Nothing Special   »   [go: up one dir, main page]

Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

A partire da $11.99/mese al termine del periodo di prova. Annulla quando vuoi.

Cielo e Inferno
Cielo e Inferno
Cielo e Inferno
E-book372 pagine5 ore

Cielo e Inferno

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Emanuel Swedenborg (1688-1772), scienziato che visse alla corte svedese nel XVIII secolo, raccoglie in questo volume tutte le descrizioni del Cielo e dell'Inferno in base a ciò che vide e udì durante insolite esperienze di veggenza che lui stesso definì 'sogni'.

Si trattava di visioni terribili che con il tempo divennero sempre più precise, finché iniziarono a contenere messaggi provenienti dal mondo spirituale. E proprio quel mondo egli descrive in questo volume che testimonia le sue esperienze.

Vi troviamo una completa descrizione dell'Aldilà, conversazioni con trapassati, visite a popoli di tempi passati e di pianeti diversi dal nostro.

Questo volume, che è un vademecum del mondo spirituale, fornisce descrizioni del risveglio dell'uomo nella dimensione ultraterrena, e la sua testimonianza permette una notevole comprensione di un'esistenza al di là di spazio e tempo.

Questa fu l'opera che infuse un rispettoso stupore in Kant, che suscitò l'entusiasmo di Emerson, che influenzò profondamente Goethe e Jung, e di cui Elizabeth Barrett Browning disse: "A mio giudizio, la sola luce che possediamo sull'altra vita si trova nella filosofia di Swedenborg".

LinguaItaliano
EditoreAle.Mar.
Data di uscita28 nov 2021
ISBN9788892863217
Cielo e Inferno

Leggi altro di Emanuel Swedenborg

Correlato a Cielo e Inferno

Ebook correlati

Articoli correlati

Recensioni su Cielo e Inferno

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Cielo e Inferno - Emanuel Swedenborg

    PREMESSA

    Nel 1858 la Royal Library di Stoccolma acquistò un manoscritto non identificato appartenuto a un certo professor Scheringson, morto nove anni prima. Si trattava di una specie di diario, 104 pagine in tutto, scritte a mano: la storia di un’anima. L’autore si chiamava Emanuel Swedenborg, scienziato dagli interessi multiformi ed enciclopedici, certamente uno dei geni del XVIII secolo, che di colpo nel 1744, quando aveva 56 anni, aveva cominciato ad essere protagonista di insolite esperienze che lo sconcertavano e lo colpivano profondamente. Da autentico scienziato, Swedenborg aveva preso accuratamente nota di ogni dettaglio, lasciando così un documento eccezionale della metamorfosi che era avvenuta in lui. Le prime pagine del diario parlano infatti di vicende quotidiane: un viaggio per mare con partenza da Stoccolma, il resoconto delle cose viste e delle persone incontrate, la consegna di un manoscritto a un editore. Ma a questo punto il racconto si interrompe: ci sono alcune pagine vuote, e quindi inizia la descrizione di una serie di sogni, accompagnata spesso dal tentativo di interpretarli e di riferirli alla propria vita e alla propria attività. Non erano sogni certo normali quelli che Swedenborg, giorno dopo giorno, trascriveva nel suo diario, ma sogni provvisti di una loro carica particolare: altrimenti, da quel rigoroso scienziato che era, Swedenborg non avrebbe dedicato loro la sua attenzione. Erano sogni, o meglio visioni, che avvenivano in trance, prima e dopo il sonno. Visioni belle e visioni terribili, che però col tempo si fecero sempre più armoniche, finché cominciarono a contenere messaggi provenienti dal mondo spirituale: quello nel quale d’ora in avanti Swedenborg sarà ammesso e di cui ci ha lasciato la descrizione in tante opere. Il diario (Il Diario dei Sogni), pubblicato nel 1859 in latino, segnò la trasformazione di Swedenborg da famoso scienziato in «servo del Signore». Di lui lo psicologo americano Van Dusen ha scritto: «Avendo esaurito tutti i campi conosciuti della scienza umana, Swedenborg scelse di esplorare se stesso nel modo più diretto possibile: attraverso visioni, trance ed esperienze ipnagogiche. Si consideri che a quel tempo non c’erano psicologi né psicoanalisti, e che in pratica nessuno si occupava di processi interiori e di sogni, eccetto qualche monaco isolato e qualche mistico. Era terra incognita quella che Swedenborg si accingeva ad esplorare, mettendo a rischio la propria vita e la propria salute mentale». Ma chi era Emanuel Swedenborg, l’uomo al quale oltre due secoli fa si aprirono le porte del mondo spirituale di cui lasciò tante impressionanti descrizioni? L’uomo che infuse un rispettoso stupore a Kant, al quale un altro grande filosofo, Emerson, dedicò parole entusiaste, che influenzò profondamente Goethe e Jung e di cui Elizabeth Barret Browning disse: «A mio giudizio, la sola luce che possediamo sull’altra vita si trova nella filosofia di Swedenborg?». Vediamone innanzitutto le vicende di vita.

