L'uomo che ride
Di Victor Hugo
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Info su questo ebook
La storia ruota intorno a Gwynplaine, un uomo condannato a una eterna risata, causata da una mutilazione subita in giovanissima età.
Considerato da tutti un “mostro umano”, emarginato dalla società a causa della sua diversità fisica, si guadagnerà da vivere come “attrazione” in un circo ambulante di saltimbanchi. Il tema centrale dell’opera è la critica spietata all’aristocrazia e all’egoismo della classe nobiliare inglese dell’epoca. Con questo romanzo, Victor Hugo realizza il paradosso di uno scrittore francese che riesce a descrivere, forse meglio di un inglese, tutte le ingiustizie sociali dell’Inghilterra tra la fine del '600 e l’inizio del '700. “L’uomo che ride” è molto più di un romanzo: è una straordinaria lezione di storia, geografia, sociologia e politica, all’interno di un’opera visionaria, intensa e commovente, satura di tinte gotiche, cupe e tenebrose, nella quale si esplorano temi universali come l'identità, l'amore e la giustizia sociale.
Victor Hugo
Victor Hugo (1802-1885) was born in Besançon, France on February 26, 1802. Originally on track to become a lawyer, he instead became France’s revered Romantic poet, novelist, and dramatist. He is the author of The Hunchback of Notre Dame and Les Misérables, among countless others. For fifteen years, Hugo lived on the island of Guernsey in political exile following the 1851 coup d’état by Napoleon III. There he wrote The Toilers of the Sea, published in 1866. When Hugo died in 1885, he was given a national funeral and burial in Paris’ Pantheon.
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Anteprima del libro
L'uomo che ride - Victor Hugo
Victor Hugo
L'uomo che ride
ISBN: 9788831372381
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Indice dei contenuti
Colophon
PRESENTAZIONE
Victor Hugo
SINOSSI
PARTE PRIMA
DUE CAPITOLI PRELIMINARI
I - URSUS
II - I COMPRACHICOS
LIBRO PRIMO
I - LA PUNTA SUD DI PORTLAND
II - ISOLAMENTO
III - SOLITUDINE
IV - DOMANDE
V - L'ALBERO DELL'INVENZIONE UMANA
VI - BATTAGLIA TRA LA MORTE E LA NOTTE
VII - LA PUNTA NORD DI PORTLAND
LIBRO SECONDO
I - LE LEGGI CHE SFUGGONO ALL'UOMO
II - SI DELINEANO I CONTORNI INIZIALI
III - GLI UOMINI INQUIETI SUL MARE INQUIETO
IV - ENTRA IN SCENA UNA NUVOLA DIVERSA DALLE ALTRE
V - HARDQUANONNE
VI - SI CREDONO AIUTATI
VII - ORRORE SACRO
VIII - NIX ET NOX
IX - INCARICO AFFIDATO AL MARE INFURIATO
X - LA TEMPESTA È LA GRANDE SELVAGGIA
XI - I CASQUETS
XII - CORPO A CORPO CON LO SCOGLIO
XIII - FACCIA A FACCIA CON LA NOTTE
XIV - ORTACH
XV - PORTENTOSUM MARE
XVI - IMPROVVISA DOLCEZZA DELL'ENIGMA
XVII - L'ULTIMA RISORSA
XVIII - IL SUPREMO ESPEDIENTE
LIBRO TERZO
I - IL CHESS-HILL
II - EFFETTO DI NEVE
III - OGNI VIA DOLOROSA SI COMPLICA DI UN FARDELLO
IV - UN ALTRO TIPO DI DESERTO
V - LA MISANTROPIA NE FA UNA DELLE SUE
VI - IL RISVEGLIO
PARTE SECONDA
LIBRO PRIMO
I - LORD CLANCHARLIE
II - LORD DAVID DIRRY-MOIR
III - LA DUCHESSA JOSIANE
IV - MAGISTER ELEGANTIARUM
V - LA REGINA ANNA
VI - BARKILFEDRO
VII - BARKILFEDRO SI FA STRADA
VIII - INFERI
IX - ODIARE È DIFFICILE QUANTO AMARE
X - LAMPEGGIAMENTI CHE VEDREMMO SE L'UOMO FOSSE TRASPARENTE
XI - BARKILPHEDRO IN AGGUATO
XII - SCOZIA, IRLANDA E INGHILTERRA
LIBRO SECONDO
I - DOVE VEDIAMO IL VOLTO DI COLUI DEL QUALE FINORA ABBIAMO VISTO SOLO LE AZIONI
II - DEA
III - OCULOS NON HABET, ET VIDET
IV - INNAMORATI PREDESTINATI
V - L’AZZURRO NEL NERO
VI - URSUS ISTITUTORE E URSUS TUTORE
VII - LA CECITA’ IMPARTISCE LEZIONI DI CHIAROVEGGENZA
VIII - NON SOLO FELICITÀ, MA ANCHE PROSPERITÀ
IX - STRAVAGANZE CHE LA GENTE DI GUSTO CHIAMA POESIA
X - UNO SGUARDO DI CHI È FUORI DA TUTTO SULLE COSE E SUGLI UOMINI
XI - GWYNPLAINE HA RAGIONE, URSUS È NEL VERO
XII - URSUS IL POETA VINCE URSUS IL FILOSOFO
LIBRO TERZO
I - L’INN TADCASTER
II - ELOQUENZA ALL’ARIA APERTA
III - DOVE RICOMPARE IL PASSANTE
IV - I CONTRARI FRATERNIZZANO NELL’ODIO
V - IL WAPENTAKE
VI - IL TOPO INTERROGATO DAI GATTI
VII - QUALI MOTIVI PUÒ AVERE UN DOPPIONE D’ORO PER VENIRE A INCAGLIARSI TRA I SOLDONI?
VIII - SINTOMI DI AVVELENAMENTO
IX - ABYSSUS ABYSSUM VOCAT
LIBRO QUARTO
I - LA TENTAZIONE DI SAN GWYNPLAINE
II - DAL PIACEVOLE AL GRAVE
III - LEX, REX, FEX
IV - URSUS SPIA LA POLIZIA
V - BRUTTO POSTO
VI - QUALI MAGISTRATURE C'ERANO SOTTO LE PARRUCCHE DI UN TEMPO
VII - FREMITO
VIII - GEMITO
LIBRO QUINTO
I - SOLIDITÀ DELLE COSE FRAGILI
II - CIO’ CHE ERRA NON SBAGLIA
III - NESSUN UOMO PUO’ ANDARE IMPROVVISAMENTE DALLA SIBERIA AL SENEGAL SENZA PERDERE CONOSCENZA. (Humboldt.)
IV - FASCINAZIONE
V - SI CREDE DI RICORDARE, E SI DIMENTICA
LIBRO SESTO
I - QUELLO CHE DICE IL MISANTROPO
II - QUELLO CHE FA
III - COMPLICAZIONI
IV - MENIBUS SURDIS CAMPANA MUTA
V - LA RAGIONE DELLO STATO LAVORA IN PICCOLO COME IN GRANDE
LIBRO SETTIMO
I - RISVEGLIO
II - SOMIGLIANZA DI UN PALAZZO CON UN BOSCO
III - EVA
IV - SATANA
V - SI RICONOSCONO, MA NON SI CONOSCONO
LIBRO OTTAVO
I - DISSEZIONE DI COSE MAESTOSE
II - IMPARZIALITÀ
III - LA VECCHIA SALA
IV - LA VECCHIA CAMERA
V - DISCORSI ALTERI
VI - L’ALTA E LA BASSA
VII - LE TEMPESTE DEGLI UOMINI SONO PEGGIORI DI QUELLE DEGLI OCEANI
VIII - SAREBBE UN BUON FRATELLO SE NON FOSSE UN BUON FIGLIO
LIBRO NONO
I - È ATTRAVERSO L'ESTREMA GRANDEZZA CHE SI ARRIVA ALL’ESTREMA MISERIA
II - RESIDUO
CONCLUSIONE
I - UN CANE PUO’ ESSERE UN ANGELO CUSTODE
II - BARKILPHEDRO HA MIRATO ALL'AQUILA E HA FERITO LA COLOMBA
III - IL PARADISO IN TERRA
IV - NO. LASSU’
RECITAR LEGGENDO EDIZIONI
Note
Colophon
Victor Hugo
L’uomo che ride
ebook (edizione integrale)
traduzione a cura di Claudio Carini
Recitar Leggendo Edizioni
©2023 audiolibro - ©2023 e-book - Diritti riservati
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata
RECITAR LEGGENDO EDIZIONI
www.recitarleggendo.it
ISBN ebook: 978-88-31372-38-1
La versione in audiolibro di questo testo può essere reperita presso:
L'uomo che ride (recitarleggendo.it)
PRESENTAZIONE
Recitar Leggendo Audiolibri è una iniziativa editoriale indipendente nata nel 2004 e curata da Claudio Carini, attore di prosa con oltre quarant’anni di esperienza nel campo della lettura ad alta voce.
