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Marriage Story - Storia di un Matrimonio

Chapter 26: Il sonno della ragione genera mostri

Summary:

Il ritorno di un grande problema, l'inizio di una tempesta che si trascinerà negli anni.

Notes:

(See the end of the chapter for notes.)

Chapter Text

Il sonno della ragione genera mostri

 

"Possiamo rivedere la bambina delle altalene?" Via teneva una manina stretta in quella di Stella, e camminava guardandola mentre le parlava "Non le ho chiesto il nome. Mi sono dimenticata. Ma mi ha detto che ci va sempre il martedì pomeriggio."

"Allora torneremo al parco martedì" le aveva risposto Stella facendole un sorriso "E se la rincontreremo le chiederemo anche come si chiama!"

Via prese allora un andamento a saltelli, senza lasciare la mano di Stella. Era stato un pomeriggio sereno, e stavano rientrando a palazzo passeggiando nella luce tiepida delle ultime ore del giorno.

"Papà è a casa?"

"Non lo so amore mio, più tardi sicuramente."

"Mi ha promesso che mi avrebbe fatto vedere i cerchi di Sarno, una cosa così."

"Gli anelli Saturno?" Domandò Stella, divertita.

"Sisi! Quelli!" fece Via, annuendo con entusiasmo.

"Allora vedrai che tornerà in tempo e te li mostrerà!"

Stella aveva attraversato l'ampio cancello, e il vialetto lastricato e, solo allora, davanti al portone, aveva visto una figura immobile, leggermente curva su sé stessa, avvolta da un ampio mantello marrone, che sembrava attendere qualcuno. E quel qualcuno era lei.

"Tu e il tuo ingrato fratello state forse cercando di fregarmi?"

Nemmeno un saluto. Solo un'accusa lanciata con la solita voce roca, con la luce tagliente che filtrava da quegli occhi incappucciati.

Stella rimase distante dieci passi, sollevò Via e se la strinse al petto.

"Padre. Dovreste andare via."

"Andrò via quando saprò che cosa hai detto al tuo insulso sposo per farmi sostituire da tuo fratello in Assemblea. Qual è stato l'accordo? Prima una volta ogni tanto, così non me ne sarei accorto, e poi sempre più spesso fino a rimpiazzarmi? O è un caso che nell'ultimo anno io non sia più stato chiamato agli incontri?"

"Mamma? Chi è?"

"Uno che non è il benvenuto." rispose Stella, avvolgendola con le braccia.

"Perché non glielo dici? Perché non le dici che sono suo nonno?"

"Perché a stento posso considerarvi mio padre." Sputò lei. "E adesso andate via."

"È così che mi ripaghi? Dopo che ti ho crescita, che ti ho nutrita, che ti ho educata? Che ti ho resa quello che sei? Mi ripaghi facendomi tagliare fuori da tutto?"

Il cuore di Stella le martellava nel petto come se stesse per sfondarle lo sterno. Guardò verso la casa ed ebbe il sospetto che Stolas non fosse ancora tornato. Era sola con Via, e con la servitù. Era certa non ci fosse neppure Andrealphus.

"Toglietevi di mezzo e fatemi passare." Disse, ingoiando la paura che le invadeva la gola "Consegnerò la bambina alle balie, e poi potremo parlare."

Il Marchese si spostò di tre passi e lei entrò nell'androne. Richiuse la porta dietro di sé e consegnò Via a una delle balie di corte.

"Mamma, cosa vuole?"

Stella era accovacciata davanti ad Octavia, che la guardava con occhi colmi di preoccupazione e confusione.

"Non lo so amore mio, ma non è niente. Tu devi stare tranquilla. Ora la balia ti porta in camera. Se torna papà da un portale devi dirgli che c'è il Marchese e che io sono con lui all'ingresso. E che deve venire."

Via continuava a fissarla con due occhi grandissimi e perduti.

"Ripetilo, tesoro."

"C'è il Marchese all'ingresso con mamma. Devi andarci anche tu."

"Brava la mia bambina."

Poi si rivolse alla balia "Vale anche per voi, se il Principe Stolas torna dovete dirgli che il Marchese è qui, e di venire subito."