    PAOLA GIOVETTI EMANUEL SWEDENBORG: LA VITA (1688-1772)

    La famiglia

    Chi visita la cattedrale di Uppsala dove riposano i grandi cittadini svedesi, trova un sarcofago di granito col nome Emanuel Swedenborg. Qui è sepolto uno dei più straordinari figli della Svezia. I suoi resti mortali, custoditi in Inghilterra dove Swedenborg era morto, furono nel 1910 traslati a Uppsala per ordine del re Gustavo V, che inviò a questo scopo un brigantino in Inghilterra: un onore riservato a re, vescovi e generali. Emanuel Swedenborg, l’uomo che diede uno straordinario contributo scientifico e filosofico al suo tempo, discendeva da antiche famiglie svedesi in cui si tramandavano tradizionalmente l’attività mineraria e quella pastorale. Ereditò quindi da un lato senso pratico, abilità tecnica e scientifica, gusto per i segreti della natura, e dall’altro spiritualità e interiorità, tipici per altro del luteranesimo nordico e svedese in particolare. Nella vita di Swedenborg questi due aspetti sono entrambi presenti, anche se in periodi diversi: nella prima parte della sua vita si dedicò infatti alla scienza e fu assessore alle miniere della corte svedese, nella seconda parte si rivolse interamente alla religione, alla teologia, alla spiritualità. Il nonno paterno Daniel Isakson era proprietario di miniere di rame e il nonno materno Albrecht Boehm era assessore al Reale Collegio delle Miniere. Il bisnonno paterno era stato pastore, come del resto era pastore il padre stesso di Emanuel Swedenborg, che fu uomo di grande cultura, divenne in seguito vescovo ed ebbe un peso notevole nella formazione del figlio. Jesper Swedberg [1] . è una figura che riveste un ruolo di primo piano in quell’epoca storica caratterizzata politicamente dalle imprese di Carlo XI e Carlo XII e religiosamente dal confronto fra l’ortodossia luterana e il movimento rinnovatore del pietismo. [2] Pur senza venir meno allo spirito della sua confessione, il vescovo Jesper seppe aprirsi alle idee riformatrici del pietismo tedesco, che privilegiava l’esperienza religiosa intima e personale, l’amore per il prossimo e la carità attiva. Fu una personalità estremamente dinamica, che seppe trasmettere alla sua famiglia e all’ambiente in cui viveva una grande pietà e fervore religioso. Fu anche autore di numerose opere teologiche e di una poderosa autobiografia di oltre mille pagine, interessante per la descrizione delle vicende personali e familiari, ma anche e soprattutto per le ampie informazioni sulla vita politica, sociale, religiosa, ecclesiastica e spirituale del suo tempo. Carlo XI (1655-1697) salì al trono ancora bambino nel 1660. Suo padre Carlo Gustavo, succeduto alla regina Cristina nel 1654, aveva condotto una politica di espansione; nel 1655 aveva invaso la Polonia e conquistato Varsavia e Cracovia. Era seguita una guerra con la Danimarca, che dopo alterne vicende si era conclusa nel 1660 con una pace affrettata per la morte improvvisa del re. Essendo suo figlio Carlo XI minorenne, il potere fu assunto da un collegio di nobili. Quando salì al trono, Carlo XI riuscì a farsi riconoscere dal Parlamento il potere assoluto, recuperò molti dei beni finiti nelle mani dei nobili per donazioni e acquisti, e creò un nuovo sistema finanziario: assegnò terre a militari e funzionari quale compenso per la loro opera, destinò redditi fissi dello Stato a determinate spese. Su questa base ricostruì l’esercito e la flotta. Ebbe il diritto di emanare leggi motu proprio e di decretare imposte. Condusse una politica pacifica con l’estero, dopo quella troppo avventurosa dei suoi predecessori. Carlo XII (1682-1718) figlio suo e di Ulrica Eleonora di Danimarca, colto e vitalissimo, si pone in testa la corona da solo a 17 anni, a simboleggiare il potere assoluto. Seguì le tradizioni paterne di restituzione alla corona dei beni dei nobili, curò l’ortodossia ecclesiastica e portò a termine la nuova traduzione della Bibbia iniziata dal padre (Bibbia di Carlo XII). In politica estera fu indotto alla guerra dalla Russia, che minacciava i