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Relazioni Di Estetica

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Il sublime:

Il sublime è un’opera polivalente, non ha nulla a che vedere con il bello. Il sublime si

occupa del grandioso letterario che si manifesta nei momenti della massima

estensione espressiva, quando la parola dell’autore raggiunge il pubblico tanto da

determinare una condizione psicologica: cedimento della dimensione logico-razionale

e alienazione mentale, in cui il pubblico si identifica totalmente con il processo

creativo dell’artista. Per definire queste sensazioni si usano termini quali estasi,

delirio, passione, che delineano un atteggiamento razionale nei confronti dell’arte. Il

sublime trascina gli ascoltatori non nella persuasione ma all’estasi. Ciò che è

meraviglioso ci accompagna al senso di smarrimento che prevale sul gradevole

sovrasta qualunque ascoltatore. L’animo dell’autore del sublime aveva fiducia he la

letteratura potesse modellare un’anima e che una grande anima potesse invadere

un’opera d’arte.

Il sublime è il prodotto di una grande personalità morale. È la risonanza di una grande

anima.

Solo un grande impulso morale può dare vita al capolavoro.

La letteratura è la memoria culturale di una civiltà e i posteri rappresentano il

pubblico ideale. Solo quando l’anima dell’ascoltatore vibra con quella dell’autore si

può parlare di sublime.

Mimesi: Imitazione.

Corre immutato nel corso dell’estetica. Ha vari punti di vista. L’idea di mimesi è

fondamentale per l’antichità. Arti mimetiche: danza, musica, poesia, pittura e

scultura. La caratteristica era il processo imitativo che regola il rapporto tra arte e

natura. Ma non è semplice imitazione della natura. L’opera d’arte è uno specchio in

cui si riflette il reale.

Lo specchio rimanda a una riproduzione più o meno fedele al mondo.

Nel 700 si lega al concetto di espressione: nucleo emotivo, processo creativo che

porta alla realizzazione dell’opera. Bisogna comprendere cosa racconta l’opera e cosa

rappresenta con le immagini. Il rapporto tra il visibile e invisibile è alla base del

concetto di imitazione.

Il termine mimis affonda le sue radici nell’antichità e veniva usata nei riti e nelle
danze.

Nel IV secolo erano in uso diversi significati del termine:

- Originale( legato ai riti)

- Democratico( imitare la natura)

- Aristotelico( libera composizione dell’opera)

- Platonico( copia della natura)

Aristotelico e platonico divennero i più usati, a volte fusi tra di loro.

La teoria mimetica dell’arte si deve quindi a Platone e Aristotele.

Platone adotta la terminologia della mimesi in diversi contesti, estendendola ad altri

ambienti, (mente e realtà) il rapporto delle arti mimetiche con la realtà porta ad

avere una somiglianza di questa con il mondo.

Aristotele riconosce alle arti un valore positivo. L’arte è autonoma, non deve per

forza raccontare la verità.

Correnti estetologiche:

I padri dell’idealismo tedesco sonno Fitt, Shelly,Hegel che prendono come spunto

Kant. Per Kant la conoscenza deriva dalla sensibilità e dall’intelletto, sono queste

ultime che consentono a l’uomo la cognizione di tutto ciò che è fisico e lo circonda e

dà a sua volta i valori morali, enuncia queste teorie nelle sue tre opere più

importanti: critica della ragion pura, critica della ragion pratica e critica del giudizio.

L’educazione estetica ha una rilevante importanza nell’essere perché lo mette in

correlazione con molti fattori (terreno d’incontro tra ragione e sensibilità, regola e

spontaneità). Anche per Fitt questo tipo di educazione è fondamentale per i diversi

valori, e in questo caso il mito giunge in aiuto dell’uomo perché è in grado di

sbloccare gli impulsi e verità più remote. Hegel invece riesce a trovare una sintesi tra

soggettività e oggettività e finito e infinito, anche per Hegel l’individuo è governato

dalla razionalità che deve spingere necessariamente verso la libertà di esso ma

sempre come rispetto verso gli altri. Baumgartner tratta il rapporto tra filosofia e

poesia e suddivide il pensiero in logica ed estetica ( estetica come arte del pensare in
modo bello, scienza della conoscenza sensibile) vista come conoscenza aurorale e

non razionale, e verte alla conoscenza del carattere dell’oggetto, John Locke invece è

iniziatore dell’empirismo, per lui l’essere è in grado di auto educarsi in funzione di

una risoluzione razionale ai problemi. Da lì in poi vi è lo sviluppo del positivismo che

approfondisce gli aspetti legati alla psicologia, antropologia e psicologia, tutto volto a

conoscere i vari usi e costumi. La libertà dell’uomo sono i valori di quell’epoca, tutto

dato dall’illuminismo che diviene un periodo storico dove la razionalità prevale, la

democrazia prende il sopravvento e si evince un maggiore interesse e credenza del

valore scientifico, si approfondiscono gli studi sulla matematica e la politica con Dorè,

Montesquieu che collaborò con l’enciclopedia politica studiando usi e costume delle

varie civiltà , per finire Rousseau vede una civiltà organica in cui l’uomo può

governare ed essere governato

Dissenso e mondo contemporaneo:

Il mondo contemporaneo è un mondo di conoscenze scientifiche, un mondo che

sembrava aver superato le grandi difficoltà, ma che è stato messo in crisi dalla

pandemia. È stato messo in crisi anche il concetto di democrazia occidentale, legata

ai poteri economici. Le prevalenze dei sistemi mediatici e trasmissione della

conoscenza hanno determinato gli esiti politici, grazie anche ad un florido sistema

economico. La crisi economica globale ha svelato all’occidente i suoi problemi. Sono

uscite allo scoperto: comunismo e rossobrunismo, dove vengono rivalutate le identità

nazionali.

Come esercitiamo il nostro dissenso?

La politica del mondo occidentale è sempre più schiacciata dall’economia. Il singolo

sembra contare sempre meno ed è costretto ad accettare ciò che gli viene imposto.

Abbiamo grandi conflitti interiori, insoddisfazioni e micro-conflitti.

Genio e creazione artistica:

Quando si parla di creatività bisogna tener conto che abbiamo a che fare con

un’espressione polisemica. I greci non disponevano di un termine corrispondente; i


romani lo possedevano, ma non lo applicavano a nessuno di questi tre campi

(filosofia, teologia, arte). La possibilità di parlare di creatività e di genio è una

questione dibattuta, anche in ambiti che esulano da quello artistico. Riguardo alla

moderna nozione di genio, essa si definisce entro coordinate teoriche, quali il

primato delle belle arti e il superamento della prospettiva mimetica. Se ci rivolgiamo

all’etimologia, vediamo che: Genio deriva dal latino genius la cui radice si collega al

verbo gignere=generare e, mancando l’aspetto naturale, fa riferimento alla divinità

che veglia su un luogo, un popolo, o anche un singolo individuo, in questo caso

assume i caratteri di un essere divino, intermediario tra divinità superiore e l’uomo.

Ma chi crea?

Secondo il modello Platonico il demiurgo, il quale dà origine al cosmo a partire dalla

contemplazione di idee eterne, che si trovano a monte rispetto all’atto creativo. Il

demiurgo crea in nome delle idee: esistono idee antecedenti alla creazione, e

quest’ultima muove dal modello ideale. In questo modo si fissa il modello del buon

artefice e della buona opera.Il modello cristiano , invece, contempla la creazione ex

nihlo, resa possibile attraverso l’opera di Dio. Ci troviamo di fronte a un tipo di

creazione attiva: colui che crea vuole creare e sa cosa creare. Il demiurgo Platonico

procede dal nulla, si limita a dare forma a una materia preesistente, così il genio

umano crea l’opera imitando un proprio modello mentale.

I greci distinguevano fra arte(techne) e poesia(poiesis). Propriamente creativa veniva

definita soltanto la seconda, che non era intesa come mimesi giudaica cristiana. Il

concetto greco di creatività ha sfumature creazioniste di matrice giudaico-cristiana,

nonostante i greci vantavano un senso dell’individualità poetica e una consapevolezza

delle prerogative dell’autore a stento riscontrabili nella cultura giudaica.

Si pone il problema del chi della creazione: non è fondamentale attribuire un nome a

chi crea perché Dio crea. Fu Giovanni Lombardo a creare, tuttavia, il sigillo d’autore

per difendere la sua creazione e per evitare il plagio.

Si pone il problema dell’ispirazione divina o di talento innato. In Omero si pone già il

problema dell’origine del genio, un punto d’incontro fra l’esigenza di riconoscere,

nella creazione, una cifra individuale e il fatto che questa stessa cifra sembra dover

trovare la propria fondazione in una fonte che le è in qualche modo estranea, sia essa

ispirazione divina o talento innato.


L’ispirazione divina comporta un momentaneo stato di uscita di sé; l’idea di talento

innato ci parla invece di una dote che, certo, si contraddistingue ancora come dono

divino.

Platone, nel libro X della Repubblica condanna l’arte in quanto copia di copia. Il

prodotto dell’arte(techne) mimetica come copia di copia. Nell’opera giovanile Ione,

invece, abbiamo la caratterizzazione della poesia, e non dell’arte, cantata dall’aedo

come interpretazione dell’interpretazione animata da un entusiasmo che cattura

l’intero processo della poesia, avvicinandolo alla divinità da cui deriva. Se, dunque,

nel caso della copia di copia ogni passo mimetico della catena comporta

degradazione, in quello dell’interpretazione di interpretazione vediamo espressa

l’idea di una trasmissione di un potere che si propaga da una fonte: quella

rappresentata dalla celebre immagine della pietra di Eracle. Il magnete rappresenta la

musa ispiratrice, essa sola è in grado di infondere ispirazione al poeta. È grazia a essa

che può nascere il buon poeta, tale perché ispirato e posseduto dalla divinità per

potere divino. Non solo, esso in questo processo viene privato dell’intelletto. Ai poeti

non serve la tecnica perché possono poetare soltanto in quanto non sono più se

stessi. Il poeta è strumento di Dio, interprete passivo.

Con Aristotele, invece, torniamo a confrontarci con le radici umane e con la nozione

di phantasia, ovvero l’immaginazione in quanto facoltà rappresentativa dipendente

dalle sensazioni. L’immaginazione entra in gioco sia nel caso del poeta che possiede

talento naturale, sia nel poeta che riceve per un periodo limitato il potere della mania

divina, il poeta manikos. Sarebbero i melanconici a essere per natura soggetti,

secondo la teoria degli umori corporei, all’ispirazione poetica: il prevalere della bile

nera indurrebbe una sospensione di senno che darebbe libero corso alle buone

creazioni. Nel Cinquecento sarà proprio la figura del melanconico che i poeti

potranno assumere per avere maggiore dignità intellettuale e sociale. Ci troviamo

ancora di fronte all’immagine del poeta che subisce la forza creativa: l’accento è

posto sulla passività della creazione.

La tecnica, invece, viene liberata dai compiti servili per scoprire le capacità che sono

proprie di chi crea e non arrivano dal divino. Non basta essere in preda alla mania per
creare, ma si deve conoscere la tecnica. L’artista è colui che esercita il possibile,

finalizzando la sua azione alla costruzione di un oggetto necessario, l’opera, in grado

di avviare un nuovo processo di interpretazione e di pensiero.

Nel Settecento, nel secolo dei lumi, la riflessione sull’artista come interprete giunge a

un punto di sviluppo decisivo. Il binomio secondo cui si declina il processo creativo è

quello fra natura e storia. L’interprete è colui che illumina nuove porzioni di mondo.

L’interprete stesso è natura, e la forza geniale che lo guida non viene attribuita

all’individualità che la esprime ma è piuttosto un’energia sovraindividuale. La visione

dell’interprete è allora impersonale, come quella dell’attore del paradosso

diderotiano.

Il metodo che egli sviluppa è quello che sospende le passioni soggettive per aprire

una relazione diretta tra lo sguardo e il mondo. Sulla base di questo rapporto diretto,

impersonale e puro che si può portare la conoscenza, attraverso le rappresentazioni,

su un piano pubblico, sociale, intersoggettivo. Se nello ione, esso doveva divenire

trasparente per portare il dono, qui la musa si rende visibile con un gesto singolare,

creatore, eppure impersonale: il genio sensuale vede nella natura una potenza da

interpretare, è un orizzonte di evidenza da esplorare. Qui l’interprete è un punto di

incrocio fra ragione e sensibilità. Il poeta interpreta creando la natura. L’attore del

paradosso diderotiano crea a partire da quello consegnatogli dal poeta e il pubblico

stesso.

Il Settecento è un secolo che eredita molte delle questioni sorte della celebre

querelle fra antichi e moderni.

L’abate Du Bos, nelle sue riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, testo che

segnerà la nozione di genio per l’intero settecento, esalta l’entusiasmo creatore,

generato dal genio, vera e propria potenza estetica, cercando le ragioni del

sentimento contro le teorie moderne del progresso e il dominio delle regole dell’arte.

Ragioni che saranno fatte valere anche dal lato della fruizione, dove è il sentimento

del pubblico- e non l’intelletto erudito del critico- a costituire il principio del gusto

capace di decretare il valore di un’opera. Il genio deve emozionare: si può essere

uomini d’ingegno senza essere geni, si può essere in grado di copiare l’opera sublime

del genio, ma non per questo si saranno raggiunte le sue altezze. Il genio è talento
naturale(attitudine che l’uomo ha ricevuto dalla natura) e applicazione( vi si giunge

soltanto dopo aver studiato a lungo).

Ma il genio è anche quel fuoco che innalza i pittori al di sopra di loro stessi, che fa in

modo che mettano l’anima nelle loro figure e il movimento nelle loro composizioni.

