PER LEGGERE
I GENERI DELLA LETTURA
ANNO XV, NUMERO
29,
AUTUNNO
2015
PER LEGGERE
I gener i della lettura
Rivista semestrale di commenti, letture e edizioni
di testi della letteratura italiana
www.r ivistaperleggere.it
Direzione
I SABELLA B ECHERUCCI , S IMONE G IUSTI , F RANCESCA L ATINI
ROBERTO L EPORATTI , N ATASCIA T ONELLI
Redazione
C ARLO A NNELLI , S IMONETTA P ENSA
C ARLA P ENSA , S IMONETTA T EUCCI
Editing e stampa
P ENSA M ULTI M EDIA E DITORE
73100 Lecce - Via A. M. Capr ioli 8
25038 Rovato (Bs) - Via C. Cantù, 25
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ISSN 2279-7513 (on line)
© Pensa MultiMedia 2015
Finito di stampare
nel mese di ottobre 2015
Comitato scientifico
ROBERTO ANTONELLI (Università degli Studi di Roma “La Sapienza”), JOHANNES
BARTUSCHAT (Università di Zurigo), FRANCESCO BAUSI (Università della Calabria),
FRANCO BUFFONI (IULM di Milano), STEFANO CARRAI (Università degli Studi di
Siena), MASSIMO CIAVOLELLA (UCLA), ROBERTO FEDI (Università per Stranieri di Perugia), PIERANTONIO FRARE (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), MARINA FRATNIK (Università di Parigi VIII), PAOLO GIOVANNETTI (IULM di Milano),
ALESSANDRO MARIANI (Università degli Studi di Firenze), MARTIN MCLAUGHLIN
(Università di Oxford), EMILIO PASQUINI (Università degli Studi di Bologna), FRANCISCO RICO (Università Autonoma di Barcellona), PIOTR SALWA (Università di Varsavia), GIULIANO TANTURLI (Università degli Studi di Firenze), TIZIANO ZANATO (Università degli Studi di Venezia).
Lettura e valutazione degli articoli
(Open Peer Review)
La rivista “Per leggere” riceve e valuta commenti, letture (lectiones) e edizioni critiche
di testi della tradizione letteraria. Gli articoli, che devono rispettare le norme redazionali pubblicate sul sito www.rivistaperleggere.it, sono inviati in formato elettronico all’indirizzo della redazione e vengono sottoposti a una prima valutazione da parte della direzione, che provvede a recapitarli in forma anonima a due revisori, i quali sono invitati a fornire un parere scritto accompagnato da eventuali suggerimenti di modifiche
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Sulla base del parere dei revisori, l’articolo può essere accettato senza riserve, accettato a
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I revisori sono individuati dalla direzione tra i membri del comitato scientifico o tra esperti esterni. I nominativi dei revisori sono resi noti alla fine di ciascuna annata.
Una volta accettato, l’articolo viene trasmesso alla redazione, che provvede a comunicare
all’autore il numero del fascicolo in cui sarà pubblicato.
Gli autori degli articoli sono infine invitati a consegnare in allegato al testo definitivo l’elenco dei nomi, l’eventuale indice dei manoscritti citati, l’abstract dell’articolo in lingua italiana e inglese.
* Per i numeri 28 e 29 sono stati revisori, secondo la formula del ‘doppio cieco’, Carlo Caruso, Alessio Decaria, Giovanna Scianatico e Carlo Vecce.
SOMMARIO
7
ENRICO FENZI
Sull’ordine di tempi e vicende nel Bucolicum carmen di Petrarca
On time and the order of events in Petrarch’s Bucolicum carmen
25
ROSANGELA FANARA
Per il commento ai Sonetti et canzoni di I. Sannazaro. (Lettura dei sonetti 1-3)
For the commentary on I. Sannazaro’s Sonetti et canzoni.
(A reading of sonnets 1-3)
51
MAURO BIGNAMINI
Sul sonetto Ombra ferita… di Giovanni Raboni: allusività metrica e altre
agnizioni di lettura
On the sonnet “Ombra ferita…” by Giovanni Raboni: metrical allusiveness and
other referential elements
69
FRANCESCA LATINI
Commento a Miracoli di Fernando Bandini
Commentary on Fernando Bandini’s Miracoli
DIALOGHI
109
ISABELLA BECHERUCCI
La collaborazione di Ermes Visconti alla tragedia del Conte di Carmagnola
Ermes Visconti’s cooperation on Manzoni’s first tragedy
INTORNO AL TESTO
143
GIUSEPPE MARRANI
Miscellaneous manuscripts: the Case of the Italian Medieval Lyric Tradition
151
FRANCESCA FLORIMBII
Fra le carte di un traduttore: Petrarca e le Senili di Giuseppe Fracassetti
Among a translator’s papers: Petrarch and Giuseppe Fracassetti’s Senili
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CRONACHE
167
ENRICO FENZI
A proposito di una recente edizione del ‘libro delle canzoni’ di Dante
181
EDIZIONI E COMMENTI: E. Tatasciore, Di ombre e cose salde. Studio su Montale [F. Ippoliti]; E. Montale, Quaderno di quattro anni, a cura di A. Bertoni e G.M. Gallerani [F. Ippoliti]; F. Fortini, Tutte le poesie, a cura di L. Lenzini [F. Ippoliti]; M. De Angelis, «Intervallo e fine». Commento a una sezione di Somiglianze (1976), a cura di F. Jermini [M.Villa]; G. Alvino, Scritti diversi e dispersi (2000-2014) [A. Mastropasqua]
193
SCUOLA E UNIVERSITÀ: P. Italia, Editing Novecento [G. Giubbolini]; C.
Ruozzi, Raccontare la scuola. Testi, autori e forme del secondo Novecento
[M.R. Tabellini]; C. Crocco, La poesia italiana del Novecento. Il canone e le
interpretazioni [R. Castellana]; Identità/diversità, Siena 4-5 dicembre 2012
[I. Tani]; Io son venuto al punto della rota, Pianconvento 14-17 luglio 2015
[S. Teucci]
203
Indice dei nomi
209
Indice dei manoscritti
CRONACHE
ENRICO FENZI
A proposito di una recente edizione
del ‘libro delle canzoni’ di Dante
Nella primavera 2014 è stata pubblicata in Spagna un’edizione delle canzoni di
Dante: Libro de las canciones y otros poemas. Edición de Juan Varela-Portas de Orduña (coord.), Rossend Arqués Corominas, Raffaele Pinto, Rosario Scrimieri Martín, Eduard
Vilella Morató y Anna Zembrino. Traducción de Raffaele Pinto, Madrid, Akal. L’opera merita una attenta considerazione, anche perché è immediatamente evidente che le
sue scelte di fondo ne fanno un modello che sul piano dell’ispirazione generale si vuole alternativo a quello rappresentato dall’ultima autorevole edizione delle rime dantesche, curata da Claudio Giunta per il primo volume delle Opere di Dante (Milano,
Mondadori, 2011), e, come già si sa, a quella, imminente, curata da Marco Grimaldi
per la NECOD della casa editrice Salerno1. Se ne discuterà, dunque, ma solo dopo una
essenziale messa a punto intorno a ciò che sta alle spalle dell’edizione spagnola e ne
spiega le ambizioni.