suoi confini e si era alleata con Polonia e Danimarca. Carlo vinse i nemici separatamente e nel 1706 elesse in Polonia a re Stanislao Leszczynski, che alleato con la Svezia avrebbe dovuto condurre i polacchi contro la Russia. Seguì la fatale campagna di Russia, che fallì per epidemie e difficoltà di approvvigionamento. Lo zar non accettò la battaglia campale e l’inverno russo decimò quanto era rimasto dell’esercito di Carlo. Il re, ferito, riparò in Turchia, che cercò invano di convincere a combattere contro la Russia; tornò in patria nel 1714, dove fu accolto come un trionfatore. Si dedicò allora a riorganizzare lo Stato e a combattere chi minacciava l’integrità della Svezia. Nel 1718 si rivolse contro la Norvegia e morì in battaglia colpito da una palla alla tempia. Fu uno dei maggiori tattici del suo tempo; amatissimo dai suoi soldati, con cui divideva la semplice vita, fu considerato eroe nazionale. Ad accrescere il suo mito, contribuì il Voltaire con la sua celebre Histoire de Charles XII. Essendo Carlo celibe, alla sua morte salì al trono la sorella Ulrica Eleonora, che nel 1720 abdicò in favore del marito Federico I (1720-1751). Sotto di lui il potere regio fu ridotto e i nobili riconquistarono potere. Si sviluppa il Parlamento, viene condotta una politica moderata sia all’interno che all’estero. Le piaghe della guerra vengono risanate e sviluppata la politica economica. Jesper credeva nell’influenza diretta del mondo celeste su quello terreno: credeva negli angeli e nei demoni e aveva anche esperienze visionarie. Si sentiva sotto la protezione dell’angelo custode fin da quando, bambino, era finito in un torrente e di qui sotto la ruota di un mulino, e si era miracolosamente salvato. Da allora non abbandonò mai la sua fiducia nei confronti dell’angelo protettore. Altrettanto viva e concreta era per lui la presenza del diavolo: a lui attribuì per esempio gli incendi che per ben tre volte gli bruciarono la casa, distruggendo tutto quanto possedeva. Era anche convinto che i defunti dal cielo partecipassero ancora alla vita dei loro cari in terra. Il figlio Emanuel ereditò certamente dal padre la sua capacità di vedere l’invisibile. Jesper Svedberg era però anche un uomo pratico e concreto, che viaggiò molto in tutta Europa per studiare la vita religiosa ed ecclesiastica delle altre nazioni, specie Francia, Germania e Inghilterra. Dopo il matrimonio con Sarah Boehm divenne predicatore del reggimento della Guardia di Stoccolma e in seguito predicatore di corte, ed ebbe quindi modo di frequentare la migliore società e di farsi apprezzare da Carlo XI: insieme discutevano di come migliorare l’istruzione scolastica, che stava molto a cuore ad entrambi, e di altri problemi pratici. Il re lo nominò poi professore di teologia all’università di Uppsala, di cui col tempo divenne anche rettore; fu quindi a lungo responsabile della vita accademica di quella importante città universitaria. Contemporaneamente divenne decano della cattedra di Uppsala ed esercitò un notevole influsso sulla vita pubblica della città e dell’intero paese. Nel 1702 fu nominato vescovo di Skara e per la sua fervida opera concreta e spirituale presso tutti i ceti sociali della sua diocesi divenne in breve una figura popolare e carismatica nota in tutta la Svezia. Si occupò sempre di problemi scolastici e catechistici, di cura pubblica e privata delle anime. Fu consigliere di Carlo XII e della regina Ulrike Eleonore, fu nominato dal re membro della commissione per la traduzione della Bibbia in svedese e lavorò attivamente alla revisione dell’intero testo. In seguito si preoccupò sempre che in ogni famiglia svedese non mancasse una copia della Bibbia. Si dice per altro che fosse anche una persona allegra, amante della musica e della buona compagnia, di buon carattere, tollerante e benevolo con tutti, incapace di rancori. E’ ovvio che nell’educazione dei suoi numerosi figli, di cui si occupò sempre con passione e per i quali trovava sempre tempo, una personalità forte come la sua esercitasse un forte influsso.