Eppure per Aristotele non è il divino a muovere la mano dell’artista, ma una

dimensione naturale che fornisce a quest’ultimo tutto ciò che può fisiologicamente

stimolare le funzioni dell’immaginazione.

Charles Batteux, nel suo le belle arti ricondotte a unico principio , ci parla delle belle

arti che hanno per oggetto il piacere e si fondano sul principio unificante

dell’imitazione.

Se da un lato il genio imita la natura, dall’altro non deve imitarla tale e quale. Si tratta

di un’imitazione produttiva.

Il genio Batteuxiano non produce copie passive: il genio ha forza poetica, egli

costruisce un nuovo tutto.

Si fa strada l’idea che il genio non segua un modello ma che lo debba creare. Il genio

è al di fuori della regolarità, ed è quindi un eccezione, che non conosce ripetizione. Il

genio deve rinnovare la corrente che attraversa la catena poetica e la creazione

richiede un lavorio incessante che deve fuggire dal pericolo della ripetitività.

Genio è un’immaginazione capace di afferrare legami, di cogliere le possibilità della

natura, di avvicinare eventi tra loro lontani.

Abbiamo da una parte, gli uomini, che, per la maggior parte provano sensazioni vivaci

soltanto dalla percezione di oggetti che hanno un rapporto immediato con i loro

bisogni. Dall’altra, c’è l’uomo genio, colui il cui animo più capace, sensibile a tutti gli

esseri, interessato a tutto ciò che c’è in natura, non riceve idee che non susciti un

sentimento.

Le regole e le leggi del gusto intralciano il genio che le supera per elevarsi al sublime.

Non si trasgredisce per ottenere una novità qualsiasi ma per creare una regola nuova

e condivisibile.

Per Joseph Addison l’elemento della novità è primario: originalità e creatività sono

due principi che vanno a contrapporsi al secolare principio dell’imitazione.


William Sharpe, nel Dissertation upon Genius, concepisce la natura come una tabula

rasa, corredo messo a disposizione dalla natura ad ogni uomo: l’idea che il genio sia

sempre un genio acquisito.

Per Gerard il genio è invenzione, nella scienza come nell’arte, ben distinto dal talento.

Nella creazione artistica, che mira alla produzione del bello, la funzione di controllo è

svolta dal giudizio che veglia sulla coerenza dell’invenzione, e dal gusto, che ne

misura la bellezza. Per Gerard l’immaginazione creativa genera idee che hanno

un’esistenza indipendente. Nel tentativo di naturalizzazione del genio, il tentativo di

eliminare il principio divino, componente ignota del processo creativo, che sembra

essere sempre guidato dall’esterno.

Nell’ottocento, Arthur Rimbaud parla del soggetto poetico: io è un altro. Si profila

l’idea che l’io geniale sia un altro.

Per Kant esclusiva prerogativa del genio sono le belle arti. Il genio non è colui che

segue una regola, ma colui che la dà. Non esistono confini definiti, istruzioni precise

da seguire per la realizzazione di un’opera d’arte. Anche in questo caso il chi della

creazione è la natura; vale a dire, il genio che è nell’uomo e che non si identifica in

quest’ultimo, ma lo guida nella creazione dell’opera e della regola. È la natura che

offre all’uomo la propria mano. Il genio è n tale to in grado di produrre qualcosa che

non potrebbe essere prodotto seguendo delle regole determinate. Non si tratta di

un’attitudine che non può essere insegnata: sua condizione necessaria è l’originalità.

L’originalità deve proporsi come modello, senza scaturire da modelli. Il prodotto del

genio concerne opere che non possono essere né reate né spiegate, dirà Proust.

Queste considerazioni faranno dire a Kant che vi può essere genio nell’arte ma non

nella scienza.

Secondo il metodo cartesiano si può spiegare il più complicato dei problemi a

chiunque: si tratta di scomporlo in piccole parti. Ma un’operazione del genere non

può essere applicata all’opera d’arte.

Lo spirito è fondamentale nell’opera d’arte perché mette in gioco le forze dell’animo.

Che cos’è per Kant l’idea estetica?

Egli intende quella rappresentazione della forza di immaginazione che dà occasione

di pensare molto senza che qualche concetto possa esserle inadeguato. Emerge qui
un pensiero a-concettuale che rientra nelle possibilità dell’arte, un pensiero che

nessun linguaggio può raggiungere completamente, ne rendere comprensibile. Per

questo motivo si può parafrasare una poesia ma non il suo spirito. Kant definisce

l’idea sensibile anche come un pendant di una idea della ragione. Se quest’ultima è

un concetto che non troverà mai un’adeguata rappresentazione della forza di

immaginazione. L’idea estetica è una rappresentazione della forza di immaginazione.

La natura presta la propria mano al creatore geniale, essa lo fa per creare qualcosa

che è altro da se stessa. La natura che oltrepassa la natura e rende sensibile

l’esperienza( orte, invidia, tutti i vizi, amore, gloria) in una compiutezza di cui non si

trova esempio in natura. Ritroviamo l’immaginazione come facoltà creativa. L’arte ci

porta a pensare oltre il concetto, per esempio, l’amore, lasciandoci immaginare più di

quanto il concetto possa spiegare. Si assiste a uno scambio di ruoli tra immaginazione

e intelletto: comanda l’intelletto che definisce i limiti concettuali cui l’immaginazione

deve adeguarsi. Nel caso del genio l’immaginazione è libera. Il genio può essere

comunicato, nonostante non sia definibile concettualmente.

Nell’ottocento, i romantici, faranno le loro riflessioni sul genio. Paolo d’Angelo

sosteneva che non sarebbe corretto, quando il discorso verte sul genio, parlare di

rottura nel passaggio tra settecento e ottocento- Schelling , nel suo testo il sistema

dell’idealismo trascendentale, dice che il prodotto artistico è generato da due

principi, quello attivo, conscio dell’azione libera dell’artista, quello che l’artista può

scegliere di avviare e quello passivo, relativo alla dimensione naturale, che fa si che

l’opera ci appaia come se fosse stata creata inconsciamente, come accade per gli

organismi naturali. In schelling il genio è l’incontro fra questi due principi.

Il gusto sembra perdere la propria identità mutando qualitativamente il genio. Si

tratta di capire se si debba pensare al genio come ricomprendente il gusto in sé,

oppure considerare il gusto come tale da essere sempre genio. Il primo caso

rispecchierebbe nell’idea che l’eccezionalità del genio trascina con sé le capacità

riluttanti dell’uomo comune. Il secondo caso pone l’accento sul fatto che se tutti

possono arrivare ad apprezzare l’opera d’arte allora vi è un po0 di genio in tutti. Due

testimonianze che sembrano testimoniare l’assimilazione del gusto da parte del

genio, facendo sì che l’ottocento decreti l’onnipotenza dell’artista.


Schopenahauer, ne il mondo come volontà e rappresentazione, afferma che solo

nell’arte si possa dare il genio. Per il filosofo della volontà l’arte è conoscenza, è

intuizione delle idee, un puro contemplare le essenze delle cose.

Per NIetzche il genio è un solitario intellettuale.

Nel Novecento Henri Benson riconduce l’idea che un’opera d’arte possa preesistere

alla su realizzazione a un’illusione, a un’ingenua abitudine connaturata all’essenza

stessa del nostro intelletto, il quale sembra proiettare all’indietro ogni verità

acquisita: ad ogni affermazione vera noi attribuiamo un effetto retroattivo. Come se l

cosa e l’idea della cosa non fossero create nel medesimo istante.

Gadamer indaga lo statuto dell’opera d’arte a partire dal fenomeno del gioco. Con

questo riferimento egli vuole caratterizzare l’essere dell’opera d’arte, non lo stato

d’animo dell’artista o del fruitore. L’opera d’arte diventa il soggetto dell’esperienza

dell’arte, un’esperienza che modifica colui che la fa. L’opera viene colta nella sua

essenza. Il processo di creazione si manifesta nei termini di riconoscimento creativo

in cui il più di conoscenza trova conferma nel sentimento del piacere.

Merleau-Ponty insiste sulla dimensione passiva e non predeterminata della

creazione, figlia di una visione che comporta una visibilità segreta. L’arte ci ridona un

mondo che era già presente, ma un mondo al quale soltanto l’opera può dare un

senso.

Deleuze presenta, attraverso la nozione di virtuale, alcune feconde indicazioni per

definire quale sia quel certo senso per cui si può parlare di preesistenza dell’opera

d’arte. Egli distingue la nozione di virtuale da quella di possibile. Il possibile è ciò che

si realizza ed è legato alla nozione di reale. Il possibile e il reale sono distinti soltanto

dall’attributo dell’esistenza. Il virtuale deve attualizzarsi. Nella coppia virtuale attuale

entra in gioco la differenza. Il virtuale, per attualizzarsi, deve creare le sue linee di

attualizzazione.

Dino formaggio discute la figura del genio: il genio è natura proprio in quanto è
sensibilità, che non è commozione, ma è la potenza della materia. Il materiale parla

all’artista. Il genio possiede la tecnica, che si distingue dalla tecnica del mestiere.

Il Novecento sembra togliere al genio quell’aura divina. Si assiste alla nascita del

creatore impersonale che crea sparendo. Lo stile impersonale diventa il nuovo

soggetto della creazione a discapito dell’autore. Quest’ultimo si volatilizza. Se

pensiamo a Wanrhol e al suo voler essere macchina: si pensa allo stile wanhrol prima

che alla persona, artista.

Il Novecento:

Il 900 come secolo dell’estetica non rimane la sola e semplice ricerca del bello, ma è

la raffinata coalizzazione delle varie arti. Mette in evidenza la società di quegli anni,

fatti ed eventi storici e in questi anni nuove abitudini mettono in atto nuove paure....

IL BENE CHE DEVE RISIEDERE IN QUESTA NUOVA SOCIETÀ STA NELLA SANA

COMUNICAZIONE,NELLA RICERCA DELLA RISOLUZIONE DI POTENZIALI PROBLEMI E

NELLA PROPOSTA DI IDEE UTOPICHE ATTUABILI.

L’ESTETICA DEL 900 PUÒ ESSERE SUDDIVISA IN 4 grandi filoni:

Vita,Forma,conoscenza e azione.

L’estetica è semplice e coerente nella sua linea di sviluppo e a questi 4 filoni vanno

abbinate informazioni di carattere storico:

Intorno agli anni 60 avviene una rivoluzione e l’estetica assume una considerazione

politica per la rivoluzione demografica, industriale, culturale. Per questo l’estetica

entra in comunicazione con le masse, dai tempi di Giltey si riconosce che il 1800 non

è solo il periodo delle rivoluzioni ma anche il cambiamento della filosofia che vede

delle dissoluzioni nei propri schemi tradizionali per i cambiamenti sociali di vaste

proporzioni. Quando nel 68 l’Occidente viene scosso da moti di protesta e la

società comincia a rifiutare ordini dall’altro e si ricercano cambiamenti nelle

tradizioni. Così l’estetica della forma diventa estetica mediatica: i media entrano nella

società e la forma artistica deve essere diffusa attraverso questi, infatti, L’estetica

della azione di basa su aspetti comunicativi: arrivare al maggior numero di persone

possibili esattamente come accade ai giorni nostri attraverso i social. La sensibilità,

l’affettività nel 900 lo sviluppo di questi aspetti è dovuto a psicologi, medici, teologi,
scrittore filosofi tramite l’analisi del “sentire”. In questo periodo si crede che

L’esperienza estetica comporti un accrescimento delle energie vitali, per la filosofia

della vita nel 900, questo viene in accezione polemica. Kant riconduce il giudizio

all’estetica e la teleologia che ci permettono di avere un giudizio coerente, il quale

non può derivare dall’esperienza: alla domanda se la vita abbia un senso Kant

afferma di non poter fornire una risposta di tipo conoscitivo. Tra coloro che hanno

creduto che estetica e vita fossero strettamente collegate troviamo William Diltein

1933-1911, ha colto tra 800 e 900 dei cambiamenti, sostiene che l’estetica 700/800

ha esaurito il suo compito e sono inadatte alla nuova situazione politica/sociale, nel

1848 vi furono eventi che scossero l’Europa( 1 guerra indipendenza, nuova

rivoluzione francese) e questi moti popolari non sono ancora fermi nel 1892,

l’estetica della vita quindi serve a comprendere verso dove la società sta andando,

serve a comprendere la vita in modo essenziale. La pretesa di cogliere la realtà nei

cambiamenti sociali è centrale nel pensiero (storicismo) di Diltei che analizza la

grande crisi degli schemi tradizionali iniziata dal Naturalismo sull’esistenza umana. A

differenza di Hegel Diltei pensa che per capire il senso della vita bisogna strutturare la

realtà storica, lo storico ci dà il senso della vita.: I tre metodi dell’estetica tradizionale:

razionale, sperimentale e storico si rivelano inadeguati a causa dei cambiamenti della

società.

