina urbanistica contemporanea poneva ormai, dalla fine dell’Ottocento, al centro delle proprie analisi in vista di una corretta programmazione, l’andamento demografico delle città e dei territori comunali, quale parametro. Su quel parametro si profilavano analisi pregressi, previsioni per il futuro, andamenti in fieri e tutta una serie di considerazioni: specie in una visione come quella fascista che indicava nel ‘numero’ la potenza di uno Stato. In più, l’’Urbanistica nazionalista’, che si era andata di pari passo affermando con la formazione degli ‘Stati nazionali’ incentrati, almeno in Europa, sul concetto dell’omogeneità o perlomeno della maggioranza etnica, aveva come altro, proprio parametro 47 “Il Regolamento Edilizio di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 13 ottobre 1933, p.1. Poi “Il Regolamento Edilizio di Trieste”, in ivi, 17 novembre 1933, p.2. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 377 programmatorio primario quello dell’aumento della popolazione, ma nell’ambito dell’etnia nazionale, facendo in modo di innescare una serie di dinamiche sociali tali da migliorare la condizione, e la rilevanza, del gruppo di riferimento egemone. Non si trattava di uno slogan, ma di una finalità scientemente perseguita, che, oltretutto, faceva propri i caratteri più evoluti ed efficaci della Disciplina stessa (come la Statistica divenuta anch’essa Scienza ‘politica’). Il principio diventava particolarmente importante proprio nelle “Terre di confine” in cui gruppi linguistici ed etnici diversi si confrontavano, dando così luogo a scelte di programmazione che rendevano la stessa Urbanistica una ‘Scienza di disciplina sociale e politica’. Trieste, a questo proposito, si rivelava per lo Stato italiano, e dunque per i Tecnici e Politici locali, un laboratorio di estremo interesse, proprio nel suo passaggio da città imperiale cosmopolita a “città emblema dell’Italianità”, come la Propaganda non finiva di celebrare. Dopo la prima Guerra Mondiale e negli anni successivi la popolazione triestina subiva una serie di oscillazioni numeriche dovute alla nuova situazione politico-economica venutasi a creare, dando luogo da un lato a fenomeni di Urbanesimo (cioè di concentrazione urbana di genti che spopolavano la campagna), dall’altra ad una variazione del ‘quoziente etnico’ che interessava i vari gruppi linguistici insediati, con la repentina sparizione di alcuni di quei gruppi ‘tradizionali’ (i Tedeschi, i Magiari), il forte ridimensionamento di altri (gli Sloveni), l’enorme aumento degli Italiani; ma tutto ciò senza che si verificassero né importanti aumenti di popolazione, né esodi e rimpiazzi sostanziali di abitanti. Almeno così sembrano testimoniare concordemente le fonti … (ma il dibattito è ancora oggi ‘aperto’). Eppure la Pianificazione urbanistica triestina continuava a mantenere tra i propri obiettivi primari quello dell’‘Urbanistica etnica’ e il controllo dell’Urbanesimo48. Al Piano regolatore dopo il 1934 veniva demandato il compito di coordinare tali obiettivi, prendendo atto di una serie di “necessità” che rendevano il Piano stesso più ‘ideologico’ che realista, se non per quegli aspetti di trend demografico indotto. 2.1.1. Una questione dei numeri: il difficile equilibrio tra espansione e antiurbanesimo Pierpaolo Luzzato Fegiz, Professore di Statistica appartenente ad un’agiata famiglia della borghesia triestina di decisi sentimenti filoitaliani, analizzava la 48 Addirittura: 4. Cesare CORUZZI, “Urbanesimo e sterilità”, in Il Popolo di Trieste, 22 febbraio 1934, p. 378 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 situazione demografica della città, mettendola in relazione al fabbisogno abitativo. Un tema che avrebbe costituito uno dei punti di partenza per l’espansione abitativa prevista nel nuovo Piano regolatore: mentre tra il 1758 e il 1921 la popolazione di Trieste si moltiplicava per 22, il numero degli edifici diventava soltanto 8 volte maggiore … esiste dunque una crisi degli alloggi .. che rispetto al 1914 … è più connessa al numero delle famiglie che a quello degli abitanti … essendo la popolazione al 1928 pressappoco uguale a quella del 1914 … I dati dimostrano la necessità che il Comune e lo Stato continuino a praticare una politica di costruzioni edilizie economiche49. Era il primo effetto – quello delle previsioni abitative e dell’avvio di un preciso programma di costruzioni – dell’analisi dell’andamento della popolazione urbana negli ultimi decenni. Il trend complessivo, tra il 1914 e il 1928 appariva dunque all’incirca stabile (senza cioè né sostanziosi arrivi, né importanti partenze di genti nonostante i rivolgimenti politici avvenuti, né le morti per la Guerra), ma, annualmente, si verificava, però, un saldo negativo che finiva per incidere sulle previsioni, tanto che “le cifre rettificate al 31 dicembre 1921 [fanno riferimento] a 231.077 abitanti”50. Un saldo negativo per la città che era legato non a ‘migrazioni’ o spostamenti, quanto agli effetti della crisi economica, come si diceva da più parti. E l’aumento anche solo di poche centinaia di abitanti veniva dunque segnalato come un trend positivo … Interessante, in prospettiva, l’analisi della “distribuzione” della popolazione: la popolazione è andata aumentando anche nel 1930 [anche se si trattava di poche centinaia] … Il Comune di Trieste, che non conta che 95 kmq, è diviso in 12 rioni o distretti della città e del suburbio, e 2 distretti di campagna (nell’altipiano del Carso) … L’eccedenza delle nascite si presenta proporzionalmente maggiore nei rioni suburbani e in quelli di campagna. Il proletariato operaio e campagnolo continua a dare il maggiore incremento alle nascite. Nei 6 rioni urbani ha prevalenza l’elemento borghese: a Trieste non esiste un’aristocrazia storica o un ceto comunque di carattere aristocratico … In città, i rioni di Cittanuova, Barriera nuova, Barriera vecchia hanno presenze di ele- 49 P. LUZZATO FEGIZ, “La popolazione di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 15 gennaio 1930, p. 4 ripreso come “La deficienza di case a Trieste in rapporto alla crescita della popolazione”, in ivi del 16 gennaio 1932, p. 5. 50 “Come cresce Trieste [in popolazione]”, in Il Popolo di Trieste, 18 aprile 1930, p. 5. Con sguardo retrospettivo: “Com’e cresciuta Trieste: da 58.000 a 257.000 abitanti in cento anni”, in ivi, 9 gennaio 1931, p. 4. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 379 Paolo Grassi, Piano regolatore di Trieste, piano particolareggiato per Cittavecchia e San Giusto, 1928 mento borghese; Cittavecchia e San Vito sono popolate di borghesia e proletariato; San Giacomo da quasi solo proletariato operaio. Dei 6 rioni suburbani, Roiano e Farneto contano popolazione borghese e proletariato operaio e campagnolo; Barcola, borghesia e proletariato campagnolo; San Giovanni, Servola e Sant’Anna proletariato operaio e rurale … Anche l’Altipiano, che non gode certamente di una grande fortuna economica, ha dato il suo contributo alle nascite … E Farneto è il più popolato dei rioni suburbani51. Dunque una città borghese e proletaria, ma senza aristocrazia. Ed era chiaro dove si dovesse rivolgere la politica abitativa del nuovo Piano regolatore: alla costruzione di case operaie e popolari, soprattutto. Però, all’insegna di un andamento demografico che, quando non stabile, si mostrava sostanzialmente negativo nella realtà: “a dicembre 1931 la popolazione presente a Trieste era di 51 “La distribuzione della popolazione di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 23 gennaio 1931, p. 4. Si veda ora per la situazione precedente alla Prima Guerra Mondiale: M. CATTARUZZA, La formazione del proletariato urbano: immigrati, operai di mestiere, donne a Trieste dalla meta del secolo 19. alla Prima Guerra Mondiale, Torino 1979. 380 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 250.157 unità; a gennaio 1932 era scesa a 249.938 … Ciò fu a causa dei morti”52. Il problema della progressiva diminuzione non era di facile, perché si auspicava un aumento ‘sano’ delle forze della città (cioè degli occupati e dei Triestini), ma si cercava in tutti i modi di “frenare l’urbanesimo”, visto che nel 1930, nei soli primi due mesi, erano “immigrati in città ben 1000 persone”53 prive, però, di una loro specifica occupazione (ecco da dove veniva l’iniziale ottimismo dell’inversione del trend). Nel 1931 si teneva anche a Trieste il “Censimento nazionale” e dunque le attese erano piene di trepidazione: “il “Censimento” dovrebbe provare che Trieste non è soltanto in stasi demografica ma addirittura in regresso? Vedremo … Fino al 1921 la città crebbe: con 227.652 abitanti nel 1910 e 231.077 nel 1921 … anche se l’aumento della popolazione fra il 1910 e il 1921 apparisce scarso”. Dopo il Censimento i dati non si erano però mostrati confortanti nel breve periodo (mentre rispetto al 1921 si era giunti comunque ad un +4,4%54, poco più di 10.000 abitanti in più, certamente però dovuti all’urbanesimo) per quanto riguardava i Triestini (che erano ora 250.170); ma ancora “nel gennaio del 1932 la città chiudeva con un deciso passivo”55 demografico, facendo intravedere l’ineluttabilità di un andamento negativo che sarebbe stato ‘ufficializzato’ nel nuovo “Censimento del 1936”. Paolo Grassi nella sua ultima versione di Piano elaborata nel 1933 conteggiava in ”676.113”56 gli abitanti previsti per Trieste, come possibile scenario demografico favorito del nuovo strumento programmatorio. La realtà era ben diversa, a dir poco lontanissima da quelle rosee previsioni (2.7 volte in meno …), ma tutto ciò non mutava la prospettiva costruttiva auspicata da Luzzato Fegiz all’interno del nuovo Piano regolatore, anche se negli 52 “La popolazione triestina e le ragioni di una diminuzione”, in Il Popolo di Trieste, 5 marzo 1932, p. 4. frenare l’urbanesimo. I Decreti prefettizi”, in Il Popolo di Trieste, 19 marzo 1930, p. 5. E prima: “Come cresce Trieste”, in ivi, 18 marzo 1930, p.5: “726 abitanti in più in due mesi, ma l’Urbanesimo è stato opportunamente frenato”. 54 Nel “Censimento del 1 dicembre 1921”, il primo di Trieste italiana, la città, con i suoi 238.655 abitanti si poneva addirittura al nono posto come popolazione rispetto a tutte le città del Regno (aveva più abitanti di Bologna e pochi meno di Firenze): Ministero dell’Economia Nazionale, Direzione Generale della Statistica, Risultati sommari del Censimento della popolazione eseguito il 1° dicembre 1921, Vol.III, “Venezia Giulia”, Roma, 1925. Considerando i residenti nella loro totalità si arrivava a 239.558 abitanti. Il “Censimento del 31 aprile 1931 vedeva una popolazione complessiva di Trieste pari a 250.170 abitanti con un aumento di +4.4 rispetto ai 239.558 del 1921; mentre il “Censimento del 31 aprile 1936”, avrebbe presentato 248.379 residenti (con una flessione rispetto al 1931 di -0.7% sui complessivi 250.170 abitanti del 1931). Cfr. ISTAT, VII° Censimento della popolazione italiana [21 aprile 1931], Roma, 1932: vol. “Provincia di Trieste”; Idem, VIII° Censimento della popolazione italiana [21 aprile 1936], Roma, 1937: vol. “Provincia di Trieste”). 55 “Il bilancio demografico nazionale: Torino, Trieste, Livorno e Brescia chiudono in passivo al 1° gennaio 1932”, in Il Popolo di Trieste, 31 marzo 1932, p. 1. 56 Il dato è riportato in A. MARIN, “Piani regolatori per ‘una più grande Trieste’”, in Trieste (1918-1954) …, cit., p. 35. 53 “Per F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 381 anni si sarebbe mostrato in generale un “Aumento delle abitazioni come vani disponibili”57 (indice anche questo del decremento demografico). 2.1.2. Per una Trieste italiana, la ‘ricetta Cobolli Gigli’: la politica di allontanamento degli abitanti “allotri” (Sloveni) e la ‘sfuggevolezza’ della ‘duttilità etnica’ Di grande rilevanza, nelle previsioni che stavano alla base del nuovo Piano regolatore di Trieste, era la valutazione del ‘quoziente etnico’, cioè della rilevanza numerica che interessava i vari gruppi linguistici insediati in città. Un aspetto molto importante per una città che ambiva ad essere emblema dell’“Italianità” per tutto l’Adriatico orientale e per previsioni programmatorie che miravano ad aumentare il numero di residenti italiani rispetto agli “allotri” (cioè i “parlanti” non Italiano e, in particolare, i membri della Comunità slovena). Il punto di partenza era il “Censimento asburgico del 1910”58 che vedeva in città complessivamente 229.000 abitanti dei quali circa 52% (51,8%) di Italiani (118.959) e cioè 1 abitante su 2; e ben quasi 57.000 Sloveni, pari ad un nutrito gruppo del 24% (circa 1 su 4 abitanti). Ovviamente la Politica fascista, rispetto agli Sloveni e altri gruppi etnici che popolavano Trieste (Tedeschi, Ungheresi, Ebrei, Croati, Serbi, Armeni … ma tutti numericamente ridotti), mirava ad un ‘compattamento’ italiano, che faceva riferimento sul nucleo di Cittavecchia e sui quartieri setteottocenteschi (dove erano giunti nell’ultimo secolo soprattutto popolazioni istriane dai territorio dell’ex Repubblica veneta tanto che la ‘ladina’ Trieste era divenuta città ‘venetofona’), mentre la popolazione slovena si concentrava soprattutto nei quartieri periferici, come avveniva nel rapporto tra Venetofoni e Slavi (Croati) in tutte le città della riva orientale dell’Adriatico (Pola, Fiume, Zara, Sebenico, Traù, Spalato, Cattaro). Gli Sloveni non erano però solo abitanti del contado, delle periferie e dell’Altopiano, ma ormai una attiva e dinamica ‘borghesia slovena’ si era fatta strada nella vita cittadina con propri giornali, centri di incontro, etc. … insomma si trattava di una Comunità ricca e ben radicata (che aveva peraltro costruito la propria Narodni Dom/Casa della Cultura incendiata dai Fascisti nel 1920). Rispetto al “Censimento del 1910”59 la 57 “Aumento delle abitazioni (come vani disponibili)”, in Il Popolo di Trieste, 15 febbraio 1931, p. 4. Sull’analisi dei dati anche per la realtà istriana: I. DE FRANCESCHI, “Le nazionalità in Istria negli ultimi quattro ‘Censimenti austriaci’”, in Il Popolo di Trieste, 10 gennaio 1931, p. 5. 59 Secondo il “Censimento del 1910”, nel Comune di Trieste, su 229.510 abitanti, 56.916 erano Sloveni (24,84%). In città, su 160.998 abitanti, 20.358 erano Sloveni (12,64%); nei suburbi, su 59.547 abitanti, 28.359 erano Sloveni (47,62%); sull’Altipiano, su 8.970 abitanti, 8.199 erano Sloveni (91,40%). Interessante la distribuzione secondo i rioni storici del suburbio, dove si concentravano gli Sloveni, che costituivano meno del 58 382 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 situazione era però cambiata fin dal 1921 – almeno ufficialmente – ma le percentuali reali rispetto a quelle auspicate dai Dirigenti locali del PNF dovevano risultare ancora non ‘omogenee’ nel “Censimento segreto” del 1936, aggiornato nel 193960. 50% della popolazione in Chiadino (17,60%), Chiarbola (22,93%), Gretta (46,27%), Rozzol (37,91%), Santa Maria Maddalena superiore (49,47%) e Scorcola (38,54%). Poco oltre la metà della popolazione era in quattro rioni storici: Cologna (53,21%), Guardiella (57,92%), Roiano (64,88%) e Servola (59,77%), mentre a Barcola (73,71%) e Santa Maria Maddalena inferiore (75,77%). Superava anche l’Altipiano per la percentuale di popolazione slovena il rione storico di Longera (addirittura 94,28%). Tra il 1900 e il 1910 pare si fosse verificata una massiccia immigrazione di Sloveni a Trieste (ben oltre 14.000) per le offerte lavorative fornite dalle industrie e dal porto (per cui, in verità, il fluttuare della popolazione era continuo; ma si trattava di Urbanesimo …): ovviamente la città era allora nella complessiva economia slovena un centro nevralgico e propulsivo, come dimostrava una agiata imprenditoria. Nel 1910 gli Sloveni avevano raggiunto il 12,6% nel centro urbano (dove nel 1880 erano invece il 3,8%), il 31,5% nei sobborghi (dove nel 1880 erano il 21,9%) ed il 91,4% sull’Altopiano (dove nel 1880 erano l’89,9%). Questi sono i dati ufficiali a nostra disposizione oggi: ma quel “Censimento del 1910” venne subito accusato di essere stato “manipolato” e addirittura a Trieste si scatenarono proteste sui risultati (cfr. Il Confine Mobile. Atlante storico dell’Alto Adriatico, 1866-1992 [Austria, Croazia, Italia, Slovenia], Mariano del Friuli, 1995). Nel 1921 il primo “Censimento” di Trieste italiana condotto dal governo dell’Italia liberale, mostrava a Trieste in riferimento alla “lingua parlata” (tav.4) – anche se il dato non corrisponde certo alla Nazionalità – una “popolazione di parlanti Sloveno di 18.150 abitanti … rispetto a 202.382 parlanti Italiano … con una percentuale del 7.6% … rispetto all’84.8% dei parlanti Italiano e al 7.59% di Stranieri”. Nel “Censimento” veniva tentata anche una comparazione con i dati del “Censimento austriaco del 1910” e rispetto ad una flessione complessiva della popolazione della Venezia Giulia (-3%), Trieste, in controtendenza, mostrava addirittura un +4% (da 229.510 abitanti a 238.655). Non veniva fornita ovviamente la Nazionalità dei soggetti di quelle trasformazioni (in tutta la Venezia Giulia – 28.538 abitanti e non certo -105.000 secondo le fonti jugoslave, anche se Gorizia da sola aveva perso ben il -9.5 della popolazione. Niente rispetto a Pola: -22,2%, ma il perché si capisce facilmente trattandosi dell’ex porto militare dell’Impero) o di quegli aumenti (Trieste +4% pari a 9145 abitanti); di certo si trattò di numeri contenuti e non sembra, dunque, si siano verificati veri e proprio esodi di popolazione, tenuto conto che vi era stata la Grande Guerra di mezzo. (Cfr. Ministero dell’Economia Nazionale, Direzione Generale della Statistica, Risultati sommari del Censimento della popolazione eseguito il 1° dicembre 1921, Vol.III, “Venezia Giulia”, Roma, 1925). Che non vi fossero stati esodi tra il 1910 e il 1921 dalla Venezia Giulia e da Trieste in particolare, sembra ancora più evidente confrontando il dato degli Sloveni triestini del 1910 (56.916 cioè il 24,84% della popolazione), con quello del 1921 (parlanti Sloveno conteggiati in 18.150 abitanti pari al 7.6% con una perdita di -38.150 parlanti dichiarati rispetto al 1910), mentre gli Italiani erano saliti da 118.959 a 202.382 (passando cioè, in percentuale, dal 51,8% all’84,8% con un incremento che inglobava anche i Tedeschi e i Magiari dichiaratisi ormai italianizzati). La città era aumentata in numero di abitanti, ma non vi era stata certamente una enorme immissione di Italiani come in altre realtà successive (si pensi solo ai 20.000 abitanti Italiani portati a Bolzano o in Libia nel giro di pochi anni o ai quasi 100.000 in Africa Orientale Italiana). Molto più semplicemente: circa 38.000 Triestini sloveni avevano ‘cambiato’ “lingua parlata” nel “Censimento”, com’è facile in una situazione di poliglossia. Nel “Censimento del 31 aprile 1931” e nel “Censimento del 31 aprile 1936”, non si compiva un rilevamento per gruppi linguistici, per cui il dato ufficiale sugli Sloveni nel Comune di Trieste risulta inesistente per quegli anni (cfr. ISTAT, VII° Censimento della popolazione italiana [21 aprile 1931], Roma, 1932: vol. “Provincia di Trieste”; Idem, VIII° Censimento della popolazione italiana [21 aprile 1936], Roma, 1937: vol. “Provincia di Trieste”). La “Comunità” si era dunque ufficialmente ridotta, dopo l’incendio doloso del Narodni Dom, già nel 1921, ma avrebbe continuato a costituire un ‘utile’ bersaglio politico per il “Fascismo di confine”, che necessitava sempre di un “nemico” da combattere. 60 F. KRASNA e A. MATTOSSI, Il ’Censimento riservato’ del 1939 sulla popolazione alloglotta della Venezia Giulia, Trieste, 1998. Dopo il “Censimento del 1931” e il “Censimento del 1936” che, non contemplando le minoranze linguistiche (etniche), non fornivano alcun dato, nel 1939 veniva condotto un “Censimento riservato”, effettuato dai Segretari e dagli impiegati comunali sulla base della diretta conoscenza delle famiglie F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 383 La posizione di Giuseppe Cobolli Gigli al proposito, ancora ai primi anni Trenta, era assai rigida (nonostante venisse considerato un ‘moderato’), e sulla rivista milanese Gerarchia, diretta da Benito Mussolini e divenuta pulpito delle iniziative politiche del Regime, il Gerarca tristino metteva in evidenza come scopo della Podesteria e della Segreteria dei Fasci fosse quella dell’”allontanamento degli allotri” dalla città61 per aumentare il numero della componente italiana. Naturalmente Cobolli Gigli, come Segretario del Fascio triestino prima e poi Deputato nazionale, figurava come il ‘portavoce’ di una tale posizione delle Istituzioni giuliane: in quella ‘finalità etnica’, egli poteva contare su intellettuali e giornalisti, del Piccolo di Trieste e del Popolo di Trieste, che diffondevano presso l’Opinione pubblica triestina e giuliana la ‘ricetta Cobolli Gigli’ e le sue radicali ragioni62. delle città e delle zone rurali, che rivelava una presenza proporzionale comunque alta di Sloveni rispetto alla decisa maggioranza della popolazione italiana, ma si trattava di un dato ‘d’ufficio’, restato riservato, che pubblicamente non poteva innescare alcuna politica urbana. Cfr. S. VOLK, Esuli a Trieste. “Bonifica nazionale” e rafforzamento dell’Italianità sul confine orientale, Udine, 2004; P. PURINI, Metamorfosi etniche. I cambiamenti di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria (1914-1975), Udine, 2010. 61 G. COBOLLI GIGLI, “Il Fascismo e gli Allogeni”, in Gerarchia (Milano), settembre, 1927, p. 803-806: secondo il Segretario del Fascio triestino, nella Venezia Giulia le popolazioni “allogene” (slave) dovevano essere sostituite da Coloni italiani provenienti da altre Province del Regno. L’analisi storiografica si è molto approfondita in questi ultimi decenni al proposito, anche se il riflesso di quella politica sulle ‘scelte ‘urbane’ (e urbanistiche) ha costituito un corollario letto più in chiave di risultanze (considerate ovvie), che di realtà indagata: L’imperialismo italiano e la Jugoslavia, Atti del Convegno italo-jugoslavo (Ancona, 1977), a cura di M. Pacetti, Urbino, 1981; P. PAROVEL, L’identità cancellata, Trieste, 1985; E. APIH, Trieste, Bari, 1988, p.129 e segg.; M. KACIN WOHINZ e J. PIRJEVEC, Storia degli Sloveni in Italia (1866-1998), Venezia, 1998. Ma sul fenomeno dell’identità etnica (declinato poi come “pulizia etnica”) quale valore nazionale diffuso in tutta Europa e non ‘specifico’ né italiano né giuliano: A. BELL-FIALKOFF, Ethnic Cleansing, HoundmillsLondra, 1996; H. HAAS, “Ethnische Homogenisierung under Zwang. Typen und Verlaufsmodelle”, in Beitraege zur Historischen Sozialkunde, 4, 1996, p.152-159; N. NAIMARK, “Das Problem der ethnischen Saeuberungen im modernen Europa”, in Zeitschrift fuer Ostmitteleuropaforschung, 48, 1999, p.317-349; R. WOERSDOERFER, Krisenherd Adria (1915-1955). Konstruktion und Artikulation des Nationalen im italienisch-jugoslawischen Grenzraum, Muenster-Paderborn (D), 2004 (traduz. italiana: Il confine orientale: Italia e Jugoslavia dal 1915 al 1955, Bologna, 2009). 62 Sulle polemiche si possono vedere, ad esempio: F. CAVALLOTTI, Noi e gli Slavi, Gorizia, 1927; L. RAGUSIN RIGHI, Interessi e problemi adriatici, Bologna, 1929 (Ragusin, che scriveva anche per la rivista Italia oltre che per Il Piccolo di Trieste, sosteneva che il “problema slavo era nato … dalla cancrena austriaca”); “Le minoranze alloglotte in Italia e il calunnioso articolo di una olandese”, in Il Piccolo di Trieste, 18 febbraio 1930. Ma addirittura inserendosi nelle lotte nazionalistiche tra gli stessi Jugoslavi (Serbi e Croati in particolare): P. PIETRI, “Tentativi di imitazione fascista in Jugoslavia”, in Gerarchia (Milano), 10, settembre, 1932, p. 830-834. Va ricordato che specie il 1934 si mostrava come un momento di forte tensione tra il Nazionalismo serbo e quello croato; e la stampa italiana non mancava, ovviamente, di darne notizia e di ‘soffiare sul fuoco’ (ma anche Albert Einstein si occupava della sorte di un professore di Zagabria perseguitato dai Serbi: “La politica culturale serba in Croazia” (per creare la Panserbia), in Il Corriere Padano (Ferrara), 11 luglio 1934, p.4. Ciò avrebbe portato di lì a poco all’avvicinamento tra i movimenti nazionalisti croati (Ustascia) e l’Italia fascista fino alla “grande amicizia italo-croata” dei primi anni Quaranta. Nel 1934 i Nazionalisti croati assassinarono re Alessandro I di Jugoslavia e anche il ministro francese Jean Louis Barthou: di un coinvolgimento “con atti rilevanti” venne poi accusato, dopo la Guerra, anche il deputato triestino Fulvio Suvich (in A. MILLO, “Fra Trieste, Roma e Washington. Note su Fulvio Suvich …” in Italogramma, 4, 2012, p. 414-415 (in http://italo- 384 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 Il problema, a livello regionale, era molto complesso e riguardava certamente le popolazioni slave (nelle province di Trieste, Gorizia e Udine gli Sloveni; in quelle di Pola, Fiume e Zara i Croati); anche se restava aperto il dibattito sui ‘Friulani udinesi’63. Per Trieste, già negli anni Venti una tale polemica era montata e ancora nel 1931 si parlava, senza mezzi termini, di “Bonifica etnica” e di come “Fu risanata Guardiella [dagli slavi]”, ponendo un preciso parallelo tra la ‘Bonifica edilizia’ di Cittavecchia e la “Bonifica etnica”, e ricordando come “già nel 1918 gli slavi si fossero allontanati”64 dal rione di Guardiella. Nella politica di espansione della città verso i colli, per l’ottenimento di un’efficace ‘Urbanistica nazionalista’ risultava comunque fondamentale l’allontanamento della Comunità slovena (almeno della sua parte attiva) e, dunque, si procedeva in primis alla continuazione sistematica della politica della chiusura delle scuole slovene, avviata dopo il 1923, e di tutti i centri gestiti dalla Comunità. Infatti tra i criteri fondamentali del nuovo programma … per l’estensione dei servizi … bisogna far giungere fino alle più lontane località della periferia i servizi comunali … … attraverso le Case [del Fascio] per le istituzioni fasciste … Il Comune sa di essere un centro propulsore di Italianità e spinge lungo il mare e su per le valli la sua azione tentacolare con le Case dei Balilla e i Ricreatori65. Analogamente, un tentativo, spesso però privo di efficacia per italianizzare sempre più la città, era quello dell’italianizzazione dei cognomi presenti. La campagna di ‘convinzione’ sarebbe stata massiccia, ma – esattamente come nelle gramma.elte.hu consultato nel maggio 2015). Per parte jugoslava e la questione della minoranza “superstite” in Italia dopo un “massiccio esodo” che sarebbe avvenuto dopo la Prima guerra mondiale, invece: L. CERMELJ, Life and Death Struggle of a National Minority (The Yugoslavs in Italy), Lubiana, 1936 (“esodo” che viene in gran parte ancora oggi sottinteso dalla Storiografia slovena). Da ultimo, sulla questione: M. BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia (1922-1939), Bari, 2006; L. MONZALI, L’Italia, la questione jugoslava e l’Europa centrale (1918-1941), Firenze, 2010. I dati restano ‘sfuggenti’ e troppo condizionati dalla Politica: quello però che interessa per le previsioni urbane e urbanistiche in riferimento agli anni Trenta non è tanto come stesse la realtà effettiva dei fatti, ma come dati o volontà precise venissero assunte a ‘orientamento’ delle scelte insediative (facendo in ciò più ‘contare’ la Propaganda della Realtà). 