    Infanzia e gioventù

    Jesper era ancora predicatore a Stoccolma quando Emanuel nacque il 29 gennaio 1688, terzo degli otto figli che il prelato ebbe dalla prima moglie. Il nome Emanuel, che significa «Dio con noi», era stato scelto dal padre per invocare su di lui la costante presenza di Dio e affinché avesse sempre presente questa unione col Creatore. Della infanzia di Emanuel non si sa molto: aveva appena otto anni quando perse la madre, tuttavia il carattere tranquillo e benevolo di lei lasciò un segno profondo nell’animo del bambino che fu allevato dalla sorella maggiore e dalla matrigna. Da piccolo Emanuel manifestò un ardore religioso che colpiva anche i familiari: pregava molto ed era attirato verso tutte le manifestazioni religiose. Prestissimo e spontaneamente si abituò a una particolare «respirazione interiore» (così lui stesso ebbe in seguito a definirla nel suo Diario spirituale), che usava quando mattina e sera diceva le preghiere e attraverso la quale in seguito riusciva a mettersi in contatto con angeli e spiriti [3] In una lettera indirizzata molti anni dopo, quando era ormai vecchio, al suo amico dr. Beyer, Swedenborg scrisse rievocando la sua infanzia: «Dai 4 ai 10 anni i miei pensieri erano costantemente dedicati a Dio, alla beatitudine e agli stati spirituali degli uomini. Spesso dicevo cose che stupivano i miei genitori, i quali pensavano che gli angeli parlassero per bocca mia». E’ indubbio che fin da allora l’educazione religiosa e l’ambiente spirituale della famiglia, ma soprattutto l’influsso paterno, sviluppassero in lui il senso della presenza, concretezza e realtà del mondo ultraterreno. Tuttavia col passare degli anni e il contatto con la scuola e la tradizione scientifica del suo tempo avvenne una frattura con l’atteggiamento religioso della sua infanzia: i suoi interessi si rivolsero interamente alla scienza, e bisognerà aspettare che avesse più di 50 anni per ritrovare in lui esperienze religiose e visioni. Quando il padre divenne vescovo di Skara, il giovane Emanuel rimase a Uppsala per studiare, e fu indirizzato verso le materie scientifiche dal cognato Erik Benzelius, marito della sorella Anna e maggiore di lui di tredici anni, studioso e umanista già noto e affermato. A quanto risulta dalle lettere, in quegli anni Benzelius fece anche da mediatore fra Emanuel e il padre, che non vedeva di buon occhio l’evoluzione interiore del figlio, che sempre più si staccava dalla religione per dedicarsi alla scienza.

    [1] Il nome Svedberg fu trasformato in Swedenborg quando la famiglia del vescovo Jesper fu fatta nobile, nel 1719. Emanuel, che era il figlio maschio maggiore, divenne così barone

    [2] Riteniamo utile riportare per sommi capi le notizie essenziali relative alle vicende storico-politiche della Svezia al tempo in cui visse Swedenborg.

    [3] Si trattava in realtà di una tecnica yoga, che comprendeva il «blocco intenzionale del movimento involontario della mente», allo scopo di accrescere la coscienza cosmica. Quando era bambino, Emanuel tratteneva il respiro quando pregava in famiglia e cercava di adeguare la respirazione al battito cardiaco, notando che in questo modo il suo stato di coscienza si trasformava: in pratica, una forma di intuitivo pranayama. Nella sua vita successiva Swedenborg ebbe modo di rendersi conto sempre più della dilatazione di coscienza che si produceva quando il respiro diventava più lento e si sincronizzava col battito cardiaco, e ne fece un uso costante.

