Il dovere della memoria: Dal secolo breve alla guerra in Ucraina
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Anteprima del libro
Il dovere della memoria - Franco Cardini
STORIA E LIBERTÀ
STORIA E LIBERTÀ
COLLANA DIRETTA DA FRANCO CARDINI
Comitato scientifico
Davide Bigalli
Alessandro Bedini
Massimo Campanini†
Marco Di Branco
Marina Montesano
Elena Percivaldi
Alessandro Vanoli
Coordinamento editoriale
David Nieri
© Copyright 2023 by Edizioni La Vela
Via Bonagiunta Urbiciani, 205
55100 Lucca
P. Iva: 01920680467
Tel. 0583 398405
Cell. 348 5563152
www.edizionilavela.it
info@edizionilavela.it
ISBN 979-12-80920-21-8
Versione digitale realizzata da Streetlib srl
INDICE
Prefazione
PARTE 1
MEMORIA, RICORDO E CANCELLAZIONE
La memoria: la fatica, l’onestà, il pretesto, l’inganno, l’offesa
Tra memoria
e ricordo
L’eterno teatrino della memoria e della cancellazione
PARTE 2
UCRAINA 2022. LA STORIA AL BIVIO
Ameuropa versus Eurasia
Fermare la guerra o alimentarla?
C’è del metodo (ben nascosto) in questa follia
Onore e gloria al popolo ucraino martire
Chi vuole che la guerra continui?
PARTE 3
IL SECOLO BREVE
Europa e colonialismo: non solo Congo belga
Commemorare o celebrare Winston Churchill?
24 maggio 1915: e se ci fossimo schierati con il Kaiser?
La pace negata
Fiume, inizio mancato di una rivoluzione. Ma quale?
Hitler in Italia
La repubblica italiana, tre quarti di secolo dopo
Europa: un’unione
fraintesa e disattesa
Contro la pace
La Guerra dei Sei Giorni e un (impossibile?) nodo da sciogliere
Il massacro e l’arroganza
Tiananmen, 4 giugno 1989
La "rivolta dei Boxers"
IL DOVERE DELLA MEMORIA
Ancora una volta ho deciso
di montare il cavallo
di don Chisciotte
Ernesto Che
Guevara
PREFAZIONE
Il dovere della memoria. Siamo d’accordo tutti, no? Altrimenti perché mai ogni anno dovremmo mandare i nostri studenti medi a visitare Auschwitz, invece che accompagnarli agli scavi di Pompei o alla villa di Caprarola? Li mandiamo a vedere cose che debbono ricordare, affinché non avvengano più. O almeno proviamo a far qualcosa in quel senso. Solo che nella storia non è accaduto solo Auschwitz. E com’è allora che certe cose vanno ricordate tutti i giorni mentre certe altre andrebbero dimenticate o richiamate sì, ma solo col contagocce e scusandoci prima di farlo?
Razzismo e colonialismo sono state delle vergogne. Ma solo quando le hanno fatte quelli che poi hanno perduto qualche guerra? La vittoria assolve i vincitori? Le requisizioni annonarie in Bengala durante la seconda guerra mondiale, volute da wc (amiamo chiamarlo affettuosamente così, sir Winston Churchill: come chiamiamo bb Brigitte Bardot e jfk John Fitzgerald Kennedy) per sostenere lo sforzo bellico del popolo britannico, hanno fatto circa 4 milioni di morti, i 2/3 della cifra che di solito si ripete per la Shoah: ma se questa la ricordiamo ogni giorno, com’è che quelli non dovremmo nemmeno nominarli?