63 “Dialetti e lingue ai confini d’Italia”, in Il Popolo di Trieste, 21 febbraio 1932, p.4. La discussione era stata di nuovo sollevata da ultimo sul Bollettino di Statistica Nazionale riguardo al problema se, nella Venezia Giulia, includere tra gli Italiani anche i parlanti Friulano, da intendersi come una ‘variante’ di Italiano (come il Veneto o il Lombardo) e dunque parte del “gruppo italiano”; o se invece da intendersi come lingua romanza autonoma (come il Francese o lo Spagnolo) per cui quei parlanti dovevano venir considerati “alloglotti”. Ovviamente il Popolo di Trieste era per la prima ipotesi, facendo così aumentare anche nella Venezia Giulia il numero degli “Italiani”. 64 “La Bonifica etnica. Come fu risanata Guardiella”, in Il Popolo di Trieste, 31 gennaio 1931, p.4. 65 Alessandro NICOTERA, “L’approvazione del Duce ad un vasto piano di opere pubbliche a Trieste”, in Il Popolo d’Italia (Milano), 9 gennaio 1934, p. 3. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 385 altre città dell’Adriatico orientale – il risultato sarebbe stato in buona parte deludente (anche se importanti personalità come Cobolli Gigli avevano italianizzato da ultimo il proprio originario cognome sloveno “Cobol” o anche se si ricordava l’esempio dello stesso Guglielmo Oberdan la cui famiglia si chiamava in origine “Oberdank”). Ma molti Triestini non facevano del cognome un indice di maggiore o minore Italianità. Anche Il Popolo di Trieste cercava di prendere posizione al proposito, ripercorrendo le fasi del popolamento più recente della città: scorrendo la lista dei morti in città è davvero troppo grande ancora la quantità di nomi allogeni … A suo tempo la popolazione di immigrati formò il nuovo apporto di energie all’Emporio teresiano e giuseppino sorto a Trieste: da quella immigrazione derivano le 15.000 famiglie dai cognomi allogeni … ma sono 15.000 famiglie sopra 57.000 di cui si compone la collettività triestina. Esse si proclamano (nella assoluta maggioranza) italiane di sentimento, di cuore, talune anche di sangue, ma soltanto 6 o 7 mila sono le persone che finora hanno domandato alla Regia Prefettura il favore di “tornare al nome originario italiano o di dar forma italiana” al proprio nome … Ma questo mutamento si impone a Trieste, città-guida, città-esempio per il resto della Giulia66. Così, tra cambi di lingua parlata, cambi di cognome e “sentimenti di Italianità” – tutto ciò pur senza cambio di popolazione della città67 – ufficialmente a 66 “Troppo nomi stranieri a Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 31 marzo 1932, p.3. Per quanto riguardava l’insediamento degli Sloveni: “Un prete di Lubiana alla guida della chiesa di San Giacomo di Trieste”, in ivi, 8 aprile 1932, p. 4 (uno “jugoslavo fanatico nel rione triestinissimo e italianissimo dove si cantano canti in slavo”). E prima: “Preti slavi a Servola”, in Il Popolo di Trieste, 5 aprile 1932, p.4, “in molte chiese di Trieste si continua a pregare e a cantare in slavo: a Roiano, a San Giovanni, a Servola, a Barcola”. Dal che si può ricavare la ‘topografia’ della diffusione della Comunità slovena in città, fino al 1932, prima che venisse ‘relegata’ sull’Altipiano. Ma si obiettava “sta di fatto che nessuna di quelle parrocchie ha, nonché la totalità della popolazione, nemmeno una sia pur lieve maggioranza di parlanti slavo. Già il “Censimento” del 1910 … dimostrava che Barcola, Roiano, San Giovanni e Servola avevano maggioranza italiana e in quanto a San Giacomo si trattava di una parrocchia assolutamente italiana con una minoranza slovena”: “Reliquie austroslave che devono sparire”, in ivi, 9 aprile 1931, p. 1 (si attribuiva la permanenza della Liturgia in Sloveno non ad una realtà linguistica, perché si veicolava che gli Sloveni o non c’erano mai stati o se ne erano andati, ma alle disposizioni dei vecchi Vescovi austro-ungarici della città, che avevano puntato – ispirati dal Govero asburgico - a ‘slovenizzare’ Trieste). 67 Le Autorità italiane vantavano il fatto di aver fatto allontanare gli Sloveni dai rioni cittadini periferici, ma il “Censimento riservato” del 1939 restituiva, in verità, una situazione non molto cambiata rispetto ai decenni precedenti (KRASNA e MATTOSSI, Il ’Censimento riservato’ del 1939 …, cit.). Le Autorità jugoslave dal canto loro, puntando a ingigantire l’esodo postbellico di loro regnicoli dal Regno d’Italia, parlavano di “circa 100.000 fuoriusciti” dalla Venezia Giulia italiana. Sulla questione si è aperto anche di recente un lungo dibattito storiografico (anche questo di natura eminentemente politica) senza poter però disporre in verità di cifre sicure, ma dovendosi adattare all’uso di fonti a suo tempo ‘pompate’ da entrambe le parti, sempre per motivi politici (e avendo oggi negli occhi, piuttosto, l’esodo seguito alla Seconda Guerra Mondiale. Quello sì 386 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 Trieste di lì a poco ci sarebbero stati pochissimi “allotri”: una volta chiuse le scuole e i giornali di lingua slovena e vietata la liturgia68, per le politiche urbane si trattava di tutti “cittadini triestini” e si eliminava, così, il problema della Nazionalità … (anche se lo spettro dello ‘Straniero invasore’ veniva sempre ventilato per mantenere alta l’’attenzione’ politica). Se sul fronte ‘interno’ la situazione sembrava comunque ‘risolversi’ (autoritariamente) nel giro di pochi anni, ancora una volta lo scontro era piuttosto con i Francesi, la cui stampa difendeva le ragioni jugoslave anche in riferimento al trattamento italiano proprio in merito alle “Nazionalità”: la risposta ‘triestina’ alla questione – dalla città cioè dove il problema era più forte, insieme all’Alto Adige e alla Valle d’Aosta – veniva da un chiaro “Le minoranze in Italia e in Francia”, articolo nel quale si cercava di dimostrare come [è chiaro che] gli Stati della “Piccola Intesa” [cioè Jugoslavia, Romania, Cecoslovacchia, e Polonia] sono alleati o vassalli della Francia e allora non devono essere toccati … ma mentre in Italia, Italiani si dicono il 97,6% della popolazione (e solo il 2,4% tra Sloveni, Serbocroati, Tedeschi, Francesi, Albanesi, ben documentato). Ovviamente vi furono tanti che preferirono andarsene e seguire il nuovo tracciato dei confini, ma come pare non vi sia stato, dopo il 1918 e poi dopo il 1923, esodo di Dalmati verso l’Italia né verso Zara (anche se effettivamente importanti borghesi e imprenditori si spostarono a Trieste), così è difficile vi sia stato esodo dei nuovi Jugoslavi rimasti in Italia verso la Jugoslavia. Certamente se ne andarono da Trieste, nel tempo, alcuni Artisti sloveni (Spazzapan, Stepancic, Cargo, Sergi, Pilon) all’interno della “complessità di un fenomeno migratorio che interessò gli Sloveni … dei territori annessi dall’Italia” (A. KALC, Ai confini orientali della Civiltà italiana tra le due Guerre in Trieste: Arte e Musica di frontiera negli anni Venti e Trenta del XX secolo, Atti del Convegno Internazionale, a cura di T. Rojc, Trieste, 2005, p. 57-76), ma la parabola più significativa per la situazione triestina fu, in ogni caso, senza dubbio quella di Augusto Cernigoj che passato nel 1924 a Lubiana (per le difficoltà etniche incontrate a Trieste?), ma poi allontanato dalla Slovenia nel 1925 con l’accusa di attività sovversive, rientrava a Trieste, la sua città, dove collaborava a riviste slovene triestine ancora attive (come U~iteljski list, mentre la sua opera veniva recensita anche da Edinost), quindi aderiva alle iniziative del locale “Sindacato Artisti” pur “in quel momento strumento portante nella strategia di assorbimento e snazionalizzazione in ambito artistico” (I. MISLEJ, Arte e Politica. Gli artisti “alloglotti” nella Venezia Giulia fra le due Guerre in Arte e Stato: le Esposizione Sindacali nelle Tre Venezie [1927-1944], Catalogo della Mostra, a cura di E. Crispolti, D. De Angelis e M. Masau Dan, Milano, 1997, p.84-85), italianizzava il proprio cognome in “Cernigoi” (invece che Cernigoj) e trovava molta fortuna anche negli anni a venire nell’ambiente cittadino, collaborando con lo studio di Pulitzer Finali (con Giorgio Lah, Francesco Kossovel) … Cosa ovvia in una città cosmopolita da sempre e che proprio del cosmopolitismo aveva fatto la sua ricchezza oltre che la sua identità. Ma il Popolo di Trieste nel suo “Svegliarino artistico” del 1929 non risparmiava a Cernigoi e a Pilon, almeno formalmente, la sottolineatura del fatto che “altra volta hanno opportunamente dichiarato in qual conto tengano la snazionalizzazione che si vuol fare ai loro danni, sentiranno – voglio crederlo – il dovere di scrivere a tutte le riviste del mondo che sono cittadini italiani, pittori italiani” (in V. STRUKELJ, “Nel nome del Costruttivismo. Storie di s/confine tra Italia e Jugoslavia negli anni Venti”, in Ricerche di s/confine [Parma], 2, 2013, p. 20). 68 Anche: A. KALC, “Emigrazione slovena e croata dalla Venezia Giulia tra le due Guerre ed il suo ruolo politico”, in Annales (Capodistria/Koper), 8,1996. Per i dati del 1921, è probabile che la parte più rilevante di coloro che lasciarono Trieste fosse costituita da funzionari, impiegati e manovalanza fatti giungere da poco dal Governo imperiale asburgico (com’era successo a Pola), visto che il Regime fascista non si era ancora insediato e Trieste, piuttosto, tra il 1918 e il 1921 era in forte crisi economica. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 387 Paolo Grassi, Piano regolatore di Trieste, progetto per l’arteria via Carducci-viale Sonnino, 1934 (parte Sud-Est e parte Nord-Ovest) Greci e Ladini), in Francia invece 86,5% sono Francesi, Provenzali e Valloni mentre i Tedeschi sono il 4%, gli Italiani il 2.7%, i Catalani l’1,3%, i Bretoni il 2.4%, i Baschi lo 0.4 … Così mentre l’Italia ha il 2,4% di ‘Stranieri’, la Francia ben il 13.5%69. Di grande interesse, al proposito, soprattutto per le previsioni urbanistiche di costruzioni di nuove infrastrutture, anche le specifiche statistiche che analizzavano l’andamento della “Popolazione scolastica a Trieste negli anni 19291930”70: sembrava delinearsi un trend decennale che vedeva la diminuzione della popolazione scolastica, specie nei rioni suburbani. Politicamente ciò veniva 69 “Le minoranze in Italia e in Francia”, in Il Popolo di Trieste, 31 marzo 1932, p. 1. Prima si auspicava, ma non con grande successo: “Le relazioni franco-italiane verso una migliore comprensione?”, in Il Popolo di Trieste, 28 gennaio 1931, p. 1. Ma ormai era evidente come “L’amicizia con l’Italia una ‘pietra fondamentale nella politica austro-ungherese’ [contro la Cecoslovacchia, alleata della Francia]”, in ivi, 31 gennaio 1931, p. 1. 70 “La popolazione scolastica a Trieste negli anni 1929-1930”, in Il Popolo di Trieste, 13 febbraio 1931, p. 4. 388 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 giustificato con il fatto che, prima della Guerra «lì alloggiasse la popolazione allogena» cioè gli Sloveni71 e che “merito del Fascismo fosse stato quello della bonifica dei rioni e dell’Altipiano”. In verità, nella complessiva distribuzione demografica della città, le stesse Autorità dovevano ammettere che si poteva notare un deciso regresso delle nascite … Con la diminuzione dei matrimoni verificatosi dal 1930 al 1933 è spiegabile la contrazione delle nascite … la popolazione, incrementata dall’eccedenza dell’immigrazione sull’emigrazione, è su per giù sempre la stessa … nel 1930 fu meno aspramente sentito il disagio economico occasionato dalla crisi … ma la crisi si manifestò più crudelmente nel 193272. Dunque, come certificavano i dati parziali, i numeri ‘non pilotati’ sembravano parlare chiaro: nessun esodo di popolazione e minimo allontanamento di “allotri”; stabilità nel numero degli abitanti; eccedenza dell’immigrazione sull’emigrazione; e soprattutto, crollo dei matrimoni e delle nascite. Anche alla conseguente “morte dei popoli” si chiedeva di porre rimedio, mentre la ‘ricetta Gigli’ mostrava, fortunatamente, di non avere avuto ‘grandi’ effetti … Anche se, ovviamente, la propaganda sbandierava il contrario (accentuando così, con strascichi anche nel Dopoguerra, lo scontro etnico e politico). E le politiche urbane di celebrazione dei ‘fulcri monumentali d’Italianità’. 2.1.3. Nuovi rioni cittadini: la richiesta di una soluzione ‘pianificata’ del problema abitativo Il trend dell’espansione di Trieste, che il nuovo Piano regolatore raccoglieva nella sua ultima versione, vedeva l’ampiamento di specifici rioni periferici, dove si intendeva dirottare sia la popolazione che aveva le proprie abitazioni abbattute in Cittavecchia, sia il nuovo proletariato urbano73. In particolare era Farneto, tra i rioni suburbani, quello verso il quale, già dai primi anni Trenta, si indirizzava quell’espansione: Farneto è già il più popolato dei rioni suburbani … notevole è il suo slancio, poiché verso Farneto è andata estendendosi la città … con un grande numero di costruzioni … È il più popolato dei rioni suburbani ed è certamente destina- 71 “Com’è distribuita a Trieste la scolaresca”, in Il Popolo di Trieste, 17 febbraio 1931, p. 4. delle nascite, morte dei popoli” (Mussolini). La situazione demografica di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 4 novembre 1933, p. 5. 73 F. ROVELLO, ”‘Architettura minore’ a Trieste. (1925-1945)”, in Trieste (1918-1954) …, cit., p. 59-64. 72 “Regresso F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 389 to a sviluppo in una Trieste che non tarderà ad occupare tutta la valle tra le catene dei monti della Vena e il mare74. Naturalmente andavano ribaditi gli sviluppi che si erano già profilati. Ed era il caso della zona di Chiarbola Superiore fra le vie Orlandini, dei Lavoratori, Bartolomeo d’Alviano, Raimondo Battera, Leone Fortis e Raffaele Abro … dove dal 1922 in poi furono costruite quasi tutte le popolari dell’“Istituto Comunale delle Abitazioni Minime-ICAM”; quartiere che, su proposte del Presidente ICAM verrò denominato “Rione del Littorio”75. Anche quando non si trattava di “Rioni” al completo, la diffusione di interventi puntuali risultava di grande importanza, specie in un momento in cui l’attività edilizia non aveva grande vigore e la ripresa si sperava fosse stata rimandata a dopo l’approvazione del Piano: si costruisce un gruppo di Case per i Ferrovieri in via Ruggero Manna; altro gruppo in Roiano; un gruppo di case per i Postelegrafonici in via Fabio Severo; case private in via Trento e a cavallo delle vie Moisé Luzzato e Santa Giustina; un gruppo di case dell’ICAM al Rione del Littorio a Ponziana. È in progetto un gruppo di case per Postelegrafonici in via Giorgio Padovan76. Proprio sull’”ICAM” si poneva l’attenzione nella speranza che l’Ente contribuisse ad una netta soluzione del “Problema della casa”: nel 1930 l’ICAM ha messo a disposizione del mercato ben 879 alloggi, in misura da soddisfare ben 1/5 delle domande … ma c’erano altre 5000 domande per 797 alloggi … per cui la crisi delle abitazioni a Trieste [non è affatto] superata … Per il 1931 l’ICAM prevede di costruire 6 case con 119 alloggi nel nuovo ‘Rione del Littorio’ in Ponziana … ma è troppo poco di fronte ai bisogni della città77. Si capiva a che cosa veniva chiamato il nuovo Piano regolatore sia nelle espansioni urbane sia nello sventramento di Cittavecchia: 74 “La distribuzione della popolazione di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 23 gennaio 1931, p. 4. “I molti problemi di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 22 febbraio 1931, p.4. Cfr. E. MARCHIGIANI, “Edificio a corte in via dell’Istria. Camillo Jona e Ufficio Tecnico ICAM”, in Trieste (1918-1954) …, cit., p. 143-147. 76 “Un provvedimento pratico a favore dell’industria edilizia (che a Trieste non è grande)”, in Il Popolo di Trieste, 4 febbraio 1931, p. 4. 77 “Il problema della casa a Trieste. L’attività dell’ICAM nel 1930”, in Il Popolo di Trieste, 17 maggio 1931, p. 4. 75 390 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 l’ICAM ricorda la necessità … della ritardata ma non rimandabile demolizione di molti stabili inabitabili e dell’auspicato sventramento di Cittavecchia, non per rifarla come un rione di gente povera, ma come un rione degli affari: la ‘City’. Sventramento il quale imporrebbe da solo la preparazione di almeno 700 nuovi alloggi. Questi nuovi alloggi dovrebbero essere costruiti – come ha fatto saggiamente l’ICAM – possibilmente alla periferia per dare alla città più ampio respiro e portare l’elemento popolaresco ai margini della campagna. Noi abbiamo vaste aree fabbricabili in zone pianeggianti fra San Sabba, San Pantaleone, Monte Castiglione verso le quali la città va, seppur timidamente, espandendosi. Siccome da quelle parti potranno sorgere anche industrie nuove (desiderose di fruire delle franchigie assicurate dal “Decreto sulla Zona Industriale di Trieste”) sarebbe utile per l’ICAM assicurarsi l’uso di qualche area … Ma anche sui fianchi della collina di Gretta e da Timignano in su, come in Rozzol-Montebello … Attualmente l’ICAM, oltre al rione “del Re” con 74 alloggi amministra il rione “del Littorio” che conta ben 955 alloggi78. Si ‘ruralizzavano’ gli abitanti della città (anche senza bisogno di pensare ad un ampliamento dell’”elemento italiano verso la campagna”79) e si bonificava il centro antico della città. Nel 1933 il Prefetto poteva visitare il nuove “Rione del Littorio”, fornito anche di un nido per bambini80. Ma fiore all’occhiello in questa politica, che sarebbe entrato nelle previsioni del Piano regolatore, era comunque lo sviluppo della Città-giardino di “Poggio Reale a Villa Opicina”: l’estensione della nuova Città-giardino di Poggio Reale è enorme: da una parte 78 Il problema della casa a Trieste …, cit. Si veda: E. MARCHIGIANI, “Rione del Re, Rozzol in Monte”, in Trieste (1918-1954) …, cit., p.121-126. Nel 1934 si cercava di stimolare anche l’iniziativa privata: “Costruire …”, in Il Popolo di Trieste, 9 marzo 1934, p. 3. E, soprattutto, nei confronti delle Assicurazioni Generali che “non si sono fatte ancora innanzi a dare un contributo d’opere nuove”, e della Comunità greco-orientale per “la ricostruzione della sua chiesa e della sua scuola”: “La febbre di rinnovamento cittadino. Appello ai ritardatari”, in ivi, 3 aprile 1934, p. 4. 79 T. SALA, “Programmi di snazionalizzazione del ‘Fascismo di Frontiera’ (1938-1942)”, in Bollettino dell’ Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia, 2, 1974, p. 24-30; M. KACIN WOHINZ, “I programmi fascisti di snazionalizzazione di Sloveni e Croati nella Venezia Giulia”, in Storia Contemporanea in Friuli, 19, 1988, p. 9-33; I. JOGAN, Territorio e etnia. La questione degli Sloveni nella politica urbanistica del Friuli Venezia Giulia, Milano, 1991. E ora soprattutto, con una lettura decisamente ‘nazionalistica’ degli interventi urbani: G. SLUGA, “Identità nazionale italiana e Fascismo: ‘alieni’, ‘allogeni’ e assimilazione sul confine nord-orientale italiano”, in Nazionalismi di frontiera: identità contrapposte sull’Adriatico nord orientale (1850-1950), a cura di M. Cattaruzza, Soveria Mannelli (CZ), 2003, p. 192-195. Già nel 1932 Silvio Benco celebrava la ormai raggiunta ‘omogeneità etnica’ raggiunta da Trieste (S. BENCO, Trieste, Firenze, 1932, pp. 8, 11): “Trieste in passato era stata un crogiuolo di popoli … ora è città che può dirsi di una nazionalità sola”. 80 “S.E. il Prefetto visita le nuove case dell’ICAM in via dell’Istria nel ‘Rione del Littorio’”, in Il Popolo di Trieste, 8 settembre 1933, p. 2. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 391 si estende fra l’obelisco e il vecchio villaggio a Levante, fra il Viale principale e la strada per Prosecco dall’altra. Tutte le ville sono fornite di giardini vastissimi … e non vi sarà alcuna pendenza, o minima, nella nuova rete stradale … L’elettrovia, la sistemazione stradale, la concentrazione di tanti ferrovieri e le loro famiglie hanno popolato questa zona in modo considerevole … e da 1750-1800 che erano un trentennio fa, gli abitanti di Poggio Reale sono saliti a oltre il doppio. È divenuta una piccola Città-giardino, con belle strade asfaltate, una buona illuminazione, servizi d’acqua, di gas e di elettricità … Del Comune di Trieste è frazione di distretto o rione di campagna … E non è temerario il prevedere che la Città-giardino – dato il limitato costo delle aree – potrà estendersi ancora moltissimo … Ma necessita anche la soppressione della straniero nome di “Opcina”81. Ma si trattava di un intervento ‘quasi borghese’ che poco aveva a che fare con le necessità del proletariato urbano e campagnolo. Anche nel corso del 1932, sorgevano così nuovi rioni nella periferia della città, la cui espansione veniva sostanziata dal diretto intervento podestarile poiché “il Podestà fece inserire nel “Bilancio di Previsione” un notevole lotto di lavori di pubblica utilità come … il nuovo edificio scolastico a Sant’Anna, che dovrà servire alla nuova popolazione scolastica del nuovo rione che va formandosi tra Sant’Anna, San Sabba e Zaule”82. Le iniziative avrebbero conosciuto un nuovo incremento nel 1934 con “Un nuovo rione a Valmaura”83; e con l’appendice di esso a “Sant’Anna”84. 2.2. L’auspicata «ripresa economica» e il problema di un ‘nuovo ruolo’ per la Città italiana Difficile per le forze politiche triestine negare il fatto che – anche a causa del cambiamento della situazione politica internazionale e il deciso indebolimento delle economie dei Paesi danubiani che facevano riferimento sul porto di Trieste – l’economia della città fosse entrata dopo il 1918 in una fase perlomeno di stagnazione, se non di vera e propria recessione. Il Regime, da parte sua, 81 “Poggio Reale a Villa Opicina. La Città-giardino”, in Il Popolo di Trieste, 26 aprile 1932, p. 4. “Dieci milioni di nuovi lavori”, in Il Popolo di Trieste, 4 marzo 1932, p. 4 83 “Un nuovo rione a Valmaura”, in Il Popolo di Trieste, 15 marzo 1934, p. 4. E quindi: “190 alloggi minimi a Valmaura: “L’opera dello sventramento”, in ivi, 19 settembre 1934, p. 2; “La consulta municipale … Nasce un nuovo rione attorno allo stadio: Valmaura”, in ivi, 22 settembre 1934, p. 2; “La città ampliata: Valmaura (San Sabba)”, in ivi, 6 ottobre 1934, p. 2. 84 “Il nuovo rione meridionale fra Valmaura e il poggio di Sant’Anna”, in Il Popolo di Trieste, 28 dicembre 1934, p. 2. 82 392 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 tentava il rilancio economico con tutta una serie di interventi, ma la realtà strutturale e soprattutto politica (anche connessa ad un nuovo ruolo che Trieste doveva ritagliarsi nell’ambito del Regno italiano) erano incontrovertibili e ad esse bisognava fare fronte. Anche a questo il nuovo Piano regolatore veniva chiamato con una serie di realizzazioni infrastrutturali e di potenziamenti che invertissero le linee di tendenza. Nei primi anni Trenta ormai il trend si era chiaramente delineato, ma con situazioni in ‘chiaro-scuro’ che rendevano la lettura della realtà economica triestina non poi così agevole: il Fascio cercava di organizzare il mondo dell’imprenditoria85, ma a fronte di una diminuzione oggettiva dei commerci, vi erano però segnali economici che parevano in controtendenza e che comunque facevano sperare. Del resto, era difficile che l’economia cittadina si fosse già ripresa, dopo che, tra il 1929 e il 1930, si era avuto, tra l’altro, il fallimento del grande gruppo industriale Brunner e quindi il tracollo dalla Commerciale, che era stato l’istituto di credito di riferimento per i capitali giuliani per decenni, salvata in extremis con una “nazionalizzazione”86. Nel 1931 il “Rapporto” dell’Assemblea delle Unioni Industriali della Venezia Giulia sottolineava che nel settore industriale, la disoccupazione nelle Provincie di Trieste e Pola è inferiore a quella delle altre Province del Regno … poiché i Cantieri [navali] hanno registrato nel 1930 un periodo di intenso lavoro … Poi, sempre nel 1930, vi è stata la fusione in un unico organo dei principali cantieri … e va inoltre valutata l’importante quota di commesse estere … Nei primi mesi del 1931 si è però registrato un rallentamento … specie nei cantieri di riparazione. Tuttavia la situazione può essere considerata con serenità87. Nel 1932, però, una vera e propria polemica si apriva in città riguardo alle 85 “Le forze dirigenti dell’industria giuliana convocate in assemblea generale in Sala Littorio”, in ivi, 3 giugno 1930, p. 5; “Gli onorevoli Olivetti e Benni presenzieranno l’assemblea degli Industriali”, in ivi, 1 giugno 1930, p. 6, evento di grande importanza visto che “la Venezia Giulia [grazie ai cantieri triestini] è regione eminentemente industriale”. Cfr., “I traffici e le costruzioni navali. Trieste sul mare”, in ivi, 28 giugno 1930, p. 5. 