    L’incontro con la scienza

    Il mondo accademico con cui Swedenborg venne in contatto all’università di Uppsala era quello dell’umanesimo svedese. In un certo senso arretrato rispetto a quello di altri paesi europei, dove le scienze già avevano scosso l’antico predominio delle materie umanistiche. In Svezia l’umanesimo, che per altro vi era giunto tardi rispetto al centro Europa, continuava a dominare incontrastato. L’insegnamento universitario offriva in quel tempo a Uppsala quattro campi-base di studio: teologia, legge, medicina e filosofia. Quest’ultima comprendeva allora anche scienze e matematica, che non costituivano insegnamenti a se stanti. Anche Benzelius, il cognato di Emanuel Swedenborg, seguiva questa impostazione: storia antica e moderna, filosofia, letteratura, linguistica comparata, antichità nordiche. Benzelius era però uno spirito illuminato, che si occupava anche di scienza moderna e si adoperava perché a Uppsala le materie scientifiche avessero maggior spazio. Credeva nello sviluppo della scienza, era in corrispondenza con i rappresentanti dell’Europa scientifica e incitava i giovani talenti ad andare a studiare all’estero, raccomandandoli ai suoi collaboratori ed amici. Emanuel fu introdotto dal cognato nell’ambiente universitario, dove ben presto si distinse. Era in grado di scrivere in latino, la lingua colta del tempo, sia in prosa che in poesia, e in seguito imparò anche inglese, olandese, francese e italiano. Suonava l’organo ed era dotato di una grande versatilità. Le sue predilezioni si indirizzarono però rapidamente verso le scienze: matematica, geometria, astronomia, tecnica lo affascinavano. In questi campi, oltre al cognato, ebbe come maestro – specie per la fisica e la geologia - un altro grande umanista svedese, Olav Rudbeck. Il suo modello però era l’ingegner Christopher Polhem, notevole personaggio stimatissimo da Carlo XII e autore di tutti i suoi progetti militari, minerari e navali. Swedenborg vide in lui la quintessenza della scienza moderna e desiderò subito conoscerlo e possibilmente diventare suo assistente. Su sua sollecitazione, il vescovo Jesper scrisse a Polhem pregandolo di accogliere il figlio nella sua casa e lo scienziato, che certamente doveva aver già avuto modo di apprezzare le doti del giovane, acconsentì di buon grado. E in effetti fra i due iniziò una fruttuosa collaborazione; Polhem apprezzava l’assistenza di Emanuel, specie nei progetti di meccanica per i quali lo trovava particolarmente versato. Contemporaneamente però veniva crescendo in Swedenborg il desiderio di un viaggio di studi in Inghilterra, dove la nuova scienza stava evolvendosi molto più celermente che in Svezia: qui insegnavano personalità come Newton, Halley, Flamsteed, qui c’erano gli osservatori, i laboratori, le attrezzature tecniche; soprattutto c’era la Royal Society che, sotto il patrocinio della corona, riuniva i rappresentanti delle scienze moderne. Benzelius aiutò molto il giovane cognato a realizzare questo viaggio: convinse il vescovo Jesper a lasciar partire il figlio e mise a disposizione di Emanuel le sue numerose conoscenze inglesi. Nel settembre del 1710, a 22 anni, Swedenborg partì finalmente per l’Inghilterra, pieno di progetti e di aspettative.