"Sì, mia Signora" la balia annuì, e condusse Via per mano per le scale del palazzo. E Octavia ogni tanto si voltava, a scrutare sua madre in fondo ai gradini, che le faceva cenno di stare tranquilla e le rivolgeva il più rassicurante dei sorrisi.

Quando fu fuori dal campo visivo della bambina, Stella si guardò intorno pervasa da una sottile sensazione di panico, notò il tagliacarte di vetro sul tavolo dell'ingresso. Prendilo. Sei da sola. Non è sicuro. Lo afferrò e lo nascose nelle pieghe del vestito. È una cosa davvero stupida. Pensò fra sé e sé. E comunque non mi servirebbe a niente. Ma la voce nel retro della sua testa aggiunse: Fargli male non è "niente".

Inspirò. Espirò. E promise a sé stessa che non lo avrebbe attaccato se non per difendersi. Poi aprì il portone d'ingresso e uscì.

"Non mi fai entrare?"

"No. Parliamo fuori. Non vi voglio in casa mia."

Il Marchese l'afferrò per un braccio e strinse forte, abbastanza da farle sentire un dolore sordo là dove affondavano le dita.

"Sei stata tu. Non mentirmi."

Stella serrò le labbra in una linea sottile. "Causarvi un danno sarebbe per me la più grande delle soddisfazioni...Se solo sapessi di cosa state parlando."

"Tu! Hai usato l'influenza che hai sul tuo maledettissimo sposo per portare tuo fratello a sostituirmi in Assemblea."

Gli occhi di Stella lampeggiarono di soddisfazione. Oh, dunque era così, Paimon lo stava pian piano tagliando fuori. Che le parole di Stolas avessero smosso nel sovrano qualcosa? O c'era forse dell'altro, e sotto la parvenza di una vittoria li attendeva un male peggiore?

"Non è compito di Stolas scegliere chi siede o meno in Assemblea. Evidentemente anche agli occhi del Re ormai apparite come un inutile vecchio."

"È impossibile. Sono il suo miglior generale. Ho guidato le sue legioni. Ho vinto le sue guerre. Gli ho consegnato te. Per il Re ho ancora valore."

La morsa sul suo braccio si fece più stretta, e suo padre la strattonò. Stella ingoiò un gemito; non voleva dargli nessuna soddisfazione.

"Potete continuare a stringere e strattonarmi quanto vi pare, tanto non farà mai male quanto ha fatto male a voi vedervi sostituito da un ventenne alle prime armi." Sputò, sprezzante "Evidentemente non siete più all'altezza, Andrealphus, invece, lo è."

"E cosa vuoi saperne di politica tu? Di chi è o non è all'altezza? Sei nata e cresciuta solo per aprire le gambe e figliare. E non sei buona nemmeno per quello, a giudicare dall'unica femmina che sei riuscita a partorire. Se il Re Paimon ha qualcosa da rimproverarmi, è solo la qualità della merce che gli ho dato." poi la spinse per terra sui gradini dell'ingresso "Forse non ti ho raddrizzata abbastanza, da piccola."

Lei vide l'anello brillare, e sentì gli occhi appannarsi e coprirsi di un velo biancastro, le orecchie le fischiavano e la mente sembrava annebbiata da una confusione sottile. Così, privata della vista, estrasse il tagliacarte di vetro e si scagliò contro suo padre sperando di colpirlo, ferendogli una mano. Sentì il sangue bagnarle le dita senza poterlo vedere.

"Andatevene!" urlò, ricadendo in ginocchio accecata dall'anello.

Poi la porta alle sue spalle si aprì. E Stolas comparve, i suoi occhi rosseggiavano di potere e di ira.

"Non vi avevo già detto che in casa mia non si usa la violenza, Marchese? È il secondo avvertimento. Al terzo dovrò tagliarvi la mano. E, non temete, mio padre vi tiene ancora in alta considerazione, in caso contrario Andrealphus avrebbe già ereditato il titolo."

Il principe raccolse Stella e la sorresse per rimetterla in piedi, poi la prese per mano e la condusse con sé di fronte a suo padre.

"Vi ricordo che adesso Stella è una Principessa, e voi solo un Marchese, o tutti questi anni di fedeltà alla corona vi hanno fatto dimenticare le gerarchie?"