Si tratta, naturalmente, dell’edizione critica delle Rime di Dante pubblicata nel
2002 da Domenico De Robertis dopo quasi cinquant’anni di lavoro2, e di uno dei suoi
risultati più importanti e discussi che solo con qualche banalizzazione può essere definito come un problema di ‘ordinamento’. Non è probabilmente il caso di ricordare
che sino all’edizione critica aveva fatto testo, seppur con alcune varianti apportate da
singoli editori, l’ordinamento messo a punto da Michele Barbi sin dall’edizione del
’21, consacrato soprattutto nei due volumi Rime della «Vita nuova» e della giovinezza, a
cura di Barbi e Francesco Maggini, e Rime della maturità e dell’esilio, a cura di Barbi e
Vincenzo Pernicone (Firenze, Le Monnier, rispettivamente 1956 e 1969)3. Il quale ordinamento, va sùbito detto, non rappresenta affatto un’arbitraria e vana pretesa di ricostruire la ‘storia di un’anima’, come pure è stato polemicamente detto, ma, innervato com’è nel lavoro filologico vero e proprio, ne costituisce uno dei risultati la cui tenuta nel tempo è dimostrata dal fatto che ancora oggi, lo si voglia o no e con tutte le
varianti del caso, è ancora a partire da quella griglia che le Rime di Dante sono generalmente considerate nel loro insieme. Né ciò cessa di valere anche nell’interpretazione di De Robertis che pure sovverte radicalmente quell’ordine, ricostruito da Barbi
secondo criteri in senso lato storico-cronologici, e torna invece a quello testimoniato
dai manoscritti, che vede in testa, quale opera a sé, la compatta sezione delle quindici
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CRONACHE
canzoni dette ‘distese’ così disposte: 1. Così nel mio parlar vogli’esser aspro; 2. Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete; 3. Amor che nella mente mi ragiona; 4. Le dolci rime d’amor ch’io
solea; 5. Amor che movi tua vertù dal cielo; 6. Io sento sì d’Amor la gran possanza; 7. Al poco
giorno ed al gran cerchio d’ombra; 8. Amor, tu vedi ben che questa donna; 9. Io son venuto al
punto della rota; 10. E’ m’incresce di me sì duramente; 11. Poscia ch’Amor del tutto m’ha lasciato; 12. La dispietata mente che pur mira; 13. Tre donne intorno al cor mi son venute; 14.
Doglia mi reca nello core ardire; 15. Amor, da che convien pur ch’io mi doglia. Ora, questa serie canonica, alla quale sono estranee le canzoni 16, 17 e 18 (Lo doloroso amor che mi
conduce; Traggemi de la mente Amor la stiva, della quale conosciamo solo l’incipit, riferito
da Dante medesimo in De vulg. el. II 11, 5; Aï faus ris, pour quoi traï aves, ora accolta da
De Robertis tra le sicuramente dantesche), è stata per lungo tempo attribuita all’iniziativa di Boccaccio messa a capo della grande famiglia b, col risultato di farne qualcosa che si potesse trascurare ai fini di una ricostruzione critica che s’avvicinasse il più
possibile alla compagine originale delle Rime. Ma appunto, le cose non stanno così,
perché De Robertis ha potuto mostrare che tale ordinamento delle ‘distese’ è presente anche in manoscritti indipendenti dalla tradizione risalente a Boccaccio4 ed è, insomma, quello che una edizione critica dovrebbe riprodurre. Ma restiamo alle chiare
parole dello studioso: «L’ordine [delle canzoni] I-XV tuttavia, se è comune (anche nelle sue non infrequenti alterazioni e intermissioni) ai codici di b, non individua b, non
coincide con una sua specifica lezione, si dà anche in assenza di quella che è, vedremo,
la lezione costitutiva di b. Ci sono testimoni, e cito sin d’ora 68 Add2 […] e 22 R50,
che nonostante l’ordine suddetto sono (Add2 tuttavia con l’infrazione di X) o sono in
parte notevole (R50 da I a IX, con l’infrazione di VI) estranei a b; così, ma saltuariamente, anche 98 Bo2 e 18 R803. L’ordine I-XV trascende b, si è cioè costituito indipendentemente dall’esito b, lo precede, è un’eredità raccolta e messa a frutto da b. Esiste insomma una tradizione pre-b (+b), per il momento identificata dall’ordinamento
delle 15 canzoni, che approda a (e dilaga in) b, e di cui b è il più affermato e diffuso
rappresentante: una diffusione che copre un paio di secoli e lascia evidenti tracce anche oltre questo limite. Tant’è che, per contro, testimoni che non rispecchiano o contravvengono a tale ordinamento appartengono a pieno titolo a b (senza dire, ovviamente, di testimoni occasionali, di una, due canzoni isolate, che avranno semplicemente attinto a b). D’altro lato, cade anche l’altra consacrata equazione, dalla quale s’è
preso le mosse, b = tradizione Boccaccio (Bocc). Per le canzoni b designa la tradizione entro cui è compreso Bocc, ossia l’iniziativa editoriale di Boccaccio (con le sue
dirette, e cospicue conseguenze): iniziativa però che si applica a un particolare stato di
b, che indicheremo con bo, e a cui fece capo Boccaccio», ecc.5.
Prima di proseguire su questa strada, è dunque opportuno precisare che oggi, di
fatto, abbiamo due modi per pubblicare (e leggere) le Rime di Dante: quello che fondamentalmente si rifà all’ordinamento ricostruito da Barbi, che sarà infatti riprodotto
nell’imminente edizione a cura di Marco Grimaldi e ch’è stato seguito, attraverso
Contini, anche da Giunta che però, con qualche contraddizione, si mostra assai radicale nel denunciare la natura irrimediabilmente ipotetica di ogni possibile ordine; oppure quello, che rispecchia la tradizione manoscritta, offertoci dall’edizione critica di
De Robertis. Il quale appunto scrive della necessità di tale scelta: «O si traccia, si rintraccia una storia, la storia beninteso del lavoro poetico di Dante, quella che la stessa
Vita Nova per la sua parte adombra e che la secolare interpretazione, tra Otto e Novecento, si è sforzata di perseguire; ovvero si propone una forma, almeno quella che la
IL ‘LIBRO DELLE CANZONI’ DI DANTE
169
tradizione, la tradizione del testo delle rime di Dante, ha via via coagulato e sembra
autorizzare […] con la segreta speranza, magari, che la tradizione rispecchi la storia del
lavoro del poeta o restituisca (tradisca) un’ipotesi ordinatrice» (De Robertis, Intr., p.
1144). Si aggiunga tuttavia che, come scrive Giunta: «L’ordinamento di De Robertis si
accosta più di ogni altro, per una parte almeno, alla sequenza delle Rime quale si trovarono di fronte i lettori del Trecento. Vero è però che, superate le quindici canzoni,
queste ragioni si attenuano, e i testi si succedono sulla base non tanto di criteri oggettivi quanto di ipotesi […] sempre minuziosamente giustificate ma, bisogna anche dire,
mai davvero cogenti» (Giunta, Nota al testo, p. 66). Lo stesso De Robertis, del resto, mostra come per quest’ampia sezione non sia proponibile non solo un ordinamento ma
neppure una prospettiva, dato la mancanza di qualsiasi ordine nella tradizione (De Robertis, Intr., pp. 1162-63), sì che i testi sono allineati in base a criteri di contiguità, prima di tutto con le canzoni, il che fa sì che a queste seguano la ballata Voi che savete
(19), cui Dante sembra alludere nel congedo di Amor che nella mente e nel relativo commento, nel terzo libro del Convivio; il sonetto Parole mie (20), perché cita l’incipit della
canzone Voi che ’ntendendo, e l’altro sonetto O dolci rime (21), composto a confutazione di Parole mie. Così, le cosiddette ‘rime per la pargoletta’ sono inserite per vicinanza
tematica con Amor che movi e Io sento sì d’Amor, mentre un’implicazione ancora più
stretta sembra legare il sonetto Se vedi gli occhi miei (25) alla canzone Tre donne, tredicesima della serie. Dopo di che si torna indietro, «alla giovinezza di Dante e all’incontro
con Cavalcanti, e alla stagione poetica che questo incontro inaugura così com’è rispecchiata nella sezione dantesca del grande canzoniere dello Stilnovo, il Chigiano L
VIII 305», ecc. (Giunta, Nota al testo, pp. 66-67).