    Gli studi all’estero

    La meta tanto attesa non si presentò né facile da raggiungere né cordiale: la nave che da Goteborg doveva portare Emanuel a Londra si insabbiò davanti alla costa inglese e fu recuperata a costo di grandi rischi. Non basta: appena liberato, il veliero fu assalito da una nave corsara e saccheggiato. Appena finito l’arrembaggio, una nave inglese di sorveglianza costiera scambiò le vittime per pirati e sparò contro i poveri svedesi, fortunatamente senza gravi danni. Ma le sventure non erano finite. Dato che in Inghilterra si era diffusa la notizia di un’epidemia di peste in Svezia, tutte le navi svedesi dovevano stare sei settimane in quarantena prima di toccar terra. Aspettare più di quaranta giorni prima di toccare l’ambita meta? Mai più! Alcuni membri della comunità svedese a Londra, saputo del destino dei loro connazionali, un po’ sconsideratamente organizzarono una barca che collegava la nave in quarantena con la terraferma. Il giovane Emanuel ne approfittò subito e fu così che appena messo piede a Londra fu arrestato dalla polizia, imprigionato e condannato all’impiccagione per il grave rischio cui aveva esposto gli inglesi. L’intervento di membri influenti della comunità svedese lo salvò fortunatamente dal patibolo, così che fu liberato e se la cavò con una grossa predica e una ancora più grande paura. Appena in libertà, si gettò con tanto maggior zelo nello studio e nella vita attiva. L’Inghilterra degli inizi del Settecento stava preparandosi ad assumere il ruolo di guida del mondo grazie all’impero coloniale appena conquistato. I beni di tutta la terra confluivano, attraverso le colonie, in Inghilterra. Contemporaneamente si diffondeva il predominio intellettuale: raffinati strumenti tecnici come telescopio e microscopio venivano continuamente sviluppati e migliorati, e le scienze che venivano insegnate nelle facoltà inglesi sembravano le chiavi destinate a capire il mondo. Appena stabilito e organizzato a Londra, il giovane Swedenborg cercò di entrare in contatto coi grandi della scienza del tempo. Newton era allora al culmine della sua gloria: membro del Parlamento e della Royal Society, riuniva in casa sua scienziati, filosofi e politici. Emanuel riuscì ad essere accolto in questo ambiente, cosa alla quale si era coscienziosamente preparato studiando tutti i libri di Newton. Frequentò inoltre l’osservatorio di Greenwich e il grande astronomo Flamstead che lo dirigeva e ci viveva conducendo una vita da eremita: Swedenborg ne divenne intimo. Conobbe Halley, che viveva e insegnava a Oxford, e per frequentarlo si trattenne in questa città vari mesi. Grazie alle raccomandazioni, allo zelo che dimostrava, al fascino personale che gli fu sempre proprio, alle grandi capacità che tutti gli riconoscevano, alla cultura che possedeva e all’acutezza di pensiero unita alle grandi doti di sintesi, riuscì a frequentare sempre gli ambienti scientificamente più elevati. A Londra il giovane Swedenborg condusse una vita piena, ricca di stimoli, di incontri, di studi. Di ogni cosa riferiva al cognato, e l’epistolario intercorso fra loro in quegli anni costituisce una miniera di notizie per la conoscenza del giovane Swedenborg, che ci appare uno spirito straordinariamente eclettico: oltre che di geografia, astronomia, chimica, fisica, cosmologia, si occupò anche di incisione, di architettura, della costruzione di orologi. Volle controllare con gli strumenti adatti i risultati delle scoperte dei grandi scienziati, acquisendo in questo modo una notevole abilità tecnica: fu sempre infatti un teorico, ma anche uno che sperimentava e ricercava sul campo. Nonostante la frenetica attività trovava anche il tempo di poetare in latino e di studiare la letteratura inglese: non abbiamo però notizia di incontri personali coi poeti del tempo. Più Swedenborg viveva all’estero, più la Svezia gli appariva antiquata e arretrata. Poliedrico, dotatissimo, diligente e consapevole del proprio valore, innamorato della scienza moderna e delle nuove scoperte, Emanuel non è più il ragazzo che qualche anno prima ha lasciato la Svezia. Il vescovo