LE CRISI DEL CAPITALISMO E LE TEORIE MARXIANE:

Sembra che la crisi riguardi sempre gli altri senza rendersi conto che, invece, riguarda

tutti noi: ce ne rendiamo conto ogni giorno in quella che è la vita quotidiana, in quelle

che sono le promesse mancate, in quella che è la crisi ambientale, dalla crisi derivata

dalla pandemia e in quelle che sono le mancanze di risposte di tipo filosofico e

spirituale di cui avremmo bisogno e che nessuno riesce a dare. Nell’attuale dibattito

sulla crisi, due sono i filoni interpretativi principali, che richiamano a MARX e che ci

ripropongono inevitabilmente una sua rinnovata attualità: il primo è quello che legge

la finalizzazione come consegna della caduta tendenziale del saggio del profitto, e in

quest’ottica individua una lunga tendenza alla stagnazione, che comincia in un'epoca
apparentemente felice, ovvero gli anni ‘60 e ‘70 del ‘900. L’altra interpretazione

prevalente fa riferimento alla tendenza alla crisi di realizzazione, ovvero da

insufficienza di domanda: questo secondo filone evidenzia come, dopo la

controrivoluzione monetarista degli anni ‘80 del 900, siano avvenuti profondi

cambiamenti nella distribuzione del reddito, e sostiene che in un mondo di bassi

salari la ragione di fondo della crisi sia l’insufficienza di domanda di consumi. La

tendenza all’instabilità del capitalismo discende innanzitutto dal fatto che è

un’economia fondata sul mercato e sulla moneta: sul mercato, nella divisione sociale

del lavoro, vige l'anarchia che può condurre a una realizzazione incompleta del

plusvalore, prodotto in potenza del processo immediato che ha di valorizzazione. La

presenza della moneta dissocia le vendite dei successivi acquisti e il tesoreggiamento

può interrompere la sequenza, per cui l’offerta trova il proprio sbocco sul mercato

quando i redditi pagati ai fattori della produzione vengono spesi. La maggior parte

dell’indagine marxiana nei tre libri del capitale è svolta su un presupposto: che le

merci siano vendute sul mercato a loro valore sociale o al loro prezzo di produzione.

Inoltre, nel secondo libro, MARX costruisce degli schemi di riproduzione, sia semplice

che allargato, dove dimostra che un sentiero in crescita è una possibilità. MARX

divide il prodotto sociale in due settori: il primo che produce beni capitali e il secondo

che produce beni di consumo, divisi, questi ultimi, in beni salario e beni di lusso. Il

valore prodotto da entrambi i settori viene scomposto nella somma delle sue tre parti

componenti: capitale, capitale costante, il capitale variabile e il plusvalore. Nella

riproduzione semplice e del tutto astratta e irrealistica i capitalisti consumano

improduttivamente l’intero plusvalore, così che il sistema si riproduce sulla medesima

scala senza crescere. Nella riproduzione allargata, invece, essi investono in parte o

del tutto il plusvalore in nuovo capitale, costante e variabile, il che consente

l’accumulazione. MARX afferma che il capitale può crescere nel tempo senza

necessariamente incontrare una barriera e dimostra che un accumulazione bilanciata

nel lungo periodo è tutto e meno che garantita, visto che l’equilibrio impone che gli

scambi abbiano luogo rispettando determinate proporzioni: non soltanto in valore

ma anche in valore d’uso in moneta; ora l’equilibrio è, si una possibilità, ma anche un

caso. D’altra parte la probabilità che l’equilibrio venga infranto a causa dell’assenza di
un piano, apre soltanto la possibilità della crisi. In effetti, sostiene MARX, che le crisi

hanno luogo a partire da una caduta degli investimenti e questo deriva da una crisi

della profittabilità. La questione, dunque, si trasforma e diviene quella di

comprendere la ricorrenza della crisi riconducendo ad una compressione del saggio

del profitto e spiegandone le ragioni. Su questo MARX propone, nei suoi manoscritti,

una serie di prospettive diverse, per esempio quella che viene definita la crisi ciclica

da esaurimento dell’esercito industriale di riserva. Una prima argomentazione è

quella che viene descritta nella legge generale dell’accumulazione: se si assume una

composizione del capitale costante, una crescita sufficientemente rapida del valore

investito finirà con il premere sull’offerta forza - lavoro, rendendo il mercato del

lavoro più favorevole all’offerta. Crescono di conseguenza i salari, sino ad eccedere la

crescita della forza produttiva del lavoro; tutto il resto, rimanendo uguale, cade il

saggio di profitto, l’accumulazione rallenta e con essa si riduce anche la domanda di

forza - lavoro. Una risposta a questa difficoltà sta nell’introduzione di metodi di

produzione risparmiatori di lavoro, una risposta che finisce con l’incidere sulla

distribuzione del nuovo valore prodotto. Per un dato capitale anticipato la

meccanizzazione riduce la quota del capitale variabile e, perciò, alla domanda di forza

- lavoro i lavoratori vengono sostituiti da macchine. Nel ciclo il ritmo e la struttura

dell’accumulazione del capitale variano continuamente al fine di riprodurre un

esercito industriale di riserva dei lavoratori che possono essere immessi nel processo

immediato di valorizzazione. Si esercita così una pressione al ribasso sul salario, che è

la variabile dipendente. La situazione che ha in mente MARX è diversa:

l’accumulazione capitalistica si accompagna essenzialmente da una produzione di

plusvalore relativo, fondato a sua volta su una dinamica positiva della forza

produttiva del lavoro, il che è del tutto compatibile con una crescita del salario reale,

non è in contraddizione con l’espansione della quota del nuovo valore, che va in

favore della classe capitalistica. Un aumento del consumo reale della classe dei

lavoratori, proveniente dal lavoro reddito, si può ben esprimere in un valore della

forza - lavoro declinante. Si ha a che fare con quella che ROSA LUXEMBURG definì la

legge della caduta tendenziale del salario relativo, connessa con una contrazione del

salario come quota del reddito, un impoverimento relativo ma non assoluto. É vero,

però, che si possono delineare situazioni nelle quali le lotte salariali possono farsi
relativamente indipendenti dal mercato del lavoro, infrangendo la tendenza alla

compressione del salario relativo. In questo caso il conflitto salariale si muta in

antagonismo contro il modo di produzione presente, può divenire una causa

indipendente della crisi capitalistica. La meccanizzazione della produzione non va

però vista soltanto come una risposta alla compressione dei profitti dovuta allo

svuotamento dell'esercito industriale di riserva: essa è invece, in primo luogo, la

materializzazione di una spinta autonoma del capitale a controllare i lavoratori nel

luogo di produzione, in modo da garantire l’erogazione di lavoro vivo in eccesso al

lavoro necessario. Si arriva così ad un aumento del saggio di plusvalore che è coevo

all’espulsione di forza - lavoro del luogo centrale di valorizzazione. Gli innovatori

cercano di realizzare il massimo vantaggio dei vari metodi che hanno introdotto; in

forza di ciò la meccanizzazione è una leva potente nella regolazione del valore di

scambio e del valore di uso della forza - lavoro da parte del capitale ai fini della

massima estrazione possibile di lavoro vivo. Ma, il lavoro vivo, che è la sorgente del

valore del plusvalore, scaturisce proprio dall’uso della forza - lavoro che proviene

dagli esseri umani, in quanto lavoratori in carne e ossa. Esso è attaccato al loro corpo

che va, a sua volta, incorporato nel capitale. La dilatazione del lavoro morto

corrisponde ad una progressiva penuria del lavoro vivo nel lungo periodo, pur in

maggiore sfruttamento della forza - lavoro, quando la crescita della composizione

tecnica del capitale si traduce nell’aumento della composizione in valore, quando,

cioè, secondo MARX, avviene un incremento della composizione organica del capitale

e si concretizza davvero, il che corrisponde alla tendenza prevalente della dinamica

capitalistica. La crisi è ora dovuta ad una composizione in valore che cresce più

rapidamente del saggio di plusvalore. La caduta del saggio di profitto è stata

interpretata da alcuni autori non soltanto come ragione della crisi ciclica del capitale,

ma anche come causa di una caduta secolare della profittabilità. Una tesi del genere

è controversa dal punto di vista testuale, ma difficilmente argomentazioni di tipo

testuale sono dirimenti del discorso MARXIANO sulla crisi, che è rimasto sempre ad

uno stadio incompiuto. L’applicazione di dosi maggiori di capitale costante, ancor più

quando quest'ultimo sia costituito da capitale fisso, è per MARX un mezzo

particolarmente efficace per accelerare l’estrazione di plusvalore e pluslavoro


dell’unità di tempo. D’altra parte è vero che in alcune parti dell’opera di MARX il

conseguente incremento del saggio di plusvalore non è in grado di compensare. Una

conclusione è la tesi che vi sarebbe un limite assoluto al pluslavoro che può essere

attivato da una popolazione lavorativa data. Per comprendere di cosa si tratta è bene

guardare alla composizione del capitale come un indice del rapporto tra, da un lato, il

lavoro morto contenuto nei mezzi di produzione, dall’altro lato il lavoro vivo speso

nel periodo. Questo rapporto viene approssimato dal rapporto tra capitale costante

al numeratore e la somma di capitale variabile plusvalore al denominatore. MARX

potrebbe essere letto come colui che suggerisce, in sostanza, che il numeratore del

saggio massimo di profitto avrebbe una sorta di limite insuperabile e innaturale: il

denominatore al contrario, può espandersi illimitatamente. MARX propone, quindi,

un fondamento microeconomico del comportamento individuale a questo risultato

macroeconomico di sistema, che altrimenti parrebbe contraddittorio. I capitalisti

individuale introducono metodi a più elevata intensità di capitale, al fine di abbassare

i costi per un unità di prodotto, guadagnando grazie a queste innovazioni un sovra

plusvalore o un sovra profitto, ed evitando, a loro volta, di essere espulsi dal mercato

dei competitori. Si tratta di una concezione dinamica della concorrenza che tende a

differenziare il saggio del profitto all’interno del settore, e che verrà ripresa da

JOSEPH SCHUMPETER.

Libertinismo:

L’insofferenza della natura e l’utopia politica crearono uno spirito avventuroso che

non ebbe molto successo. Giordano Bruno e Tommaso campanella furono due

filosofi libertini che si opposero alla controriforma.

Giordano Bruno fu perseguitato sia dalla politica che dalla chiesa, ciò lo portò a

convertirsi al naturalismo. Fu condannato al rogo.

Tommaso Campanella subì diversi processi dall’inquisizione. Fu accusato di congiura

politica a favore della spagna contro Napoli, partecipa a una rivolta, che viene

stroncata, e rimase in carcere per 27 anni. Giunge all’idea di una monarchia

universale.
La controriforma della resistenza Italina si colloca nell’opera di Paolo Sabbi che

affronta il problema del rapporto tra chiesa e stato. Sabbi sostiene la sovranità dello

stato. Questo suscitò un conflitto tra Venezia e la santa sede. La polemica rimase

aperta nel corso degli anni.

L’assolutismo fu lo dbocco di questa rivoluzione del 500.

Altre tendenze che si diffusero: - Giusnaturalismo

- Contrattualismo

Alla fine del 500 abbiamo Galileo Galilei con cui lo studio della natura si slega dalle

autorità politiche e religiose per far sì che possa essere considerata vera. Sottrae alla

teologia lo studio della natura per far spazio all’osservazione scientifica. Non vi era

più l’autorità divina ma la matematica come autorità scientifica.

Nel 1591 Galileo ottenne la cattedra di matematica dall’università di Padova.

Dimostrò matematicamente la struttura del sistema solare ipotizzata da Copernico.

La chiesa contrasta questa ipotesi perché andava contro le sacre scritture. Venne per

questo condannato e confinato. Dovrà quindi ripudiare le sue dottrine.

La rivoluzione scientifica continua con Bacone e Keplero. La filosofia naturale apre le

ve a nuove branche della scienza.

Cartesio imprime una rivoluzione filosofica: rifiuta l’autorità e il dogmatismo del

pensiero umano.

Medioevo e rinascimento:

L’identità europea ha le sue radici nel medioevo cristiano. L’antichità classica

propone una versione di arte molto ampia: arte come rapporto con la bellezza.

I romantici vedono nell’esperienza artistica la manifestazione della verità, soltanto la

verità può apparire tramite la bellezza.

Nel mediterraneo, accanto al pellegrinaggio si trova la storia della salvezza. Nel

rinascimento, accanto all’idea di progresso si trova l’idea di classicità come

perfezione insuperabile. Sia nel medioevo che nel rinascimento vi è l’idea della
bellezza come inganno demoniaco. La bellezza può essere inganno solo se è

concepita come verità.

Differenze di pensiero:

medioevo: l’artista è umile artigiano

nel rinascimento: l’artista è espressione più alta della scintilla divina che è nell’uomo

e assume i caratteri di divinità. Quindi, l’opera d’arte è il segno tangibile di Dio.

Dipingere significa penetrare e conoscere le leggi della natura. Comporre musica è

mistica ripetizione dell’armonia dell’universo. Queste idee danno vita alla diffusione

della trattatistica rinascimentale in cui, l’artista, consapevole del suo ruolo si

interroga su di esso.

Esempi: trattato della pittura di Leonardo, il libro delle proporzioni...

Il passaggio dal medioevo al rinascimento è attraversato da nuove correnti di

pensiero: neoplatonismo e Aristotelismo.

Riflessioni sul mediterraneo:

In geopolitica si evidenzia il fatto che il mediterraneo sia un mare nostro ma anche di

tutti gli altri popoli.

Con le scoperte geografiche sembrava che l’asse si fosse spostato dal mediterraneo

all’atlantico, ma il mediterraneo tornerà ad avere importanza nei secoli. I romani lo

unificarono, creando una serie di interconnessioni sociali e politiche che lo resero il

nucleo della civiltà. Sulle rive del mediterraneo nacquero le grandi civiltà, la filosofia,

l’arte greca, i miti e le leggende che vivono ancora oggi. Al suo interno queste civiltà

erano destinate ad incontrarsi e scontrarsi a seconda del loro destino. Tra questi

popoli, Siracusa fu la prima a comprendere il ruolo fondamentale del mediterraneo.

Nel xxi secolo stiamo vedendo la crisi dell’occidente nella sua versione più ampia. I

valori dell’occidente si sono ridotti al capitalismo. Questa è una crisi di civiltà,

abbiamo perso le radici culturali, abbiamo sostituito i rapporti tra uomo e società con
pseudo religioni legate ai diritti civili, al denaro, che segnano la fine economica di un

mondo al degrado, sconvolto da guerra, fame, crisi economica e pandemia.