Da questa vasta esperienza nasce la linea editoriale della Casa Editrice, prevalentemente dedicata ai grandi classici: Ariosto, Dante, Boccaccio, Petrarca, Leopardi, Omero, oltre a quei moderni che sono ormai anch'essi dei grandi classici, come Calvino, Verga, Svevo, Pirandello.
Con lo scopo di diffondere ulteriormente le opere immortali dei grandi classici, e per dare la possibilità di seguire il testo durante l’ascolto del relativo audiolibro, Recitar Leggendo ha avviato una collana di ebook le cui traduzioni sono pensate per la lettura ad alta voce. Tutti i testi della collana ebook, infatti, sono disponibili anche in audiolibro, sia in formato CDmp3 (nelle migliori librerie) che in formato download (scaricabile dai più importanti portali di audiolibri).
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Victor Hugo
breve biografia
Victor Marie Hugo (Besançon, 1802 – Parigi, 1885) è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo francese, considerato il padre del Romanticismo in Francia. Frequentò il Politecnico dal 1815 al 1818, ma ben presto abbandonò gli studi tecnici per dedicarsi alla letteratura. Nel 1822 sposò Adèle Foucher, una sua amica d'infanzia; dal loro matrimonio nacquero cinque figli. Nel 1831 pubblicò il romanzo Nôtre-Dame de Paris
, accolto da un immediato e grande successo. Nel 1841 venne ammesso all'Académie Française. Nel 1845 una tragedia familiare, unita all'insuccesso del suo lavoro teatrale I Burgravi
gli causò una grave depressione che lo tenne lontano dal mondo letterario per dieci anni. In quel periodo venne nominato Pari di Francia dal re Luigi Filippo d'Orléans. Nel 1848 entrò a far parte, come deputato, dell'Assemblea Costituente, ma il colpo di stato che nel 1851 portò al potere Napoleone III lo costrinse a fuggire in esilio. Andò inizialmente a Bruxelles, poi nell'isola di Jersey e infine a Guernsey, rifiutando l'amnistia proclamata dall'imperatore. Scrive in questo periodo le sue opere più importanti, tra le quali: I miserabili
del 1862, L'uomo che ride
del 1869. Dopo la caduta di Napoleone III e l'instaurazione della Terza Repubblica Francese, nel 1870 poté rientrare in patria. Riprese la produzione letteraria con il romanzo Novantatré
(1874), Il Papa
(1878) e Torquemada
(1882), un'opera sul fanatismo dell’Inquisizione. Nel 1876 ritornò a far parte del Senato. Nel 1878 fu colpito da una congestione cerebrale. Morì il 22 maggio 1885. Ai suoi funerali intervennero circa tre milioni di persone.
SINOSSI
Chi sono i veri mostri?
Questa è la domanda che sembra porsi Victor Hugo scrivendo il suo capolavoro L’uomo che ride
pubblicato nel 1869. La storia ruota intorno a Gwynplaine, un uomo condannato a una eterna risata, causata da una mutilazione subita in giovanissima età.
Considerato da tutti un mostro umano
, emarginato dalla società a causa della sua diversità fisica, si guadagnerà da vivere come attrazione
in un circo ambulante di saltimbanchi. Il tema centrale dell’opera è la critica spietata all’aristocrazia e all’egoismo della classe nobiliare inglese dell’epoca. Con questo romanzo, Victor Hugo realizza il paradosso di uno scrittore francese che riesce a descrivere, forse meglio di un inglese, tutte le ingiustizie sociali dell’Inghilterra tra la fine del '600 e l’inizio del '700. L’uomo che ride
è molto più di un romanzo: è una straordinaria lezione di storia, geografia, sociologia e politica, all’interno di un’opera visionaria, intensa e commovente, satura di tinte gotiche, cupe e tenebrose, nella quale si esplorano temi universali come l'identità, l'amore e la giustizia sociale.
PARTE PRIMA
IL MARE E LA NOTTE
DUE CAPITOLI PRELIMINARI
I - URSUS
I
Ursus e Homo erano grandi amici. Ursus era un uomo, Homo era un lupo. Le loro nature erano ben assortite. L'uomo aveva battezzato il lupo. E probabilmente aveva scelto da solo anche il nome per sé stesso: se Ursus andava bene per lui, pensò che Homo sarebbe andato bene per la bestia. L'alleanza tra l'uomo e il lupo dava i suoi frutti nelle fiere, nelle feste paesane, agli angoli delle strade, dove si ferma la gente per soddisfare il bisogno che ha il popolo di stare a sentire frottole e comprare pomate miracolose dai ciarlatani. Quel lupo, docile e obbediente, piaceva alla folla che ama particolarmente vedere la ferocia sottomessa; noi godiamo infinitamente nel vederci sfilare davanti tutte le varietà delle specie addomesticate. Ecco perché tanta gente accorre a vedere quando passano i cortei reali.
Ursus e Homo andavano da un crocicchio all’altro, dalle piazze pubbliche di Aberystwith a quelle di Yeddburg, di paese in paese, di contea in contea, di città in città. Quando un mercato non fruttava più nulla, se ne cercavano un altro. Ursus viveva in una baracca a due ruote che Homo, opportunamente addestrato, tirava durante il giorno, e di notte vi faceva la guardia. Lungo le strade difficili, nelle salite, quando c’erano delle interruzioni o erano troppo fangose, l'uomo si metteva la cinghia al collo e tirava fraternamente di fianco al lupo. Così erano invecchiati insieme. Si accampavano dove capitava, in un campo incolto, in una radura, vicino a un crocicchio, all'entrata dei casolari, alle porte di un borgo, dentro i mercati, sui viali pubblici, lungo i parchi o sui sagrati delle chiese. Quando la carretta si fermava dove c'era una fiera, le comari accorrevano a bocca aperta e i curiosi facevano capannello. Allora, Ursus arringava, Homo approvava. Poi Homo, con una ciotola in bocca, faceva educatamente la questua tra i presenti. Si guadagnavano così da vivere. Il lupo era un letterato e anche l’uomo. Il lupo era stato addestrato dall’uomo, o aveva imparato da solo certe gentilezze da lupo che contribuivano all'incasso. E soprattutto bada a non degenerare in uomo.
gli diceva il suo amico.
Il lupo non mordeva mai, l'uomo qualche volta. O quanto meno Ursus avrebbe voluto. Ursus era un misantropo che per dare risalto alla sua misantropia era diventato un saltimbanco. Lo era diventato anche per vivere, s’intende, perché lo stomaco ha le sue leggi. Inoltre, questo saltimbanco misantropo, per aggiunta o per completare la cosa, era medico. Ma non solo, Ursus era anche ventriloquo. Lo udivi parlare, ma non vedevi le labbra muoversi. Imitava l’accento e la pronuncia del primo che gli capitava davanti, tanto che poteva essere scambiato con l’originale. Era capace di imitare il mormorio della folla solo con la sua voce, meritandosi così il titolo di engastrimita . E lui se ne vantava. Sapeva imitare tutti gli uccelli: il tordo, la capinera, l’allodola stridente, detta anche monachina, il merlo dal petto bianco, tutti viaggiatori come lui; tanto che in certi momenti, a suo piacere, vi faceva credere di essere in una piazza affollata di persone, oppure in un prato pieno di voci di animali; a volte era burrascoso come una moltitudine, a volte ingenuo e sereno come l'alba. Del resto, queste virtù, seppur rare, non sono introvabili. Nel secolo scorso un certo Touzel, il quale era in grado di imitare un'intera babele di uomini e animali contemporaneamente, e capace di riprodurre il verso degli animali, era al seguito di Buffon in qualità di serraglio. Ursus era intelligente, bizzarro e curioso. Spacciava con apparente semplicità e buona fede ogni tipo di favola o cosa incredibile. Dava l'impressione di crederci. Questa sfacciataggine faceva parte della sua malizia. Leggere la mano agli sciocchi, aprire un libro a caso e trarne chissà quale auspicio, sentenziare, mettere in guardia dall’incontrare una cavalla nera, diffidare del saluto di uno sconosciuto se si sta per intraprendere un viaggio, tutto questo, per lui, significava essere un mercante di superstizioni
. Diceva spesso: La differenza tra me e l'arcivescovo di Canterbury consiste nel fatto che io non nego di essere quello che sono
. Per questo un giorno l'arcivescovo, giustamente sdegnato, lo mandò a chiamare; ma Ursus, furbo, calmò Sua Grazia recitandogli un sermone che aveva scritto sul santo giorno di Natale e che l'arcivescovo, incantato, prima imparò a memoria, poi declamò dal pulpito e infine pubblicò come opera sua. E a questo prezzo Ursus fu perdonato.