Jesper se ne rende conto, se ne addolora, il figlio gli appare un estraneo, e per farlo rinsavire e tornare in patria ricorre a un mezzo che si rivela in genere infallibile: gli manda meno denaro. Swedenborg se ne lamenta, ma non ritorna. Si adatta, riduce le spese, ma resta in Inghilterra e viaggia anche per il paese. Infine decide di abbreviare il soggiorno a Londra per conoscere anche Francia e Olanda. La sua meta principale è Parigi, con l’Acadèmie Royale, analoga alla Royal Society, coi suoi scienziati di grido. Andando a Parigi, si ferma in Olanda, ma di questo soggiorno non sappiamo molto. Di certo non si lasciò sfuggire l’occasione di allargare le sue conoscenze: «Sarebbe troppo lungo», scrive in una lettera al cognato, «citare tutti gli eruditi che ho conosciuto durante questo viaggio, dato che non ho mai perso l’occasione per incontrarli e neppure ho trascurato di visitare biblioteche, raccolte e altre cose interessanti». A Leida, dove soggiornò per un certo tempo, si occupò a fondo di ornitologia e imparò a rilegare i libri e a molare le lenti: da Londra, dove aveva appreso molte altre attività artigianali, aveva scritto al cognato: E’ un peccato che i matematici si attengano quasi esclusivamente alla teoria. Spesso ho pensato che sarebbe molto vantaggioso se a ogni dieci matematici venisse affiancato un bravo tecnico, che collaborasse con loro. Quest’ultimo sarebbe più utile degli altri dieci messi insieme. E a questo atteggiamento si attenne sempre. Finalmente raggiunse Parigi, dove rimase un anno. Era munito di raccomandazioni di amici svedesi e inglesi, e così gli si aprirono le porte dell’Acadèmie Royale. Non fu accolto come studente, ma come amico personale dei grandi scienziati inglesi, rivali per certi aspetti di quelli francesi. Poté raccontare, confrontare, fu lui stesso oggetto di curiosità, tanto più che come svedese poteva considerarsi neutrale nella contesa tra inglesi e francesi per il predominio scientifico. Il suo unico desiderio era quello di imparare, e riuscì a frequentare grandi astronomi, matematici, architetti, filologi. Lasciò Parigi nell’estate del 1714 e prima di rientrare in Svezia volle incontrare Leibniz, che viveva ad Hannover in Germania: ma quando arrivò ad Hannover Leibniz era a Vienna, e così l’atteso incontro personale non avvenne. Swedenborg aveva trascorso quasi cinque anni all’estero, e nonostante le difficoltà aveva raggiunto i suoi scopi. Aveva soggiornato nelle capitali della scienza moderna, ne aveva conosciuto personalmente e frequentato i massimi rappresentanti, aveva appreso le più importanti lingue europee e le tecniche necessarie a proseguire i suoi studi. Conosceva perfettamente il livello degli studi scientifici del suo tempo e aveva elaborato progetti suoi. Tornava in patria portando con sé un ricco bottino: disegni e progetti per invenzioni meccaniche, destinati a segnare l’inizio della sua attività in patria. Si trattava di invenzioni tecniche e meccaniche adatte alla situazione svedese e alle sue necessità: pompe, chiuse, forni, gru, strumenti per le miniere, la navigazione interna, la guerra, la difesa delle coste. A quel tempo le macchine che oggi risultano ovvie non esistevano: la tecnica era tutta da inventare e richiedeva fantasia, inventiva, doti artigianali, conoscenze scientifiche. Come dimostrano i suoi schizzi, Swedenborg possedeva in abbondanza tutto questo. Gli sforzi tecnico-scientifici del tempo erano tesi a questi scopi: trasferimento meccanico per terra, acqua e aria, trasporto meccanico di pesi, costruzione di armi meccaniche. Le grandi scoperte della tecnica moderna (automobile, aereo, mitragliatrice) occupavano le menti fin dall’inizio dell’evoluzione tecnica, e già Leonardo ci si era cimentato. Anche Swedenborg aveva ben presenti queste necessità e nel tempo progettò un’infinità di cose: uno strumento musicale universale, nuove tecniche di costruzione per le navi, una pompa ad aria, un nuovo tipo di sifone, un sottomarino di tipo militare, un orologio ad acqua, un ponte levatorio; addirittura una macchina volante, che suscitò molto interesse [1]