Storia dell’Occidente, e storia in generale. Sì, è vero: la storia è piena di assassini. Vogliamo davvero radicalmente purificare la nostra memoria
? Allora ne avremo da fare. Senza dimenticare mai che noi possiamo anche condannarlo duramente, oggi, il colonialismo: ma il fatto è che per generazioni ci siamo arricchiti con esso, su di esso e grazie a esso. E allora continuiamo a esserne complici: addossare solo a qualcuno le colpe non va. Le assoluzioni eterogiustificate non servono. Churchill ha ammazzato i bengalesi ma ha sconfitto Hitler. Il primo è un fatto, la seconda un’ipotesi: vi sarebbero molti motivi per affermare che a sconfiggere Hitler è stato piuttosto Stalin, e allora che cosa dovremmo fare, essergli grati o no? Ci siamo inoltre dimenticati papa Pio XII o lord Halifax, che la guerra non la volevano e che pertanto avrebbero preferito come male minore
la prosecuzione dell’esperienza nazista in Germania: è scientificamente dimostrabile che avessero torto? Siamo certi che se non ci fosse stata la seconda guerra mondiale le cose sarebbero andate come affermano alcuni fantastorici della domenica, cioè che tutto il mondo sarebbe stato nazificato? In Germania c’erano già stati, fra ’33 e ’39, numerosi tentati golpes, tuti falliti ma anche tutti segni di disagio e di resistenza, e Hitler non era immortale; e l’Hitler del ’39-40 non era ancora quello del ’44-45. Chi ci assicura che evitare la guerra – e con essa la morte di milioni di persone, la distruzione di città intere eccetera – non avrebbe portato comunque al rovesciamento del nazismo, magari sulla base di un altro iter storico? Badate che molti orrori erano certo avvenuti, ma il genocidio di massa non si avviò prima del ’42, e fu in gran parte l’esito di un’economia di guerra con le sue sia pur barbariche ragioni. E poi, prendiamo in considerazione la scellerata ipotesi di un Hitler, l’Hitler squinternato e malandato del ’45, vincitore della guerra: quanti anni avrebbe potuto ragionevolmente sopravvivere? Privata della sua personalità carismatica, quanto a lungo pensate che quella banda di avventurieri, di gangster, di politicanti di quart’ordine, di scienziati di mezza tacca a capo d’una massa di diseredati e di sottoproletari ignoranti (perché la nsdap era questo) avrebbe resistito alla pressione di una casta d’imprenditori e di tecnocrati di alto profilo e di una società colta, di cittadini disciplinati e allevati nel senso del dovere e dell’amore di patria ch’erano la colonna vertebrale del popolo tedesco? Ve lo figurate un governo conservatore nel quale la nsdap fosse ridimensionata se non emarginata, i criminali all’interno dell’organizzazione di polizia (ss und Polizei: non dimentichiamolo) individuati e magari rimossi o puniti, a capo di un paese egemone in Europa che puntasse a una nuova realtà politica continentale, più o meno come ci aveva puntato Napoleone col suo impero dinastico-federale
di un secolo e mezzo prima e nel governo del quale figurassero, che so, un von Papen alla Presidenza, un von Neurath alla Cancelleria, un Hjalmar Schacht alle Finanze e/o al Tesoro, un Albert Speer ai Lavori pubblici, un Carl Schmitt alla Giustizia, un Franz Altheim alla Cultura, un Wernher von Braun alla Ricerca scientifica, magari con un Heidegger alla Presidenza dell’Accademia del Reich e un von Karajan alla Filarmonica di Berlino? In materia di futuribili e di ucronia, vogliamo ragionare anche su questo oppure ci attestiamo come uniche ipotesi possibili sul Fatherland di Robert Harris o su La svastica sul sole di Philip K. Dick?
Statue sì, statue no: ricordate la recente iconoclastia della quale in America sono state vittime Colombo, Lee ed altri ancora, mentre a Londra ha rischiato di andarci di mezzo lo stesso Churchill? Io le statue sono per lasciarle al loro posto: anche quelle di wc. Sono monumenta, quindi debbono monere: anche se in quale direzione debbano farlo, sta a noi deciderlo. Non mischiamo la storia e l’etica: che hanno relazioni fra loro, ma vanno tenute distinte in quanto hanno caratteri e scopi diversi. La storia non è un tribunale: comprendere
, storicamente, non vuol dire giudicare
, bensì capire in profondità
. Nella storia quello che è fondamentale – ce lo ha insegnato Max Weber – è il disincanto. Impariamo ad andare al di là dei giudizi consolidati e delle loro ragioni, non sempre solide e non sempre pulite. Le colpe dei vinti le abbiamo esaminate piuttosto bene. È l’ora di esaminare quelle dei vincitori. Altrimenti tutti i mali del mondo sarebbero scomparsi nel ’45 quando è morto Hitler o nel ’53 quando è morto Stalin o ancora più tardi quando sono morti bin Laden, al-Baghdadi o Gheddafi. Invece il male c’è ancora eccome. Le guerre – quella che attualmente si sta combattendo in Ucraina è solo l’ultima di una lunga serie –, la fame, le malattie, non la disuguaglianza che magari ci sarà sempre e magari è anche normale che ci sia, ma l’ingiustizia, l’iniquità, la sperequazione. Rileggetela, la lettera del papa Laudato si’. E agite di conseguenza.