Come medico, o forse proprio perché non lo era, Ursus riusciva a guarire la gente. Conosceva le erbe aromatiche e quelle medicinali. Era capace di sfruttare le virtù nascoste di una quantità di erbe che normalmente venivano disprezzate, come l’olivello pendulo, la frangola bianca, la brionia, la lantana, l'alaterno, il viburno, il prugnolino.
Curava la tisi con la ros solis ; si valeva delle foglie di euforbia che, strappate dal basso sono lassative, prese in alto, invece, favoriscono il vomito; vi toglieva il mal di gola con un’escrescenza vegetale detta orecchio di Giuda ; sapeva qual è il giunco che guarisce il bue, la menta che serve per il cavallo; conosceva la bellezza e la bontà della mandragola che, come tutti sanno, è uomo e donna. Aveva molte ricette. Guariva le scottature con lana di salamandra, di cui Nerone aveva una salvietta, come riporta Plinio. Ursus possedeva una storta e un matraccio; praticava la trasmutazione; vendeva panacee. Raccontavano che una volta, in passato, fosse stato rinchiuso per un periodo a Bedlam, e che gli avessero fatto l’onore di scambiarlo per pazzo, ma che poi l’avessero lasciato andare accorgendosi che era solo un poeta. Probabilmente questa storia non era vera; abbiamo tutti simili leggende e siamo costretti a subirle.
La verità è che Ursus era un saggio, un uomo di gusto e un vecchio poeta latino. Era dotto in due specialità: quella di Ippocrate e quella di Pindaro. In fatto di eloquenza avrebbe potuto gareggiare con Rapin e con Vida e avrebbe potuto comporre tragedie gesuitiche alla pari con Padre Bouhours.
Dalla sua familiarità con gli antichi metri e ritmi ricavava immagini tutte sue e un’intera famiglia di metafore classiche. Se vedeva una madre con le sue due figlie davanti, diceva: è un dattilo , se vedeva un padre seguito da due figli: è un anapesto , e se vedeva un bambino che camminava tra il nonno e la nonna diceva: è un anfimacro . Tanta scienza non poteva che portare alla fame. La scuola di Salerno dice: Mangiate poco e spesso
. Ursus mangiava poco e di rado; obbediva così a una metà del precetto e disobbediva all’altra. Ma la colpa era del pubblico che non accorreva sempre numeroso e non sempre aveva voglia di spendere. Ursus diceva: Sputare sentenze rende leggeri. Il lupo si conforta ululando, la pecora si consola con la lana, la foresta con la capinera, la donna con l’amore e il filosofo con l’epifonema
. All’occorrenza, per vendere più facilmente le sue misture miracolose, Ursus si inventava delle commedie che poi recitava alla meglio. Fra le altre cose aveva composto una pastorale eroica in onore del cavaliere Hugh Middleton che, nel 1608, aveva portato a Londra un corso d'acqua che se ne stava tranquillo nella contea di Hartford, a sessanta miglia da Londra; il cavaliere Middleton andò e se lo prese; portò con sé una brigata di seicento uomini armati di pale e di zappe e si mise a smuovere la terra, qui scavando, qui sollevando, ora a trenta piedi di altezza ora a trenta di profondità; costruì acquedotti pensili di legno, e qua e là ottocento ponti in pietra, mattoni e assi, e una bella mattina il fiume entrò a Londra, che mancava d'acqua. Ursus trasformò tutti questi banali dettagli in una bella bucolica tra il fiume Tamigi e l'affluente Serpentine; il Tamigi la invitava offrendole il suo letto, dicendo: Sono troppo vecchio ormai per piacere alle donne, ma sono abbastanza ricco per pagarle
. Un giro di parole ingegnoso e galante per dire che sir Hugh Middleton aveva fatto tutti quei lavori a sue spese.
Ursus era notevole nel soliloquio. Selvaggio e chiacchierone per natura, non desiderando vedere gente, sentiva però il bisogno di parlare con qualcuno, e aveva finito col parlare a sé stesso. Chiunque abbia vissuto da solo sa bene quanto sia normale parlare con sé stesso. La parola interiore prude. Arringare lo spazio è uno sfogo. Parlare ad alta voce tra sé e sé è come parlare col Dio che è in noi. Così, come tutti sanno, era solito fare Socrate; perorava sé stesso. E così anche Lutero. Ursus apparteneva alla schiera di questi grandi uomini. Aveva la facoltà ermafrodita di essere il proprio uditorio. Si interrogava e si rispondeva; si glorificava e si insultava. Dalla strada si potevano udire i monologhi che faceva standosene nella sua baracca. La gente, che ha un modo tutto suo di valutare gli uomini d’ingegno, diceva: è un idiota. Come abbiamo detto, qualche volta si ingiuriava da solo, ma c'erano anche dei momenti in cui proclamava il proprio valore. Un giorno, durante uno di questi discorsi che teneva a sé stesso, lo sentirono esclamare: Ho studiato i vegetali in tutti i loro misteri, nello stelo, nella gemma, nel sepalo, nel petalo, nello stame, nel carpello, nell'ovulo, nella teca, nello sporangio e nell'apotecio. Ho studiato a fondo la cromatologia, l'osmologia e la chimologia, vale a dire la formazione del colore, dell’odore e del sapore
. In questi attestati che Ursus rilasciava a sé stesso c’era, indubbiamente, qualcosa di frivolo, ma getti la prima pietra solo chi non ha approfondito la cromatologia, l'osmologia e la chimologia.
Per fortuna, Ursus non era mai stato nei Paesi Bassi. Lì certamente l’avrebbero voluto pesare per sapere se il suo peso era normale, perché se il suo peso fosse stato superiore o inferiore a quello di un uomo normale, sicuramente lo avrebbero classificato tra gli stregoni. In Olanda il peso giusto era saggiamente fissato dalla legge. Niente di più semplice e ingegnoso. Si trattava di una verifica. Vi mettevano su una bilancia e se rompevate l'equilibrio, la verità veniva a galla: se eravate troppo pesante, vi impiccavano; se troppo leggero, vi bruciavano. Ancor oggi a Oudewater si può vedere la bilancia che serviva per pesare gli stregoni, ma ora viene adoperata per pesare i formaggi, tanto la religione è degenerata! Ursus sicuramente avrebbe avuto qualche problema con quella bilancia. Ma durante i suoi viaggi si tenne alla larga dall'Olanda, e fece bene. Del resto, crediamo che non sia mai uscito dalla Gran Bretagna.