    [1] Swedenborg sapeva bene che per mancanza di forza motrice adeguata i tempi non erano maturi per la realizzazione di questo progetto, tuttavia era convinto che l’umanità un giorno avrebbe volato. In effetti Swedenborg si avvicinò alla soluzione del problema molto più di tanti altri prima e dopo di lui: non cercò infatti di imitare il volo degli uccelli, come avevano fatto tutti gli altri da Leonardo a Lilienthal, ma progettò una superficie alare rigida, a forma di volta, come poi è stata veramente realizzata. Nel 1897 negli USA fu costruito a grandezza totale una macchina volante secondo il modello di Swedenborg, che si alzò fino a 15 metri e dopo qualche decina di metri di volo precipitò. La macchina possedeva uno stabilizzatore, un meccanismo di manovra, una cabina di pilotaggio, ruote di atterraggio e un motore a elica! E questo era stato pensato nel 1716! Swedenborg era arrivato molto vicino alla soluzione. Il modello è ancora esposto allo Smithsonian Air Science Museum di Washington.

    Ritorno in patria e attività scientifica

    Gli incontri coi grandi della scienza europea avevano sviluppato in Swedenborg più che l’ideale di una professione specifica, quello di un’attività indipendente di ricerca. Tuttavia, appena tornato in patria, attraverso il cognato suggerisce all’università di Uppsala l’istituzione di una facoltà scientifica «utile e necessaria come quella di filosofia e in grado di portare più utili di quella al Paese, attraverso la fabbricazione di manufatti, prodotti per le miniere, la navigazione, eccetera». Indica anche come reperire i fondi per una simile istituzione. Ritiene indispensabile soprattutto un insegnamento di matematica e meccanica, a scapito eventualmente di uno di teologia o lingua greca. Ha in mente anche la creazione nel suo Paese di qualcosa di analogo alla Royal Society o all’Acadèmie Royale. Proposte avveniristiche, che incontrano però l’opposizione dei docenti, per lo più conservatori. Anche il vescovo Jesper, già urtato per la prolungata assenza del figlio e i suoi orgogliosi progetti, vede il diavolo dietro alle nuove invenzioni che egli progetta e alle innovazioni che ha in mente. Rifiuta quindi di sovvenzionarlo oltre e tra padre e figlio si crea da questo momento una spaccatura insanabile, nonostante l’intermediazione e i buoni uffici dell’ottimo e sempre disponibile Benzelius. I progetti che Swedenborg ha portato con sé tornando in patria non trovano quindi subito l’accoglienza che il giovane si sarebbe atteso. La cosa più positiva dell’anno successivo al suo ritorno in Svezia fu la ripresa del contatto con Polhem, tuttora il primo scienziato svedese, col quale fondò la prima rivista scientifica della Svezia, dal titolo Il Dedalo Iperboreo (cioè, il Dedalo Nordico), che uscì dal 1716 al 1718. Molto intelligentemente, Swedenborg vide in questa rivista la possibilità, di diffondere le proprie idee e le proprie invenzioni, e vi lavorò con grande zelo, pubblicandovi i suoi studi su tutti i tipi di macchina che aveva progettato, compresi quelli sul volo. Il genio di Swedenborg fu scoperto da Carlo XII, il genio politico della Svezia. Il giovane sovrano non si occupava solo di politica, ma si interessava vivamente degli sviluppi della scienza. Era personalmente esperto di matematica e aveva un acuto senso scientifico. Amava circondarsi di uomini di scienza e arte: tra questi c’era naturalmente anche Polhem - e con lui Swedenborg, che ebbe così modo di parlare al re dei suoi progetti personali, trovando presso di lui quello che non aveva trovato presso gli scienziati: comprensione per il progetto di creare in Svezia una Società di eruditi analoga a quelle di Londra e di Parigi, destinata a contribuire al miglioramento della cultura e al benessere della nazione; comprensione anche per i suoi progetti scientifici, che affascinarono il re per la novità e l’utilità economica e militare. Carlo XII divenne regolare lettore del «Dedalo». Con Polhem e il suo aiutante il re discuteva di economia e di trasporti e del loro miglioramento, e Polhem fu incaricato di progettare imprese di enormi proporzioni: costruzione di un cantiere navale presso Karlkrona, creazione di chiuse sul corso del Gote, che sfocia nel Kattegat e ha varie cascate. Swedenborg, come aiutante di Polhem, fece le misurazioni e collaborò ai calcoli e ai disegni. In premio per la sua opera, il re lo nominò assessore straordinario al Collegio delle Miniere, posizione di primo piano essendo le miniere il cespite primo dell’economia svedese. Swedenborg si era finora occupato solo occasionalmente di miniere: suo padre aveva una partecipazione a certe miniere di ferro, e lui aveva già fatto alcune invenzioni in questo campo, senza però dedicarvisi sistematicamente. Il nuovo incarico lo entusiasmò: aveva un posto sicuro, un buon guadagno e la possibilità di lavorare e sperimentare. A quel tempo infatti presso le università svedesi non c’erano laboratori di ricerca, officine e attrezzature meccaniche, però il Collegio Svedese per le Miniere aveva un suo laboratorio, che serviva a fare analisi chimiche e fisiche dei metalli e a migliorare le tecniche di estrazione. Swedenborg aveva così finalmente quello che aveva tanto desiderato: poteva collaborare coi migliori tecnici svedesi e dar libero sfogo alla sua inventiva e al suo desiderio di rendersi utile alla patria. La nomina di Swedenborg ad assessore straordinario alle miniere non avvenne senza proteste: ci fu tra i colleghi chi si oppose appellandosi all’inesperienza del giovane, ma il re non era disposto a mettere in discussione il suo potere assoluto e inoltre credeva nelle capacità di Swedenborg. Del resto la genialità del giovane assessore vinse tutte le resistenze dei colleghi. Presto Swedenborg fu in grado di dimostrare al re la propria personale abilità anche in altri campi: nel 1718, in occasione del conflitto con la Norvegia, inventò un modo per trasportare su rulli per monti e valli due galere, cinque barconi e una scialuppa per oltre venti miglia, fatto che risultò assai utile e accrebbe ulteriormente la stima del re. Carlo XII e Swedenborg divennero amici, e questa amicizia fu continuamente rafforzata da incontri e scambi di idee quasi quotidiani. Nel frattempo Swedenborg prese ad occuparsi sistematicamente di miniere e scrisse anche uno studio descrittivo della situazione mineraria svedese. Occupandosi di miniere, finì per dedicarsi anche ai reperti fossili calcificati che venivano fuori scavando i minerali e che testimoniavano di epoche passate; da

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1