Franco Cardini
PARTE 1
MEMORIA, RICORDO E CANCELLAZIONE
LA MEMORIA: LA FATICA, L’ONESTÀ, IL PRETESTO, L’INGANNO, L’OFFESA
La memoria è la garante della nostra identità. Come diceva Platone, sapere è ricordare: se non ricordiamo, non sappiamo niente: peggio, non siamo niente. Ciò vale d’altronde per la memoria e l’identità individuali. Ma resta valido anche per quelle comuni, o meglio comunitarie? Qui il discorso si fa davvero più problematico. La memoria è connessa con la coscienza di possederla e la volontà di conservarla e di potenziarla: non a caso, nell’antichità e nel medioevo – ma anche fino a tempi recenti: ricordate quell’imparare a memoria
della nostra vecchia scuola che troppi deleteri maestrini condannavano come vuoto nozionismo
? – s’insegnavano interessanti sistemi mnemotecnici: mentre oggi non riusciamo a ricordar quasi nulla e siamo tutti drammaticamente agendodipendenti, computerdipendenti, webdipendenti, e-maildipendenti, cellulardipendenti…
Ma la memoria, lasciata a se stessa, si traduce in una sorta di continuum indistinto. Essa dev’essere sorvegliata, educata, razionalizzata. Da sola, non serve a nulla e svanisce presto: L’uomo non ricorda nulla: ricostruisce di continuo
, ammoniva un grande storico, Lucien Febvre. E, difatti, la storia è questo: razionalizzazione critica della memoria.
Dir ciò equivale d’altronde ad affermare che, se vogliamo salvarci dallo svanire naturale
della memoria, legato ai miserabili processi fisiologici della nostra mente e ai limiti della nostra struttura psicofisica, la memoria dev’esser selettiva. E qui nasce il problema: che cosa bisogna scegliere di ricordare, che cosa scegliere di dimenticare (o finger di aver perduto casualmente per strada)? Poiché non v’è chi non veda che la cosa è delicata, contraddittoria, allarmante. Si è parlato molto, specie negli ultimi tempi, del dovere di ricordare
; il che non toglie, però, che, dinanzi a certi eventi, si discuta spesso anche dell’opportunità o addirittura della necessità morale di dimenticare. Allo stesso modo, i mass media ci mostrano, talora, scene terribili, esortandoci al dovere della memoria; e talaltra dichiarano candidamente – senza mostrar di aver rilevato la contraddizione – che, per esempio, determinate immagini sono troppo crude, ragion per cui è meglio non mostrarle. In molti idiomi le parole che indicano il perdono sono legate al campo semantico dell’oblìo: come a suggerire che l’unico modo sicuro di perdonare è il dimenticare. Il che, dal punto di vista cristiano, è tragico: non a caso, etimologicamente parlando, per-donare significa donare in modo estremo e totale
, il che è esattamente il contrario dell’oblìo. La polemica, sulle prime accanita e ormai sopìta, sui libri dedicati da Giampaolo Pansa ai delitti avvenuti dopo la fine della seconda guerra mondiale, che in fondo non dicevano nulla che già non si sapesse (per quanto finora si fosse evitato di discuterne), ripropose già anni or sono il tema delle cose che sarebbe meglio dimenticare
. Ma nel nome di quale logica e di quale etica esisterebbero cose da ricordare e cose da dimenticare, delitti inobliabili e delitti trascurabili, vittime di serie A e vittime di serie B? Forse quelle secondo le quali – come sostiene, appunto, la Chiesa sulle tracce di Agostino – non poena, sed causa facit martyrem? E, del resto, quel ch’è giusto a livello martirologico lo è anche a livello storico? Le vittime innocenti o presunte tali sono onorabili solo nella misura in cui stavano dalla parte della causa giusta, e spregevoli, invece, quando stavano da quella sbagliata? E la storia, poi, serve davvero a decidere quali parti sono quelle giuste e quali quelle sbagliate?
Rinfreschiamoci le idee: perché uno dei peggiori difetti della società civile italiana – diciamolo proprio, dal momento che stiamo parlando di memoria – è di aver la memoria corta. In Italia, una serie di eventi e di polemiche non priva di aspetti ridicoli e sconcertanti condusse anni fa alla proclamazione di due differenti giornate consacrate al ricordare: la Giornata della Memoria
del 27 gennaio, ufficialmente promossa dal Parlamento nel 2002 sulla base di una legge pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale
n. 177 del 31 luglio del 2000, che avevamo già imparato a considerare come una scadenza consueta nonostante fosse recente, e che fu accolta con serietà e perfino con entusiasmo almeno ufficiale soprattutto nel mondo della scuola; e il Giorno del Ricordo
del 10 febbraio. Per quanto, ormai, non lo si ricordi più, quando si istituì la giornata del 27 gennaio affiorò immediatamente un problema molto delicato. Si stabilì con la massima concordia di assumere a data simbolica quel tragico ma anche liberatorio 27 gennaio del 1945, quando le truppe sovietiche varcarono allibite i tristi cancelli di Auschwitz. Ma alcuni pensavano – e tale era l’intenzione del promotore parlamentare, Furio Colombo – che la ricorrenza avrebbe dovuto