Comunque, poverissimo e con un carattere particolarmente burbero, dopo aver incontrato Homo in un bosco, aveva preso gusto alla vita errante. Aveva preso il lupo in società e se n'era andato con lui per le strade, all'aria aperta, vivendo la gran vita della ventura. Era molto scaltro e industrioso, e poi era un maestro nel curare, operare, guarire e fare cose meravigliose; era considerato un ottimo saltimbanco e un buon medico; naturalmente, aveva fama di essere anche un buon mago, ma solo un po', non troppo, perché a quei tempi non era consigliabile essere creduti amici del diavolo. A dire la verità, Ursus, per la passione della farmacia e l’affetto delle piazze affrontava il pericolo, andando spesso a cogliere erbe nei posti selvatici dove ci sono le erbe di Lucifero, e dove si rischia, come è capitato al consigliere De l'Ancre, di incontrare nella nebbia della sera un uomo che esce da terra cieco dall'occhio destro, senza mantello, con la spada al fianco, a piedi nudi e scalzo
. Del resto, Ursus, sebbene bizzarro nei modi e nel temperamento, era troppo onesto per attirare o respingere la grandine, far apparire delle facce, uccidere un uomo con il tormento del ballo eccessivo, suggerire sogni lieti o malinconici o paurosi, far nascere galli con quattro ali. Non era capace di simili cattiverie. Era incapace di cose abominevoli, come, per esempio, parlare in tedesco, in ebraico o in greco, senza aver studiato queste lingue, segno di esecrabile scelleratezza o di malattia causata da un qualche umore melanconico. Se Ursus parlava il latino era perché lo sapeva. Non avrebbe mai osato parlare siriaco, visto che non lo conosceva, anche perché è accertato che il siriaco è la lingua adoperata nei sabba. In medicina preferiva giustamente Galeno a Cardano perché quest’ultimo, per quanto saggio, era un lombrico in confronto a Galeno.
Insomma, la polizia non infastidiva mai Ursus. La sua baracca era abbastanza larga e lunga da potersi sdraiare sopra una cassa, dove teneva le sue masserizie. Possedeva una lanterna, diverse parrucche e vari attrezzi appesi ai chiodi, tra cui alcuni strumenti musicali. Inoltre, possedeva una pelle d’orso della quale si ammantava nei giorni delle grandi recite; lo chiamava mettersi in costume. Diceva: " Io ho due pelli; questa è quella vera" , e mostrava la pelle d'orso. Quel trabiccolo con le ruote era suo e del lupo. Oltre alla carretta, alla storta e al lupo, aveva un flauto e una viola da gamba che era capace di suonare in modo abbastanza gradevole. Si fabbricava da solo i suoi elisir, e con tutte queste sue abilità riusciva qualche volta a guadagnarsi di che mangiare la sera. Nel palchetto in alto nella baracca c’era un buco dal quale passava il tubo della stufa di ferro fuso, così vicino alla cassapanca da bruciacchiarne il legno. La stufa aveva due scomparti; in uno metteva a cuocere le alchimie, nell'altro le patate. Di notte il lupo dormiva sotto la carretta, amichevolmente incatenato. Homo era di pelo nero, Ursus di pelo grigio; Ursus aveva cinquant'anni, a meno che non ne avesse sessanta. Accettava a tal punto il destino che, come dicevamo, mangiava patate, immondizia che allora si dava in pasto solo ai porci e ai galeotti. Le mangiava indignato e rassegnato. Non era alto, era lungo. Era curvo e melanconico. La figura china del vecchio rappresenta l’oppressione della vita. La natura lo aveva voluto triste. Non sorrideva quasi mai e non era mai riuscito a piangere. Gli mancavano la consolazione delle lacrime e il sollievo della gioia. Un vecchio è una rovina che pensa; Ursus era quella rovina. Una loquacità da ciarlatano, una magrezza da profeta, una irascibilità da mina carica, questo era Ursus. Da giovane aveva vissuto come filosofo in casa di un lord. Queste cose accadevano centottanta anni fa, quando gli uomini erano un po' più lupi di quanto non siano oggi.
Non molto di più.
II
Homo non era un lupo qualunque. A giudicare dall’appetito che aveva di nespole o mele, l’avresti scambiato per un lupo di prateria, dal pelo scuro per un licaone; dall'ululato che si trasformava in una sorta di latrato potevi scambiarlo per un cane selvatico; ma la pupilla del cane selvatico non è stata ancora studiata così bene da essere sicuri che non si tratti di una volpe; Homo, invece, era un vero lupo. Era lungo cinque piedi, una bella lunghezza per un lupo, anche in Lituania; era molto forte, aveva lo sguardo obliquo (questo non era colpa sua); la sua lingua era morbida, e a volte se ne serviva per leccare Ursus; aveva come una spazzola di peli corti sopra la spina dorsale, ed era abbastanza magro, quella magrezza che dà la foresta. Prima di conoscere Ursus e di dover tirare un carretto, si faceva allegramente fino a quaranta leghe per notte. Ursus lo aveva incontrato in una boscaglia, vicino a un ruscello d'acqua sorgiva, e lo aveva subito ammirato vedendolo pescare dei granchi con molta saggezza e prudenza, salutando in lui l'autentico e genuino lupo Koupara, detto cane granchiaio.
Come bestia da soma Ursus preferiva Homo a un asino. Avrebbe trovato ripugnante far tirare la sua baracca da un somaro. Anche perché aveva notato che l'asino, bestia meditabonda non molto apprezzata dagli uomini, a volte drizza le orecchie in modo inquietante se sente che un filosofo dice delle sciocchezze. Nella vita, tra noi e i nostri pensieri, un asino è il terzo incomodo. Come amico, poi, Ursus preferiva Homo a un cane, giudicando che l’amicizia del lupo per l’uomo venga da più lontano.
Per questo Homo bastava a Ursus. Homo era più che un compagno per lui, era un suo pari. Ursus gli batteva la mano sui fianchi scarni, dicendo: – Ho trovato la mia anima gemella »
Diceva anche: – Quando sarò morto, se vorrete conoscermi, basterà studiare Homo. Lo lascerò come mia copia conforme.
La legge inglese, non molto tenera con gli animali dei boschi, avrebbe potuto creare dei fastidi al lupo, trovando da ridire sulla sua abitudine temeraria di entrare e uscire dalle città; ma Homo godeva dell'immunità concessa agli animali domestici da uno statuto di Edoardo IV: – Ogni animale che segua il suo padrone, potrà andare e venire liberamente ». Inoltre, una certa tolleranza verso i lupi era il risultato della moda delle donne di corte, sotto gli ultimi Stuart, di tenere come cani dei piccoli lupi corsacchi , detti adives , grandi come gatti, che facevano venire dall’Asia a caro prezzo.
Ursus aveva trasmesso a Homo una parte delle sue abilità: tenersi dritto in piedi, ridurre la collera a cattivo umore, brontolare invece di ululare, e così via; ma anche il lupo aveva insegnato all'uomo quello che sapeva: vivere senza una casa, senza pane, senza fuoco, e preferire la fame in un bosco alla schiavitù in un palazzo.
La baracca, una specie di carrozzone ambulante che aveva battuto tutte le strade senza mai lasciare l'Inghilterra e la Scozia, aveva quattro ruote, due stanghe per il lupo e un bilancino per l'uomo. Il bilancino era un espediente per le strade mal messe. La baracca era solida, per quanto fosse fatta di assi leggere, come una piccionaia. Sul davanti aveva una porta a vetri con un balconcino dove Homo arringava, e sul dietro una porta di legno con un finestrino. L’ingresso era dalla porta posteriore, calando una predella di tre scalini fissata con una cerniera. Di notte la baracca era ben chiusa con chiavistelli e serrature. Il tetto di quella baracca doveva aver visto chissà quante piogge e nevi; era verniciato, ma non si sapeva più di quale colore, perché il succedersi delle stagioni è per le carrette un po' come il succedersi dei regni per i cortigiani. Fuori, sul davanti, sopra una tavoletta, sopra un'asse messa come frontone, una volta era possibile leggere questa iscrizione a caratteri neri su fondo bianco, che a poco a poco si erano mescolati e confusi: A causa dello sfregamento l’oro perde annualmente un millequattrocentesimo del suo volume; lo chiamano il
calo; ne consegue che sui millequattrocentomilioni d'oro che in un anno circolano nel mondo, uno va perso. Quest'unico milione se ne va in polvere, vola via, fluttua, diventa atomo, lo possiamo respirare, carica, dosa e zavorra le coscienze, appesantendole e si amalgama con l'anima dei ricchi che rende superbi, e con l'anima dei poveri che rende feroci
.
La scritta, rovinata e cancellata dalla pioggia e dalla bontà della Provvidenza, per fortuna era illeggibile, altrimenti questa filosofia, enigmatica e trasparente, difficilmente sarebbe piaciuta a sceriffi, prevosti, marescialli e altri parrucconi della legge.
A quei tempi il diritto inglese non scherzava affatto. Bastava poco per essere accusati di tradimento. I magistrati si mostravano spietati per tradizione, ed era normale mostrarsi crudeli. I giudici dell’Inquisizione pullulavano. Jeffrys aveva figliato.