Di là da questo sommario quadro, il problema che qui interessa in esclusiva, possiamo ben dirlo, è però quello delle canzoni, com’è del resto evidente dal titolo nuovo e persino provocatorio dell’edizione in questione: non genericamente, come s’è
sempre fatto, Rime, o magari Canzoniere, ma Libro de las canciones y otros poemas. Rispetto
a quanto detto occorre dunque fare un decisivo passo ulteriore, cioè quello che ha fatto immediatamente con precisione e coraggio Tanturli nel tempestivo saggio sull’edizione De Robertis appena sopra citato. Qui,Tanturli non solo si dichiara perfettamente
d’accordo con l’editore6, ma ne precisa e approfondisce le indicazioni circa l’anteriorità dell’ordine delle distese rispetto a Boccaccio, e soprattutto, per quanto ci riguarda,
avanza in fine una proposta affatto nuova, della quale si mostra perfettamente convinto. Egli scrive, infatti, che «oltre i testimoni dell’intera e ordinata serie di quindici canzoni la prima e l’ultima di questa, Così nel mio parlar e Amor da che convien tendono a
occupare i medesimi posti […] La prima otterrà il posto in grazia della decisa apertura propositiva, quindi per forza propria, perché null’altro resulta più adatto a aprire di
quella sua dichiarazione iniziale d’intento e di poetica. Ma aprire è qualcosa di più che
essere la prima: si apre qualcosa che vuole essere organico, un libro, insomma»7. Quanto a Amor da che convien, essa avrebbe, per Tanturli, tutti i crismi di un testo di chiusura: «In un libro costruito con pagine bell’e scritte, più che in ogni altro, principio e fine sono l’essenziale, individuandolo e delimitandolo; meglio se alla fine c’è qualcosa
che richiama l’inizio, a dare un segno di circolare chiusura, come si dà fra Così nel mio
parlar e Amor da che convien. Ma forse anche se questo non si fosse dato, chi fece quel
libro l’avrebbe suggellato con la stessa canzone, indotto dal congedo» (p. 265). Così,
egli mette in rilievo gli indubitabili e per altro ben conosciuti legami tra il congedo di
Amor da che convien con Così nel mio parlar, e insieme insiste efficacemente sul caratte-
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CRONACHE
re retorico di sfraghìs, di ‘sigillo’, che tale congedo ha, indicando la patria, lo stato e il
luogo attuale dell’esiliato, sul modello di Ovidio, Amores III, 15, 2-6 e di Virgilio, Georg.
IV, 559-564. «Chi mise in fine la Montanina intese chiudere alla luce d’una non corrente cultura umanistica il libro delle canzoni di Dante.Vi si riconosce questa volontà
perché, ripeto, su quindici canzoni […] solo questa ne porta una così chiara, indicando patria, stato e soggiorno attuale del poeta» (p. 626).
In parallelo, e indipendentemente da Tanturli, anche se su una linea diversa, ha proposto qualcosa del genere anche Lino Leonardi, nella sua altrettanto bella e importante Nota sull’edizione critica delle Rime di Dante a cura di Domenico De Robertis8. Scrive
dunque Leonardi a proposito della serie delle canzoni: «In effetti, è difficile – e tanto
più encomiabile risulta la prudenza di De Robertis – resistere alla tentazione di avvicinarla davvero all’autore, quell’ipotesi ordinatrice che comunque trapela dietro la serie delle canzoni. E in particolare: se si intendono le quindici canzoni come I (proemiale) + 14, cioè il numero di testi previsti per i trattati del Convivio; se si nota che le
prime tre posizioni delle 14 sono occupate appunto dalle prime tre del Convivio; se si
osserva che al terzultimo e penultimo posto stanno le altre due canzoni sulla giustizia
(Tre donne) e sulla liberalità (Doglia mi reca) sicuramente destinate agli ultimi due trattati previsti dello stesso Convivio; se si considera infine che, come s’è visto, la tradizione manoscritta di questo blocco di canzoni è assolutamente distinta da tutto il resto
delle rime; insomma, si è tentati di riprendere in considerazione l’ipotesi a lungo dibattuta, e registrata già dal copista Antonio di Tuccio Manetti nei margini di R44 (e
prima ancora nella rubrica collettiva di Naz6), che queste siano le 14 canzoni “ch’egli
intendeva di commentare” nel Convivio; e che quindi la loro seriazione si debba in
qualche misura alla mano di Dante» (p. 82). Leonardi aggiunge ancora che le parole
del Manetti potrebbero dipendere dalle parole di Boccaccio, Trattatello in laude di Dante, par. 199: «Compuose ancora uno commento in prosa in fiorentino volgare sopra tre
delle sue canzoni distese, come che egli appaia lui avere avuto intendimento, quando il
cominciò, di commentarle tutte» (i corsivi sono dello studioso), ma che resta dubbio se
Boccaccio conoscesse o meno il Convivio la cui tradizione è quasi solo quattrocentesca, e che più difficile ancora è che lo conoscesse chi, prima di Boccaccio, diffuse le
canzoni in quell’ordine. E se così fosse, «la coincidenza seriale delle prime tre canzoni
non si spiegherebbe se non attribuendo anche l’ordinamento delle 15 distese appunto
alla mano di Dante» (p. 83).
Ci siamo … L’importante nodo messo a fuoco rispettivamente da Tanturli e da
Leonardi, quale immediata e forte reazione alle novità dell’edizione di De Robertis,
induce a due considerazioni in parte sovrapponibili. La prima, che diremmo ‘minore’,
riguarda la possibilità, ma per Leonardi la certezza, che la serie delle canzoni risalga alla mano di Dante e sia finalizzata alla stesura del Convivio; la seconda, di Tanturli, ‘maggiore’ e, ripeto, più radicale, fondata in gran parte sulla canzone definita ‘proemiale’ Così nel mio parlar, che manca e mancherebbe in ogni caso al Convivio, riguarda la possibilità che l’intero corpus delle canzoni (dunque I + II-XV, con l’ultima, la ‘montanina’
Amor da che convien, che si riallaccia alla prima e fa da chiusa) costituisca di per sé un
insieme organico e autonomo, e insomma un ‘libro’ ovviamente concepito come tale
da Dante medesimo. A differenza, si osservi, di quel che avveniva per le rime comprese nella Vita nova, che a nessuno è mai venuto in mente di estrarre dal libello come
IL ‘LIBRO DELLE CANZONI’ DI DANTE
171
un’opera a sé stante e di farne, appunto, un ‘libro’ a pieno titolo. Questa compressa carrellata di citazioni non sarebbe completa se non s’aggiungesse che Tanturli è tornato
più volte sull’argomento con ulteriori precisazioni che confermano la sua tesi iniziale
e con l’avvertenza che i risultati filologicamente accertati avrebbero dovuto essere (e
non sono) accettati dagli editori successivi9. Di più, lo studioso ha appena affidato alla
stampa un saggio, che per la sua cortesia ho potuto leggere in anteprima, nel quale, sviluppando quanto già scriveva nel saggio del 2010, Come si forma il libro della canzoni di
Dante?, disegna un percorso redazionale in tre tappe, dimostrato punto per punto: 1)
Dante riunisce quattordici canzoni da commentare nel Convivio, e giunge a commentarne tre; 2) abbandona a questo punto il Convivio «ma non l’organismo delle canzoni, telaio del libro», e infatti vi aggiunge l’ultima, la ‘montanina’ Amor da che convien; 3)
Così nel mio parlar, che sino a quel punto occupava di certo una posizione interna, è
promossa a incipit, come testimoniano tre rami indipendenti della tradizione b, Add2,
R50 e forse sP (Roma, BNC, san Pantaleo 8) «che non possono avercela promossa in
modo poligenetico e quindi devono testimoniare indipendentemente il frutto d’un
preciso atto riordinatore». In questa sede, e per essere il contributo di Tanturli in corso di stampa, non ci insisterò, ma occorre pur dire quanto sia importante nel momento in cui non solo riconferma la tesi del ‘libro’, ma ne documenta pure la storia attraverso un fitto riesame della intera tradizione manoscritta10.