86 “L’economia triestina nazionalizzata. La banca Commerciale Triestina assorbita dalla Banca Commerciale Italiana”, in Il Popolo di Trieste, 13 febbraio 1932, p. 4: “avvenuto il crollo dell’Impero asburgico … quella formazione chiusa di un’economia triestina non poteva continuare ad esistere … Il mutamento della situazione economica mondiale … impoverì Trieste come nessun’altra città italiana … Si è voluto ora ‘salvare’ ciò che restava dell’economia cittadina … con l’apporto di denari e di energie nazionali … grazie ad un istituto bancario di grande potenza e capace di finanziare tutte le attività economiche cittadine e regionali”. Una prassi di “nazionalizzazione” che si sarebbe ripetuta più volte negli anni a venire … 87 “L’assemblea delle Unioni Industriali della Venezia Giulia”, in Il Popolo di Trieste, 29 aprile 1931, p. 4. Per le commesse straniere: “Commesse sovietiche … Tre battelli sono stati commessi dai Sovietici ai cantieri Riuniti dell’Adriatico”, in ivi, 1 maggio 1931, p. 1. E non a caso: “Gli industriali italiani giunti a Leningrado”, in ivi, 26 giugno 1931, p. 1; “Trieste porto franco per le navi sovietiche?”, in ivi, 25 aprile 1931, p. 1 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 393 prospettive della produzione cantieristica. Bruno Coceani, Vice Presidente dell’Unione Industriali di Trieste, lamentava la mancanza di prospettive e, anzi, una «situazione tragica e irreparabile … poiché con l’ultimazione della [nave] “Conte di Savoia” si conclude il periodo più intenso delle nostre costruzioni navali e vengono pertanto a cessare le possibilità di lavoro»88. Una posizione dura e pessimistica che veniva subito rigettata dal Popolo di Trieste, fiducioso nell’intervento del Governo, anche grazie al Piano regolatore che avrebbe fornito nuove infrastrutture produttive alla città. Era una visione ottimistica alle quali faceva eco una nuova iniziativa del podestà Pitacco, che aveva visto nell’“Inaugurazione del mercato all’ingrosso in piazza Verdi”89, un’opera importante per contribuire al rilancio economico – pur nella sfera locale – dell’emporio cittadino: noi viviamo in un vasto emporio al quale, malgrado la più perfetta attrezzatura e la lunga esperienza commerciale, per contingenze … va diminuendo il traffico con i mercati lontani … Ora grande interesse deve avere il rapporto commerciale con il Friuli, con l’Istria e con Fiume per sopperire a quel calo90. Era un ‘cambio di prospettiva di mercato’, ma tutti sapevano che le realtà geografiche limitrofe non avrebbero mai potuto sopperire alla mancanza dei Paesi danubiani. Nel 1931 lo stato di crisi complessiva era stato descritto con piena lucidità anche sulle pagine dello stesso Popolo di Trieste: la situazione è ora particolarmente grave per una città che, avendo perduto il 35% del suo lavoro commerciale, aveva sperato di rifarsi con il lavoro industriale … Cinque anni fa Trieste … aveva chiesto la concessione d’una zona industriale franca. La “Zona Industriale” fu ottenuta, ma in verità con risultati assai meschini … tanto che Trieste non può ora che mostrare della sua “Zona Industriale” che un impianto per l’impregnatura conservatrice dei pali del telegrafo! Invece sono state sospese o chiuse tante industrie e sono sparite tante ditte … Non esiste più la Pilatura del riso; sono chiusi gli Oleifici Nazionali di Zaule; è emigrato a Genova l’Impianto Ford; è chiuso il Pastificio Gami; è chiusa la Cioccolateria Leyet (in tracollo finanziario) … E in più: inoperosa è la Cava di Aurisina; in stasi le industrie elettriche; in stasi gli Alti Forni e le Acciaierie di Servola; depresse le industrie dei pesci in conserva; contratta l’industria birraria; depresso il pastificio Triestino; in stasi lo jutificio; 88 “Per quelli che vedono buio. Il ‘Lavoro fascista’ e un articolo di B. Coceani, in il Popolo di Trieste, 6 gennaio 1932, p.4. E poi la risposta dello stesso B. COCEANI, “Cantieri navali e costruzioni navali. Una lettera del comm. Coceani”, in ivi, 8 gennaio 1932, p. 4. 89 “Il mercato delle contrattazioni inaugurato ieri in piazza Verdi. Il discorso del Podestà e lo sviluppo dei traffici”, in Il Popolo di Trieste, 10 maggio 1931, p. 4. 394 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 in crisi la produzione del cemento e tutte le industrie edilizie; depressa, per diminuito traffico e crollo di noli, la navigazione91. C’erano poi state le ‘resistenze’ concorrenziali: ma altri interessi hanno impedito che Trieste, città d’un quarto di milione [di abitanti] e con un commercio di grani notevole … abbia un mulino e deve dipendere, per la farina, da altre città … I pastifici di Trieste erano un tempo numerosi e importanti e rifornivano tutti i paesi della costa adriatica … Si sono ridotti a due (e poi a uno) … perché c’erano quelli del “Porto Franco” di Zara. Ma ora quella spiegazione non regge, perché ad essi fu tolta la possibilità di entrare in franchigia nel territorio nazionale. Nel 1932, però, il bilancio dell’”89° esercizio” della locale Cassa di Risparmio mostrava: “un aumento dei depositi e delle riserve per il principale Istituto finanziario della città … con uno stato di eccellente liquidità … e con una vigorosa ripresa delle operazioni di credito fondiario”92. La Cassa di Risparmio svolgeva un importante opera di ‘motore finanziario’ nel rinnovo urbano della città (non solo finanziando ad esempio i restauri alla cattedrale di San Giusto, ma soprattutto agevolando acquisti fondiari e di trasformazione dei lotti urbani), per cui anche le previsioni per il nuovo Piano regolatore uscivano economicamente rafforzate da un tale quadro finanziario positivo (anche pur senza raggiungere i livelli dell’ante guerra). Insomma era evidentemente la “Necessità di lavori pubblici”, strutturando una pianificazione delle opere attraverso il nuovo Piano regolatore: la gravità della situazione manifatturiera. Il tabacchificio occupava 4000 operaie, ora solo la metà … E quindi la grande crisi dell’industria edilizia … Si accennava allora alla possibilità di costruzioni nuove sull’area della soppressa Caserma Teresiana … mentre il Comune di Genova sta applicando coraggiosamente il Piano regolatore93. Niente di troppo strano: la città restava un importante polo finanziario (grazie alle grandi Compagnie di Assicurazione, alle Banche …), anche se non costituiva più un nevralgico centro industriale. Ma quanto poteva durare tutto ciò? 90 “L’odierna inaugurazione del mercato all’ingrosso in piazza Verdi”, in Il Popolo di Trieste, 9 maggio 1931, p. 4. 91 “Il problema posto alla città. La situazione dell’industria”, in Il Popolo di Trieste, 10 giugno 1931, p. 4. 92 “La Cassa di Risparmio Triestina nell’89° esercizio”, in Il Popolo di Trieste, 16 aprile 1932, p. 4. 93 “Necessità di lavori pubblici” in Il Popolo di Trieste, 19 febbraio 1932, p. 4. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 395 Camillo Jona, Schizzo prospettico per la sistemazione della “Nuova piazza all’incontro della via Carducci col corso Garibaldi”, allegato al “Piano Grassi” del 1934, 1932-1933 2.2.1. Lo sviluppo del Porto cittadino e dell’emporio commerciale: la politica danubiana (l’amicizia italo-austro-ungherese) e la competizione con la Jugoslavia, appoggiata dalla Francia. Ma “il nostro porto è stato scavato dal Destino”. Nell’economia triestina restava centrale l’attività del grande porto, vanto della città dal XVIII secolo e passato attraverso varie fasi di crisi e ristrutturazione fino ai primi anni Trenta del Novecento94. La battuta d’arresto, che l’emporio commerciale di Trieste aveva subito a seguito della crisi internazionale dei paesi del Centro Europa dopo la caduta dell’Impero Asburgico, aveva prodotto un deciso rallentamento delle attività economiche. Nel 1921 l’area dello “Scalo legnami” di Servola era stata dichiarata “Porto franco”, ampliata e attrezzata con nuovi impianti ferroviari, magazzini e uffici. L’anno dopo era stato riconfermato il regime dei punti franchi in vigore prima 94 Si vedano come riferimenti: A. CAROLI e AUTORITÀ PORTUALE DI TRIESTE, Il Porto di Trieste. Cronaca e Storia delle costruzioni portuali, Trieste, 2002; La città dei gruppi, 1719-1918, a cura di R. Finzi e G. Panjek, Trieste, 2001; G. BOTTERI, Il porto di Trieste. Una libera storia di commerci e traffici, Trieste, 1984; R. ROMANO, “Lavorare in funzione del Porto”. Principali tappe dello sviluppo del porto triestino fra Ottocento e Novecento in http://www2.units.it consultato nell’aprile 2015. 396 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 della Prima Guerra Mondiale e nel 1925 esteso anche al “Porto olii minerali” di San Sabba. Il nodo stava però nel recupero dei vecchi mercati dell’Europa centrale. E molto si faceva affidamento sul fatto che una precisa politica italiana in chiave danubiana e centro europea andava sviluppandosi con una sorta di ‘protettorato’ sia nei confronti del nuovo Stato austriaco95, sia di quello ungherese. Ma la competizione francese era molto forte96, poiché la Francia puntava, come sbocco commerciale, sull’ampliamento dei porti jugoslavi (Sussak e Spalato). E anche con la Jugoslavia i rapporti erano in genere ‘difficili’, nonostante non mancassero alcune timide aperture97. Nel 1930 in città si registravano con allarme le notizie diffuse da Belgrado, in riferimento a “I cantieri di Trieste e le bugie serbe”: da Belgrado mandano a stampare a Zagabria sull’”Jugoslovenski Lloyd” del 4 gennaio … la notizia che “i cantieri (navali) triestini sono completamente inattivi. Giornalmente vengono licenziati gli operai” … Queste facezie si stampano proprio mentre, per merito diretto e indiretto del Regime, la vita dei nostri cantieristica assurgendo, sia per quantità di mano d’opera … sia per importanza di ordinazioni, a quote mai attinte né sotto l’Austria, né in regime nazionale98. La ‘guerra di cifre’ continuava nel 1931 riguardo al “Traffico nei porti jugoslavi”: la Jugoslavia conta ben 64 porti marittimi … Nel 1929 i porti che ebbero maggior movimento furono Spalato (“tonnellate 5.719.653, mentre nel 1913 tonnellate 1.816.052”), Ragusa (“tonnellate 3.197.832, mentre nel 1913 tonnellate 1.233.499”), Sussak (“tonnellate 2.897.108, mentre nel 1913 tonnellate 0” [perché il porto era quello di Fiume]), Sebenico (“tonnellate di naviglio 1.798.528, mentre nel 1913 tonnellate 805.243”), Curzola (“tonnellate 1.238.407, mentre nel 1913 tonnellate 113.014”), Macarsca (“tonnellate 95 Nel 1931 si paventava l’unificazione delle tariffe ferroviarie per le merci austriache verso i porti tedeschi del Nord Europa: “L’accordo doganale austro-germanico … Riflessi adriatici”, in Il Popolo di Trieste, 24 marzo 1931, p.1. A livello nazionale: “Traffico di Trieste e progetti austro-tedeschi (di unione doganale. La discussione al Senato)”, in ivi, 31 giugno 1931, p.1. 96 “La ricostruzione economica danubiana … e le divergenze italo-francesi”, in Il Popolo di Trieste, 20 marzo 1932, p.1; “Trieste e il problema danubiano”, in ivi, 25 marzo 1932, p.4. E prima anche: “Il trattato commerciale italo-romeno … e il nostro porto (i benefici influssi su Trieste)”, in ivi, 26 febbraio 1930, p.5. 97 “Una delegazione jugoslava studia a Roma le basi per un accordo economico Italia-Jugoslavia. Le trattative commerciali … e il problema portuale fiumano (in rapporto a Sussak)”, in Il Popolo di Trieste, 20 marzo 1932, p.1. 98 “I cantieri di Trieste e le bugie serbe”, in Il Popolo di Trieste, 7 gennaio 1930, p. 4. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 397 113.592”) … Nel traffico delle merci Spalato ha la parte migliore, poi Sussak, Ragusa, Sebenico … Non abbiamo gli elementi per controllare tali cifre del traffico … ma dubitiamo che si tratti di “quintali” e non di “tonnellate” perché altrimenti Spalato con le sue 11.511.413 tonnellate complessive verrebbe ad essere il secondo porto del Mediterraneo dopo Marsiglia e Genova … È un po’ esagerato, visto che il solo porto di Trieste, nel 1929, inviò soltanto 43.570 tonnellate di merci via mare e ne ricevette via mare soltanto 117. Anche tenendo conto della caricazione di bauxite che si fa nei porti dalmati su larga scala, non ci si può avvicinare alla cifra così considerevole esposta dalla Statistica jugoslava … E infatti ricondotto il traffico jugoslavo dalla voce “tonnellate” alla voce “quintali”, si vede ch’esso corrisponde alla modesta, primitiva economia del Paese … [e il movimento di Spalato ammonterebbe più verosimilmente a 115.114 tonnellate] … Anche nel movimento passeggeri Spalato ebbe la parte più importante (348.667), poi Sussak (271.036), Sebenico (190.447) e Cattaro (125.190)99. Al di là della ‘guerra di cifre’, non controllabili né tra loro ben confrontabili, certo è che se la “Jugoslavia aveva un’economia modesta e primitiva”, anche il porto di Trieste mostrava nella realtà di aver subìto un ridimensionamento davvero drastico per quanto riguardava il bilancio import-export, visto che “il solo porto di Trieste, nel 1929, inviò soltanto 43.570 tonnellate di merci via mare e ne ricevette via mare soltanto 117 [000]”. Anno forse, particolarmente ‘nero’, ma indicativo. Interessante comunque il fatto che in riferimento ai porti della Jugoslavia “tra le navi, dopo quelle jugoslave, venivano quelle italiane … poi [a molta distanza] le inglesi, greche, tedesche, olandesi e francesi … e battenti bandiera jugoslava il 76.3%, italiana il 18,6 % … [e le altre ciascuna poco oltre lo 0%]” ribadendo come l’economia jugoslava restasse in buona parte legata a quella italiana. Anche se “la Jugoslavia tenta di sottrarci i traffici nel mare Adriatico … con investimenti a Sussak, Sebenico, Spalato, Ragusa … per la costruzione di moderni magazzini … nuove linee ferroviarie e … nuove banchine”100. La necessità era quella insomma di “equilibrare gli scambi italo-jugoslavi”101. A tutto ciò si era cercato di rispondere con una serie di ristrutturazioni e tra i maggiori provvedimenti per il rilancio del porto di Trieste vi era stata da ultimo, l’istituzione di una nuova “Zona franca” nella zona di Zaule: voluta dal Governo, grazie ad essa si sperava che il porto entrasse in una nuova fase 99 “Il traffico nei porti jugoslavi”, in Il Popolo di Trieste, 22 gennaio 1931, p.1. la Jugoslavia tenta di sottrarci i traffici nel Mare Adriatico”, in Il Popolo di Trieste, 5 giugno 100 “Come 1931, p. 4. 398 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 operativa, visto che “la zona, che sorge tra il golfo di Panzano e il vallone di Muggia … vede, per l’impianto di nuove industrie, importanti agevolazioni di carattere economico”102. Già il “Piano Grassi” del 1925 individuava per Zaule con previsioni di Zoning: una divisione in 3 zone: I) nella zona a valle della strada statale “15” avrebbero sede le opere portuali ( costruzione di un canale navigabile e un complesso di opere marittime accessorie); II) nella zona a monte di “via Flavia” si sarebbero insediate nuove industrie previa prosciugazione dei torrenti ivi presenti; III) la zona a Est della precedente sarebbe stata riservata alle opere ausiliare del Porto Industriale103. Nel gennaio del 1929, poi, per favorire lo sviluppo industriale nel territorio, era stata costituita la “Società Anonima della Zona Industriale del Porto di Trieste”, con la speranza di riuscire a coordinare tutte le iniziative; ma ancora gli effetti non si vedevano. Il nuovo Piano regolatore, secondo le aspettative, avrebbe dovuto fornire, dunque, un grande impulso a quella espansione della Zona industriale verso Zaule e il Vallone di Muggia, ribadendone le originarie zonizzazioni. Nel 1931 si era sperato nell’”Accordo commerciale italo-austro-ungherese e i suoi riflessi adriatici”, poiché “pare che nell’accordo siano contenute anche clausole interessanti i trasporti delle merci da Trieste e da Fiume per le destinazioni austro-ungheresi e viceversa”104. Però, ancora, anche il movimento passeggeri, oltre a quello delle merci, segnava il passo: noi abbiamo un movimento annuo di circa 150.000 forestieri … data dalle regolari denunce degli alberghi … mentre Venezia vanta un movimento forestieri che si avvicina alle 900.000 unità … Trieste ha dunque circa 10.000 forestieri al mese, che è una vera miseria … Eppure Trieste ha un suo fascino particolare105. Si profilavano, dunque, quelle ‘aspettative estetiche’ che Paolo Grassi diceva, nel 1933, di aver posto a fondamento delle sue nuove previsioni di Piano. Naturalmente il dato era quello turistico (mentre quello dei porti jugoslavi 101 “Necessità di equilibrare gli scambi italo-jugoslavi”, in Il Popolo di Trieste, 26 giugno 1931, p. 1. zona industriale e franca nel porto di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 23 febbraio 1930, p. 4. 103 La documentazione relativa a Zaule è in Archivio di Stato di Trieste, fondo “Capitaneria di Porto”, b.209 cit. in Romano, “Lavorare in funzione del Porto”…, cit., n.44. 104 “L’accordo commerciale italo-austro-ungherese e i suoi riflessi adriatici”, in Il Popolo di Trieste, 21 maggio 1931, p.1. 105 “Venite a visitar Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 1 maggio 1931, p.4. 102 “La F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 399 – “Spalato … 348.667; Sussak, 271.036; Sebenico, 190.447; e Cattaro, 125.190”106 era riferito al movimento e non alle permanenze), ma l’idea di potenziare l’afflusso non poteva che essere legato a nuovi eventi. Andava riprogrammata l’attività culturale della città e già “è bene che sia stato lanciato il ‘Giugno triestino’”. L’auspicio era, inoltre, che, anche grazie ai lavori di ripristino dei Monumenti cittadini (San Giusto), si stesse “studiando per fare propriamente adesso del nostro emporio un importante centro turistico”107. Nel 1932, però, il bilancio del movimento viaggiatori attraverso Trieste restava negativo: il movimento alle stazioni ferroviarie è sempre stato un indice della vitalità d’un centro urbano … Trieste conta soltanto come centro di attività commerciale: essa è stata maggiore o minore a seconda dei tempi e delle crisi altrui … I progressi della Navigazione e lo sviluppo di altri porti hanno fatto poi perdere, negli ultimi 70 anni, la fama del porto triestino. Aiutò a farla perdere la politica dell’Austria, che lasciò per 30 anni Trieste senza una linea ferroviaria e poi abbandonò il commercio triestino a se stesso, causa le delusioni politiche e la progressiva perdita dell’egemonia politica e territoriale in Italia … Oggi l’affluenza dei forestieri e viaggiatori è diminuita … ed è quasi nulla perché non abbiamo più linee marittime con il Levante e con i porti oltre Suez .. [e i viaggiatori] prendono dunque imbarco a Venezia108. Il trend però restava complesso, nonostante alcune segnali di ripresa. I dati andavano considerati almeno in relazione agli ultimi cinque anni (dal 1930 al 1934), ma quelli forniti in merito al movimento economico erano in chiaro scuro e, sicuramente, necessitava, nei primi anni Trenta, un notevole sforzo organizzativo al quale il Piano regolatore avrebbe dovuto fornire un buon impulso (o almeno così si sperava). Il confronto veniva fatto con il dato pre-crisi del 1929, per cercare di capire il nuovo ‘punto di partenza’109. Dai dati emerge l’incremento che tutti i porti italiani avevano avuto nel corso di un biennio, in riferimento al quantitativo di merci transitate. Il dato comune a tutte le realtà era la netta predominanza delle importazioni rispetto alle esportazioni e, nel caso di Trieste, comunque il suo ottimo piazzamento a livello nazionale (anche se la valutazione era stata ‘areale’ escludendo Napoli), subito dopo Genova, ma soprattutto, a livello di esportazioni (dunque verso l’Est Europa), ben oltre Venezia. Proprio una considerazione geografica induceva a 106 “Il traffico nei porti jugoslavi”, in Il Popolo di Trieste, 22 gennaio 1931, p. 1. la decorazione dell’abside di San Giusto”, in Il Popolo di Trieste, 4 maggio 1931, p. 4. 108 “I viaggiatori alle stazioni di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 28 gennaio 1932, p. 4. 109 “Trieste nel quadro del movimento dei porti italiani”, in Il Popolo di Trieste, 29 gennaio 1930, p. 5. 107 “Per 400 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 trarre precisi orientamenti di scala internazionale: Genova e Savona costituivano gli scali marittimi del “Triangolo industriale” italiano Milano-Torino-Genova, mentre Trieste non poteva vantare, al proprio interno, una situazione produttiva analoga per l’Italia (e anzi Veneto e Friuli erano allora zone decisamente depresse dal punto di vista economico): ecco dunque che l’import-export, in aggiunta al porto di Fiume in ciò concorrenziale con l’impianto triestino110, era dovuto in gran parte ancora ai commerci con la Germania meridionale e con l’Europa danubiana. Dunque crisi sì, ma non stallo … Sottolineava per questo l’Anonimo redattore come “per l’importazione è soprattutto il Carbone … che incide per tonn.665.829 nel complesso di tonn.2.740.605 sbarcate a Trieste”; e dunque era chiaro che al nuovo Piano regolatore si richiedeva il potenziamento degli impianti di smistamento carbonifero (porto carbone a Zaule). Nel frattempo si procedeva al “potenziamento, deciso dal Consiglio Superiore LL.PP. … dei capannoni 60 e 61 del Portofranco “Duca d’Aosta””111. La situazione al 1931 era pressoché la solita: “sebbene nei confronti del 1929 il primo trimestre di quest’anno [1931] non possa dirsi ancora favorevole … siamo lieti di constatare una lieve ripresa”112. Ma l’ennesimo ‘attacco’ questa volta non veniva dall’Estero, ma dall’interno, soprattutto per la questione del trasferimento a Genova della “Società di navigazione ‘Libera’” profilandosi così una nuova questione di grande rilevanza economica: si trattava del ventilato smembramento della “Società Libera”, importante società di navigazione addetta al trasporto del carbone, grano e derrate dall’Inghilterra e dall’America a Trieste, ormai in crisi e in attesa di venir spostata a Venezia e a Genova per un rilancio. Per sventare lo smembramento si muovevano con telegrammi al Duce, il Podestà di Trieste e l’on. Banelli, ma ormai la cosa sembrava fatta e non sembrava possibile tornare indietro113. Si sperava solo che il contraccolpo sul porto triestino non fosse troppo grave114. Il “Consiglio Provinciale dell’Economia” fa presente: 1) che la posizione geo- 110 Ufficialmente nessuna concorrenza tra Fiume e Trieste, ma nel 1930 la concessione della Zona franca al porto quarnerino creava preoccupazione presso l’imprenditoria triestina: “Trieste fascista saluta con cuore fraterno l’avvenimento, nessun centro industriale potrebbe amministrativamente temerne danno” in “La zona franca del Carnaro”, in Il Popolo di Trieste, 14 marzo 1930, p. 1. Ma sull’argomento si ritornava il giorno dopo: “Fiume zona franca”, in ivi, 15 marzo 1930, p. 2. E ancora: “L’economia del Carnaro, zona franca nella comunione di rapporti con le Province sorelle”, in ivi, 18 marzo 1930, p.1. 111 “Per il porto “Duca d’Aosta”, in Il Popolo di Trieste, 28 gennaio 1930, p. 5. 112 “Il traffico del nostro porto”, in Il Popolo di Trieste, 19 aprile 1931, p. 4. 113 “La questione della ‘Libera’. Telegrammi del Podestà e dell’on.Banelli al Capo del Governo”, in Il Popolo di Trieste, 1 aprile 1931, p. 4. 114 “La ‘Libera’ e gli interessi triestini”, in Il Popolo di Trieste, 31 marzo 1931, p. 4. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 401 grafica e commerciale rende la funzionale politica del porto Trieste altamente significativa per l’economia nazionale e pertanto qualsiasi menomazione della sua già circoscritta attività ridonderebbe unicamente a beneficio di Marine estere; 2. Che le interferenze derivanti dallo scalo dei vapori dalla compagnia “Libera Triestina” in altri porti nazionali non possono essere avvertite; 3. Che Trieste non può essere messa in condizione di vivere una vita artificiale … nella negazione della sua funzione (dopo la polemica con le organizzazioni di Genova) che invocavano “l’interesse nazionale” per concentrare tutte le linee di navigazione commerciale115. Rispetto alle pretese genovesi, il Popolo di Trieste non poteva che obiettare, sarcasticamente: “e invece gli interessi di Trieste si identificano con quelli della luna!”. Da tutta la vicenda se ne poteva trarre se non altro un insegnamento: che ogni diminuzione di Trieste come porto di traffico internazionale, mentre non andrebbe a beneficio né di Genova né di Venezia, favorirebbe i porti stranieri e in particolare quelli nordici … Qualunque concentrazione di servizi non può compiersi col decapitare Trieste116. Dunque, nonostante le smentite anti-jugoslave e le resistenze contro gli ‘accentramenti genovesi’, la situazione non risultava del tutto florida e Trieste restava per la Politica del Regime e per l’andamento dei commerci, un privilegiato “Osservatorio economico per l’Europa centro-orientale”. Come per i prodotti orto-frutticoli, il cui commercio era ancora florido, ma che necessitava di nuove infrastrutture: Trieste ha un’importanza connessa essenzialmente al transito dei prodotti … e la sua funzione è quella di approvvigionamento dai Paesi mediterranei e collocamento nei paesi dell’entroterra … tanto da creare un movimento finanziario rilevantissimo (riteniamo che esso superi di molto il mezzo miliardo di lire) [si pensi che il costo dell’intero nuovo Piano regolatore era stimato in 60 milioni di lire!] … Bisognerebbe una migliore organizzazione dei trasporti celeri … I generi sono infatti: ortaggi e frutta fresca, agrumi, frutta secca … Il traffico dal 1913 al 1931 si sta assestando col carattere distributivo che aveva 115 “I diritti e le funzioni del porto di Trieste in un ordine del giorno del Consiglio Provinciale dell’Economia”, in Il Popolo di Trieste, 15 aprile 1931, p. 1. 116 “I servizi marittimi e il loro concentramento”, in Il Popolo di Trieste, 7 maggio 1931, p. 4. Ancora: “Progetti di colore oscuro. I servizi marittimi [la loro fusione e i porti italiani]”, in ivi, 2 giugno 1931, p. 4; “La questione dei servizi marittimi sovvenzionati”, in ivi, 13 giugno 1931, p. 1. 