Lezioni di estetica, estetica del 900:

Karl Jaspers individuò nella schizofrenia una condizione che facilita l’apertura

dell’uomo all’orizzonte metafisico che sarebbe, secondo lui, la caratteristica dell’arte.

L’arte è una sorta di rivelazione, è il tentativo di cogliere l’essenza dell’essere, di

afferrare il significato di ciò che ci circonda. Quest’idea di un’estetica esistenzialista

raggiunge un livello di espressione nel pensiero di Martin Heidegger. La sua estetica è

espressa in una serie di saggi: l’arte e la rivelazione.

Attraverso la parola l’artista coglie i cenni del sacro e li trasmette agli altri uomini.

L’arte è sempre poesia perché è un dettato dell’essere.

Per Jean Paul Sartre l’oggetto dell’arte è l’immaginario. L’esperienza dell’arte è una

paramnesia, ovvero quando si crede di trovare nel passato un’analogia della

situazione presente.

Abbagnano e Paci consideravano l’arte come un ritorno alla natura e alla solidarietà

umana.

Con Moritz Geiger si comincia a parlare di estetica fenomenologica. L’estetica

rinuncia alla metafisica di tipo fenomenologico dal quale distingue lo strato dell’arte,

ovvero il piacere, da quello del fare.

Egli tenta di sviluppare una teoria dell’intenzionalità dell’oggetto estetico, il quale si

presenta in una serie di diversi strati, ciascuno corrispondente a un’operazione:

1) I suoni

2) Unità di significato

3) Oggetti rappresentati

4) Mondo raffigurato

5) Qualità metafisica

6) Sublime

7) Tragico

8) Terribile
9) Sacro

La pubblicazione, nel 1950, della nota discussione di Stalin sui problemi della

linguistica diede spunto agli studi di Lukacs. Illusione e realtà riprende le teorie

marxistiche della sovrastruttura. Se si vuole restare nell’ambito preciso dell’estetica

bisogna attenersi alla parte di chi crea o di chi osserva. Quindi ci mettiamo dal lato

della critica si fa subito evidente che ci si pone al di fuori dell’arte, perché la si

considera dall’esterno.

Lukacs dice che la critica letteraria deve essere scientifica, perché esiste una zona

intermedia, la zona dell’oggettività per le opere scritte.

Lukacs polemizzava il saggio di Stalin sulla linguistica:

per Stalin la lingua comune non appartiene alle sovrastrutture, ma è un fenomeno

originario, mentre la letteratura e l’arte sono fenomeni appartenenti alle

sovrastrutture. La posizione staliniana mirava a svincolare la linguistica marxista

dall’ortodossia al concetto di sovrastruttura. Mentre Lukacs cerca di difendere la

posizione marxista.

De La Volpe mette in luce le contraddizioni di Lukacs, il quale vuole vedere nell’arte

una rappresentazione della qualità della vita.

Negata la possibilità di una caratterizzazione metafisica dell’arte, De La Volpe ne

rintraccia la nota distintiva nella sua tecnica semantica, la quale consiste in un

carattere di organicità. Egli pensa che un testo poetico sia condizionato dai valori,

verificati in modo esclusivo a quel dato testo. La struttura tecnica dell’opera d’arte è

la norma tecnica costitutiva e la norma valutativa di esso.

Ogni asserzione ha bisogno di una verifica che provenga da altre fonti.

L’arte è un tipo di discorso che comporta un auto verificarsi. La scienza e la storia

sono un tipo di discorso che comporta un’etero verifica.

Nel novecento, in germania, si afferma l’espressionismo. Boehringer combattè la

poetica espressionistica quanto la psicologia naturalistica, sostenendo un anti

naturalismo, in quanto si avvicina al formalismo geometrico. La polemica tra

espressionismo e anti espressionismo si sviluppò con particolare vivacità nella

musica, una musica espressiva che rifiuta la poetica mimetica.

Valerie teorizza una poetica dell’irrazionale del disordine a contatto con le


suggestioni del simbolismo.

Berenson e Venturi si occuparono del formalismo figurativo:

la visione di Berenson vira verso i principi della non imitività e costruttività delle

forme spaziali, idee dei così detti valori visivi.

Roger Fry fu sostenitore di una teoria dell’espressione artistica che accompagna a

una visione emozionale.

Le poetiche sociologiche e neorealistiche si collegano alla scuola viennese:

Adorni ha tentato di dare risposta in chiave sociologica al fenomeno musica. Egli

parte dal recupero dei contenuti nella musica dodecafonica e accusa la musica non

dodecafonica di essere priva di contenuto.

Si mette in crisi la possibilità stessa di un’estetica filosofica:

il precursore dell’analisi semantica dell’arte è Ernest Cassirer, che tenta un’analisi del

linguaggio artistico in chiave simbolica. La funzione simbolica è la funzione principale

di cui tutte le funzioni umane non sarebbero che manifestazioni particolari ma, una

volta riconosciuta una natura simbolica di tutte le funzioni dell’uomo, diventa difficile

distinguerle filosoficamente.

Charles Morris cerca di individuare le caratteristiche dell’espressione artistica così da

poter giustificare una trattazione estetica di essa. Nel 1496 dice che nessun segno

estetico come tale, e il tentativo di isolare una speciale classe di segni estetici, appare

inevitabilmente un errore e finisce con il dare alla poesia una definizione puramente

approssimativa.

L’ estetica di Susan Langer si basa sulla generalizzazione e universalizzazione di una

teoria specifica, sorta a proposito della musica, secondo cui la musica sarebbe non

stimolazione o eccitazione di sentimenti, ma formulazione simbolica di essi.

Un altro concetto primario è l’illusione primaria, ovvero la nota distintiva di ogni tipo

di arte. Così nella musica e l’illusione da essa suscitata è un tempo virtuale, cioè una

qualità di tempo che non deve essere confuso né con quello cronologico, né con

quello fisiologico. È un tempo legato all’elemento percettivo.

Stephan Pepper conclude la polemica contro l’assolutismo estetico. Non esiste la

teoria filosofica assolutamente vera, bensì ogni filosofia deve scegliersi un’ipotesi
sulla quale costruire la propria teoria. Egli sceglie l’ipotesi contestualista, la quale

consiste nell’esaminare i fatti estetici nell’insieme e nella fusione del mondo.

La Geopolitica:

La sua storia risale alla fine dell’800, studia il rapporto tra individuo, stato e territorio

e la relazione tra le altre civiltà.

Dalla caduta del muro di Berlino la geopolitica ritorna in uso, perché in precedenza

venne ‘’bloccata’’ dai regimi totalitari, anche se in sordina durante tutto il 900 ci

furono dei numeri ingenti di scontri, invece oggi la geopolitica serve a spiegare i vari

conflitti nel mondo e serve anche per determinare il futuro.

Oggi si tende a parlare di essa senza avere spesso la cognizione del giudizio, anche

perché riprende tantissimi campi come economia, guerra organizzazione ecc... tutto

dedito anche alla visione futura.

La Camera Regionale

Era una camera diffusa in Sicilia e diveniva dedita alle regine e attenuava le difficolta

gestionali dell’impero, regalata sempre dal consorte ed equivaleva ad uno stato nello

stato, presentava addirittura dei funzionari, ma finirà tutto alla fine del 500, per via di

un organizzazione politica di tipo differente.

L’economia medioevale della Sicilia era incentrata prettamente sull’agricoltura,

questo tipo di economia era influenzata dai tempi e anche dai vari regolamenti sul

mantenimento dei vari prodotti, il tasso d’esportazione era intensissimo e molto

difficile da gestire anche per via di una serie di problematiche legate ad epidemie,

guerre e tasse, perciò già all’epoca la gestione della camera regionale in relazione ai

paesi dove si esportavano queste materie prime creava problemi alla Geopolitica di

allora.

Cambiando argomento Hegel approfondisce il nesso che collega l’arte all’azione, in

un epoca dove l’estetica è già un pensiero consolidato, si pensa che l’artista possa

slegare la coerenza di tutti i valori per dare priorità a ciò che vuole, questo difatti

parte da tempi immemori come l’Iliade e l’Odissea alla divina commedia con la

presentazione di Ulisse, al Don Giovanni ecc... tutto fatto per oltrepassare dei valori

che limitano l’espressione dell’essere


Il BAROCCO COME AL DI LÀ DELLA FORMA:

La ricerca storica di una forma artistica che contenga in sé stessa la tendenza al

proprio superamento comincia con lo storico d’arte svizzero HEINRICH WOLFFLIN, la

cui opera “Rinascimento e Barocco” segna l’inizio di una riflessione sui limiti della

forma, destinata a coinvolgere molti altri studiosi. Secondo lo storico i due contesti

storici sono categorie opposte, caratterizzate da orientamenti formali, culturali e

concettuali, in apparente contrasto tra loro: mentre il primo è legato al rispetto delle

norme e della simmetria, il secondo è rinato dalle ricerche eccezionali dell’insolito.

L’aspetto filosoficamente rilevante di questa opposizione non consiste

semplicemente nel contrasto tra due stili differenti, ma nel fatto che nel Barocco

costituisce il tentativo di andare al di là della forma: esso segna il dissolvimento della

forma attuato però con piena consapevolezza. Afferma PERNIOLA nell' “estetica del

‘900” che, spinto da un’istintiva ripugnanza per ogni delimitazione precisa, il Barocco

cerca di riprodurre, attraverso mezzi artistici, l’effetto del sublime: esso tende verso

l’infinito, l’informe e l’inesauribile. L’esperienza estetica barocca è un’eccitazione che

travolge l’identità singola e getta chi la prova in un abisso nel quale ogni vita

particolare è soppressa. Tuttavia questa tendenza all’infinito continua a valersi

dell’arte, perciò essa dà origine ad una forma di rappresentazione opposta a quella

classica, che WOLFFLIN definisce pittoresca. Il suo carattere, innanzitutto, è alla

ricerca della raffigurazione del movimento ottenuto attraverso la sfumatura, il

contrasto tra luci e ombre, il dissolvimento dei contorni, il rifiuto della simmetria: a

questo si aggiunge il richiamo all’indeterminato, all’illimitato e si manifesta

formalmente nel coprire alcune parti essenziali. L’esperienza della forma barocca non

è tuttavia una liberazione spirituale, al contrario ci si sente impigliati in una massa

pesante, caotica, che impedisce l’azione individuale: il grandioso, il massiccio, il

colossale, implicano l’impossibilità di cogliere sensibilmente l’oggetto attraverso

un’unica percezione. La forma singola è assimilata e assorbita in un contesto più

ampio: là dove l’elemento singolo non può essere incatenato nella massa esso viene

replicato in copie identiche che ne dissolvono l’identità. WOLFFLIN scrive che la

forma barocca è nata da un’idea della materia vista come qualcosa di succoso e
molle; la massa informe irrompe ovunque. Sembra che lo storico opponga alla forma

classica non tanto un’altra concezione della forma quanto la materia senza forma, la

quale è dotata di un movimento inarrestabile e resiste all’azione individuale. Queste

riflessioni trovano un’opposizione più precisa e rigorosa nell’opera della maturità

“Concetti fondamentali della storia dell’arte”, nella quale il classico e il barocco sono

considerati le due forme fondamentali della rappresentazione: qui WOLFFLIN non

privilegia una rispetto l’altra ma si sforza di individuare i loro caratteri in modo più

possibile oggettivo. La lotta tra la forma e la materia sembra aver lasciato il posto al

confronto tra due tipi differenti di forme, ciascuna delle quali correlata con una

particolare concezione del mondo. Ciò che importa dello storico è proprio

sottolineare l’inseparabilità di forma e contenuto: le forme della rappresentazione

visiva non sono qualcosa di esteriore, ma diventano quasi condizioni delle possibilità

delle esperienze estetiche. Sembra così che WOLFFLIN voglia estendere all’estetica

un uso del termine forma che KANT aveva limitato alla conoscenza. Per quest’ultimo,

infatti, si può parlare di condizione a priori dell’esperienza solo nel caso dello spazio e

del tempo, forme della sensibilità, e delle categorie, forme invece dell’intelletto. Le

idee estetiche non possono svolgere una funzione analoga alla forma della sensibilità

e dell’intelletto perché non garantiscono nulla che riguardi la realtà oggettiva, ma si

riferiscono esclusivamente alla soggettività, al sentimento di piaceri e dispiaceri la cui

universalità non dipende dalla sensibilità. Per WOLFFLIN, invece, classico e barocco

costituiscono quasi degli a priori storici, non tutto è possibile in ogni tempo e le

forme di rappresentazione visiva sono indipendenti dalle scelte espressive individuali:

esse si impongono ai singoli artisti perché condizionano il loro modo di percepire la

realtà; il vedere per linee è essenzialmente differente dal vedere a macchie. Il lineare

e il pittorico costituiscono due orientamenti opposti alla sensibilità: la prima è lineare

e tattile perché vede i limiti degli oggetti, conferisce a chi guarda di toccare i margini;

la seconda, invece, è pittorica e ottica perché la percezione fluttuante e sfumata della

forma dissolve la continuità dei contorni. La prima pone enfasi sulla realtà del mondo,

la seconda sulla sua apparenza: WOLFFLIN articola in modo ampio e dettagliato

questa opposizione attraverso coppie di concetti; il modo di vedere lineare è

caratterizzato dalla successione delle superfici, il modo di vedere pittorico dalla

profondità e dal sovrapporsi dello spazio. Il primo predilige la forma chiusa e la


chiarezza assoluta, la seconda la forma aperta e la chiarezza relativa. Infine, il classico

mira all’armonia di parti indipendenti ed è quindi connesso con l'esperienza e la

molteplicità, mentre il barocco disgrega tutte le identità formali e ristabilisce la

continuità del mondo. La forma chiusa, di WOLFFLIN, rimanda in ogni parte a sé

stessa, viceversa la forma aperta tende a superare in ogni parte sé stessa e vuole

apparire come illimitata.