Ancora un passo, prima di arrivare all’edizione spagnola (la premessa è forse troppo lunga, ma va tutta a sua gloria). La tesi del ‘libro’ non ha avuto sin qui molta fortuna: di fatto, non se n’è molto parlato. Ma l’ha presto fatto Natascia Tonelli che da sùbito si è riconosciuta in ciò che scrivevano Tanturli e Leonardi, ha ripreso con forza
tutta particolare il discorso sulla funzione proemiale di Così nel mio parlar, e conclusiva di Amor da che convien, e per prima ha fornito una attenta verifica della consistenza
del ‘libro’ in quanto tale ripercorrendo il filo interno delle rispondenze e degli snodi
che accompagnano la serie11, mentre sulla stessa traccia s’è posta poco dopo Carla Molinari, in una bella lettura di Amor che movi, del 200712. Ma è appunto la Tonelli che ha
continuato ad argomentare sempre meglio la tesi del ‘libro’, in una ininterrotta serie di
interventi, tra i quali spicca il saggio Le rime, del 2011 (vd. nota 3), insistendo in particolare sul ‘momento’ nel quale l’insieme delle canzoni si è costituito in un tutto organico dopo l’abbandono del progetto del Convivio (ma pure del De vulgari eloquentia),
e in qualche modo gli si è sostituito raccogliendone e adattandone le ambizioni, ed ha
puntato molto, in questa prospettiva, sull’ultima canzone, Amor da che convien, quale
‘ponte’ verso la Commedia e, in specie, verso il canto V dell’Inferno. Sì che a questo punto è giustamente da lei, che infatti l’ha promessa, che ci si attende un’edizione che cali la nuova e generale dimensione interpretativa nella realtà dei testi, proprio come ha
già cominciato a fare13. E come hanno fatto gli studiosi spagnoli, con una iniziativa degna di considerazione e rilievo, come scrive da ultimo Tanturli, per essere sin qui l’unica che s’è mostrata libera e immune dal pregiudiziale rifiuto di accogliere o quanto
meno di fare i conti con i risultati di De Robertis, e che corona l’appassionato interesse per le Rime dantesche che, a partire dal 2007, si è concretizzato nella importante
serie di convegni e pubblicazioni promosse dal madrileno-catalano-italiano Grupo
Tenzone del quale fanno parte gli studiosi che hanno collaborato all’edizione e al quale fa capo anche l’omonima rivista14.
172
CRONACHE
Il Libro de las canciones y otros poemas, dunque. Esso comprende un’ampia presentazione a firma di Juan Varela-Portas de Orduña, intitolata El libro de las canciones, ¿una
nueva obra de Dante? (pp. 5-107); una avvertenza (pp. 109-11) e una nota dall’autore
delle traduzioni che accompagnano, a fronte, il testo originale, Raffaele Pinto (pp. 11315). Seguono le quindici canzoni del corpus delle distese nell’ordine e nel testo fissato
da De Robertis accompagnate da ampie note di commento dovute ai vari studiosi e,
come s’è appena detto, dalla traduzione spagnola (pp. 121-437: all’ultima canzone, la
‘montanina’, segue la lettera a Moroello, Epist. IV, che l’accompagnava). Segue la sezione Otros poemas (pp. 439-568), che comprende una scelta tra le altre rime di Dante: le due canzoni escluse dal ‘libro’, Lo doloroso amor che mi conduce; Aï faus ris, pour quoi
traï aves; la ballata e i due sonetti legati alle canzoni allegoriche commentate nel IIo e
IIIo del Convivio, Voi che savete ragionar d’amore; Parole mie che per lo mondo siete; O dolci
rime che parlando andate; le due ballate e il sonetto per la ‘pargoletta’, I’ mi son pargoletta
bella e nova; Perché tti vedi giovinetta e bella; Chi guarderà giammai senza paura, e infine la
Tenzone con Forese e lo scambio di sonetti tra Cino e Dante (definito anch’esso Tenzone), tra i quali è inserita l’Epist. III, Exulanti Pistoriensi. Conclude il volume una appendice che comprende il nudo testo in corpo minore di Al cor gentil di Guinizzelli e
Donna me prega di Cavalcanti (pp. 571-75), la bibliografia e l’indice dei capoversi.
La presentazione/introduzione di Juan Varela-Portas comincia con l’esporre un sintetico panorama della produzione lirica di Dante tra la Vita nuova e la Commedia sottolineando la costante ‘serietà’ e, in polemica con alcune affermazioni in contrario di
Giunta, il movimento continuo dell’auto-interpretazione messo in opera da Dante, che
di per sé esclude un approccio asistematico e frammentato al corpus dei componimenti (p. 13: «Nosotros tendemos a ver más bien la continuidad en el proceso poético de
Dante, que nos parece que se transforma no tanto por ensayo y error sino por la asimilación consciente, en un marco superior integrador, de la experiencia poética precedente», ecc.). In questo senso, caratterizza l’esperienza poetica di Dante la fedeltà al
mito amoroso e, insieme, l’apertura a un ampio ventaglio di temi filosofici, etici, politici, e le due cose procedono strettamente unite perché la sua concezione di amore
procede di pari passo e s’intreccia intimamente con il suo percorso intellettuale (pp. 18
ss.). Entrando nel merito delle questioni, è poi esaminata la disposizione cronologica
data da Barbi, in parte frutto di ipotesi ma tanto solida che ancora resiste nelle sue linee generali, ripercorse attraverso le varie ‘sezioni’ con grande attenzione (pp. 21-27).
Segue un rapido rendiconto dei risultati ottenuti da De Robertis nella sua edizione
critica, che ripercorre le linee già sopra esposte (pp. 27-31), e a questo punto si affronta
il nodo del ‘libro’ (pp. 31-40: ¿Es posible un Libro de las canciones compuesto por Dante?). La risposta dello studioso è naturalmente positiva, e s’appoggia a un riesame delle affermazioni in merito di Tanturli, di Leonardi e della Tonelli. In particolare, Juan Varela-Portas conferisce particolare enfasi probatoria a uno spunto pur esso derivato dalla Tonelli, che si era soffermata sulla lettera al Malaspina, e qui sulla oscura espressione
con la quale Dante presenta in dono al marchese «presentis oraculi seriem», finendo
per proporre che Dante avrebbe inviato al nobile destinatario non solo la ‘montanina’
Amor da che convien ma l’intera serie delle canzoni15. Tale spunto era poi diventato il
nucleo di un ampio saggio di Carlos López Cortezo, che mostra come oraculum possa
corrispondere sia nel latino classico che in Agostino a ‘serie ordinata di carmina’, e si
dichiarava dunque convinto che proprio in questo senso si dovesse interpretare l’o-
IL ‘LIBRO DELLE CANZONI’ DI DANTE
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maggio al marchese.16Su una base ormai abbastanza ampia di indizi, e pur dichiarandosi ancora prudente, Juan Varela-Portas muove perciò di qui, per proporre una lettura ‘continuata’ del libro delle canzoni (pp. 41-92), che insieme ai capitoli finali (pp. 92100, El montajeen el Libro de las canciones, pp. 92-100; pp. 101-07, ¿Cancionero u oráculo? e Final), costituisce il vero e proprio cuore di questo saggio introduttivo. In questa
sede non è possibile seguire la fitta trama delle singole interpretazioni e suggestioni, e
se ne darà solo una sommaria, pallida rappresentazione.