III
Dentro la baracca c’erano altre due iscrizioni. Sopra la cassapanca, sulla parete di assi intonacate, una mano aveva scritto con l'inchiostro:
SOLE COSE IMPORTANTI DA SAPERE
– Il barone pari d'Inghilterra porta una corona con sei perle.
– La corona inizia dal visconte.
– Il visconte porta una corona con innumerevoli perle, il conte una corona di perle su punte intrecciate con foglie di fragola poste meno in alto; il marchese porta perle e foglie alla stessa altezza; il duca, ha dei fioretti ma non le perle; il duca reale ha un cerchio di croci e gigli; il principe di Galles invece una corona simile a quella del re, ma non chiusa.
– Il duca è principe altissimo e potentissimo ; il marchese e il conte nobilissimo e potente sig nore ; il visconte è signore nobile e potente ; il barone, vero signore .
– Il duca è grazia ; gli altri pari sono signoria .
– I lord sono inviolabili.
– I pari sono camera e corte, concilium et curia , legislatura e giustizia.
– Most honourable è più di right honourable v .
– I lord sono qualificati – lord di diritto»; i lord non pari sono – lord di cortesia; solo i pari sono lord.
– Il lord non presta mai giuramento, né al re, né in giudizio. È sufficiente la sua parola. Egli dice: sul mio onore .
– I comuni, che rappresentano il popolo, convocati davanti ai lord, si presentano umilmente a capo scoperto, di fronte ai pari a capo coperto.
– I comuni mandano ai lord i bills per quaranta membri della camera, che presentano i bills con tre profondi inchini.
– I lord inviano ai comuni i loro progetti di legge accompagnati da un semplice messo.
– In caso di conflitto le due camere conferiscono nella camera dipinta, i pari seduti e a capo coperto, i comuni in piedi e a capo nudo.
– Secondo una legge di Edoardo VI, i lord godono del privilegio di omicidio semplice. Un lord che uccida solo un uomo non è perseguito.
– I baroni hanno lo stesso rango dei vescovi.
– Per essere un barone pari bisogna dipendere dal re per baroniam integram , per baronia intera.
– Una baronia intera consta di tredici feudi nobili e un quarto, ed essendo ogni feudo nobile valutato venti sterline, il totale ammonta a quattrocento marchi.
– Il capo della baronia, caput baroniae , è un castello retto ereditariamente come la stessa Inghilterra; vale a dire non può essere devoluto alle femmine, se non in caso di mancanza di eredi maschi, e in tal caso passa alla figlia maggiore, coeteris filiabus aliunde satisfactis .
– I baroni hanno la qualifica di lord , dal sassone laford , dal latino classico dominus e dal basso latino lordus .
– I primogeniti e i cadetti dei visconti e dei baroni sono i primi scudieri del regno.
– I primogeniti dei pari hanno la precedenza sui cavalieri della Giarrettiera; i cadetti no.
– Il primogenito di un visconte precede tutti i baronetti e segue tutti i baroni.
– Ogni figlia di lord è lady . Le altre ragazze inglesi sono miss .
– Tutti i giudici sono inferiori a un pari. Il sergente ha un cappuccio di pelle d'agnello; il giudice ne ha uno di minutaglia varia, de minuto vario , composta di pelliccette bianche di ogni sorta escluso l’ermellino. L'ermellino è riservato ai pari e al re.
– Non si concede il supplicavit contro un lord.
– Un lord non può essere imprigionato. Tranne quando è prevista la Torre di Londra.
– Un lord invitato dal re ha diritto di uccidere un daino o due nel parco reale.
– Il lord tiene nel suo castello corte baronale.
– È indegno di un lord camminare per le strade indossando un mantello e seguito da due soli lacchè. È tenuto a uscire sempre con un gran codazzo di gentiluomini e domestici.
– I pari vanno in parlamento formando un corteo di carrozze; i comuni no. Alcuni pari vanno a Westminster in calesse scoperto a quattro ruote. Siffatti calessi fregiati e coronati sono appannaggio dei lord e fanno parte della loro dignità.
– Un lord può essere multato solo da un altro lord e mai più di cinque scellini, eccetto il duca che può pagarne fino a dieci.
– Un lord può tenere presso di sé sei forestieri. Ogni altro inglese non può ospitarne che quattro.
– Un lord può possedere otto botti di vino senza pagare tasse.
– Soltanto un lord è esentato dal presentarsi davanti allo sceriffo del circondario.
– Un lord non può essere tassato per la milizia.
– Se un lord lo desidera può arruolare un reggimento e farne dono al re, così fanno le loro grazie il duca di Athol, il duca di Hamilton e il duca di Northumberland.
– Il lord non dipende che dai lord.
– Se tra i giudici di un processo civile non è presente almeno un cavaliere, il lord può chiedere il rinvio della causa.
– Spetta al lord nominare i suoi cappellani.
– Un barone nomina tre cappellani; un visconte, quattro; un conte e un marchese, cinque; un duca, sei.
– Un lord non può essere messo alla tortura, neppure per alto tradimento.
– Il lord non può essere bollato sulla mano.
– Il lord è un letterato, anche se non sa leggere. Lo è di diritto.
– Un duca si fa accompagnare con un baldacchino dovunque non ci sia il re; un visconte ha un baldacchino in casa; un barone ha il coperchio d'assaggio e se lo fa tenere sotto la coppa quando beve; in presenza di una viscontessa, una baronessa ha il diritto di farsi reggere lo strascico da un uomo.
– Ottantasei lord o primogeniti di lord, presiedono alle ottantasei tavole di cinquecento coperti ciascuna, servite ogni giorno a Sua Maestà nel suo palazzo a spese della regione dove si trova la residenza reale.
– Un plebeo che colpisce un lord è soggetto al taglio della mano.
– Un lord è quasi re.
– Il re è quasi Dio.
– La terra è una lordship .
– Gli inglesi chiamano Dio my lord .
Di fronte a questa scritta ce n'era un'altra del medesimo tenore, eccola:
SODDISFAZIONI CHE DEVONO BASTARE
A CHI NON HA NIENTE
– Henry Auverquerque, conte di Grantham, che siede alla camera dei lord tra il conte di Jersey e il conte di Greenwich, possiede una rendita di centomila sterline. A sua signoria appartiene il marmoreo palazzo di Grantham-Terrace, tutto costruito in marmo e famoso per quello che chiamano il labirinto dei corridoi, un vero capriccio che contiene il corridoio carnato in marmo di Sarancolin, il corridoio bruno in lumachella di Astracan, il corridoio bianco in marmo di Lani, il corridoio nero in marmo d'Alabanda, il corridoio grigio in marmo di Staremma, il corridoio giallo in marmo di Hesse, il verde in marmo del Tirolo, il corridoio rosso metà sreziato di Boemia e metà in lumachella di Cardona, il corridoio blu in turchino di Genova, il corridoio viola in granito di Catalogna, il corridoio la gramaglia venato di bianco e nero, in scisto di Murviedro, il corridoio rosa in cipollino delle Alpi, il corridoio color perla in lumachella di Nonette, e il corridoio di tutti i colori, detto corridoio cortigiano, in breccia arlecchina.
– Richard Lowther, visconte Lonsdale, possiede Lowther, nel Westmoreland, dall'accesso sfarzoso, con una scalinata che sembra un invito a entrare.
– Richard, conte di Scarborough, visconte e barone di Lumley, visconte di Waterford in Irlanda, lord-luogotenente e viceammiraglio della contea di Northumberland e di Durham, città e contea, possiede la doppia castellania di Stansted, quella antica e quella moderna, dove si ammira una superba cancellata a semicerchio che circonda una vasca dall'incomparabile getto d'acqua. Inoltre, possiede un castello a Lumley.
– Robert Darcy, conte di Holderness, possiede il dominio di Holderness, con torri baronali e giardini infiniti alla francese dove passeggia sulla sua carrozza a sei cavalli, preceduto da due scudieri, come si conviene a un pari d'Inghilterra.
– Charles Beauclerk, duca di Saint-Albans, conte di Burford, barone Heddington, gran falconiere d'Inghilterra, possiede un palazzo a Windsor, accanto a quello del re.
– Charles Bodville, lord Robartes, barone Truro, visconte Bodmyn, possiede Wimple a Cambridge, formato da tre palazzi con tre frontespizi, uno ad arco e due triangolari. L’ingresso ha un viale fiancheggiato da quattro file d'alberi.