Il Marchese rimase in silenzio, e Stolas incalzò.

"Lo avete forse scordato? Rispondete."

"No."

"No, cosa?"

"No, Vostra Altezza."

"Bene." Disse Stolas "Dunque, rivolgetele gli onori che si devono a una principessa."

L'uomo guardò Stolas colmo di umiliazione, e non riuscì a processare immediatamente la richiesta.

"In ginocchio." Chiarì il principe. Il Marchese esitò, ma sapeva che avrebbe dovuto, perché, in realtà, non aveva affatto dimenticato le gerarchie. Così si inginocchiò gonfio di vergogna e di rabbia.

"Ottimo." lodò Stolas, più morbido, e poi riprese nuovamente un tono duro "Non dovete osare toccarla, Marchese. Mi sono spiegato?"

Quando il Marchese andò via, rientrarono in casa, e si ritrovarono soli nel grande androne vuoto. Stolas la fece sedere sulle scale e le si sedette accanto. Stella stringeva ancora saldamente il tagliacarte di vetro nella mano destra. Il sangue di suo padre le chiazzava le dita sottili.

"Stella... è andato via... puoi lasciarlo adesso." Le diceva, forzandole delicatamente le dita. "Dai, dallo a me..." La mano di lei si fece molle e lasciò scivolare via l'oggetto. Stella guardava un punto fisso nel vuoto, era fredda al tocco e non parlava.

"Stella... Ti prego... dì qualcosa." fece lui, prendendole delicatamente il viso tra le mani. "Ci sono io. Sei al sicuro." E, solo allora, lei ruppe in singhiozzi e gli si accasciò sul petto, lo strinse forte come a volerci sparire dentro, e lui l'avvolse accarezzandole i capelli. Poteva sentirla tremare leggermente tra le sue braccia.

"Ho paura." Mormorò lei tra i singhiozzi "Di nuovo, o ancora. Come quand'ero bambina."

***

Aver avuto il mondo in mano ed esserne privato aveva reso il Marchese più instabile che mai. E, se l'istinto di conservazione – come lo chiamava lui – o semplice codardia – come l'avrebbero chiamata gli altri – l'avevano portato ad allontanarsi, umiliato e sconfitto, dal palazzo di Stolas, lo stesso istinto non aveva impedito che tornasse a tormentare Andrealphus.

Per qualche giorno era rimasto al suo palazzo, a trattenere l'impulso di presentarsi in Assemblea, alla fine di un incontro qualsiasi, ed affrontare suo figlio. E, per qualche tempo, ci era riuscito. Ma la smania di controllo era tornata ad accendersi col passare dei giorni, l'incredulità per essere stato sostituito era alimentata dall'assenza di risposte. Paimon non lo avrebbe mai fatto. Era questo che continuava a ripetersi. E dunque, se non era del sovrano la responsabilità della sua rovina, e se non era sua, perché non avrebbe potuto esserlo, doveva essere di quell'ingrato di suo figlio che, di certo, da tutta la vita aspirava a portagli via il suo ruolo.

Contrariamente a Stella, Andrealphus sapeva perfettamente che cosa ci facesse suo padre, a tarda sera, seduto su una delle panche di legno dell'austero corridoio del palazzo dell'Assemblea. Aveva temuto quel momento per oltre un anno, e dopo che sua sorella gli aveva raccontato dell'imboscata a palazzo sapeva benissimo che era solo una questione di tempo prima che toccasse anche a lui affrontarlo. Sapeva anche che sarebbe successo quella sera, poiché Stolas non era presente all'incontro, e suo padre temeva il principe più di quanto non avrebbe mai ammesso.

Il Marchese si alzò in piedi quando vide suo figlio emergere dalla sala dell'incontro, seguito da una folla di duchi, conti e baroni e altri rappresentanti della piccola e grande nobiltà. Andrealphus gli si avvicinò a passo lento e controllato.

"Cerchiamo di non dare scandalo." Disse, prima che suo padre potesse proferire parola. "Parliamo civilmente, da uomo a uomo, qui." Aprì una porta che dava su uno studiolo piccolo e spoglio, illuminato dalla fioca luce di una lampada e da quella che filtrava dall'ampia finestra che dava sul chiostro interno. Quando la porta fu richiusa il Marchese squadrò suo figlio dalla testa ai piedi; Andrealphus stava dritto nell'abito azzurro polvere con la giacca di doppio filo di seta, con la camicia dai bottoni perlacei e i gemelli blu intenso che brillavano sui polsini, e al collo un Ascot damascato dello stesso colore.