Il primo paragrafo, El libro del amor y el desamor, ha al proprio centro Amore, quale
nucleo o motore dell’intera serie. Molto deriva, naturalmente, dai risultati ormai cospicui di una lunga serie di altri studiosi, ma l’apporto originale dello studioso spagnolo è molto, molto interessante se lo si ravvisa, come mi pare si debba fare, in una
sorta di ‘discesa all’inferno’ che passo passo verifica il dramma di un percorso che va
dall’amore al disamore: «el mundo natural y social, a medida que avanza el Libro, se va
mostrando cada vez más ajeno al amor, más enfangado en la materia y prisionero de
influjos perniciosos.Y en consequencia, el Amor, que empieza siendo un espirtillo que
viene del cielo y que habla dulcemente en la mente del poeta, termina, pasando por
fases de creciente impotencia ante su necesaria incripción en la materia, revelándose
como un señor cruel que amenaza la vida del amante. Creemos que este proceso de
frustrada materialización del amor, tanto en lo subjetivo como en lo natural y en lo
social, confiere una sólida coherencia a la serie de las canciones» (p. 53). E ancora: «La
mujer es gentil solamente en la mente del poeta, pero en la facticidad material de los
hechos muestra precisamente su falta de nobleza, su falta de perfección natural, de alma bien dispuesta, que es lo que la hace incapaz de recibir la virtud del amor» (p. 57).
Il discorso volge dunque alla pargoletta, e porta alla domanda che qui diventa centrale:
«Por eso, en ella se condensa la profunda contracción que explora el Libro de las canciones, la que reside en la materia como lugar de la belleza: si la mujer es bella en su
cuerpo, y por tanto fuente del placer que proporciona la armonía, ¿cómo es posible
que sea tan defectuosa? ¿Cómo es posible que la sede de la belleza y del deleite (la materia) sea al mismo tiempo el origen de toda imperfección? ¿Por qué la materia – y
con ella el universo todo – alberga en sí misma, junto al poder de la belleza, junto a su
capacidad de producer deleite, la raíz de su propia imperfección, de su ajenidad radical con el alma, y por tanto es fuente de dolor y de odio?», ecc. (pp. 63-64). Onde il
passaggio al paragrafo successivo, El libro del extravío de Dante, che appunto si apre con
l’impegnativa dichiarazione: «Si convenimos en que el Libro de las canciones es el libro
de la pargoletta, debemos entonces convenir también en que es el libro en el que se relata el extravío de Dante que Beatriz denuncia en el canto XXX del Purgatorio» (p. 64:
e più avanti, p. 79, è ribadito che la pargoletta è l’anti-Beatrice protagonista del ‘libro’),
e con la descrizione di un percorso che arriva al ‘disamore’ e al gelo e alla pietrificazione, dopo essere partito dalle ‘promesse di bene’ che sono nella canzoni 2 e 3, cioè
le due ‘allegoriche’ commentate nel Convivio. Ripeto ancora che non è possibile discutere di tutto ciò nello spazio di questa nota, ma si deve almeno osservare che sì,
puntuali obiezioni si affacciano all’ipotesi di lettura appena delineata (per esempio,
l’interpretazione in chiave tutta amorosa della colpa in Tre donne, pp. 76-78), ma anche
che ad esse si intreccia più di un moto di consenso, per esempio sull’importanza finalmente e giustamente data alla figura della pargoletta, già liquidata da Contini come una
«semplice preferenza lessicale». Ma soprattutto si ha la percezione che Juan Varela-Portas stia aprendo un orizzonte interpretativo inaspettato e pieno di suggestione, non fos-
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se che per il fatto che un orizzonte siffatto sembra davvero comprendere in sé l’intero ‘libro delle canzoni’ e orientarne la lettura. E soprattutto ha il merito grande di porre tale ‘libro’ in prospettiva, facendo di esso un momento ricco e complesso ma ben
individuato e organico del percorso di Dante tra la Vita nuova e la Commedia.
Procedendo, lo schema negativo che governa l’esperienza di amore si riprodurrebbe anche nell’esperienza sociale e politica (par. El libro de la virtud y la belleza, o bien el
libro de la política): «Nuestra hipótesis de lectura es que en las canciones de los años noventa, y claramente como elemento vertebral del Libro de las canciones, se debe situar el
intento, infructuoso a la postre, de fundir virtud y belleza, es decir, el deleite sensible y
un nuevo tipo de deleite, que Dante aprende de la Ética a Nicómaco Aristóteles que es
el que produce el realizar operaciones virtuosas en la vida civil» (p. 81), e si deve riconoscere, da questo punto di vista, che Juan Valera-Portas ha perfettamente ragione
quando mostra come la canzone penultima, Doglia mi reca, rappresenti una dissociazione totale e terribile (e sin qui forse non ben percepìta) tra bellezza e virtù (p. 83: più
avanti, p. 90, è definita come la «mas comprometida y compleja retóricamente» di tutte le canzoni di Dante, e se ne dà adeguata dimostrazione). Infine, le belle pagine poste all’insegna del Libro de la aspreza (è il titolo dell’ultimo paragrafo) sulla traccia di
Tanturli tornano alle petrose e a Così nel mio parlar con tutto il suo valore programmatico, anche nella denuncia della dissociazione tra bellezza e bontà che sarà ribadita
come insormontabile nelle petrose ‘invernali’ (ni 7-8-9), sì che il «paralelismo así entre
el personaje femenino, la peripecia psiclógica del poeta-personaje y el estilo del Libro
resulta significativa» (p. 85). In conclusione: «Por tanto, y en resumidas cuentas, el Libro
de las canciones nos presenta también un profundo recorrido metapoético, en el que la
reflexión sobre las mismas nociones de base va trazando una evolución que dota de extremada coherencia al conjunto, y es paralela a la evolución sufrida por los personajes,
por la peripecia del Libro y por el estado del mundo que va pasando del amor al desamor» (pp. 91-92).