402 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 prima della Guerra, riconfermando la funzione economica del nostro mercato117. Poi sempre nel 1932 il Governo concedeva al porto triestino lo status di “centro di campionamento del riso nazionale diretto all’Estero … comprendendo anche i porti di Venezia e Fiume”118. Non era granch’è, ma il nuovo ruolo, oltre alla conferma dei traffici passati, richiedeva la costruzione di colossali silos nei Magazzini Generali del porto. “Autorizzati dal governo i colossali sylos per i cereali nei Magazzini Generali del porto “Duca d’Aosta” … Il frontone dell’edificio verso il mare avrà una lunghezza di m 104 e l’altra di 38, la profondità dell’edificio è di 80 metri”119. Dunque ci si aspettava dal Piano regolatore una dotazione di servizi tali da permettere un deciso rilancio. Ma i problemi del porto, del suo sviluppo o del decremento dei suoi traffici era strettamente connesso a problemi di politica internazionale, in relazione soprattutto all’area danubiana, dove la politica italiana si scontrava con quella francese. il “Piano Tardieu” per i Paesi successori dell’Impero asburgico per sottrarli al controllo tedesco e espandere l’influenza francese … rende Trieste un osservatorio di primo ordine … e a Trieste nessuno dissimula il fiero pericolo che correrebbero i porti italiani dell’Alto Adriatico se il sig. Tardieu riuscisse ad imporre la sua idea … avviando i traffici boemi [visto che la base industriale asburgica era in buona parte collocata in Boemia] verso Sussak e Spalato120. Nel 1933, la situazione internazionale sembrava volgere a favore dell’Italia e di Trieste, specie dopo un importante Convegno svoltosi a Riccione tra Mussolini e il Cancelliere austriaco Dollfuss e tra Mussolini e il presidente ungherese Gombos, per stilare anche una serie di accordi economici che mettevano al centro il ruolo proprio di Trieste121: “la collaborazione economica austro-unghe- 117 “Osservatorio economico per l’Europa centro-orientale. L’esportazione italiana dei prodotti ortofrut- ticoli negli Stati dell’Europa centrale e la funzione di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 10 aprile 1932, p. 6. 118 “Il porto di Trieste centro di campionamento del riso nazionale”, in Il Popolo di Trieste, 29 gennaio 1932, p.4. 119 “I nuovi sylos a Trieste. Prossimo inizio dei lavori”, in Il Popolo di Trieste, 15 settembre 1933, p. 1. 120 “Trieste e il problema danubiano”, in Il Popolo di Trieste, 25 marzo 1932, p. 2. 121 “Dopo il Convegno di Riccione tra Italia e Austria. L’azione dell’Italia fascista accolta con viva simpatia in Austria”, in Il Popolo di Trieste, 24 agosto 1933, p.1; “’Patto a quattro’ (Italia, Germania, Austria e Ungheria) e ‘Colloqui di Riccione’ (Dollfuss-Mussolini). I diritti dell’Italia nell’Europa centrale”, in ivi, 5 settembre 1933, p.1; “L’avvento di uno Stato corporativo preannunciato dal Cancelliere d’Austria”, in ivi, 13 settembre 1933, p.1; “Il destino dell’Austria è nelle mani dell’Italia … secondo un articolo del ‘Listner’ di Londra”, in ivi, 13 ottobre 1933, p.1. Ma nel 1934 il Cancelliere austriaco veniva assassinato e dunque la situazione politica e l’amicizia austro-italiana si complicava: “Il Cancelliere Dollfuss vilmente assassinato dai F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 403 Camillo Jona, Schizzo prospettico per “Prolungamento di via Roma e incrocio col Corso”, allegato al “Piano Grassi” del 1934, 1932-1933 rese [porterà] a due zone franche in progetto a Trieste … una zona franca austriaca e una zona franca ungherese … che permetterebbero ai due Paesi di avere nelle acque italiane navi portanti la loro bandiera nazionale”122. Nazisti”, in Corriere della Sera (Milano), 26 luglio 1934, p. 1. il Si veda ora per una lettura complessiva della Politica italiana verso l’Austria: J. W. BOREJSZA, Il Fascismo e l’Europa orientale. Dalla propaganda all’aggressione, Roma-Bari 1981; P. CUOMO, Il miraggio danubiano. Austria e Italia: politica ed economia (1918-1936), Milano, 2012. 122 “Sviluppi e ripercussioni dei Colloqui di Riccione ”, in Il Popolo di Trieste, 27 agosto 1933, p. 1. 404 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 Le prospettive di attivare zone franche ‘specifiche’ sembrava una buona idea sulla quale operare e così si rinnovavano le proposte per una “zona franca per le navi sovietiche”123 e addirittura un “Porto franco per le merci coloniali francesi”: “merci dirette nei paesi dell’Europa centrale. Un progetto di alcuni anni fa … perché non fu tentato? Da allora sono passati 7 o 8 anni. Forse oggi sarebbe più agevole riprendere e attuare i progetto …”124. Della serie: “Pecunia non olet …”, anche se francese. Immediata conseguenza era che “L’accordo austro-ungherese concluso”; e ciò avrebbe portato ad un “vivo interesse a Vienna per la riattivazione del traffico attraverso Trieste”125. E così mentre gli Jugoslavi annunciavano “la morte dei porti di Trieste e di Fiume perché manca loro il retroterra economico jugoslavo”126, facevano, invece, ben sperare, nuovamente le “Possibilità economiche per Trieste dopo l’accordo tra i Governi di Budapest e di Vienna” poiché “Trieste è designata dalla Natura ad essere lo scalo dei due Paesi … Il nostro porto è stato scavato dal Destino”127. Per una valutazione complessiva delle diverse prospettive, si poneva un saggio edito da Giuseppe Ciotti su L’Italia marinara e quindi ripreso dal Popolo di Trieste: “il Regime ha inteso … l’importanza data al porto di Trieste dalla sua posizione geografica e … dall’essere un fattore essenzialissimo per il movimento commerciale-turistico del vasto hinterland danubiano”. Servivano però opere perché “vasti crolli per l’azione corrosiva dell’acqua marina e per grandi difetti tecnici insidiavano e indebolivano singolarmente l’efficiente porto”128. Si era dovuto procedere, dunque, da ultimo, a massicce opere di riparazione: questo ciclo di lavori di riparazione ha apportato un inevitabile ritardo nell’inizio della vera e propria azione di sviluppo del porto … Così la corazzatura del molo VI … un nuovo molo a ferro di cavallo che ha dato un apporto di area utilizzabile di ben 58.000 mq … Sono state inoltre impiantate 28 potenti gru elettriche per mezzo delle quali si potrà procedere contemporaneamente allo scarico di 7 piroscafi … Sono già stati iniziati i lavori per il silos cereali … e per 123 In origine: “Trieste porto franco per le navi sovietiche?”, in Il Popolo di Trieste, 25 aprile 1931, p. 1. riassetto centr’europeo e il porto di Trieste?”, in Il Popolo di Trieste, 12 ottobre 1933, p. 4. 125 “L’accordo austro-ungherese concluso. Vivo interesse a Vienna per la riattivazione del traffico attraverso Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 26 agosto 1933, p.1. 126 “Trieste, Fiume e la ‘Novosti’ di Belgrado”, in Il Popolo di Trieste, 27 agosto 1933, p.1. 127 “Possibilità economiche danubiane per Trieste dopo l’accordo tra i Governi di Budapest e Vienna”, in Il Popolo di Trieste, 29 agosto 1933, p.3. E dunque “La zona franca austriaca a Trieste sarebbe presto un fatto compiuto”, in ivi, 9 settembre 1933, p.2. 128 G. CIOTTI, “L’opera del Regime sul porto di Trieste”, in L’Italia marinara (Roma), 19, 1933 poi in Popolo di Trieste, 13 ottobre 1933, p. 2. 124 “Il F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 405 la stazione marittima … per le più vaste necessità del movimento turistico. E quindi le opere di viabilità e collegamento … E poi il grande idroscalo, dallo specchio acque vasto e sicuro … per l’ammaraggio dei maggiori idroplani … E poi il nuovo magazzino per il mantenimento della frutta … l’ampliamento dello scalo legnami … la costruzione di nuovi serbatoi petroliferi129. Tra il 1930 e il 1933 le notizie e i dati sembravano concordi, però, nel descrivere una situazione decisamente ambivalente (per non dire, in certi casi, depressa), alla quale si cercava di porre rimedio con decisa energia. Nel 1934 si dava notizia di un accordo tra Italia e Austria proprio in favore del movimento turistico: “proprio in questi tempi sono stati stabiliti fra Italia e Austria dei rapporti commerciali che, attraverso il centro di Trieste, saranno suscettibili del massimo rendimento in più campi economici dei due Paesi”130. Ma perché guardare solo all’Europa centrale? L’Oltremare poteva diventare una opportunità nuova, che era stata trascurata negli ultimi decenni, specie nei rapporti con l’Egitto, con il quale era comunque rimasta aperta una via commerciale: da Alessandria arrivano nel nostro porto merci pari a quintali: 433.407 nel 1930; 599.535 nel 1931; 509.919 nel 1932. I nostri battelli trasportano ad Alessandria merci per quintali: 801.723 nel 1930; 363.568 nel 1931; 254.172 nel 1932. La contrazione delle nostre esportazioni è grave, essendo discesa di 1/3, ma essa è dovuta alla minore capacità di acquisto dei consumatori egiziani. Ma la voce della soppressione della linea Triste-Alessandria è falsa131. Del resto, da pochi mesi, si era iniziata dal porto triestino anche “La nuova linea marittima Italia-Nord Brasile”132. Un traffico che si legava al commercio dei legni esotici e per il quale si avviava, sulle pagine del Popolo di Trieste un dibattito, tra chi considerava le attuali infrastrutture adatte allo scopo133 e chi invece dubitava “fortemente della possibilità d’attrarre un traffico di legnami duri ed esotici attraverso il nostro porto … sarebbe un esperimento costosissimo”134. 129 CIOTTI, “L’opera del Regime sul porto di Trieste” …, cit. L’idroscalo, inaugurato nel 1933, era stato progettato dall’ingegner Pollack. 130 “Il movimento turistico fra Italia e Austria”, in La Tribuna (Roma), 24 luglio 1934, p. 2. 131 “Trieste e il commercio con l’Egitto”, in Il Popolo di Trieste, 20 ottobre 1933, p. 2. 132 “La nuova linea marittima Italia-Nord Brasile s’inizia oggi dal porto di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 26 agosto 1933, p. 2. 133 B. BARBI (Ditta “Matteo Mathia” di import-export del legno), “A proposito del traffico del legno esotico attraverso il porto di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 29 ottobre 1933, p. 5. 134 “Il traffico attraverso Trieste di legni esotici”, in Il Popolo di Trieste, 26 ottobre 1933, p. 4. Contra: “I legni esotici e il nostro porto”, in ivi, 1 novembre 1933, p. 2. 406 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 Al nuovo Piano regolatore veniva chiesto di fornire indirizzi chiari anche al proposito. Anche la stampa internazionale si interessava alle nuove prospettive generali e nel 1934, proprio pochi mesi dopo la prima approvazione del Piano regolatore (i cui effetti, ovviamente, non potevano ancora sentirsi), il Times di Londra annunciava “Il risveglio del porto di Trieste”. Si trattava più di un auspicio che di una realtà (quali indicatori pregressi avrebbero potuto suggerire un tale giudizio? Quelli negativi degli ultimi quattro anni?), ma se non altro la nota serviva a fare in punto della situazione secondo una lettura internazionale. Il Corriere della Sera di Milano, non a caso, si preoccupava – nel suo ruolo di testata giornalista ‘ufficiale’ del Paese – di rendere nota la cosa al pubblico italiano, in stretta connessione con l’Austria e il mondo danubiano: il Times di Londra pubblicherà una lunga corrispondenza sull’avvenire economico del porto di Trieste e dell’Austria alla luce degli accordi [italo-austriaci] di Roma. Il giornale spiega le ragioni dei mali economici nel settore danubiano, dovuti ai programmi di autonomia … così come Paesi agricoli come l’Ungheria e la Jugoslavia hanno cercato di crearsi una struttura industriale, e Paesi come la Cecoslovacchia e l’Austria hanno strutturato l’agricoltura in modo industriale … Il passo italiano è stato è stato veramente pratico … offrendo sbocchi sui suoi mercati e specie di facilitazioni nei porti di Trieste e di Fiume, che erano gli sbocchi tradizionali dell’Austria e dell’Ungheria … Con queste misure il porto di Trieste potrà tornare come nell’anteguerra un grande emporio … Negli ultimi mesi il commercio e le speranze di Trieste sono migliorati con un aumento superiore del 28% sulle cifre del 1933 … e si sente che il risveglio commerciale di Trieste è prossimo … La politica del Governo italiano mira a migliorare il commercio internazionale135. Dunque, rispetto al 1933 le cose stavano migliorando … E infatti anche il ministro del Commercio Estero austriaco, Stockinger, si recava in visita al porto triestino per farsi un’idea delle strutture a disposizione: il Ministro ha effettuato una visita particolareggiata agli impianti portuali recandosi al porto Duca d’Aosta e al Porto Industriale di Zaule, dove ha visitato i magazzini; quindi si è recato al porto Vittorio Emanuele III visitando la direzione dei Magazzini Generali … Prima di recarsi a visitare la “Mostra del Mare” ha voluto esprimere al Prefetto la sua ammirazione per l’efficacia 135 “Il risveglio del porto di Trieste in uno studio del Times di Londra”, in Corriere della Sera (Milano), 14 luglio 1934, p.8. La notizia rimbalzava anche a Trieste: “’L’avvenire di Trieste. Vie commerciali dell’Austria’. Un interessante articolo del Times”, in Il Popolo di Trieste, 9 agosto 1934, p. 1. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 407 degli impianti portuali, che egli considera tra i migliori esistenti … ma ciò che più lo ha colpito è l’unità organica dell’attrezzatura e dei servizi del Porto136. Il triestino Fulvio Suvich, Sottosegretario di Stato agli Esteri, non era potuto essere presente, “ma aveva inviato un telegramma alla sua città natale … E nel telegramma di risposta il Ministro ha sottolineato: “non dubito degli sforzi comuni””. E questo mentre sembrava giungere qualche ulteriore segnale confortante di ripresa con un “Deciso miglioramento del nostro traffico portuale”137. Al Piano regolatore restano comunque compiti importanti e soprattutto di agevolare un trend che andava profilandosi. 2.2.2. Vie di Comunicazione nazionali e internazionali: nuove ferrovie e nuove strade per un Piano a dimensione territoriale Ad un rinnovato sviluppo delle strutture economiche triestine si connetteva strettamente il problema dell’aggiornamento delle comunicazioni anche via terra, oltre che attraverso il porto. Non era una valutazione nuova – che anzi già durante il Governo asburgico il problema delle ferrovie triestine era stato discusso e affrontato in molti modi – ma il nuovo ruolo della città, il bisogno del recupero (non più automatico) dei mercati centri europei e la concorrenza dei porti jugoslavi imponevano di ripensare tutto il sistema. Dunque lo sviluppo ferroviario e quello delle varie direttrici di comunicazione su strada. Il sistema ferroviaro che raggiungeva Triste da Nord aveva una grossa pecca: il tracciato sia della vecchia “Ferrovia Meridionale”, sia della “Transalpina” passavano per lunga tratta in territorio jugoslavo o, come nel caso della “’vecchia linea’ del Predil” erano poco adatti all’incremento del trasporto delle merci. La linea ad Occidente, attraverso Udine, restava la Pontebbana con le sue diramazioni e anche in questo caso, il problema era quello della curvosità e delle pendenze, inadatte al trasporto economico di grandi quantitativi di prodotti138. 136 “Il Ministro del Commercio Estero dell’Austria, Stockinger, visita il porto di Trieste”, in La Stampa (Torino), 22 giugno 1934, p. 2. 137 “Deciso miglioramento del nostro traffico portuale”, in Il Popolo di Trieste, 13 luglio 1934, p. 2. 138 Dagli anni Cinquanta dell’Ottocento il Governo imperiale asburgico aveva richiesto un collegamento ferroviario diretto tra Venezia e Vienna oltre a quello da Vienna a Trieste. Il tracciato privilegiato era quello ‘a Oriente’ attraverso la Carinzia e la Slovenia. Per la linea verso Trieste, i primi lavori per la costruzione della lunga linea ferroviaria che da Vienna giungeva al grande porto commerciale dell’Impero risalivano già al 1839: il primo tratto da Vienna a Gloggniz venne aperto nel 1842, mentre l’ultimo tronco, dopo quelli per Graz, Maribor, Lubiana (nel 1849) e Postumia, giunse a Trieste nell’attuale Stazione Centrale, nel 1857. Nel 1858 lo Stato imperiale vendeva però la linea all’”Imperial Regia Privilegiata Società delle ferrovie meridionali dello Stato, del Lombardo Veneto e dell’Italia Centrale”, nota storicamente come “Südbahn”, che, Società privata fondata 408 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 Così, in primo luogo andava ripensato l’aggiornamento e la costruzione di una nuova tratta della “Ferrovia del Predil” a ridosso del confine orientale (nel Vallone) ma tutta in territorio italiano. Necessità che veniva ribadita, già nel 1931, alla Camera dei Deputati di Roma dall’on. Giovanni Banell: già dopo la Guerra sorse la necessità di studiare le comunicazioni ferroviarie che più rispondessero alla nuova funzione di Trieste per l’espansione dell’economia italiana … L’arteria principale che da Mestre arriva a Monfalcone, San Giorgio di Nogaro e Cervignano, e da Portoguaro a Udine riesce insufficiente, ma occorre soprattutto un potenziamento della “Ferrovia del Predil”, la quale, sviluppandosi in linea perfettamente parallela alla nostra frontiera orientale … darebbe la più diretta possibilità di comunicazione con l’Austria … e l’Europa attraverso il Tarvisio … per Cividale-Udine e Cividale-Tarvisio per Creda-Santa Lucia di Tolmino-Gorizia … Oltre alla Direttissima Trieste-Fiume139. principalmente sui capitali della famiglia Rotschild, aveva già acquistato nel 1856 tutte le linee costruite dallo Stato austriaco in Italia. (Cfr. G. ROSELLI, Trieste e la ferrovia Meridionale, Trieste, 1977; Dalle Alpi all’Adriatico in ferrovia con la Meridionale (1857) e con la Transalpina [1906], a cura di M. Bressan, Mariano del Friuli [UD], 2007). Sempre sul ‘versante orientale’, per cercare però un’alternativa alla “Südbahn”, che praticava prezzi di trasporto merci piuttosto alti e per creare un secondo collegamento ferroviario diretto tra Trieste e l’Europa Centrale, nel 1901 si giunse all’emanazione di una Legge imperiale per la realizzazione della “Linea Transalpina”, di proprietà statale, costituita dall’unione di tratti ferroviari vecchi e nuovi. Il complesso di linee venne completato e aperto nel 1909, giungendo a Trieste alla stazione di Sant’Andrea (“Triest Staatsbahnhof”) e non alla Centrale (“Triest Südbahnhof”) di proprietà della “Südbahn”. Da Monaco, Salisburgo a Villaco attraverso il massiccio dei Tauri, la linea proseguiva per Klagenfurt, Jesenice (con diramazione per Praga), e da qui, attraverso Tolmino, la valle dell’Isonzo e Gorizia (“Linea del Carso” poi detta “Transalpina”) fino a Trieste, passando per San Daniele del Carso, Monrupino e Villa Opicina: ma le forti pendenze non agevolavano il trasporto delle merci. Dopo il 1918 la linea risultava suddivisa in ben quattro Stati (Austria, Cecoslovacchia, Regno di Jugoslavia e Italia) (cfr. F. OBIZZI et alii, Transalpina: un binario per tre popoli, Monfalcone, 1996; P. PETRONIO, Transalpina. Die Wocheinerbahn. Bohinjska Proga. La linea di Wochein, Trieste, 1997). Per quanto riguarda il ‘collegamento occidentale’ Vienna-Trieste, cioè la tratta ‘friulana’, nel 1860 erano state costruite la Udine-Venezia e la Udine-Trieste realizzata dal bivio Galleria in distacco dalla “Meridionale” attraverso Cormons, ma restava irrisolto il problema della tratta Udine-Vienna. Nel 1864 Villach era stata collegata alla rete della “Ferrovia Meridionale” austriaca, attraverso il tracciato per Maribor (Marburgo), ma era ancora senza soluzione il ‘tratto italiano’ Villach-Udine. Con il passaggio del Friuli e di Udine al Regno d’Italia (1866) il collegamento Udine-Vienna perse di importanza per gli Austriaci, che optarono, per raggiungere Trieste da Occidente, per la cosiddetta “Linea del Predil” cioè del tratto che, valicato lo spartiacque alpino presso il passo del Predil, si connetteva alla Udine-Trieste non a Udine, ma a Gorizia. Solo negli anni Settanta ritornò di attualità il collegamento Udine-Villach: veniva allora tracciata la “Ferrovia Pontebbana” che collegava Udine a Tarvisio (la linea prende il nome dal centro di Pontebba, dove era ubicato fino al 1918 il confine tra Italia e Austria-Ungheria). L’importanza della Pontebbana era dovuta al fatto che a Tarvisio la linea si univa con la “Ferrovia Rudolfina” verso Villach e da lì, Klagenfurt, Linz e Vienna. La Ferrovia entrò in esercizio l’11 ottobre 1879, ma, a binario singolo, presentava un percorso piuttosto tortuoso (Cfr. “La ferrovia della Pontebba”, in L’illustrazione italiana, 1879; A. ZANIER, M. BIGOT, C. CANTON, R. CAROLLO, La strada ferrata della Pontebba, Udine, 2006; Atlante ferroviario d’Italia e Slovenia. Eisenbahnatlas Italien und Slowenien, Colonia, 2010). 139 “L’urgente necessità della ferrovia del Predil (sul confine orientale)”, in Il Popolo di Trieste, 30 maggio 1931, p. 4. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 409 Ancora nel 1932 però la situazione era in stallo – e si sperava che ci pensasse il Piano regolatore di Trieste a risolverla – poiché la nuova, più seria minaccia per l’Emporio triestino è la costruzione di una linea ferroviaria Lubiana-Gottschee-Sussak … anche se per i bisogni del commercio sloveno la linea nuova è una superfluità (perché si allunga il giro) … ma comunque a Trieste e a Fiume verranno danni per la costruzione di quella ferrovia … E se la Francia aiuta a costruirla dovrebbe voler dire ch’essa ha importanza piuttosto strategica140. La Francia, sempre la Francia … “Per Trieste la costruzione della ferrovia Prediliana dovrebbe invece essere una conditio sine qua non di sviluppo nell’avvenire … E la Transalpina non si potrebbe rendere buona con opportune correzioni? E il raccordo più rapido fra Trieste e la Pontebbana?”141. In verità si trattava non di nuovi tracciamenti, ma del potenziamento di linee esistenti, cui si doveva affiancare la linea del Vallone? … Trieste ripete le domande più note: Prediliana, direttissima Trieste-Fiume e linea del Vallone … oltre alla elettrificazione promessa di tutte le rampe del nostro porto … La linea Lubiana-Sussak vuol dire una linea direttissima Praga-Vienna-Adriatico con esclusione di Trieste142. Le proposte sui nuovi tracciati e sui potenziamenti ferroviari si articolava ancora e al Piano regolatore veniva demandata una risposta coordinata anche a livello territoriale143: la bilancia del nostro traffico marittimo e terrestre per il 1930 non è stato felice … La contrazione del traffico è comune sia alle partenze sia agli arrivi sia ferroviari sia marittimi: partenze con ferrovia: - 26.3%; arrivi via mare: -25.4%; arrivi con ferrovia: -11.5%; partenze via mare: -11.1%. Movimento complessivo merci in quintali: con ferrovia 20.519.662 (pari a tonnellate 20.519, 662 mentre nel 1929 erano state 25.375,908); via mare 22.785.308 (pari a tonnellate 22.785,308 mentre nel 1929 erano state 28.023,640)144. 140 “Necessità di revisione di progetti ferroviari per Trieste” in Il Popolo di Trieste, 3 gennaio 1931, p. 4. Ibid. 142 La “Ferrovia o tratta del Vallone” era una ‘bretella’ che si auspicava già dai primi del secolo venisse tracciata appunto attraverso “Il Vallone”, un solco carsico asciutto esteso da Nord a Sud presso il monte San Michele, la sella di Iamiano e il solco di Brestovizza, che giungeva con dislivelli minimi fino a Gorizia, permettendo dunque un agevole tracciato ferroviario. 143 “Il programma massimo e quello minimo”, in Il Popolo di Trieste, 4 gennaio 1931, p. 4. 144 “Lo sviluppo del traffico [per ferrovia e per mare] nel 1930”, in Il Popolo di Trieste, 2 gennaio 1931, p. 4. 141 410 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 Ancora nel 1933 si sperava di avere benefici dal passaggio dei treni VeneziaBudapest dal Bivio di Aurisina145 (auspicando che qualche turista decidesse di fare sosta in città) e quindi dalla “Richiesta del Comune al Governo perché il territorio comunale venga dichiarato ‘Stazione di soggiorno e di cura’”146. Le comunicazioni e i servizi restavano, dunque, i punti centrali sui quali programmare il rilancio. Per aumentare il flusso di transito, nel 1932 si potenziava, inoltre, “l’idroavioporto” per gli idrovolanti che portavano passeggeri e merci: la costruzione dell’idroavioporto di Trieste va compiendosi rapidamente lungo la riva che confina con il Canal Grande e col largo Cavour. Già si vedono i pali di cemento che faranno da costa all’elegante edificio destinato a ricevere l’arrivo degli idrovolanti e ad assistere alla loro partenza … Ma bisogna pensare ad un piano di linee più ampio (oltre alla Trieste-Genova e alla Trieste-Zara-Ancona-Venezia) … Lo studio di tali nuove linee (verso Vienna, la Cecoslovacchia, l’Ungheria, la Baviera) dovrebbe essere fatto con riguardo agli interessi dell’emporio147. E si puntava anche sui nuovi collegamenti terrestri come la lunga Pedemontana che da Torino doveva giungere a Fiume, curando la tratta Trieste-Fiume (che doveva diventare prioritaria all’interno del nuovo Piano regolatore): la pedemontana Torino-Fiume, iniziata nel 1927, presenta i tratti completati: Torino-Milano-Bergamo; Bergamo-Brescia; Padova-Venezia; ed è ora terminata nel tratto Trieste-Fiume. Restano da terminare gli altri tronchi intermedi … A Trieste, del resto, i trasbordi extra ferroviari (via camionabile) aumentano di anno in anno … a scapito delle ferrovie148. 2.2.3. La struttura industriale: la nuova “Zona industriale” per lo sviluppo delle industrie nel Vallone di Muggia, la cantieristica navale, l’industria edilizia Lo spostamento del nuovo porto commerciale nella zona di Zaule e del vallone di Muggia nei primi anni Trenta risultava cosa ormai fatta, dopo i 145 “Treni turistici Venezia-Lago Balaton-Budapest fermeranno al Bivio di Aurisina”, in Il Popolo di Trieste, 30 agosto 1933, p.1. 146 “Richiesta del Comune al Governo perché il territorio comunale venga dichiarato ‘Stazione di soggiorno e di cura’”, in Il Popolo di Trieste, 31 agosto 1933, p.3. 147 “L’aviazione civile e l’idroavioporto di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 23 febbraio 1932, p.4. 148 “L’autostrada Trieste-Fiume sarà inaugurata il 28 ottobre”, in Il Popolo di Trieste, 5 ottobre 1933, p. 5. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 411 Camillo Jona, Schizzo prospettico per la “Sistemazione di piazza della Borsa ”, allegato al “Piano Grassi” del 1934, 1932-1933 progetti ‘operativi’ di Eugenio Geiringer di inizio secolo149; a ciò aveva fatto seguito anche lo sviluppo industriale dell’area, secondo una ’vocazione’ individuata anch’essa fin dalla metà del XIX secolo e poi potenziata nei decenni successivi. Il governo e il Comune di Trieste fornivano agevolazioni fiscali per 149 Si veda il mio F. CANALI, “Il Presidente della “Società degli Ingegneri e Architetti” di Trieste: dott. Eugenio Geiringer (1843-1904)”, in Atti del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, vol. XXIX, 1999, p. 129-150. 412 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 un tale sviluppo, ma toccava ora ai privati raccogliere lo stimolo, secondo quella che ormai si profilava come una vera e propria ‘zonizzazione urbanistica’: La Commissione della “Società Anonima Zona Industriale Porto di Trieste” per indennizzare terreni immediatamente fruibili a scopi industriali nelle zone di Zaule e Monfalcone invita a predisporre il Piano regolatore [particolareggiato] per la zona di Zaule … per la creazione del Porto industriale150. La cantieristica navale restava comunque il fulcro dell’industria triestina e per rendersi conto della situazione, in vista degli sviluppi impressi dal Piano regolatore, il Sottosegretario delle Corporazioni Dino Alfieri approfittava della sua visita in città, nel gennaio 1930, per l’inaugurazione del nuovo Corso di “Legislazione del lavoro” presso l’Università, per far visita ai cantieri e consultarsi con il gotha dell’imprenditoria cittadina: il Sottosegretario volle recarsi a visitare i vari reparti dello “Stabilimento Tecnico Triestino” [i cantieri navali] che costituiscono la nostra principale industria … [accompagnato tra gli altri] dal gr.uff. dott. Guido Segre, Presidente del Consiglio di Amministrazione dello stabilimento … e dal comm. Augusto Cosulich, Consigliere d’Amministrazione … e dal comm. Ernesto Krausz, Direttore Centrale della Banca Commerciale Triestina e Consigliere d’Amministrazione dello stabilimento … Si recò poi al Cantiere San Marco dove visitò la costruzione di navi … e quindi agli impianti portuali e in particolare ai Magazzini Generali151. Del resto non da molto i cantieri navali triestini erano stati soggetti ad una pesante ristrutturazione industriale che aveva visto “La fusione di Cantieri [‘Cantieri N.T.’, San Marco e San Rocco] nell’unica società “Stabilimento Tecnico Triestino’”: La nuova Società, chiamata ora “Cantieri Riuniti dell’Adriatico” (con stabilimenti a Monfalcone, Trieste e Venezia) [vede] nel Consiglio di Amministrazione il gr. Uff, Segre … Alla nuova combinazione parteciperanno alcuni importanti gruppi industriali italiani fra cui la FIAT e l’ILVA … I cantieri erano in crisi con riduzione della produzione di quasi il 20% ogni anno152. Le notizie date dalla stampa jugoslava – in riferimento alla crisi dei canteri triestini – non erano proprio del tutto campate per aria, dunque. 150 “Per la “Zona Industriale” di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 18 febbraio 1930, p. 5. “Trieste e il problema danubiano”, in Il Popolo di Trieste, 25 marzo 1932, p. 2. 152 “La fusione di Cantieri [‘Cantieri N.T.’, San Marco e San Rocco] nell’unica società “Stabilimento Tecnico Triestino’”, in Il Popolo di Trieste, 17 giugno 1930, p. 5. 151 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 413 In un tale scenario, importante risultava il fatto che dal 1930 l’industria edilizia cittadina si mostrasse soggetta ad un “sensibile risveglio”, come sottolineava l’ingegner Ziffer: “le nuove costruzioni a Trieste … non sono abbastanza in vista … perché i nuovi edifici sorgono in punti diversi e discosti gli uni dagli altri … L’industria edilizia ha comunque avuto un sensibile risveglio negli ultimi tempi”153. Insomma, l’Ingegnere auspicava che la modernizzazione dell’aspetto della città avvenisse per punti focali e con diffusione (dispersione) delle nuove costruzioni. Era chiaro che un massiccio impulso alle opere edilizie da parte del Piano regolatore poteva cambiare decisamente la situazione. Intanto si auspicava anche la previsione di un maggior sviluppo per la zona di Zaule154. 3. Gli assi di collegamento urbano: strade e vie per agevolare gli spostamenti di uomini e merci Il problema della modernizzazione della viabilità cittadina era particolarmente sentito in un Capoluogo che mirava ad uno sviluppo urbanistico in grado di servire alle esigenze dell’espansione economica e del miglioramento delle sue strutture commerciali (il porto e l’emporio). Era soprattutto la Podesteria che si incaricava di portare ad un buono stato di avanzamento una serie di lavori che dovevano contribuire allo sviluppo e alla modernizzazione della città, soprattutto in merito alle principali vie di comunicazione. Così i lavori al viale Sidney Sonnino che fa parte di quella grande arteria che deve congiungere in modo pratico e con rapidità la Stazione centrale alla valle di Zaule, quella verso la quale si indirizzerà lo sviluppo delle nuove industrie e per conseguenza l’accrescimento demografico di Trieste. Di quel Viale per quest’anno sarà costruita la parte superiore155. Il nuovo sistema stradale faceva perno, oltre che sul viale Sonnino, anche sul “Lungomare di Cedas … per la cui sistemazione il Podestà fece inserire nel “Bilancio di Previsione” un notevole lotto di lavori di pubblica utilità”156. Infatti 153 “L’industria edilizia a Trieste. Una ‘Relazione’ del comm. ing. Arturo Ziffer”, in Il Popolo di Trieste, 12 giugno 1930, p. 5. 154 “L’utilizzazione della ‘Zona industriale’ di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 7 agosto 1934, p. 2. 155 “La visita di S.E. Dino Alfieri … agli stabilimenti e al porto”, in Il Popolo di Trieste, 21 gennaio 1930, p. 7. Sulla centralità del viale Sonnino: GODOLI, Trieste …, cit., p.188-192 (“La grande arteria Carducci-Sonnino”). 156 “Dieci milioni di nuovi lavori”, in Il Popolo di Trieste, 4 marzo 1932, p. 4. 414 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 il Lungomare, nel tratto che può chiamarsi di Cedas, è una parte soltanto delle grandi opere di allargamento della Strada Costiera dal Comune costruita dal 1857 al 1860 … Già il Regime donò a Trieste la Strada da Miramare a Sistiana, una delle più pittoresche d’Italia e forse d’Europa. Ora, di anno in anno, il Comune prosegue quell’allargamento157. Serviva però una visione più ‘strutturale’; e solo il Piano regolatore poteva fornire le coordinate. Ecco allora che si cercava, ancora prima dell’approvazione del Piano nel 1934, di renderne operative le previsioni fin dal 1932: fatta eccezione per le parti più soggette a discussione, tutto il resto del Piano deve già considerarsi approvato … e per questo potrebbe anche venir eseguito, nelle parti che riguardano il Comune, come per esempio le strade. Come la grande comunicazione via Commerciale, piazza Dalmazia, via Carducci, Arcata, corso Garibaldi, viale Sonnino … E poi la grande strada di circonvallazione … già considerata “una delle più belle strade turistiche” … E se al Comune gli mancano i fondi, non gli manca però il credito158. Del resto, fornire la città di nuove infrastrutture, significava immediatamente confrontarsi con il loro ‘peso urbanistico’. Come nel caso del nuovo Stadio: fra un paio di mesi lo Stadio del Littorio a San Sabba, capace di 20.000 persone sedute, comincerà a funzionare … Ma si è pensato al modo di mettere il centro della città in comunicazione facile, rapida, regolare ed economica con lo Stadio? … Certo serviranno migliorie alle linee tranviarie159. Nel 1933 poteva effettuarsi “la prolungazione di via Carducci”, seguendo le direttive – peraltro non ancora ufficialmente approvate – del Piano regolatore: con la demolizione di case si dà mano all’opera di sistemazione della grande arteria longitudinale di via Carducci alla parte alta del corso Garibaldi per avere comunicazione diretta tra la via Nazionale Costiera e le zone attraversate dal costruendo viale Sonnino. Si va così attuando uno dei capisaldi del riordinamento delle grandi arterie cittadine sulla base dell’idea della grande “Strada del Commercio” che collega la zona a Nord (Monfalcone) con quella a Sud (Zaule, Noghere, Istria). Questa idea è nel Piano regolatore del 1926 che ottenne l’approvazione e il plauso di tutte le Commissioni che ebbero campo 157 “La ripresa dei lavori comunali deliberati dal Podestà”, in Il Popolo di Trieste, 12 aprile 1932, p. 3. di lavori pubblici”, in Il Popolo di Trieste, 19 febbraio 1932, p. 4. 159 “Lo Stadio del Littorio e le comunicazioni”, in Il Popolo di Trieste, 20 febbraio 1932, p. 4. 158 “Necessità F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 415 di esaminare e criticare il Piano stesso … Tutto fu trovato calcolato con chiara visione160. E ciò anche se la continuazione del viale Carducci comportava demolizioni del vecchio “borgo Maurizio”161. Le rettificazioni del sistema viario urbano erano puntuali, ma finivano per cambiare anch’esse l’assetto del sistema complessivo, anticipando il Piano. Infatti alcune case venivano demolite per “La breccia di Tor Cucherna. La nuova strada comunale tra la via Capitolina e la zona di Cittavecchia”162. Ovvero per rinnovare il complesso della circolazione, nell’attesa del Piano: Trieste non è una metropoli tentacolare come Roma o Milano o Torino o Genova, ma poiché si addensa su un breve spazio territoriale (circa 3600 ettari) ha un notevole momento stradale. La sua popolazione poi è cresciuta soprattutto per eccedenza di immigrazione sull’emigrazione … passando dai 123.671 abitanti del 1870 … ai 249.574 del 1931. Ebbene, le vie del centro urbano (una zona che sta fra le vie Rossetti da un lato e piazza della Libertà dall’altro, la piazza Venezia e il Lungomare della Pescheria fino a piazza della Libertà) sono sempre quelle stesse del 1870, che servivano una popolazione che era la metà di quella attuale … Qualche tentativo di allargamento si fece alla vigilia della Guerra in corso Vittorio Emanuele III e in via Roma .. e parve scialacquo del bene pubblico la larghezza fissata per le vie del quartiere Sant’Anna sorto nell’area della Fiera … In certe ore del giorno tutte le vie che conducono al Porto e quelle che menano ai quartieri operai … [sono intasate] da carri trainati da buoi e carri e vetture a cavallo che salgono e discendono con enorme fracasso163. Dunque l’immagine di una città nella quale le merci e le persone si spostavano con mezzi a traino, con carri, bestiame, muggiti, nitriti e odori … Ovviamente l’ottica era quella igienista e funzionale – e non certo conservativa – ma, senza dubbio, al nuovo Piano regolatore sarebbe toccato ripensare anche a tutto questo, compreso il problema dei pedoni. Infatti gli Edili pensarono [già nell’Ottocento] nelle città commerciali alla protezione 160 “La prolungazione di via Carducci”, in Il Popolo di Trieste, 27 agosto 1933, p.3. Per viale Sonnino: “La costruzione del viale Sonnino”, in ivi, 2 agosto 1934, p.4; “Bruttezza delle cose vecchie sul nuovo viale Sonnino”, in ivi, 29 agosto 1934, p. 2. 161 “Le demolizioni del ‘borgo Maurizio’”, in Il Popolo di Trieste, 12 agosto 1934, p. 4. 162 “La breccia di Tor Cucherna. La nuova strada comunale tra la via Capitolina e la zona di città vecchia … inaugurata il 28 ottobre”, in Il Popolo di Trieste, 17 ottobre 1933, p. 2. 163 “Il problema della circolazione stradale”, in Il Popolo di Trieste, 4 novembre 1933, p.5. Anche “Circolazione stradale. Pedoni e veicoli a Trieste”, in ivi, 8 novembre 1933, p.2. 416 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 dei pedoni creando i marciapiedi: Parigi li ebbe già nel 1782 e generalizzati nel 1823 … A Trieste, il Borgo delle Saline, tracciato nel 1732 ebbe i paracarri o colonnini … che durarono fino alla fine dell’Ottocento, allorché fu ordinato l’alzamento delle zone marciapiedi di 10 cm sul livello della carreggiata. Nell’aprile del 1934 su Urbanistica, la rivista torinese che rappresentava uno dei principali coaguli della Disciplina in Italia, ad Arturo Midana veniva affidata la segnalazione dei lavori che si stavano compiendo a Trieste sul corso Vittorio Emanuele, attraverso la recensione di un saggio del triestino Giulio Cesari: il vecchio Corso sta per mutare aspetto: già riordinato nel sottosuolo e modificato nei marciapiedi e nei binari, fra breve sarà ampliato con l’abbattimento di un primo gruppo di case. Nel Settecento quando la Compagnia Orientale costituì a Trieste un centro di affari, eresse le sue case e magazzini addossati esternamente alle vecchie mura merlate della città, l’odierna via D’Annunzio sino a circa la piazzetta San Giacomo. Decaduta dopo tre soli anni la Compagnia, Carlo VI ne trasformò il cantiere in Arsenale, incoraggiando l’erezione di nuove case nel nuovo borgo. Quando nel 1749 Maria Teresa fece abbattere la cinta turrita dell’antica Trieste “per fondere la nuova, che cresceva, alla vecchia città” già esisteva una “Contrada nuova” avente alla destra le case della defunta Compagnia e alla sinistra, sulla scacchiera delle antiche saline, le nuove case. Così nacque il Corso attuale. La contrada, detta anche “Grande” (misurava 16 metri) si sviluppò, raggiungendo successivamente le “barriere” dei dazi e divenne il centro del movimento cittadino. Il nome di “Corso” le pervenne con l’istituzione nel 1783 dei corsi mascherati nei giorni del Carnevale. La fortuna di questa via crebbe con gli anni. I suoi marciapiedi non erano rialzati, ma limitati da paracarri sorreggenti lampioni o aste di ferro sopportanti le armature delle tende dei negozi che – d’estate – coprivano e fiancheggiavano quasi ininterrottamente i marciapiedi. Negli ultimi anni antecedenti la Guerra, il Comune aveva pensato all’allargamento del Corso e sei grandi edifici erano stati costruiti sulla nuova linea di fabbricazione: il Piano regolatore attuale trasformerà i Corso anche nella parte finora intatta. Ciò avverrà senza alcuna offesa a monumenti storici ed artistici perché sul Corso non ve ne sono164. 164 A. MIDANA, recensione a “Giulio Cesari, Storia del corso Vittorio Emanuele III a Trieste, in ‘Rivista mensile della città di Trieste’, aprile, 1934”, in Urbanistica (Torino), 4, luglio-agosto, 1934, p. 239. Una veloce segnalazione del Piano in V. CIVICO, “La situazione urbanistica delle principali città italiane nell’attesa della nuova Legge”, in ivi, II, 5, 1933, p.170. Poi per i lavori: “La sistemazione del corso Vittorio Emanuele III”, in Il Popolo di Trieste, 9 febbraio 1934, p.3; “I lavori sul Corso”, in ivi, 24 febbraio 1934, p. 2; “Nuova assegnazione di lavori comunali. La pavimentazione del Corso”, in ivi, 3 marzo 1934, p. 2; “I lavori sul corso Vittorio F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 417 E, naturalmente, dopo il Corso sarebbe stata la volta “di via Roma e Carducci”165; e quindi anche di “via Mazzini”166; e soprattutto di “viale Sonnino”167, nuova direttrice fondamentale, mentre sulle rive era ormai assicurato il collegamento e la sistemazione del corso Cavour168. 4. “Sua maestà il piccone”: provvedimenti ‘in anticipo’ di risanamento per “Cittavecchia” Ben prima che il Piano regolatore venisse definitivamente approvato, si erano posti in essere una serie di interventi che il Comune e i Privati promuovevano puntualmente: mantenuti all’interno dell’’orizzonte’ delle previsioni del “Piano Grassi” del 1925, pur non approvato, essi erano venuti a mutare il volto della città in varie porzioni. La visione che si aveva di quegli interventi era radiosa, poiché occorre “una ritardata ma non rimandabile demolizione di molti stabili inabitabili e dell’auspicato sventramento di Cittavecchia, non per rifarla come un rione di gente povera, ma come un rione degli affari: la ‘City’”169. Dopo il 1934, al Piano definitivo sarebbe toccato recepire quegli ‘orizzonti’ facendoli diventare provvedimenti di attuazione. Nel frattempo si operava mettendo in evidenza le “Spese rinviabili e necessità urgenti”170, ma soprattutto coordinando “La sparizione di via dell’Angolo”171 dato che “nessuna Commissione dei Monumenti si commuoverà … poiché il 700 era stato assai povero, architettonicamente, a Trieste”172; ovvero “sperando nell’invocato esonero delle tasse da parte del Ministero delle Finanze che permetterà di sventrare, riordinare, assanare il rione di Cittavecchia, che da quasi mezzo secolo attende il Emanuele saranno ultimati entro aprile”, in ivi, 22 marzo 1934, p. 4. 165 “Dopo la sistemazione del Corso quella di via Roma e via Carducci”, in Il Popolo di Trieste, 1 aprile 1934, p. 4. 166 “Nuovi lavori comunali. a sistemazione delle vie Roma e via Mazzini”, in Il Popolo di Trieste, 29 luglio 1934, p. 4. 167 “La costruzione del viale Sonnino”, in Il Popolo di Trieste, 2 agosto 1934, p. 4. 168 GODOLI, Trieste …, cit., p. 202-204. 169 “Il problema della casa a Trieste. L’attività dell’ICAM nel 1930”, in Il Popolo di Trieste, 17 maggio 1931, p. 4. Il riferimento ad una “city” in prospettiva era già presente nel dattiloscritto della “Relazione” di Piano: P. GRASSI, Piano regolatore e di ampliamento della città di Trieste, (Trieste, 1924), p.20, dattiloscritto in MARIN, “Progetto di sventramento …”, cit., p. 116. 170 “Cittavecchia e il Piano regolatore. Spese rinviabili e necessità urgenti”, in Il Popolo di Trieste, 8 febbraio 1930, p. 5. 171 “La sparizione di via dell’Angolo. Le demolizioni e il Piano regolatore”, in Il Popolo di Trieste, 21 gennaio 1931, p. 4. 172 “Scorci di Cronaca. La demolizione della casa di via d’Angolo in piazza Cavana, n.2”, in Il Popolo di Trieste, 27 gennaio 1931, p. 4. 418 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 piccone”173. E per questo si procedeva con “L’intervento di Sua Maestà il piccone”174. Il Piano regolatore, dunque, era già stato avviato, almeno per Cittavecchia, ben prima dell’approvazione del 1934. Nel 1933 si procedeva alla soluzione di una delicata questione amministrativa che aveva bloccato per anni le opere. Era un bel “passo innanzi verso lo sventramento di Cittavecchia”: il progetto di sventramento è del 1926 … ma alla fine del 1933 non ha fatto un passo innanzi … In sette anni c’è tempo sufficiente perché i centri urbani mutino sette volte, ma nel caso dell’annullamento del contratto con la “Società Grandi Imprese Pubbliche” [che avrebbe dovuto eseguire l’opera] anziché essere un passo indietro, è un bel passo innanzi. Il Comune è liberato da ogni obbligo oneroso … Naturalmente occorrerebbe possedere finalmente un Piano regolatore, perché senza Piano regolatore non si può parlare di sventramento e neanche di semplice assanamento. … E avuto finalmente questo benedetto Piano regolatore vedrà il Comune di avviare lo sventramento a piccole dosi … Ci sono una ventina o più di casupole e catapecchie le quali appartengono al Comune: si abbattano! Poi si chiede, come per le case di via Arcata, l’espropriazione per determinati gruppi d’altre case … In Cittavecchia c’è però poco da risparmiare. Bisogna far largo di sopra per poter assanare il sito. Qualcuno parla di ripristinare su i fianchi del Colle Capitolino la boscaglia che i Romani trovarono 2000 anni fa … C’è posto anche per il verde, ma non troppo … Si può, sulla parte ripida, tra Donota e San Giusto, creare una serie di villette circondate da giardini, ma risulterebbero costose. Figurarsi se si volessero formare parchi e giardini estesi! Chi ha in questi calamitosi tempi i milioni da destinare per immergere il centro storico di Trieste in un’oasi di verde? Si demoliscano venti e più casupole. Si chieda l’espropriazione per altri gruppi di case … Si dichiarino inagibili tutte le case davvero antigieniche e staticamente malferme. Il resto verrà da se175. Era una prospettiva rosea, ovviamente, ma almeno si comprendeva la necessità di un “Consorzio assanatore” che gestisse le opere, sulla scorta dell’uscita dei Disegni di Legge per Fiume e Trento176. 173 “Possibilità di lavoro edilizio. Dopo l’adunata della Consulta Municipale”, in Il Popolo di Trieste, 25 giugno 1931, p. 4. 174 “L’intervento di Sua Maestà il piccone. Il problema di Cittavecchia”, in Il Popolo di Trieste, 20 marzo 1932, p. 4. 175 “Un passo innanzi verso lo sventramento di Cittavecchia”, in Il Popolo di Trieste, 7 settembre 1933, p. 3. 176 “L’assanamento di Cittavecchia”, in Il Popolo di Trieste, 20 settembre 1933, p. 2. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 419 Paolo Grassi, Piano regolatore di Trieste, il progetto per il nuovo Corso del Littorio (da “il Piccolo”, 27 gennaio 1934) Le opere nel frattempo continuavano anche sulla scorta delle numerose denunce relative alle “case inabitabili di Cittavecchia”: una casa inabitabile sarà ora demolita … Così si riprenderà quella lenta ma progressiva demolizione di tutte le vecchie, luride, maleodoranti e antigieniche casupole che deturpano il Colle Capitolino, la quale era già nel programma delle Amministrazioni dell’anteguerra … Un progetto dell’anno 1896 prevedeva la richiesta di una Legge speciale al Parlamento di Vienna … E il progetto – ch’era d’un architetto milanese – prevedeva … d’imitar Milano, con la creazione d’una galleria tipo quella di piazza Duomo a Milano e qualche via con case e portici. I nostri vecchi amavano però che lo straniero che, scendendo a Trieste, si vedesse subito in una città italiana, tagliata cioè sul tipo della metropoli lombarda. Anche nel 1840, alcuni Soci del “Casino vecchio” – fondato o resuscitato da Domenico Rossetti – il quale era un po’ il club politico che dirigeva lo spirito pubblico, pensavano la costruzione d’un grande edificio “moderno” che dovesse essere un po’ come la “Camera del Commercio”, chiamavano un architetto milanese a progettarlo e gli raccomandavano di metterci dentro una galleria come quella che Milano aveva sulla Corsia dei Servi. Così Trieste ebbe la sua Galleria del Tergesteo ad imitazione di Milano. Alla vigilia della Guerra fu pure un architetto milanese che piantò sul viale dell’Acquedotto la massa solenne del Teatro Eden … Ora per Cittavecchia, rispetto ai grandi progetti, meglio il procedimento della “Dichiarazione di inabitabilità” … E ciò per i ¾ o 4/5 della case di Cittavecchia. Con questo 420 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 metodo e l’abbattimento si è già fatto largo … Così si arriva allo sventramento a piccole dosi … in molti decenni, ma si arriva177. Infatti dopo la demolizione di alcune case presso la torre Cucherna in via del Crocifisso … opera lenta di demolizione di case inabitabili .. si badi agli effetti di queste piccole operazioni di “diradamento” che … con le recenti opere ordinate dal Podestà … si è effettivamente iniziato il pratico sventramento e assanamento di Cittavecchia178. Un ‘metodo di assanamento’ che diventava paradigma igienico, poiché “per molti quartieri di Trieste “assanamento”, oltre ad acque e fognature, vuol dire “piccone””179. Faceva il punto poco prima di quell’approvazione del Piano, nel gennaio del 1934, la serie dei “criteri fondamentali” approvati dal Duce per la città: 2. Il rinnovamento del centro. La demolizione e lo sventramento di due vaste zone del centro [risulta opera fondamentale]. a. Una di queste aree comprende le vecchie case di via dell’Arcata e del Solitario … b. l’altra zona di demolizione è quella di Cittavecchia, situata propri nel centro cittadino a ridosso del Corso e di piazza dell’Unità: la piccola e modesta Trieste medievale è un groviglio di viuzze e casupole malsane e tetre … I primi studi [per la demolizione] risalgono all’anteguerra, poi alcuni anni or sono il Comune affidò l’esecuzione di lavori ad una Società che non riuscì ad intraprendere alcuna attività. Liberato da ogni impegno, oggi il Comune non attende altro che il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici dia sollecitamente la sua approvazione al Piano regolatore. Alcune strade pittoresche, come la via Donela e la via San Sebastiano saranno conservate. Scoperti e riattati gli avanzi del Teatro Romano e d’altri ruderi, la vecchia città sarà scomparsa quasi completamente per lasciare in luce la sua parte più nobile180. Non c’era, dunque, che da procedere. 177 “Le case inabitabili di Cittavecchia”, in Il Popolo di Trieste, 29 settembre 1933, p. 2. “Il piccone lavora … in Cittavecchia”, in Il Popolo di Trieste, 19 ottobre 1933, p.4. 179 “In tema di salute pubblica”, in Il Popolo di Trieste, 19 ottobre 1933, p.2. 180 A. NICOTERA, “L’approvazione del Duce ad un vasto piano di opere pubbliche a Trieste”, in Il Popolo d’Italia (Milano), 9 gennaio 1934, p. 3. 178 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 421 5. Restauri monumentali e identità cittadina: il caso di San Giusto, del “Colle Capitolino” e la “rivendicazione archeologica di Tergeste romana” Nell’ultimo lustro dell’’Era Pitacco’ fervevano anche lavori di restauro alla cattedrale di San Giusto, come anche quelli sul colle dove si trovava la Cattedrale stessa, che era stato la sede dell’antico Capitolium romano (il cosiddetto “Colle Capitolino”). Motivi storici si connettevano, dunque, a interessi di chiara politica cittadina e nazionale181, riscoprendo/accentuando la Romanità/Italianità di Trieste. 5.1. La cattedrale di San Giusto Tra i pochi fulcri monumentali di una città che era in gran parte settecentesca e ottocentesca – a livello di patrimonio storico – si poneva la basilica di San Giusto, che richiedeva una sistemazione complessiva Nel 1930 si programmavano i lavori per l’abside182, “Un dovere dei Triestini”183, per il quale anche “Il Governo dà altre 200.000 lire per i restauri”184. Il problema delle sottoscrizioni era molto sentito e serviva dunque un chiaro ‘programma’ delle opere, specie in relazione all’abside, che necessitava degli interventi di riordino più importanti: i muri dell’abside vanno irrobustiti, nella parte di fondo furono però aperti cinque finestroni, la calotta fu ricostruita di sana pianta e per una felice coincidenza fu possibile acquistare a prezzo eccezionale una partita di marmo greco antico Cipollino, che formerà l’incrostazione sontuosa del coro, degno piedistallo al mosaico del semicatino e della relativa grande volta; mentre il prof. Guido Cadorin dallo scorso luglio rinchiuso nell’armatura a gabbia sopra l’altare maggiore, lavora indefessamente ai cartoni per la realizzazione del suo ideale185. 