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Decadentismo

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Giosuè Carducci

Esperienze autobiografiche principali


Una svolta nella sua vita fu segnata dagli avvenimenti degli anni 1870-71: morte della
madre e del figlioletto Dante (1870), inizio della relazione (1871) con Carolina
Cristofori Piva (la Lidia o Lina della sua poesia).

Sul piano professionale la sua vita di intellettuale coincide con la sua produzione
poetica, con le sue ricerche critiche e filologiche, con la sue battaglie politico-letterarie.
Il Carducci è uno dei pochi poeti italiani (l'altro è D'Annunzio) che con i suoi scritti e
suoi comportamenti influenzerà notevolmente gli intellettuali della nazione. –

-Famosissimo fu il suo Inno a Satana (1863) col quale egli esalta, in contrapposizione
al Sillabo di Pio IX, la cultura illuministico-giacobina, la Rivoluzione francese e il
progresso scientifico.

- Il Carducci visse molto intensamente gli anni che prepararono e che seguirono
l'unità d'Italia. Dopo il 1861, morto il Cavour, egli ebbe l'impressione che la
borghesia volesse rinunciare a realizzare la piena unificazione nazionale con
Roma capitale, per cui si dichiara apertamente democratico e repubblicano. Per
questa ragione nel 1868 viene trasferito d'ufficio alla cattedra di latino a Napoli;
siccome rifiutò, fu sospeso per tre mesi dall'insegnamento e dallo stipendio,
con altre tre docenti dell'ateneo. Il Carducci, 1 infatti, fu per così dire il poeta del
partito d'azione, cioè del partito repubblicano (garibaldino, mazziniano e
anticlericale), che mal si adattava alla soluzione moderata e monarchica scelta
dalla borghesia, alleata con la nobiltà terriera del Sud. Tant'è che proprio per
effetto di quei provvedimenti le sue poesie ebbero una maggiore diffusione:
- Intorno agli anni '70 egli godeva già di una vasta popolarità negli ambienti
letterari più avanzati di Francia, Germania, Austria e Russia. Significativa era la
sua avversione al Manzoni, di cui accettava la popolarità dei Promessi
sposi, ma respingeva il "convenzionalismo religioso", la "scuola della
rassegnazione" e lo "stile dilavato e barocco".
- Nel 1890 viene nominato senatore. In questo periodo assume atteggiamenti
nazionalistici che lo portano ad aderire completamente alla politica
colonialistica africana del Crispi. Inoltre, ebbe sempre sentimenti irredentistici,
con i quali rivendicava la liberazione di Trento-Trieste, Trentino e Venezia Giulia
dagli austriaci. Nel 1896 il Comune di Bologna gli conferisce la cittadinanza
onoraria. Per quanto riguarda il suo atteggiamento verso la religione, in questi
anni, pur non rinnegando il proprio laicismo, egli tende a rivalutare il
cattolicesimo sul piano storico. Nel 1904 deve lasciare l'insegnamento a causa
della grave malattia nervosa e il Parlamento gli vota una pensione annua di 12
mila lire (come per il Manzoni), con una motivazione che lo definiva "il glorioso
poeta dell'Italia rigenerata". Nel 1906 ottiene a Stoccolma il premio Nobel per la
letteratura: è il primo tra gli scrittori italiani. Muore a Bologna di polmonite nel
1907. 2

Inno a Satana
L’Inno a Satana è una composizione occasionale, scritta di getto per il brindisi al
banchetto di un amico nel 1863, pubblicata poi su una rivista bolognese nel 1869 con
lo pseudonimo di Enotrio Romano. Il componimento chiude la fase delle opere
giovanili e l’autore stesso, in seguito, l’avrebbe definito “una volgare chitarronata”.
Siamo dunque ancora di fronte ad un’opera giovanile di Carducci, che, nella
prima fase della sua produzione, tramite l’esaltazione del mondo classico, manifestò
toni di invettiva e violenta polemica, innanzitutto contro l’attuale viltà e mancanza di
eroismo dell’Italia, ma anche contro la Chiesa, il Papa e l’oscurantismo religioso: i
toni apertamente provocatori e blasfemi intendono scandalizzare i borghesi e la loro
mentalità, da lui considerata chiusa, ipocrita, immobilista e moralista. Infatti,
Carducci contrappone alle false credenze religiose, che rendono gli uomini molli e
inerti, la luce della ragione, la gioia di vivere, il progresso, rappresentato qui dalla
figura di Satana.
Il rovesciamento delle ideologie religiose dominanti e ben espresse in quegli anni
dal Sillabo di Pio IX è totale: per Carducci, infatti, quanto i reazionari bollano come
opera di Satana, appaiono in questo componimento tutti come aspetti positivi della
vita: le gioie terrene, le bellezze della natura, la libertà di pensiero, che invece il
Cristianesimo condanna senza appello, puntando piuttosto alla vita ultraterrena.
Satana rappresenta la materialità (contrapposta allo “spirito”), il piacere concreto e
terreno, l’ebbrezza vitale, lo spirito della modernità che ormai tutto pervade ed esalta
l’intelligenza umana e la potenza creatrice della ragione. Di questa modernità, della
sua velocità, della sua portata rivoluzionaria e della forza della materia, negli ultimi
versi è simbolo l’immagine della locomotiva. Ovviamente l’Inno a Satana costituisce
un’opera molto provocatoria, dal tono ribelle e battagliero, e rivelatrice dello spirito
carducciano giovanile, laico, democratico, anticlericale, cultore della scienza e del
progresso, tutti valori illuministici incarnati nella figura di Satana, simbolo di una
nuova religiosità razionalistica e immanente, che mescola arbitrariamente diverse
idee e visioni del mondo: da Savonarola, a Hus, a Lutero.
La brevità del verso quinario conferisce alla poesia un ritmo veloce e incalzante,
che è molto adatto all’intento fortemente polemico e provocatorio.
Alla stazione in una mattina d’autunno
La poesia
Alla stazione in una mattina d’autunno, l’ultima delle Odi barbare, trae spunto da
un episodio autobiografico del 1873: la partenza da Bologna di Lidia (è il nome con
cui Carducci canta Carolina Cristofori Piva, donna alla quale il poeta fu legato per
alcuni anni) e – come è tipico di molte liriche carducciane – prende l’avvio da una
descrizione di qualcosa di concreto e presente per poi aprirsi alla rievocazione del
passato. È una figura che rappresenta tutta le donne della letteratura.
Lo scenario presente descritto non è per nulla poetico, bensì molto prosaico: si tratta,
infatti, di una stazione ferroviaria, introdotta da un paesaggio quasi spettrale
caratterizzato da nuvole, pioggia e fango; il poeta indugia su metafore molto
evocative che ricordano le ardite personificazioni simboliste e, parallelamente, su
particolari realistici molto banali e quotidiani come il biglietto forato dal controllore.
Ciò per Carducci ha il preciso compito di sottolineare la tristezza e la grettezza della
vita moderna, simboleggiata dalla stazione ferroviaria, che diventa sempre più un
luogo infernale. Infatti, il treno era stato già utilizzato dal giovane Carducci
nell’Inno a Satana come simbolo “bello e terribile” della modernità, ma qui diventa
un emblema totalmente negativo, un “empio mostro”, in quanto il progresso è visto
come portatore di grettezza e di tedio, che rende gli uomini simili a fantasmi.
Il treno rappresentava dinamicità, liberazione dal sistema ecclesiastico, un nuovo
periodo per l’italia.
Il linguaggio utilizzato per descrivere il treno non è aulico ma meccanico, il treno
assume un carattere mitologico, è un mostro che divora gli uomini.
Il senso di decadenza deriva dal fatto che l’uomo non è riuscito a controllare il mostro
che è uscito dalle sue mani.
Lo si può paragonare al romanzo di Mary Schelling, Frankestein, il quale fugge in
una grotta del polo artico, l’uomo moderno ha creato una struttura economica
sociale che lo sta divorando.
Carducci interpreta la situazione con un senso di angoscia, di ribellione.
La prima parte tutta negativa apre la strada alla fantasia del poeta, che
richiama alla memoria l’immagine della donna amata, circondata da luce, calore,
voglia di vivere, bellezza: anche il paesaggio rispecchia la gioia del poeta. Alla fine,
però, si torna alla tristezza e al tedio del paesaggio iniziale, simbolo della pena e
dell’angoscia esistenziale della vita moderna.
Prevalgono, pertanto, la malinconia di Carducci e il rimpianto per la partenza della
donna amata, Lina, chiamata Lidia per un accostamento al poeta latino Orazio: tutto
riporta tristemente alla sua mente i giorni trascorsi insieme alla donna, ormai
inevitabilmente trascorsi, con una perfetta fusione tra la descrizione del paesaggio
esteriore e i sentimenti del poeta.
Stilisticamente, i versi del componimento Alla stazione in una mattina d’autunno
hanno un andamento classicheggiante e sono decisamente ricchi di figure retoriche
(soprattutto metafore e personificazioni, talora ardite ed enjambements) e presentano
un lessico elevato e una sintassi complessa. D’altronde, Carducci utilizza anche
termini fino ad allora sconosciuti al linguaggio poetico (“fanali”, “mazze di ferro”,
“ferrei freni”, “vaporiera” ecc.), determinando il superamento delle convenzioni della
lingua letteraria. La sperimentazione metrica ritorna al passato, il suo tentativo è di
ripristinare forme antiche, vuole inserire un lessico moderno in forme classiche,
creando un forte stridore.
-perfetto contrasto tra il linguaggio aulico e meccanico

spleen= tedio, noia, compiangersi ma non avere la forza di piangere, è la sensibilità


annunciata nel romanticismo, ma in quest’epoca diventa sistematica. Coscienza di
un’inerzia e nessuna volontà di uscine.
L’oggetto di ferro non ha coscienza, va dritto per la sua via, non ha anima, inghiotte
le persone.
Chiude con un ambientazione ancora più intima, presentendo quasi un
invecchiamento.

idillio Maremmano

“Idillio maremmano”: è un componimento in cui il Carducci meglio esprime la sua


avversione ai problemi difficili, anzi si rammarica, addirittura,  di essersi avviato
all’attività culturale e poetica, che con quei problemi l’ha messo a contatto.
Maremma: luogo a cui era affezionato
- nostalgia esistenziale, rammarico,
-il poeta nella società positivista non viene considerato poiché non produce,
- si rammarica di non aver sposato Anna Maria
- l’ambientazione è una primavera piena di vita,

Il componimento è diviso in due parti di uguale ampiezza. La prima (vv. 1-30) si apre
con il ricordo del passato, ricordo che sorge spontaneamente dalla visione del sole
che inonda la stanza: è quel fenomeno a cui si dà il nome di memoria involontaria1.
Maria era una giovane bionda e aggraziata, si muoveva tra il grano e i fiori di
campo, aveva una bellezza sana, contadina: fianchi larghi e seno abbondante.
Carducci immagina che si sia sposata e abbia trascorso la vita nella campagna
maremmana.

IL RIMPIANTO   Nella seconda parte (vv. 31-61) il poeta rimpiange di aver condotto
un’esistenza triste, senza calore, persa in una cosa da nulla come la poesia, avvilita
nella rabbia per la politica, tormentata dal pessimismo. Sarebbe stato meglio
fermarsi in quel piccolo paese, sposare Maria, e dedicarsi a una vita rustica, fatta di
caccia, serate in compagnia davanti al focolare, ore di ozio nei giorni festivi, sul
sagrato della chiesa.
La contrapposizione tra la vita vissuta e questa vita immaginata è una
contrapposizione di valore: lo chiarisce l’insistenza sulla struttura correlativa
LA VITA CONTADINA IDEALIZZATA   La vita contadina descritta da Carducci è
fortemente idealizzata, e dunque falsa: campi, sole, caccia, compagnia, allegre
conversazioni. Non c’è traccia di sudore, fatica, povertà, raccolti incerti, malattie del
bestiame e, ancora, di invidie, pettegolezzi, liti brutali per questioni di confine. La
contemplazione di questo mondo ha i modi ingenui di un bambino in un negozio di
giocattoli: la sintassi, infatti, presenta una fila di sei esclamative (vv. 32, 33, 37, 39,
51, 54). Allo stesso modo, Carducci non valuta alcuni vantaggi della sua condizione:
la relativa agiatezza economica, il prestigio sociale, la vivacità culturale, tutti
obiettivi che, una volta raggiunti, gli si sono sbriciolati tra le mani.

L’ALTERNANZA DI TONI   Nella poesia Carducci alterna toni diversi: quello


realistico nella descrizione di Maria (il fianco baldanzoso ed il restio / Seno, vv. 10-11) e
della vita maremmana (Al mal domo caval saltano in groppa, v. 15; Il bel pavon, v. 29; il
bufolo, v. 35; cignal supino, v. 59); quello riflessivo e malinconico (Meglio operando oblïar,
senza indagarlo, / Questo enorme mister de l’universo!, vv. 38-39); quello polemico, limitato
al verso finale (I vigliacchi d’Italia e Trissottino). Anche il lessico contempla sia latinismi
e termini dotti (sospirosa, serto, cìano, flava, guata, oblïar, rigenti, avvolgimenti) sia parole
comuni (fianco, Seno, poppa, pavon, bufolo, tarlo, muscoli, ossa).
Il melodramma
le opere liriche furono accompagnate da libretti, librettisti sono gli autori dei testi
che vengono poi portati in musica.

La scapigliatura
Il termine definisce un gruppo di scrittori e artisti uniti da spirito d’indipendenza e
irrequietezza, che amano vivere in maniera eccentrica e disordinata. Li accomuna un
generico ribellismo contro l’ipocrisia della società borghese e la condanna della
logica materialistica dell’utile, a cui contrappongono la superiorità dei valori dell’arte
e dello spirito. L’artista avverte la propria estraneità rispetto al mondo
contemporaneo, vive una profonda crisi d’identità che compromette il suo
tradizionale ruolo di guida morale, si sente inutile ed emarginato. Egli rivendica
tuttavia una superiorità spirituale che lo innalza al di sopra dell’uomo comune. Per
designarli si utilizza talvolta anche l’espressione francese Bohème (da bohèmiens,
zingari provenienti dalla Boemia).La Scapigliatura si diffonde soprattutto a Milano e
Torino intorno al 1860-70 circa. I principali esponenti – Emilio Praga, Iginio Ugo
Tarchetti, Camillo e Arrigo Boito, Carlo Dossi – non costituirono una “scuola” perché
non furono accomunati da scelte stilistiche, teorie estetiche e posizioni po-litiche, ma
da legami d’amicizia e da un generico spirito di ribellione nei confronti delle
convenzioni sociali e letterarie.Il loro comportamento ribellistico e
provocatoriamente anticon-formista corrisponde a una produzione letteraria
denigratoria nei con-fronti dei modelli canonici (Manzoni) e tesa alla ricerca di effetti
provoca-tori, irriverenti e sorprendenti nei confronti della tradizione sia sul piano
contenutistico-tematico (argomenti morbosi e casi patologici) sia sul piano stilistico
(tendenza espressionistica della scrittura, accostamenti lessicali violenti e contrastanti
ecc.). Significativi gli sperimentalismi linguistici sul piano sintattico, lessicale e
ortografico, che in parte anticipano la prosa no-vecentesca.Il tema privilegiato è
l’amore, svuotato delle valenze romantiche e deformato umoristicamente o
paradossalmente in amore-malattia, in possessività nevrotica e ossessiva della donna.
Altri temi sono la morte, il sogno e il demoniaco, la dimensione del doppio, la ricerca
del “brutto”.Tra le opere, ci si può soffermare in maniera esemplificativa sulla
Foscadi Iginio Ugo Tarchetti, incentrata su una vicenda di amore e morte. Giorgio, il
protagonista che parla in prima persona, ha una relazione con la bellis-sima e radiosa
Clara, ma vive un’ambivalente situazione di attrazione e re-pulsione nei confronti di
Fosca, una donna brutta, malata e dalla sensibilità morbosa.

Lezione di anatomia, Arrigo Boito


La poesia è interamente percorsa da un tono macabro e lugubre come lascia ben
intuire il titolo. Essa è formata da quattordici strofe composte da sei versi ciascuna, la
prima strofe ci inserisce tramite una realistica descrizione nell’ambiente in cui si
trova il poeta e in particolar modo le parole “lugubre”e “freddo letto” ci suggeriscono
l’idea della morte che si presenta più esplicitamente a partire dalla seconda strofa. In
essa il poeta sembra sottolineare il brutale e crudele trattamento che è stato riservato a
quella povera giovane morta di tisi, il cui corpo è stato sottratto al riposo e alla pace
del cimitero ed è stato privato delle giuste esequie. Il giudizio negativo del poeta nei
confronti di tali pratiche si manifesta con l’esclamazione “Delitto!” che con la sua
potenza ci lascia immaginare il poeta tuonare contro il crudele destino riservato al
corpo della giovane, che probabilmente era una prostituta. Sul cadavere si compone
una “guerra”, chi la strappa a pezzi per il bene della scienza, e chi si impietosisce di
fronte al trattamento riservato al corpo della ragazza.
Risulta evidente la contrapposizione tra la freddezza, l’indifferenza, il distacco del
medico che “svelle” il cuore della giovane e la compassione del poeta che rimane
sconvolto dal fatto che la scienza non abbia alcun riguardo nei confronti dei morti,
egli preferisce il mondo dell’immaginazione, dei sentimenti, dell’interiorità alla cruda
realtà come testimoniano i versi della terzultima strofa. Infine assistiamo ad un
fortissimo contrasto tra le ultime due strofe infatti nella penultima viene celebrata la
purezza e il candore della fanciulla mentre nell’ultima viene completamente
capovolta questa immagine che si è data alla ragazza poiché si scopre che in realtà
era incinta.