I due ultimi e più brevi capitoli, El montaje en el Libro de las canciones, e ¿Cancionero u oráculo? toccano punti delicati, e provocano qualche perplessità. In breve, Juan
Varela-Portas affronta una questione centrale: quanto detto sin qui basta a definire il
‘libro’ come tale, in senso proprio, e dunque dotato di una propria irreversibile struttura interna, oppure individua alcuni contenuti portanti che possono ugualmente convivere entro un insieme non così organizzato e vincolante? A ciò egli risponde in modo netto: il Libro esiste ed ha una organizzazione interna ben precisa, che muove dalla canzone-prologo; passa per la ‘caduta del personaggio’ nelle canzoni 2-10, descritta
nelle sue varie tappe; approda, con la canzone 10, E’ m’incresce di me, a un momento di
svolta attraverso il quale il poeta, per dir così, torna in sé e diventa in tal modo capace, nelle canzoni 11-14, di ergersi a giudice del mondo degradato dall’ingiustizia e dall’avarizia dominanti. Per sostenere l’esistenza di questo disegno lo studioso suggerisce
un parallelo tra le ‘canzoni’ dalle quali il ‘libro’ è composto e i ‘canti’ della Commedia
che in quegli stessi anni stava prendendo forma (p. 93), ma soprattutto enfatizza il ruolo della canzone-proemio, che ci mostra il «personaje-poeta en su momento de mayor
degradación psíquica y ética, en su particular enfierno personal, y a continuación un
movimiento narrativo de analepsis (o flash back) hace que se comience con el relato de
cómo, de la canción 2 a la 9, se ha llegado a este extremo de degeneración, violencia
y odio, de pecado y culpa» (p. 94). L’indicazione appare indubbiamente suggestiva e verisimile, ma non si può fare a meno di osservare, immediatamente, che le cose sono al-
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quanto più complesse ed esigono qualche articolazione in più, visto che le canzoni 2
e 3 illustrano le definitiva conversione del poeta alla Filosofia, figlia prediletta di Dio e
infallibile garante di virtù e felicità, e che non è pensabile che Dante faccia sì che proprio una Filosofia così concepita tradisca le sue promesse (Amor che nella mente 53-54:
da tale ‘donna’ «la nostra fede è aiutata. / Però fu tal da eterno ordinata»; 71-72: «Quest’è colei ch’umilia ogni perverso; / costei pensò chi mosse l’universo», ecc.). Ma ancora: il resto dell’argomentazione punta sullo speciale ruolo della canzone 10, E’ m’incresce di me (concordemente assegnata, si osservi, alla giovinezza di Dante, e forse appena precedente la Vita nuova) che «muestra una impresionante utilidad para preparar
el cambio narrativo que se producirá entre la primera y la segunda parte del Libro, mostrándose como una canción que, tanto narrativa como estilísticamente, sirve de epílogo a la primera parte del Libro, a la narración de la caída en la animalización o petrificación, en el pecado y la culpa» (p. 95). E ancora: «Dante necesitaba una canción que
sirviese para justificar el paso del estado ‘petroso’ al estado de recuperación y alivio de
la segunda parte, y es la canción 10 la que le sirve, en un asombroso acto de reciclaje,
con perfecto ajuste narrativo, para ese fin. Para nosotros, la presencia de 10 en el Libro
de las canciones es una de las pruebas más eloquentes en favor de la responsabilidad dantesca en la compilación» (p. 98). Può essere: ma tutta la dimostrazione, alquanto equilibristica e che non posso ripercorrere (ma si vedano almeno le ulteriori e condivisibili precisazioni di Arqués, nel ‘cappello’ alla canzone, pp. 290-91, che pure doverosamente ricorda come la canzone originariamente si riferisca a Beatrice, in termini che
difficilmente lasciano pensare che qui possa essere rivolta alla pargoletta: e ciò complica alquanto lo schema), non finisce di convincere, così come si vorrebbe essere più sicuri circa la necessità della collocazione al dodicesimo posto della «canción antiquissima» La dispietata mente, della quale Juan Varela-Portas si dichiara assolutamente convinto. Il fatto è che proprio in queste pagine si avvertono i rischi di una dimostrazione che non ha controprove: l’ordine è quello che è, e qualsiasi discorso che lo giustifichi, quale che sia, dal più ragionevole al più cervellotico, sarà inevitabilmente giusto,
o meglio, a rigore, inconfutabile, visto che l’ordine, appunto, è quello che è … E questa è la sua debolezza. Ciò non significa affatto che l’idea della struttura unitaria e unidirezionale del ‘libro’ sia da respingere. Tutt’altro. Piuttosto, le canzoni di Dante sono
testi molto complessi e non hanno certo finito di svelarci i loro segreti: uno sforzo così acuto e generoso ha dunque il merito indiscutibile di additare e fare i primi passi
lungo una lunga e promettente strada che resta da percorrere sino in fondo.
Infine il capitolo ¿Cancionero u oráculo? affronta il discusso problema dell’allegoria,
importante ma non troppo, nel senso che non incide direttamente sulla questione del
‘libro’. Juan Varela-Portas lo pone in termini drastici: o tutto o niente: «Sin embargo,
somos de la opinión de que la condición alegórica o no de las canciones de amor debe decidirse in toto y no canción a canción» (p. 102), e però riconosce che in ciò vi è
disaccordo tra i collaboratori stessi del volume: «Mientras que Rossend Arqués, Raffaele Pinto, Eduard Vilella y Anna Zembrino son decididamente literalistas, Rosario
Scrimieri y Juan Varela-Portas se inclinan por el alegorismo integral de las canciones»
(p. 104 nota 151). Anche qui, però, si sarebbe dovuto dire: «canciones de amor», ricordando che la interpretazione allegorica non ha evidentemente luogo là dove si tratta
della nobiltà o della leggiadria o dell’avarizia, mentre quella delle canzoni amorose di
Dante ha una lunghissima storia. Aggiungendo anche che la questione si complica secondo che si intenda l’allegoria come originaria o invece frutto di successive inten-
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zioni significanti dell’autore, che avrebbero effettivamente potuto valere tra Convivio e
Commedia (solo per un esempio, si vedano, di nuovo, le considerazioni di Arqués nel
‘cappello’ a La dispietata mente, p. 335). Personalmente mi limito a dire che, a mio parere, solo nel caso delle due canzoni commentate nel Convivio, quelle che Dante interpreta appunto in chiave allegorica oltre che letterale, cioè Voi che ’ntendendo e Amor
che nella mente, si abbia a che fare con un’allegoria che permette a Dante di affrontare
uno snodo decisivo del suo percorso, quello che articola il passaggio da Beatrice e dalla Vita nuova (addirittura il loro superamento, o rifiuto) alla stagione adulta degli studi
filosofici, che esigono ormai tutto il suo ‘amore’. Proprio questo punto, del resto, è limpidamente chiarito da Rosario Scrimieri nel suo ‘cappello’, pp. 139 ss., al quale rimando con adesione piena. Per il resto, non credo, e osservo semmai un principio di
contraddizione nella stessa costruzione dello studioso. Infatti: se la ‘discesa all’inferno’
della materia costituisce una delle principali direttrici del ‘libro’, perché mai l’esperienza d’amore che ne è il vettore portante dovrebbe significare altro da sé? perché non
dovrebbe essere ‘vera’? perché il peso della carne e le sue passioni dovrebbero scolorirsi nell’allegoria?
A questo punto riconosco che la mia nota è lunga ma insufficiente, perché non
rende giustizia ai singoli commentatori delle canzoni ai quali, tra l’altro, mi lega una
lunga amicizia, maturata attraverso le accese discussioni sulle canzoni dantesche nel
corso degli ormai numerosi incontri del Grupo Tenzone. In nome dell’amicizia spero
dunque di essere perdonato. Il loro lavoro, sia nei densi ‘cappelli’ i quali, a dispetto delle voci diverse degli autori, costituiscono una sorta di ‘saggio continuo’, sia nelle note, è eccellente (anche quello di Juan Varela-Portas commentatore: si vedano per esempio le note esemplari a un testo tanto difficile come Doglia mi reca), e chiedo scusa se
non posso esaminarlo nel dettaglio. Certo, non posso non ricordare, insieme al citato
Arqués, il tour de force di Anna Zembrino alle prese con Così nel mio parlar e con le petrose, e le nuove considerazioni avanzate per confermare la tradizionale data pre-esilio,
o la finezza di una lettrice come Rosario Scrimieri, specialmente disposta a penetrare
le inquietanti ambiguità dell’allegoria, o la lucidità di Eduard Vilella che ha introdotto
e commentato due testi come Amor che movi e Io sento sì in una maniera che trovo assolutamente convincente. È merito di tutti loro se un volume come questo, che segue
a tanti precedenti prestigiosi e, perché no? anche opprimenti, gode non solo della
completezza dell’apparato interpretativo ed erudito, ma anche di freschezza e di novità, ed ha assunto, per il coraggio delle sue non facili scelte, un valore di modello, al quale uno studioso come Tanturli – torno a ricordarlo – ha reso le lodi che merita. Ciò
non significa che non ci siano alcuni singoli luoghi che mi indurrebbero a fermarmi,
magari anche solo per discutere speciali sfumature dell’interpretazione, ma si tratterebbe quasi sempre di casi di ‘conflitto di interessi’, e cioè di osservazioni che avrebbero all’origine mie scelte personali che non è il caso di sovrapporre al lavoro di altri.