– Il nobilissimo e potentissimo lord Philippe Herbert, visconte di Caërdif, conte di Montgomeri, conte di Pembroke, signore e pari inesorabile di Candall, Marmion, Saint-Quentin, e Churland, curatore delle miniere di stagno delle contee di Cornovaglia e di Davon, visitatore per diritto ereditario del collegio di Gesù, possiede il meraviglioso giardino di Willton, dove sono due vasche a getti, più belle di quelle che il cristianissimo re Luigi quattordicesimo aveva a Versailles.
– Charles Seymour, duca di Somerset, possiede Somerset-House sul Tamigi, che può essere paragonata a villa Pamphili a Roma. Sul gran camino ci sono due vasi di porcellana della dinastia Yuen, che valgono mezzo milione di franchi francesi.
– Nello Yorkshire, Arthur, lord Ingram, visconte Irwin, possiede Temple-Newsham, dove si entra passando sotto un arco trionfale e i cui larghi tetti piatti ricordano le terrazze moresche.
– Robert, lord Ferrers di Chartley, Bourchier e Lovaine, possiede nel Leicestershire, Stauton Harold, il cui parco a piano geometrico ha la forma di un tempio con frontespizio, e la gran chiesa col campanile quadrato di fronte al laghetto appartiene a Sua Signoria.
– Nella contea di Northampton, Charles Spencer, conte di Sunderland, membro del consiglio privato di sua maestà, possiede Althrop, dove si entra passando per una cancellata a quattro pilastri sormontati da gruppi di marmo.
– Laurence Hyde, conte di Rochester, possiede nel Surrey, New-Parke, splendida per il suo acroterio intagliato, per il prato circolare circondato d’alberi, e le sue foreste, alla cui estremità c’è una piccola collina arrotondata con gusto e sormontata da una grande quercia visibile da lontano.
– Philippe Stanhope, conte di Chesterfield, possiede Bredby, nel Derbyshire, con un superbo padiglione dell'orologio, falconieri, conigliere e bellissimi specchi d’acqua lunghi, quadrati e ovali, uno dei quali a forma di specchio, con due zampilli altissimi.
– Lord Cornwallis, barone di Eye, possiede Brome-Hall, un palazzo del quattordicesimo secolo.
– Il nobilissimo Algernon Capel, visconte Malden, conte d'Essex, possiede Cashiobury nell'Hersfordshire, un castello a forma di grande H, dove si tengono partite di caccia ricche di selvaggina.
– Charles, lord Ossulstone, possiede Dawly, nel Middlesex, a cui si arriva attraverso giardini all'italiana.
– James Cecill, conte di Salisbury, a sette leghe da Londra, possiede Hartfield-House, con quattro padiglioni signorili, la torre campanaria al centro e la corte d'onore, lastricata in bianco e nero come quella di Saint-Germain. Questo palazzo, la cui facciata si stende per duecentosettantadue piedi, è stato costruito sotto Giacomo I dal gran tesoriere d'Inghilterra, bisavolo del conte regnante. Vi si può vedere il letto di una contessa di Salisbury, di valore inestimabile, interamente costruito con quel legno brasiliano specifico contro i morsi dei serpenti, e che viene chiamato milhombres , cioè mille uomini . Sul letto è scritto a lettere d'oro: Honni soit qui mal y pense .
– Edward Rich, conte di Warwick e Holland, possiede Warwik-Castle, nei cui camini vengono bruciate querce intere.
– Nella parrocchia di Seven-Oaks, Charles Sackville, barone Buckhurst, visconte Cranfield, conte di Dorset e Middlesex, possiede Knowle, grande come una città, composta di tre palazzi, allineati uno dietro l'altro come schiere di fanti, con dieci pigne in scala sulla facciata principale, e una porta sotto il cassero a quattro torri.
– Thomas Thynne, visconte Weymouth, barone Varminster, possiede Long-Leate, che ha quasi tanti camini, lanterne, chioschi, garitte, padiglioni e torrette quanti ne ha Chambord in Francia, di proprietà del re.
– Henry Howard, conte di Suffolk, possiede, a dodici leghe da Londra, il palazzo di Audlyene nel Middlesex, che per ampiezza e maestà è di poco inferiore all'Escorial del re di Spagna.
– Nel Bedforshire, Wrest-House-and-Park, che è un intero paese chiuso da fossati e da muraglie, con boschi, corsi d'acqua e colline, appartiene a Henri, marchese di Kent.
– Hampton-Court, nell'Hereford, col possente maschio merlato e un giardino sbarrato da un laghetto che lo separa dalla foresta, è di Thomas, lord Coningsby.
– Grimsthorf, nel Lincolnshire, con la lunga facciata interrotta da alte torrette a palo, i parchi, gli stagni, le fagianerie, le stalle, le radure erbose, i filari di alberi, le passeggiate, gli alberi d’alto fusto, le aiuole con riquadri e losanghe fiorite come grandi tappeti, le praterie per le corse, dove le carrozze fanno un largo giro prima di entrare a palazzo, appartiene a Robert, conte Lindsay, lord ereditario della foresta di Walham.
– Up Parke, nel Sussex, castello quadrato con due padiglioni simmetrici e torre campanaria ai due lati del cortile d'onore, appartiene al molto onorevole Ford, lord Grey, visconte Glendale e conte di Tankarville.
– Newnham Padox, nel Warwickshire, con due vivai quadrangolari e un frontone con una vetrata divisa in quattro parti, appartiene al conte di Denbigh, che è conte di Rheinfelden in Germania.
– Wythame, nella contea di Berk, con il suo giardino alla francese in cui ci sono quattro pergolati ben potati e una grande torre merlata affiancata da due alti bastioni di guerra, appartiene a lord Montague, conte d'Abingdon, che possiede anche Rycott, dove, sulla porta principale c'è scritto: Virtus ariete fortior . [1]
– William Cavendish, duca di Devonshire, possiede sei castelli, fra i quali Chatsworth, che è a due piani, del più bell’ordine greco, e inoltre sua grazia ha il palazzo di Londra, dove c'è un leone che volta il dorso al palazzo del re.
– Il visconte Kinalmeaky, conte di Cork in Irlanda, possiede Burlington-House in Piccadilly, con vasti giardini che si spingono fino ai campi fuori Londra; possiede anche Chiswick dove ha nove magnifici edifici, e infine Londesbourgh, un palazzo recente accanto a uno più vecchio.
– Il duca di Beaufort possiede Chelsea, che comprende due castelli gotici e uno fiorentino; possiede anche Badmington nel Glocester, che è una residenza dalla quale si irradia un gran numero di viali come una stella. Il nobilissimo e potente principe Enrico, duca di Beaufort, è al tempo stesso marchese e conte di Worcester, barone Raglan, barone Power e barone Herbert di Chepstow.
– John Holles, duca di Newcastle e marchese di Clare, possiede Bolsover, che ha un maestoso mastio quadrato, e Haughton nel Nottingham, dove al centro di una vasca si erge una piramide rotonda a imitazione della torre di Babele.
– William, lord Craven, barone Craven di Hampstead, possiede nello Warwickshire la residenza di Comb-Abbey, dove si possono ammirare i più bei giochi d'acqua d'Inghilterra, e due baronie nel Berkshire, Hampstead Marshall, la cui facciata porta incastonate cinque lanterne gotiche, e Asdowne Park, castello in mezzo a un incrocio di strade in una foresta.
– Lord Linnoeus Clancharlie, barone Clancharlie e Hunkerville, marchese di Corleone in Sicilia, deve il suo titolo di pari al castello di Clancharlie, costruito nel 914 da Edoardo I il vecchio
contro i danesi, e possiede inoltre il palazzo di Hunkerville-House a Londra, oltre a quello di Corleone-Lodge a Windsor, senza contare otto castellanie, una a Bruxton, sul Trent, con un diritto sulla cava d'alabastro, e poi Gumdraith, Homble, Moricambe, Trenwardraith, Hell-Kerters, con il suo meraviglioso pozzo, Pillinmore, con le sue torbiere, Reculver vicino all'antica città di Vagnacoe, Vinecaunton sulla montagna Moil-enlli; oltre a diciannove borghi e villaggi con i loro ufficiali giudiziari, e l’intero paese di Pensneth-chase; e tutto l’insieme di queste proprietà fruttano a sua signoria quarantamila sterline di rendita.