Preludio
Manifesto della scapigliatura
Il testo rappresenta una dichiarazione di ribellione: Praga, come tutti gli Scapigliati,
rifiuta la letteratura passata, la mercificazione dell'arte, la bellezza stucchevole. Il suo
canto grottesco e disarmonico (così egli lo descrive) non mira a illuminare il lettore e
a fargli da guida, ma, anzi, a smascherare ciò a cui si è ridotta la poesia; è tempo
che i nuovi poeti cerchino una nuova direzione, smettendo di osannare i miti passati e
le voci che fanno da bandiera culturale per interi popoli. Il bersaglio principale della
polemica, il «Casto poeta» acclamato dagli Italiani (v. 13) altri non è che Alessandro
Manzoni, il poeta romantico per eccellenza, da tutti imitato e paragonato ad un dio
che, però, è destinato a crollare di fronte all'avanzata del moderno, degli anticristi. Il
lettore, di conseguenza, diventa un personaggio probabilmente ostile, non disposto a
veder deprecato il suo mito e ad assistere al crollo dei suoi ideali. Il tema della nuova
poesia sarà la noia, che evoca lo spleen baudeleriano, unito alla cattiveria morale, al
peccato, alla miseria, tutto quanto la letteratura ha sempre negato e che ora emerge
con prepotenza, facendo cadere la maschera (il «minio e la maschera») ed emergere
la verità sepolta sotto di esso dall'ipocrisia borghese.

IL DECADENTISMO

Periodo storico e considerazioni generali


Il movimento culturale, che si afferma in Europa negli anni Settanta e Ottanta
dell’Ottocento.
Il Decadentismo ha la sua origine nel 1883 sul periodico parigino “Le Chat Noir”.
Paul Verlaine pubblicò un sonetto in cui affermava di aver riscontrato nel suo
animo un’atmosfera di stanchezza e decadenza. Il sonetto intercettava uno stato
d’animo comune nella cultura del tempo, l’idea di un crollo imminente. Queste idee
e pensieri erano proprie di circoli d’avanguardia in contrapposizione alla
mentalità borghese. La critica utilizzò il termine “ decadentismo“, con accezione
negativa, per descrivere questi gruppi di intellettuali. Essi accettarono questo
termine e iniziarono ad usarlo polemicamente, ne rovesciarono il significato per
indicarne un privilegio spirituale.

Nonostante il decadentismo sia un movimento che presenta diverse


sfaccettature, alla base della visione del mondo decadente vi è innanzitutto il
rifiuto del positivismo, che comprendeva una mentalità utilitaristica,
orientata verso al profitto, la convinzione che solo la scienza potesse fornire
una conoscenza oggettiva del reale e, attraverso essa, il dominio dell’uomo sul
mondo. Al contrario, il decadentismo ritiene che la ragione e la scienza non
possano dare la vera conoscenza del reale. L’essenza è al di là delle cose, solo
rinunciando alla ragione si può tentare di scoprire l’ignoto. Viene prediletta una
dimensione irrazionale.
I decadenti si caratterizzano per una fuga verso un “altrove”, per
l’esasperazione di esperienze di tipo irrazionalistico, spiritualistico,
soggettivistico.

Contraddistingue questi artisti ( STATI ABNORMI DELLA COSCIENZA)


quindi l’irrequietezza, la ricerca di ciò che rappresenta la fuga dalla realtà
La malattia, la follia, la nevrosi, il delirio, il sogno, l’allucinazione e, l’uso
dell’alcol e delle droghe, si sottraggono al controllo della ragione. Ciò permette
di vedere, anche se confusamente, il mistero che è al di là delle cose.
Al fascino esercitato dalla malattia, dalla decadenza e dalla morte, si
contrappongono tendenze opposte: il vitalismo. Cioè l’esaltazione della
pienezza vitale, senza limiti e freni, la ricerca del godimento, la celebrazione
della forza barbarica, che impone il suo dominio sui deboli. In realtà sono
atteggiamenti solo apparentemente in contraddizione. In d’Annunzio, come
nell’età decadente in generale, si cerca di esorcizzare l’attrazione ossessiva
della morte, di sconfiggere un senso di stanchezza ed esaurimento.

Allo scontro traumatico con la modernità D’Annunzio, col mito del superuomo, decide
di celebrare ciò che fa paura, l'espansione industriale, la macchina, la guerra, il conflitto
sociale violento, il dominio dei più forti che schiacciano i più deboli. Da un lato, in
Pascoli, a compensare l’impotenza e la sconfitta, si ha il ripiegamento entro il guscio
protettivo delle piccole cose quotidiane e degli affetti più comuni e miti; dall’altro, in
D’Annunzio, si ha il rovesciamento immaginario dell'impotenza in onnipotenza,
attraverso atteggiamenti attivistici e aggressivi, attraverso l’esaltazione della lotta e del
dominio imperiale, l'affermazione oltre ogni limite dell’io e di una sensibilità
eccezionale.
Alla base di atteggiamenti del genere si possono però ravvisare le stesse angosce, gli
stessi traumi, lo stesso senso di impotenza e di sconfitta: difatti affiora costantemente
nell’opera dannunziana, come si è potuto ampiamente verificare, l’attrazione per la
morte, per il disfacimento, per il nulla, che esercitano un fascino morboso e voluttuoso.
La costruzione del mito superomistico non è che il tentativo di occultare quelle spinte
disgregatrici, nichilistiche. D’altronde D’Annunzio, prima di approdare al superuomo,
aveva proprio esordito con personaggi deboli e sconfitti (Andrea Sperelli del Piacere,
Giorgio Aurispa del Trionfo della morte), che si ritraggono con orrore dinanzi alla realtà
contemporanea e alle sue novità più sconvolgenti, rifugiandosi neH’interiorità
solipsistica o nel culto dell'arte

La visione decadente propone un’identità tra io e mondo, soggetto e


oggetto. L’individualità scompare e si fonde con l’aspetto dell’ inconsapevole:
l’inconscio. Tale scoperta è un dato fondamentale per la cultura decadente, un
luogo che i romantici avevano già intravisto ed in parte esplorato, Freud ne
riconosce la paternità.
Il Decadentismo è caratterizzato dall’idea del veggente, , colui capace di
vedere dove l’uomo comune (il borghese, il sano, il normale) non vede nulla.
Il poeta diviene un intermediario tra la dimensione dell’ignoto e la realtà esterna.
Pur non essendo riconosciuto e stimato dalla società, egli è l’unico in grado di
cogliere il segreto che sta dietro a tutte le cose.

Nasce inoltre la figura dell’artista “maledetto”, che contamina tutti i valori e le


convenzioni della società, scegliendo consapevolmente il male e la corruzione,
puntando a una vita misera, sregolata; fino a giungere all’auto-annientamento
attraverso l’uso dell’alcol e delle droghe.

Un’altra figura caratterizzante è l’esteta.


Il presente per lui rappresenta la bruttezza, lo squallore. Mentre ciò che è bello
si identifica con il passato, con l’età greca e rinascimentale.
L’artista decadente attribuisce una devozione religiosa all’arte, la suprema fra le
attività umane: l’obiettivo dell’artista diventa fare della propria vita un’opera
d’arte, vivere nel culto esasperato della bellezza, circondarsi degli oggetti più
preziosi (estetismo).
1 L’esteta si attorna di un bello soggettivo, indipendente dai canoni della
classicità
2 arte come compiacimento

Un’altra figura fondamentale nella letteratura decadente è quella dell ’inetto a


vivere. Ne è un esempio lo Zeno di Svevo: una figura esclusa dalla vita, a cui
non sa partecipare per mancanza di energie vitali. Egli può solo rifugiarsi nelle
sue fantasie. Vorrebbe provare forti passioni, ma si sente imponente e inaridito
ed è proprio la sua qualità di intellettuale. Con il suo continuo osservarsi e
studiarsi, ad isolarsi dalla vita che intanto scorre fuori, appare perciò
irraggiungibile. - auto-giustificazione

In opposizioni a questi uomini deboli, malati, fragili, e incapaci di vivere, nasce


una figura particolare di donna: la donna fatale. Domina il maschio fragile e
sottomesso, una donna perversa, crudele e torturatrice, al cui fascino non si può
sfuggire. Una donna che succhia le energie vitali dell’uomo come un vampiro,
portandolo alla follia e alla distruzione. In questa figura della donna fatale si
proietta la paura del femminile che può essere spiegata attraverso due fattori.
Da un lato la crisi dell’immagine tradizionale dell’uomo forte e sicuro, a causa
delle trasformazioni sociali dell’epoca. Dall’altro l’affermazione sempre più
decisa dell’emancipazione femminile che esige un nuovo posto nella società.
Altra caratteristica dell’artista decadente, è che Egli si rivolge con scherno e
disprezzo anche al pubblico, accusato di concepire la creazione artistica
sempre più come un prodotto di e per la massa. Da questo aristocratico dissenso
derivano le pose convenzionali del dandy e dell’esteta, che si riconoscono nel
culto della bellezza e dell’arte, nel disprezzo per l’utilitarismo borghese e
nell’esaltazione della finezza dei sensi in netta opposizione alla mediocrità e
alla volgarità del gusto di massa.

Contraddistingue questi artisti ( STATI ABNORMI DELLA COSCIENZA)


l’irrequietezza, la ricerca di ciò che rappresenta la fuga dalla realtà
La malattia, la follia, la nevrosi, il delirio, il sogno, l’allucinazione e, l’uso
dell’alcol e delle droghe, si sottraggono al controllo della ragione. Ciò permette
di vedere, anche se confusamente, il mistero che è al di là delle cose.

Un’altra forma attraverso il quale il decadente può attingere all’ignoto è il


panismo. Io e mondo non sono due entità distinte. L’io individuale può
annullarsi e confondersi nella materia e, attraverso questo annullamento,
potenziare all’infinito la propria vita.

Un altro tipo di stato di grazia è costituito dalle epifanie, secondo cui un


particolare qualunque della realtà, che appare insignificante alla visione
comune, si carica improvvisamente di una misteriosa intensità, che affascina
tanto da identificarsi come rivelazione di un assoluto

Al fascino esercitato dalla malattia, dalla decadenza e dalla morte, si


contrappongono tendenze opposte: il vitalismo. Cioè l’esaltazione della
pienezza vitale, senza limiti e freni, la ricerca del godimento, la celebrazione
della forza barbarica, che impone il suo dominio sui deboli. In realtà sono
atteggiamenti solo apparentemente in contraddizione. In d’Annunzio, come
nell’età decadente in generale, si cerca di esorcizzare l’attrazione ossessiva
della morte, di sconfiggere un senso di stanchezza ed esaurimento.
Dunque il vitalismo non è altro che l’altra faccia della malattia interiore, o meglio la
maschera che cerca inutilmente di nasconderli. Anche in un altro senso la morbosità e
il vitalismo sono due facce di una stessa realtà. Entrambi esprimono un rifiuto per la
normalità, ricercando il diverso.
L’atmosfera dominante nell’età del Decadentismo è uno stato d’animo di
stanchezza che deriva dal senso di declino di una civiltà. Da qui nasce
l’ammirazione per l’epoca di decadenza, come la grecità alessandrina
e l’età bizantina. In cui l’esaurirsi delle forze si traduce in estrema raffinatezza.
A ciò si unisce il vagheggiamento del lusso e della lussuria, delle più sottili
perversioni, delle crudeltà più efferate, dal sadismo al masochismo.
Lo stato di malattia da un lato si pone come metafora di una condizione storica,
di un momento di crisi profonda. Dall’altro come condizione privilegiata, segno
di nobiltà e separatezza verso la massa. Ma alla malattia umana si aggiunge una
malattia delle cose: il gusto decadente ama tutto ciò che è corrotto, impuro.

corrispondenze
ogni forma visibile rappresenta il simbolo di qualcosa di più profondo,
Per comunicare la verità nascosta il poeta deve inventare un linguaggio nuovo
che esprima l’ineffabile, che afferri l’essenza della realtà e sappia comunicarla
attraverso la poesia. L’immagine si pone come strumento pressoché assoluto di
una conoscenza diversa, percepita attraverso l’intuizione.

La morte
la morte è uno dei temi più frequenti, nonostante il periodo florido, è
diametralmente opposta e onnipresente, paradossalmente accompagna il
successo economico, poiché si percepisce la fragilità intrinseca di quel
possesso, e la possibilità di perderlo
i protagonisti del romanzi di D’annunzio vanno sempre incontro a questa
situazione.
Inoltre l’attrazione per la morte si traduce in un’attrazione verso l’annullamento
di tutte le tensioni, poiché la vita diviene complessa, le responsabilità
aumentano.
La morte è anche in stretto rapporto con l’amore, Eros e thanatos , inseparabili
nella produzione letteraria decadente.
D’Annunzio
Nato a Pescara nel 1863, è lo scrittore che in Italia meglio interpreta la
sensibilità di fine secolo incarnando fino in fondo i nuovi miti del progresso,
della mondanità, dell'effimero del vitalismo e dell’irrazionalismo, ma
vivendone anche le contraddizioni e i conflitti. Egli seppe dare, seppur in forme
spesso discutibili un'interpretazione originale al problema dell'identità e del
ruolo dell'intellettuale perennemente in bilico tra critica ai valori borghesi e lo
sfruttamento di quegli stessi mezzi di comunicazione attraverso cui si
esprimeva e diffondeva il gusto di massa.
In d'Annunzio, fin da subito, vicenda letteraria e vicenda biografica, scrittura e
promozione di sé procedono parallele, in un costante bisogno di creare clamore
intorno al suo nome e alla sua persona. Egli mostra una grande abilità nel
gestire la propria immagine attraverso tutti i mezzi che l'industria culturale
metteva a disposizione: dalla letteratura al giornalismo; dalla pubblicità al
teatro, al cinema. Il suo stesso esordio nell'ambiente letterario è segnato da
un'abile strategia pubblicitaria: subito dopo l'uscita di Primo vere (1879) il
poeta fa diffondere la notizia della propria morte in seguito a una caduta da
cavallo; un falso scoop che innesca un meccanismo di attenzione per l'opera da
parte di critici autorevoli, e fornisce così all’ autore la base del lancio presso il
grande pubblico.

Anche la politica è utilizzata da d'Annunzio come un'ideale scena per


alimentare il mito di sé. egli concepisce però la politica come "spettacolo". Lo
rivela la sua candidatura alla Camera dei Deputati nel 1905. Presentatosi per la
Destra con il cosiddetto «discorso della siepe», egli, durante la legislatura,
compie il clamoroso passaggio ai banchi della Sinistra.

Nell'ambito culturale come nella politica, inoltre, egli è attento a coltivare il


mito del Vate, dell'avventuriero temerario, affascinato dal rischio e sempre
disponibile farsi a capo. Ama vivere in dimore principesche e lussuose che
sono lo specchio dell'estetismo coltivato nella scrittura, e nelle quali
raffinatezza ed eccentricità si coniugano perfettamente. La villa del
Vittoriale, in cui trascorrerà la parte finale della sua esistenza , rappresenta
perfettamente lo sfondo studiato della sua inesauribile aspirazione a vivere la
vita come un'opera d'arte, al punto che di lui si può dire che «abbia voluto
costruirsi non una casa per vivere ma un palcoscenico per recitare.

Appunti 19-03
Il verismo e opere di D’Annunzio
LA POETICA

La produzione letteraria di Gabriele D’Annunzio, è molto ampia e si divide in 3


fasi:

- d’annunzio che cerca di imitare il modello verista (terra vergine, 82)

- Scrive a 19 anni “terra vergine”, che prende come modello Verga (Vita dei
campi è del 1880), ma manca del tutto il materialismo e l'impersonalità
del verismo. Vi ritroviamo una visione idillica della realtà rurale e
marinara dell'Abruzzo, in cui esplodono, la violenza, una natura
primordiale, istintiva. I personaggi non hanno concezione
morale e si fanno pienamente coinvolgere dall’esperienza
dell’eros.
 
Del tutto analogo Il libro delle vergini (1884) che confluirà, insieme ad
altre opere, nelle Novelle della Pescara, pubblicato nel 1902.
Un esempio di tale prima produzione è la novella intitolata Dalfino, che
richiama molto Rosso Malpelo, ma dalla quale si distanzia
sostanzialmente per scelte narrative divergenti da quelle veriste. Facile
notare che il narratore è onnisciente e che interviene spesso per
giudicare. Ciò lo distanzia da Verga, e lo avvicina ai romanzieri francesi del
Naturalismo.
 
D’Annunzio inoltre ricerca aspetti orrorosi e sanguinolenti, non veri.
Nonostante Verga descriva episodi drammatici non ritroviamo descrizioni
crude, per descrivere il dramma di Bastianazzo, Verga si sofferma sulla
descrizione da parte degli abitanti, delle reazioni della moglie, la quale va
avanti e indietro ed è visibilmente inquieta.
L’autore verista non è immerso nella faccenda, mentre d’annunzio si, non si ri
fa alla tecnica dell’oggettività, ma dilata, ingigantisce la scena.
verga inoltre era approdato al verismo dopo essere già giunto, attraverso lunghi
studi e analisi all’impersonalità, oggettività, regressione ecc,
d’annunzio giunge al verismo per l’esigenza di conformarsi ai gusti della
borghesia. Tuttavia lui non ha nessuna concezione delle basse condizioni
sociali, non regredisce alla mentalità, accoglie soltanto gli aspetti più estetici del
movimento verista.
Il narratore è immerso nei gesti, li descrive e li amplia, la sua cultura si
concretizza nel linguaggio aulico. La sua narrazione è eterodiegetica, guidata da
un gusto per l’estetico, per l’eroico.

Il suo esperimento verista è estetizzante.