181 G. BANDELLI, “Per una storia del mito di Roma al confine orientale: Archeologia e Urbanistica nella Trieste del Ventennio”, in Il Teatro romano di Trieste. Monumento, Storia, Funzione, a cura di M. Verzar-Bass, Roma, 1991. 182 “Il restauro di San Giusto. Un’adunanza del Comitato cittadino”, in Il Popolo di Trieste, 9 aprile 1930, p. 5: “il Comitato per le decorazioni dell’abside, insediato da un anno e con ragguaglio dell’ing. Sopr. Forlati circa i lavori già eseguiti e quelli da eseguirsi”. 183 “La nuova abside di San Giusto. Un dovere dei Triestini”, in Il Popolo di Trieste, 11 aprile 1930, p. 5. 184 “Il Governo dà altre 200.000 lire per i restauri di San Giusto”, in Il Popolo di Trieste, 29 giugno 1930, p. 6. 185 “Per la decorazione dell’abside di San Giusto”, in Il Popolo di Trieste, 4 maggio 1931, p. 4. 422 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 Le opere non erano comunque prive di polemiche e anche il Popolo di Trieste scendeva in campo per difendere quanto si andava realizzando: “i lavori di restauro sono in buone mani e nulla viene eseguito se non dopo un lungo e minuzioso studio”186, a seguito dei dubbi espressi da più parti sui silenzi che circondavano i lavori187. Nel 1932 le opere di restauro all’edificio medievale era ormai molto avanzate e si dovevano terminare i lavori all’abside: nel cantiere dietro e sopra l’altare maggiore il lavoro ferve allegramente e il prof. Cadorin ne è naturalmente l’anima … tanto è vero che, a malincuore, questa volta non espone nulla alla Biennale di Venezia. E insieme a lui lavorano due mosaicisti: il prof. Bartello, suo nipote, e il prof. Signorini di Ravenna, nonché la sua gentile Signora, assolta mosaicista essa pure … Aggiungiamo poi due aiuti per i fondi e per le parti meno importanti delle figure188. Il team di professionisti restauratori era dunque particolarmente nutrito, per un programma iconografico complesso che si stava profilando finalmente anche presso l’Opinione pubblica: notoriamente le figure maggiori, che animeranno il mosaico, sono dieci; sei “Martiri triestini” nella volta sopra l’altare e nel catino; il “Redentore che incorona la Vergine” in mezzo a due “Cherubini” poi quattro medaglioni con i simboli degli Evangelisti che ornano la fascia sotto l’arco trionfale. Ora, delle figure maggiori, quattro sono quasi finite (“Sergio”, “Apollinare”, “Eufemia” e “Tecla”) come pure sono già eseguiti i simboli evangelici … così che per la fine dell’anno il mosaico sarà ultimato in ogni sua parte189. 186 Rico LONATO, “Sui restauri a San Giusto”, in Il Popolo di Trieste, 12 maggio 1931, p.4. “Come procedono i restauri. L’enigma di San Giusto”, in Il Popolo di Trieste, 31 maggio 1931, p.4. 188 Guido Cadorin (Venezia 1892 – 1975), fu artista assai affermato nei primi decenni del Novecento, compiendo il proprio percorso artistico tra Liberty, Secessionismo, “Realismo magico” e Novecento. Nato in una famiglia di artisti (il padre e due fratelli erano scultori, sua sorella Ida era pittrice), era già presente alla Biennale di Venezia del 1908 quando una sala venne dedicata alla produzione della famiglia Cadorin. Eccezionali le sue doti di artista dell’affresco e di decoratore, nella convinzione che la Pittura dovesse intersecarsi con l’Architettura e con le arti Applicate (come nel caso del mosaico). Le opere che lo resero particolarmente noto furono la decorazione del Grande albergo degli Ambasciatori a Roma (progettato da Marcello Piacentini, rappresentato da Cadorin insieme anche a Giò Ponti e a Roberto Papini) e soprattutto quella della “Stanza dei sonni puri” (“Zambra del misello” cioè Camera del povero o “Stanza del lebbroso”), del Vittoriale (Gardone Riviera) dove, ospite di Gabriele D’Annunzio, egli lavorò tra il 1924 e il 1925. Cadorin divenne allora uno dei principali Artisti del Poeta, curando, al Vittoriale, anche l’esecuzione delle vetrate, delle lampade, delle dorature, del letto a forma di culla-bara, del rivestimento delle pareti in pelle di camoscio, oltre a dipingere opere notevoli come “Cristo e la Maddalena” e “San Francesco che abbraccia D’Annunzio lebbroso”. L’artista fu poi di nuovo alla Biennale nel 1924 e, a partire dal 1936, alcuni anni dopo la fine degli impegni triestini, vi partecipò ininterrottamente. V. TERRAROLI, G. Cadorin, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, vol.34, 1988, ad vocem. 189 “Pro abiside di San Giusto. Offerte”, in Il Popolo di Trieste, 27 aprile 1932, p. 4. La navata centrale 187 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 423 Quindi la Consulta comunale diede parere favorevole alla partecipazione del Comune, per cinque anni, alla copertura del fabbisogno per i completamento della decorazione musiva dell’abside di San Giusto. Il resto sarà compito della Provincia, del Consiglio provinciale dell’Economia Corporativa e della Cassa di Risparmio190. Nel 1933, ad ottobre, si faceva ancora il punto dei lavori, nel programmatico “A San Giusto: ciò che si è fatto e ciò che resta da fare nei restauri”191. Poi finalmente l’annuncio che “La rinnovata abside di San Giusto sarà solennemente scoperta il 3 novembre”192. della Cattedrale – che era stata fatta innalzare dal vescovo Rodolfo Pedrazzani (1303 - 1320) dall’unione di due basiliche paleocristiane parallele affiancate da un battistero – venne risistemata dopo il 1843 con decorazioni in legno e quadri donati da Massimiliano d’Asburgo. Nel catino dell’ abside centrale era presente una decorazione ad affresco, raffigurante l’“Incoronazione della Vergine”, opera dei pittori friulani Domenico di Giovanni, detto “Lu Domine”, e Antonio Baietto, del 1421- 1423 (i resti degli affreschi originali, ovvero le teste della Vergine e del Cristo, sono ora visibili presso i Musei Civici di Storia ed Arte di Trieste); alla metà del XIX secolo quella decorazione venne sostituita da un soffitto cassettonato di gusto neoclassico, con, nella parte centrale, un lucernario di forma circolare. Dopo l’unione di Trieste all’Italia la presenza asburgica nella cattedrale fu reputata troppo ‘ingombrante’ e dunque si decise di procedere al rifacimento dell’intero altare, mentre i quadri ‘asburgici’ venivano riposti nei magazzini dei Musei civici (venne lasciato solo il lampadario in ferro battuto che sovrasta la navata centrale, fatto forgiare da Massimiliano per la Sala del trono del suo castello e poi donato alla cattedrale prima di partire per il Messico). Dunque, nel 1926, il Comune di Trieste decideva di indire un Concorso per la nuova decorazione, in mosaico e in marmo, dell’abside maggiore. Vennero premiati ex aequo nel 1927 i bozzetti presentati dal veneziano Guido Cadorin (1892 - 1976) e dal triestino Guido Marussig (1885 - 1972), ma poi fu adottato il progetto di Cadorin, che sembrava meglio armonizzarsi alle strutture preesistenti. La campagna di riallestimento e restauro vennero però intensamente condotta durante il 1932, quando non fu solo realizzato il mosaico absidale e il pavimento in marmi preziosi, ma vennero anche staccati dalla facciata gli intonachi settecenteschi e il sagrato fu notevolmente abbassato. Furono riportati in luce i piccoli conci di “masegno”, che col loro colore caldo esaltano le candide strutture del rosone e dei portali, mentre le pietre tombali vennero sistemate dietro l’abside. Il grande mosaico absidale celebra l’unione di Trieste all’Italia: vi è raffigurata l’”Incoronazione della Vergine”, circondata dalla teoria dei martiri triestini, da angeli e simboli. L’inaugurazione avvenne il 3 novembre 1933. Si veda: A. MARAINI, “Mosaici dell’abside di San Giusto a Trieste”, in Architettura e Arti Decorative (Roma), XIII, 1934, p. 597-601; R. MARUSSI, “I Mosaici di Guido Cadorin nella basilica di San Giusto a Trieste”, in Arte Cristiana (Milano), XXI, 1939, p. 338-341. Cfr. D. GIOSEFFI, I mosaici parietali di San Giusto a Trieste, Trieste, 1975; San Giusto: ritratto di una cattedrale, Catalogo della Mostra, a cura di M. Vidulli Torlo, Trieste, 2003. 190 “Una seduta della Consulta Municipale presieduta dal Podestà, sen. Pitacco”, in Il Popolo di Trieste, 13 maggio 1932, p.4. 191 “A San Giusto: ciò che si è fatto e ciò che resta da fare nei restauri”, in Il Popolo di Trieste, 8 ottobre 1933, p. 4. 192 “La rinnovata abside di San Giusto sarà solennemente scoperta il 3 novembre”, in Il Popolo di Trieste, 26 ottobre 1933, p.4. E dunque “Lo scoprimento dell’abside maggiore a San Giusto”, in ivi, 2 novembre 1933, p.4; “Le odierne solennità a San Giusto alla presenza di S.A.R. la Duchessa d’Aosta”, in ivi, 3 novembre 1933, p.2; “S.A.R. la Duchessa d’Aosta presenzia a San Giusto la solenne cerimonia per l’inaugurazione dell’abside rinnovata”, in ivi, 4 novembre 1933, p. 3; F. FORLATI, “La Cattedrale di S. Giusto”, in Archeografo triestino, serie III, XVIII, 1933, p. 387-400. 424 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 5.2. Il “Colle Capitolino”: la valorizzazione moderna dei resti romani La basilica di San Giusto non era solo importante per la sua identità di chiesa vescovile medievale cittadina, ma anche per occupare il sito dell’antico Capitolium romano: si poneva dunque particolare attenzione anche alla sistemazione delle aree limitrofe, dove si individuava appunto la presenza del “livello romano”193 e degli antichi resti. Per la sistemazione del Colle, il Sindaco/Podestà chiedeva importanti pareri, quali quelli di Antonio Munoz e di Corrado Ricci194. Ovviamente il punto di partenza era il rinvenimento dei livelli e dei resti antico romani: per il monumento a Severo … della sua collocazione sapremo. Ed altro ancora come il tempio Capitolino, quando il Podestà darà ordine di smuovere quell’ammasso di terra che ingombra e deturpa il suggestivo piazzale [di San Giusto] … e ordinando di sterrare anche la vasta superficie dinanzi al Museo … Si rimetteranno allora in piedi gli edifici che fiancheggiavano a Levante la platea romana … ridonando al piazzale lo sfondo architettonico romano195, con una chiara lettura archeologica volta dunque alle sistemazioni contemporanee. Sempre in ‘chiave archeologica’ di grande importanza erano “gli scavi a San Giusto (sospesi e ora ripresi) che fanno parte della più importante opera di rivendicazione archeologica della Tergeste romana che era stata già iniziata dal Governo”196. Il problema degli scavi non era dunque da poco e si associava strettamente alla valorizzazione della memoria medievale della Cattedrale: l’architetto [Guido] Cirilli aveva detto: “se volete fare cosa logica (negli scavi), tornare a livello romano del piazzale dinanzi alla basilica”. Fu ascoltato a metà: si trovò che riprendere l’antico livello avrebbe ‘appollaiato’ la chiesa ad un livello … illogico; e non se ne fece nulla. Per fortuna venne poi a Trieste il comm. Forlati, che si affezionò subito alla città e a San Giusto … ed egli trovò 193 G. Cesari, “Gli scavi dinanzi a S. Giusto”, in La Rivista Mensile della città di Trieste, 6, 1931, p. 10-12. “La sistemazione del Colle Capitolino di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 12 aprile 1932, p. 3. E poi: C. CESARI, “Il Piano regolatore, lo sventramento di Cittavecchia e sistemazione del colle di San Giusto”, in Rivista mensile della città di Trieste, 10, ottobre, 1932, p. 337-345; P. GRASSI, “Progetto di sventramento di Cittavecchia e sistemazione del colle di San Giusto, in Rivista mensile della città di Trieste, 10, ottobre, 1932, p. 340. Cfr. E. GODOLI, Trieste …, cit., p. 196-198; A. MARIN, “Progetto di sventramento di Cittavecchia e sistemazione del colle di San Giusto”, in Trieste. Guida all’Architettura (1918-1954) …, cit., p. 117-118. 195 “Trieste romana. L’interessante conferenza di Piero Sticotti … alla presenza di S.A.R. il Duca d’Aosta”, in Il Popolo di Trieste, 7 aprile 1932, p. 4. 196 “La ripresa dei lavori comunali deliberati dal Podestà”, in Il Popolo di Trieste, 12 aprile 1932, p. 3. 194 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 425 che “se non tutto” almeno qualche cosa dell’idea cirilliana poteva essere attuato197. Ma ovviamente, non era mancata anche una decisa attenzione per il Castello, “la Soprintendenza curerà il restauro (certe stampe antiche lo mostrano merlato) e toglierà le sovrastrutture recenti, liberando talune parti che si suppone conservino nascoste caratteristiche proprie delle fortificazioni del XV, XVI e XVII secolo”198, per cui il nuovo Piano regolatore ne ribadiva la vocazione monumentale e ‘identitaria’ ormai ben delineatasi, in vista della sua destinazione a “Musei Civici con una sala del Rinascimento”199. Sempre sul Colle, infine, oltre al Parco della Rimembranza, un ennesimo fulcro simbolico era costituito anche dal nuovo Monumento ai Caduti. Inizialmente si era previsto di collocarlo presso piazza Oberdan, ma alla fine si era deciso che Guglielmo Oberdan avrebbe avuto il proprio cenotafio dove era stato ucciso, mentre il Sacrario ai Caduti della Prima Guerra Mondiale sarebbe migrato a San Giusto200. Di entrambi era autore Attilio Selva, lo Scultore ‘di riferimento’ per le opere monumentali cittadine: “lo Scultore ha informato sullo stato dei lavori per il Monumento a Oberdan [da inaugurarsi entro il prossimo anno] … mentre il Podestà ha raccomandato allo Scultore di sollecitare anche i lavori per il Monumento ai Caduti sul colle di San Giusto”201. 6. Il miglioramento della qualità urbana: nuovi lavori per strade, piazze, gallerie … L’andamento del bilancio comunale, prima dell’approvazione del Piano regolatore, prevedeva la realizzazione di una serie di opere puntali che dovevano comunque migliorare la qualità urbana. Ovviamente, al Piano veniva poi demandato il coordinamento di tutte quelle opere: si conservano all’incirca le stesse dotazioni del precedente bilancio … con 197 “I lavori intorno a San Giusto”, in Il Popolo di Trieste, 20 aprile 1932, p.4. e prima: “Provvedimenti del Rettorato della Provincia per l’abside di San Giusto”, in Il Popolo di Trieste, 9 marzo 1932, p. 4. 198 “Il Castello proprietà comunale (e la cessione di aree)”, in Il Popolo di Trieste, 22 gennaio 1930, p. 4. 199 “Il Castello di Trieste destinato a Musei Civici e una Sala del Rinascimento”, in Il Popolo di Trieste, 26 ottobre 1933, p. 5. Considerazioni su un articolo uscito al proposito sulla Rivista della città di Trieste, 8, 1933; “Il restauro del Castello”, in ivi, 25 settembre 1934, p. 4. 200 “L’ubicazione del Monumento ai Caduti”, in Il Popolo di Trieste, 4 febbraio 1931, p.4. Poi: “Il Monumento ai Caduti. La sistemazione della Zona Capitolina”, in ivi, 3 ottobre 1934, p. 2. 201 “Attilio Selva a Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 17 marzo 1931, p. 4. 426 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 pavimentazione di strade in arenaria, porfido, granito, asfalto o maccadam … Il completamento di lavori di sistemazione della riviera di Barcola, la sistemazione di strade: la regolazione di via Tor di San Pietro e di parte di via dell’Eremo e della via Navali; lo spostamento di via Lavoratori tra lo Jutificio e le Cooperative Operaie; l’inizio di una nuova strada tra il passeggio di Sant’Andrea e la via del Roncheto … e la copertura del torrente di San Cilino. Poi la costruzione di un nuovo edificio all’ingresso del cimitero di Sant’Anna … un nuovo edificio scolastico in via Sant’Anna e … la sistemazione di viali al Cimitero202. C’era poi “L’inaugurazione del mercato all’ingrosso in piazza Verdi”203. Ma era soprattutto nel 1932, che l’attività comunale si puntualizzava: viste le condizioni particolarmente difficili, il Comune non poteva largheggiare in preventivi di grandi opere pubbliche … Tuttavia il Podestà fece inserire nel “Bilancio di Previsione” un notevole lotto di lavori di pubblica utilità come 1. La sistemazione del Lungomare di Cesas; 2. La sistemazione di vie (Segantini, dell’Eremo, San Giusto, ai Navali, tra il passeggio di Sant’Andrea e via dell’Istria …); 3. La costruzione di un edificio per i senzatetto a Santa Maria Maddalena Inferiore … Dunque soprattutto sistemazioni dei Lungomare, sistemazione e pavimentazione di strade, condutture idriche ed elettriche204. I lavori erano decisamente articolati, ma tutti concorrevano alla modernizzazione della città: finalmente si svolgono i lavori al Cimitero … e poi il piazzale d’accesso e la strada laterale dello Stadio … E quindi le opere della Provincia … come le costruzioni private facilitate dal Comune sull’area dell’ex caserma teresiana, aeroporto [di idrovolanti], al corso Cavour, lo Stadio del Littorio, oltre alla Caserma dei Carabinieri in via dell’Istria205. In una seduta della Consulta Municipale si dettagliavano altri interventi: 202 “Il bilancio comunale di previsione per il 1931 … Le spese per le opere pubbliche”, in Il Popolo di Trieste, 1 febbraio 1931, p.4. Per le rive di Barcola: “Le sponde murate della Riviera di Barcola”, in Il Popolo di Trieste, 11 febbraio 1931, p.4 (ma la costruzione veniva limitata a soli 100 metri). 203 “L’inaugurazione del mercato all’ingrosso in piazza Verdi”, in Il Popolo di Trieste, 9 maggio 1931, p. 4. 204 “Dieci milioni di nuovi lavori”, in Il Popolo di Trieste, 4 marzo 1932, p. 4. 205 “La ripresa dei lavori comunali deliberati dal Podestà”, in Il Popolo di Trieste, 12 aprile 1932, p. 3. E prima: “L’imminente inizio dei lavori della nuova Caserma Carabinieri”, in ivi, 17 gennaio 1932, p. 4; “Trieste avrà il Campo Littorio entro la prossima estate”, in ivi, 11 febbraio 1930, p.3; “I lavori dello Stadio del Littorio. Una visita del dott. Perusino”, in ivi, 19 gennaio 1932, p.4. Per il Cimitero, i progetti erano stati riavviati fin dal 1930: “La sistemazione dell’ingresso [al cimitero di] Sant’Anna: [il vecchio progetto non attuato di Berlam d’inizio Novecento] e le nuove previsioni”, in ivi, 21 marzo 1930, p. 3. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 427 Camillo Jona, Schizzo prospettico per la progettazione del “Parco previsto sulle rovine dell’Anfiteatro romano”, allegato al “Piano Grassi” del 1934, 1932-1933 il Podestà comunicò che fu iniziata la costruzione di tre nuovi stabili privati nella ex Piazza d’Armi, tra i quali quello dell’ing. Geiringer [Pietro, figlio di Eugenio] e due dell’ing. Fornasir. E poi un serbatoio d’acqua in vetta a San Giusto … Ma per questo la necessità di poter proseguire le pratiche al Ministero … per il percorso delle tubature d’alimentazione dell’acquedotto … I Francescani Penitenzieri di Sant’Antonio hanno chiesto la concessione gratuita di un’area comunale in vetta al colle di San Vito per costruirvi la chiesa e il convento (in via Carlo de Combi) e la Consulta diede parere favorevole per la chiesa, mentre decideva di chiedere lire 30 al mq per il convento206. Nuove strade venivano sistemate, come nel caso della “via Capitolina, 206 “Lavori pubblici a Trieste per dodici milioni”, in Il Corriere della Sera (Milano), 24 luglio 1934, p.2. 428 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 inaugurata il 27 ottobre 1929 poi richiusa … per le canalizzazioni”207. E quindi l’estensione dell’illuminazione elettrica cittadina ad esempio a Basovizza208. Anche nel 1933 venivano preventivati altri lavori e si trattava di opere per “scuole, fognature, servizi pubblici (ultimazione del viale Sonnino, le fognature, aule scolastiche, acqua ed energia elettrica)”209. E quindi le opere svolte e inaugurate, come da prassi consolidata, nell’ottobre, in ricordo della “Marcia su Roma”. Si trattava di “Opere eseguite dal Comune” nel corso dell’anno: 1. Il nuovo ingresso al Cimitero di Sant’Anna su progetto dell’architetto Ruggero Berlam; 2. Il lungomare di Cedde a Miramare lungo la nuova Costiera; 3. Il lavatoio di Cittavecchia; 4. La via nuova tra via Capitolina e viale Santa Chiara con l’asilo nido “Regina Elena”; 5. La rimessa del tram; 6. Il serbatoio dell’acqua s San Vito, il serbatoio a Monte Radio; 7. La sistemazione della strada per Poggioreale. Il PNF inaugurerà la colonia “Principi di Piemonte” a Banne; l’ICAM la nuova casa con 24 appartamenti in viale Sonnino210. C’erano poi i lavori curati dal Genio Civile a livello provinciale211; le “Opere marittime straordinarie” come “il porticciuolo all’esterno del molo Fratelli Bandiera (già in costruzione nel 1914)”212; e i lavori della “Provincia di Trieste” come “la caserma dei Carabinieri di via dell’Istria, il Consultorio per l’Infanzia, l’acquedotto di Cossana”213; le opere dell’Opera Nazionale Balilla, come la “Casa della Giovane Italiana”214. 207 “La nuova via Capitolina”, in Il Popolo di Trieste, 11 marzo 1930, p.5. elettrica inaugurata a Basovizza”, in Il Popolo di Trieste, 23 aprile 1932, p. 5; “L’Altopiano triestino elettrificato”, in ivi, 20 gennaio 1932, p. 4. 209 “Quindici milioni di lavori comunali annunciati dal Podestà alla Consulta Municipale”, in Il Popolo di Trieste, 2 settembre 1933, p. 3. 210 “Le opere seguite dal Comune che saranno inaugurate il 28 ottobre”, in Il Popolo di Trieste, 10 ottobre 1933, p. 2. e anche: “I lavori stradali del Comune”, in ivi, 11 ottobre 1933, p. 2. Per la foto della “colonia “Principi di Piemonte nella pineta carsica di Banne (ing. Lodovico Braidotti)”: “Bonifiche, acquedotti, strade, case, scuole per il popolo nella Provincia di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 28 ottobre 1933, p. 5. 211 “Le opere del Genio Civile di Trieste che verranno inaugurate il 28 ottobre”, in Il Popolo di Trieste, 12 ottobre 1933, p. 4. 212 “Le opere del Genio Civile di Trieste che verranno inaugurate il 28 ottobre”, in Il Popolo di Trieste, 12 ottobre 1933, p. 4. 213 “Le opere della Provincia di Trieste che saranno inaugurate il 28 ottobre”, in Il Popolo di Trieste, 8 ottobre 1933, p.4. La foto della Caserma in “Bonifiche, acquedotti, strade, case, scuole per il popolo nella Provincia di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 28 ottobre 1933, p. 5. E queste dopo che: “S.E il Prefetto visita la nuova caserma in via dell’Istria”, in ivi, 30 settembre 1933, p. 2. 214 Si trattava della villa Haggiconsta, costruita su progetto di Ruggero Berlam nel 1889, commissionata da Giorgio Haggiconsta, un ricco possidente di origine greco-russa. Negli anni Trenta l’edificio fu donato all’Opera Nazionale Balilla, affinché lo destinasse a “Casa della Giovane Italiana” e, quindi, vennero eseguiti dei lavori di adattamento, in particolare ai fabbricati di servizio. Cfr. La casa della Giovane Italiana a Trieste: l’Opera Nazionale Balilla, Trieste, 1934; “La ‘Casa della Giovane Italiana’ inaugurata a Trieste dall’on. Ricci”, 208 “Illuminazione F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 429 Il che faceva comprendere come gli Enti attivi sul territorio municipale fossero in verità diversi215 e come il Piano regolatore avrebbe comunque faticato a mettere in ordine tutte le diverse iniziative. Proprio nell’anno di approvazione del Piano, il 1934, il Corriere della Sera di Milano dava conto delle importanti iniziative che si stavano avviando a Trieste: si prevede la costruzione di un asilo infantile a Postumia; l’ampliamento dell’ospedale psichiatrico provinciale; la costruzione di un dispensario antitubercolare a Trieste, la costruzione di un ponte in cemento armato che dovrà unire l’isola di Grado alla terraferma; la rete idrica ed elettrica sul Carso … e i tracciati stradali216. E tra di essi c’era anche la Casa del Fascio, il cui iter veniva seguito anche dalla rivista Architettura Italiana di Torino: “l’on. Marinelli ha presieduto una riunione al Municipio di Trieste per l’esame di alcune proposte riguardanti la Casa del Fascio di cui, con il principio dell’anno XIII, sarà iniziata la costruzione … dopo esser stato bandito un Concorso nazionale”217. La parola del duce, riportata da Alessandro Nicotera, era stata definitiva al proposito, condensandosi in tre punti programmatici di opere pubbliche: 1. Estensione dei servizi. Far giungere alle più lontane località della periferia … i servizi comunali … attraverso le case per le istituzioni fasciste … la costruzione di scuole moderne primarie … Poi l’estensione della luce elettrica all’estrema periferia .. e l’approvvigionamento dell’acqua da poco assicurato alla città dall’acquedotto … Quindi la rete tramviaria dovrà essere riformata, prolungata e rinnovata .. Infine la canalizzazione delle fogne … perché Trieste, nonostante favorita dalla sua configurazione collinare e in pendenza verso il mare, è priva di canali di scolo218. Poi in Corriere della Sera (Milano), 17 agosto 1934, p. 1; “S.E. Ricci inaugura a Trieste la ‘Casa della Giovane Italiana’”, in Il Resto del Carlino (Bologna), 17 agosto 1934, p. 2; “La ‘Casa della Giovane Italiana’ a Trieste”, in Popolo d’Italia (Milano), 30 agosto 1934, p. 6, “un’opera che ha senza dubbio del meraviglioso”. Da ultimo: POZZETTO, I Berlam …, cit.,1999, p. 98-100. 215 “Bonifiche, acquedotti, strade, case, scuole per il popolo nella Provincia di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 28 ottobre 1933, p. 5. 216 “Una seduta della Consulta Municipale presieduta dal Podestà, sen. Pitacco”, in Il Popolo di Trieste, 13 maggio 1932, p. 4. 217 “Trieste [e la Casa del Fascio]”, in Architettura Italiana (Torino), settembre, 1934, p. 325. 218 A. NICOTERA, “L’approvazione del Duce ad un vasto piano di opere pubbliche a Trieste” …, cit. 430 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 2. Il rinnovamento del centro. La demolizione e lo sventramento di due vaste zone del centro [risulta opera fondamentale]. a. Una di queste aree comprende le vecchie case di via dell’Arcata e del Solitario, le quali scompariranno per il prolungamento dell’ampia e ben nota via Carducci. Altre demolizioni completeranno dopo via Garibaldi il viale Sonnino, aggiungendovi un tratto di circa mezzo chilometro e dando pieno respiro a questa meravigliosa arteria larga 25 metri e che porta direttamente al rione detto “caserme”, all’Ippodromo e alla strada per l’Istria219. I dilemmi si erano però succeduti senza sosta e infatti “ora si presenterà agli Edili comunali il problema della “Casa bizantina”, casa moderna (avrà cinquant’anni) non indegna di riguardo … Già nel 1926, per le necessità della comunicazione di via Carducci con piazza Garibaldi, era stata emessa l’idea di ricostruirla in altro punto”220. Ancora nelle direttive impartire da Mussolini – recependo le indicazioni della Podesteria - si indicavano ancora ai primi del 1934, come aspetto imprescindibile, le demolizioni “b. l’altra zona di demolizione è quella di Cittavecchia, situata propri nel centro cittadino a ridosso del Corso e di piazza dell’Unità: la piccola e modesta Trieste medievale”221. Molto c’era da fare, dunque, e da intervenire. 