Ma due casi vorrei segnalarli. A proposito del v. 56 di Io sento sì (p. 231): «si fa ’l servir
merzé d’altrui bontate», mi sembra che sia la traduzione di Pinto che la nota di Vilella lascino margini di ambiguità, dovendosi chiaramente intendere che l’apparenza indurrebbe a credere, sbagliando, che il ‘servizio’ del poeta sia in realtà la ricompensa
ch’egli concede alla donna in premio della bontà di lei (e dunque non sia affatto un
‘servizio’). L’altro riguarda l’interpretazione data da Pinto al sonetto di Cino Dante, i’
non odo (p. 541), che, com’è del resto l’interpretazione corrente, criticherebbe Dante
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«que con el mito de la donna gentile ha subordinado el amor a la moral, y la teología
[…] a la filosofía». Direi piuttosto il contrario, vedendoci un’esortazione a proseguire
sulla via aperta dalle canzoni ‘dottrinali’: ma mi rendo conto che il punto, abbastanza
interessante, richiede qualche riflessione supplementare.
Ancora una cosa, importante, sul contributo dato al volume da Raffaele Pinto, che
non solo nella seconda parte del volume ha ottimamente commentato la Tenzone con
Forese e il tardo scambio di sonetti tra Dante e Cino, ma ha fornito anche la traduzione dei testi. Di questo ora occorre parlare, anche perché il lavoro del traduttore è
in genere vergognosamente trascurato, e perché, nel caso, la sola idea di dover tradurre le canzoni di Dante farebbe tremare chiunque. Non posso entrare troppo nel merito: pur leggendo il castigliano, non ho sufficiente padronanza per apprezzarne i valori sintattici e fonici, ma azzardo lo stesso un giudizio. Ebbene, in questo caso la traduzione dà un contributo importante. Diciamo che Pinto ha fornito alle note di commento degli altri studiosi una ‘base’ interpretativa che anche nei passi più difficili spicca per penetrazione e chiarezza: addirittura, per leggerezza, e ciò è frutto della fortunata singolare accoppiata, in lui, dello studioso di Dante che tanto impegno ha profuso nell’interpretazione delle Rime, e del poeta che in effetti è. Lo si vede, per esempio,
nel caso delle sestine, la semplice e la ‘doppia’, delle petrose ove, a differenza di quanto aveva fatto Pézard, non ha rispettato il meccanismo delle parole-rima, ma s’è tenuto mano libera ed è riuscito per questa via a comunicare la forza di quell’ossessione
verbale trasferendola abilmente dalla sede di rima al corpo del verso (solo nella seconda stanza di Amor tu vedi ben le sei ‘uscite’ di piedra e le due e due di luz e frio riecheggiano da vicino l’originale, del quale solo in questo caso, con l’aggiunta di hermosa e tiempo rispettivamente in seconda e quinta sede, rispettano anche il totale di cinque uscite su dodici versi).
NOTE
1 Nella collana è uscito nel 2015 il primo volume, che comprende la Vita nuova (contro il
nova di Gorni e poi di altri), a cura di Donato Pirovano, e una prima sezione di Rime a cura di
Marco Grimaldi secondo l’ordinamento Barbi: Sezioni I e II. Le rime della ‘Vita nuova’ e altre rime del tempo della ‘Vita nuova’ (queste ultime, dunque, comprendono i ni XXXIX-LXXII di Barbi). Nella Nota al testo, pp. 318-19, Grimaldi si limita a motivare con la lunga consuetudine anche internazionale e dunque con «ragioni pratiche» la scelta dell’ordinamento Barbi.
2 Dante Alighieri, Rime, a cura di D. De Robertis, 3 voll., Firenze, Le Lettere, 2002 (Le opere di Dante Alighieri. Edizione nazionale a cura della Società Dantesca Italiana). I. I documenti, in
due tomi; II. Introduzione, in due tomi; III. Testi. Successivamente Domenico De Robertis ha ristampato il testo critico con commento: Dante Alighieri, Rime. Edizione commentata a cura di
D. De Robertis, Firenze, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, 2005.
3 Una eccellente messa a punto circa il valore e i limiti dell’ordinamento di Barbi, anche alla luce di quanto ne scriveva cinquant’anni dopo Pernicone, è dovuta a Natascia Tonelli, Le Rime, in Dante, oggi/1, a cura di R. Antonelli, A. Landolfi, A. Punzi, Roma, Viella/Sapienza-Università di Roma, 2011 (= «Critica del testo», XIV, 1, 2011, pp. 207-32), pp. 213 ss. (ma su questo saggio si dovrà ancora tornare).
4 Ricordo appena che ci restano tre codici autografi di Boccaccio che contengono le quindici canzoni: in ordine assai probabilmente cronologico, To (Toledo, Biblioteca Capitular, codice Zelada 104 6; Ri, lacunoso (Firenze, Riccardiana 1035); Chig (Città del Vaticano, Chigiano
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L V 176). Su di essi mi limito a rimandare, anche per la bibliografia sull’argomento, al recente
volume Boccaccio editore e interprete di Dante. Atti del Convegno internazionale di Roma 28-30
ottobre 2013, a cura di L. Azzetta e A. Mazzucchi, Roma, Salerno Editrice, 2014, e in particolare ai saggi di Sandro Bertelli e Marco Cursi, Donato Pirovano e Marco Grimaldi (vedi la nota seguente).
5 De Robertis, Intr., pp. 243-44. Sui due manoscritti Add2 e R50 (che, è importante sottolineare, non hanno alcuna parentela tra loro) vd. De Robertis, Doc., rispettivamente pp. 345-47 e
448-49, e Intr., pp. 585-89 e 590-621, e in sede di consuntivo, pp. 1157 ss. (ma fondamentale è
l’intero capitolo, L’ordinamento delle rime, pp. 1141-95, con la tabella finale). Recentemente Marco Grimaldi, Boccaccio editore delle canzoni di Dante, in Boccaccio editore e interprete di Dante cit., pp.
137-57, s’è impegnato, immagino per una sorta di ‘legittima difesa’ sua e di Giunta, a «dimostrare che i principali testimoni considerati da De Robertis [i due sopra citati] indipendenti dall’attività editoriale del certaldese – e quindi prove della preesistenza della serie – risultano invece da essa fortemente influenzati», ma in risposta a tale tentativo sono del tutto condivisibili le
pronte osservazioni di Lino Leonardi, Filologia della ricezione: i copisti come attori della ricezione,
«Medioevo romanzo», XXXVIII, 2014, pp. 5-27 (in part. pp. 11-13 e note), che in tal modo risponde anche a Giunta che nello stesso fascicolo della rivista, p. 189, dava credito ai dubbi espressi da Grimaldi. Ma è soprattutto Tanturli che nei suoi densi e ripetuti interventi, a cominciare
dalle precoci pagine del saggio L’edizione nazionale delle «Rime» di Dante a cura di Domenico De
Robertis, «Studi danteschi», LXVIII, 2003, pp. 235-66, sulle quali si dovrà sùbito tornare, dimostra l’indubbia pervasività dell’ordinamento delle distese in tutta la tradizione, dentro e fuori b:
ma per ciò, si veda avanti.