Nel 1897 d'Annunzio inizia un'ampia produzione teatrale destinata a segnare il


gusto di un'epoca: Sogno di un mattino di primavera, Sogno di un tramonto d'autunno
(1898), La città morta (1898), La Gioconda (1899), Francesca da Rimini (1901), La figlia
di Iorio (1904), L fiaccola sotto il moggio (1905), La Nave (1905-1907), Fedra (1908-
1909).
Nel 1898 il Poeta si trasferisce a Settignano presso Firenze, nella villa La
Capponcina, dove conduce una vita tra lussi,sfarzo e numerose relazioni
sentimentali tra le quali la più famosa è quella con l'attrice Eleonora Duse, da
lui descritta nel nuovo romanzo Il Fuoco (1900)

D’Annunzio e la Borghesia
È importante sottolineare che le scelte relative ai temi dei suoi libri, sono
concordi ai gusti della borghesia, nonostante possiamo affermare che
D’annunzio sia un anti-borghese, egli sfrutta la superficialità di questa classe
per esaltare la sua persona.
Bisogna dire che il fenomeno dannunziano è potuto esistere proprio perché
allocato in quel determinato periodo storico in cui la società attenta solo a cose
frivole e materiali aveva bisogno di una sorta di “spiritualizzazione” e di una
ventata di novità.
D’annunzio ripesca e propone modelli poetici tipici del 400-500’,
presenta tutta la letteratura in chiave nuova, reinterpretata da sé.
Interpretando il bello e traducendolo a una classe che non ha nessun gusto del
bello. Questa casse sprovveduta è tuttavia ricca e ambiziosa di apparire,
D’Annunzio sfrutta l’ottusità di questa classe, si propone di guidarla ma in
realtà la domina, la odia ma ne ha bisogno per il suo successo personale.

Il piacere
Nell’89, mentre verga pubblica Mastro Don Gesualdo, D’Annunzio pubblica il
piacere.
Romanzo, contraddistinto da un’ampia e approfondita analisi interiore
Al centro delle vicende de Il Piacere c’è uno dei molti alter ego fortemente
autobiografici di D’annunzio : Andrea Sperelli, esteta raffinato e coltissimo,
discendente d’una famiglia nobile, estraneo alla barbarie dei tempi moderni e
tutto dedito “a fare la propria vita come si fa un’opera d’arte”.
Il romanzo, diviso in quattro parti, si apre con l’ incontro tra Andrea ed Elena Muti,
che gli fa visita nella residenza romana di Palazzo Zuccari. Si apre qui un lungo
flashsback, che torna alla rottura della relazione tra i due, avvenuta due anni
prima.

Come annunciato in precedenza, Il protagonista, Andrea Sperelli, fa della sua


vita un’opera d’arte, ma nella sua casa. Non ha un programma politico, vive per
sé, escluso dalla società. è un uomo privo di genuinità e di spontaneità, è
incoerente e si arrende agli istinti. Andrea incentra la sua vita sull’artificio e la
finzione, di conseguenza questo lo porta a costruire un rapporto ambiguo e
distaccato da tutto ciò che lo circonda.
E’ un uomo dalla volontà molto debole, che non ha uno slancio morale, il suo
agire è puramente cerebrale. È incapace di provare dei veri sentimenti. Ciò lo
conduce alla solitudine e all’isolamento e ne esce anche sconfitto nel rapporto
con le donne. Questo aspetto è ben delineato alla fine del romanzo.

Per quanto riguarda i personaggi femminili, incontriamo prima di tutto Elena


Muti, una cosiddetta femme fatale, è simile a lui, vivono lo stesso modello di
vita, La donna è il grande amore di Andrea, o meglio: il grande piacere. Infatti
tra i due il sentimento vero è assente: è conquista e corteggiamento, sensualità.
Lei in realtà è già consapevole della falsità dei loro gesti e delle loro azioni, ma
le conviene coltivare la finzione per godere della circostanze.
Poi c’è la donna pura, dolce, piena di curiosità intellettuali: Maria Ferres. Ella
rappresenta una femminilità opposta a quella di Elena. Maria è per Sperelli
un’alternativa, un’opportunità di riabilitazione. Ella però – in seguito – diventa
solo una parte di un gioco erotico in sostituzione di Elena, che Andrea desidera
ancora ma che lo respinge.
Andrea si Illude che possedendo una persona spiritualmente elevata egli si
possa purificare.
Infine la donna lo fagocita, la donna rappresenta la società, di cui lui ha bisogno
per sopravvivere.

La scelta dei nomi femminili è simbolica: Elena evoca infatti Elena di Troia,
che portò a causa della sua bellezza a sciagure terribili. Mentre Maria (donna
angelo) evoca la madre di Gesù e la purezza della Vergine.

La struttura del romanzo


E’ soprattutto l’impianto narrativo e strutturale che risente ancora di modi di
rappresentazione che appartengono al naturalismo (per es. narratore esterno
onnisciente), mentre lontano dal naturalismo è invece l’utilizzo del discorso
indiretto libero, l’analisi psicologica dei personaggi, ricorso al flash-back ed
anche il registrare in presa diretta il punto di vista del protagonista o di altri
personaggi (una parte della narrazione è per esempio affidata al diario di
Maria). Il racconto non segue il corso cronologico degli eventi ma avanza per
blocchi discontinui, infatti spesso ci sono flash-back (scarto temporale) legati
ai ricordi di Andrea ed avvenimenti passati, che mescolano passato e presente.
D’Annunzio utilizza uno stile molto ricercato e dotto, l’italiano utilizzato è
ricco e raffinato, lo scrittore sceglie infatti con grande accuratezza parole rare,
nomi esotici o sonori, latinismi, arcaismi, termini liturgici e aulici,
intenzionalmente non alla portata di tutti in cui le parole sono ordinate secondo
un preciso schema metrico.

Ritratto allo specchio

Elena, la donna amata dal protagonista, sparisce rompendo la sua relazione con
Sperelli. Al suo ritorno, però, Andrea scopre del suo matrimonio con un ricco e
ripugnante uomo inglese basato solo sui soldi, dato che Elena lo ha sposato solo
per evitare il disastro economico. Andrea, disgustato e terrorizzato dal pensiero
che la sua relazione basata sulla passione sia stata interrotta "da un affar di
denaro", cerca di analizzare il comportamento della donna, arrivando a tracciare
non solo un crudele ritratto della figura di Elena, definita malevola, incantatrice
e perversa, ma ne costruisce anche uno critico di sé stesso, rendendosi conto
della menzogna in cui ha sempre vissuto e che lui stesso si è creato.

Il testo mostra come l'estetismo non sia altro che una maschera inautentica, una
menzogna creata per sfuggire a una realtà pietosa da cui in realtà è impossibile
fuggire, o peggio ci si ritrova travolti nella propria menzogna. Nella prima
parte del testo viene utilizzata la tecnica del discorso indiretto libero attraverso
un monologo interiore del personaggio che porta il lettore ad entrare nella
mente di Andrea. Ad un certo punto, però, il narratore (esterno) interviene
esplicitamente e più volte nella narrazione, immettendo la sua prospettiva
riguardo la figura di Andrea, esprimendo dei giudizi nei suoi confronti; questo
può essere visto come un tentativo dell'autore di tracciare un ritratto critico del
personaggio, facendolo coincidere con quello di Elena, costruito da Andrea e di
cui si renderà conto ben presto. Andrea, infatti, é critico anche con se stesso e
scavando a fondo nel suo animo scoprirà che lui ed Elena non sono tanto
diversi, trasformando il suo disprezzo per la donna in una comprensione
"ironica". Inoltre, arriverà a mettere a nudo le sublimazione estetizzanti:
quell'amore e quella passione che Andrea prova per Elena non sono altro che
una "maschera" che nasconde i bisogno erotici e gli impulsi sessuali materiali e
volgari, tipici dell'essere umano. Di fatto, tra temi della traccia non rientra solo
la critica all'estetismo, ma anche la sensualità e il vizio, incarnati proprio dai
due personaggi menzionati, Quindi, in questo passo viene dimostrata la crisi in
cui sĩ ritrova l'esteta e di come l'autore voglia prendere le distanze da questo
debole figura, anche se allo stesso tempo è innegabile che tale figura eserciti
una forte attrazione su D'Annunzio.

Il ritratto di Elena
La figura di Elena, già rappresentata nell'opera come la "femme fatale", la
donna della lussuria e delle passioni erotiche, ma che viene rappresentata sotto
una concezione negativa: a un'immagine di sensualità, intelligenza ed
emancipazione come descrizione di Elena, viene aggiunta una figura egoista,
superficiale, falsa e perversa, perfettamente consapevole del potere che riusciva
ad esercitare sugli uomini e di cui beneficia per soddisfare le sue pulsioni
sessuali e il suo desiderio erotico. Ella era capace di trasformare un amore puro
in squallido desiderio carnale
Il protagonista tuttavia, nonostante sia cosciente della falsità della donna, e delle
debolezze del loro rapporto sceglie di non scegliere, ovvero continua a nutrire
questa passione per lei.

Finito il piacere, l’esperienza dell’esteta è completata, segue a questo periodo


dal 90-92, la fase del buonismo.

Il buonismo è un ulteriore prova dell’estetismo.


Mentre i protagonisti dei romanzi precedenti percorrevano la strada del piacere,
ora invece il poeta e i suoi personaggi vanno alla ricerca di una redenzione
morale ed etica. Fu questa, però, solo una soluzione provvisoria. Uno sbocco
alternativo alla crisi dell’estetismo scaturirà dalla lettura di Nietzsche.

Consolazione
Dopo anni di amori e vita mondana, il poeta torna a casa. Lo accoglie la madre
anziana e intristita: il figlio cerca di consolarla, promettendole che rimarrà con
lei e che il loro rapporto tornerà solido com’era un tempo. Dal punto di vista del
contenuto, la voce narrante esibisce la bontà dei propri sentimenti: l’affetto
filiale, il pentimento, il desiderio di cambiare vita, la memoria e il rimpianto
dell’infanzia e della famiglia. Dal punto di vista dello stile, si avverte
un’intonazione bassa, quasi prosastica, che per d’Annunzio – che ha sempre
amato un linguaggio raro, aulico, solenne – è una novità.

Il poeta ritorna a casa, (come un figliol prodigo)


1. Si rivolge alla madre, la invita a uscire al sole pallido di settembre, le
confessa di essere stanco di mentire (v. 2) e le promette che d’ora innanzi vivrà una
vita semplice e profonda (v. 34): vuole purificarsi attraverso la pura mano (v. 31) della
madre (, che sarà per lui come l’ostia che monda (v. 35)).
Tutto concorre a creare un’atmosfera di stanchezza e abbandono (v. 11).
la luce del sole è tenue (lento sol di settembre, vv. 18-19), la natura si prepara
all’inverno: le rose sono poche, rare le piante.
Il luogo in cui il poeta vuole passeggiare con la madre, che ha uno sguardo stanco
(v. 21), è un giardino abbandonato (v. 5) di una villa in decadenza: le tende sono
scolorite (scolorate, v. 53), nelle stanze si sente un odore delicato (v. 54), debole
come di viole sfiorite (v. 56), al pianoforte manca qualche corda (vv. 49-50).
il poeta ripesca molte immagini relative al mito della confessione. Il linguaggio
è sacrale sacerdotale.
Dichiarazione dei suoi peccati, ma promessa di sincerità che non è mantenuta.
Usa sempre il verbo al futuro, sembra ripetere il signor prodigo che ritorna al
padre.

FAR RIVIVERE IL PASSATO Il poeta vuole recuperare quanto è stato


trascurato e dimenticato (certe cose che l’oblìo afflisse, v. 14). Infatti, il ritorno a casa
è anche un ritorno al passato, un desiderio di farlo rivivere ritornando alla vita
familiare.

  Nella poesia Tutto è vago e indeterminato: assistiamo a una serie di


interrogativi volti a tenere il lettore attento.
quali sono le certe cose del passato dimenticate (vv. 8, 14) e le cattive cose (v.
26)? Quali le menzogne del poeta? Come sarà la vita nuova che vuole
iniziare?

L’ACCORDO TRA FORMA E CONTENUTO   Un altro dato stilistico


importante è che il testo viene costruito sulle figure retoriche di ripetizione.
Gran parte del fascino di Consolazione sta proprio nell’accordo tra la forma, che
oscilla tra ripetizione e variazione, e il contenuto, che genera nel lettore un
senso di fiacchezza e grigiore.

FASE DEL SUPEROMISMO


Dal 92 inizia la fase del superomismo. In D’Annunzio c’è qualcosa del
superuomo di Nietzsche, mentre tanto altro viene stravolto e modificato in
maniera originalissima dal poeta. Il superuomo di Nietzsche, non parla di un
superuomo ma di un oltre uomo. Il quale è saturo della sua condizione sociale e
civile, e si deve convincere di avere valori intrinsechi distanti da quelli imposti
dalla società, per prendere consapevolezza di sé e delle proprie potenzialità.
Ogni uomo può ritornare padrone di se se riesce a distaccarsi dalla mentalità
schiavista dell’epoca storica a cui appartiene. Nella filosofia di Nietzsche il
soggetto riesce a riappropriasi del suo destino, ad agire con la sua testa.
D’Annunzio coglie alcuni aspetti del pensiero del filosofo tedesco: il rifiuto
della borghesia e dei suoi principi; l’esaltazione dello spirito dionisiaco
(energico vitalismo); il rifiuto dell’etica della pietà e dell’altruismo;
l’esaltazione dell’affermazione di sé. Questi valori sono deviati dal poeta in
direzione decisamente anti borghese, aristocratica, reazionaria e imperialistica.
L’oltreuomo nietzschiano è interpretato da d’Annunzio come il diritto di pochi
esseri eccezionali ad affermare se stessi, sottomettendo gli altri comuni esseri umani.
Il superuomo, si autoassegna il ruolo di guida della società, ricerca nuovi valori
fuori dalla morale comune, ma non, come avviene in Nietzsche, per la fondazione
di una nuova conoscenza.

Romanzi del superuomo


-il trionfo della morte
- forse che si forse che no
-la vergine delle rocce
- il fuoco
In questi romanzi D’Annunzio e i suoi alter-ego non riescono mai a realizzarsi
come eroi e ciò è anche testimoniato dal fatto che l’autore non riesca mai a
concludere i cicli narrativi iniziati.
Questi eroi saranno infatti distrutti dai loro vizi, dalle femme-fatale, che sono
allegoria di una società che li fagocita.
Il superuomo è ancora un esteta, sopraffatto dalla lussuria.
Le vergini delle rocce , nome ripreso dal famoso quadro di Leonardo da Vinci
(foto sotto), segna una svolta radicale, tanto che è definito il manifesto politico del
superuomo. In esso vengono espresse le nuove teorie aristocratiche, reazionarie e
imperialistiche di d’Annunzio.
L’eroe del romanzo è Claudio Cantelmo, che va alla ricerca di una donna con la
quale generare il futuro superuomo, un uomo che possa mettersi alla
guida del suo popolo e condurlo verso mete sempre più alte. Egli deve
fare la scelta tra tre donne, appartenenti a un famiglia nobile in decadenza. La
più forte e maestosa delle tre, Anatolia, però, non può seguire Claudio, perciò
egli è sopraffatto dal fascino perverso di Violante, immagine della donna fatale.
E’ evidente come la decadenza e la morte esercitano sugli eroi dannunziani un
irresistibile attrazione.
Non sappiamo come andrà a finire poiché il proseguo avrebbe dovuto esserci in
un secondo libro, mai portato a termine

L’ultimo dei romanzi del superuomo, Forse che sì forse che no, presenta una
tema nuovo: l’esaltazione della macchina, simbolo della realtà moderna.
La società borghese ha prodotto un figlio più grande di sé.
Il protagonista, Paolo Tarsis, realizza il suo sogno di volare. E’ ovviamente
presente la figura della donna nemica, che in questo caso è Isabella Inghirami.
Anche qui l’eroe sembra dover soccombere all’influenza negativa della donna,
che durante un volo rischia la morte, evitata solo grazie al compimento di una
vera e propria impresa.

Questi romanzi hanno aperto la strada all’analisi psicologica. Il soggetto è


fortemente analizzato. Traspare anche una forte simbologia, la donna è simbolo
della società borghese.

Le Laudi del Cielo, del Mare, della Terra e degli Eroi


dovevano comprendere sette libri, ma d’Annunzio pubblica solo i primi quattro:
Maia, Elettra, Alcyone, Me- rope, che reca il sottotitolo Laus vitae, è un vasto poema
d’argomento superomistico e vitalistico.
Il libro canta l’ebbrezza dei sensi, l’istinto, la comunione con la natura. Alcyone, il
terzo libro uscito nel 1903, conta 88 liriche ordinate in cinque se- zioni secondo un
criterio narrativo rigorosamente unitario, che illustra la storia di un’estate trascorsa in
Maremma. Il tema di Alcyone non si riduce comunque alla vacanza estiva, ma si
concentra soprattutto sulla vicenda in- teriore del poeta che, desideroso di concedersi
un periodo di tregua dagli impegni della politica e della scrittura, cerca il contatto con
la natura nell’il- lusione di potersi fondere con essa. Sono accentuati di conseguenza
tutti gli elementi riconducibili alla vita fisica e a quella dei sensi: attraverso una
trasfigurazione mitica l’umano e il naturale si fondono l’uno nell’altro, in una
forma di identificazione totale che prende il nome di panismo, con allusione a Pan, la
divinità che incarna la vitalità istintiva, l’impulso a fon- dersi con la natura.
È ricorrente nelle liriche il tema della metamorfosi, che permea tutti gli aspetti del
cosmo: tempo atmosferico, elementi vegetali, forme animali. Il linguaggio è
caratterizzato da un tono aulico, dal gusto prezioso per
gli accostamenti, dalla musicalità. Il lascito più significativo delle poesie di Alcyone
consiste nel lessico e nella metrica, dominati da sperimentazioni ritmiche e metriche
come onomatopee, fonosimbolismi e soprattutto dalla strofa lunga.
 