I sofisti:

L’attività speculativa e didattica dei Sofisti ebbe inizio verso la metà del V secolo,

periodo di pace e progresso civile per la società greca. Se invece guardiamo i periodi

anteriori e posteriori vedremo delle crisi sociali atte a stimolare il pensiero. L’antitesi

tra individuo e comunità si risolve nella realizzazione dei caratteri tipici: l’universale al

di sopra del singolare. Dopo le guerre la religione iniziò a dissolversi nel mondo della

relatività.

I Sofisti sono espressione di un’età di crisi e perciò frammentaria; sono portati a

polemizzare tra di loro, il loro pensiero si manifesta come qualcosa di empirico

fenomenico, determinato da un preciso fatto sociale, dal quale fu tratta

un’argomentazione. Vi è una svasatura cronologica tra cultura e educazione del

mondo greco. I Greci si sforzarono affinché il loro sapere e la loro arte si diffondesse:

- prime scuole di medicina

- Scuola classica

Estetica del sacro:

Fin dall’antichità greca certi aspetti del fenomeno religioso sono stati messi in

evidenza. L’assenza di qualsiasi dogma teologico riduceva le sole rappresentazioni

umane alle fonti stesse del divino. Tali fatti erano esposti alla critica razionale. Nel VI

secolo a.C. le immagini degli dei erano indegne; avevano attribuito agli dei tutto ciò

che tra gli uomini era considerato obbrobrio (inganni, furti, ecc).
Eraclito prende di mira i miti, semplici simboli della verità. Sono un rivestimento

popolare di una verità divina. Il mito per Platone è una favola che porta

insegnamento. Aristotele dice che i miti non indicano mai le cause logiche, lo sforzo

per cogliere l’essere divino. Ogni religione può essere concepita come condizione

comune a tutti gli individui, poiché si basa sul corretto esercizio della ragione.La

religione romana era connessa al culto, l’atto di culto fu l’oggettivazione del sacro. Il

romano non deve smettere di agire, seppure in modo onesto.Il cristianesimo rovescia

il tradizionale rapporto religioso. Vi è bisogno di un rapporto personale e diretto con

il proprio Dio.

La fede, in una salvezza post-moderna, modifica l’atteggiamento riflessivo dell’uomo

nei concetti del sacro. Comincia l’epoca della fede religiosa, di una verità esclusiva,

offuscando la cultura classica.

Esempio di Estetica ambientale:

Il dolmen Ciancio di Avola è una presenza dell’età preistorica nella provincia di

Siracusa , scoperto nel 1961, ha a che fare con il megalitismo in Europa così come nel

resto del mondo arriva anche in Sicilia.

Il suddetto Dolmen è posto sotto vari dubbi in merito all’utilizzo, si presume che

possa essere stato come sepolture che appartengono alla popolazione autoctona

dell’ Eurasia invece c’è chi sostiene che appartiene alla popolazione autoctona

siciliana che ha avuto influenze per via delle invasioni, questi sono monumenti che

vengono protetti in quanto parte della natura, e non è possibile decontestualizzarli

dal loro luogo d’edificazione, anche se le origini e l’autenticità di questo Dolmen fu

messa molto in discussione

Dal naturalismo al rinascimento alla rivoluzione scientifica:

Le lotte di fine Cinquecento modificarono la cultura europea influendo sulla

sensibilità artistica e letteraria, sul modo di essere delle persone, delle élite, dei ceti

emergenti.

L’ossessione teologica e religiosa caratterizzò quell’epoca: partì una fioritura

letteraria e artistica lontana dal classicismo del Cinquecento rinascimentale. Queste


manifestazioni si ebbero in Spagna, Francia, Inghilterra. I cambiamenti furono

costanti; la pittura di El Greco ritrova l’inquietudine del tempo. Don Chisciotte

divenne simbolo dell’epoca: lotta nel nome di ideali antichi che vede lontani nella sua

epoca. In Inghilterra, il panorama culturale è dominato da Shakespeare. In Italia il

distacco dell’esperienza rinascimentale risulta essere travagliata: Michelangelo, con

la crisi rinascimentale della riforma religiosa; l’arte si avvia verso il Barocco con

Bernini, ma Caravaggio ne è il precursore e propone un realismo popolare. Tasso fu in

letteratura di transizione, suscitò sospetti nel mondo politico del tempo.

Venezia fu modello di libertà. Le classi emergenti tendevano ad inserirsi nella nobiltà

feudale. Lo sviluppo di una coscienza borghese attraversò, nel corso del

rinascimento, una prima fase incerta e contraddittoria. Vi furono estremisti religiosi

che si scontrarono contro l’aristocrazia e il re. Machiavelli getta le basi dello studio

moderno della politica che agli anglosassoni sembrava distorta. Nel campo cattolico

troviamo chi opera nella trattatistica/riforma: i teorici protestanti(gesuiti).

Nella trattatistica della controriforma (contro Machiavelli) la teoria politica è intesa

come appello ai principi di farsi guidare dalle virtù cristiane stabilite dalla chiesa,

quindi i principi devono essere subordinati alla chiesa.

Arte e contesti:

Frederich Schelling sosteneva che la filosofia artistica fosse il pilastro della filosofia,

ciò contrasta con i filosofi contemporanei. L’estetica occupa un posto centrale nella

filosofia; la filosofia dell’arte ha occupato un posto tra filosofi come Kant, Nice, Hegel

e Schopenhauer.

Perché questo legame tra arte e filosofia? Sia l’arte che la filosofia hanno valore

supremo. Entrambe rivelano che la vita vale la pena essere vissuta.

Sia l’arte che la filosofia sono prodotti significativi dell’animo umano, radicati nelle

varie culture, e che testimoniano tali culture con una forza e una chiarezza senza

eguali.

L’arte è un fenomeno così pervasivo che occupa un ruolo importante in tutte le


società. L’arte ci offre uno sguardo privilegiato sulla mente umana e rivela parti del

mondo in cui tali operazioni prendono forma.

Oggi l’arte svolge funzioni che prima erano collegate alle religioni: dirci qualcosa di

noi, offrire una morale, mostrarci il mondo con occhi differenti.

L’arte dischiude e trasmette la verità?

La musica può comunicare dei modi di essere.

L’esperienza del capire un’opera letteraria può favorire una comprensione di valore

etico. Comprensione che va al di là della semplice comprensione del testo.

Se Dio esiste, quale modo migliore di suggerire la sua presenza donando agli esseri

umani la capacità di apprezzare e creare opere d’arte che sembrano sollevarli dalla

loro natura umana.

Il filosofo che ruolo ha nell’arte?

Le persone sono interessate a ciò che l’arte ha da offrire sul versante produttivo e

ricettivo.

Chi è interessato all’arte?

Il pittore Neumann ha osservato che l’estetica è una disciplina filosofica. Molti

individui sono portati a pensare e a interessarsi alla filosofia estetica senza essere

filosofi.

Quando si guarda, cosa si trova? L’arte può essere considerata contestualismo:

un’opera d’arte è un artefatto di tipo particolare. Un oggetto, un evento, una

struttura riprodotto dall’uomo e riconducibile a uno o più individui che operano.

Per il contestualismo le opere d’arte sono radicate nella storia. Non hanno proprietà

estetiche deferite, né significati precisi.

Un’ opera d’arte inquadrata in un contesto è simile a un’enunciazione fatta in una

specifica situazione linguistica, e a un’azione compiuta in specifiche circostanze

storiche, e al risultato conseguito da un individuo che lavora sotto vincoli specifici. Se

il contesto storico fosse diverso, l’opera stessa sarebbe diversa perché l’enunciazione

artistica di cui si fa portavoce sarebbero diversi.

Il formalismo sostiene che per quanto riguarda l’apprezzamento dell’opera d’arte la

forma manifesta è l’unica cosa importante.


Ma se il contestualismo è giusto può succedere che oggetti che condividono la stessa

forma manifesta non abbiano lo stesso contenuto o valore artistico.

L’empirismo afferma che l’essenza di un’opera d’arte risiede nei suoi aspetti

percettivi e quindi per comprenderla bisogna percepirli.

Lo strutturalismo è l’idea che certe strutture di qualunque forma o stile si manifestino

a prescindere dal modo in cui sono impiegati. Lo strutturalismo è quindi una forma di

ottimismo circa l’esistenza di universali estetici individuabili a livello di forma

manifesta.

Ma se il contestualismo è corretto, le pretese dello strutturalismo sono infondate.

Il relativismo si basa sul valore estetico che possiamo dare all’opera d’arte.

Ma cosa rende qualcosa un’opera d’arte?

- L’intenzione

- Che tipo di oggetto è l’opera d’arte

- Il significato

- Il contesto

Il decostruzionismo sostiene che non ci sono significati stabili perché ogni discorso si

erode dal suo interno.

La forza di un discorso può essere messa in discussione facendo riferimento ai suoi

limiti.

Più rendiamo stabile il contestualismo meno saremo tentati di cedere alla forza

semantica del decostruttivismo.

L’arte è più interessante se la si contestualizza in un dato periodo e con tali individui.

Se estraniamo gli oggetti dal loro contesto umani essi perdono di significato e

rimangono semplici qualità estetiche.

L’arte è qualcosa che viene fatta. Il significato artistico è correlato alle ipotesi del

pubblico che osserva. Quindi per poterla apprezzare si deve contestualizzare. Ciò che

l’opera significa non sempre coincide con ciò che l’artista può aver voluto intendere.

Uno dei principali scopi dell’arte è ciò che ci mette in relazione con essa e da cui ogni

ulteriore significato coincide. Se la si vuole comprendere bisogna pensare alla sua

forma come scelta precisa dell’artista.

Arte e scienza sono connesse:


entrambe richiedono fantasia e creatività e si impegnano nella ricerca della verità.

Il loro valore e il loro significato sono identici. Nella scienza ci interessa il contenuto,

non il mezzo con la quale viene trasmesso.

Nell’arte il contenuto è ciò che definisce l’interesse nell’opera d’arte.

La maggior parte del significato dell’arte risiede nella sua forma.

Identità Siciliana:

La Sicilia fu epicentro di conquiste e influenze di moltissime civiltà.

Partendo dall’imperatore Federico II e dalla sua amata Augusta , lui fu un fondatore

di città come la stessa Augusta, Gela e Altamura, lui visse in una corte itinerante fino

a quando non si stabilì in Sicilia, le vicende legate a Federico nascondono ancora

molti segreti e fatti poco chiariti, come il rapporto tra lui e i templari,

precedentemente in Sicilia si creo la civiltà normanna e da qui vennero introdotti i

castelli ( che avevano funzione strategica ) davano ai sovrani anche varie risorse.

Siamo nel 1197 Enrico VI padre di Federico, muore a causa di un avvelenamento, si

parla di una congiura per dare importanza al figlio, qui iniziano i misteri che

avvolgono il personaggio. All’età di 15 anni cede molte proprietà all’ordine dei

templari, qualche anno dopo viene incoronato come principe di questo grande

impero, rientrato in Sicilia riallaccia i rapporti i rapporti con i vari ordini cavallereschi

(loro stessi erano interessati ad avere il ‘’controllo’’ dello stretto di Messina per via

dei traffici commerciali) come quali Teutonici, Ospitalieri e Templari. Con la salita al

potere di un nuovo Papa iniziano le prime problematiche, viene costretto a partire

per una crociata in oriente, una volta tornato iniziano le prime ostilità nei confronti

dell’ordine cavalleresco dei Templari, ma paradossalmente essi continuano a

persistere a corte con ottimi rapporti, nel 1239 il papa scomunica per la 2° volta

l’imperatore revocando perfino la corona, la situazione era così grave che il principe

non sa più di chi fidarsi, 5 anni dopo Federico si ammala morendo poco dopo.

Molti componenti ecclesiastici lo definirono addirittura come l’anticristo, anche per

via di varie vicende legate al mondo dell’Islam, come la convivenza con questo

popolo.

Augusta città fondata da Federico divenne molto florida e ricca di scambi commerciali
e culturali, lui imposto il Castello con un concetto strategico per controllare il

territorio, tutti i suoi edifici ebbero questa finalità, Il mondo di Federico fu ben

strutturato, dal putto di vista architettonico, i castelli avevano forme squadrate e

solitamente edificati vicino alla costa.

Per molti versi questo personaggio fu considerato un innovatore per i suoi tempi, ma

al contrario molti altri affermarono che incarnava perfettamente l’uomo/ imperatore

tipo di quell’epoca. Fu un uomo d’ampia cultura, parlava moltissime lingue, fu

fondatore della scuola di Palermo (scuola di lettere), lui venne intitolato come

‘’Stupor Mundi’’ in quanto uomo dai molti interessi, dalla scienza alla matematica, si

circondo da molti personaggi di spicco.