I centosettantadue pari che regnano sotto Giacomo II possiedono complessivamente una rendita di un milione e duecentosettantaduemila sterline all'anno, come a dire l'undicesima parte dell’intero reddito dell’Inghilterra.
In margine all’ultimo nome, quello di lord Linnoeus Clancharlie, si leggevano queste parole scritte da Ursus:
" Ribelle; in esilio; beni, castelli e proprietà sotto sequestro. Molto bene" .
IV
Ursus ammirava Homo. Si ammira chi ci sta vicino. È una legge.
Lo stato interno di Ursus era un continuo e sordo furore, quello esterno era il brontolare. Ursus rappresentava il malcontento del creato. La sua natura era quella di opporsi sempre a tutto: prendeva a male parole l’universo intero, non lodava mai niente e nessuno. Le api facevano, sì, il miele, ma questo non le assolveva dalle loro punture, e una rosa sbocciata non assolveva il sole dalla febbre gialla e dal vomito nero. Non è escluso che a quattr’occhi Ursus facesse molti appunti anche a Dio stesso. Diceva: Il diavolo funziona a molla, e il torto di Dio è di averlo fatto scattare
. Approvava solo i prìncipi e aveva un modo tutto suo di applaudirli. Un giorno, Giacomo II donò una lampada d'oro massiccio alla Vergine di una cappella cattolica irlandese, e Ursus, che per caso stava passando tranquillamente di lì con Homo, scoppiò in grida di ammirazione davanti a tutti: - È proprio vero che la santa Vergine ha bisogno di una lampada d'oro più di quanto questi bambini scalzi non abbiano bisogno di scarpe. -
È probabile che queste prove della sua lealtà
e il rispetto che professava per i poteri costituiti contribuissero a far tollerare ai magistrati quella sua vita da vagabondo e quella sua amicizia con un lupo. Qualche volta di sera, cedendo alla sua debolezza nei confronti del suo amico, lasciava che Homo girasse senza catena intorno alla carretta per stirarsi un po' le membra; il lupo era incapace di abusare della fiducia che Ursus riponeva in lui, e in società
, cioè fra gli uomini, si comportava con la discrezione di un cagnolino da compagnia; tuttavia, Ursus, nel timore d'incontrare qualche rappresentante della legge non troppo bendisposto, teneva in catene il buon lupo il più a lungo possibile. Dal punto di vista politico il cartello sull'oro, divenuto ormai indecifrabile e comunque poco intelligibile, non era altro che uno scarabocchio che non dava sospetto. Anche dopo Giacomo II, sotto il regno - rispettabile - di Guglielmo e Maria, nelle piccole città delle contee d’Inghilterra si poteva vedere errare tranquillamente la sua baracca. Percorreva liberamente la Gran Bretagna da un capo all’altro, smerciando i suoi filtri e le sue ampolle; insieme al lupo confezionava i suoi intrugli da medico da strapazzo, e passava facilmente attraverso le maglie della rete della polizia che a quel tempo era tesa per tutta l’Inghilterra per intercettare le bande di nomadi e soprattutto per cogliere al varco i comprachicos
.
Del resto, era giusto così. Ursus non apparteneva ad alcuna banda. Ursus viveva con Ursus; a tu per tu con sé stesso, un luogo dove un lupo ficcava gentilmente il suo muso. Ursus avrebbe voluto essere una creatura dei Caraibi ma non potendo, viveva da solo. Solitario è un diminutivo di selvaggio, accettato dalla civiltà. La vita errante è la più solitaria, ecco perché era sempre in movimento: fermarsi da qualche parte gli sembrava un cedimento. Correva la vita correndo le strade. La vista di una città raddoppiava in lui l’amore per i boschi, per i cespugli e per le grotte. La sua casa era la foresta. Non provava fastidio per il frastuono delle pubbliche piazze, perché in fondo, gli ricordava lo stormire degli alberi. In qualche modo, la folla soddisfa il desiderio del deserto. Quello che non gli piaceva della sua baracca era che avesse porte e finestre che la facevano somigliare a una casa. Il suo ideale sarebbe stato una caverna su quattro ruote, poter viaggiare in una grotta.
Come abbiamo detto, non sorrideva, ma spesso sapeva ridere, un riso amaro. Il sorriso, in certo qual modo, è un accondiscendere, mentre la risata spesso è un rifiuto.
La sua grande occupazione era l’odio verso il genere umano, e questo suo odio era implacabile. Avendo capito che la vita umana è una cosa orribile e che le disgrazie arrivano una dietro l’altra, i re sul popolo, la guerra sui re, la peste sulla guerra, la fame sulla peste, e la stupidità a sovrastare su tutto questo; avendo capito che il solo fatto di esistere rappresenta, di fatto, una sorta di castigo, avendo riconosciuto che la morte non è altro che una liberazione, quando gli portavano un ammalato, lui lo guariva. Aveva cordiali e pozioni per allungare la vita ai vecchi. Rimetteva in piedi gli storpi buttando là battute del tipo: – Eccoti dritto sulle zampe. Possa tu camminare a lungo in questa valle di lacrime! Quando vedeva un povero che stava morendo di fame, gli dava tutti gli spiccioli che aveva, brontolando: Vivi, miserabile! Mangia! Campa a lungo! Non sarò certo io ad abbreviarti la galera
. Poi, fregandosi le mani, diceva: Faccio agli uomini tutto il male che posso
.
La gente, passando, dal finestrino posteriore della baracca poteva leggere questa scritta, scarabocchiata col carbone a lettere maiuscole e visibile anche da fuori: URSUS FILOSOFO.
II - I COMPRACHICOS
I
Qualcuno, oggi, si ricorda più della parola comprachicos
e ne conosce il significato?
I comprachicos, o comprapequeños, erano una orribile e strana setta di nomadi, famosa nel diciassettesimo secolo, dimenticata nel diciottesimo, ignorata ai giorni nostri. I comprachicos sono come la polvere delle successioni, sono un dettaglio tipico della società antica, una macchia dell’antica bruttura umana. Dal punto di vista storico nel suo complesso, i comprachicos si ricollegano all’immenso fenomeno della schiavitù. Giuseppe venduto dai fratelli è un capitolo di questa leggenda. I comprachicos hanno lasciato varie tracce nelle legislazioni penali spagnole e inglesi. Qua e là, nell'oscura confusione delle leggi inglesi, si trova ancora l'impronta di questo fatto mostruoso, come quella di un selvaggio nella foresta.
Comprachicos, come pure comprapequeños, è un vocabolo composto spagnolo, che significa mercanti di bambini
.
I comprachicos facevano traffico di bambini. Li compravano e li vendevano. Non li rapivano. Il furto dei bambini è una specialità diversa.
Cosa ne facevano?
Ne facevano dei mostri.
Perché?
Per far ridere.
Il popolo ha bisogno di ridere, e anche i re. Ai crocevia troviamo i saltimbanchi, nelle corti i buffoni. Uno si chiama Turlupin, l'altro Triboulet.
Gli sforzi che l'uomo fa per procurarsi un po' di allegria qualche volta sono degni dell'attenzione del filosofo.
Cosa vogliamo abbozzare in queste poche pagine preliminari? Un capitolo del più tremendo dei libri, che potrebbe intitolarsi: Sfruttamento degli infelici da parte dei fortunati .
II
Che un bambino sia destinato a essere un giocattolo per gli uomini, si è visto in passato e si vede anche ai giorni nostri. Nelle epoche primitive e feroci, il ridurre dei bambini a giocattoli è un’attività particolare. Una di queste epoche fu il diciassettesimo secolo, detto, in Francia, il gran secolo. Un secolo assai bizantino; fu ingenuamente corrotto e ferocemente delicato, curiose varianti della civilizzazione. Madame de Sevigné fa la svenevole a proposito del rogo e del supplizio della ruota. Quel secolo sfruttò molto i bambini; gli storici che lo hanno adulato hanno nascosto la piaga, ma hanno lasciato vedere il rimedio: Vincent de Paul.
Per fare bene un uomo giocattolo bisogna prenderlo per tempo. Il nano bisogna cominciarlo da piccolo. Si trastullavano con l'infanzia. Ma un bambino diritto non è molto divertente. Un gobbo fa più allegria.