- Nella seconda sezione si trovano i testi più famosi, come La pioggia nel
pineto.
- modelli per D’Annunzio sono i poeti latini Virgilio e Ovidio, Omero e i lirici
greci. Anche il linguaggio appare influenzato dal termini classici e
arcaizzanti e latinismi; inoltre il poeta adotta lessici specifici e settoriali
come quello botanico, marino e militare.

LA PIOGGIA NEL PINETO


-4 lunghe strofe, caratterizzate da versi di lunghezza variabile (verso libero).

-Ci troviamo in vicinanza alla bocca del fiume Serchio (il fiume che bagna Lucca).

La poesia “la pioggia nel pineto” è stata scritta nell’estate del 1902 o del 1903 e
appartiene alla raccolta “Alcyone”. D’Annunzio sta trascorrendo la stagione estiva con
la donna amata, Eleonora Duse (nella poesia definita Ermione) sul litorale Tirrenico. I
due si trovano in un pineto quando vengono improvvisamente sorpresi da un
temporale estivo che diviene per il poeta l’occasione per scrivere questo
componimento, il quale è composto da quattro strofe composte da versi di lunghezza
variabile.

- La poesia si apre con una richiesta: il poeta invita Ermione (la donna amata) a
tacere poiché il silenzio predispone all’ascolto e le parole sono qualcosa di
troppo umano e la incita ad ascoltare il rumore prodotto dalle gocce di pioggia,
la quale produce, a seconda delle foglie su cui cade, un rumore boschivo
diverso.
- Le cicale che cantano accordano le loro voci al rumore prodotto dalla pioggia e,
in lontananza, risponde alle cicale la rana.
-
- Quest’atmosfera favorisce una metamorfosi, sottolineata da termini che
rimandano proprio all’idea di trasformazione e fusione con la natura, quali
“volti silvani”, “freschi pensieri” “spirto silvestre”.
- La donna, dunque, non è più umana, ma è una creatura terrestre, ma
diventa un albero, fondendosi quindi con il resto del bosco. 

- La pioggia assume une funzione di purificazione e l’autore rappresenta un


rito di iniziazione, una trasformazione: la fusione dell’uomo con la natura. Da
ciò emerge dunque il panismo, ovvero una fusione tra l'elemento naturale e
quello umano.

- D’Annunzio cerca un’espressività caratterizzata dalla musicalità, con una serie


di rime libere e di assonanze distribuite nel testo che riproducono i suoni della
natura e che avvicinano l’uomo ancora di più alla sua fusione con essa.

- D’annunzio infatti, riesce a organizzare le quattro strofe come i movimenti di


una sinfonia, in cui distingue il diverso suono delle voci, il canto delle cicale e
delle rane, il rumore delle gocce di pioggia a seconda delle foglie che vengono
presentati come musicisti di un’orchestra. Qui il poeta dimostra la straordinaria
capacità di trasformare le parole in musica.

LA SERA FIESOLANA

La sera fiesolana è una lirica composta nel 1899 e inserita nella raccolta Alcyone,
sezione dell'opera le Laudi scritte da D’Annunzio.
La poesia è divisa in tre strofe, di 14 versi, intervallate da 3 riprese di 3 versi, che
richiamano il cantico delle creature di San Francesco, ciascuna descrive tre momenti
della sera, i motivi sino autonomi.
- nessuna punteggiatura
- elementi sensoriali
-La prima strofa spiega la sera quando appare la luna;
(personalizzazione della luna)
-la seconda spiega l’immagine di una sera di giugno nel quale la pioggia cade
sulla campagna;
-la terza si sofferma sull’immagine delle colline.

- La poesia  rappresenta una sorta di rilettura laica e dionisiaca del Laudes


creaturarum di San Francesco d’Assisi: il misticismo francescano viene
riproposto in modo esteriore, con espressioni come “laudata sii”, “fratelli
ulivi”; “pura morte”, inserite però in un contesto totalmente diverso.
PARAFRASI

Nella prima strofa, siamo a Fiesole, in Toscana, in una distesa di


colline su cui crescono ulivi. Siamo alla fine della primavera, al tramonto.

- un uomo, su una scala che sta diventando nera, perché il sole sta calando, raccoglie foglie di
gelso, unendo il fruscio di questo gesto ai colori sfumati della luna che sta spuntando
all’orizzonte.

- non è descritto il sorgere vero e proprio della luna, bensì il momento,


magico e sospeso, che lo precede.
- La luna ha il potere di produrre il refrigerio necessario a far rifiorire la vita
laddove c’era l’aridità, ma l’idea del “fresco” la connette allusivamente anche alle
“fresche” parole del poeta, che quindi assumono le medesime prerogative
salvifiche.
- La luna viene personalizzata ed evocata come se si trattasse di una formula magica

- Sensazioni epidermiche

- Uso di un registro sacro

- la rugiada che, grazie all’abbassamento della temperatura, bagnerà tutte le campagne


fiesolane, darà loro la pace della notte.

- Vi sono rimandi a Carducci e a Virgilio

Nella seconda strofa, originariamente intitolata La pioggia estiva, si presta


ancora più attenzione al suono delle parole, che sono scelte innanzitutto per la loro
musicalità.
- Di nuovo, si insiste sull’idea dell’acqua e sul passaggio, in particolare tra la
primavera e l’estate, col grano non maturo, ma non più verde e il fieno tagliato
che sta lentamente ingiallendo.
- Gli olivi sembrano guardare verso l’alto con le loro foglie, non ancora del tutto verdi e
pallide (quindi sante, come il santo del luogo, Francesco).

- La sera viene lodata, nella seconda antifona, per i suoi vestiti profumati
(aulenti), ovvero per il profumo che promana dalle piante lungo le colline.
Nella terza strofa, il poeta spiegherà alla sua donna verso quali regni amorosi ci porti il
fiume Arno, che solca la valle di Fiesole, le cui fonti custodiscono un segreto, come le colline
fiesolane, che per la forma sembrano essere delle labbra socchiuse, pronte a parlare.

Qui la Natura viene fatta parlare dal Poeta, egli le permette di spiegare agli uomini quale segreto
racchiudano. Sia dunque lodata la sera, nella terza antifona, per la sua morte e per il suo diventare
notte, in cui palpita la luce delle stelle che
iniziano a vedersi in lontananza.

PASCOLI

-nacque a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855, presso le saline di Cerbia,

Eventi autobiografici importanti:


-morte del padre
Ucciso da contrabbandieri che passavano abusivamente nelle terre interne, per la
tenuta di Torlonia, gestita dal padre di Pascoli.
Non fu mai trovato il colpevole, ma Pascoli sapeva chi era l’uccisore di suo padre.

Pascoli e i suoi 9 fratelli vivevano a ridosso della “torre”, casa per vacanze.

Alla morte del padre, Pascoli aveva 9 anni, e questo evento lo traumatizzò
fortemente.
La famiglia si sfaldò, la madre non era in grado di mantenere i figli.
Alla morte del padre seguirono quella della madre, della sorella maggiore,
Margherita, e dei fratelli Luigi e Giacomo. Questi lutti lasciarono nel suo animo
un'impressione profonda e gli ispirarono il mito del "nido" familiare da
ricostruire
Pascoli conservò sempre l’idea della morte incombente sulla vita, e il tema
dell’ingiustizia umana.
Non si diede mai pace per questo lutto, non insisterà mai sul fatto che non fosse stata
fatta giustizia sul fronte umano, poiché non avrebbe comunque potuto restituirgli il
padre, ma lo inquieta il fatto che lo stato non garantisca giustizia.

- Frequenta la facoltà di lettere a Bologna e in quegli anni, soprattutto lì, si stava


affermando il socialismo
- Nella sua vita è importante anche la presenza di Carducci, perché grazie a lui
nel 73 ottiene una borsa di studio nell’università di Bologna grazie alla
commissione, di cui Carducci ne faceva parte e poi il suo interessamento fa sì
che Pascoli si possa laureare.
- Nel 1882 si laurea in greco, con una tesi su Alceo e comincia a svolgere la
professione di insegnante di letteratura greca e latina. Prima va a Matera, poi a
Massa, dove chiama a vivere con sé le sue sorelle, Mariù e Ida, perché il suo
intento è di ricostruire quel nido familiare.

Attaccamento al nido: in questo nido familiare si sente appagato e sereno,


Il nido difende chi sta dentro, è il tentativo di recuperare l’età d’oro, ovvero
dell’infanzia, l’unico tempo davvero sereno; proprio Pascoli ha un
atteggiamento infantile, come se rifiutasse la vita adulta.
La famiglia viene definita da Pascoli, come famiglia d'origine chiusa ed
esclusiva che si costituisce come alternativa al matrimonio.
In questa visione, il male più grande è la dispersione del nido, per
esempio,l’abbandono della casa, i lutti familiari o il fidanzamento della sorella
Ida.

Quando Ida decide di sposarsi, nel 1895, per lui è come se si spezzasse quella catena
che aveva rappresentato il modo di stare di nuovo insieme.
Dopo il matrimonio, comincia a soffrire di una forma di depressione. Quando si
profila l’ipotesi di poter sposare una sua cugina, lui è costretto a rinunciare per
la gelosia di Mariù (c’era un rapporto molto morboso).

RAPPORTO CON IL CONTESTO STORICO


Pascoli è pienamente consapevole delle più grandi trasformazioni che si stanno
verificando in Italia e nel mondo:
- La concentrazione monopolistica
- L’imperialismo –
Il pericolo dei regimi totalitari
Tutto ciò gli fa terrore. Non esiste più una dimensione appagante, come quella
dei piccoli proprietari terrieri, perché i “piccoli” sono spazzati fuori dalla storia.
In realtà la visione realistica che sta cambiando intorno non determina in
lui nessun tentativo di rivolta o di accusa, anzi si chiude nel suo piccolo
mondo agreste, nel nido dei suoi affetti domestici.
Lui preferisce ascoltare e rifugiarsi nella natura anziché farsi coinvolgere
da quel mondo che prepotentemente si sta affermando (la matrice di
tutto ciò è sempre l’inettitudine). La realtà è continuamente trasfigurata
da queto clima psicologico di turbamento continuo. La poesia di Pascoli fa
venire alla luce lo smarrimento, le paure, le angosce di questo periodo di
tensione che lascia il poeta quasi smarrito di fronte all’incapacità di
dominare il reale e quindi lo costringe a cercare un rifugio nella propria
interiorità

Le raccolte di Pascoli
La raccolta più importante è “Myricae”, esemplando il verso Virgiliano “non
omnes arbusta iuvantu milesque myricae” “non a tutti piacciono gli arbusti e le
umili tamerici” (quarta bucolica di Virgilio): le tamerici sono degli arbusti che
nascono spontaneamente nelle zone marittime. Ricordiamo che egli era vissuto
per molto tempo a Massa, Livorno e conosceva bene la vegetazione, inoltre
nella sua formazione ha un’influenza notevole il positivismo e quindi la sua
formazione non era solo classica, ma la matrice della sua visione del
mondo era di tipo positivistico.
- Prende dal positivismo il rigore scientifico, la precisione nella nomenclatura
di piante e animali e anche le fonti da cui derivava quella conoscenza dei
comportamenti degli animali (spesso protagonisti dei suoi componimenti
poetici).

CANTI DI CASTELVECCHIO:
I Canti di Castelvecchio si propongono di continuare il programma poetico iniziato con
la precedente raccolta Myricae: alle immagini quotidiane della vita di campagna, si
alternano continuamente i temi della tragedia famigliare e delle ossessioni segrete del
poeta, come l’eros e la morte, altri temi sono la natura, la vita in campagna, l’amore
per le cose umili e quotidiane, il mistero, l’ignoto, la memoria famigliare. Nei canti si
amplia la dimensione simbolica del reale: la natura e il paesaggio sono descritti
oggettivamente, ma diventano sempre il corrispettivo analogico degli stati d’animo del
poeta. La struttura si fa più complessa ed elaborata, anche dal punto di vista della
metrica. La collocazione delle liriche all’interno della raccolta è attentamente studiata
secondo un ordine che segue quello delle stagioni.

I POEMETTI
 POEMETTI I poemetti furono divisi in 2 libri: la prima raccolta del 1897; poi
successivamente, scinde i libri in: “primi poemetti” nel 1904, e “nuovi poemetti” nel
1909. C’è una lettera in cui Pascoli parla dell’intento di accostare a una poesia
semplice e umile una poesia di tono più elevato. 

Rapporto con la mentalità positivistica:

- C’è comunque la consapevolezza che la scienza ha fallito il suo compito.


Lui si fa carico di quella crisi profonda che la scienza vive sul finire del secolo
(essa aveva creato solo un’illusoria felicità). Cominciano ad aprirsi i confini del
mistero, dell’ignoto, di un mondo inconoscibile, dell’essenza delle cose che non
può essere conosciuta attraverso formule matematiche, ma solo ricorrendo ad
una strumentazione differente, quindi anche il linguaggio della poesia si
uniforma a queste necessità.
Pascoli non solo riconobbe l'impotenza della scienza nella risoluzione dei
problemi umani e sociali, ma l'accusò anche di aver reso più infelice l'uomo

Poesie importanti:

Analisi di X agosto di Pascoli


Metricamente siamo di fronte a sei quartine di decasillabi (10 sillabe per verso)
e novenari(9 sillabe per verso) dattilici, con rime alternate che seguono lo schema ABAB.
Dal punto di vista del significato la struttura collega la prima e l’ultima strofa, che
risultano legate nel senso: la prima si apre con la dichiarazione di conoscere il motivo per
cui nella notte di San Lorenzo le stelle inondano con il loro pianto la terra; l’ultima esplicita
finalmente questo motivo.
La parte centrale di X agosto racconta invece la storia parallela e tragica del ritorno a casa
di una rondine e del padre di Pascoli, Ruggero, entrambi uccisi prima di poter riabbracciare
la propria famiglia, che rimane ad aspettarli inutilmente.
La punteggiatura offre un ritmo molto singhiozzante, i segni di interpunzione sono
moltissimi e rendono il senso di struggimento del poeta.
La morte del padre è stata un evento traumatico nella vita di Giovanni, che in X agosto
sembra quasi paragonare la morte del padre a quella di Cristo. La rondine è infatti un
chiaro richiamo a Ruggero e la sua figura è esplicitamente collegata alla morte di Gesù in
croce.
Questo espediente serve al poeta per mostrare l’assoluta innocenza del padre; il caso non
sarà mai risolto e Pascoli non avrà mai una spiegazione sul motivo che spinse i due
uomini appostati ad uccidere Ruggero.
La morte del padre porterà in casa Pascoli una vera e propria serie di sciagure: pochi mesi
dopo la morte del padre morirà anche la madre, incapace di sopportare il dispiacere. 

I Puffini dell’adriatico
- -La poesia è un sonetto (composizione di due quartine e due terzine di
endecasillabi) con termini specifici e poco usati ma precisi.

- Il poeta immagina e descrive una scena mattutina sul mare Adriatico: vede e
sente degli uccelli che cantano. Sembra il chiacchierare di marinai che navigano
sulle barche su di un mare liscio e calmo.
-Il poeta adopera delle sinestesie (fondere in un’unica sfera sensoriale delle
percezioni di sensi distinti) per richiamare alla memoria colori e suoni.
- le indicazioni apparentemente fisiche e oggettive costituiscono un clima più
profondo nel quale si proiettano la solitudine e il silenzio dell’alba d’estate.
In quest’atmosfera si collocano le voci degli uccelli, sono “voci arcane” che lanciano
messaggi misteriosi da un altrettanto misterioso “al di là”: gli uccelli (i puffini) sono
esseri sospesi tra cielo e mare e perciò sono più liberi dell’uomo, sgravati del peso
della fisicità.
- Il loro verso, così simile alla voce umana, è incomprensibile; rappresenta
l’elemento arcano nel paesaggio della poesia e più generalmente l’aspetto
misterioso e impenetrabile della vita. L’esistenza di un significato recondito
nella poesia è suggerita dal paragone ipotetico tra i puffini (nelle due quartine)
e i marinai (nelle terzine) che chiacchierano oziosamente da una barca all’altra
per ingannare il tempo della bonaccia.
- Pascoli adotta un linguaggio ellittico, allusivo e lascia il lettore nell’incertezza

La civetta
Essa è composta da 8 quartine di tre endecasillabi e un quinario che conferiscono al
componimento un ritmo particolare.

Il tema principale della poesia è la morte, raffigurata attraverso l’immagine


della civetta.
Il componimento, dal punto di vista tematico, può essere suddiviso in tre parti:
-La prima, comprendente le prime tre strofe, fa riferimento al volo dell’uccello davanti
alla luna e fornisce una descrizione del paesaggio.

Qui compare un tema molto presente in tutta la poetica pascoliana, ovvero ‘‘il nido’’,
simbolo della casa, dell’amore e degli affetti familiari. Essendo la natura generatrice di
sofferenza, porta l’uomo ad un senso di smarrimento e solitudine e il quale aspira
quindi a una vita rinchiusa nel ‘‘nido’’ familiare, dove può essere al riparo dalle
minacce esterne.

- La seconda parte del componimento comprende le strofe che rappresentano


la battuta di caccia dell’animale.

Come la morte incombe senza preavviso sull’uomo, allo stesso modo la


civetta si getta sulla propria preda. Gli uccelli indifesi, come l’uomo,
riponevano fiducia nei loro rifugi, nei loro nidi tanto da non rimanere all’erta
per eventuali pericoli, infatti anche l’uomo vive tranquillo pensando di non
doversi tutelare in ogni momento dalla morte e abbassando la guardia.

