Il Rotolo di Ponzio Pilato
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Info su questo ebook
Gian Franco Cau nasce nel 1955 a Portoscuso. Oltre che poeta e scrittore, è un pittore molto apprezzato.
Per la sua attività artistica, è stato inserito in prestigiose pubblicazioni d’arte, tra le quali: “Élite dell’arte italiana”, “I più noti artisti sardi del XX secolo”, “Avanguardie artistiche”.
In oltre trent’anni di carriera, ha esposto in una cinquantina di mostre collettive e personali, allestite in Sardegna e nella Penisola, a Cagliari, Roma, Milano, Como, Verona, Tarquinia, e altre…
Importanti recensioni critiche e riconoscimenti artistici gli sono stati assegnati nell’ambito della sua lunga carriera espositiva, tra i quali: “La caravella d’argento” (Genova 1992), “Targa Colosseum” (Roma 1995), “Timbro d’autore” (Roma 2000).
Nel 2007 è stato inserito nell’opera La grande enciclopedia della Sardegna, Editoriale La Nuova Sardegna.
Le sue opere d’arte si trovano in numerose collezioni private ed Enti pubblici.
Da oltre vent’anni svolge corsi privati di disegno e pittura, nei quali vengono insegnate le tecniche dei maestri del ’500.
La sua arte è stata paragonata a quella dei grandi maestri del passato.
Nel 2013 ha pubblicato il suo primo romanzo, L’archeologo inglese.
Nel 2017 ha pubblicato L’Apocalisse segreta.
Nel 2022 ha pubblicato La ragazza che leggeva l’anima.
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Anteprima del libro
Il Rotolo di Ponzio Pilato - Gian Franco Cau
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
PROLOGO
Durante l’ultima Crociata in Terra Santa di Palestina avvenuta nel 1271, Teobaldo Visconti, fuori dalle mura di Gerusalemme, aveva notato un cilindro metallico semicoperto da sabbia e pietrisco. Dopo averlo raccolto e pulito un po’, aveva identificato una scritta sull’oggetto: ‘PILATUS PRAEFECTUS JUDEAE’. Il cilindro era di rame, lungo circa trenta centimetri con chiusura a ghiera. Non essendo riuscito ad aprirlo, lo aveva riposto nella sacca e proseguito il lungo cammino di rientro verso l’Italia. Il 1° settembre di quell’anno, i cardinali riuniti in conclave elessero Teobaldo Visconti come nuovo pontefice, benché si trovasse ancora in Palestina a San Giovanni d’Acri in Crociata con Edoardo d’Inghilterra. Era un semplice arcidiacono di Liegi, con rettitudine e mitezza d’animo, ma non si era distinto in nessun campo. Era però esperto in affari temporali. Era stato con il cardinal Fieschi a Londra, dove aveva stretto amicizia con Edoardo, e con lui era partito per la Crociata in Terra Santa. Nominato papa assunse il nome di Gregorio X. Rientrando a Roma da Lione si ammalò gravemente e cessò di vivere ad Arezzo il 10 gennaio 1276. Il cilindro di rame che aveva trovato in Palestina lo portava sempre con sé; fu durante un soggiorno a Firenze nel 1273, essendo stato lì per riconciliare guelfi e ghibellini, che il cilindro fu trafugato una notte mentre dormiva. Nessuno si accorse di quanto avvenne nella sua camera, e suo malgrado dovette accettare in cuor suo la perdita del prezioso documento originale, ritrovato alcuni anni prima in Terra Santa.