6 Aggiungo qui, per quello che vale, una considerazione strettamente personale. I tempi
stretti della densa recensione di Tanturli e la sua quotidiana, stretta sua consuetudine con De Robertis mi avevano fatto pensare che in qualche modo quest’ultimo ne avesse per dir così ‘coperto’, se non proprio indirettamente approvato le tesi, avvertite forse come eccedenti i limiti
imposti dall’equilibrio e dalla prudenza dell’editore critico. Ora, Tanturli, al quale va tutta la mia
amicizia e la mia ammirazione per il coraggio e la lucidità straordinaria con la quale affronta difficili condizioni di salute, mi conferma insieme sia l’indipendenza delle sue tesi sia il fatto che
De Robertis le accettò. E mi manda con squisita cortesia (e di ciò lo ringrazio) un recente e ancora inedito saggio, Sul canone delle opere volgari di Dante (destinato a una miscellanea in onore di
Giovanni Bardazzi, sarà letto a Verona il 9 ottobre di quest’anno), nel quale torna sull’argomento con nuove importanti precisazioni: per ciò, vedi avanti.
7 Tanturli, L’edizione critica cit., p. 264. La sottolineatura di quel «per forza propria» risponde
implicitamente a De Robertis che, con un tratto in verità assai ambiguo, affermava e insieme
negava che quel primo posto di Così nel mio parlar fosse dovuto alla scelta e dunque alla consacrazione fattane da Petrarca, attraverso la citazione dell’incipit nella sua canzone Lasso me: «Che
poi Così nel mio parlar vogli’esser aspro inaugurasse la serie […] è più probabile che dipenda dalla
sua citazione esemplare nella canzone Lasso me (RVF 70) di Petrarca (e sarebbe stato un buon
invito per Boccaccio, colla sua inclinazione per la conciliazione delle tradizioni, e delle contraddizioni: se non fosse che, s’è appena ricordato, la forma preesiste all’edizione Boccaccio) più
che la citazione petrarchesca cedesse alla suggestione di una tale testa di serie» (Intr., p. 1148).
8 «Medioevo romanzo», XXVIII, 1, 2004, pp. 63-113.
9 Vd. le Premesse ai due volumi: Dante Alighieri, Le quindici canzoni. Lette da diversi (I, canzoni 1-7; 2, canzoni 8-15), Lecce, Pensa Multimedia, rispettivamente 2009, pp. 7-8, e 2012, pp. 711; Come si forma il libro delle canzoni di Dante?, in Le rime di Dante, a cura di C. Berra e P. Borsa, Milano, Cisalpino, 2010, pp. 117-34. Qui, Tanturli accenna a un altro elemento che sottolinea l’intenzione tutta autoriale che presiede alla serie delle distese: il fatto cioè che ne siano
escluse le tre: Lo doloroso amor, Aï faus ris e Traggemi de la mente Amor la stiva (ne abbiamo, come
si sa, solo l’incipit), che con il Convivio paiono in effetti incompatibili (pp. 120-21). Analizzando
poi gli spostamenti di Così nel mio parlar dal quinto/sesto posto della serie al primo, rimanda pu-
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re (pp. 126-27) a un’ipotesi di Leporatti, che suggerisce l’interessante possibilità che in origine
Così nel mio parlar fosse destinata al settimo/sesto trattato del Convivio (vd. R. Leporatti, Le dolci
rime d’amor ch’io solea, in D. Alighieri, Le quindici canzoni, cit., I, pp. 89-117, in part. pp. 92-94).
Va anche detto che nella seconda delle due premesse Tanturli è molto severo con chi (ma nel
caso si riferisce all’edizione a cura di Giunta) rifiuta d’accettare i risultati raggiunti dalla filologia, e conclude con parole sulle quali non si può non essere d’accordo: le liriche di Dante non
arrivano «l’una staccata dall’altra, come foglie portate dal vento.Tocca alla filologia in quanto storia della tradizione e critica del testo classificarne e valutarne lezioni e contesti. Quando ciò sia
stato fatto, non si è liberi d’ignorarne o sottovalutarne i resultati. Si può rifare il percorso, verificarli e accettarli o confutarli. Nessuno è obbligato a sobbarcarvisi, ma logica vorrebbe che allora ci si allineasse a quelli raggiunti dall’impegno altrui». Si dica anche che queste parole valgono in ogni caso e, nel caso, senza alcun bisogno della tesi relative all’autorialità del ‘libro’. Lo
avvertiva bene Giuseppe Marrani, Macrosequenze d’autore (o presunte tali) alla verifica della tradizione: Dante, Cavalcanti, Cino da Pistoia, in La tradizione della lirica nel medioevo romanzo. Problemi di
filologia formale. Atti […] a cura di L. Leonardi, Firenze, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione
Ezio Franceschini, 2011, pp. 241-66; p. 254: «Non diventi insomma la rintracciabilità della volontà autoriale il prerequisito essenziale o il dominante motivo d’interesse perché in edizione si
faccia luogo ai dati della tradizione in materia d’ordinamento dei componimenti».
10 Cito dalle pp. 10-11 del dattiloscritto (vd. sopra, nota 6).
11 N. Tonelli, Rileggendo le “Rime” di Dante secondo l’edizione e il commento di Domenico De Robertis: il libro delle canzoni, «Studi e problemi di critica testuale», LXXIII, 2006, pp. 9-59.
12 Ora in Dante Alighieri, Le quindici canzoni cit., I, pp. 119-44. Nelle prime pagine del saggio, la Molinari propone una suggestiva suddivisione della serie in ‘pentadi’, che merita d’essere approfondita.
13 Ma vd. ancora Tre donne, il Convivio e la serie delle canzoni, in Grupo Tenzone, Tre donne
intorno al cor mi son venute, a cura di J.Varela-Portas, Madrid, Dept. de Filología Italiana-Ass. Complutense de Dantología, 2007, pp. 51-71; La canzone montanina di Dante Alighieri (Rime 15): nodi
problematici di un commento, «Per leggere», 19, 2010, pp. 7-36; Amor, da che convien pur ch’io mi doglia, in Dante Alighieri, Le quindici canzoni, II, pp. 255-83. Quest’ultimo saggio, infine, è in parte
ripreso in Dante sub fontem Sarni: el Libro de las canciones entre al adiós a los ‘laudables propósitos’ y los primeros pasos hacia la Commedia, «Tenzone», 15, 2014, pp. 115-38.
14 Ricordo brevemente, in ordine di pubblicazione, i volumi frutto di quei convegni sin qui
pubblicati dal Grupo Tenzone, dedicati rispettivamente a Tre donne intorno al cor mi sono venute
(2007); Doglia mi reca ne lo core ardire (2008); Amor, da che convien pur ch’io mi doglia (2009); Voi che
’ntendendo il terzo ciel movete (2011); Amor, che movi tua vertù dal cielo (2011); Amor che nella mente
mi ragiona (2013); Le dolci rime d’amor ch’io solea (2014); Io sento sì d’amor la gran possanza (2015).
In preparazione sono i volumi che raccolgono i risultati dei colloqui dedicati a Al poco giorno e
al gran cerchio d’ombra, e a Io son venuto al punto della rota.
15 Tonelli, Rileggendo le Rime di Dante cit., pp. 56-57.
16 C. López Cortezo, Amor, da che convien pur ch’io mi doglia, in Amor, da che convien pur ch’io mi
doglia, Emilio Pasquini (ed.), Madrid, Departamento de Filologia italiana UCM-Asociación Complutense de Dantologia (La Biblioteca de Tenzone, 3), 2009, pp. 131-56 (in part. pp. 134-41).