Questa sicurezza si rivela però apparente con l’arrivo della civetta e quindi della
morte.
- Nella terza parte l’autore si rivolge direttamente alla morte, si ha quindi una
perfetta corrispondenza tra la morte e l’animale, riprendendo il continuo
paragone tra i due
-
- . Il lessico della poesia è scarso, caratterizzato da numerose ripetizioni che
permettono di porre maggiore attenzione sugli aspetti più importanti della
poesia. Questi termini appartengono tutti al campo semantico del buio, della
morte e della natura con lo scopo di comunicare la drammaticità della morte
attraverso aspetti differenti.

LA TESSITRICE

Il Poeta ritorna dopo molti anni a San Mauro e va a far visita ad una fanciulla tessitrice
e come un tempo le siede accanto sulla panchetta dove è intenta a filare. Il breve
colloquio tra i due fa presto capire che il dialogo in realtà è un monologo: il poeta
parla e la fanciulla risponde ma d'un cenno muto. I movimenti della ragazza non
producono alcun suono e il telaio non stride. In realtà la tessitrice è morta da tanti
anni e vive soltanto nel cuore del poeta. La giovane tessitrice tesse il funebre sudario,
nel quale dormirà con lui un sonno eterno. Il ricordo dell’antico amore culmina in un
pensiero di morte. La giovane tessitrice evocata in questa lirica rappresenta il simbolo
dell’amore perduto e, allo stesso tempo, della morte, promessa come un riposo e un
rifugio. Il clima → non è reale ma visionario, è tutto frutto di una proiezione mentale
di Pascoli (=Pascoli visionario)

Le monache di Sogliano
Pascoli scrive la poesia quando fa visita alle sorelle Ida e Maria nell'agosto del
1884 a Sogliano. Le due giovani studiavano da educande al monastero delle
monache agostiniane a Sogliano sul Rubicone; ora l'ex monastero è situato in
Via Giovanni Pascoli
Furono i racconti delle due sorelle sulle educande del convento che
probabilmente ispirano Pascoli a questo componimento, insieme all'allora
ancora vivo topos letterario della monacazione forzata;
Nelle prime due strofe vengono presentato le monache e loro religiositàà
rigorosa e fredda. L'ambiente austero è descritto tramite l'uso di termini quali
profondo, fumar lento, brusio cupo, vegliardo austero.
Nelle successive strofe compare, quasi in antitesi, il vociare delle giovanissime
educande. Le loro voci sono risoluta come agili e unite, ma mai felici, come il
lettore potrebbe pensare. Di fatto, alla freddezza e dolore delle monache e al
loro mormorio si aggiunge il delle giovani educande i loro piani e sospiri.
Il contrasto tra monache e bambine è reso e soprattutto dall'espressione
invisibile cortina (v 10), che può significare sia una separazione fisica -
monache ed educande in zone separate del convento – sia spirituale: le
monache mostrare una religiosità senza passione, le educande una fede
vissuta, anche se dolorosa. Pascoli non concede ai gemiti delle giovani
nessuna consolazione: al dolore e alla sofferenza non resta che il silenzio della
tomba, la morte.

Italy
Italy è un testo della raccolta Primi Poemetti di Giovanni Pascoli, composto nel 1904. Il
poemetto è strutturato in due canti, per un totale di 450 versi, e le strofe sono
formate daterzine dantesche.
-Protagonista di Italy è il fenomeno migratorio degli italiani in America. Pascoli
racconta una vicenda di cui è stato realmente testimone: il ritorno in patria di parenti
emigrati laggiù di un contadino della Garfagnana suo amico. Pascoli, dichiarandosi
socialista, rifletteva sull'ingiustizia che il popolo italiano, appartenente ad un paese
proletario, si trovasse nelle condizioni di dover lasciare il nido, la propria patria, per
scarsità di sostanze, e dover andare a lavorare e ad arricchire paesi stranieri.
Nel primo canto viene narrato il ritorno di una bambina italo-americana, Maria-Molly,
che torna in Italia per cercare di sconfiggere la tisi e respirare aria migliore. Dopo i
primi problemi d'incomprensione con la nonna che si occupa di lei, dovuti alla lingua e
agli usi differenti, le due ritrovano un linguaggio comune. La comunanza di cuore
diventa tale che la nonna perirà di tosse, destino inizialmente destinato alla nipotina,
e che suggerisce un sacrificio quasi volontario di questa donna.

Digitale Purpurea

Due donne, incontrandosi, rievocano gli anni trascorsi insieme, come educande,
presso un convento di suore. Colpisce imme- diatamente, nella descrizione fisica, la
complementarità delle due figure.
Si delinea, l’opposizione tipicamente decadente fra la donna ange- lica e la
donna perduta: la prima, di estrazione stilnovi- sta e preraffaellita, è una creatura
spirituale, modello di castità e di purezza, la seconda è la femmina carnale che non
ha saputo resistere ai richiami morbosi e malsani dell’eros, abbandonandosi al piacere
dei sensi fino a consumarsi nell’esercizio di una passione divorante.
È molto probabile che su questi clichés decadenti Pascoli abbia proiettato l’indole
com- plementare e le scelte opposte compiute dalle sue due sorelle. Anche Mariù –
che porta lo stesso nome della donna bionda del poemetto – e Ida erano state educate
dalle suore, presso il convento di Sogliano, ed era stata proprio Mariù a raccontare al
poeta la storia del fiore dal profumo mortale.
Se dietro la Maria di Digitale purpurea si cela, perciò, Mariù, la sorella buona,
consacratasi alla religione platonica del nido, dietro la Rachele del poemetto Pascoli
nasconde Ida, la sorella cattiva, che aveva violato quella religione, tradendo, per
un’attrazione fatale, i legami familiari di sangue e di memoria.
l fiore velenoso, il cui profumo rapisce ma procura la morte, viene evocato, non casualmente, in
tutte e tre le strofe a turbare l’età dell’innocenza. Esalando come un miele / che inebria l’aria e
invade l’anima d’un oblìo dolce e crudele (vv. 20-21), esso promette un piacere cui Pascoli
guarda con un misto di attrazione e di paura. Questo fiore, infatti, è tanto invitante quanto
pericoloso, se Rachele, che lo gusta, ne viene consumata. Ne avevamo avuto un segno premonitore,
già in partenza, negli occhi malati di questa donna, ch’ardono (v. 5) di febbre. La digitale purpurea,
simbolo pascoliano dell’iniziazione sessuale, toglie prima le forze e poi la vita.

NEBBIA
Nella poesia Pascoli si rivolge alla nebbia chiedendole di nascondergli ciò che è
lontano nel tempo (le cose passate) e nello spazio (le cose lontane), perché provoca
solo pianto e dolore.
La nebbia→ non è descritta oggettivamente bensì assume un forte significato
simbolico, diventando una barriera difensiva che il poeta erge tra sé e il mondo
esterno, affinché lo protegga dall’ignoto e dalla morte, lasciandogli vedere solo ciò che
è vicino, le poche e umili cose rassicuranti perché appartengono al “nido”, quindi
assicurandogli un pò di serenità.
La vita→ viene vista in una luce negativa, mentre l’atteggiamento nei confronti della
morte è ambivalente. Emerge anche una contraddizione, il mondo esterno che da un
lato spaventa terribilmente il poeta, dall’altro lo attrae: è molto legato al “nido”, ma
coltiva anche una segreta attrazione per il mondo esterno.
La “valeriana” è da intendere come simbolo dell’oblio, la siepe e il muro dell’orto sono
simboli di protezione dal mondo esterno;
il cipresso è evidentemente immagine della morte, mentre il cane rappresenta la
fedeltà e gli affetti domestici; la metafora “aeree frane” per indicare il tuono è molto
forte e rimanda ad apocalissi cosmiche. Il lessico della poesia oscilla tra termini
semplici e quotidiani e vocaboli aulici e danteschi.

IL GELSOMINO NOTTURNO

Questa poesia allude ad un rito di fecondazione.


- Non c’è un’introduzione o un’ambientazione precisa della lirica, che se c’è
rimane molto sfumata.
- L’incipit è in medias res
- Il rituale di fecondazione: siamo nell’ambito di un epitalamio (letto
matrimoniale), gli inni che servivano a celebrare un momento della vita
dell’uomo in questo caso di una nuova nascita, la quale viene accostata
costantemente alla morte.
- Pascoli dovrebbe celebrare la prima notte di nozze del suo amico Briganti

- La tragedia familiare che ha distrutto il famoso nido di Pascoli lo ha


perennemente relegato a una condizione psicologica infantile, per cui lui è
impossibilitato ad uscire dal bozzolo che si è costruito se non
sdoppiandosi.
La condizione psicologica di regressione all’infanzia gli ha impedito di crescere,
di diventare adulto e anche il legame con il mondo esterno diventa difficile,
sostituisce quindi il legame con una donna qualsiasi con dei surrogati, la sorella
diventa la sostituta di una donna ideale con cui avrebbe potuto costruire una
famiglia.
- legame viscerale e ossessivo con i morti, ‘presenze lugubri’, è qualcosa che
lui vuole conservare all’interno del suo nido. Lui è cosi fedele ai morti che ogni
volta che è costretto ad allontanarsi dal nido si sente soffocare.

-Le fragole rosse (che alludono all’atto sessuale, alla perdita di sangue causata dalla
rottura dell’imene) crescono sulle fosse dei morti. Qui la visione del bambino che
vede l’atto sessuale come qualcosa di violento. Da un lato c’è una morbosa
curiosità da parte del sesso e dall’altro di un senso di colpa, la radice di tutto è
l’inettitudine alla vita.
-

IL FANCIULLINO
- In un saggio pubblicato nel 1897, su una rivista letteraria “Il Marzocco”, lui
discute del fatto che il poeta è un artista in cui il fanciullino, che sopravvive
in un angolo remoto di ciascuno di noi, fa sentire più forte la sua voce cioè
il poeta è un fanciullino.

Il fanciullino è la capacità che l’uomo ha di vedere le cose come se fosse la


prima volta, di sorprendersi di tutto ciò che lo circonda.

il poeta è un fanciullino è l’unico che può superare l’apparenza e guardare oltre


per giungere all’essenza misteriosa delle cose.
Assistiamo a una Poesia priva di condizionamenti di ordine pratico.
Il poeta non vuole educare o essere ispiratore di un’ideologia, ma la poesia
deve essere spontanea, disinteressata, libera. Può anche però ottenere
degli effetti di utilità morale, ad esempio far riflettere sui dolori e i mali del
mondo.
I temi
Pascoli che mostra tutti gli aspetti del decadentismo più internazionale, quindi

-l’adesione a quegli aspetti che celebrano l’irrazionalità, attraverso i quali si


possono comprendere le lacerazioni dell’anima umana, di un’anima che non si
sente più in sintonia con le realtà del mondo e che si trova smarrita di fronte a
questa difficoltà dell’esistere.

. SIMBOLISMO - Il linguaggio
Pascoli utilizza molto le onomatopee.

-destrutturalismo linguistico, sperimentazione: ad esempio nei poemi di


Castelvecchio, come “Italy”, lui riproduce un miscuglio di linguaggio italiano,
italoamericano e dialetto.

La poesia di Pascoli è quella che più tra tutte le altre del ‘900 ricorre al
simbolismo.
Dato che la realtà è avvolta nel mistero, è inutile ogni tentativo di conoscenza
razionale della realtà allora ogni espressione poetica non potrà che essere
affidata a degli strumenti di comunicazione pre razionali,
L'impiego di una lingua codificata, di un unico linguaggio unificato
strutturato in una maniera univoca e circoscritta rappresenta la risposta
ad una visione di una vita estremamente scura, definita determinata della
realtà. La stessa cosa per quanto riguarda il linguaggio tecnico scientifico,
è un linguaggio che definisce che però circoscrive e chiude.

- l’introduzione della lingua parlata nel linguaggio poetico (esempio “Italy”)


- Pascoli prefigura la poesia dialettale del 900.

D’annunzio e Pascoli

Le influenze di Pascoli (fanciullino, poetica elevata..) hanno continuato per


tutto il 900’.

D’Annunzio e Pascoli si distanziano apparentemente dalla poetica


precedente.
D’Annunzio è moderno nei temi, ma arcaizzante nelle scelte lessicali.
La sua non è un’imitazione classica, ma « ruba » dei termini, dei
preziosismi.
Eredità dannunziana :
-Porta avanti fino all’estremo la frammentazione del verso e la metrica
lirica.
(pioggia nel pineto, non si sa quanto sono lunghi i versi)
- Isolamento della parola sonora, evocativa
- Rottura delle strofe
- Scelta delle parole in rima, non mette la solita parola piana, ma
aggiungendo una sdrucciola con l’accento sulla penultima. ,ò

Pascoli è profondamente classico nella forma, egli ha forme precise,


corrispondenti a quelle dei lirici greci.
Ci inserisce la poetica delle piccole cose.
Eredità Pascoliana :
-Ritmicità tritata
- discontinuità metrico sintattica
- puntinismo sonoro (fonosimbolismo che emerge da molteplici sillabe)
- verso e strofe frammentate

ITALO SVEVO

-Aron Hector Schmitz


-1861, Trieste
-proveniente da una famiglia borghese, di commercianti, ebraica
- compie studi commerciali in Germania
questo gli dà l’opportunità di approfondire i classici tedeschi
- nel 1880, a causa delle difficoltà economiche del padre (declassamento) inizia a
lavorare in una filiale triestina della Banca Union.
Il suo rapporto con il mondo impiegatizio è conflittuale, questo fattore emerge anche
nelle sue opere.
Nel tempo libero si dedica alla scrittura.
- nel 1887 inizia la stesura del suo romanzo, Una vita, che pubblicherà nel 92.
inizialmente il romanzo si chiamava l’inetto, ma su obbligo della casa editrice ne
cambiò il nome.
In quest’occasione utilizza per la prima volta lo pseudonimo di Italo Svevo, che
riflette la consapevolezza di trovarsi a confine tra Italia e Impero asburgico.

- si innamora di Livia Veneziani, si sposa e inizia a condurre una vita agiata.


Entra nella ditta nei suoceri e inizia a viaggiare.
Il suo nuovo impiego gli richiedeva una buona conoscenza dell’inglese, inizia così a
prendere lezioni di inglese da James Joyce.
Periodo di pausa dalla scrittura, riprende in prossimità della guerra.
Si giustifica considerando la letteratura come inutile.
Nel 1923 pubblica La coscienza di Zeno.

In Italia Eugenio Montale lo noterà, e grazie a lui riuscirà a ottenere riconoscimento


per la propria opera.

Il contrasto con il mondo utilitaristico

Svevo soffre profondamente il contrasto tra la mentalità positivistica dell’epoca e la


sua vocazione per la letteratura.
Nell’epoca del progresso la letteratura viene svalutata, in quanto non considerata
produttiva, remunerativa.
Emerge tuttavia una figura non conforme a questa realtà, la figura dell’inetto.
L’inetto si dedica alla riflessione, all’osservazione della società, incapace di integrarsi
completamente, poiché questa loro tendenza li ostacola.
L’inetto desidera una dimensione spirituale, filosofica che non è contemplata dai più.

Le influenze
Svevo risente della psicoanalisi Freudiana, della filosofia marxiana, Schopenariana,
Darwiniana, il naturalismo e realismo francese.

Il rapporto con la psicoanalisi

Svevo era consapevole che la psicoanalisi non aveva capacità terapeutiche o


diagnostiche.
La psicoanalisi è il tentativo di indagare l’inconscio attraverso il metodo scientifico.
Tendenzialmente era stato argomento letterario, fino a quando è subentrato il
naturalismo, con il quale abbiamo un tentativo di analisi sociale giustificazionista.

Svevo mette in luce l’inesattezza della psicoanalisi, non si può procedere con
diagnosi standardizzate, ogni persona è differente, e molteplici sono i fattori che si
celano dietro a determinati malesseri o comportamenti.
- la diagnosi non è assoluta
- la terapia non funziona

L’importanza della letteratura


la letteratura è l’unica che può persistere nel trattare l’inconscio, in quanto si
limita a raccontare, senza alcuna pretesa.
(la letteratura 900entesca si caratterizza per il rimanere in disparte)
Allo stesso modo è l’inetto colui che sopravvive, colui che contempla, il quale, non
essendo mai riuscito a integrarsi completamente per sopravvivere ha sempre dovuto
cercare di adattarsi.
Egli non si mischia alla società, alla foga capitalista.

La coscienza di Zeno
Innovativa è la struttura del romanzo, costruito ad episodi e non secondo una
successione cronologica precisa e lineare. Il narratore è il protagonista, Zeno
Cosini, che ripercorre sei momenti della sua vita all'interno di una terapia di
psicoanalisi. La Coscienza si apre con la Prefazione del dottore psicoanalista
(identifica dall'ironicamente beffarda etichetta di "dottor S.", con un sotterraneo
richiamo al cognome dell'autore reale) che ha avuto in cura Zeno e che l'ha indotto a
scrivere la sua autobiografia. Il protagonista si è sottratto alla psicoanalisi e il medico
per vendetta decide di pubblicare la sue memorie. I sei episodi della vita di Zeno
Cosini sono: Il fumo, La morte di mio padre, La storia del mio matrimonio, La
moglie e l’amante, Storia di un’associazione commerciale e Psico-analisi. Ogni
episodio è narrato dal punto di vista del protagonista, e il suo resoconto degli
eventi risulta spesso inattendibile; egli presenta la sua versione dei fatti, modificata
e resa come innocua in un atto inconscio di autodifesa, per apparire migliore agli
occhi del dottor S. (una sorta di secondo padre, sotto i cui occhi recitare la parte del
"figlio buono"), dei lettori e forse anche ai propri).
Dopo una Prefazione e un Preambolo sulla propria infanzia, nel terzo capitolo Zeno
scrive del suo vizio del fumo (Il fumo): fin da ragazzino il protagonista è dedito a
questo vizio, da cui cerca inutilmente di liberarsi con diversi tentativi infruttuosi,
testimoniati dalle pagine di diari e dai libri (noché dai muri...) su cui vengono scritte
la data e la sigla u.s. (ultima sigaretta). Infine per liberarsi dal fumo il protagonista si
fa ricoverare in una clinica, da cui fugge, corrompendo con una bottiglia di cognac
l’infermiera che lo sorveglia. L’episodio del fumo permette a Zeno di riflettere
sulla propria mancanza di forza di volontà e sull'incapacità di perseguire un
fine con forza e decisione. Tale debolezza è attribuibile al senso di vuoto che
egli sente nella sua vita, e all’assenza nella sua infanzia di una figura paterna
che fornisca regole e norme comportamentali.