"E io che pensavo che la femmina fosse tua sorella." Disse il Marchese in un sibilo di disappunto "Che diavolo ti metti addosso per presentarti in società? Sembri il pupazzo di una torta di nozze."

Andrealphus piegò le labbra in una smorfia di fastidio, poi provò a sostenere lo sguardo di suo padre senza cedere al sottile timore reverenziale che gli suscitava.

"Non penso siate qui per discutere delle mie scelte sul vestire."

"No, su un altro tipo di scelte, però, sì." Sibilò ancora suo padre "Allora? Chi hai ricattato per prendere il mio posto? Certo è che dovevi avere roba grossa per-"

"Non sono così meschino da ricattare qualcuno." Disse Andrealphus.

"Oh beh... allora davanti a quale nobile pomposo hai pensato bene di inginocchiarti?" Fece il Marchese senza alcun tentativo di nascondere l'allusione.

Andrealphus spalancò gli occhi di incredulità, ma cercò di mantenere l'espressione più neutra possibile mentre diceva:

"Di solito preferisco siano gli altri a inginocchiarsi davanti a me."

Uno schiaffo lo colpì prima che potesse accorgersene, e gli stampò cinque dita sulla guancia sinistra. Ma Andrealphus non mosse un muscolo.

"Vi siete sfogato? Avete finito?" disse invece rimanendo erto immobile, ingoiando il grumo di saliva che gli si era accumulato in bocca "Un insulto o uno schiaffo non cambieranno il fatto che siete stato tagliato fuori dal re in persona. Non c'è nessun grande complotto, non c'è nessun grande colpevole. C'è solo il volere di Paimon, e fareste meglio ad accettarlo, prima che mio cognato mantenga le sue promesse su quelle mani che vi piace tanto usare a sproposito."

***

Andrealphus tornò al palazzo di Stolas con la sensazione di avere guadagnato e perduto qualcosa tutto in un colpo. Attraversò l'androne silenzioso e salì le scale, udì un gran trambusto provenire dalla camera di Octavia, e la sua voce di bambina che raccontava qualcosa di semplice come fosse strabiliante. E la voce di Stella domandare "Davvero? Ma è bellissimo!" a qualsiasi cosa sua figlia le stesse raccontando. E Stolas ridere di gusto e dire "Va bene! Ma scegliamo l'ultima storia e poi si dorme!"

Si avvicinò alla cameretta, guardò dentro e li vide seduti sul tappeto con libri e bambole sparsi intorno, e con Via nel solito pigiama rosa con le stelle.

"Andre!" fece Stella notando la sua figura "Non ti ho visto per tutto il giorno!"

"Oh...io... volevo solo darti la buonanotte." rispose lui.

"Dai, vieni! Stavamo giocando." Disse sua sorella rivolgendogli un sorriso sereno.

"Io non... io... sono stanco Stella."

Octavia lo guardò in silenzio come se fosse per lei una creatura misteriosa e sfuggente.

"Resta." Disse Stella, più seria, con un tono morbido e dolce. "È l'ultima storia, poi andiamo a dormire."

Andrealphus avanzò nella camera con il passo di uno che entra in un mondo che non gli appartiene, Octavia tese le mani verso l'alto per porgergli un libro illustrato.

"Leggi tu?"

"No, piccola, io... ascolto, se va bene." Rispose in un sussurro, e sedette accanto a loro sul tappeto.

Notes:

E alla fine la tempesta è arrivata, forse non il tipo di tempesta che ci aspettavamo.

E il prezzo dei favori non richiesti di Paimon si paga con una mina vagante che si presenta non invitato in casa o in assemblea, a cercare negli altri i motivi di un fallimento che può imputare soltanto a sé stesso.

È proprio vero che, quando la ragione dorme, i mostri peggiori che ci abitano dentro prendono il sopravvento.

Ci vediamo nel prossimo capitolo, che sarà davvero duro!

A presto,

- Armilla Lunastorta