Da qui, un'arte. C'erano degli allevatori. Di un uomo ne facevano un aborto; prendevano un volto e ne facevano un grugno. Stravolgevano la crescita, rimodellavano le fisionomie. La produzione artificiale di casi teratologici aveva le sue regole. Era una vera e propria scienza. Immaginatevi un’ortopedia a rovescio. Dove Dio ha creato uno sguardo, quest'arte metteva lo strabismo. Dove Dio ha creato l'armonia, metteva la deformità. Dove Dio ha creato la perfezione, ristabiliva l'abbozzo. Ma agli occhi degli intenditori, l’abbozzo risultava perfetto. Anche gli animali venivano rielaborati; si inventavano cavalli pezzati, Turenne ne montava uno. D'altra parte, ai giorni nostri, non si tingono forse i cani di blu o di verde? La natura è il nostro canovaccio. L'uomo ha sempre qualcosa da aggiungere a quello che ha fatto Dio. L'uomo ritocca il creato, a volte opera bene, altre volte male. Il giullare di corte non è altro che un tentativo di far tornare l’uomo alla scimmia. Progresso al contrario. Capolavoro a ritroso. Ma nello stesso tempo si cercava di far diventare uomo la scimmia. Barbara, duchessa di Cleveland e contessa di Southampton, aveva come paggio un cebo. In casa di Françoise Sutton, baronessa Dudley, ottava pari al banco dei baroni, serviva il tè un babbuino vestito di broccato d’oro, che lady Dudley chiamava il mio negro
. Catherine Sidley, contessa di Dorchester, andava alle sedute del parlamento con una carrozza stemmata, dietro alla quale stavano ritti, col muso in aria tre scimmioni vestiti in gran livrea. Una duchessa di Medina-Coeli, alla cui toeletta presenziò il cardinale Polus, si faceva infilare le calze da un orango. Quelle scimmie salite di grado facevano da contrappeso agli uomini abbruttiti e bestializzati. Il nano e il cane, in particolare, mettevano in risalto questa promiscuità dell’uomo e dell’animale, che piaceva tanto ai potenti. Il nano non lasciava mai il cane, che era sempre più grande di lui. Il cane non abbandonava mai il nano, come due collane appaiate. Da una grande quantità di documenti familiari si attesta questo appaiamento, in particolare il ritratto di Jeffrey Hudson, nano di Enrichetta di Francia, figlia di Enrico IV, moglie di Carlo I.
Degradare l’uomo spinge a deformarlo. Si completava la sua degradazione sfigurandolo. A quell’epoca c’erano dei vivisettori che riuscivano egregiamente a cancellare l’effige divina dal volto umano. Il dottor Conquest, membro del collegio d'Amen-Street e ispettore giurato delle botteghe dei chimici di Londra, ha scritto un libro in latino su questo argomento della chirurgia alla rovescia, illustrandone le procedure. Secondo Justus de Carrick-Fergus, l'inventore di questo tipo di chirurgia sarebbe un monaco chiamato Aven-More, parola irlandese che significa Grande fiume .
Nelle cantine di Heidelberg c'è ancora la riproduzione - o lo spettro - di Perkeo, il nano dell'elettore del Palatinato, che esce da una scatola a sorpresa, notevole esemplare di questa scienza che aveva svariate applicazioni.
In questo modo generavano esseri la cui legge di esistenza era terribilmente semplice: avevano il permesso di soffrire e il dovere di divertire.
III
La fabbrica dei mostri operava su larga scala e abbracciava diversi generi.
Ne voleva il sultano, ne voleva anche il papa. Il primo per sorvegliare le mogli, il secondo per recitare le sue preghiere. Era un genere di creature a parte che non poteva riprodursi da solo. Questi semi-umani tornavano utili al piacere e alla religione. Il serraglio e la cappella Sistina consumavano la stessa specie di mostri, qui feroci, là soavi.
In quell’epoca erano capaci di produrre cose che ora non si producono più; c’erano talenti che oggi ci mancano e non è un caso che le persone più nobili oggi gridino alla decadenza. Si è persa l'arte di scolpire la carne umana, e la ragione è che si va perdendo anche l'arte dei supplizi; in questo campo c’erano molti virtuosi, ora non più; oggi le cose si sono così semplificate che, forse, questo genere di attività finirà con lo sparire definitivamente. Quando si tagliavano membra di uomini vivi, quando si apriva loro il ventre strappando le viscere, i fenomeni si coglievano sul fatto, si facevano delle scoperte; abbiamo dovuto rinunciare a questo studio e così noi perdiamo i progressi che il carnefice faceva fare alla chirurgia.
Ma la vivisezione di un tempo non si limitava a confezionare fenomeni da baraccone per le piazze, buffoni per i palazzi o eunuchi per papi e sultani. C’erano molte varianti. Uno dei suoi miracoli consisteva nel fare un gallo per il re d'Inghilterra.
Era usanza che nel palazzo del re d'Inghilterra ci fosse una specie di uomo notturno che cantava come un gallo. Questo guardiano, che stava in piedi mentre tutti dormivano, gironzolava per il palazzo e ogni ora lanciava quel grido, ripetendolo tante volte come avrebbe fatto una campana. Per essere promosso a gallo quell'uomo aveva subito da bambino un'operazione alla faringe, descritta dal dottor Conquest nel suo trattato. Sotto Carlo II, avendo la salivazione eccessiva legata a tale operazione disgustato la duchessa di Portsmouth, fu conservata la funzione, per non diminuire il prestigio della corona, ma si fece emettere il verso del gallo a un uomo non mutilato. Per questo onorevole incarico di solito si sceglieva un vecchio ufficiale. Sotto Giacomo II, il funzionario si chiamava William Sampson Gallo, e ogni anno per il suo canto riceveva nove sterline, due scellini e sei soldi.
Non più di cento anni fa a Pietroburgo, come racconta Caterina II nelle sue memorie, quando lo zar e la zarina non erano soddisfatti di un principe russo, lo facevano accoccolare nella grande anticamera del palazzo e lo obbligavano a restare così per un certo numero di giorni, con l’ordine di miagolare come un gatto o di chiocciare come una gallina beccando il cibo per terra.
Queste mode sono ormai tramontare, ma meno di quanto si possa credere. Oggi, ad esempio, i cortigiani per venire in grazia chiocciano modificando un po' l'intonazione. Più d'uno raccoglie da terra, per non dire nel fango, ciò che mangia.
È una gran fortuna che i re siano infallibili, perché, in questo modo, le loro contraddizioni non mettono mai nessuno in difficoltà. Dicendo sempre di sì, si può essere sicuri di aver comunque ragione, cosa che fa sempre molto piacere. Luigi XIV non avrebbe tollerato a Versailles un ufficiale che facesse il gallo, né un principe che facesse il tacchino. Ciò che dava risalto alla dignità reale e imperiale in Inghilterra e in Russia, sarebbe sembrato a Luigi il Grande incompatibile con la corona di San Luigi. È ben noto il suo malcontento quando Madame Henriette una notte ebbe la sventatezza di vedere in sogno una gallina, cosa molto sconveniente per una persona della corte. Quando si appartiene alla corte non si devono sognare cose indegne come sono gli animali da cortile. Bossuet, come alcuni ricordano, condivise lo sdegno di Luigi XIV.
IV
Il commercio dei bambini nel diciassettesimo secolo, come abbiamo già spiegato, era praticamente un’industria. I comprachicos facevano questo commercio ed esercitavano questa industria. Compravano i bambini, lavoravano un po' quella materia prima e poi la rivendevano.
I venditori erano gente di ogni specie, dal miserabile genitore che si liberava in questo modo dei pesi della famiglia fino al padrone che metteva a frutto la sua riserva di schiavi. Vendere uomini era una cosa semplicissima. Anche ai giorni nostri vi sono state battaglie per mantenere questo diritto. Si ricordi che non più di un secolo fa l'elettore d’Assia vendeva i suoi sudditi al re d’Inghilterra, che aveva bisogno di uomini da far ammazzare in America. L’elettore d’Assia vendeva carne da cannone. Il principe appendeva i suoi sudditi nella sua bottega: fate un’offerta, è tutto in vendita. In Inghilterra, sotto Jeffry, dopo il tragico caso di Monmouth, molti signori e gentiluomini furono decapitati e squartati. Costoro lasciarono mogli e figlie, vedove e orfane, che Giacomo II donò alla regina sua consorte. La regina le vendette a William