6.1. Le scuole: un importante tema di sviluppo urbano (e di scelte ‘nazionalistiche’) Già nel 1931 si prevedeva la costruzione di “un nuovo edificio scolastico in via Sant’Anna”222; opera che continuava anche nel 1932, poiché “il Podestà fece inserire nel “Bilancio di Previsione” un notevole lotto di lavori di pubblica utilità come … il nuovo edificio scolastico a Sant’Anna, che dovrà servire alla nuova popolazione scolastica del nuovo rione che va formandosi tra Sant’Anna, San Sabba e Zaule”223. Nella politica di espansione della città verso i colli, risultava fondamentale la chiusura delle scuole slovene, ma a questo, fin dal 1931, venivano ricondotte 219 Ibid. “La prolungazione di via Carducci”, in Il Popolo di Trieste, 27 agosto 1933, p. 3. 221 A. NICOTERA, “L’approvazione del Duce ad un vasto piano di opere pubbliche a Trieste”…, cit., p. 3. 222 “Il bilancio comunale di previsione per il 1931 … Le spese per le opere pubbliche”, in Il Popolo di Trieste, 1 febbraio 1931, p. 4. 223 “Dieci milioni di nuovi lavori”, in Il Popolo di Trieste, 4 marzo 1932, p. 4 220 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 431 delle conseguenze evidenti, come la “Diminuzione degli scolari a Trieste”224. Specifiche statistiche analizzavano l’andamento della “Popolazione scolastica a Trieste negli anni 1929-1930”225, ma ormai veniva celebrato dalla propaganda come un successo che, come trend decennale, si fosse verificata la diminuzione della popolazione scolastica, specie nei rioni suburbani, connettendola al fatto che “lì alloggiasse la popolazione allogena” cioè gli Sloveni226 (e senza voler troppo sbandierare, invece, che vi era stato un deciso decremento delle nascite legato alla crisi). La distribuzione delle scuole governative restava comunque una priorità: ad essa si associava “la bonifica spirituale dell’Altipiano. L’opera della Scuola elementare”227. Numerose iniziative si susseguivano al proposito e quindi prima era la volta dell’”Asilo dell’’Italia redenta’, ‘Margherita di Savoia’ inaugurato a Barcola”228, “per un centinaio di bambini”229; poi dell’asilo di Villa Degani230; quindi della Scuola comunale di Duttogliano “per circa 200 alunni”231. Si trattava di un programma ormai ben collaudato e di grande efficienza che vedeva l’apertura di “Nuove scuole rurali [esempio di] vita fascista nella terra Giulia”232, laddove venivano pubblicati anche le foto dei due nuovi edifici realizzati. Ma, forse inaspettatamente, anche la demolizioni in Cittavecchia venivano ad aggravare il problema scolastico, perché alcuni istituti – come la scuola “Felice Venezian” – sarebbero stati abbattuti. Serviva, insomma, un generale riordino233. E Alessandro Nicotera non mancava di ricordare che tra i punti programmatici individuati da Mussolini per Trieste c’era proprio “Estensione dei servizi. 224 “Diminuzione degli scolari a Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 15 febbraio 1931, p. 4. 225 “La popolazione scolastica a Trieste negli anni 1929-1930”, in Il Popolo di Trieste, 13 febbraio 1931, p. 4. 226 “Com’è distribuita a Trieste la scolaresca”, in Il Popolo di Trieste, 17 febbraio 1931, p. 4. bonifica spirituale dell’Altipiano. L’opera della Scuola elementare”, in Il Popolo di Trieste, 21 gennaio 1932, p. 4. 228 ”Asilo dell’’Italia redenta’, ‘Margherita di Savoia’ inaugurato a Barcola,” in Il Popolo di Trieste, 19 settembre 1933, p. 2. 229 “Le opere del Genio Civile di Trieste che verranno inaugurate il 28 ottobre”, in Il Popolo di Trieste, 12 ottobre 1933, p. 4. 230 ”Asilo dell’’Italia redenta’, ‘Margherita di Savoia’ inaugurato a Barcola”, in Il Popolo di Trieste, 19 settembre 1933, p. 2. 231 “Le opere del Genio Civile di Trieste che verranno inaugurate il 28 ottobre”, in Il Popolo di Trieste, 12 ottobre 1933, p. 4. Anche: “Il XXVIII Ottobre sarà celebrato a Trieste con l’inaugurazione di imponenti opere pubbliche”, in ivi, 25 ottobre 1933, p.2. E: “40 opere pubbliche a Trieste: l’elenco completo”, in ivi, 27 ottobre 1933, p. 2. 232 ”Vita fascista nella terra Giulia. Nuove scuole rurali”, in Il Popolo di Trieste, 28 ottobre 1933, p. 11. 233 ”Il risanamento di Cittavecchia e il problema delle scuole”, in Il Popolo di Trieste, 19 luglio 1934, p.4. Ma poi: ”Il problema delle scuole felicemente risolto”, in ivi, 12 settembre 1934, p. 3. 227 “La 432 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 Far giungere alle più lontane località della periferia … i servizi comunali … attraverso le case per le istituzioni fasciste … la costruzione di scuole moderne primarie”234. 7. Una città ‘celebrativa’: fulcri urbani simbolici e nuovi monumenti per “Trieste italiana” Tra le prime preoccupazioni del Regime c’era stata quella di celebrare per lapides e per fulcri monumentali la nuova condizione di Trieste, “città italianissima” non più solo in continuità con l’opera a suo tempo svolta dal Partito Liberalnazionale, che aveva retto sotto il Governo asburgico il Comune per oltre un cinquantennio, ma soprattutto attraverso una visibilità concretamente tangibile dell’opera del Fascismo. La ‘politica dei nuovi fulcri’ d’Italianità passava, cioè, attraverso iniziative che nascessero esse stesse con un chiaro intento celebrativo e ‘identitario’ (oltre che economico, speculativo, amministrativo …). Un aspetto questo non da poco in una “città di confine” dall’etnia eterogenea (e ora ‘etero-compattata’) e che, soprattutto, dopo il passaggio, all’Italia aveva visto decadere la sua condizione economica. Serviva il rilancio dell’”Industria edilizia” e le nuove opere previste nel Piano regolatore, specie nella sua versione ‘disegnata’ nel 1931-1932, dovevano farsene carico. Nel 1934, non a caso pochi mesi prima dell’approvazione ufficiale del nuovo Piano, sul mussoliniano Il Popolo d’Italia di Milano usciva un articolo di Alessandro Nicotera che riassumeva il programma del Duce per Trieste: l’inserimento dei problemi particolari della città di Trieste nel quadro dei problemi regionali è di carattere prevalentemente politico … con la stretta dipendenza dell’economia cittadina da quella internazionale … La grande missione politica attribuita a Trieste dalla sua stessa posizione geografica muove naturalmente lo scopo ultimo e più elevato d’ogni proposito. Il Duce considera Trieste uno dei maggiori strumenti dell’espansione italiana e fascista nel mondo e questo basta per assicurare alla città nell’avvenire più o meno prossimo ben altri compiti all’infuori di quelli dell’ordinaria amministrazione235. Trieste diventa cioè esempio di «città corporativa» in quanto inserita piena- 234 A. NICOTERA, “L’approvazione del Duce ad un vasto piano di opere pubbliche a Trieste” …, cit. Ivi, p.3. Le realizzazione ottenevano poi attenzione nazionale: “Il volto nuovo che si prepara la città di Trieste”, in Il Resto del Carlino (Bologna), 16 agosto 1934, p. 3 235 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 433 mente nel ‘sistema corporativo’. I problemi certo non mancavano per fare tutto ciò e soprattutto nell’ottica di una ‘politica pianificata’: nel Dopoguerra – a causa dei prestiti bellici e del cambio della valuta – si trovò col patrimonio privato e pubblico depauperato di oltre 1/3 … e per sopperire ai vuoti del bilancio comunale lo Stato dovette anticipare notevoli somme … Tanto enorme aggravio ha ostacolato grandi iniziative e poi la decisa rinascita delle opere comunali … L’inizio della nuova fase della vita triestina – perché si tratta di un vero e proprio anno storico per Trieste questo XII [1934] - data dal giorno in cui il Duce ha ricevuto i nostri Gonfaloni … e nell’occasione gli veniva esposto un Piano pratico completo. Tra i tre punti del programma (1. Estensione dei servizi; 2. Il rinnovamento del centro) si prevedeva anche 3. La costruzione della Casa del Fascio e dei Balilla. Il rione di Cittavecchia, raccolto intorno al palazzo Municipale, fu sempre baluardo dell’Italianità di Trieste in ogni circostanza e nelle elezioni politiche e amministrative. Così che i “Popolari” tennero anche strenuamente testa alla invadente marea slava … E così una felice ispirazione ha dato l’idea di far sorgere la Casa del Fascio in questa zona … Verrà dunque costruita nella zona più centrica della città, davanti agli avanzi del Teatro Romano e nello stesso tempo sarà contornata dalle case residue … Altra bella e simbolica posizione è stata assegnata alla Casa del Balilla che occuperà l’area di fronte alla Casa del Combattente cioè accanto alla Cella di Oberdan236. E nel frattempo si procedeva in piazza Oberdan, un fulcro aperto ormai da anni. 7.1. Piazza Oberdan: il problema dell’espansione monumentale della città con “uno dei più lussuosi ed eleganti quartieri di Trieste italiana” e con il fulcro celebrativo della memoria di Guglielmo Oberdan Le vicende del tracciamento e della realizzazione della nuova piazza Oberdan, uno dei nuovi fulcri monumentali della città italiana, sono già state ben ripercorse dalla Storiografia237, mettendo in evidenza la complessità e la stratifi236 A. NICOTERA, “L’approvazione del Duce ad un vasto piano di opere pubbliche a Trieste”..., cit. GODOLI, Trieste …, cit., p.192-196; L.L. KRASOVEC, “Il nuovo spazio urbano della piazza Oberdan”, in Archeografo Triestino, LXII (CX), 2002, p. 255-262; Idem, “Progetti, città, identità: spazi urbani e ideologie nazionali a Trieste”, in Acta Histriae, 20, 2012, p. 623-627. 237 434 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 cazione sia delle realizzazioni, sia dei desiderata dell’articolata committenza. L’intervento era complesso: si trattava di risistemare l’area della vecchia Caserma asburgica ove Oberdan era stato imprigionato e giustiziato nel 1882, salvandone la Cella di reclusione; nella vasta area ottenuta dalle demolizioni si puntava a creare uno spazio urbano incentrato su una grande piazza ad esedra, contornata da nuovi edifici e da un intero quartiere; bisognava collocare il nuovo Monumento ad Oberdan celebrativo al centro (realizzato sempre da Attilio Selva e invece posto poi, con la Cella, nel portico della Casa del Combattente, realizzata su un lotto238); si trattava di realizzare la sede delle Associazioni combattentistiche e della Casa del Combattente; bisognava lapideizzare, insomma, l’Italianità politica e amministrativa ormai conseguita dalla città. Così il nuovo quartiere era destinato a comunicare, non solo a livello simbolico, gli imperativi nazionali di ordine, stabilità ed efficienza della dittatura e quella certa “parvenza di partecipazione alle sorti magnifiche e progressive suggerita dalla pubblicità martellante del regime”[239] … Nel contesto del Piano regolatore, dove l’asse viario Carducci-Sonnino venne scelto come “strada base del sistema” ed elemento di congiunzione delle direttrici di sviluppo della città, al nuovo quartiere voleva essere affidata la delicata soluzione di costituirsi quale ingresso “decoroso” e “monumentale” di Trieste240. Nel 1925 era stato indetto un Concorso nazionale per la sistemazione dell’area che era compresa tra il nuovo palazzo di Giustizia e la ex Narodni Dom slovena, incendiata dai Fascisti nel 1920 (Concorso vinto dagli architetti Pietro Zanini e Cesare Scoccimarro di Udine), ma poi il Comune aveva deciso di adottare le previsioni dell’architetto triestino Umberto Nordio: il primo edificio era stato realizzato nel 1930 (palazzo INA-Istituto Nazionale delle Assicurazioni dal fiorentino Ugo Giovannozzi)241, poi ad esso era seguito il Palazzo della Telve (oggi palazzo SIP) nel 1931242 e soprattutto, a partire dal 1929, la “Casa del Combattente” dello stesso Nordio, concretamente iniziata a metà del 1931 238 “Il Monumento a Oberdan sarà inaugurato domenica 29 aprile con un’orazione di Delcrox”, in Il Popolo di Trieste, 5 aprile 1934, p. 6; “L’omaggio a Oberdan. Il Monumento e l’inaugurazione della Casa del Combattente”, in ivi, 19 aprile 1934, p. 4; “Lo scoprimento del Monumento a Oberdan e l’inaugurazione della Casa del Combattente”, in ivi, 27 aprile 1934, p. 3; “Il Museo del Risorgimento nella Casa del Combattente”, in ivi, 29 aprile 1934, p. 4. 239 L. CRUSVAR, “Il sistema urbano nella Trieste degli anni Trenta”, in Gli affreschi di Carlo Sbisà e la Trieste degli anni Trenta, Catalogo della Mostra, Trieste, 1980, p. 85 e segg. 240 G. DELISE e C.N. TROVATO, “Piano e amministrazione: il Piano regolatore generale di Trieste [1934]”, in Storia Urbana (Milano), 51, aprile-giugno, 1990, p. 178-186: “4. Il problema dell’architettura: il quartiere Oberdan”. 241 L.L. KRASOVEC, “Palazzo INA”, in Trieste (1915-1954) …, cit., p. 129-131. 242 Idem, “Palazzo della Telve”, in Trieste (1915-1954) …, cit., p. 139-141. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 435 Camillo Jona, Schizzo prospettico di “Studio per nuova scala a Santa Maria Maggiore”, allegato al “Piano Grassi” del 1934, 19321933 (anche se i lavori venivano poi sospesi nel 1932 e quindi ripresi, fino all’inaugurazione nel 1934). La Cella e il Monumento di Oberdan venivano inseriti nella doppia cortina di archi al pianterreno della stessa casa del Combattente, in collegamento con la futura Casa del Balilla243. 243 Idem, “Casa del Combattente”, in Trieste (1915-1954) …, cit., p. 149-152. 436 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 Nel 1934 il podestà Enrico Paolo Salem decideva di affidare una nuova ‘revisione’ dell’insieme, che aveva assunto un carattere ormai molto vario e ‘disarticolato’ specie nell’esedra e nelle vie radiali, all’architetto romano Mario De Renzi, la cui proposta veniva approvata anche da Nordio244, che cominciava a collaborare con De Renzi anche per altre opere triestine. Già nel 1930 era stato composto il Monumento celebrativo legato alla figura dell’Irredentista245 da parte di Attilio Selva (nel 1931 “lo Scultore ha informato il Podestà sullo stato dei lavori per il Monumento a Oberdan [da inaugurarsi entro il prossimo anno]”246); e poi si era deciso di rinunciare alla collocazione centrale nell’esedra. La parte più complessa riguardava però la strutturazione degli edifici che costituivano l’esedra stessa, che ancora stavano sorgendo, lotto per lotto, nel 1932. Già ai primi del 1931 si poteva comunque esprimere un giudizio al proposito, visto che le prime opere erano elevate. Ma si trattava di un giudizio in ‘chiaro-scuro’ soprattutto per il problema del ‘genius loci’ e per le solite questioni dell’’anti-francesismo’ avanzato dell’intellighenzia cittadina (un anti-francesismo che era economico, era legato ai problemi etnici della città e quindi si riverberava anche sul gusto architettonico di opere ritenute appunto “troppo di gusto francese”): “sette anni fa il Concorso fu bandito dal Comune per il progetto della ‘facciate-tipo’ … la Giuria assegnò il primo Premio a certi progetti mirabilmente disegnati, per quanto di gusto francese piuttosto che italiano … Oggi il primo palazzo è finito e costituisce l’Esedra”247. Dopo due anni, nel 1932, la situazione era progredita, anche se “lentamente” nella costruzione: un po’ lentamente, ma progressivamente, quell’ampia platea costituita dalla vecchia Piazza d’Armi e dall’area dei demoliti edifici della caserma, sarà trasformata in uno dei più lussuosi ed eleganti quartieri di Trieste italiana … La costruzione della caserma (asburgica) ebbe per effetto di allargare la città verso la valle di Rozzol e intensificare il nuovo rione di Farneto (Chiadino), ma permise anche di creare il nuovo quartiere fra Coroneo e Romagna … L’architetto Lodovico Braidotti [incaricato dal Comune già nel 1912 di pensare ad un 244 U. NORDIO, “Il quartiere Oberdan e la sistemazione dell’Esedra”, in Rivista mensile della città di Trieste, 1934, p.242-243 (De Renzi viene definito da Nordio “architetto di sensibilità squisita” in G. CONTESSI, Umberto Nordio. Architettura a Trieste (1926-1943), Milano, 1981, p. 106). 245 “Le basi del monumento a Guglielmo Oberdan”, in Il Popolo di Trieste, 11 aprile 1930, p. 5: “il Monumento sorgerà nell’esedra all’incrocio delle vie sull’area dell’antica Piazza d’Armi. Le fondazioni del Monumento sono già costruite … e il blocco centrale in cemento armato … sarà rivestito di pietra bianca. Il Monumento dello scultore Selva è ben avanzato [nonostante la lunga malattia dello Scultore]”. 246 “Attilio Selva a Trieste … Il monumento a Oberdan”, in Il Popolo di Trieste, 17 marzo 1931, p. 4. 247 Raffaello BATTIGEL, “Trieste architettonica’”, in Il Popolo di Trieste, 8 gennaio 1931, p. 4. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 437 nuovo quartiere nell’area della Caserma che si voleva abbattere] evitò che si tagliassero rettangoli regolari … com’era avvenuto nel Settecento nell’area delle saline … e negli altri rioni urbano (fra corso Garibaldi, l’Ospedale, a San Giacomo e fra il Coroneo e via Crispi) … ma fece accettare la formazione di un’esedra, la formazione di una piazza all’incrocio delle nuove vie con lo sbocco della via Perluigi da Palestrina, e un’altra piazza semicircolare dinanzi al futuro ingresso monumentale del Palazzo di Giustizia. Così, alla vigilia della Guerra fu preparato il nuovo quartiere che il Fascismo va attuando … Sono già stati costruiti due sontuosi palazzi fronteggianti la via Giosuè Carducci e la piazza Dalmazia, un altro elegante palazzo sull’Esedra, due eleganti edifici su via del Coroneo, due altri su via Cicerone. Sono in costruzione: il porticato che racchiuderà la Cella di Oberdan (nel quale porticato sarà costruita la Casa del Combattente) e due eleganti case su via Cesare Beccaria e del Coroneo248. Il nuovo nodo urbano si poneva ormai visivamente con la sua tangibile realtà architettonica, coordinata dal Municipio e dall’istituto “Guglielmo Oberdan”, del quale era parte il gotha dirigenziale e politico della città. dell’Istituto fanno parte il Prefetto, il Podestà, il Preside della Provincia … personalità varie quali il comm. Guido Segre … e l’arch. Umberto Nordio. Per l’erezione dell’Istituto in Ente morale, il Decreto sarà registrato alla Corte dei Conti e pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale”. Fin dal 1926-1927 i camerati Piero Pieri, Renzo Zeico, Roberto Calligaris e Alfredo Zannoni a nome della Federazione Combattenti, della Sezione Mutilati, con la piena adesione dell’Associazione Madri e Vedove e Volontari … avevano pensato ad una soluzione al problema della Casa del Combattente, preparando un progetto che fu presentato anche agli Uffici del Municipio … ottenendo il contributo di lire 200.000 per l’erigenda Casa del Combattente e la cessione gratuita del terreno necessario sui fondi dell’ex caserma “Oberdan”. Nel 1927 venne decisa la formazione di un Consorzio tra le Associazioni Combattentistiche … Il progetto tendeva principalmente a creare le sedi modeste e decorose per le Associazioni Combattentistiche e prevedeva anche la conservazione della “Cella Oberdan” [dove era stato rinchiuso il martire nella caserma asburgica prima di venir giustiziato], che sarebbe stata in qualche modo trasportata nel nuovo edificio, il quale doveva sorgere nella parte posteriore del triangolo chiuso tra via Fabio Severo e la nuova diagonale congiungente l’Esedra con la via Severo. Poi ci furono però problemi di accordo con il Comune e successivamente fu costruito sulla parte anteriore del fondo il palazzo dell’INA, tenendo 248 “Il nuovo quartiere sull’area della vecchia caserma”, in Il Popolo di Trieste, 5 febbraio 1932, p. 4. 438 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 poco conto di una futura sistemazione della zona destinata alla memoria di Oberdan. La questione restò circa a questo punto [morto] fino al 1929 quando il comandante Ernesto Casalini fu nominato Presidente della Federazione Combattenti … e venne studiata la soluzione [pensata] in primo luogo per provvedere alla sistemazione nobile e solenne della Cella di Oberdan e del luogo del supplizio, lasciando la cella intatta al suo posto, coprendo un tratto di strada con un avancorpo, e costruire al primo piano pure maestoso e degno, il Museo del Risorgimento, atto ad ospitare oltre alle testimonianze più pure delle fede italiana di Trieste, ricevimenti importanti; e di completare fino all’altezza necessaria, l’edificio con le sedi, molto più modeste, di tutte le Associazioni. L’edificio, in corso di costruzione, è frutto della fatica dell’arch. Umberto Nordio, che con tutta l’anima si dedicò all’immenso lavoro … vincendo lo scetticismo sulla effettuazione del grandioso edificio. La ditta ing. R.Coppa fu assuntrice dei lavori249. Il Comune era fortemente coinvolto e procedeva alla cessione delle aree comunali: “per nuove costruzioni sul terreno dell’ex caserma … pur condizionate alla costruzione di nuovi edifici … per assicurare lavoro alle industrie e alla maestranze edili … in via Fabio Severo, Cicerone, Regina Margherita, Foro Ulpiano, via Cesare Beccaria e viale Tartini”250. Lo scopo sembrava raggiunto anche prima dell’approvazione del Piano regolatore, tanto che i “Lavori edili [sono] assicurati per 20 milioni di lire”: “nell’area dell’ex caserma Teresiana … in tre anni saranno costruite dieci nuove grandi case … in via Cicerone, sul viale Regina Elena, su via Cesare Beccaria, su via Fabio Severo e sul Foro Ulpiano”251. Nel 1933 si apriva la questione della “Decorazione della Casa del Combattente” con l’auspicio che l’Artista prescelto fosse, appunto, un ex Combattente (si pensava già a qualcuno?)252. Molto delicata restava la questione della “Cella di Oberdan”, scaturigine di tutta l’iniziativa. Per parte sua il Comune, attraverso la Consulta municipale, “sollecitava la sistemazione di via Irnerio dietro la cella di Oberdan”253. Ma 249 “Il superbo bilancio dell’attività dell’istituto ‘G. Oberdan’”, in Il Popolo di Trieste, 3 marzo 1932, p. 4. “Una seduta della Consulta Municipale”, in Il Popolo di Trieste, 24 febbraio 1932, p. 4. 251 “Lavori edili [sono] assicurati per 20 milioni di lire”, in Il Popolo di Trieste, 25 febbraio 1932, p.4. 252 “I lavori di decorazione alla Casa del Combattente”, in Il Popolo di Trieste, 4 novembre 1933, p.3. La risposta redazionale alla richiesta è che “sempre però in base ad un libero Concorso, quindi all’infuori di determinate ingerenze o preferenze”. Sulla questione dell’affidamento dell’incarico: “La Casa del Combattente e gli Artisti”, in ivi, 25 ottobre 1933, p.2; “Per gli affreschi della Casa del Combattente”, in ivi, 31 ottobre 1933, p. 2. 253 “Una seduta della Consulta Municipale presieduta dal Podestà, sen. Pitacco”, in Il Popolo di Trieste, 13 maggio 1932, p.4. 250 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 439 anche l’Opinione pubblica era fortemente coinvolta nell’opera e non era mancato chi aveva scritto al Popolo di Trieste avanzando idee sulla sistemazione del fulcro celebrativo: perché non conservare l’ala dell’ex caserma Oberdan [con la cella] sistemando architettonicamente le nuove facciate createsi con le demolizioni del complesso e facendo gli opportuni restauri? Con ciò si contribuirebbe alla definizione della piazza Oberdan ancora in formazione254. Nel 1932 ormai la decisione era presa: “c’è la possibilità che gli ex Combattenti trovino i denari per continuare la costruzione dell’edificio sopra le arcate ove chiuderanno la Cella del Martire”255. Il Piano avrebbe dovuto dire la parola “fine” anche a tutta questa serie di problemi irrisolti. Il Popolo di Trieste si poneva in prima linea nel cercare di sbloccare la situazione e si susseguivano dunque una serie di interventi e di lettere nelle quali si mettevano a confronto idee e possibilità, ma sempre in vista della conclusione dei lavori: “Il quartiere Oberdan e le nuove costruzioni” (lettera nella quale si affrontava il problema degli imprenditori diversi e delle aree libere)256; e poi “Il quartiere Oberdan e le nuove costruzioni” (con la proposta di costruire un edificio scolastico moderno)257. Nel frattempo nel programma stilato dalle Autorità cittadine e approvato da Mussolini si prevedeva che altra bella e simbolica posizione è stata assegnata alla Casa del Balilla che occuperà l’area di fronte alla Casa del Combattente cioè accanto alla Cella di Oberdan e sulla piazza … anche piazza Oberdan avrà prontamente la sua definitiva sistemazione con la costruzione dell’edilizia ancora mancante … e con la costruzione, nel mezzo dell’esedra di una grande e semplice fontana dedicata ai caduti della Rivoluzione258. 7.2. Altre questioni cittadine tra Cultura, Architettura e Monumentalità “italiana” Un icastico “il fatto della ‘Redenzione’ [unione all’Italia] della città non elimina ma forse moltiplica la somma di doveri sociali di una grande città 254 “La cella di Oberdan e un’eventuale nuova sistemazione”, in Il Popolo di Trieste, 13 maggio 1931, p. 4. “Lavori edili [sono] assicurati per 20 milioni di lire’”, in Il Popolo di Trieste, 25 febbraio 1932, p. 4. 256 “Lettera. Il quartiere Oberdan e le nuove costruzioni”, in Il Popolo di Trieste, 10 settembre 1933, p. 2. 257 “Lettera. Il quartiere Oberdan e le nuove costruzioni”, in Il Popolo di Trieste, 13 settembre 1933, p. 2. 258 A. NICOTERA, “L’approvazione del Duce ad un vasto piano di opere pubbliche a Trieste”, in Il Popolo d’Italia (Milano), 9 gennaio 1934, p. 3. 