IL SISTEMA DELLE CATEGORIE ESTETICHE :

Una categoria estetica può essere intesa come una guida capace di orientare

nell’insieme di connessioni tra i diversi campi del sapere, che indirizzano alla

comprensione dell’universo artistico. Il tentativo di organizzare e categorizzare l’arte

non riduce la sua complessità all’interno di rigidi schemi, piuttosto si apre ad un

universo relazionale. Se l’autentica comprensione di un’opera d’arte non si incentra

su un solo momento ma coinvolge una quantità eterogenea di motivazioni, la

categorizzazione serve, appunto, a non perdere di vista l’oggetto e la sua

giustificazione. La categoria coinvolge così tutti i generi e si rivolge a tutti gli oggetti

dell’arte individuando contatti, costanti interpretative, senza pretese di tipo

tassonomico. Il sistema categoriale nasce proprio quando va in “pensione” il sistema

delle arti con le sue gerarchizzazioni: si ricorda nel ‘700 il dibattito in cui si discuteva

se fosse più importante la pittura, la scultura o la musica. La categorizzazione si

presenta come un sistema dinamico e flessibile, mettendo in discussione il concetto

delle belle arti: tutto ciò perché il sistema pluricategoriale riesce ad inquadrare, se

non a risolvere, il problema della messa in discussione dell’autonomia del concetto di

bello, da un lato, e della sua definizione, dall’altro. Il riconoscimento di una pluralità

di valori, intimamente legato a quella che è la crisi del bello e dello sviluppo della

riflessione su determinate categorie estetiche, in grado di interpretare al meglio le

istanze che l’arte pone, aprono a nuove prospettive che coinvolgono la ridefinizione
di opera d’arte, di oggetto estetico e di fruizione e valutazione dell’opera. Prima di

comprendere e analizzare la struttura delle singole categorie, quali il brutto, il

sublime e il tragico, è bene sapere che se nascono modificazioni, ad esempio, del

bello, dove a bello viene attribuito il significato di valore estetico; sarà dunque

difficile fare riferimento ad una vera e propria categoria estetica fino a quando

l’espressione, modificazione del bello, assumerà nella storia dell’estetica un

significato negativo, accentuando la distanza del bello in sé e la vicinanza ad un senso

affine come quello di svalore estetico. Sarà anche necessario comprendere che le

categorie estetiche non sono solo degli insiemi entro i quali catalogare elementi

dell’arte, ma sono dei veri e proprio principi che possono essere giustificati partendo

dal sistema arte, e soprattutto dalla storia dell’estetica e delle sue forme strutturali.

La morte dell’arte bella ha originato un modo stratificato e diversificato di guardare o

giudicare l’arte stessa. Un sistema pluricategoriale esiste sia in ambito oggettivistico,

dove il valore estetico si spezza in singoli valori autonomi, sia in un ambito

oggettivistico dove il valore estetico si fonde con l’ambito della fruizione e dei vari

modi che essa incarna di fronte all’opera d’arte. I valori estetici devono comprendere

una molteplicità di aspetti, messi in rilievo anche dai diversi contesti, non ultimi quelli

storici, sociali, e culturali. Non si può parlare di bello proprio perché esso non

rappresenta più alcunché di univoco, o forse no, bisognerebbe continuare a parlarne.

Il problema della pluri categorialità dell’estetica si presenta quindi ampio, variegato e

non si può circoscrivere facilmente: esso si lega alla crisi del bello, all’emergere di

istanze che si rifanno a società diverse, a pluralità di valori, che l’arte stessa sembra

dividere, e alla separazione tra estetica, arte e bellezza. Da una parte si tende a

restringere il campo delle possibilità a un numero determinato di categorie; dall’altra,

invece, lo si amplia a dismisura, fino a sostenere che il loro numero è imprecisato

poichè si potrebbe contare tante unità quanto sono le opere d’arte che presentano

proprietà e valori originali. Il rischio di smarrimento si radica in entrambe le

possibilità: da un lato la riduzione delle categorie le assolutizza e non contempla le

possibilità che esse possono volere solo per un determinato periodo, dall’altro

l’espansione indeterminate le svuota del significato di ricerca e le riduce, ancora una

volta, a semplici forme e variazioni del bello. Difficilmente è stata tentata una
catalogazione completa di sistema categoriale: tra i pochi CHARLES LALO tenta di

offrire all’inizio del ‘900 uno schema riassuntivo, integrando una posizione

psicologistica con l’oggettivismo dei valori. Per LALO le categorie estetiche possono

essere raggruppate secondo l’INTELLIGENZA, che è una percezione di rapporti

sensibili, l’ATTIVITà, che è una suggestione di volontà libera o fatalità, la SENSIBILITà

O AFFETTIVITà, che è un sentimento piacevole di accrescimento della vitalità

personale o collettiva. A esse viene associata l’ARMONIA. Le CATEGORIE ESTETICHE

sono quindi elencate in un numero di nove e comprendono: 1. Il BELLO 2. Il

GRANDIOSO 3. Il GRAZIOSO 4. Il SUBLIME 5. Il TRAGICO 6. Il DRAMMATICO 7. Lo

SPIRITUALE 8. Il COMICO 9. Il RIDICOLO 10. Il GROTTESCO (aggiunto dal prof.) Al

brutto, invece, LALO non riconosce un valore autonomo e lo definisce, per esempio,

inestetico. Solo al brutto di natura egli attribuisce un ruolo vivificante: in definitiva ciò

che è brutto nell’arte rimane sempre brutto. Il brutto non è soltanto un’assenza di

armonia, ma un atteggiamento negativo, ostile di fronte l’armonia. È brutto ciò che

non è solo senza tecnica, ma ciò che suppone una tecnica mancata. In conclusione, il

‘900 vive il privilegio di poter usufruire delle istanze di un percorso categoriale già

ben consolidato dall’estetica del secolo precedente. Non sorprende che MAX

DESSOIR, nell’”Estetica e scienza dell’arte”, riconosca nelle categorie la qualità del

mondo estetico nel momento in cui il bello tramonta definitivamente, quale unica e

indiscussa categoria estetica. Dice DESSOIR che il bello è solo un caso privilegiato di

esteticità, a maggior ragione è qualcosa di assai diverso dall’artistico, ed è innegabile

che qualche volta lo sia, come nell’arte classica, la sua presenza è diversa, ad

esempio, nel caso della natura.

ESTETICA DEL ‘900 Nel ‘900:

l’estetica ha smesso di essere solamente la teoria del bello o del buon gusto: essa da

un lato ha stabilito e mantenuto vari rapporti con l’arte, la letteratura, senza limitarsi

dalle frontiere più particolari, affrontando i temi della vita singola e collettiva. Essa è

riuscita ad andare oltre i suoi confini tradizionali stabilendo un rapporto particolare

con quella che è la caotica e complessa società del XX secolo. L’estetica è stata uno

strumento fondamentale per comprendere la realtà, realtà di oggi sempre più


frammentata e sempre più difficile da capire per chi sta mettendo in atto. Ad oggi è

importante affrontare i grandi problemi della vita singola e collettiva interrogandosi

sul senso dell’esistenza, continuando a promuovere delle utopie sociali; quindi,

pensare ad un mondo diverso da quello in cui viviamo, che sembra aver rinunciato

alla risoluzione effettiva dei problemi affidandoli al caso. L’estetica novecentesca può

essere ricondotta a quattro filoni: 1. Vita 2. Forma 3. Conoscenza 4. Azione. Se vita e

forma sono legate alla critica del giudizio di KANT, e conoscenza e azione sono

derivanti dall’estetica di HEGEL, ci dà anche la misura per cui l’estetica sia in realtà

semplice e coerente nella sua linea di sviluppo e che accanto a queste considerazioni

di carattere strutturale, vanno abbinate alcune considerazioni di carattere storico.

Tutte queste 4 aree trovano la fioritura nella prima metà del ‘900, e intorno gli anni

‘60 avviene all’interno di ogni singola area una sorta di rivoluzione. Per esempio,

l'estetica della vita assume una caratterizzazione politica perché avviene una

rivoluzione di tipo demografico, industriale, tecnologico e culturale, ma anche la

messa in discussione delle caratteristiche basilari della società. Accanto a questo,

tutte le altre forme estetologiche assumevano un cambiamento: un’estetica della

forma diventa necessariamente un’estetica mediatica perché i media entravano nella

società facevano sì che quella forma, anche nell’arte, doveva essere un qualcosa che

doveva essere diffuso. Così come l’estetica conoscitiva, era intrisa di scetticismo, e, al

tempo stesso, l’estetica dell’azione doveva basarsi su un aspetto comunicativo e

doveva farlo con la maggior parte delle persone. L’estetica è oggi presente nella

biopolitica, nella mass mediologia, nella teoria della comunicazione, ma anche sui

social, dato che il mondo di oggi parla anche attraverso foto e video. La dimensione

della felicità nell’epoca contemporanea ci è data da una visione tipicamente estetica.

Al di fuori di tutti questi schemi c’è anche un’altra caratteristica importante, che è

collegata a queste vicende, che è il sentire, la quinta area, che si può definire

nell’ambito della sensibilità, dell’emozionalità e affettività.

MEDIOEVO EUROPEO TRA X E XI SECOLO :

Durante l’Impero di Carlo Magno, conti e marchesi svolgevano compiti civili e militari

nei territori loro affidati; amministravano la giustizia, riscuotevano i tributi. In cambio


della loro fedeltà ricevevano un loro territorio, detto feudo, di cui potevano goderne i

frutti anche i loro eredi. Il re e i suoi fiduciari erano legati dal vincolo di vassallaggio,

un obbligo di tipo reciproco: fedeltà in cambio di protezione. Quando Carlo Magno

morì, l’Europa fu teatro di nuove invasioni da parte di normanni, saraceni e ungari. I

signori feudali si difesero autonomamente costruendo difese su base locale,

edificando castelli e fortificazioni, intorno cui si strinsero le popolazioni. Nel

Medioevo le proprietà terriere dei signori erano organizzate in vaste aziende, le corti

divise in due parti, una detta DOMINICO, gestita dal proprietario, l’altra chiamata

MASSARICIO, suddivisa in poteri dati in concessione a coloni, ma sempre legati al

padrone. Fulcro di questo sistema curtense erano le cosiddette Opere o CORVÈE,

cioè delle giornate di lavoro da prestare nella terra del dominico che avevano

un’importante significato economico, aggiungendo il lavoro dei coloni a quello dei

servi domestici. Il significato sociale era quello di controllare gli uomini e stabilire

l’ordine. All’interno delle corti si svolgeva anche il lavoro artigianale: il sistema

curtense mirava infatti ad avere un autosufficienza che non era un sistema chiuso,

infatti diverse proprietà di un unico signore si aiutavano a vicenda. In Europa tra il X e

il XI secolo nacque e si diffuse uno schema ideologico che suddivideva la società in tre

categorie: 1. i Contadini, ovvero quelli che lavoravano; 2. i Guerrieri, che garantivano

con le armi la sicurezza generale; 3. i Sacerdoti, che pregavano. A ciascuno di essi era

affidata una funzione da svolgere nell’interesse di tutti. I nobili avevano invece

l’impegno del mestiere delle armi e della guerra: fin da ragazzi erano sottoposti ad un

severo addestramento militare. Dopo il crollo della dinastia carolingia, la figura

dell’Imperatore, per quasi un secolo, fu oscurata dall'emergere dei poteri locali. Nel

962 divenne imperatore il re di Germania Ottone I di Sassonia, che già era riuscito a

rafforzare l’autorità, indebolita dai ducati regionali. Fu il re del Sacro Romano Impero

Germanico, che si estendeva dalla Germania all’Italia, quindi diverso dal Sacro

Romano Impero di Carlo Magno. Con il PRIVILEGIO DI OTTONE egli fece sì che la

nomina del papa dovesse essere convalidata all’Imperatore e che il papa dovesse

giurare fedeltà. Nel XI secolo, nel monastero di CLUNY, si sviluppò un movimento

riformatore che mirava a svincolare la chiesa dal controllo dell’Imperatore e

introdurre una rigida moralità nella vita del clero: i CLUNIACENSI riconoscevano la
sola autorità del papa e adottavano una regola benedettina con delle modifiche, che

dava una prevalenza alla preghiera e allo studio rispetto a quello che era il lavoro

manuale. A partire dal 1098 dal monastero di CITEAUX si sviluppò il nuovo

movimento CISTERCENZE, che si opponeva ai primi e reintroduce nella regola

benedettina l’obbligo del lavoro. Nel 1066 il Duca di Normandia sbarcò in Inghilterra

e si scontrò con gli anglosassoni e fu nominato re: il suo potere nel regno si affermò

mediante la costruzione di un sistema basato su privilegi, concessi ai signori locali, in

cambio dell’omaggio feudale. Nell’Italia meridionale vigeva la monarchia normanna,

che si estese fino alla Sicilia, che divenne il fulcro del loro regno. Nel secolo

successivo costruirono una solida monarchia feudale: inizialmente si trattava di

guerrieri che si mettevano al servizio dei signori locali in cambio di terre. Nel 1061

Ruggero d’Altavilla iniziò la conquista della Sicilia e, nel 1130, fu proclamato Re di

Sicilia Ruggero II. Nacque così una nuova realtà politica caratterizzata da una parte da

un ordinamento su base feudale e, dall’altra, che arriverà con Federico II. A partire

dal XII secolo si pone l’attenzione ai re cristiani al nord della Spagna perché iniziò la

riconquista dei territori controllati dai musulmani. Esso è, in realtà, un periodo di

debolezza per il mondo islamico, che era anche diviso, e con la conquista di Toledo,

nel 1085, l’espansione si accelerò e portò alla sconfitta i musulmani. Nel corso di

questo processo storico emersero due entità politiche importanti: il regno di Castiglia

e il regno di Aragona, e si diffusero fermenti di riforma religiosa come i pellegrinaggi.

Nel XI secolo l’Impero Bizantino, che era la parte orientale dell’ex Impero Romano

crollato nel 476, si avviò ad una fase di declino preparato dalla pressione dei vari

popoli ai suoi confini. L’imperatore bizantino si rivolse al papa Urbano II lanciando

l’idea di un impresa comune dei cristiani per riconquistare Gerusalemme. L’appello fu

accolto dal papa, che sperava in un accordo tra le due chiese dopo lo scisma, che nel

1054 aveva separato la chiesa di Roma da quella Greca. Nel 1095 il papa invitò i

cristiani a unirsi e mobilitarsi per liberare il Santo Sepolcro: questa serie di iniziative

furono successivamente chiamate con il nome di crociate. La prima di queste

spedizioni, in realtà, fu la cosiddetta Crociata dei poveri.