Capitolo 1 - Prefazione: 
Il primo capitolo del romanzo "La coscienza di Zeno" consiste nella prefazione scritta dal dottor S., lo
psicanalista, di scuola freudiana, che ha avuto in cura Zeno, che in poche righe spiega che ha deciso di
divulgare le memorie del suo paziente per vendetta, dato che quest'ultimo ha abbandonato la cura. 
Capitolo 2 - Preambolo:
Da questo capitolo in poi la narrazione è fatta da Zeno.

Il secondo capitolo del romanzo rappresenta l’introduzione del protagonista in cui Zeno raccoglie l’invito
del suo psicanalista, Dott. S. di scrivere la sua autobiografia come cura, in modo da facilitare la riemersione
dei ricordi remoti e, dopo aver letto un libro sulla psicoanalisi, decide di scrivere le sue memorie in cui
rievoca i passi significativi della sua vita. 
Non si tratta di un vero diario perché il tema della narrazione non è la vita del protagonista ma la storia della
sua malattia, e le tappe che Zeno ripercorre sono quelle della sua malattia dell’anima.
La malattia che lo affligge  è l’inettitudine che qui assume le peculiarità di una patologia psicologica, una
nevrosi che si manifesta attraverso il senso di insoddisfazione costante, l’angoscia, la paura incontrollabile, il
conflitto costante con l’ambiente che lo circonda. 

Capitolo 3 – Il fumo
Zeno inizia il suo diario partendo dal vizio del fumo che mette in evidenza la sua nevrosi basata sul
continuo rinviare ciò che si ripromette di fare.

Il protagonista, fumatore incallito, fin da giovanissima età, racconta del proprio pigro dipendere dal vizio del
fumo, e dei suoi ricorrenti, quanto inutili, tentativi di liberarsene. Ogni sigaretta, si ripromette Zeno sarà
l’ultima e riempie di questo suo buon proposito, con le scritte “ultima sigaretta”,  il suo taccuino. In realtà,
ogni volta, dopo aver assaporato con estremo piacere e soddisfazione, proprio per il fatto che sarà quella
definitiva, l’ultima sigaretta, a quella ne seguono altre in un rincorrersi di decisioni prese e subito dopo
disattese, emblematiche della sua vita improntata sulla mancanza di volontà e sull’incapacità di perseguire
fino in fondo un proposito. 
Emergono in questo capitolo i temi fondamentali del romanzo: la continua irresolutezza, la malattia della
volontà, lo smascheramento degli artifici dell’inconscio, l’inettitudine, l’autoironia. 

Capitolo 4 – La morte del padre


Il capitolo “La morte del padre” racconta del rapporto conflittuale con il padre, ricco di silenzi e
fraintendimenti. 
La figura paterna in quanto figura che incarna la maturità suscita odio in Zeno, anche se egli non lo confessa
neppure a se stesso, rimuovendo, nell’accezione freudiana, questo sentimento per adeguarsi alle convenzioni
borghesi in base alle quali il sentimento filiale deve essere inevitabilmente di amore e rispetto.
Zeno si sofferma con particolare attenzione sugli ultimi giorni di vita del genitore, quando in punto di morte,
per un equivoco, questi colpisce con uno schiaffo il figlio, sigillando con un ultimo malinteso il legame tra i
due. 
Zeno interpreta l’episodio come intenzionale volto a infliggergli un’ultima punizione. Questa interpretazione
trova la spiegazione nel senso di colpa di Zeno per l’avere desiderato la morte del padre, nonostante Zeno
non voglia ammetterlo.

Capitolo 5 – La storia del mio matrimonio


Il capitolo “La storia del mio matrimonio” parla del rapporto con le donne.

Zeno è uno scapestrato e un donnaiolo ma decide improvvisamente di “mettere la testa a posto” sposandosi.
Inizia a frequentare le tre sorelle Malfrenti, figlie di un uomo d’affari triestino. Zeno si innamora della
primogenita Ada, la più bella, alla quale goffamente si dichiara. Ada, interessata al più disinvolto Guido
Speier, lo respinge per cui Zeno decide di dichiararsi alla secondogenita Alberta, la quale a sua volta lo
rifiuta. Finisce quindi per sposare quella che gli piace di meno, Augusta, la più brutta delle tre sorelle con un
occhio strabico.
Anche in questa situazione il personaggio di Zeno si caratterizza come inetto, inetto alla vita che non è in
grado di fare delle scelte e che si lascia trascinare dagli eventi, per cui, pur essendo amante della vita da
scapolo senza regole, alla fine Zeno finisce per accettare passivamente le regole del matrimonio. 

Capitolo 6 – La moglie e l’amante


Zeno, per conformarsi agli usi della società dell’epoca, diviene l’amante di Carla Greco, una povera
ragazza che gli rimarrà fedele per tutto il periodo della relazione ma che, come tutto, non lo coinvolge in
maniera profonda. Rapporto matrimoniale ed extraconiugale si integrano e procedono quasi di pari passo, tra
sensi di colpa e l’attrazione per l’esperienza trasgressiva, finché Carla stanca della situazione sposa il suo
insegnante di canto. 

Capitolo 7 – Storia di una associazione commerciale


Narra dell'impresa commerciale portata avanti da Zeno con Guido Speier, marito di Ada, e del rapporto
con il cognato nei confronti del quale Zeno prova forte antipatia e un sentimento di rivalsa. 
I due cognati sono estremamente diversi, Guido è una persona espansiva e brillante, ma anche superficiale e
incapace, Zeno è inconcludente, insicuro e passivo. 
L’azienda va in completa rovina, sia a causa dell’inadeguatezza e la disattenzione di Guido sia per la
svogliatezza e l’incertezza di Zeno.
Guido simula un suicidio, pensando così di salvare il proprio onore e di riuscire ad avere un ulteriore prestito
dalla famiglia della moglie. Le cose vanno però diversamente perché per errore sbaglia la dose del sonnifero
e muore.
Zeno dovendosi occupare delle questioni pratiche ed economiche legate alla morte del cognato, cerca di
riavvicinarsi ad Ada, sembra che tra loro possa nascere qualcosa ma anche questa situazione si conclude in
niente.

il suicidio di Speier rimarca il fatto che gli inetti sono presenti a tutti i livelli
sociali.
Tutti sono oppressi da qualcosa, da qualcuno.
Non c’è il riscatto romantico della classe inferiore.
Questa volta a suicidarsi non è il protagonista, poiché egli ha imparato a
strisciare nella società, a sopravvivere.
Zeno ha addomesticato la coscienza a tal punto di riuscire ad accettare
qualsiasi bassezza.

Il modesto impiegato non muore, poiché ha imparato ad adattarsi, a rendere


la sua coscienza ancora più auto- giustificatoria.
La letteratura diventa portavoce della bassezza morale, non c’è un ribelle
romantico, un antagonista alla società, non c’è il titanismo, ma nemmeno un
vittimismo, c’è un abbassamento della moralità che fa sopravvivere.

->Fallimento della presunzione del positivismo, che andrà poi a scontrarsi


contro la 1 guerra mondiale
Capitolo 8 - Psico-analisi (Conclusione)
Nella conclusione del racconto Zeno ha sospeso la terapia e rifiuta e condanna con disprezzo la
psicoanalisi che non gli ha arrecato alcun beneficio ed è anzi stata fonte di nuove malattie dell’animo. 
Al termine del romanzo Svevo, tramite il personaggio di Zeno, fa una amara riflessione sulla condizione
esistenziale dell’uomo. Attraverso il protagonista che si dichiara completamente sano,  Svevo rivela che la
malattia interiore che affliggeva Zeno è una condizione comune a tutta l’umanità, è congenita in quanto
insita nella civiltà dell’epoca che il progresso da una parte ha migliorato ma dall’altra ha irrimediabilmente
compromesso. Il progresso è in realtà per l’uomo un falso progresso, è solo degenerazione e malattia,
dovuti alla continua ricerca di qualcosa che la sete di denaro e potere e il desiderio di possesso non possono
dare.
La pagina che chiude il romanzo è famosa in quanto anticipatrice della moderna visione della fine del
mondo per mano umana.  La scena è apocalittica: l’uomo in possesso di un “esplosivo incomparabile”, che
colloca al centro della terra, finirà per portare la terra alla catastrofe. “Ci sarà un’esplosione enorme.. e la
terra, ritornata alla forma di nebulosa, errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie”.

Il ruolo del poeta 


Il ruolo del poeta non è poeta non è più messaggio di nessuno, denuncia soltanto una
condizione umana invivibile. Non è un esteta, non propone nuovi ideali, è semplice
descrizione del reale.

1892 Una Vita


Il romanzo narra della figura di Alfonso Nitti, nel quale è facile ravvisare tratti
autobiografici dell’autore.
Egli infatti lavora in banca, e vive con difficoltà questo lavoro, tanto che anche il suo
datore nota la sua tendenza letteraria.

allegoria del rapporto borghesia-letterato, la borghesia conserva un certo interesse,


e una certa nostalgia, per il letterato, per la dimensione che ha rifiutato, poiché non lo
comprende a pieno, nonostante ciò si mostra interessata a ciò che egli scrive di lei

Alfonso è innamorato di Annetta, la quale appartiene al mondo borghese, egli tuttavia


non arriva a sposarla, e si rifugia in campagna.
Alla morte della madre tuttavia, egli è costretto a tornare in società, ma non riesce a
riconquistare né la fiducia del suo capo né quella di Annetta.
Ormai ha perso le occasioni, Annetta sposa Macario, (nome greco che significa
felice).

Alfonso è un personaggio che si può definire VELLEITARIO, il quale si pone degli


obbiettivi ma senza tenere conto delle sue effettive capacità.

La lingua
priva di preziosismi, anche con scorrettezze grammaticali, Svevo prediligeva un
significato effettivo rispetto all’estetica della forma.
Il gabbiano

Il testo narra di una gita mattutina sullo yacht di Macario, amico di Alfonso
Già dall’inizio del brano emergono le differenti personalità dei due soggetti: Macario è
un uomo elegante, intelligente e astuto, il contrario di Alfonso che è invece piccolo e
insignificante. Ed è proprio per questo motivo che Macario passa del tempo con lui:
quando è con Alfonso si sente bene perché le sue qualità vengono esaltate accanto
alla piattezza dell’amico.
Una mattina però Alfonso propone a Macario di saltare il giro in barca a causa del
vento che gli sembra molto pericoloso. Ma Macario non ne vuole saperne e i tre
partono per la gita nel golfo. Ad un certo punto però il vento inizia a soffiare più forte
e fa sbilanciare il cutter dal lato in cui si trova Alfonso che si spaventa e corre dall’altra
parte per riequilibrare la barca. Da questo momento Macario inizia a prendersi gioco
di Alfonso e delle sue paure alludendo, per esempio, al fatto che se dovesse
succedere qualcosa alla peggio potrebbero sempre tornare a nuoto e in quel caso
Alfonso non dovrebbe farsi prendere dal panico perché la paura lo porterebbe alla
morte. Il tono di Macario è deridente e Alfonso, anche se capisce di essere preso in
giro, continua a stare in silenzio. Quando arrivano al porto, Macario suggerisce ad
Alfonso di osservare il volo dei gabbiani per tranquillizzarsi ed inizia un discorso
proprio su questi animali che si trasforma in una riflessione generale sugli uomini:
Macario sostiene che, come i gabbiani si guadagnano da vivere grazie alle loro qualità
fisiche, come le ali e la vista e non grazie al cervello che è solo una ‘qualità da
negligersi’, cosi devono fare gli uomini.
Solo in questo modo possono riuscire a non essere sconfitti nella lotta per l’esistenza.
Inoltre continua dicendo che ‘chi non ha le ali quando nasce, non gli cresceranno più’
ad intendere che sono qualità che non puoi acquistare e quindi che ‘si muore nello
stato in cui si nasce’ Con queste parole Macario vuole sminuire Alfonso, appassionato
di letteratura e orgoglioso della sua cultura da intellettuale tanto che, quando sul
finire del brano Alfonso gli chiede se lui ha le ali, Macario risponde ironicamente che
le ha soltanto per fare dei voli poetici continuando così a deridere Alfonso

Senilità
Senilità è il secondo romanzo di Italo Svevo; venne scritto tra 1892 e 1897, ma
venne pubblicato l’anno successivo, prima su un quotidiano triestino,
“L’indipendente” e poi a spese dell’autore. Lo scarso successo portò Svevo a un
silenzio letterario di venticinque anni. Venne riscoperto e ripubblicato nel 1927 a
Milano, in seguito al clamore letterario dovuto alla pubblicazione della Coscienza di
Zeno e alla critica positiva a questo romanzo da parte di Eugenio Montale.

La trama (ispirata a vicende autobiografiche, come afferma Svevo stesso) ruota


intorno alla storia d’amore tra Emilio Brentani e Angiolina. Emilio, impiegato con
velleità letterarie, vive un’esistenza monotona e grigia con la sorella Amalia, quando
incontra la giovane Angiolina, di cui si innamora. La donna, tuttavia, fin dal primo
istante si dimostra meno coinvolta del protagonista ed è anzi attratta da diversi
uomini, tra cui Stefano Balli, amico di Emilio e scultore, di cui è innamorata pure
Amalia. Il legame tra Emilio e la giovane, che doveva rimanere libero e
disimpegnato, si dimostra invece ben più complesso, poiché Angiolina, donna
opportunista e infedele, può controllare i sentimenti di Emilio. Questo, geloso della
sorella per la presenza di Balli in casa sua, allontana l’uomo da casa. Amalia si
ammala di polmonite, a causa dell’abuso di etere, e muore. Emilio interrompe la
relazione con Angiolina, non cessando tuttavia di amarla. In seguito, scopre che la
donna è scappata a Vienna con un cassiere di una banca. Il protagonista ritorna a
vivere la sua esistenza grigia e mediocre in solitudine, ricordando le donne amate,
Amalia e Angiolina, unendo nella memoria l’aspetto dell’una con il carattere
dell’altra.
Come il personaggio di Una vita, Alfonso Nitti, anche Emilio Brentani incarna la
figura dell’inetto, incapace di vivere davvero, ma imprigionato nei suoi sogni e
illusioni, in un continuo ed inconsapevole autoinganno. Sono entrambi due sconfitti
dalla realtà a cui non riescono appartenere. Il primo si suiciderà, ponendo fine al
senso di inutilità e inadeguatezza che lo attanaglia; fine simile a quella della
sorella del protagonista di Senilità, che illusa dell’amore di Stefano a causa delle
sue stesse fantasie, nel momento della delusione amorosa perde il contatto definitivo
con la realtà, abbandonandosi all’abuso di etere, che la condurrà alla morte. Per
“senilità” Svevo - come spiega nella nuova prefazione al romanzo del 1927 - intende
proprio l’inettitudine del protagonista, che lo rende incapace da affrontare la vita e
la realtà stessa, chiuso com’è nella sua interiorità. 

Se si vuol sopravvivere ci si deve adeguare,

1 rinuncia alla logica, grande sconfitta per l’uomo

2 astensione dal giudizio morale, poiché non c’è bene o male, c’è la
sopravvivenza.

3 abbandonare la propria coscienza, adeguandosi e autogiustificandosi.


L’inetto è sempre attrezzato di logica, di riflessioni, ma non si propone di migliorare
la società.
La letteratura è soltanto testimonianza, si limita a descrivere.

Testi da leggere :
-il gabbiano
-approfondimento sulla senilità (abbiamo un giovane che si comporta come un
vecchio, ma è saggio. è anche allegoria del decadentismo.
E disilluso circa il rinnovamento)
- Prefazione
- Lo schiaffo
- Il matrimonio sbagliato

PIRANDELLO

Biografia
- Siciliano
- Borghese, il padre aveva una miniera di zolfo
- Rapporto conflittuale con il padre, egli voleva che lui conducesse gli affari di
famiglia, ma lui era appassionato di letteratura e di regia teatrale.
- la sua famiglia è esempio di una borghesia che stava de collando
- completerà gli studi a Bonn, in Germania, dove si laurea in lettere
- fece una tesi sul dialetto, filologia romanza= nascita delle lingue locali.
- Dialetto di Girgenti, città denominata dai fascisti, Agrigento,
- Il matrimonio : combinato da suo padre, per interessi economici, rapporto
basato sulla passionalità.
Quando la miniera crolla, la situazione psicologica della moglie peggiora. Sarà
internata.
Questo lo porterà ad analizzare la pazzia, studia Freud, Jung, per comprendere
se si tratta di una condizione provocata dalla società.
Egli deve lavorare moltissimo, la moglie inizialmente lo perseguita, con una
gelosia immotivata.
Tre gabbie :
- Matrimonio come prigione, si ripresentano i problemi che vi sono in società
- Pirandello si autodefiniva vedovo bianco, sposando lei ha sposato la sua
pazzia. Fu fedele per convenzioni e per rispetto profondo.
- Lavorò freneticamente per mantenersi

- rapporto con il fascismo : era ambiguamente di destra, egli era un autore che si
stava affermando, e chiede al partito fascista di permettergli di fare teatro.
Si iscrive per questo motivo al partito fascista, anche se rappresenta gli inetti,
antitetici al regime.
Costantemente controllato, va in America.
-non credente, volle essere cremato.