255 440 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 civile”259, sembrava costituire il segnale di un impegno che vedeva il fattore culturale e artistico messo al centro del dibattito. Cambiava per questo anche la visione delle manifestazioni cittadine. Ad esempio “quando la nostra città era la vera capitale della province italiane dell’Austria, l’avere il teatro aperto in Carnevale e Quaresima rappresentava un dovere patriottico … Oggi quell’apertura invece … rientra nella somma dei ‘doveri sociali’ di una grande città”. Ma si imponeva anche la strutturazioni di nuovi centri della vita civile, com’era avvenuto per la “Galleria del Tergesteo”, i cui progetti erano stati presentati nel 1930 e che il Piano regolatore doveva ribadire come fulcro della collettività triestina: “con il compimento del progetto di adattamento del pianterreno del Tergesteo a Galleria e Portici … si compirà una bellissima trasformazione che darà a Trieste un centro veramente italiano”260. Tutto non sembrava ‘casuale’, ma mirato alla ricerca di nuovi ‘fulcri moderni’ di Italianità: “i progetti sono stati presentati al Segretario Federale [Carlo Perusino] dall’architetto Cornelio Budinis … Sarà un centro di ritrovo elegante e utile al momento cittadino … I progetti, con varianti, comprendono la Galleria, il portico sulla facciata e il portico al lato di via della Borsa”261. L’intervento era stato inaugurato nel giugno del 1930262 e negli anni successivi rimaneva la sua carica paradigmatica per una città che intendeva modernizzarsi anche attraverso interventi puntuali. 7.2.1. Il Palazzo di Giustizia Tra i nuovi fulcri monumentali per la Trieste italiana si distingueva, ovviamente, il nuovo Palazzo di Giustizia per il quale, nel 1931, venivano completati “i rivestimenti in pietra bianca del Carso ai basamenti delle facciate”263. L’edificio risaliva al 1924 quando era stato progettato da Enrico Nordio264, ma i lavori si erano protratti e solo ora se ne andava ufficializzando il compimento a cura di suo figlio Umberto: 259 “La questione del Teatro lirico [e la sua apertura]”, in Il Popolo di Trieste, 2 marzo 1932, p. 4 Galleria e i Portici del Tergesteo”, in Il Popolo di Trieste, 25 gennaio 1930, p. 4. 261 “I progetti della galleria del Tergesteo”, in Il Popolo di Trieste, 30 gennaio 1930, p. 5. E prima per le questioni amministrative: “il progetto dell’arch. Budinis e dell’ing. Luzzato … necessita dell’accordo per l’indennizzo del Comune alla Società proprietaria per l’esproprio”: “Il progetto di Galleria e Portici del Tergesteo”, in ivi, 24 gennaio 1930, p. 5. 262 “Il 28 giugno s’inaugurerà la galleria del Tergesteo”, in Il Popolo di Trieste, 13 giugno 1930, p. 5. 263 “Un provvedimento pratico a favore dell’industria edilizia”, in Il Popolo di Trieste, 4 marzo 1931, p. 4. 264 GODOLI, Trieste …, cit. p.192. 260 “La F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 441 accompagnato dai sovrintendenti ai lavori di costruzione , il comm. ing. Camanzi, Capo del genio Civile, e l’ing. Colussi … il Duca d’Aosta ha gradito di recarsi a visitare il cantiere della facciata, progettata dall’architetto Enrico Nordio … Poi il Duca si è incamminato per la visita agli uffici e alle aule, site al secondo e terzo piano … chiedendo particolari ragguagli sull’assetto degli ambienti e sulla sistemazione definitiva … indugiando particolarmente nei reparti della Procura Generale, visitando la biblioteca e persino le aule265. 7.2.2. Attilio Selva, i pili monumentali di piazza dell’Unità e il giudizio di Marcello Piacentini Di grande rilevanza monumentale e celebrativa era anche la realizzazione dei grandi pili porta-bandiera che arredavano piazza dell’Unità e per i quali veniva chiamato sempre lo Scultore delle ‘Istituzioni triestine’, Attilio Selva. Già nel 1930 la questione si era profilata (“I piloni di piazza Unità”266) ma l’anno dopo si annunciava che “la fusione dei pili potrebbe essere terminata per la fine dell’anno … Lo scultore ha presentato il bozzetto in gesso nelle misure di 1/5 del naturale … Il bozzetto ha trovato la generale approvazione”267. Della qualità della realizzazione bisognava essere sicuri, per cui il podestà Pitacco chiedeva un parere a Marcello Piacentini che da Roma lo rassicurava di una “vera e propria opera d’Arte”: soltanto ora posso coscienziosamente scriverle intorno ai due piloni da erigersi a Trieste in piazza Unità [al posto dei due attuali provvisori] proprio perché in questi giorni il bozzetto definitivo è stato compiuto. E sono lieto di poterle dire subito di essermi trovato di fronte ad una vera opera d’arte. Il problema, non facile, è stato ottimamente risolto con originalità e con sapienza. Buono il rapporto tra le parti basamentali e il fusto e ben trovati i passaggi dei gradoni rotondi alla zona esagonale e quindi al fusto di nuovo rotondo, Veramente trovato il capitello, con le tre Fame che si rincorrono. Le figure in piedi ben schizzate potranno diventare statue grandiose. La bella e vasta piazza triestina avrà due pili di grande pregio e superiori – soprattutto per significato – agli altri delle città adriatiche. Firmato: Marcello Piacentini268. 265 “Visita di S.A.R. il Duca d’Aosta al Palazzo di Giustizia”, in Il Popolo di Trieste, 5 marzo 1932, p. 4. piloni [portabandiera] di piazza Unità”, in Il Popolo di Trieste, 13 marzo 1930, p. 4. 267 “Attilio Selva a Trieste. Il bozzetto dei pili per piazza Unità”, in Il Popolo di Trieste, 17 marzo 1931, p. 5. 268 “Un giudizio di S.E. Piacentini sul progetto di Attilio Selva per i due piloni di piazza Unità”, in Il Popolo di Trieste, 23 marzo 1931, p. 4. 266 “I 442 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 8. Una nuova ‘politica culturale’ per l’architettura di Trieste italiana tra Tradizione ed Avanguardia: come costruire la nuova Trieste? Il nuovo Piano regolatore fin dal 1925 apriva importanti prospettive edilizie, non solo per la realizzazione di infrastrutture e servizi, ma anche per l’espansione edilizia e il rinnovo (aggiornamento) dei fulcri monumentali (quali la piazza il quartiere Oberdan, gli edifici rappresentativi, il nuovo “Foro” …). Come realizzare tutto questo, affinché si trattasse di una “architettura italiana”? Alcuni esempi di ‘felici’ realizzazioni di “un centro veramente italiano”269 nella Galleria del Tergesteo si erano avute, ma non erano mancate anche le rimostranze, per piazza Oberdan, per certe concessioni “al gusto francese piuttosto che italiano”270. I Professionisti, i Critici e gli Operatori culturali si mettevano in moto per rispondere alle nuove esigenze, con occhio attento, anche in eventi ‘retrospettivi’, alla Contemporaneità; oppure in piena promozione di ‘linee stilistiche’ di piena Avanguardia. Quanto era stato fatto da ultimo in città – fornendo così uno spaccato delle tendenze più significative che si erano venute confrontando – veniva presentato dall’Amministrazione Comunale alla “Prima Mostra d’Ingegneria” connessa al “Congresso degli Ingegneri” di Roma dell’aprile 1931. Erano stati inviati, come particolarmente significativi, i lavori del nuovo acquedotto Randaccio, raccolti in bellissimi disegni, modelli e plastici … e il Faro della Vittoria [i cui disegni sono stati inviati] a cura del Genio Civile insieme ad un album di dettagli costruttivi; e parecchie fotografie del Molo VI. I Magazzini Generali hanno partecipato con disegni e fotografie del Silos granario, di capannoni del Molo VI, della Stazione Marittima e del progettato Idroscalo. La [compagnia] Cosulich ha esposto il modello della [motonave] “Saturnia” … Trieste era rappresentata all’inaugurazione da parte del Capo del Governo, dal podestà sen. Pitacco271. 269 “La Galleria e i Portici del Tergesteo”, in Il Popolo di Trieste, 25 gennaio 1930, p. 4. Raffaello BATTIGEL, “Trieste architettonica”, in Il Popolo di Trieste, 8 gennaio 1931, p. 4. 271 “La partecipazione di Trieste alla ‘Prima Mostra d’Ingegneria’ e al ‘Congresso degli Ingegneri’ a Roma”, in Il Popolo di Trieste, 15 aprile 1931, p.4. Il Molo VI era stato ristrutturato a partire dal 1924 (cfr. Archivio di Stato di Trieste, fondo “Capitaneria di Porto”, b.326 cit. in Romano, “Lavorare in funzione del Porto”…, cit., n.43). Ma soprattutto: “Trieste nelle realizzazione fasciste (anni I-XII E.F, 1922-1934)”, in Opere Pubbliche (Roma), marzo-aprile, 1935. Il volume è un importante spartiacque per comprendere la situazione delle realizzazioni prima e dopo l’approvazione del nuovo Piano regolatore (evidenziando continuità, novità, cambiamenti etc.). Non a caso vi compariva il saggio introduttivo “Il risveglio fascista di Trieste” di Giuseppe Cobolli Gigli, allora Sottosegretario di Stato ai Lavori Pubblici. 270 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 443 8.1. Il rinnovamento della città all’insegna della Tradizione: il Neo-medioevo, il Neo-barocco e l’esempio dei ‘Neoclassici milanesi’ A fornire un preciso orientamento al gusto architettonico cittadino, con sguardo retrospettivo, ma di decisa attenzione alla Contemporaneità, si poneva Arduino Berlam con una esplicita “Conferenza al Circolo Artistico” su “Il Medieovo in rapporto all’Arte moderna”. L’Architetto procedeva infatti “ad un acuto raffronto con le principali concezioni dell’arte moderna”272 e trovava dunque nel Medioevo, opportunamente ‘modernizzato’, un interessante orizzonte operativo al quale rifarsi. La politica culturale cittadina strettamente connessa alla visione di Trieste italiana, trovava, ancora, un proprio fulcro nella celebrazione della figura di Carlo Polli, architetto Capo del Comune di Trieste che tanto aveva partecipato alla modernizzazione della città e che era da poco scomparso. E ancora una volta era sempre Arduino Berlam a fare da mentore all’iniziativa (e alla celebrazione di specifici valori sempre applicabili nella Contemporaneità), visto che i due Architetti avevano anche collaborato per il “Palazzo Aedes”: nella Sala della Permanente si è avuta l’inaugurazione della Mostra postuma dedicata all’architetto Carlo Polli, organizzata dal Sindacato Architetti … Le virtù artistiche di Polli riceveranno anche un vigoroso risalto dalla parola del comm. arch. Arduino Berlam, che ne terrà la Commemorazione … dopo l’inaugurazione della Mostra273. Poteva, infatti, sembrare un omaggio a rebours, ma era implicita, invece, anche una ’visione di città’ e la proposizione di un ‘modello paradigmatico’ (fatto di “virtù artistiche” e non solo ‘quantitative’) che il Piano regolatore in gestazione si riteneva dovesse sviluppare, specie nella visione di Arduino Berlam. Già qualche giorno prima era stato annunciato che “la Mostra comprenderà progetti che riscossero successo a vari concorsi e numerosissimi schizzi, fra cui si trovano parecchie riproduzioni di opere edilizie redatte dall’architetto Polli nei 272 “Conferenza dell’arch. Berlam al Circolo Artistico”, in Il Popolo di Trieste, 11 gennaio 1931, p. 4. Del resto Arduino tra il 1924 e il 1928 aveva realizzato, sulla Riva, il “palazzo Aedes” o “grattacielo rosso”, decisamente un’opera ‘neo-medievale’, opportunamente modernizzata, anche se celebrata dall’Architetto come “il primo edificio schiettamente e americanamente moderno di Trieste … realizzato [non a caso] in Pietra d’Orsera, mattoni faccia a vista e chiazze coloristiche di ceramica faentina” (A. BERLAM, “Il palazzo “Aedes”, in Il Piccolo di Trieste, 18 aprile 1926). Infatti, la struttura era in cemento armato, ma “rivestita da leggere pareti doppie di mattoni”. Il progetto dell’edificio, firmato da Arduino Berlam, era stato disegnato in base alle indicazioni dell’architetto Carlo Polli, “associato” all’impresa. Cfr. M. POZZETTO, I Berlam, Trieste, 1999, p.169-181 in part. p. 171. 273 “L’inaugurazione alla Mostra sull’architetto Carlo Polli alla Permanente, in Il Popolo di Trieste, 8 marzo 1932, p.4. 444 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 suoi viaggi … grazie alla sua rara valentìa di disegnatore”274. Infatti sottolineava Berlam nella sua Commemorazione quello di Polli era un “Classicismo umanistico” … che si compiaceva di una certa ‘Primitività’ [medievale] molto distinta ancorché forse un poco leziosa, sul genere di quella che piace al gruppo di giovani “Architetti milanesi” che erano del resto suoi amici e condiscepoli, quali Giò Ponti o Lancia, o compagni, e che non differisce molto dal Neoclassicismo tedesco275. Berlam si bilicava dunque tra l’apprezzamento dell’opera di Polli e una sottolineatura di ‘troppa cura’ insita nelle proposte dell’Architetto scomparso, mettendone comunque in evidenza i legami con l’ambiente milanese e con quei ‘Neoclassici’ che Giovanni Muzio rappresentava con maggior fama (ma che vedeva anche Giò Ponti in particolare, attivo anche a Trieste, quasi che Polli – insieme a Gustavo Pulitzer Finali – avesse fatto ‘da sponda’ all’Architetto milanese). Del resto, si ricordava dalla pagine del giornale che “Polli, morto l’anno scorso [1931] a 38 anni … non era un architetto nel senso puro della parola, ma piuttosto una persona che aveva studiato a fondo, con molto amore e con molta costanza, l’architettura”. Non solo il Medioevo e il Classicismo, però, attiravano l’attenzione degli uomini di Cultura triestini. Anche il Barocco, che aveva ispirato molte architetture eclettiche dell’Ottocento asburgico e anche a Trieste aveva fatto bella mostra di sé, poteva essere rivitalizzato dalla Modernità. Attraverso la recensione di un testo di Margherita Nugent (Pittura italiana del Seicento) si forniva la spiegazione del perché il Barocco piacesse ancora ai Moderni: il Seicento fu ricco di magnificenze, grave di audacie deliranti, d’accademiche freddezze, di ribellioni spassionate. Disgregatore per sua natura, infrangendo la serenità estetica del Rinascimento, la pittura si fa poliedrica: verismo, virtuosismo, manierismo, fra ricerche prospettiche, problemi stilistici e coloristici. Tale travaglio tormentoso lo indica quale germe dell’Arte moderna276. E non a caso “nell’Architettura il Seicento trova la sua gloria. È spesso morboso, ma anche caldo di raffinate esperienze … e col moto di vibrazioni essa 274 “La Mostra postuma dell’architetto Polli”, in Il Popolo di Trieste, 2 marzo 1932, p. 4 “L’arte e le opere dell’arch. Polli in un’austera Commemorazione di Arduino Berlam”, in Il Popolo di Trieste, 9 marzo 1932, p. 4 276 MANZUTTO, recensione a “Margherita Nugent, Pittura italiana del Seicento. Impressioni sulla Mostra organizzata da Ugo Ojetti “La pittura italiana del Seicento e del Settecento” del 1922 (San Casciano Val di Pesa [Fi], 1925), in Il Popolo di Trieste, 15 febbraio 1931, p. 5. 275 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 445 dette origine al Romanticismo europeo”. Sembrava di leggere un manifesto di Arte moderna e infatti “la Mostra “la Pittura italiana del Seicento e del Settecento” agevolò agli Studiosi la via per rivalutare e ricostruire, fra luci e ombre, complesse correnti … in un’opera di storia fino ad ora fin troppo ignorata e di conseguenza negletta”. 8.2. Il rinnovamento della città all’insegna dell’Avanguardia: Filippo Tommaso Marinetti e Trieste (1932) e una singolare lettura ‘futurista’ del “Grattacielo Aedes” di Arduino Berlam (attribuito a Gustavo Pulitzer Finali) Con grande tempestività, proprio mentre si stavano mettendo in cantiere i progetti di rinnovo urbano e la definizione del Piano regolatore, la presenza di Filippo Tommaso Marinetti a Trieste si faceva più incisiva con una serie di manifestazioni “futuriste”. Perduta ormai la dirompenza spiazzante dei primi happening e ‘sdoganato’ il “Secondo Futurismo” tra le «Arti di Stato», una visibilità così eloquente dell’Avanguardia mostrava di saper produrre non solo buona accoglienza da parte del Pubblico e delle Autorità, ma anche di poter avanzare proposte per realizzazioni concrete. Non mancavano però anche i manifesti architettonici di tutto questo e Il Popolo di Trieste celebrava con taglio futuristico, in una prospettiva del tutto singolare, proprio la realizzazione del “Grattacielo Aedes” di Berlam. Il “volo” e il “cemento armato”, in quell’unione tra “cielo e terra” sembravano la ‘cementificazione delle istanze estetiche dell’’”Aereopittura” di Tullio Crali; tanto più che si trattava dell’appartamento adibito a sede dell’”Aero Club”277. La confusione sulla paternità dell’opera architettonica era notevole e l’Articolista anonimo non faceva parola della progettazione dell’edificio da parte di Arduino Berlam, ma menzionava solo Gustavo Pulitzer Finali (che, oltre ad aver ideato la sistemazione della sede aveva anche il proprio Studio professionale nel grattacielo278. Da questo forse la ‘confusione’): [il grattacielo è] la più ardita costruzione ch’è sorta a Trieste in questi ultimi 277 F. ZUBINI, Borgo Teresiano, Trieste, vol. II, 2004, p.209: “il Reale “Aero Club” di Trieste “Ernesto Gramaticopulo” aveva sede nel ‘grattacielo’ di piazza Duca degli Abruzzi”. Il che dimostra che si trattava non di un nuovo grattacielo, come lasciava intendere l’Anonimo articolista, ma del “palazzo Aedes”. L’Areo Club triestino, del quale si è persa in gran parte memoria, era invece strettamente connesso all’idroscalo della “SISA-Società Italiana Servizi Aerei”, importante compagnia passeggeri e prima compagnia aerea commerciale italiana. Nel colonnello Dalmazzo – committente dell’arredamento ‘moderno’ della sede – è forse da identificare un parente se non addirittura il Colonnello (poi Generale di Corpo d’Armata dopo la campagna d’Etiopia), anche se di Fanteria e non dell’Aeronautica, Lorenzo (Renzo) Dalmazzo. 278 Devo la notizia a Diana Barillari, che ringrazio. 446 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 anni … [ed è dunque adatto] per ‘gente d’Avanguardia’ [quelli del volo] che si sarebbe trovata a disagio nei saloni d’un vecchio palazzo … Ed è per questo che il colonello Dalmazzo e il suo architetto [Pulitzer] preferirono il cemento armato … Il grattacielo … che venne costruito in brevissimo tempo … si eleva a cospetto del mare ad un’altezza iperbolica … e sulle sue più alte torrette … si è tra il cielo e la terra … grazie ai suoi velocissimi ascensori279. E, dunque, con il moderno idroscalo, inaugurato nel 1933, progettato dall’ingegner Pollack, con ingresso sul largo Duca degli Abruzzi (dove affacciava, appunto, anche il “Grattacielo Aedes”), veniva a configurarsi un fulcro della Modernità cittadina, futuristicamente connesso al volo. All’interno del “Grattacielo” ritornava, invece, lo stesso gusto Decò di Pulitzer per l’arredo delle navi: l’arte del Pulitzer … si manifesta in mille modi … nel Salottino da Tè, arredato con mobili dorati e intarsiati (questo è l’unico cantuccio ove domina lo stile d’altri tempi). Ovunque, altrove, nell’aristocratico appartamento, vi è l’arte di oggi manifestata nella forma più bella. Il grande salone dalla parete a vetri verso il mare ha un arredamento originalissimo in acciaio curvato e al centro del soffitto un nuovissimo lampadario, a globi, in perfetto “Stile Novecento”. Graziose le sale di conversazione e tutta la serie delle salette da gioco … una esclusivamente riservata per il bridge … per accogliere tutta l’élite triestina. Del resto che in riferimento alla Modernità e all’Avanguardia il pubblico non avesse le idee molte chiare lo ribadiva un fondo del Popolo di Trieste dedicato alla “Mostra dell’Arte d’Avanguardia” del 1931, laddove si notava che per molti Visitatori la Mostra d’Avanguardia è “futurista”. E simili bestialità e simile ignoranza dovrebbe ormai far vergogna … Ma sopra e oltre il Futurismo ci sono le magnifiche, vigorosissime forma dell’Arte attuale .. e oltre ai giochi delle linee e alle parate dinamiche del Futurismo c’è l’Arte che analizza, che ricerca l’essenza intima delle cose, che non si accontenta della cruda impres- 279 “Il Circolo dell’Aero Club sul grattacielo di Trieste, elevato in riva al mare dall’architetto Pulitzer”, in Il Popolo di Trieste, 24 maggio 1931, p.5. La Modernità di Pulitzer Finali, con lo “Studio STUARD” dov’erano coinvolti i suoi collaboratori più giovani, era piuttosto articolata, bilicandosi tra “Novecento”, ‘Razionalismo Dèco’ di Giò Ponti (Gustavo Pulizer Finali. Il disegno della nave, Catalogo della Mostra, a cura di D.Riccesi, Venezia, 1985) e Avanguardia grazie alla collaborazione con Augusto Cernigoi e Giorgio Lah (il mio F. CANALI, “Architettura del Moderno nell’Istria italiana (1922-1942). Gustavo Pulitzer Finali, Giorgio Lah e Eugenio Montuori … per Arsia e Pozzo Littorio”, Quaderni CRSR, vol. XVII, Rovigno d’Istria, 2006, p. 225-275; Idem, Istria: le “città del carbone”, in Città di Fondazione e Plantatio Ecclesiae, a cura di P. Culotta, G. Gresleri, Bologna, Compositori, 2007, p. 200-213). F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 447 sione visiva, del lavoro superficiale280. 8.3. Il rinnovamento della città all’insegna dell’Avanguardia: Camillo Jona e la difesa del Razionalismo Inaspettata giungeva poi una volata al gusto dell’Avanguardia – anche se questa volta razionalista – da parte di Camillo Jona, che era, peraltro, uno dei principali redattori del nuovo Piano regolatore, a configurare così l’’apertura stilistica’ che avrebbero goduto le future proposte architettoniche comprese nel Piano stesso In riferimento agli ultimi sviluppi architettonici degli edifici in piazza Oberdan, le polemiche per tutti i millanta motivi (gusto architettonico, collocazione della Cella, distribuzione dei lotti …) ancora nel 1933 non si erano affatto placate e soprattutto erano giunte alle Autorità comunali le proteste di chi denunciava una decisa disomogeneità nel gusto architettonico adottato, con la nuova ‘intrusione’ ‘addirittura’ di edifici razionalisti, moderni. Scendeva in campo, allora, l’ingegner Camillo Jona, lamentando le resistenze che si stavano opponendo alla Modernità in nome di una “omogeneità architettonica” che contraddiceva la stessa natura dell’Architettura. La sua era una difesa dell’Avanguardia razionalista, che trovava pochi eguali in città, se non tra i giovani dell’Avanguardia stessa: mi sento in dovere d’interloquire anch’io come architetto nella dibattuta questione del quartiere che sta sorgendo sull’area delle ex Caserme di piazza Oberdan e che fu criticato in seno alla Consulta Municipale causa la poca omogeneità architettonica. Riguardo a ciò debbo osservare che ogni epoca ha un proprio carattere architettonico e se vediamo nelle città consorelle lo stile cinquecentesco sovrapporsi al romanico o al gotico pur nello stesso edificio o se osserviamo accanto a chiese medievali sorgere palazzi barocchi, perché non scaglieremo l’anatema anche contro i grandi architetti del passato? … ma se c’è qualcosa di imponderabile, di superiore ai rigidi canoni dell’architettura che si incarica di smorzare i troppo violenti contrasti di carattere, dovuti ad epoche diverse, è l’influenza degli agenti atmosferici che coll’andar degli anni crea quella patina detta “colore del tempo” che tutto fonde e rende pittoresco. Si rassicurino dunque i cittadini tanto per il quartiere Oberdan quanto per altro- 280 “Importanza della Mostra d’Arte d’Avanguardia del GUF di Trieste”, in Il Popolo di Trieste, 28 giugno 1931, p. 3. 448 F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 ve, che le espressioni architettoniche della nostra epoca non deturperanno l’ambiente. Indietro non si torna, nemmeno in architettura: Anche se le architetture moderne sono dileggiate da alcuni che non le comprendono, come scatoloni o altro, non si può astrarre da quella realtà del presente che è lo stile razionalista o funzionale come lo si vuol chiamare … che corrisponde in pieno alle necessità … della nostra epoca. Osteggiarlo significa opporsi al progresso. Cerchino le Autorità [piuttosto] di respingere i cattivi progetti, causa massima delle deturpazioni lamentate e quei progetti che di razionalista hanno soltanto la veste ma non lo spirito e sarà bene per la serietà dell’arte e per l’estetica cittadina281. Alla nuova Trieste del Piano sembravano aprirsi scenari impensati per la nuova ’era Salem’. 281 “Il caos architettonico di piazza Oberdan. Lettera dell’ing. Camillo Jona”, in Popolo di Trieste, 23 agosto 1933, p. 3. F. Canali, Piani regolatori di “Città italiane” dell’Adriatico orientale, III, Quaderni, vol. XXVI, 2015, p. 353-449 449 SA@ETAK PROSTORNI PLANOVI “TALIJANSKIH GRADOVA” NA ISTO^NOM JADRANU (1922-1943). PROSTORNI PLAN TRSTA (1930. - 1934.) Autor analizira pripremu i dono{enje prvog Prostornog plana za talijanski Trst u razdoblju od 1932. do 1934. Bio je to slo‘en zahvat iako su tada{nji kriti~ari isticali kako se radilo samo o temeljitoj reviziji Plana iz 1925. kojeg je priredio isti projektant Paolo Grassi, mada je on tvrdio da ga je radikalno promijenio nakon {to je 1929. Vrhovno vije}e Ministarstva za javne radove odbilo njegov prija{nji prijedlog. Listanjem stranica novina Il Popolo di Trieste, slu‘benog glasila tr{}anske fa{isti~ke stranke, kojeg su historiografski istra‘iva~i prili~no zanemarili, otkrivene su nove rasprave, opredjeljenja i djela koja su obilje‘ila dvogodi{te 1932.-1934. Ovaj je period bio izuzetno va‘an za odre|ivanje kona~nih prijedloga. Postojao je ~itav niz vi|enja mogu}ih rje{enja, ali je pogotovo te{ko bilo odrediti glavne ~vorove urbane politike koji bi mogli modernizirati i aktualizirati gradski ‘ivot u odnosu na potpuno promijenjeni nacionalni i me|unarodni scenarij. POVZETEK PROSTORSKI NA^RTI “ITALIJANSKIH MEST“ NA VZHODNEM JADRANU (1922-1943). PROSTORSKI NA^RT TRSTA (1930 - 1934) Avtor raz~leni pripravo in izdelavo prvega “Prostorskega na~rta” za italijanski Trst med leti 1932 in 1934; kompleksen postopek, ~eprav so kritiki raje poudarjali, da naj bi {lo za dejansko revizijo na~rta, ki ga je leta 1925 izdelal isti projektant, Paolo Grassi; ta je tudi povedal, da ga je korenito revidiral, po tem ko je njegov prvi predlog vi{ji odbor Ministrstva za javna dela zavrnil leta 1929. Pri prebiranju ~asopisa Il Popolo di Trieste, uradnega glasila tr‘a{kih fa{istov, ki ga je zgodovinopisje doslej le malo upo{tevalo, se pojavljajo nove razprave, odlo~itve in dela, ki so zaznamovali dveletno obdobje med 1932 in 1934. Le-to se je pokazalo kot odlo~ilno pri uvajanju dokon~nih predlogov, opazimo lahko ne samo {tevilne najrazli~nej{e na~rte, pa~ pa predvsem prizadevno ugotavljanje tistih ‘centrov mestne politike’, za katere je veljalo, da lahko posodobijo in aktualizirajo mestno ‘ivljenje glede na popolnoma spremenjene nacionalne in mednarodne razmere.