Pitagorismo:

Non è una semplice eteria di tipo antico che raggruppa maestro e discepoli su un
piano di relazioni personali ma è una vera scuola che prende la forma di una

confraternita religiosa consacrata al culto delle muse e, dopo la morte del suo

fondatore, al culto di Pitagora. Platone e Aristotele imiteranno questo modello

accademico e rimarrà la forma tipica della scuola filosofica greca.

I sofisti sono riusciti nella formazione dell’uomo politico: dopo la crisi della tirannia

Atene si anima di un’intensa vita politica (attività più nobile dell’uomo greco). Il

valore dell’uomo si afferma nella vita politica. I sofisti mettono il loro insegnamento al

servizio di questo valore: formare le personalità del futuro leader. L’importanza di

formare classi dirigenti preparate.

TEORIA DELLA PERCEZIONE, LE TEORIE DI ARNHEIM:

Arnheim piuttosto che chiedersi, come abbiamo fatto noi, che cosa è l’arte, individua

nelle qualità espressive la caratteristica che queste rappresentazioni hanno in

comune: non come una qualità distintiva agli oggetti naturali, bensì limitatamente ad

altre rappresentazioni. L’uso che della parola fa il poeta, per esempio, non è lo stesso

che ne fa lo scienziato: la diversità delle arti è data dai media che hanno

caratteristiche differenti e le rappresentazioni, dal punto di vista delle fruizioni,

impongono quelle che si possono definire delle restrizioni sensoriali. La differenza tra

mondo e immagini del mondo, tra realtà e rappresentazione, sta all’origine delle

possibilità artistiche dei vari media. Il fine dichiarato, per la stesura del libro “Arte e

percezione visiva”, era quello di applicare, o meglio utilizzare, i principi della gestalt

per l’analisi dell’arte visiva; non più quindi i nuovi media ma media artisticamente

consolidati. Durante il lavoro, Arnheim voleva essere convinto che gli strumenti, a

quel tempo disponibili, non erano sufficienti per trovare alcuni dei più importanti

problemi riguardanti le arti, soprattutto quelli visivi. Per questo intraprese degli studi

particolareggiati specialmente nei settori che riguardavano lo spazio, l’espressione e

il movimento, che dovevano naturalmente servire a colmare alcune lacune nel tipo di

pensiero contemporaneo. La pittura, ad esempio, sembra ideale per portare la

psicologia al di là del punto dell’esperienza, dall’empirismo che noi vi costruiamo

sopra, perchè al pittore non serve andare poi a spiegare che l’effetto, ad esempio,

tridimensionale è fondato sull’esperienza passata. Questo pensiero di Arnheim sulla


pittura, la cui specificità mediale va considerata per la emblematicità che caratterizza

il mezzo pittorico, può funzionare come risposta ad una domanda: la pittura, che

nella modernità si era andata configurando come prototipica delle arti, e che, nel

‘900, aveva avviato le rotture più radicali rispetto alla tradizione, è infatti da tempo

l’avamposto della riflessione sull’arte in generale. Situazione, questa, che ha

potenziato la complessità inerente all’oggetto artistico in quanto tale. Inoltre, bisogna

anche ricordare, per quanto riguarda il plesso problematico semi sensoriale

intellettivo, che nella ricerca psicologica la cosiddetta percezione visiva, quella più

studiata, a lungo è stata considerata proprio con il termine di percezione pittorica, a

partire dalla analoga immagine dipinta e immagine della retina. L’arte di cui si parla in

“Arte e percezione visiva” è, quindi, sia la pittura ma anche, contemporaneamente,

l’arte in generale, non solo perché le altre arti, quelle visive e non visive, sono

egualmente presenti, ma perché le problematiche relative ai processi cognitivi del

fare e fruire arte sono comuni a tutte le arti. Freud, per esempio, affida ai suoi lavori

sull’arte il compito di spezzare quello che era un isolamento iniziale della psicoanalisi,

fatto che suggerisce sia stato pensato anche dallo stesso Arnheim. Esplorare la

gamma di applicazione dei principi di base e affinarli in relazione all’arte, ha portato,

sì alla psicologia dell’arte, ma i concetti teorici elaborati a questo scopo hanno una

portata psicologica generale che non si possono confinare all’arte. La psicologia

dell’arte per Arnheim è, dal suo punto di vista, psicologia generale, niente di meno

niente di più: una psicologia che studia le interazioni della mente con la realtà,

tenendo sempre conto della distinzione tra processi e prodotti della mente. Il

concetto di rappresentativo elaborato per le arti, ma che non esaurisce la sua portata

in questo ambito è, nello stesso tempo, da un lato necessario, perché si deve

distinguere la rappresentazione della stessa e si dovrebbe evitare di far collassare il

processo unicamente sul prodotto. Il concetto che riguarda il fare poi chiama in causa

il corpo. non solo la mente. Per Arnheim lo strumento principale di questa

interazione mente - mondo è la percezione tra il concetto percettivo, se è in linea con

i processi organizzativi già elaborati dai gestaltisti, risulta essere poi un affinamento

che opera quella forma di ristrutturazione di processi cognitivi che poi,

successivamente, verrà dispiegata nelle opere come, appunto, il pensiero visivo.


Inoltre, Arnheim, in “Astrazione percettiva” procede a smontare la concezione

psicologica del concetto e la teoria della doppia natura dell’arte, ma soprattutto vi

troviamo il concetto rappresentativo che è la vera chiave di volta della sua psicologia.

Per distinguere una testa un bambino disegna un cerchio: non è un tentativo di

riprodurre il contorno specifico di una testa di una persona particolare ma è piuttosto

una qualità formale, generale, della testa. Sembra che sia stato raggiunto

l’impossibile ma è la rappresentazione percettivamente concreta dell’astratto. “Arte

e percezione visiva” è un libro molto complesso, perché richiede il superamento di

schemi che hanno caratterizzato il sapere novecentesco e non solo: lo dimostra in

modo superficiale già l’estensione che subiscono i concetti nominati nel titolo. L’arte

viene presa da Arnheim nella sua continuità, anche solo parziale, con i prodotti della

vita, della scienza. Corrispondentemente la nozione di percezione fuoriesce da quelli

che sono gli angusti schemi funzionali e rivela uno spettro di pertinenza che abbraccia

unità antropologiche nella sua complessa globalità.

Conversazioni di storia 1:

Il mediterraneo è una comunità in cui tutto sembra essere interconnesso. Tra l’8000

e il 2000 A.C nasce il mediterraneo e con esse le prime forme di agricoltura e i primi

allevamenti di bestiame. Intorno ad esso esiste una civiltà fatta di incontri e scambi,

una molteplicità di culture che parte dagli inizi. Le isole del mediterraneo sono

pensate come trampolino di lancio della società, momento di passaggio, luoghi di

propulsione. Da qui l’importanza che ebbe la Sicilia, in particolar modo, Siracusa per i

greci. Fu il primo stato dl mondo greco. L’imperatore Bizantino, Niceforo Foca, diceva

di avere il comando delle onde del mare perché a capo della potenza marittima di

Siracusa e del Mediterraneo.

La spedizione Ateniese in Sicilia:

Disponiamo di alcuni testi di medicina che ci forniscono importanti informazioni sulla

situazione epidemiologica del tempo. Sappiamo che sbarcati in Sicilia si trovarono di

fronte alla febbre terzana maligna, da loro sconosciuta, in quanto conoscevano la

terzana benigna, e che trascurandone la gravità l’esercito fu dimezzato. (malattia

paludosa)

Questo esempio per comprendere che le malattie si ripercuotono nelle società del
tempo allo stesso modo in cui lo fanno adesso e che esistono confini delle zone

paludose, anche se ben diversi dai confini politici.

L’impero Bizantino:

il mediterraneo per i bizantini era detto il pelagos, ovvero alto mare. Legato

all’impero dall’idea militare di esso. L’impero bizantino era nato grande e fragile sin

dalle sue origini. Univa l’Europa, l’asia e l’africa. Riuscì a riunire tutto l’Impero

Romano.

Abbiamo anche un mediterraneo islamico, con i suoi due imperi, Arabo e turco

ottomano. La comparsa del mondo islamico muove la bilancia dei poteri, soprattutto

nel commercio. Tra i due regimi si instaura una tacita tregua, ma le aree di conflitto

hanno straordinaria continuità, come possiamo riscontrare oggi con i conflitti tra

Armenia e Azerbaijan, o la via della seta, oggi via del gas.

Il mediterraneo arabo porta ulteriori cambiamenti. Le comunità ebraiche porteranno

grande fervore in Sicilia e riusciranno a convivere con quelle arabe.

L’impero ottomano è caratterizzato da un forte governo che si incentra nella figura

del sultano e da un sistema territoriale diviso in province. Si fonda su un esercito e un

sistema organizzativo di primo ordine.

La nascita dei nazionalismi fece sì che l’impero si sgretolasse.

Il mediterraneo ha dato l’impostazione religiosa, ha trasmesso i suoi standard di

consumi, le impostazioni statali, il diritto, la scrittura, ha dato gli strumenti del tempo,

la clessidra, era un vero e proprio simbolo.

CONVERSAZIONI DI STORIA 2

Si tratta di un dibattito tra storia e attualità. Le elezioni americane del 2021 hanno

riportato all’attenzione dei media lo scontro/confronto tra globalismo e sovranismo:

il confronto Biden/Trump ha riproposto il dibattito politico, geopolitico ed economico

su queste due tendenze che hanno caratterizzato i primi decenni del XXI secolo.

Ovvero, da una parte il globalismo, che ad un certo punto entra in crisi, cioè l’idea di

un mondo unipolare con un'economia unica che si fonda sul predominio americano

entra in crisi ricevendo risposte varie in molti paesi del mondo venendo denominata

con diversi epiteti quali sovranismo, populismo, antiglobalismo, e che, invece, è la


tendenza opposta: riproporre l’importanza degli stati nazionali, l’importanza dei

confini e, soprattutto, una critica diretta a quello che è il modello del capitalismo,

che, dall'altra parte, sembra dibattersi in una crisi irreversibile che è stata aggravata,

nell’ultimo anno, dal problema della pandemia. Ci si trova in un conflitto epocale in

cui l’umanità cerca di capire quale direzione politica prendere e, dall’altra parte, tutti

i modelli politici tengono banco in un momento di grande problematicità legate al

covid ; tutto questo fa sorgere nella mente delle persone molte domande che

impongono una riflessione. Se da un lato è chiaro che la globalizzazione ha fallito

quello che era una sorta di mondo ideale, dove il predominio dell’economia avrebbe

cambiato le varie culture mondiali in un processo di omologazione e di cancellazione

delle vecchie entità, dall’altra parte la risposta di tipo nazionale e sovranista,

presentava anch’essa delle contraddizioni perché metteva contro diversi sovranisti e

nazionalismi che facevano scontrare entità che la pensavano in maniera molto simile

ma erano dissimili rispetto a quel principio nazionale. Da queste situazioni, da questo

momento di confusione, quello che può fare l’umanità è fare una riflessione ad

ampio spettro, cioè, tra queste due vie, nella crisi della globalizzazione e nella crisi,

anche, delle risposte alla crisi della globalizzazione, bisogna quantomeno intravedere

una terza via che impone una riflessione che, riesaminati tutti i concetti di populismo,

globalizzazione e sovranismo nelle rispettive versioni geografiche, si può provare ad

individuare un qualcosa che riesca a mettere insieme le parti migliori di entrambe le

forme ideologiche del XXI secolo, per trarvi una via che, in un momento assai difficile,

debba tutelare la libertà e debba ridare significato alle forme di partecipazione

democratica che altrimenti rischiano di essere compresse da una forma tecnocratica

o da una logica di emergenza. La globalizzazione ha, sì commesso degli errori che

hanno portato anche al terrorismo, ma non nasconde certe altre forme che possono

essere interessanti, ovvero quelle della libera circolazione delle idee che è un ottimo

contrattacco a quello che è l’ovvio potere mediatico delle grandi strutture che

gestiscono Internet, la comunicazione nel mondo. La globalizzazione ha anche

permesso che le tradizioni e le culture di popoli diversi potessero entrare in contatto

e confrontarsi tra loro, dando anche una riflessione successiva su quali possono

essere le alternative ad una globalizzazione sfrenata. Ovviamente, ad oggi, i mezzi di


comunicazione hanno cambiato le categorie di spazio - tempo, infatti, chi ha vissuto

parte del secolo scorso per comunicare qualcosa utilizzava la cabina telefonica, oggi

cambiate con i social media, internet, con quella, quindi, che è la continua

comunicazione. Quest’ultima ha, in qualche modo, diluito fortemente la conoscenza,

contribuendo, anzi, aumentando, quello che è il problema dell’ignoranza collettiva. La

terza via, tra globalismo e sovranismo, vuole tutelare la specificità delle culture,

pensare a modelli di sviluppo che siano differenti e, naturalmente, dibattere anche

un pensiero unico che ormai, come i pensieri unici, diventano totalitari, e spesso

raggiungono delle derive grottesche: l’idea che il mondo possa essere governato da

un pensiero unico e dal politicamente corretto ha avuto risultati devastanti. Ecco che,

la globalizzazione, che era pensata per una forma di libertà universale non aveva

fatto altro che riproporre, su base globale, tutto una serie di schemi che

appartenevano al passato. Ma comunque rimane il problema di cercare di stabilire se

può esservi una via estetica, filosofica, storica, una via di mezzo, una forma sintetica,

perché, soprattutto l’Occidente deve trovare un’identità, o, quantomeno, ripensare

ad un’identità, cioè stare nella contemporaneità ma senza cancellare la storia,

oppure lanciando un primato tecnologico ed economico cercando di risolvere tutti i

problemi cambiando la società. Proprio il progresso tecnologico e la grande epoca

della comunicazione che, non solo ha mostrato cosa erano davvero le nostre società

ma ha messo rapidamente queste società in contraddizione e, tutte le forze che

ribollivano all’interno dei nostri micromondi dell’Occidente, si sono ritrovati spesso

contrapposte, incontrandosi e scontrandosi a mostrare quello che eravamo

realmente, cioè tutte le nostre problematiche. L’Occidente non era il regno della

felicità e, per una volta nella prospettiva globale doveva confrontarsi con tutti gli altri,

che non erano migliori ma eravamo tutti nello stesso grande gioco, in cui diverse

culture erano sul terreno di gioco. Chiaramente problematiche del genere devono far

riflettere su un approccio geopolitico; quindi, sul fatto che il mondo di oggi non è più

un mondo unipolare bensì multipolare, dove gli attori in gioco non sono solo le grandi

potenze. In un mondo sempre più complicato, dove entrano in gioco fenomeni come

le migrazioni o come i cambiamenti climatici, fenomeni poi interconnessi, ognuno

deve dare una risposta che sia globale o locale deve fare una riflessione di tipo
culturale, ovvero quali sono le energie che mettiamo in atto in un momento di crisi.