CAPITOLO PRIMO
Erano le 16:10 del 15 aprile del 1930 quando il prof. Samuel Ramm era arrivato in treno a Monaco di Baviera proveniente da Parigi. Sceso dalla carrozza si era diretto all’interno della stazione per espletare un bisogno fisiologico e rifocillarsi un po’. Passo sicuro nei suoi cinquantacinque anni, abito grigio scuro con un cappello a bombetta che proiettava una leggera ombra sul suo volto bruno, dove i suoi occhi grigi sembravano piccole luci; i baffi e il suo pizzetto da guascone gli davano la giusta aria da intellettuale di quel tempo. Sul braccio sinistro teneva il soprabito piegato, e nella mano destra portava una borsa di pelle scura. Studioso di antichi documenti e manoscritti, era stato a Parigi da un antiquario, in quanto era venuto a conoscenza che un particolare reperto cartaceo risalente alla dominazione romana in Palestina si trovava in quella galleria antiquaria. Preso quindi un taxi era rientrato a casa in Kaufingerstrasse, una delle vie più antiche di Monaco di Baviera. Entrato nell’appartamento, aveva tolto dalla borsa il cilindro di rame acquistato, mettendolo nella cassaforte situata dietro un quadro in una parete laterale del suo studio; una stanza intrisa di quell’aria di cose che odoravano di secoli ormai lontani dalla memoria dei più. Speravo di dover spendere molto meno di quanto l’ho pagato… quel taccagno di Philip Ville sapeva che lo avrei preso a qualsiasi prezzo; a motivo di ciò aveva tenuto da subito un costo stellare… cinquantamila franchi, e da lì non era sceso neppure di un centesimo, aveva pensato. Ma alla fine non si era pentito affatto dell’acquisto, era un documento molto importante per lasciarselo sfuggire e tutto sommato, anche se il viaggio era stato lungo e stancante, era valsa la pena di farlo. Intanto la sera scivolava sotto il cielo livido della Baviera e Samuel Ramm pregustava già il mattino seguente, quando in tutta tranquillità ne avrebbe analizzato autenticità e contenuti ancora da scoprire. La scritta longitudinale esterna sul cilindro, ‘PILATUS PRAEFECTUS JUDEAE’, era già una traccia che suscitava in lui quella incontenibile impazienza di tradurne e scoprirne il contenuto di quanto fosse stato scritto in quel rotolo, diciannove secoli prima, dal Prefetto Ponzio Pilato in Palestina.
CAPITOLO SECONDO
Era il giorno sesto del mese di Sivan quando alle sette del mattino del 33 d.C., otto soldati romani uscivano da Gerusalemme in direzione di Cesarea, per imbarcarsi poi verso l’Italia e giungere a Roma per consegnare un documento all’imperatore Tiberio. Il tribuno Lucius Quintiliano aveva il cilindro contenente il rotolo con il messaggio scritto dal Prefetto della Giudea Ponzio Pilato. Dopo aver percorso circa mezzo miglio, in un tratto in curva nella strada polverosa, nascosti nei cespugli che fiancheggiavano il tragitto, due individui ai lati della strada sollevavano di colpo al loro passaggio una robusta corda che bloccava l’andatura dei cavalli. Subito dopo i soldati romani venivano attaccati da una trentina di Zeloti, che con fionde incendiarie catapultavano su di loro una cascata di piccoli corpi roventi, impedendo ai militi romani di proseguire verso la loro destinazione. Tutti a terra… formiamo la testuggine
ordinò perentorio Lucius, benché disorientato dall’improvviso attacco. Completata la formazione di difesa, i soldati erano rimasti in attesa dell’ulteriore assalto liberandosi dei dardi infuocati, come meglio potevano. Ma gli Zeloti avevano già pronta la seconda parte del piano d’assalto, per rendere vana la difesa dei romani. Attacchiamo
echeggiò perentorio il capo degli assalitori. Pochi secondi dopo, una dozzina di uomini usciva dai cespugli; ognuno aveva una cesta circolare fatta da intrecci fitti chiusa da un coperchio. I soldati romani, attraverso gli spazi degli scudi, aspettavano l’attacco degli assalitori, ma essi avanzavano lentamente aspettando il segnale per portare a compimento la seconda parte dell’assalto. Ora!
tuonò una voce decisa quando gli Zeloti erano a circa cinque cubiti di distanza dai romani. Di scatto, quindi, scoperchiarono le ceste lanciandole sopra la formazione in assetto di difesa. Presi dalla sorpresa per il nuovo assalto imprevisto, lo sgomento avvolgeva i soldati. Decine e decine di serpenti velenosi si riversavano sulle loro teste, incapaci di contrastarli efficacemente, e mentre aprivano la loro difesa, una seconda pioggia di palle incendiarie si riversava su di loro, incapaci di qualsiasi azione di difesa, assaliti in parte dai serpenti e dall’altra dalla pioggia di fuoco continua. Nel giro di pochi minuti i soldati romani giacevano inermi, senza alcuna minima reazione o possibilità di contrastare il nuovo assalto. Dopo che i serpenti si erano in buona parte dileguati, gli Zeloti avevano dato uno sguardo a ciò che era rimasto dall’azione incendiaria; uno di essi aveva notato, tra i corpi esanimi dei soldati, un cilindro metallico che il sole aveva ora illuminato. Lo aveva raccolto e aperto, osservando il contenuto papiraceo e, non comprendendone la lingua in cui era scritto, lo aveva riposto nel cilindro e buttato nei paraggi. Andiamo via
ingiunse il capo degli assalitori dileguandosi tra le colline circostanti.
CAPITOLO TERZO
La galleria antiquaria Vauclair, situata al numero 24 di Rue de Beaune a Parigi, era spesso punto di convergenza e di incontro di molte personalità e ricchi collezionisti, sia francesi che europei. È pur vero che gli anni Trenta, in Europa come in