Filosofia :
L’uomo moderno è dentro 3 gabbie,
- matrimonio, tutte le sue opere anno come fondamento un matrimonio gabbia. è
una scatola sociale che garantisce a tutti lo status quo
- : serie di sottomissione di regole, l’amore che sussiste in questa gabbia è
patetico, poco. Il matrimonio è influenzato dalla società, è una responsabilità
sociale.
L’amore si tramuta in dovere, anche la famiglia ha una maschera, delle
convenzioni da rispettare.
Vale di più l’immagine, a discapito dell’angoscia dei singoli.
L’uomo è scisso tra la sua natura, e le convenzioni sociali.

- la città, e i suoi rapporti necessari, 2 strati : imprenditori e mezzemaniche,


gli impiegati sono le mezzemaniche,
- il meccanismo economico internazionale. Siamo pedine, spostate per gli
interessi economici di pochi.

Punti comuni delle fasi: riadattamento di novelle pirandelliane, più spazio a testo che azione.
Teatro siciliano(prima del 1915)
Drammi o commedie di stampo naturalista, spesso in forma dialettale (siciliane poi
riadattate).
Contrasto istinto – maschera. Deformazione dell’assurdo, del paradosso, base umorismo.
 Liolà
Teatro del grottesco (1915 – 1920): si mescolano tragico e comico, esiti bizzarri e
paradossali.
 Così è se vi pare
 Il tacere dell’onestà
 Il gioco delle parti
Tematiche principali:
 Relativismo, mancanza di verità assoluta
 Impossibilità a comunicare con gli altri
Caratteristiche: in opposizione a teatro borghese. Mette in luce e critica le contraddizioni
interne vita borghese del tempo. Il teatro ha unico allestimento: salotto borghese, al centro
della maggior parte dei drammi del tempo. Era luogo sicuro, tranquillo, per Pirandello diventa
sala del processo, in cui avvengono veri e propri interrogatori, alla fine dei quali non c’è una
vera e propria conclusione.
Qui uomo si auto analizza. Poco spazio all’azione. Spesso si gira attorno ad una verità
impossibile da affermare, il fulcro del dramma è proprio l’impossibilità di vedere e di giungere
ad una verità assoluta.

Così è se vi pare

Manifesto del relativismo pirandelliano.


Tema: impossibilità a conoscere il reale inafferrabile, si genera un gran relativismo delle
convinzioni. Obiettivo è porre al centro il dramma esistenziale dell’uomo che non potrà mai
possedere una certezza assoluta. Irrilevante sapere se esiste o meno una verità assoluta, più
importante giungere alla consapevolezza che non esista. Fine opera protagonista si interroga
chiedendosi se esista o meno una verità , giunge a capire che anche se esistesse sarebbe
inconoscibile, diversa in base a ciascuno di noi.

Metateatro (1920 – 1930): teatro nel teatro, scene teatrali che rappresentano a loro
volta altre scene teatrali, consente ad autore di abbandonare qualsiasi intento, mettere
in luce contraddizioni nel teatro, rompe la quarta parete.
Triologia metateatrale:
 6 personaggi in cerca d’autore (conflitto tra attori e autore)
 ciascuno a suo modo (conflitto attore e pubblico che irrompe sul palcoscenico)
 questa sera si recita a soggetto (conflitto tra attori e regista)
Punti che mette in luce:
 Impossibilità di creare qualcosa di tangibile ma allo stesso tempo mutevole.
 Conflitto insanabile personaggi – attori (forma – maschera).
Novità :
 Crollo quarta parete, sipario che divide attori dal pubblico.
 Messa a nudo illusione e strumenti teatrali: sipario, oggetti, palcoscenico stesso.
 Rottura linearità del tempo.
 Spettacoli che hanno struttura aperta, dubbi non sciolti, finali aperti lasciano l’amaro in
bocca. 
6 personaggi in cerca d’autore
Più famosa e importante, talmente innovativa che venne aspramente criticata. Pubblico
andava a teatro per evadere, non per uscirne ancora più turbato di prima. Pirandello disse che
obiettivo era mettere in scena impossibilità di trasportare su una scena teatrale una storia,
sarebbe stata trasformata e interpretata in modo diverso dallo spettatore.
In scena attori stanno provando altra opera di Pirandello “Il gioco delle parti”, dopo un po’
entrano i 6 personaggi senza autore che li rappresenti. Tuttavia, questi 6 personaggi vivono di
vita propria, diventati indipendenti da chi li ha creati e sono alla ricerca di qualcuno che scriva
la loro storia. Attori provano a dar vita al loro dramma ma non ci riescono. Personaggi, non
soddisfatti, iniziano a raccontare il dramma che li attraversa e in questo modo danno vita alla
storia tormentata.

Pensiero che Pirandello ha nei confronti del teatro:


 Critica teatro borghese , non rappresenta la realtà per come è.
 Teatro in generale, a prescindere dagli attori, tradisce e deforma idea autore, ma solo
in questo modo si avvicina maggiormente a quella che è la narrazione del reale,
mettendo in scena l’impossibilità di rappresentare il dramma, non possiamo
rappresentarla in forme fissa. Per cui rappresentando l’impossibilità di rappresentare
il dramma ci si avvicina di più alla realtà .

Teatro dei Miti, ultimi anni.

IL TRENO HA FISCHIATO – Novelle per un anno


La novella parla di un ragioniere, il ragioniere Belluca.
Era un impiegato modello, preciso, puntuale, rispettoso, che improvvisamente sembrava
essere impazzito, si era ribellato al suo capoufficio e parlava insistentemente di un treno che
fischiava.
I colleghi andavano a fargli visita all’ospizio dei matti e lo descrivevano come una persona
gravemente malata, forse affetto da encefalite o da febbre cerebrale..
La sua era una vita impossibile, scandita dal lavoro in ufficio e dalla assistenza a tre donne
vecchie e cieche (la moglie, la suocera e la sorella della suocera).
Costretto a vivere in piccola casa, con pochi soldi, insieme a due sorelle vedove ed ai loro sette
figli.
Ogni sera lavorava fino a notte fonda per arrotondare le entrate poi, esausto, si addormentava
su un divano malridotto.
Era stato lì che, una notte, aveva sentito il fischio improvviso di un treno, ed aveva cominciato
a pensare ad un viaggio in luoghi lontani, o in città conosciute durante la gioventù .
Era riuscito ad evadere per qualche secondo dalla realtà , e si era ricordato che esiste anche un
altro mondo, oltre al suo, fatto da una vita frenetica dedicata interamente a famiglia e lavoro.
Lui aveva dimenticato il mondo reale. Naturalmente avrebbe ripreso la sua vita, avrebbe
continuato il suo lavoro di computisteria, si sarebbe scusato con il capoufficio, il quale gli
avrebbe concesso, di tanto in tanto, una fuga immaginaria in Siberia o in Congo, su quel treno
che fischiava.

CREPUSCOLARISMO
movimento successivo al decadentismo, appartengono al 1910, sono di un
particolare mondo italiano.
Sono prevalentemente torinesi, città che stava vivendo un profondo processo di
industrializzazione.
I luoghi prediletti sono quelli dimenticati dalla società borghese, che ha già iniziato la
sua ascesa.
La differenza tra i crepuscolari e i decadenti è minima, i decadenti illustrano una
società fiduciosa nel progresso, e contraddittoria dall’altro.

Siamo in un vivo tra una borghesia piena di valori, e il poeta che soffre la corruzione
della società. Per i crepuscolari il successo della classe borghese è confermato e con
esso il declino di certi valori.
Il poeta si trova inserito e perdente in questa società.
Il suo problema è sopravvivere : la poesia può sopravvivere alla società dei consumi ?
Il poeta non è attratto dall’artificiosità e dalle contraddizioni della borghesia.

Signorina Felicita

Un futuro avvocato (Guido Gozzano) si autodescrive come un penoso essere, che è


in un tempo sbagliato al posto sbagliato, ovvero durante il positivismo in una dimora
borghese.

Nella nuova società sabauda i personaggi importanti, sono anche detentori del
potere, sono apparentemente democratici ma sono selettivi.
Il poeta è allampanato, vive in un mondo tutto suo, pensa alla poesia che ormai se
n’è andata, e si trova spaesato, disilluso.
Si sofferma su una storia di una ragazza che ha abbruttito una famiglia.
A egli resta raccontare la sua e le altre miserie della società.
Degradazione assoluta del ruolo del poeta e della poesia.
Estrema derisione del ruolo del poeta.
I crepuscolari sono stravecchi dentro un corpo giovane.

Gozzano parla delle cose di pessimo gusto

La signorina Felicita ovvero la Felicità è la poesia più celebre di Gozzano e forse


dell'intero Crepuscolarismo, dal momento che sono qui presenti tutti
i temi principali di questo movimento letterario,
dall’antidannunzianesimo alla malattia, dal rifiuto del ruolo di "poeta" ufficiale al
fascino per il mediocre quotidiano, passando naturalmente per la costante
tendenza gozzaniana all’ironia e alla parodia di se stesso.
Si tratta di un poemetto narrativo in sestine di endecasillabi, pubblicato per la
prima volta sulla "Nuova Antologia" del 16 marzo 1909 e poi confluito nella seconda
sezione - titolata Alle soglie - della raccolta I colloqui, pubblicata nel 1911.
Strutturato internamente in otto parti e recante il sottotitolo di "idillio", il testo
tratta una vicenda molto semplice, e tipicamente medio-borghese: il protagonista è
un avvocato- all'incirca identificabile con Gozzano stesso - in vacanza nel Canavese
(zona del Piemonte in provincia di Ivrea) lì si innamora di una donna, Felicita. La
situazione, tipica di gran parte della lirica amorosa della tradizione, dà allora
l'occasione a Gozzano di intessere dei piccoli quadretti di vita, dove, tra il serio e il
faceto, cantare ironicamente sia la bellezza di Felicita che l'ambiente della villa di
campagna in cui le vicende hanno luogo (la "Vill'Amarena" dei "bei giorni d'un
autunno addietro"). Il tutto è appunto filtrato dalla dimensione malinconica del
ricordo; già nella prima strofa il poeta infatti confessa: "[...]  Nel mio cuore amico |
scende il ricordo. E ti rivedo ancora, | e Ivrea rivedo e la cerulea Dora | e quel dolce
paese che non dico" (vv. 3-6). Felicita, che diviene il simbolo di tutta la poetica
gozzaniana, sospesa tra malcelata sofferenza esistenziale  e gioco ironico-
intellettuale, ci viene descritta nella terza parte dell’opera, con toni che si
discostano assai da quelli tradizionali:
(vv. 73-78)
Il poeta-avvocato si abbandona al ricordo della donna e alle sue banali azioni
quotidiane: “Talora - già la mensa era imbandita - | mi trattenevi a cena. Era una
cena | d’altri tempi, col gatto e la falena | e la stoviglia semplice e fiorita | e il
commento dei cibi e Maddalena | decrepita, e la siesta e la partita...” (vv. 97-102). Il
sorriso della donna diventa salvifico e benefico (con allusione discreta ad uno
dei topoi dello Stilnovismo...) per la salute del protagonista, che, nonostante il
distacco della sua sottile ironia, vive con timore l’avvicinarsi della morte a causa
della tisi. I "presagi grevi che chiudono la terza parte del componimento sono allora
il controcanto cupo della "speranza" suggerita dallo sguardo di Felicita:
 

-moltissimi odori
- sinestesie
- la famiglia che ha decorato non conosce nulla del mito, mentre il poeta si.
Il 900 è una continua sperimentazione, una continua frammentazione delle forme,
dissoluzione di ogni forma metrica, tendente alla prosa.
DESOLAZIONE DEL POVERO POETA SENTIMENTALE
lirica del 1906, tra le più celebri del Piccolo libro inutile, esprime la tristezza del
poeta che, in un intimo colloquio con il dolore, definisce se stesso dolce e pensoso
fanciullo.

Le otto strofe• di varia lunghezza sono in versi• liberi di diversa misura e sciolti,
senza legame di rima.
Corazzini morì di tisi, qui è presente una condizione del poeta, come testimone
ultimo della vita.
La poesia passa a prosa, la prosa diviene sempre più poesia.
Il poeta è solo testimone della sua miseria. Non c’è alcun riferimento sociale.
La poesia è scesa dal palcoscenico della forma.
Assoluta dichiarazione di impotenza umana, i personaggi che meglio interpretano la
poesia sono il pazzo, l’ammalato ecc..
Incapacità del poeta di dare forma alle idee.
Seleziona gli oggetti semplici.
Corazzini si rivolge a un immaginario interlocutore e in primo luogo a se stesso: il
tono sommesso, con riferimenti religiosi e immagini mistiche, lascia emergere do-
lore, malinconia, rimpianto, autoconsunzione. Sembra quasi che, abbandonato ogni
tipo di spiritualismo di maniera, il poeta si lasci per così dire morire in comunione si-
lenziosa e intima con Dio (la morte di Corazzini, tra l’altro, avverrà di lì a pochi mesi).
Si parte con un accenno alla letteratura
Questa poesia descrive l’ansia che accompagna un europeo medio nel percepire che
il nazifascismo sta entrando nella società. Nella sordità di tutti, non ci si accorge che
vi sono campi di concentramento.
Vi è l’arte della letteratura di filtrare la verità.
IL FUTURISMO
Contemporaneamente al decadentismo, sul modello Dannunziano, ancora più
aggressivi degli scapigliati, invitando la società ad un’espressione libera contro la
fiacchezza dei costumi.
L’autore Più importante è marinetti.

La. Presenza di marinetti vuole sorpassare d’annunzio in virtù di qualcosa di più


dirompente.
Marinetti rappresenta il contrasto tra la belle epoque e una forte inquietudine.

Questa volontà dirompente, dinamica, ha successo.


C’è un uso pittorico o idiogrammatico della pagina.
Uso dei calligrammi

Politicamente evocano un dittatore, qui ha più capacità oratoria può annunciare agli
altri cosa devono fare.

Il movimento fascista. Soffocherà questi movimenti, facendone propri alcuni


messaggi.

I futuristi annunciano il muoversi in letteratura

-Pericolo e dinamicità

-coraggio, audacia

- dinamismo
- estasi= dimensione spirituale
- superuomo nicciano frainteso diventa modello
- l’automobile viene celebrata
- contrappongono l’automobile alla nike di samotracia
- l’artista prende in mano la materia prima e la esalta
- lotta
- nessuna opera che non ha un carattere aggressivo può essere considerata
opera d’arte
- l’aggressività è l’ultima potenzialità della potenza arrivata allo spasimo
- diventa proposta violenta del prodotto
- si rinnova sistematicamente
- glorificazione della guerra
- guerra igiene del mondo
- patriottismo
- disprezzo della donna
- distruzione della vecchia cultura
- esaltazione delle folle
- distruzione della sintassi
- verbi all’infinito
- abolizione dell’aggettivo
- ogni sostantivo deve avere il suo doppio
- semplicizzazione, annullamento della cultura perseguita per anni
- i termini si collegano x un’intuizione nativa
- essenzializzazione di ogni forma culturale
-la demolizione del libero pensiero è terreno fertile x dittatura
-abolire la punteggiatura
- L’intuizione viene messa in primo piano
- L’impressionismo
FILIPPO TOMMASO MARINETTI, MANIFESTO DEL FUTURISMO
Pubblicato nel 1909 su “ Figaro”, un giornale francese.
Contenuto ideologico, espressione dell’immaginario della modernità .
Stile: frasi brevi, affermazioni martellanti sempre sugli stessi concetti.
Nuovo criterio di bellezza nel moderno: velocità , macchina, industria, tecnologia.
Questi movimenti storici hanno durata molto breve perché esistono in quanto movimenti di
provocazione, avvertono una rottura con il passato e la sottolineano in modo provocatorio.
 Mondo basato sulla forza, uomo presentato come virile.
 Mito della macchina che supera l’arte tradizionale.
 Libertarismo, prima delle leggi e delle autorità , in primo piano la condizione di totale
libertà .
 Profonda opposizione con passato e volontà di fare tabula rasa con esso.
Molti punti saranno alla base del movimento fascista. Si conclude il manifesto con un invito a
distruggere tutto ciò che è collegabile al passato.