Da un lato, la globalizzazione ci permetterebbe di mettere in comune i saperi, le idee,

le tradizioni, e da un’altra parte una giusta reazione sovrana di molti paesi ed entità

potrebbe far sì che si potesse verificare una tutela delle specificità culturali,

linguistiche, economiche, ogni nazione ha una ricchezza di apporti che farebbero

bene ad essere messi in circolo. Questo è il punto di partenza della riflessione,

ovvero: possiamo trovare una terza via che, a partire dall’occidente, mette in

comunicazione realtà diverse tra loro e ripensare ad un approccio verso il futuro che,

al giorno d’oggi, non si vede. Quello che si vede oggi è un’assenza di questa

riflessione, quasi come se si ha paura di mettere in discussione quelli che erano dei

dettami totalizzanti della globalizzazione, del pensiero unico, che hanno costituito

l’ossatura portante degli ultimi trent’anni, però è chiaro che la storia va avanti e non

si può fermare a determinate celebrazioni come la caduta del muro di Berlino, che

avrebbe dovuto segnare un mondo felice, senza guerre, invece è nata un’epoca di

grande inquietudine dove l’aspetto economico ha sopravanzato tutto, con l’idea che

l’economia risolvesse ogni problema, ma anch’essa ha un limite e ha generato

determinate crisi di sistema. Queste crisi sono molto pericolose perché quando gli

imperi si battono alla fine i conflitti sembrano l’unica via d’uscita per poter ripartire, e

tutto questo, naturalmente, spesso accade senza filtri, senza corpi intermedi, come

sindacati, partiti, i movimenti culturali.

Conversazioni di storia 3:

Storia ed attualità, le recenti elezioni americane hanno portato alla luce il confronto

tra globalismo e sovranismo.

Alla parte democratica globalizza sembra appartenere la maggioranza anche se

questo è contestato. Da una parte il globalismo, con la sua idea di mondo con in

economia e pensiero unico che si fonda sul predominio dell’Occidente, entra in crisi e

viene denominata populismo dalla tendenza opposta che critica il modello capitalista

che dal 2008 sembra essere in evidente crisi soprattutto dopo la pandemia. Vi è un

confitto globale in quanto la popolazione mondiale non sa quale ideale politico

seguire (Es: Brexit). Le critiche della globalizzazione impongono una riflessione: essa

ha fallito nel realizzare l’ ideale in cui il predominio dell’economia avrebbe cambiato


le varie culture mondiali in un processo di omologazione. D’altra parte La risposta

nazionale e sovranista presenta delle contraddizioni poiché metteva contro diversi

nazionalismi e sovranismi i quali avevano interessi simili ma talvolta differenti . In

questo momento di confusione si può soffermare la propria attenzione sulle strade

che si presentano davanti a noi: Tra la crisi della globalizzazione e le inevitabili

risposte si ricorre ad un’ alternativa, dopo aver riesaminato i concetti di sovranismo e

populismo si può individuare qualcosa che unisca le due forme ideologiche per

tutelare la libertà democratica che è spesso messa a rischio. La globalizzazione ha

fatto si che ci fossero molti errori tra i quali l’esportazione della democrazia con le

armi causando tragedie e guerre dalle quali derivarono vicende riguardo il

terrorismo, nonostante ciò ha fatto anche si che ci fosse la possibilità della libertà

della circolazione delle idee, le tradizione e le culture di popoli diversi hanno potuto

confrontarsi. Si cerca un’alternativa alla globalizzazione pensata come una libertà

universale non ha fatto altro che porre schemi passati a livello universale. Si cerca

all’interno della storia una risposta dove si può analizzare che le Potenze sono

molteplici come la Cina la quale gode di un’identità forte, Russia dove le tensioni dalla

caduta di Berlino non sono state attenuate. Le politiche di espansione della

globalizzazione non hanno fatto altro che avvicinare le potenze quali Cina e Russia

che sono potenze orientali, Pakistan, Turchia e altre sono potenze centrali nello

scenario mondiale attuale. Il modello occidentale dove entrano in gioco il

cambiamento, climatico è dare una risposta bisogna osservare il modello culturale: la

pandemia ha modificato i ritmi quotidiani, messo in luce la limitatezza dei sistemi

sanitari e spostato le interazioni umane su un piano virtuale cambiando

completamente la vita occidentale. Per trovare una risposta ad in alternativa alla

globalizzazione bisogna mettere insieme tutto ciò che vi è sul campo culturale,

filosofico ed estetico, ciò che si percepisce ad occidente è che chi vi è di intellettuale

non mette in discussione, per timore, le ideologie del pensiero unico. Il credere che

l’economia potesse risolvere ogni conflitto si rivela falso e gli stessi intellettuali

diventano persone che si adeguano all’idea che ci sia un un’oca strada tralasciando

l’ottenere una coscienza politica. Altre strade si crede siano possibili come, tenendo

in conto i cambiamenti del mondo, ad un recupero delle tradizioni, specificità, un


idea di uguaglianza, giustizia. La ricerca culturale di una terza via può essere compito

dell’intellettuale di parlare, partecipare con idee, contemporanee ma anche di un

passato che ci lasciato profonde riflessioni sull’esistenza, della ricchezza dei punti di

vista a livello globale che non voglia omologare qualcuno ad un modello di tipo

economico. Questo è ciò che si auspica per il futuro dell’Occidente.

POP ART:

Movimento artistico collettivo che rivoluzionò il concetto artistico del 900, creando

anche grande sconvolgimento delle masse, entrarono in gioco anche i giovani che si

mobilitarono come nuova categoria, cosa che non era mai successa prima di quel

periodo. La pop art si nutrì e alimentò tutti i fermenti culturali del mondo

occidentale, i tempi quindi subirono un cambiamento: si affermò un nuovo modello

economico IL Capitalismo che necessitò di un mercato interno es: Motori e giubbotti

in pelle, articoli amati dalla categoria giovanile. Dal punto di vista cultuale si

affermarono, negli ani 50, Poeti e scrittori che andarono contro la tradizione

dell’epoca come Bukowski e KEROUAC, il quale faceva parte della corrente della pop

art prendendo come modello l’immaginario collettivo delle masse, bellezza diversa da

quella passata. Negli anni 50 in America seppur sviluppata vive fenomeni di

segregazione culturale, le classifiche musicali erano divise in soli 3 generi: La musica

pop, il blues e il country western. Dalla 2 guerra mondiale in poi, affermatosi un

determinato sistema, l’aggettivo popolare che precedentemente era visto con

sospetto diventa qualcosa a cui tutti attingono, popolare assume il significato di

benvoluto, di successo. Quando il Rock and roll si forma il popolo necessita di un eroe

che incarnasse questa tipologia musicale, il primo fu Bill Haley con la Rock and Round

Clock che si ritrova nel film American Graffiti e Happy days. Haley fu quindi il primo a

portare il Rock in Europa. Memphis Nel 1954 ci fu la nascita di una nuova casa

discografica la Sum Records il cui produttore di nome Samuel Cornelius cercò un

musicista che potesse abbattere il confine tra cultura bianca e nera e lo trovò per

caso Elvis Presley che ottenne subito un contratto. Presley ruppe quindi il confini tra

queste due diverse culture nel giro di due anni, dal punto di vista della Pop art fu

importante per i suoi ruoli cinematografici che lo resero un simbolo della cultura

popolare insieme a Marylin Monroe, icone che diventano di consumo ES: pubblicità.
La pop art comprese il grand e cambiamento, Lichtenstein divenne il famosissimo

pittore e disegnatore dei “punti e linee” e i suoi fumetti che diventano proprio delle

pubblicità dei prodotti di consumo. L’America si avviò verso la guerra del Vietnam, al

conflitto razziale e alla società di massa fattori ai quali la pop art reagì con nuove

formule e con un figurativismo opposto a quello all’espressionismo tipico dei periodi

precedenti, optando per il minimal, l’arte concettuale ecc... Corrente artistica che

comprese e si adattò con svariate forme al cambiamento e alla musica, divenne

simbolo di un assoluta massificazione e successivamente politicizzazione relativa agli

eventi dell’epoca. La politicizzazione dei giovani e la richiesta di un nuovo modo

caratteristico degli USA. Un nuovo concetto d’arte e culturale del 20 esimo secolo ma

anche una cultura di capitalismo e tecnologia industriale, l’America è il centro di

questa visione tipica dell’occidente che ben presto si propagò anche in Europa che

venne, per così dire, americanizzata. La pop art si nutre del gusto popolare sui mass

media e sulla moda, nella fase iniziale prima a New York e Londra che divennero le

nuove città d’arte, poi, negli anni 60 si propagò in altri centri Europei. Gli impulsi

generali di ampia portata indicano quanto vi fu ingente il cambiamento nella vita

artistica sociale e culturale. La crescente stabilizzazione politica ed economica del

dopo guerra portò ad una rivalutazione del significato di popolo e popolare,

assumono il valore di amato/che ha radici nella tradizione delle masse. Il termine Pop

art, infatti, etimologicamente deriva dal consumismo tipico della società massa

furono oggetto di indagini socioeconomiche e vennero resi funzionali al marketing,

per sfruttare economicamente i bisogni dei consumatori ed ottenerne successo, i

produttori dovettero ad adattarsi alle mode seguite dalla massa.

Questo fattore portò ad una ristrutturazione della domanda sui beni di consumo che

si riflesse anche sui rapporti interpersonali ed individuali superando tutte le barriere

di classe. I contenuti della Pop art si basarono sulla quotidianità, rifletterono infatti

l’evoluzione culturale, si svilupparono concetti come l’educazione antiautoritaria,

l’emancipazione femminile, nuove strutture professionali una sessualità più libera e

nuovi sistemi di comunicazione. La critica al sistema capitalista ebbe numerose

considerazioni sopattutto da sinistra ma anche da alcuni conservatori, la

provocazione del pensiero alternativo influenzò soprattutto artisti e professori che si


circondarono di pezzi popolari, i giovani cercarono una sfrenata auto realizzazione dei

sensi e una nuova forma di rapporti sociali. I mass media contribuirono notevolmente

all’internazionalizzazione degli stili e dell’espressione rendendo accessibile in modo

universale ogni forma d’arte. L’inquietudine dell’ espressivo venne sostituito alla

chiarezza intellettuale e l’ordine concettuale della Pop art con segnali esteriori del

vissuto. Alla dematerilizzazione dell’immagine pittorica segue quindi la materialità,

molti artisti stravolsero i criteri di comprensione e di calcolo nella pittura con l’action

painting dove la casualità fu il fattore portante o la performance, minimal art misero

al centro la soggettività. L’arte diventa quindi concettuale e spesso astratta.

Sacro: razionalismo e storia:

La frattura dell’unità cristiana ha avuto come conseguenza, nel XVI secolo, ha avuto

come conseguenza principale l’emancipazione dell’uomo rispetto a un sistema

religioso esclusivista e costrittivo: mentre l’individualismo si erge contro qualunque

organismo cristiano, la regione si instaura come unico giudice delle azioni dell’uomo.

L’uomo, soggetto razionale, rivolge uno sguardo nuovo ai problemi del sacro, libero e

più attento ai propri desideri e alle proprie esigenze. L’ampliarsi di fenomeni religiosi

dimostra un’esplosione della curiosità, spesso imbrigliata dai pregiudizi. L’incontro

con un’umanità allo stato selvatico declina un’altra dialettica dell’uguale e del

diverso, che si sarebbe rivelata estremamente feconda. L’uomo torna a integrarsi

nella natura. Il fascino per il selvaggio provato dagli europei per il selvaggio deriva da

un ritorno alle fonti dell’umanità. Più che come reale apertura verso l’altro, la

comprensione dell’umanità selvaggia avviene entro gli orizzonti della civiltà

occidentale. Padre Lafitau fu il primo esperto di antropologia religiosa e dimostrò la

validità di una storia comparata delle religioni. La riflessione filosofica sosteneva

l’esistenza di una religione naturale, le cui manifestazioni erano di origine psicologico.

Storia e metafisica sono due chiavi con cui leggere la religione. L’alleanza tra

metafisica e teologia cristiana ha rappresentato la linea vincente dell’occidente,

soprattutto nel periodo medievale. Sacro, letteralmente, significa separato, sacro e

religioso, spesso, vengono usati come sinonimi, ma va sottolineata la distanza; il

sacro precede la storia, le religioni sono contenute in essa. Tuttavia, il confine tra
sacro e religione è sfumato. La dimensione del sacro non riguarda la sfera liturgica e

morale, è l’esperienza attraverso la quale si avverte la presenza di una potenza

superiore. La cultura occidentale ha smarrito il contatto con il sacro che può rivelarsi

nel silenzio, attraverso il singolo.

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