GIUSEPPE UNGARETTI
 Nasce nel 1888, ad Alessandria d’Egitto, genitori si erano trasferiti per aiutare
costruzione canale di Suez. (La famiglia era di Lucca)
 Studia e passa la prima parte della sua vita in Egitto, influisce nella sua
poetica.
 1912, si trasferisce a Parigi, studia e vi rimane gran parte della sua vita.
 Si avicina alle avanguardie e stringe amicizia con Guillaume Apollinaire, che lo
avvicina allo sperimentalismo, si stacca dalla tradizione.
 Entra in guerra con l’Italia, pronto ad arruolarsi come volontario,
interventista. (Combatte sul Carso)
 Scopre nella guerra una realtà completamente diversa, scrive poesie
brevissime che servono a fissare la realtà mettendo in luce gli orrori della
guerra, sopratttutto per chi combatteva in trincea.
 1919, scrive “Porto sepolto” e “Allegria di naufragi” (ossimoro, simboleggia
come poesia sia punto incontro tra orrori guerra “naufragi” e speranza
“allegria”)
 1931, 3° edizione chiamata “L’allegria”, titolo definitivo, sottolinea come
anche negli orrori della guerra è stato possibile trarre una parte positiva,
tramite la parola.
 Parigi, dopo la guerra, si sposa e ha 2 figli.
 1921 – 1922, torna in Italia, lavora come giornalista a Roma, scrive in molte
rivistee e diventa redatore di una rivista fascista.
 1933, pubblica “Sentimenti del tempo”, nuova poetica caratterizzata da
ritorno a tradizione, archivia precedente sperimentalismo.
 1937 – 1942, si trasferisce in Brasile, a San Paolo, dove muore il figlio per
appendicite, gli viene affidata una cattedra.
 Torna a Roma e insegna all’università, si trova di fronte a città vittima di
bombardamenti, scopre la realtà del fascismo e cambia orientamento politico.
 Tutte le sue pubblicazioni sono raccolte in un’unica raccolta: Vita di un uomo
 Muore nel 1970 a Milano.
In tutte le poesie è presente il culto parola, attraverso essa il poeta può recuperare
la verità assoluta.
Religione
Era ateo prima della guerra. Successivamente la guerra gli fa recuperare senso
religioso della vita, si interroga su di essa poi si converte al cristianesimo.
Politica
Nel dopoguerra inizia ad imporsi il fascismo, Ungaretti credeva potesse portare a
miglioramenti.
Ebbe legame con Mussolini, che scrisse persino la prefazione di una raccolta del
1923. Ciò influì nella carriera e nella vita, non riucì però a vincere il Nobel.
Decise di appoggiare fascismo, ambiva a ritorno all’ordine, interpreta male il
movimento, pensa possa essere in grado di portare alla tradizione la vita e il modo
di vivere italiano.
POETICA
Poesie molto brevi, sottolineano il valore delle poche parole, che sono però di
grande peso, parola pura.  Sono poesie molto concentrate ma efficaci (esempio:
“Soldati”, “Mattina”).
 1912 – 1931, prima fase: definita “poesia pura” o “parola pura”. Con puro si
intende l’efficacia delle parole che è in grado di portare alla luce messaggi
universali.
 Ultima parte: ermetismo, poesia chiusa e compressa. Centro della poesia è
ruolo uomo nel mondo e il suo significato. Culto parola e potere poesia.
1933, “Sentimenti del tempo”: archivia sperimentalismo, ritorno a tradizione,
recupera punteggiatura e sintassi, lessico più raffinato e sviluppato, poesia più
complessa.
Sentimenti ricercati attraverso le poesie:
 attaccamento alla vita scaturito dalla guerra
 desiderio di autenticità ed innocenza
 desiderio di fratellanza

NOVITÀ STILISTICHE E FORMALI


 Sintassi franta: frammentazione del verso, per lo più settenari divisi in due.
 Mancanza di ritmo, spezzato, si avverte frammentazione versi, rappresenta
situazione fragile del poeta in guerra.
 “Pagina bianca”, spazi bianchi nella pagina, pause e silenzi parte della poesia,
fondamentali.
 Uso analogia, riprende il simbolismo, accosta due elementi tra loro distanti
ma che creano un collegamento chiaro. Poche parole che appaiono come
luce, verità profonda.
 Assenza rima.
 Tende a concentrarsi su una sola immagine.

L’ALLEGRIA
Divisa in 5 sezioni:
- Ultime (ultime poesie fase giovanile, prima della guerra),
- Il porto sepolto,
- Naufragi,
- Girovago,
- Prime (prime poesie che contengono ermetismo, dopo la guerra).
Tematiche:
 Tema della guerra e del dolore, racconti in prima linea, orribile ma permette
a chi la vive di scoprire umanità solidale e fratellanza. Descrive uomini come
brandelli di carne, tutti uguali davanti alla morte. In luce non esperienza
personale ma collettiva.
 Sradicamento, mancanza di radici, come lo stesso Ungaretti che non ha una
propria patria.
 Natura. Nei momenti più dolorosi uomo riesce ad aggrapparsi a natura, unica
cosa che riesce a dargli speranza.
 Precarietà della vita (esempio: “Soldati”).
Stile: nuovo e sperimentale, riflette esperienza di guerra, bisogno di essere
essenziali, sul fronte non vi era molto tempo per scrivere. Prevalgono poesie molto
corte ed essenziali, alcune persino nominali, cioè senza verbi. Dietro le poesie vi è un
lungo studio volto a perfezionare l’immediatezza con cui viene colto il contenuto
->Distillazione della parola
- In memoria
- La poesia parla della morte di un caro amico di Ungaretti, Mohammed Sceab,
con il quale Ungaretti aveva condiviso una parte della sua vita negli anni
giovanili ad Alessandria d'Egitto e in seguito a Parigi in Francia. Nella poesia
emergono i due destini a confronto: il destino tragico di Mohammed e il
destino, sempre sofferente, ma con un diverso epilogo del poeta.
Mohammed Sceab, un giovane arabo discendente di emiri, si è ucciso perché
non aveva più una patria. Stanco di vivere in una tenda del deserto, aveva
raggiunto Ungaretti nella grande metropoli francese e li aveva cambiato il suo
nome Mohammed in Marcel. Ma non basta mutare il nome per sentirsi
francese: a Parigi, lui, figlio di un capo tribù, era un emarginato della società,
era "nessuno"! E così, non potendo vivere a Parigi, né volendo ritornare nel
deserto, patria dei suoi avi, si era tolto la vita. L'amico ha pagato con il suicidio
l'incapacità di uscire dalla solitudine attraverso relazioni d'amore e di amicizia.
Entrambi i personaggi si ritrovano senza patria, senza radici. È diverso però
l'esito: Ungaretti - come si coglie nel finale - si salva grazie alla poesia, cioè
nel canto, in cui trova una risposta alle sue sofferenze, perché ha la funzione
di conservare nella memoria gli avvenimenti e le persone, mantenendo in
vita il loro significato. Invece per l'amico la poesia non è intervenuta a
costituire un elemento di aiuto e di risposta ai propri bisogni ed alle proprie
ansie. Si nota da questo testo che Ungaretti vede nella poesia una funzione
sacrale, in quanto la poesia è una conoscenza che si diffonde su una totalità di
contenuti che risultano indeterminati: l'uomo, la vita, la morte. Attraverso la
scrittura l'uomo, pur essendo senza radici, riesce a sublimare i valori dello
sradicamento, della mancanza di una patria e della vita in solitudine in un
paese straniero dove è difficile ambientarsi. In sostanza il testo, posto a
premessa della raccolta, è un canto che inneggia al valore e anche dalla
funzione della poesia come memoria e ricordo.

- Veglia
Il poeta racconta di aver trascorso un’intera notte di luna piena vicino a un
compagno morto. La prima strofa è dedicata al compagno massacrato, si
caratterizza di termini crudi, che danno una descrizione della guerra spietata.
Egli deve stare tutta la notte a vegliare su questo compagno massacrato.
La bocca è digrignata, volta al plenilunio.
L’unico modo per superare il dolore per Ungaretti è scrivere, il ruolo ultimo
della poesia è superare il silenzio.
Nel silenzio, egli ha scritto delle lettere d’amore, e si sente fortemente
attaccato alla vita. seppur questo appaia antitetico con il concetto di morte, la
vita ha in fondo senso per la morte. La morte in questo caso porta l’autore ad
attaccarsi alla vita, sia per un istinto di conservazione e per un istinto di
solidarietà umana, che si configura per una comprensione della vita.
Sintassi: breve

- Il porto sepolto
Raccolta: Prima raccolta di Giuseppe Ungaretti, (30 poesie) questa raccolta andrà a
confluire nell’Allegria nel 31

La poesia è divisa in 2 strofe, di versi liberi, privi di punteggiatura.


Siamo a Mariano del Friuli.
La poesia nasce da un’esperienza personale, si narra che prima dell’ epoca
tolemaica, Alessandria d’Egitto fosse già una città portuale, prima dell’arrivo di
Alessandro. “Porto sepolto” fa riferimento fisicamente e metaforicamente rispetto
a questo porto, un porto non accessibile ai più. Il poeta è in questa poesia, in grado
di arrivarci.
Rimando al mito di Orfeo-> scese negli inferi per Euridice
Rimando alla Sibilla Cumana
Il poeta si emerge nel porto e ne torna in superficie con dei canti, che vengono
dispersi. Il poeta comunica i suoi testi agli altri.

gli ultimi quattro affrontano il problema della perdita della rivelazione. Ungaretti,
cui resta un “nulla | di inesauribile segreto”, sottolinea così che ogni discesa nel
“porto sepolto” non è mai definitiva e che il mistero dell’animo umano può essere
attinto solo per fugaci apparizioni.
la poesia non svela mai assolutamente, è un mistero che cerca di indagare l’animo
umano e non arriva mai a una conclusione.

1. Vi 2 arriva il poeta

2. e poi torna alla luce con i suoi canti

3. e li disperde 3

4. Di questa poesia 4
5. mi resta

6. quel nulla
7. di inesauribile segreto
- Soldati
Versi liberi
Poesia densa di significato, rappresenta la poetica di Ungaretti, che consiste
nel concentrare in poche parole dei significati profondi.
Proprio come le foglie possono cadere, così i soldati nella prima guerra
mondiale possono morire-> Senso di precarietà.
si può parlare di analogia, vi possono essere differenti interpretazioni.
La poesia inizia con “si sta”, che indica una condizione di precarietà che
appartiene a tutti gli uomini.
L’autunno è una stagione storicamente legata alla vecchiaia.
Mette gli uomini sullo stesso piano della

- I fiumi
Il poeta è presso una dolina, a San Martino del Carso
Inizia con un contesto di guerra, ma che mantiene un ruolo marginale.
L’albero mutilato implica che la natura sia partecipe della stessa essenza
dell’uomo, l’uomo e la natura sono parte di un tutto.

Il poeta si trova nelle acque dell’Isonzo, le quali purificano il corpo del poeta.
Esperienza spirituale a traverso la rievocazione dei fiumi, che lo porta alla
consapevolezza di sé.
il poeta si accovaccia accanto alla sua uniforme sudicia a causa della guerra, e
si piega a ricevere il sole come un beduino.
Si sente una docile fibra dell’universo, una parte dell’universo, del mondo. Il
momento di felicità corrisponde con il venire in contatto con la natura.
1 Serchio -> fiume delle sue origini, i suoi avi sono di Lucca
2 Nilo-> fiume che l’ha visto crescere
3 Senna-> ha vissuto a Parigi, ha studiato alla Sorbona, dove è maturato
Questo è il ricordo che si evidenzia in ognuno dei fiumi

- Mattina
Ungaretti toglie tutto ciò che è superfluo, arriva a una densità di significato,
lasciando l’intuizione al lettore.
Mattina rappresenta il momento in cui arriva l’illuminazione.
M’illumino d’immenso, è una contrapposizione tra l’io limitato del poeta, e il
connubio con l’infinito.

- San martino del carso


In questa poesia viene riportato il senso di desolazione che provavano i
combattenti durante il primo conflitto mondiale.
San martino del carso è un luogo dove si verificarono diversi scontri.
le case sono distrutte, dei compagni non è rimasto nulla, di fatto, ma nel suo
cuore, che viene messo sullo stesso piano di un cimitero, un luogo di morte.
Il suo cuore, il suo animo è straziato

Il paesaggio è umanizzato ed appare massacrato così come sono stati


massacrati i soldati. 
L’immagine di un paese distrutto dalla guerra, San Martino del Carso, viene
interiorizzata ed è per il poeta l’equivalente del suo cuore, distrutto dalla dolorosa
perdita di tanti amici cari. Ancora una volta il poeta trova nelle immagini esterne
una corrispondenza con quanto egli prova nel suo animo.
La lirica è di un’estrema essenzialità. Eliminando ogni descrizione e ogni effusione
sentimentale Ungaretti riesce a rendere con il minimo di parole la sua pena e quella
di tutto un paese.

- La madre

1930
In questa poesia troviamo un Ungaretti convertito, più vicino alla religione, ed egli si
è anche riaccostato alla tradizione poetica.

E quando il cuore, con il suo ultimo battito (E il cuore…battito – inversione


sintattica), avrà fatto cadere il muro d’ombra (è il limite della vita ovvero quel
qualcosa che, impalpabile e labile come un’ombra, ci divide da Dio e dall’eternità
- analogia) per condurmi, madre, davanti al Signore. Come  quand’ero bambino
(Come una volta – l’anafora come introduce le similitudinidelle prime tre strofe) mi
terrai per mano. 
In ginocchio,  decisa (risoluta nel voler ottenere il perdono per il figlio), resterai
immobile come una statua (sarai una statua – aspettando il giudizio divino) di fronte
a Dio, nello stesso atteggiamento in cui ti vedevo in vita [quando si raccoglieva in
preghiera – come…in vita - similitudine].
Alzerai tremante le braccia al cielo come quando morendo (come quando
spirasti - similitudine) dicesti: eccomi mio Dio (nella madre vi è la stessa ansia di
salvezza per il figlio provata per se stessa in punto di morte).
E solo quando Dio avrà espresso il suo perdono (m’avrà perdonato: il soggetto è
Dio), desidererai guardarmi.
Allora ricorderai di avermi atteso a lungo e finalmente ti sentirai sollevata e serena
(un rapido sospiro = un sospiro di tenerezza e di sollievo per l’avvenuto perdono).

CONTESTO STORICO
1943: caduta del fascismo, sfiducia verso Mussolini.
Nuovo capo del governo: maresciallo Badoglio.
Sud: presenza forze armate anglo-americane.
Nord: occupazione truppe tedesche contro cui si sviluppa la resistenza (forze di sx
che vogliono rinnovare cultura e società italiane + forze liberali e cattoliche più
conservatrici).
25/04/1945: liberazione Italia dalle truppe tedesche.
Governo Parri, scontri tra 2 ideali: dx (liberale, restaurazione) e sx (comunista,
cambiamento).
Dicembre 1945: governo di Alcide De Gasperi.
02/06/1946: referendum per scelta monarchia-repubblica, vince repubblica.
Assemblea costituente con De Gasperi, compito di redigere Costituzione e dare
inizio a Repubblica.
Europa orientale: regimi comunisti sotto pressione sovietica (Stalin).
Guerra fredda: Stati Uniti vs. Unione Sovietica.
In Italia si sperava che Stalin avesse realizzato una dittatura del proletariato, invece
aveva trasformato il comunismo in una vera e propria democrazia.
Periodo del centrismo: politica tenta di creare aggregazioni politiche di centro per
evitare tensioni.
1953: morte Stalin, destalinizzazione Europa orientale.
Sx, Partito Comunista: rivede propri principi, necessita moderazione.
Sviluppo economico rigoglioso ma caotico, America ha influenza sempre maggiore.
Fino 1960: governo Democrazia Cristiana.
1962: governo Fanfani, centro sinistra.

CARATTERISTICHE
Interrogativi: qual è il ruolo dell’intellettuale? Cosa deve fare?
 Scopo battaglia culturale: non dimenticare orrori guerra, descritti in maniera
oggettiva.
 Lotta proletariato, resistenza, divario Nord-Sud, ruolo della donna.
 Letteratura estremamente impegnata: oltre a consolare deve liberare Italia da
povertà, miseria, sfruttamento, rischio di nuove dittature.
Linguaggio semplice ma d’effetto.
Principali esponenti: Beppe Fenoglio e Primo Levi.
 Aspetti positivi: volontà di sottolineare umiltà, no conservativo, vuole
stimolare crescita Italia.
 Aspetti negativi: abuso gergo e dialetto, rischio degenerazione in eccessivo
populismo.
Parlare di stato d’animo collettivo di persone che hanno vissuto in prima persona
guerra e resistenza.
Piena libertà di parola.
La cultura è il mezzo di comunicazione attraverso cui formare la coscienza.
Alcuni partiti + Chiesa criticano come neorealisti esibiscano i “panni sporchi”
(profonda crisi).

MONTALE
1925 Ossi di Seppia
- Antifascista : lo limiterà nella sua carriera
1939 Le occasioni

Poetica: spoglia secca, immediata, fatta di materia.


La sua poesia è definita “poesia delle cose”, egli porta in poesia oggetti ordinari, che
comunicano il senso del male dell’esistenza.
- Il male di vivere
- I limoni
- Non chiederci la parola
- Meriggiare pallido e assorto
- Spesso il male di vivere
DORA MARKUS
Testo inserito nella prima sezione delle Occasioni, Dora Markus è poesia che
conosce una particolare gestazione: se la prima elaborazione risale all’incirca al 1928
(quando il letterato Bobi Bazlen segnala all’amico Montale la bellezza di una ragazza
moldava, Dora Markus, che ispira la prima parte del testo), il poeta completa la
poesia aggiungendovi la seconda parte solo nel 1939. La parentesi non è solo
cronologica, in quanto collega due stagioni ben distinte della poetica di Montale:
dalla ricognizione del proprio “male di vivere” negli Ossi di seppia si passa
all’allargamento di prospettiva de Le occasioni.
Testo politicizzato

Primavera hitleriana
La primavera hitleriana è un ossimoro, non una primavera che porta vita, ma una
primavera che porta morte.
Le falene che volteggiano lungo le sponde dell’Arno, cadono a terra morte, dai
campi lungo il fiume arriva in città un freddo notturno, ancora invernale, anche se
l’estate è vicina.
La città è in festa per l’arrivo di Hitler, tutti partecipano, nessuno si accorge che è
una festa di morte e nessuno è senza colpa.
La terza strofa si apre con una domanda piena di paura “Tutto per nulla
dunque?”  L’ultima volta che si erano visti, il poeta e la donna si erano lasciati
scambiandosi promesse e addii, forti della certezza di un prossimo incontro
nonostante la tristezza per la violenza che sentivano avvicinarsi. In quella occasione
una stella cadente aveva attraversato il cielo, segno di una speranza per il futuro. Ma
tutto questo è stato distrutto da ciò che è accaduto.
L’ultima esclamazione “Oh la piagata primavera è pur festa se raggela in morte
questa morte!” esprime una nuova speranza, perché la fredda primavera può
uccidere la morte che il “messo infernale” porta con sé. Clizia, custode fedele
dell’amore, può resistere e salvare tutti; è l’antica donna angelo, portatrice di
salvezza, che rinasce. Forse il suono delle sirene che salutavano i mostri di quella
orrenda sera era già il suono vittorioso che annunciava l’alba di un giorno pieno di
vita per tutti.

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